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Gazzettino – “Mafia, i manager Fip sapevano”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

11

ott

2013

IL CASO – Dalle intercettazioni emergerebbero le responsabilità dei dirigenti dell’azienda di Selvazzano

Nelle telefonate si parla di assunzioni pilotate e di Rolex da 6mila euro regalati

Il gip di Catania: «Scaramuzza e Soffiato consci di apportare contributi al clan La Rocca»

«Mauro Scaramuzza e Achille Soffiato seppur incensurati hanno agito con la consapevolezza di apportare un contributo al clan mafioso La Rocca di Caltagirone, permettendogli di acquisire la gestione delle attività economiche e il controllo degli appalti pubblici».

Così il gip di Catania, Anna Maggiore, definisce il ruolo svolto dall’amministratore delegato Fip di Selvazzano e dal responsabile del cantiere nell’ambito dell’appalto per la “Variante di Caltagirone” che l’altro giorno ha portato in carcere oltre a loro anche altre quattro persone. Un’inchiesta clamorosa che ha fatto emergere legami tra l’azienda che ha realizzato le cerniere del Mose e il clan mafioso. Con la loro attività, quindi, i due veneti, residenti a Mestre e a Padova, avrebbero dato la possibilità ai La Rocca “di realizzare profitti ingiusti mediante la percezione di finanziamenti pubblici che altrimenti non avrebbero ottenuto”. È anche da questi elementi che è scattata la decisione del gip di optare per la custodia cautelare in carcere. Dall’ordinanza, poi emergono anche altri particolari che secondo la Procura confermano un quadro abbastanza nitido. Una parte consistente del quadro accusatorio, come spesso accade in queste circostanze, arriva dalle intercettazioni telefoniche. In un contatto tra Scaramuzza e la padovana Daniela Vedovato (responsabile dei contratti e anche lei indagata), l’amministratore delegato racconta di una persona che prima ha chiesto l’assunzione di un suo parente e ora l’orologio.

«L’orologio se lo scorda – dice Scaramuzza – perchè suo cugino ormai lo abbiamo assunto». E in un’altra conversazione Scaramuzza parla di un orologio Rolex di circa 6000 euro «che doveva regalare evidentemente per ricambiare un favore. Il destinatario era colui che gli aveva chiesto a settembre l’assunzione del cugino». Poi ci sono le telefonate di Soffiato.

«È emerso – si legge nell’ordinanza – che Gioacchino Francesco La Rocca agiva affinchè i lavori venissero dati in subappalto alle ditte To Revive e Edilbeta (controllate dal clan) con contratti di subappalto artificiosamente frazionati in modo da eludere la normativa antimafia». Stando a quanto è emerso a Catania, sarebbero stati abbastanza chiari i rapporti tra Soffiato e Gioacchino la Rocca.

«La Rocca – si legge – chiede a Soffiato informazioni sui documenti della società con riferimento al contratto di subappalto “per quanto riguarda i nostri documenti tutto a posto? Stanno andando avanti?” A queste domande Soffiato risponde che “sono già andati, è tutto all’Anas, adesso aspettiamo il ritorno dalla Prefettura”.

Poi, logicamente, ci sono i rapporti tra gli stessi protagonisti veneti. «Soffiato che è il responsabile del cantiere tiene costantemente informato Scaramuzza, amministratore Fip che a sua volta dimostra nelle conversazioni, in particolare con la co-indagata Vedovato, di essere un protagonista assolutamente consapevole dello stratagemma».

A livello più generale emerge poi che uno degli indagati aveva «acquistato in leasing nel luglio del 2011 quattro autovetture intestate alla ditta L&C, due della quali erano state messe a disposizione del responsabile dell’Anas e del direttore dei lavori del cantiere, soggetti a cui spettano i controlli sull’operato delle ditte impegnate sull’appalto».

Oggi gli arrestati saranno interrogati dal gip. «La Fip ha fatto di tutto per avere trasparenza – attacca l’avvocato Rampinelli che difende Scaramuzza – chiedendo anche un protocollo più rigoroso alla Prefettura. Sulla prima ditta di subappalto ci era stato detto che non c’erano problemi, sulla seconda appena saputo delle difficoltà l’abbiamo allontanata dal cantiere. E questa ci ha anche fatto causa».

