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Nuova Venezia – Mantovani, Vuota il sacco anche Colombelli

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 1 Comment

13

mar

2013

Ha chiesto di essere sentito e ha parlato per cinque ore ai pm Ancillotto e Buccini

VENEZIA – Abituato a una vita tra barche sulla costa ligure, auto di lusso, ville, dopo 11 giorni di carcere William Ambrogio Colombelli ha chiesto di parlare con il pm Stefano Ancillotto, che lo accusa di essere stato – con la sua Bmc Broker, sede a San Marino – la fabbrica di fatture false di Piergiorgio Baita (ex ad di Mantovani, in carcere) per 20 milioni di “nero”. Ieri, assistito dall’avvocato Fogliata, per cinque lunghe ore Colombelli – apparso piuttosto provato – ha risposto a tutte le domande dei pm Ancillotto e Stefano Buccini, che avevano cercato di mantenere riservato l’interrogatorio, annunciando di essere impegnati in udienza. Dopo la collaborazione alle indagini di Claudia Minutillo – ex segretaria di Giancarlo Galan, poi ad dell’Adria Infrastrutture, ex compagna di Colombelli, che ha ottenuto gli arresti domiciliari – davanti 6 faldoni e 8 Dvd di intercettazioni, fatture, riscontri bancari, s’incrina il fronte del silenzio. Se i riscontri alle dichiarazioni di Colombelli saranno positivi, c’è da credere che la Procura non si opporrà alla richiesta di arresti domiciliari che la difesa avanzerà venerdì davanti al Tribunale del Riesame. Mentre potrebbe essere sentito dai pm anche il direttore amministrativo della Mantovani, Nicolò Buson – per il quale l’avvocata Fois ha fatto istanza di Riesame – chi mantiene la linea del silenzio è Piergiorgio Baita, accusato di essere il capo dell’associazione a delinquere. «Noi andiamo avanti per la nostra strada, nel chiedere al Riesame l’incompetenza territoriale della Procura di Venezia e, comunque, gli arresti domiciliari», commenta l’avvocata Rubini. Al Riesame è annunciata anche la presenza dell’avvocato Piero Longo, difensore di Berlusconi. In attesa del seguito di un’inchiesta che non pare certo ultimata, proseguono gli sviluppi politici. Ìeri il presidente della Regione Luca Zaia ha ricevuto dall’ad di Veneto Strade, Vernizzi, la relazione sui rapporti con le imprese del gruppo Mantovani. Il faldone, già trasmesso al responsabile del nucleo ispettivo interno, raccoglie anche la documentazione delle fiere svolte da Veneto Strade sino al 2010 e le relative sei fatture Bmc, tra il 2005 e il 2010. «Atti che non riguardano la mia amministrazione», sottolinea Zaia, «perché da quando siamo arrivati noi è cambiato il mondo e in bilancio abbiamo asciugato circa 700 milioni di euro». Tra le fatture presenti anche quattro relative ad acquisti di Veneto Strade presso tre aziende tedesche ed una austriaca specializzate in prodotti per la cantieristica. Nell’ordinanza di custodia cautelare si fa riferimento a fatture intestate a Veneto strade per 2,1 milioni di euro. In Comune a Venezia, invece, un gruppo di consiglieri ha formalizzato la delibera per la costituzione di una commissione straordinaria d’inchiesta sui rapporti con la Mantovani. Roberta De Rossi

 

IL MALAFFARE IN VENETO » GLI INTRECCI SOCIETARI

Quattro indagini e un solo indirizzo

Via Pepe 12 a Mestre è il crocevia di interessi milionari tra Bellamio, Minutillo e Baita. E tra Di Bisceglie e Barone

