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Il presidente del Senato ha sottolineato i troppi errori delle istituzione dell’epoca: «Una giustizia incompiuta»

LONGARONE – Il Vajont? Per il presidente del Senato, Pietro Grasso, non ci sono dubbi: «È stata una strage». Per colpa dell’uomo, non della natura, come ha scritto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio al popolo del Vajont. Sono quindi dovute le scuse dello Stato. Ieri le ha presentate «con umiltà» anche Grasso, sabato lo farà il premier Enrico Letta.

Ma di perdono, da parte dei sopravvissuti, si potrà parlare, lo ha ribadito il sindaco Roberto Padrin, solo quando cesserà l’aggressione al territorio. A differenza che nel passato, il 50° non è stato solo memoria. Neppure al cimitero monumentale di Fortogna, dove la giornata è iniziata con l’omaggio alle vittime di Grasso, alzatosi alle 5 a Roma per essere presente nel Vajont, di Zaia e dei sindaci. E poi al palasport di Longarone, affollato da tutto quel popolo del Vajont a cui Padrin, Zaia, il vescovo Giuseppe Andrich e Grasso hanno assicurato il massimo impegno per evitare altri Vajont. Non prima di un omaggio alle vittime accomunate a quelle di Lampedusa, con un minuto di silenzio. Infatti, ha riconosciuto lo stesso Napolitano, «quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità».

«In un primo momento si è parlato di “tragica fatalità”, di “calamità naturale”: ma tutto quello che è successo qui, in questi luoghi, la sera del 9 ottobre di cinquanta anni fa, era indubbiamente prevedibile», ha ammesso il presidente Grasso. «La montagna aveva mandato segnali, gli esperti avevano fatto le loro indagini e dato avvisi, lanciato allarmi circa il rischio di un evento fatale. Eppure l’avidità, l’incuria, l’irresponsabilità, la sordità alle proteste di chi da anni denunciava i pericoli – prima fra tutte una donna tenace e coraggiosa come Tina Merlin, che per le sue inchieste sulla diga venne denunciata per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” – ebbero la meglio».

«Non si possono sottacere le pesanti responsabilità umane che hanno determinato la catastrofe. Né, da uomo dello Stato, posso ignorare le manchevolezze delle Istituzioni dell’epoca, che non hanno permesso di intervenire e prevenire, come era doveroso».

Da qui le scuse. E il presidente di Palazzo Madama ha ammesso che «la giustizia, in questa valle, non ha trovato piena cittadinanza. Molti sono i punti da chiarire, molte le responsabilità non emerse, tante le domande che cercano risposta. E finché non arriveremo ad una verità, finché non si sarà fatta piena luce su ogni aspetto di questa tragedia, non potremo trovare pace».

Richiamando l’insegnamento del disastro «per colpa, forse per dolo», come ha sottolineato il sindaco, Grasso ha aggiunto che «ricordare quanto accaduto significa essere consapevoli che nessun interesse, nessuna convenienza, nessuna scorciatoia può concedersi di incidere sulla pelle viva di una popolazione: non permetteremo che tutto ciò possa accadere di nuovo».

Francesco Dal Mas

 

Il messaggio del presidente della Repubblica Napolitano

Ecco il messaggio del Capo dello Stato Giorgio Napolitano letto dal sindaco Padrin. «La memoria del disastro che il 9 ottobre 1963 sconvolse l‘area del Vajont suscita sempre una profonda emozione per l’immane tragedia che segnò le popolazioni con inconsolabili lutti e dure sofferenze. Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a 50 anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità. È con questo spirito che il Parlamento italiano ha scelto la data del 9 ottobre quale «giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo», riaffermando così che è dovere fondamentale delle istituzioni operare, con l’attivo coinvolgimento della comunità scientifica e degli operatori privati, per la tutela, la cura e la valorizzazione del territorio, cui va affiancata una costante e puntuale azione di vigilanza e di controllo. Nella ricorrenza del 50° anniversario, desidero rendere omaggio alla memoria di quanti hanno perso la vita, alla tenacia di coloro che ne hanno mantenuto fermo il ricordo e che si sono impegnati nella ricostruzione delle comunità così terribilmente ferite e rinnovare, a nome dell’intera Nazione, sentimenti di partecipe vicinanza a chi ancora soffre. Desidero esprimere profonda riconoscenza a quanti, in condizioni di grave rischio personale, si sono prodigati, con abnegazione, nell’assicurare tempestivi soccorsi ed assistenza, esempio per coloro che, nelle circostanze più dolorose, rappresentano tuttora un’insostituibile risorsa di solidarietà per il Paese».

 

IL GOVERNATORE LUCA ZAIA

«Una tragedia annunciata»

LONGARONE «Incuria? Macché. «Questa tragedia è stata liquidata nei giorni successivi come una tragica fatalità. E’ una dichiarazione vergognosa, questa è la storia di una tragedia annunciata» sottolinea il governatore Luca Zaia, sulla soglia del cimitero monumentale di Fortogna. Le massime autorità dello Stato e del Governo usano ancora il termine incuria. «È sbagliato” ribadisce Zaia. L’onorevole Roger De Menech, che si trova lì vicino, interviene: «Sì, è profondamente sbagliato ed ho chiesto che sia tolta anche dalle motivazioni della Giornata del 9 ottobre che ricorda i grandi disastri». Tragedia annunciata, presidente? «Alla popolazione, per la verità, questa tragedia non fu mai annunciata. Ma i luminari della scienza, le società energetiche e le stesse istituzioni sapevano che la catastrofe si sarebbe verificata. Ringrazio il presidente Grasso della sensibilità di presentare quelle scuse che lo Stato non ha mai fatto alla nostra comunità». Il presidente Napolitano ha scritto di errori dell’uomo. Da dove iniziano? «Basterebbe ricordare le parole di Tina Merlin che diceva che questa non è una valle da riempire come un catino. Senza scomodare premi nobel o grandi intellettuali, i vecchi del posto sapevano che la montagna veniva giù. In quell’occasione si è sbagliato per interessi politici, per interessi economici, a realizzare quella che è stata l’ origine della tragedia».