Gianpaolo Bonzio

 

L’INCHIESTA – Sono cinque le persone arrestate nell’operazione siciliana

Sono cinque le persone arrestate nell’ambito dell’operazione dei Carabinieri di Caltagirone tra i quali il veneziano Mauro Scaramuzza. L’accusa dei cinque è a vario titolo per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni per eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniali, concorso esterno nell’associazione mafiosa e altro. Nel mirino la costruzione di una strada per 112 milioni di euro da parte di un’associazione temporanea di imprese tra cui la Fip industriale di Padova amministrata da Scaramuzza.

 

Il Consorzio: «Siamo noi la parte lesa»

E decide di azzerare il Cda di Thetis, dove sedevano Mazzacurati, Baita e Claudia Minutillo

Ora il Consorzio Venezia Nuova ha deciso di dire basta. E di partire al contrattacco ritenendo di essere estraneo ai fatti contestati negli scorsi mesi in sede penale.

«In relazione alle recenti notizie di stampa – sottolinea in una nota l’ente presieduto da Mauro Fabris – il Consorzio rileva il continuo tentativo di strumentalizzazione nei confronti del proprio operato e respinge con fermezza ogni accostamento indebito tra la realizzazione del Mose e le attività diverse e estranee delle 50 società che sono nel Consorzio e della moltitudine che fanno parte del proprio indotto».

Il riferimento è all’ultima vicenda, quella della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (come riferiamo qui sopra). E quindi il Consorzio Venezia Nuova, già finito nella tempesta giudiziaria per il caso Baita-Mazzacurati, ha deciso di presentare ieri alla Procura della Repubblica di Venezia, un “atto di intervento”. «Si è deliberato – aggiunge il Consorzio – di volersi costituire come parte offesa nei procedimenti penali che vedano il nostro ente quale possibile soggetto danneggiato ribadendo così la totale estraneità ai fatti e alle persone oggetto di indagini». Ma non c’è solo questo. Al di là dell’azione di tutela, il Consorzio ha deciso anche l’«azzeramento» del consiglio di amministrazione di un altro consorzio, il Thetis, con sede all’Arsenale, già coinvolto parzialmente con la raffica di arresti legati al caso Baita. A farne le spese il vecchio cda e l’amministratore delegato, Maria Teresa Brotto. Oggi, dopo l’assemblea di alcuni giorni fa che ha designato alla presidenza, l’imprenditore Duccio Astaldi, verrà scelto il nuovo Ad, probabilmente Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova.
Infine non si placano le polemiche sugli arresti dei giorni scorsi, ieri il consigliere comunale ambientalista Beppe Caccia ha polemizzato con il ruolo dei cosiddetti “collaudatori” del Mose sulla base di un’interrogazione presentata in consiglio comunale a Venezia nella quale metteva in dubbio l’«imparzialità di giudizio» di alti funzionari dell’Amministrazione centrale dello Stato, scelti dal Magistrato alle Acque per esprimere un parere sui lavori del Mose.

 

La difesa del tecnico mestrino arrestato «La Fip era in regola con l’antimafia»

IL RITRATTO – Scaramuzza l’ingegnere dei grandi appalti

Mauro Scaramuzza è poco noto a Mestre e persino ai suoi vicini di casa, ma nei grandi appalti è quasi sempre presente.

PARTE OFFESA – Dopo le mille polemiche che hanno accompagnato il suo nome alle recenti inchieste della Procura veneziana su Mose e Mantovani, il nuovo direttivo del Consorzio Venezia Nuova è passato al contrattacco e ha deciso di costituirsi parte offesa. «Ora basta, troppe strumentalizzazioni. Siamo noi il soggetto danneggiato».

LA CONTROLLATA – Il Consorzio ha fatto saltare l’intero cda della società controllata Thetis e anche l’amministratore delegato Maria Teresa Brotto. Il nuovo presidente è Duccio Astaldi e tra i consiglieri figurano molti nomi già presenti ai vertici del Consorzio.

LE POLEMICHE – Orsoni: «Negato al Comune l’accesso agli atti»

«Al Magistrato alle acque avevo chiesto informazioni sulle cerniere – dice il sindaco Giorgio Orsoni – ma non mi hanno mai risposto».