PADOVA – Quattro indagini di procure diverse: Venezia, Milano, Napoli, Catanzaro. Decine di persone coinvolte: manager, politici, commercialisti, faccendieri in odore di ’ndrangheta, imprenditori. Una miriade di società: partecipate, cancellate, chiuse e riaperte in altre città, o ridisegnate nel loro assetto. A legare fra loro pezzi di indagini, alcune persone e diverse aziende c’è un indirizzo. Indirizzo che compare e scompare, inabissandosi in visure camerali e talvolta riemergendo come luogo fisico per sedi legali di anonime srl. Eccolo: via Guglielmo Pepe 12, Venezia-Mestre. Terraferma. È da lì, da via Pepe, che si dipanano, o transitano, le quattro indagini che finora hanno portato, negli ultimi tre anni, a scoperchiare il malaffare in Veneto. Perché da via Pepe? Perché, per esempio, in via Pepe c’era lo studio di commercialisti Bpv al cui interno (fino all’epoca delle indagini) operavano Paolo Bellamio ed Enrico Prandin, professionisti molto noti in Veneto e ora a giudizio perché coinvolti nella bancarotta Enerambiente insieme all’imprenditore trevigiano Stefano Gavioli, gli avvocati e Giovanni Faggiano di Brindisi, Giorgio Zabeo di Stra, l’ex direttore generale della banca del Veneziano Alessandro Arzenton di Padova, il dirigente e la funzionaria dello stesso istituto di credito Mario Zavagno e Francesca Furlan, il braccio destro operativo di Gavioli nella gestione dei rifiuti Loris Zerbin di Campolongo Maggiore e un’altra dipendente dell’imprenditore di Mogliano, Stefania Vio di Venezia. Il “metodo Gavioli” per la procura di Napoli era semplice: acquisire appalti, quindi scaricare sulla vecchia società costi e debiti e aprirne una nuova trasferendo a quest’ultima le attività. Anche la procura di Catanzaro nel dicembre scorso ha chiesto il rinvio a giudizio di Gavioli, Faggiano, Prandin, Bellamio e altri per le attività di raccolta dei rifiuti urbani e di gestione di una discarica di Enerambiente svolta in Calabria: in questo caso i reati contestati sono associazione a delinquere, abuso di ufficio, corruzione, evasione fiscale. Ma in via Pepe, sempre al civico 12, troviamo la sede di alcune attività riconducibili anche a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan arrestata (ora ai domiciliari), a sua volta in affari con Piergiorgio Baita, accusati entrambi di aver creato un sistema di “cartiere” che coinvolge aziende di Marghera (collegate all’imprenditore bellunese Luigi Dal Borgo) e finanziarie di San Marino in grado di creare milioni di euro di “nero”, con il coinvolgimento del braccio destro di Baita, Mirko Voltazza di Polverara. E non è finita: via Pepe 12 è l’indirizzo di due società (una chiusa) riconducibili a Roberto Di Bisceglie, faccendiere foggiano, sposato con una padovana e finito nel mirino della procura di Milano per una maxi indagine che riguarda la ’ndrangheta e la famiglia Strangio. Di Bisceglie, nell’inchiesta denimonata “Infinito” e condotta dal pm Ilda Bocassini, è attore insieme ad altre persone, tra cui Giovanni Barone (il cui nome qualche anno fa è comparso nella vicenda che riguarda il post concordato Edilbasso), della scalata di due società la Perego Strade di Milano e la trentina Cosbau, con le quali partecipare all’acquisizione di appalti pubblici. Scriveva il Fatto Quotidiano nel novembre scorso a proposito dell’indagine della Boccassini riferita a Roberto Di Bisceglie: «Da un lato la ‘ndrangheta lombarda, dall’altro la politica nazionale. In mezzo 10 milioni di euro per scalare una società dal goloso portafoglio pubblico, nel senso degli appalti, naturalmente. Commesse per la ricostruzione dell’Aquila terremotata. Metti allora Andrea Pavone, broker al soldo dei clan di San Luca che in riva al Naviglio hanno manovrato una holding dell’edilizia come la Perego. E metti anche un faccendiere, di professione avvocato, pugliese di Foggia con residenza padovana e cariche politiche di rilievo. Sì perché Roberto Di Bisceglie, oltre a ricoprire il ruolo di coordinatore per il Veneto del Partito democratico cristiano, si presenta “come il segretario dell’ex onorevole Gianni Prandini”, Dc della prima ora, bresciano, sottosegretario di Stato nel primo governo Craxi e ministro per quattro volte. L’ultima nel settimo governo Andreotti, ai lavori pubblici. Anno 1991, data dello scandalo: tangenti Anas per le opere autostradali. Prandini incassa una condanna in primo grado a sei anni e quattro mesi, per poi uscirne pulito in Appello». E ancora: «Nel frattempo, però, per la sua mediazione “il segretario dell’ex ministro