Nuova Venezia – Inchiesta Mantovani. Fondi neri, arrestato il poliziotto-talpa
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
4
set
2013
È il vicequestore ed ex assessore di Bologna Preziosa: soldi in cambio di informazioni riservate. Fermato un imprenditore
VENEZIA – Informazioni riservate in cambio di soldi, molti soldi, in pochi mesi: solo tra maggio e ottobre 2012, 162 mila euro in contanti in più tranche, un motore Yamaha del valore di oltre 8 mila euro e persino la promessa di un contratto di consulenza per la Ing. Mantovani Spa, pagato ben 150 mila euro l’anno, per una pensione dorata.
Nell’inchiesta “Baita, frode fiscale e fondi neri alla Mantovani” finisce in manette anche un poliziotto di vertice: su ordine del gip Alberto Scaramuzza – che ha accolto le richieste dei pm Ancillotto e Buccini – ieri mattina i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria hanno, infatti, arrestato Giovanni Preziosa, vicequestore a Bologna, funzionario del commissariato Santa Viola, già assessore alla Sicurezza della giunta Guazzaloca, candidato alle Europee con An.
Corruzione, peculato, violazione di segreto d’ufficio, accesso abusivo aggravato al sistema informatico Sdi (riservato alle forze di polizia) le accuse mosse dalla Procura veneziana. Un clic ai terminali della Polizia e il vicequestore avrebbe fornito a richiesta (profumatamente pagata) informazioni riservate su questa o quella persona. A far da tramite, l’imprenditore padovano Mirco Voltazza, già arrestato perché utilizzato dall’ex presidente della Mantovani Pierluigi Baita come cartiera di false-fatturazioni, ma soprattutto come informatore, per la sua rete di relazioni personali. Per intendersi: quando nell’estate del 2012 l’allora direttore di Mantovani Nicolò Buson – braccio fidato di Baita, anch’egli finito agli arresti, fino a quando non ha collaborato alle indagini – ha sospettato di essere stato seguito dagli investigatori mentre con sé aveva una somma ingente di danaro per una (presume la Procura) mazzetta da pagare, ha preso la targa dell’auto che lo seguiva (in effetti, dei finanzieri) e ha chiesto a Voltazza di dirgli di chi fosse. Una telefonata a Preziosa, et voilà, il controllo è stato fatto: ma l’auto è risultata pulita, perché non era tra quelle in dotazione alla Finanza.
In carcere, ieri, è finito anche un imprenditore bolognese specializzato nel settore della sicurezza – Manuele Marazzi – che più volte ha lavorato per conto della Mantovani, per servizi (ipotizza l’accusa) anche in questo caso ampiamente sovraffatturati, ma soprattutto per fornire informazioni. Voltazzi e Marazzi chiedevano e Preziosa controllava. O faceva controllare «chiedendo ai propri collaboratori di interrogare, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione e al servizio». Come avvenuto nel caso delle informazioni richieste sulla figura di Ezio Manganaro, ex carabiniere e collaboratore della rivista online “Il Punto”, ai quali Baita e la Mantovani hanno versato oltre 2 milioni di euro: il direttore Cicero dice per acquisire la testata, secondo la Procura – al contrario – per ottenere informazioni proprio sulle indagini in corso, utilizzando i legami della testata con uomini dei servizi segreti. A portare – tra gli altri episodi – in carcere Preziosa e Marazzi anche la consegna dal primo al secondo e a Voltazza, anche di una paletta e lampeggiante della Polizia: secondo al Procura sarebbero stati utilizzati per un blitz intimidatorio negli uffici di Veneto Strade, per sbloccare un appalto giacente.
Roberta De Rossi e Carlo Mion
CHI SONO I DUE FINITI IN CARCERE
«Il lampeggiante per far colpo su Vernizzi»
VENEZIA – La premiata ditta Preziosa-Marazzi, veniva utilizzata dalla Mantovani, cioè dall’ex presidente Piergiorgio Baita, all’occorrenza per bonificare da cimici gli uffici, produrre fatture false per creare fondi neri, ma anche per dimostrare il potere, presunto o vero, della “cricca Baita” all’interno di tanti settori dello Stato.