VENEZIA – Terremoto nella controllata Thetis: cambia tutto il cda, Duccio Astaldi nuovo presidente

Mose e inchieste, offensiva del Consorzio

Venezia Nuova si costituisce parte offesa: «Basta strumentalizzazioni, i danneggiati siamo noi»

LA PROCURA – Il Pm veneziano Stefano Ancilotto chiederà di avere gli atti dell’inchiesta

LA STORIA – Un veneziano e un padovano arrestati dai carabinieri di Catania

INTERROGATORI – Scaramuzza e Soffiato oggi compariranno davanti al giudice

L’INCHIESTA SICILIANA – Subappalti pilotati a favore di aziende legate a Cosa Nostra

L’Inchiesta della Procura della Repubblica di Catania mira a far luce sulle infiltrazioni mafiose in particolare nei confronti dei lavori alla Variante di Caltagirone che doveva ammodernare la viabilità della zona. Per questo gli arrestati veneti devono rispondere dell’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare alcuni contratti, secondo la tesi accusatoria, sarebbero stati frazionati per evitare controlli. Ma gli avvocati contestano duramente questa impostazione ed hanno già fatto sapere che su questo terreno ci sarà battaglia.

 

LA TESTIMONIANZA – Il sacerdote: «Il cantiere siciliano era sempre sorvegliato dai carabinieri»

C’era sempre un presidio dei carabinieri fuori dal cantiere “Variante di Caltagirone”, una nuova strada in fase di costruzione in provincia di Catania. Le forze dell’ordine dovevano controllare che i lavori si svolgessero regolarmente. Achille Soffiato – 39 anni, ingegnere di Albignasego – era il responsabile del medesimo cantiere. È stato arrestato mercoledì per concorso esterno all’associazione mafiosa. Un fulmine e ciel sereno per la comunità di Albignasego. Soffiato è considerato «una persona eccezionale»; si sempre dato da fare in parrocchia: a Sant’Agostino e, dopo il matrimonio, ai Ferri. Ora la sua famiglia è stretta nel massimo riserbo. «Non abbiamo nulla da dire», il commento dei parenti. In questo momento l’unico pensiero è poter riabbracciare presto il loro caro. Don Alessandro Martello, parroco dei Ferri, conosce bene Soffiato. È convinto che sia stato incastrato da un sistema più grande di lui: «Domenica scorsa abbiamo cenato insieme in occasione dell’incontro coppie. L’ho visto tranquillo. Mi ha confidato che non vedeva l’ora di ritornare a lavorare vicino casa. Qui siamo tutti certi che Achille non centra nulla. Probabilmente è stato coinvolto in un sistema di cui non era nemmeno a conoscenza. C’erano sempre le forze dell’ordine all’esterno del cantiere: impossibile che abbia commesso qualche illegalità». Soffiato sarebbe dovuto rientrare definitivamente a casa nel giro di qualche settimana. Il sindaco di Albignasego, nonché assessore provinciale al lavoro, Massimiliano Barison non conosce di persona Soffiato. «Non voglio entrare nel merito della vicenda – commenta – Non so come funzionino gli appalti in Sicilia. Posso parlare solo del nostro Comune. Qui esiste un ufficio gare e appalti che ha il compito di gestire dall’inizio alla fine tutti i bandi».

Francesco Cavallaro

 

«Noi, in regola con l’antimafia»

Il difensore del tecnico mestrino della Fip: «Inchiesta fantascientifica, avevano fatto tutte le verifiche del caso»

«Abbiamo fatto di tutto per evitare di avere problemi con la malavita. Davvero, tutto il possibile. Ed ora il mio assistito si trova in carcere come i mafiosi».

Alessandro Rampinelli, l’avvocato difensore di Mauro Scaramuzza, ribatte con forza, punto su punto, alle accuse della Procura della Repubblica di Catania. E definisce “fantascientifiche” le impostazioni che ha avuto l’inchiesta (di cui scriviamo nel fascicolo nazionale a pagina 8). Oggi, nel corso dell’interrogatorio in carcere, Scaramuzza negherà addebito e illustrerà la propria versione dei fatti.

