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VAJONT – Il presidente del Consiglio nazionale ritiene possibile la tesi riferita dalla figlia del notaio bellunese

Oggi al palasport di Longarone inedito dossier sulla tragedia: «Abbiamo fatto tesoro degli errori»

A livello di attendibilità, la versione di Francesca Chiarelli trova importanti conferme. La figlia del notaio, infatti, aveva raccontato come la frana che causò il disastro Vajont fosse stata in realtà pilotata. Ed esistesse un piano per farla cadere in un preciso momento: la sera del 9 ottobre 1963, mentre tutti erano al bar o davanti alla tivù a vedere la partita. Ebbene, i forti dubbi sulla credibilità della sconvolgente tesi sono stati indeboliti dal mondo dei geologi. E in particolare, dal presidente della Fondazione Centro studi del Cng (Consiglio nazionale geologi), Vittorio D’Oriano:

«Non mi meraviglierei se quanto raccontato dalla figlia del notaio Isidoro Chiarelli fosse vero. E lo dico da studioso di scienze geologiche. Per quale motivo? Per il semplice fatto che ho approfondito gli atti e i documenti relativi a questa vicenda, perché frequento Longarone e i luoghi del disastro fin da quando ero studente e soprattutto perché troppa gente, a quel tempo, ha chiuso gli occhi di fronte a certe evidenze».

Secondo D’Oriano, una frana può essere pilotata: «Sì, accelerare il movimento franoso è possibile. Se decido di minare il versante e poi farlo saltare, posso stabilire giorno e ora».

Il Consiglio nazionale dei geologi, per voce del presidente Gian Vito Graziano, si è assunto poi la sua parte di responsabilità sul disastro che ha provocato 1910 vittime. E lo ha fatto alla vigilia del convegno internazionale «Vajont 2013», che porterà a Longarone ben cinquecento iscritti da tutta Italia: «Questa due giorni di analisi e approfondimenti non è un atto di riparazione, ma un tributo alle popolazioni oppresse dalla tragedia. Siamo qui ora per affermare che noi geologi abbiamo sbagliato. Ma anche che abbiamo fatto tesoro degli errori commessi».

E per non lasciare nulla in sospeso, il Consiglio presenterà oggi, al palasport di Longarone (ore 12.15), un inedito dossier sul Vajont: «Che Iddio ce la mandi buona», a cura di Alvaro Valdinucci e Riccardo Massimiliano Menotti.

Anche il mondo delle istituzioni ha risposto presente alla chiamata della memoria. Come? Con la visita di una delegazione del Movimento 5 Stelle e con l’Anci, riunitasi nell’assemblea veneta insieme al presidente nazionale Piero Fassino. E proprio il sindaco di Torino non è stato tenero con chi occupa i banchi di Camera e Senato: «Siamo a un punto di non ritorno. Lo Stato deve aver chiaro il concetto che i Comuni non sono centri di spesa parassitaria, ma erogatori di servizi, visto che si occupano di scuole, asili, trasporti. Peccato però che non siano messi in condizione di svolgere i propri compiti di fronte ai cittadini. Abbiamo proposto un tavolo di negoziato tra Stato e Comuni, dove affronteremo il riconoscimento dell’autonomia, oltre ai rapporti finanziari (visto che la spesa delle amministrazioni comunali incide meno del 15% sulla spesa complessiva) e a una rivalutazione dell’assetto istituzionale. E poi il Patto di stabilità deve essere tolto ai Comuni con meno di 5mila abitanti e rimodulato».

 

IL 9 OTTOBRE SPEGNIAMO LA TV

Da settimane i media scrivono e narrano sul 50° anniversario della tragedia del Vajont (9 ottobre 1963 ore 22.39) e nei luoghi del disastro le cerimonie non si contano. Fu un evento catastrofico, con responsabili certi, dove però dopo anni e anni di sentenze le condanne furono lievi e risarcimenti ridicoli.

Oggi fa molto discutere la denuncia della figlia di un notaio, Isidoro Chiarelli scomparso qualche anno fa, che racconta di una conversazione tra i dirigenti della Sade avvenuta nello studio del padre: “Era tutto studiato. Quando lo denunciammo ci isolarono”. Dal racconto sembra che la frana fosse stata programmata dai dirigenti della Sade, per quella sera alle 22 precise, sicuri che non ci sarebbero state conseguenze particolari. Sappiamo come andò, purtroppo.

Tina Merlin, scrisse molti articoli prima e dopo questo tragico evento, che lei chiamava “Olocausto”. Non so per voi ma per me è il più giusto. Resta il fatto che quasi duemila persone e diversi paesi sono stati cancellati dallo spostamento d’aria “soffiata” dall’incuria umana e sepolti sotto tonnellate di pietre, terra e sassi. Per questo alle 22,39 di mercoledì prossimo ricordiamoli in silenzio, in preghiera e magari spegnendo per un minuto la tv.

Decimo Pilotto – Tombolo (Pd)

 

IN VERSI IL DOLORE PER I BIMBI MORTI

Sono una nonna e dopo una visita alla diga del Vajont per ricordare il tristissimo disastro, ho voluto scrivere una breve poesia. Tra pochi giorni sarà il 50° anniversario di quella strage; vorrei dedicare a tutti i morti, e specialmente ai 500 e più bambini, questo mio semplice componimento.

Sulla montagna aleggia un’aura scura:
sembran tornare il terrore e la paura
di quando il Toc sul lago è scivolato
e l’acqua tanti paesi ha cancellato.
Il Piave fu un immenso cimitero;
il mare accolse quelle acque di mistero,
ancor la diga è la, monito ai viventi,
di quanti occhi, ahimè, si son spenti.
Cinquecento e più furon i bambini
innocenti e teneri come agnellini
immolati ad un Dio goloso e avaro,
ma chi è quel Dio…? Il vile dio danaro!
Piangiamo i morti per l’ingiustizia avuta
per quella vita che non è stata vissuta.
A chi ha un cuore non resta che pregare,
e noi questa tragedia mai più dimenticare.

Fabiola Guzzo – Ponte della Priula (Tv)

 

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