democristiano” intasca oltre 300 mila euro. Nel 2010, il gip di Milano disporrà il sequestro di quel denaro e Di Bisceglie finirà indagato per concorso nella bancarotta della Perego strade. I giochi si chiudono, lasciando sul piatto l’inquietante vicenda di rapporti tra la ‘ndrangheta di stampo lombardo e i poteri politici deviati». Ma torniamo all’inizio: Gavioli, i commercialisti Bellamio e Prandin, dunque. E poi Baita, Minutillo e le loro società. E ancora Di Bisceglie, Barone e l’inchiesta sulla ‘ndrangheta. Come detto: quattro inchieste distinte che non hanno nulla in comune se non un indirizzo, via Pepe, dove c’è anche uno studio usato come sede legale per le società da molti dei protagonisti. Un altro minimo comun denominatore che può far nascere nuove e interessanti suggestioni, però, c’è. Ovvero, un filo, quasi invisibile che lega fra loro queste storie. In un linguaggio 2.0 si potrebbe tranquillamente affermare che le “keywords”, le parole chiave con cui catalogare le quattro vicende sono le stesse. Conferma implicita che sebbene si tratti di inchieste distinte c’è qualcosa che le avvicina. Sfogliando visure, comparando fra loro indirizzi, attività dichiarate e cercando di comprendere gli incastri di quote azionarie e cariche societarie, si può notare come la volontà di opacizzare le operazioni finanziarie da parte di soggetti sia pubblici che privati (nulla di illecito) sia però diventato in questi ultimi 15 anni un vero e proprio sistema, dove, all’interno, agiscono imprenditori spericolati, manager pubblici senza scrupoli e finanche professionisti insospettabili in grado di “linkare” l’economia di una regione ricca come il Veneto alla finanza illecita riconducibile alla criminalità organizzata. Un sistema in grado di spolpare e “uccidere” dal punto di vista economico-finanziario l’economia regionale. Ma andiamo nel dettaglio. I professionisti Bellamio e Prandin. Paolo Bellamio e Enrico Prandin sono due commercialisti molto noti nel Veneziano. Il primo è stato, in questi ultimi trent’anni, amministratore o presidente del collegio sindacale di numerose società, nonché è stato più volte nominato curatore fallimentare del tribunale civile di Venezia. Nel 2000 il suo nome era finito sui giornali per essersi occupato del fallimento del Calcio Mestre e più tardi era stato chiamato per salvare il Calcio Napoli di cui è stato amministratore unico nel 2004. Ma il suo nome riporta anche ai fasti dell’economia pre-tangentopoli, quando in Veneto gli affari del cemento erano suddivisi tra lo studio di architettura Icomsa Partecipazioni spa di Padova, di cui è stato presidente), e Iniziativa Spa. Bellamio compare grazie alle visure in decine di società, fra cui Italponteggi di Venezia, Elefer di via Masini a Padova, Mogliano Ambiente (sindaco), e Sirma spa (presidente del collegio sindacale). Attività quest’ultime gestite da studi che portavano il suo nome: il Bellamio Pettenello Valentini e associati-commercialisti (società poi cancellata). E il Bpv&Labora srl (studio di consulenze amministrativo-gestionale) di cui è stato consigliere dal 2007 come risulta dalle visure. Anche il curriculum di Enrico Prandin è notevole: liquidatore della Dogal Frutta, società che aveva la sede legale in via Pepe 12, è stato anche sindaco supplente della Ormenese Costruzioni srl (in liquidazione) di Mira, della General Holding (in liquidazione) di Mira. Ma Prandin è stato anche sindaco di Enerambiente srl, di Mogliano Ambiente, della Sirma di Venezia, della Bpv&Labora srla di via Pepe (di cui è stato consigliere), e della Bellamio Pettenello Valentini & Associati-Commercialisti di via Pepe (di cui è stato amministratore), della Essefin Immobiliare (via Pepe 12, sindaco supplente) della Gavioli spa (presidente del collegio sindacale) e della Enertech di Venezia (amministratore). Minutillo: da segretaria di Galan a Dogaressa del Veneto. Tanto si è scritto di Claudia Minutillo in questi giorni. E tanto si scriverà ancora. Per capire l’intreccio degli interessi dell’ex segretaria del Governatore del Veneto Giancarlo Galan bisogna partire dalle sue partecipazioni. Minutillo, 49 anni, veneziana è, o era, registrata come consigliere socio o amministratore di alcune delle più importanti società di infrastrutture del Veneto. Società in cui compare (in alcune) anche Piergiogio Baita. Lasciando da parte la società editoriale dei giornali free-press di Epolis, Minutillo, risulta essere stata membro del consiglio direttivo del Consorzio SiTre Ingegneria di Rovigo, consigliere del consorzio Fagos di