«Era stata costituita questa associazione temporanea di imprese – attacca Rampinelli da Catania – e due ditte avevano avuto il subappalto. La Fip inizia a far lavorare le aziende dopo aver comunicato all’Anas l’avvio dei lavori. Insieme all’Anas si chiede un protocollo ancora più impegnativo alla Prefettura di Catania, un protocollo così stringente che non è ancora attuato a livello provinciale. Un testo, in pratica, che mira ad avere verifiche davvero serie sulle aziende».

E qui arriva la svolta. «Della prima imprese finita nel mirino, la Edilbeta, non ci viene segnalato alcun problema, mentre solo nell’ottobre del 2012, quando l’attività era iniziata ormai da un anno, ci viene detto che ci sono problemi con la To Revive. A questo punto la Fip allontana questa azienda dal cantiere e questa si rivolge al Tribunale per fare chiarezza».

Secondo l’avvocato, dunque, nessun addebito può essere mosso all’azienda di Selvazzano che in tutti questi mesi ha incalzato le autorità del luogo per avere chiarimenti. Ed ora si trova bloccata in una vicenza delicata.

«Per tutti questi motivi – aggiunge Rampinelli – il mio assistito ha davvero intenzione di dire tutto quello che sa al giudice. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare e per questo replicheremo ad ogni accusa di questa vicenda». Sempre questa mattina, in carcere a Catania, sarà interrogato anche Achille Soffiato che è difeso dall’avvocato Augenti del foro di Padova.

Intanto l’effetto dell’inchiesta siciliana è arrivato anche in Procura a Venezia. Il pubblico ministero Stefano Ancilotto è infatti intenzionato a chiedere, in tempi abbastanza brevi, tutta la documentazione sul caso della Variante di Caltagirone. È probabile che il magistrato, da tempo impegnato sul fronte Mantovani, voglia far luce su alcuni aspetti della vicenda.


L’IMPRENDITORE – Parla Romeo Chiarotto, 84enne patròn della Fip

«Mai frazionato lavori per i clan»

«Non è vero che davamo subappalti inferiori a 154 mila euro per eludere i certificati antimafia. Anzi le autorizzazioni e i certificati antimafia ce li abbiamo in mano. Voglio dire che abbiamo documenti che attestano come fosse tutto regolare». Romeo Chiarotto ha visto nascere la Fip di Selvazzano («l’ho fondata io negli anni ’60») ed è uno dei suoi orgogli di imprenditore. Un’azienda metalmeccanica che ha realizzato fra l’altro le cerniere che legano le paratoie del Mose e che oggi ha 430 addetti «di cui 60 laureati e 40 ingegneri».

Chiarotto ha 84 anni e non ci sta a far credere che al sud il ramo edile della sua società fosse colluso con la mafia. Secondo l’accusa infatti attraverso il direttore del cantiere e l’amministratore della Fip edilizia, sarebbero stati affidati in subappalto lavori a società che erano controllate dalla famiglia “La Rocca”. Sui cento milioni e oltre dell’appalto per gli 8,7 chilometri della statale 683 chiamata “variante di Caltagirone”, 36 sarebbero stati subappaltati. Un milione alla ditta “To revive” e qualche centinaia di migliaia di euro alla “Edilbeta costruzioni” gestita dal figlio del boss.

«Prima di tutto quello della To Revive non è un subappalto ma un contratto con un fornitore da 1 milione e 40mila euro» continua Chiarotto. «E poi come ho già detto, la Edilbeta aveva il certificato antimafia, mentre quello della To Revive l’abbiamo chiesto alla Prefettura di Catania e ci hanno risposto dopo 14 mesi. La legge però applica il silenzio-assenso se la Prefettura non risponde entro 75 giorni e noi siamo partiti affidando i lavori. Quando la Prefettura ci ha informato che la la To Revive non era a posto li abbiamo messi alla porta e non pagati, tanto che ci hanno fatto causa».

«Insomma – conclude – non abbiamo mai fatto appalti irregolari. Anzi ai carabinieri di Caltagirone segnaliamo ogni giorno chi lavora in cantiere e il curriculum dei fornitori. Abbiamo firmato del resto un Protocollo per la legalità con la Prefettura». Dunque cosa può essere successo? «Domani (oggi per chi legge) quando torneranno i nostri avvocati faremo un comunicato».