Come ad esempio nell’episodio riportato dell’ordinanza di arresto di Preziosa e Marazzi, e che riguarda Veneto Strade e l’ad Silvano Vernizzi. Mirco Voltazza, altro coimputato già finito in carcere nella prima tornata di arresti, ha spiegato che su incarico di Baita, nel giugno dello scorso anno, si è recato con un suo collaboratore che fungeva da autista, a Veneto Strade per: «far intendere a Vernizzi di essere dei servizi e impressionarlo, utilizzando una paletta e un lampeggiante della polizia forniti da Preziosa».
Voltazza ha spiegato, si legge sempre nell’ordinanza, di aver detto a Vernizzi: «polizia e servizi ti proteggono, a condizione che la delibera Mantovani passi». La delibera in questione, spiega Voltazza, riguarda lo spostamento delle vasche della San Marco Petroli all’aerea Alumix di Marghera. Gli investigatori, intercettando e filmando i vari momenti dell’episodio, hanno dimostrato che l’incontro c’è stato. Addirittura Voltazza parlando con Marazzi al telefono dice: «…si sono accorti del lampeggiante e della paletta anche i dipendenti di Veneto Strade, tanto che hanno detto: cazzo sono venuti ad arrestare Vernizzi». «L’impresa Mantovani non ha mai sottoscritto contratti di appalto con Veneto Strade, di conseguenza la Mantovani non ha mai vinto nessuna gara. L’ad, Silvano Vernizzi non ha mai ricevuto minacce di indagini personali, né riguardanti la società Veneto Strade», ha precisato Veneto Strade. (c.m.)
L’ORDINANZA DEL GIP
Il funzionario e la cricca «Incassò 150 mila euro»
VENEZIA – Giovanni Preziosa, il vice questore della polizia di Bologna ed ex assessore arrestato, non era un semplice funzionario corrotto che per quattromila euro alla volta accedeva ai terminale delle forze dell’ordine per controllare persone o targhe di auto su richiesta della Mantovani. Era un personaggio inserito perfettamente nel meccanismo criminale ideato dalla “cricca Baita”. Il legame con Manuele Marazzi era forte, emerge dall’ordinanza che lo ha portato in carcere, tanto che una figlia di Preziosa era socia in una delle tante aziende create anche con stranieri da Marazzi per produrre fatture gonfiate intestate alla Mantovani e quindi consentire alla stessa società di creare “fondi neri” destinati a pagare tangenti. Soldi pagati da Mantovani, complessivamente la Guardia di Finanza ha ricostruito il passaggio di 2 milioni di euro, per servizi che al massimo valevano 350 mila euro. Denaro versato in Croazia e che poi rientrava in Italia per pagare Preziosa, in almeno due occasioni gli assegni sono stati cambiati al Casinò di Tessera.
Assegni da 45 mila euro. Somma consegnata al vicequestore in varie tranche e che i finanzieri hanno trovato, in parte, nella celletta di sicurezza che il poliziotto aveva in uso all’interno del commissariato di Bologna dove prestava servizio. Scrive il gip nell’ordinanza: «Preziosa non era un semplice funzionario corrotto. Ma era un vero e proprio imprenditore coinvolto nella gestione delle società del Marazzi e coinvolto con il Marazzi nel più generale meccanismo frodatorio del fisco attivato alla Mantovani. E allora comincia a manifestarsi che la vera ragione del versamento al Preziosa di ben 150mila euro, non è certamente solo riconducibile a qualche accesso al computer per girare qualche informazione riservata o al prestito di paletta della polizia».
Il gip annota che è proprio la collaborazione piu articolata del funzionario di polizia che spiega quei soldi versati al poliziotto grazie anche all’utilizzo delle società che lo vedono coinvolto con la figlia e Marazzi. Altre società della galassia Marazzi, imprenditore del mondo della security, sono state create coinvolgendo romeni e bengalesi. Tutte dovevano fornire servizi alla Mantovani gonfiando però le fatture. Ma Preziosa aveva anche altre ambizioni perché, a quanto pare, gli era stato garantito un posto da consulente per la sicurezza alla Mantovani. Un posto da 150mila euro all’anno e per il quale doveva garantire la presenza, al massimo, di un giorno alla settimana. L’ufficio stando a Marazzi era già pronto: «Un ufficio presidenziale, foderato di pelle umana». Le manette sono arrivate prima.(c.m.)