Venezia, consigliere nonché presidente del consiglio di amministrazione della Alles (Azienda lavori lagunari escavo smaltimenti spa) di Venezia, consigliere delegato della Adria infrastrutture di Venezia (fino all’approvazione del bilancio 2012), dentro la quale figurano anche Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova, Vittorio Caporale, Rosa Bovino, Luigi Dal Borgo (titolare delle aziende di Marghera sospettate di essere “cartiere” a favore della Mantovani). Minutillo compare anche come presidente del consiglio di amministrazione della Veneto Pass società consortile di Venezia, presidente del consiglio di amministrazione della Veneto Tlc di Venezia, della Intecno società consortile, della Nuova Fusina Ingegneria società consortile (vice presidente), della Strada del Mare srl (consigliere) della Autostrada Nogara Mare Adriatico società consortile di Verona (consigliere), della Pedemontana Veneta società per azioni (in liquidazione, consigliere) e della Investimenti srl (in liquidazione, di cui è stata amministratore unico). Anche quest’ultima società aveva la sede legale in via Pepe 12. Liquidatore della Investimenti srl è stato nominato Alessandro Marani Tassinari (nel 2011), un recente passato come aspirante politico (inserito nella lista Brunetta a Venezia), domicilio fiscale in via Pepe 12 e amministratore della Fashion Gate di Padova (commercio all’ingrosso), della Clp di Casal sul Sile, della Bb-Fit srl di via Pepe 12, della Small Pay di via Pepe, della Sintesi Invest di Abano Terme, della San Martino Property, della Fast Trade srl di via Pepe (commercio all’ingrosso di eletrtodomestici), della San Crispino Property spa (zona Padova Uno) di Padova, nonché consigliere delegato della Bpv&Labora srl di via Pepe 12. Di Bisceglie: l’avvocato portaborse di Prandini. Di Bisceglie compare in via Pepe 12 con due società. La Inside Partecipazioni srl (compravendita immobiliare, costruzioni, compravendita di beni mobili comprese opere d’arte, capitale sociale sottoscritto10 mila euro) di cui un socio è Enrico Branco, trevigiano, 43 anni, domiciliato a Venezia, e la cui sede è stata trasferita ad Abano l’anno scorso, in via Configliachi 5/b. Di Bisceglie è anche amministratore unico della Inside srl società con sede in via Masini 6 a Padova (chiusa nel 2011). Il suo nome compare anche come amministratore unico della Euro Consulting (via Pepe 12 a Mestre) società cancellata a fine del 2009, ma prima trasferita a Padova sempre in via Masini, al cui interno ci sono Enrico Branco e Massimo Ieluzzi, 56 anni, foggiano, amministratore unico della De.Pa. Immobiliare srl, società con sede a Wilmington negli Stati Uniti che aveva come oggetto sociale l’attività immobiliare. Tornando a Roberto Di Bisceglie il suo nome, insieme a quello di Giovanni Barone, compare nell’inchiesta della Boccassini contro le infiltrazioni mafiose negli appalti di Milano. Giovanni Barone, come scriveva nell’ottobre del 2012 Cristina Genesin sul Mattino di Padova «risulta indagato nell’inchiesta del procuratore aggiunto milanese Ilda Boccassini sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia. Soprannominato o’ sbirro per il passato di carabiniere ausiliario durante il servizio militare, acquistò per alcuni mesi (nel corso delle molte variazioni dell’assetto societario) il 65% delle quote di Faber – vale a dire la maggioranza assoluta – che, a sua volta, ha rilevato un ramo d’azienda della padovana EdilBasso, continuandone l’attività dopo il concordato preventivo del 6 giugno 2011. In particolare, Faber era subentrata a un appalto Edilbasso nel cantiere dell’ospedale Sant’Antonio. E non a caso Faber ha sede a Loreggia (patria di EdilBasso ) in via dell’Artigianato 9. Insomma contiguità sospette? Antipatiche? Contiguità da evitare? Le definizioni possono essere tante. Sta di fatto che Barone aveva rapporti economici con realtà imprenditoriali locali nonostante i precedenti di polizia per reati contro la pubblica amministrazione, oltraggio, resistenza e violenza, falso, falsa attestazione a pubblico ufficiale, omessa custodia d’armi». Per gli investigatori meneghini, ma anche padovani e veneziani che hanno indagato sull’affare Edilbasso il fatto che Di Bisceglie e Barone dalla Lombardia si siano trasferiti in Veneto è una singolare coincidenza. Tanto più che uno dei due si era appoggiato a uno studio veneziano da dove si dipana la matassa che unisce molti degli interessi dell’imprenditoria, della finanza e della politica veneta che viaggia sull’asse, ormai cementificato, Padova-Venezia.