Mauro Giacon

 

Dal sisma dell’Aquila all’Expo. L’ingegnere dei grandi appalti

MAURO SCARAMUZZA – L’amministratore della Fip passa il suo tempo nei cantieri dell’azienda, nella sua casa in via Terraglietto si vede poco

Una villetta nascosta nel verde di via Terraglietto, protetta da telecamere e da un cancello che si apre con dei comandi a distanza. Mauro Scaramuzza da due giorni non torna più la sera nella sua residenza mestrina. Una villetta al civico 17/B, immersa nel verde della zona Terraglio. Ci si arriva imboccando via Terraglietto prima del cavalcavia della Favorita. Una strada stretta, con tante curve a gomito conosciuta perché conduce ad un centro sportivo dove si gioca a tennis e calcetto. Ad un certo punto un cancello in ferro di colore grigio chiaro e tre campanelli. Al 17/B il nome di Mauro Scaramuzza e del figlio Nicola, oltre a quello di una ditta e di una donna. «Non abbiamo nulla da dire e da dichiarare. Scusateci. Buongiorno», risponde una voce femminile. Un risposta secca, un no comment gentile. È chiusa dunque nel silenzio la famiglia dell’ingegnere mestrino, amministratore delegato della Fip di Selvazzano (Padova), finito in carcere su disposizione della Dda della procura di Catania con accuse gravissime.

I vicini conoscono poco Mauro Scaramuzza, ingegnere di 55 anni, perché il suo tempo lo passa soprattutto nei cantieri sparsi per l’Italia che la Fip ha aperti. D’altronde, non ci sono state occasioni perché il suo nome fosse di dominio pubblico. La prima volta che i media hanno parlato di lui è stato solo nel gennaio 2011, quando la Fip finì nel mirino della magistratura nell’ambito dell’inchiesta sulla realizzazione di 4mila 500 appartamenti del progetto C.a.s.e. per dare un tetto alle famiglie sfollate dal terremoto de l’Aquila. Un progetto finito poi tra mille polemiche per le promesse non mantenute dall’allora Governo Berlusconi. Secondo gli investigatori, la Fip avrebbe fornito una partita di 2mila 200 ammortizzatori sismici a pendolo privi di omologazione. Poi però la posizione di Scaramuzza e quella della presidente della Fip Donatella Chiarotto è stata archiviata. Il contratto con la Protezione Civile, che allora gestiva il business della ricostruzione, superava i tre milioni di euro.

Il nome di Scaramuzza è comparso poi nell’ambito di numerosi cantieri importanti, tra cui quello per il rifacimento di un ponte sul Po in provincia di Piacenza e di un altro ponte questa volta nell’ambito dei lavori dell’Expo 2015 di Milano. Più di recente, Scaramuzza è stato sentito come teste dalle Fiamme Gialle nell’ambito dell’inchiesta del Pm veneziano Stefano Ancilotto sugli appalti dell’autostrada Venezia-Padova. Una persona riservata, quindi, naturale che Scaramuzza fosse conosciuto dai vicini solamente di vista.

Come la signora Chinellato che abita poco distante dal civico 17. «Io vivo qui da un sacco di tempo ma quelli che abitano dietro quel cancello li conosco poco – spiega – Sono tre villette costruite di recente. Gente riservata, con macchine di grossa cilindrata. Qualche “buongiorno” e “buonasera”. Uno fa il dentista. Il signor Scaramuzza? Sì, forse, mi pare di aver capito chi è. Lo vedo qualche volta, molto riservato. Forse qualche saluto ma nulla di più». La signora non sa nulla de suo arresto.

«A me pare una brava persona poi, per gli affari non so cosa si può arrivare a fare».
Un uomo d’affari, Scaramuzza, che poco lasciava alle pubbliche relazioni con il vicinato. Dal civico 17/B di via Terraglietto esce un’auto di grossa cilindrata. Non si ferma neppure ad un cenno. Le telecamere del cancello comandato a distanza si richiudono e assieme a lui anche la famiglia.