La Tav rischia di risolversi in un altro Vajont? «Non entro in questa discussione anche perché non conoscono le caratteristiche fondanti e tecniche della Tav. Dico semplicemente che il Vajont sancisce una cosa importante e cioè che non si può decidere della vita dei cittadini senza coinvolgere i cittadini. Anche il tema del coinvolgimento della popolazione nelle opere, ripeto non mi riferisco alla Tav ma in generale, potrebbe essere mutuato dal sistema francese che è quello di coinvolgimenti molto più profondi nella fase iniziale per poi dar via a queste opere. Si tratta di una specie di contrattazione. Se da un lato è vero che i comitati strumentalizzano negativamente, dall’altro è vero che in alcuni casi come questo, si sono dimostrati terribilmente informati e poi hanno preannunciato questa tragedia». Lei, presidente Zaia, di fronte al popolo del Vajont, ha ribadito la sua ferma convinzione che bisogna farla finita con ulteriori colate di asfalto per dirottare le poche risorse a disposizione verso le opere di messa in sicurezza del territorio. «Il futuro in questo Paese non è quello di investire in asfalto ma in tutela del dissesto idrogeologico. Abbiamo un miliardo di danni all’anno da dissesto e 2 miliardi e mezzo per terremoti. Il 14% della popolazione vive ancora in aree a rischio. Le grandi opere sono le grandi infrastrutture a tutela del dissesto idrogeologico. È quello che stiamo facendo in Veneto ed ancora non si ha il coraggio di fare un programma nazionale, quasi un piano Marshall, delle grandi opere a tutela della vita dei territori e soprattutto del rispetto dell’ambiente». Di rischio idrogeologico ha parlato ieri anche la presidente del Friuli, Debora Serracchiani: «Occorre perciò ritrovare un nuovo modo di convivenza con la natura. Qui siamo di fronte a una responsabilità dell’uomo. La natura fa la sua parte, ma è l’uomo che ha sbagliato».

 

«Aspettiamo il Capo dello Stato entro l’anno»

A lanciare l’appello a nome dei sopravvissuti è Renato Migotti, presidente dell’Associazione Vajont

LONGARONE «Le parole del presidente Grasso? Le abbiamo apprezzate, e ne siamo soddisfatti, ma aspettiamo una visita del Capo dello Stato entro la fine dell’anno». Il presidente dell’Associazione “Vajont, il futuro della Memoria” Renato Migotti era presente alla commemorazione e al discorso del Presidente Grasso: «È la seconda carica dello Stato, è importante che da una posizione tanto alta arrivino le scuse per quanto successo. Ma è fondamentale che queste scuse siano sentite, non dovute». Oggi, dopo 50 anni, cosa può fare lo Stato per Longarone? «Alla base di tutto ci deve essere l’impegno a far diventare la nostra memoria una vera pagina della storia studiata nelle scuole, perché il Vajont diventi un monito concreto anche per le nuove generazioni. E poi dovrebbe prendersi carico delle spese di gestione del Cimitero monumentale delle Vittime, che è già monumento nazionale, e togliere la parola “incuria” dalla legge sulla giornata nazionale del 9 ottobre». Anche il consigliere regionale Dario Bond concorda sulla necessità che lo Stato si prenda in carico le spese di gestione del Cimitero, e aggiunge: «Abbiamo già proposto alla Regione di fornire a tutte le scuole medie del Veneto il film di Martinelli e la registrazione del monologo di Paolini. Dobbiamo farlo, se vogliamo tenere viva la Memoria dei Disastro, se vogliamo che le nuove generazioni crescano con questa lezione di educazione civica ben impressa nell’animo. E in merito alle parole di Grasso, mi sono sembrate dettate dal cuore. Ho particolarmente apprezzato i passaggi sulla vicenda della Madonna di Longarone, e sulla situazione occupazionale della Provincia. O si è ben informato per questa visita, oppure il presidente ha una grande sensibilità». L’ex sindaco di Longarone Pierluigi De Cesero torna sul valore della lezione del Vajont: «Questo 50° anniversario è uno spartiacque: dobbiamo consegnare il Vajont alla Storia nazionale, perché diventi un insegnamento vero. Abbiamo tutti gli strumenti per farlo, a cominciare dalla Fondazione Vajont e dall’archivio diffuso: possono essere i motori di ricerche sempre più accurate e precise per ogni chiave di lettura». Il giudice istruttore del processo Vajont Mario Fabbri (al termine della commemorazione ha potuto scambiare un paio di battute con il presidente Grasso, da ex colleghi) punta invece l’attenzione del suo discorso su altre questioni: «Cosa può fare lo Stato per queste zone?», ha commentato alla fine della cerimonia: «Dovrebbe promuovere un programma concreto per sostenere le necessità di queste comunità: con la legge speciale del Vajont sono nati poli industriali in tutta la Provincia. Ora soffrono la crisi, e lo svantaggio di trovarsi in una zona periferica».

 

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