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Gazzettino – Mantovani, Buson parla e lascia il carcere

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

20

apr

2013

Un altro dei protagonisti dell’inchiesta sul caso Mantovani ha deciso di parlare e ha lasciato il carcere. Ieri infatti è tornato a casa Nicolò Buson, l’ex direttore amministrativo del gruppo Mantovani e stretto collaboratore di Piergiorgio Baita, l’ex numero uno del gruppo al centro di una maxi-inchiesta per fatture false. Il gip ha disposto per Buson gli arresti domiciliari come richiesto dalla difesa e dopo aver ricevuto un motivato parere positivo da parte della Procura. La decisione del giudice è conseguente alla scelta dell’ex manager di abbandonare la linea del silenzio sinora mantenuta. La conferma arriva dal legale di Buson: «In maniera consapevole – commenta l’avvocato Fulvia Fois – ha voluto chiarire la propria posizione rispetto a quelle degli altri coindagati e anche le dinamiche attribuitegli. In seguito a ciò, il pubblico ministero ha rilasciato il parere positivo. Ho chiesto di poterlo accompagnare io a casa invece di farlo trasportare dalla polizia penitenziaria e il giudice me lo ha concesso. Benché provato – conclude – Buson è determinato a riprendere in mano la sua vita e a guardare al futuro».
Sempre ieri intanto è scattato un nuovo sequestro preventivo dei beni di Baita per 3,3 milioni di euro. A tanto ammonterebbe, secondo i calcoli fatti dal sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto, l’imposta evasa tramite le operazioni con fatture fittizie su cui sta indagando. In questa somma sono anche compresi i compensi versati ai consulenti per aver prodotto a proprio rischio “carta straccia” (cioè fatture fasulle).
Come si ricorderà, l’ipotesi di reato è associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale attraverso l’emissione di false fatture. Oltre a Baita e Buson, risultano indagati anche Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan e amministratrice di Adria Infrastrutture e il presidente della Bmc Broker di San Marino, William Alfonso Colombelli.
Il provvedimento di sequestro è stato ripetuto dopo la bocciatura operata dal Tribunale del Riesame, che aveva accolto il ricorso dei difensori del manager. Per il collegio presieduto da Angelo Risi, il calcolo del presunto profitto effettuato dal Gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza di fine febbraio (circa 7,9 milioni) non era corretto. In sostanza, si prendeva in considerazione l’intero importo delle fatture ritenute false mentre l’imposta evasa era per forza una cifra minore. Il Tribunale aveva anche stigmatizzato l’inesistenza di una stima dei beni sottoposti a misura cautelare. Questo perché il sequestro deve coprire l’eventuale debito nei confronti dell’Erario da parte degli indagati e non deve essere eccedente senza motivo. Infine, la corte aveva precisato che l’annullamento era dovuto a carenze formali e non alla mancanza di un “fumus delicti”. Ancilotto ha fatto tesoro delle indicazioni, ha predisposto stime e valutazioni chiedendo la misura solo sui beni di Baita e non su quegli degli altri indagati. Gli investigatori ritengono comunque che l’importo complessivo di imposta potenzialmente evasa sia superiore.

 

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