(ha collaborato  Raffaele Rosa)

 

I COLLAUDATORI «Tecnici ministeriali. L’elenco è segreto»

LA COMUNICAZIONE ALLA PROCURA «Dobbiamo tutelare le nostre imprese dal rischio di strumentalizzazioni»

IL MAGISTRATO ALLE ACQUE – Tre gestioni dell’ente di controllo: «La Fip è solo un’esecutrice»

«Le ditte? Le ha sempre scelte Venezia Nuova»

«Che cosa c’entrano i risvolti giudiziari odierni della Fip con il Magistrato alle Acque e con le cerniere del Mose?». L’ex magistrato alle Acque Ciriaco d’Alessio, in pensione dal 30 aprile scorso, è estremamente diplomatico quanto ricorda la vicenda che scatenò la bufera in Comitatone all’epoca della scelta della tecnologia delle cerniere del Mose.

«La Fip non era tra i progettisti dell’opera, ma semplicemente una ditta esecutrice, una consorziata, sia pure controllata dalla Mantovani. E il fatto che non ci sia stato un appalto ma l’affidamento diretto da parte del Consorzio Venezia nuova è frutto della legge sul concessionario unico. È vero che ci furono delle discussioni e delle varianti in corso d’opera, ma è anche vero che le dimensioni delle cerniere sono state sostanzialmente modificate e sono circa il doppio di quelle previste nel progetto originario».

D’Alessio dribbla anche l’ipotesi di collaudatori dell’opera in conflitto d’interessi: «Vengono scelte persone con competenze specifiche che possano collaudare l’opera per step. Ma la normativa è talmente vincolante da non lasciare margine di intervento e se ci fossero state delle irregolarità a Venezia si sarebbe saputo subito».

E mentre il predecessore – anch’egli pensionato – Patrizio Cuccioletta non è rintracciabile, il Magistrato alle Acque fino al 2008 Maria Giovanna Piva con la consueta gentilezza si schermisce e preferisce non ricordare quel periodo della sua vita in cui era a capo di Palazzo X Savi e durante i quali si era opposta a tecnologie diverse da quelle previste dal progetto esecutivo. Piva aveva invitato tecnici esperti a partecipare al Comitatone perchè riteneva che in un organismo in cui si deliberava l’assegnazione di un ammontare così imponente di fondi si dovessero avere quanto meno delle competenze specifiche sui materiali utilizzati, sulle dinamiche strutturali, sugli impianti che sarebbero entrati in funzione. Ma della commissione dei collaudatori non c’è traccia neanche in rete. Nonostante la normativa sulla trasparenza amministrativa. «Sono centinaia i collaudatori – spiega l’ingegner Fabio Riva, responsabile dell’ufficio Salvaguardia del Magistrato alle Acque, attualmente retto ad interim dall’ing. Roberto Daniele – c’è un ufficio apposito che si occupa di questo. Ma credo si tratti di atti ministeriali non divulgabili»

Raffaella Vittadello

 

Domani la prova di innalzamento della paratoia

LA RIVOLUZIONE – Cda ridotto da 7 a 5, entrano amministratori legati al Consorzio

Incarico revocato all’ad Brotto. Oggi la ratifica del nuovo presidente Duccio Astaldi

PRESA DI DISTANZE – Presentato anche un “atto di intervento” come soggetto danneggiato e per rimarcare l’estraneità dalle inchieste

Domani alle 14.30 è prevista la prima movimentazione ufficiale delle paratoie alla bocca di porto del Lido, alla presenza del Ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi, il presidente della Regione Luca Zaia, il sindaco Giorgio Orsoni e tutti i rappresentanti delle istituzioni che operano in seno al Comitatone. La delegazione si muoverà alla 10 dalla Marittima.
La prima delle 21 paratoie era stata posizionata solo nel giugno scorso e sistemata in posizione “di riposo” in fondo al mare. Le prove di movimentazione prevedono che vengano alzati questi dispositivi come nel caso di previsione di acqua alta, in modo da mitigare l’effetto dell’allagamento della marea in città.

 

INTERROGAZIONE – Documento presentato al Senato

De Poli (Udc) al Viminale: «Combattere la mafia a Nordest»

Un’interrogazione al ministro dell’Interno, Angelino Alfano per conoscere che tipo di provvedimenti intenderà mettere in atto per rafforzare i controlli nei confronti delle ditte aggiudicatrici delle opere pubbliche e per difendere il tessuto imprenditoriale del Nordest dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. É questo il senso di un intervento del senatore Udc, Antonio De Poli nei confronti del Viminale.