Paolo Baron

 

Il senatore felice casson (Pd) quand’era magistrato arrestò baita

«La corruzione non è mai sparita con le fatture false e società fantasma»

ROMA «La corruzione non è mai sparita dal Veneto e l’inchiesta Baita lo dimostra. Rispetto agli anni Novanta il sistema di corruzione è soltanto cambiato nei metodi. Riaffiora sotto altre forme, ma non è mai scomparso». È questa l’accusa lanciata dall’ex magistrato Felice Casson, ora senatore del Pd. Presidente uscente della commissione Giustizia ed ex componente della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, Casson conosce bene il malaffare legato agli appalti della Prima e della Seconda Repubblica. Veneziano, sia come procuratore che come giudice delle indagini preliminari si è occupato di inchieste scottanti. Dallo smascheramento dell’operazione Gladio alla strage di Peteano, dalle deviazioni dei servizi segreti fino alla Tangentopoli veneta che decapitò una classe politica e che in Veneto segnò il tramonto di due principali esponenti dei partiti di governo, Dc e Psi, il democristiano Carlo Bernini e il socialista Gianni De Michelis. Fu lui nel 1992 a firmare la prima ordinanza di custodia cautelare che portò in carcere l’allora manager quarantenne Piergiorgio Baita (uscito assolto da quella vicenda). Adesso, come allora, il suo nome è legato alla impresa Mantovani spa di cui, appena uscito dal carcere, diventò amministratore delegato. Ossia il colosso dell’edilizia concessionario di appalti pubblici miliardari. Non solo in Veneto. Baita nel 1992 collaborò con i magistrati, descrivendo i meccanismi di spartizioni delle tangenti tra i partiti, ma tacendo sui nomi. Oggi la storia si ripete. Al centro c’è sempre Piergiorgio Baita con i suoi incarichi in 43 società da cui si sta dimettendo. La colpa di chi è? Dei magistrati che vent’anni fa non si sono spinti fino in fondo, oppure di quella parte del sistema imprenditoriale che continua a vivere di frode fiscale e fondi neri? «Nonostante sembri che l’orologio si sia fermato, in realtà il mondo è molto diverso da quello di vent’anni fa. L’altra volta si parlava di mazzette, di tangenti pagate ai partiti per ottenere appalti. Oggi, almeno per il momento, non ci sono al centro dell’inchiesta tangenti ma reati fiscali. Segno che personaggi come Baita, di cui ricordo la deposizione lucida e consapevole, si sono adeguati al cambiamento. I partiti hanno perso la forza che avevano allora, ma una parte degli imprenditori è riuscita sempre a spartirsi appalti. Abbattono i ricavi, pagando meno tasse, mettendo in piedi società fantasma e giri di fatture false connesse ai fondi neri, false consulenze». Possibile che tutto questo non sia «figlio» di errori fatti nella prima ondata di Tangentopoli? «Lasciare che sia la magistratura a fare pulizia non è sufficiente. Anche se una classe politica è sparita, interi partiti sono scomparsi, la burocrazia è rimasta immutata prestandosi facilmente alla corruzione. Mi riferisco alle figure vicine ai luoghi di potere, come i grandi manager dei ministeri, i funzionari regionali e provinciali. Il sistema della corruzione, secondo le ultime inchieste in corso nelle procure italiane, passa quasi sempre attraverso i personaggi che ricoprono questi incarichi. C’è poi il secondo livello, quello politico, ma non sempre emerge». Il sistema giudiziario non basta a reprimere la corruzione, dobbiamo rassegnarci? «C’è bisogno di riforme urgenti non solo nella politica ma nella pubblica amministrazione. Ci sono troppe zone d’ombra nel nostro sistema burocratico ed è lì che prospera la corruzione. Lì che gli imprenditori disonesti riescono a fare affari e allacciare legami. È necessario semplificare norme e procedure, eliminare conflitti di interesse a tutti i livelli, prevedere una rotazione delle figure al vertice degli enti pubblici». La corruzione può essere favorita dalla scelta delle amministrazioni di far ricorso a società per azioni per la gestione di servizi pubblici? «Non c’è dubbio che andrà rivisto il capitolo della società partecipate con cui regioni, province e comuni gestiscono capitale pubblico in regime di diritto privato sfuggendo, di fatto, al controllo della Corte dei Conti». L’onda di «ribellismo» spaventa, ma la corruzione in Italia ha bruciato 60 miliardi. «Non solo. Gli appalti truccati, le tangenti hanno bruciato anche l’etica della concorrenza e del libero mercato. Chi vive di corruzione vede la trasparenza della pubblica amministrazione come fumo negli occhi».

Fiammetta Cupellaro

 

  1. 1 Comment

    • roberta says:

      La conoscenza e l’informazione sono alla base della democrazia. Le notizie anche se vere non bastano. Per decidere bisogna avere una chiave di lettura e questa spesso manca o viene distorta. Senza conoscenza non ci può essere democrazia ma solo demagogia o pericolose derive istituzionali. Grazie per il vostro contributo alla conoscenza .

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