«Dopo la notizia dell’arresto dell’amministratore delegato della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Pd) – sottolinea De Poli – e di altri professionisti e i conseguenti ordini restrittivi eseguiti nell’ambito di un’inchiesta su un appalto pubblico da 140 milioni di euro per la variante Caltagirone, chiedo di conoscere quali provvedimenti si intendano adottare per combattere la criminalità».

Nella sua interrogazione, De Poli ricorda come le indagini dei Carabinieri abbiano permesso di accertare come i protagonisti della vicenda avrebbero ingiustificatamente e senza alcuna documentazione affidato lavori importanti in subappalto a ditte direttamente controllate del clan, con contratti frazionati in modo da eludere la normativa antimafia che viene applicata oltre la soglia dei 154 mila euro.

«Tutto ciò visti i numerosi arresti effettuati negli anni anche nel Veneto – aggiunge De Poli – che testimoniano la diffusione della criminalità e i numerosi appelli dell’Ance (associazione costruttori) e dei sindacati che più volte hanno denunciato come per colpa della crisi, le aziende possano essere preda della mafia.

 

Terremoto in Thetis. Via l’intero Consiglio

Un vero e proprio “terremoto”. Per carità, tra i corridoi del consorzio Thetis ce lo si aspettava da un momento all’altro. E così è stato. Il “ribaltone” è arrivato: fulmineo. Con una decisione netta i vertici del Consorzio Venezia Nuova, insieme agli soci (Actv, Adria Infrastrutture Spa; Co.Ve.Co.; Grandi Lavori Fincosit; Ing. E. Mantovani Spa; Ing. Mazzacurati Sas; Palomar Srl; Società Condotte Spa; VI Holding Srl) ha deciso di mandare a casa l’intero consiglio di amministrazione della Thetis spa, la società di ingegneria incaricata di sviluppare progetti e applicazioni tecnologiche per l’ambiente e il territorio, direttamente coinvolta nel progetto Mose e non solo, e che ha sede all’Arsenale Nord, non distante dai Bacini.

Così, i soci hanno deciso di cambiare un consiglio di amministrazione, già ampiamente provato dopo gli arresti legati al caso Baita. Infatti sedevano nel cda di Thetis, prima della tempesta giudiziaria, Giovanni Mazzacurati come presidente; e nel ruolo di consiglieri Piergiorgio Baita; Claudia Minutillo, Pio Savioli, Federico Sutto oltre ad altri manager in rappresentanza degli altri soci (Maurizio Castagna per Actv; Nicoletta Doni, Alessandro Mazzi, Luciano Neri, Antonio Paruzzolo che si era già dimesso in precedenza per ricoprire il ruolo di assessore nella giunta Orsoni, Johann Stoker, Stefano Tomarelli). Ora si è deciso di mutare registro: azzerato il consiglio di amministrazione è stata sollevata dall’incarico anche Maria Teresa Brotto, amministratore delegato di Thetis fino a pochi giorni fa.

Ora il cambio con la decisione da parte del Consorzio Venezia Nuova e dei dieci soci di dare anche una sfoltita ai posti in consiglio di amministrazione che passeranno da sette a cinque. Oggi infatti si dovrebbe tenere la prima riunione del nuovo Cda di Thetis dopo l’assemblea dei soci tenutasi la scorsa settimana. Nel nuovo organismo siederanno soprattutto persone che potranno rappresentare ancor più il trait d’union tra Consorzio Venezia Nuova e Thetis. Di sicuro, nel nuovo staff dovrebbero entrare a far parte il direttore del Consorzio, Hermes Redi insieme ad altri componenti del Cda di Venezia Nuova come Duccio Astaldi (al quale è già stata assegnata la presidenza di Thetis) e Mauro Gnech in rappresentanza di Co.Ve.Co; Alessandro Mazzi, (che poi sarebbe l’unico a transitare dal vecchio al nuovo Cda) e Francesco Zoletto, come “new entry”.

P.N.D.

 

IL MOSE E IL COMUNE «Non abbiamo poteri Ma se ci saranno problemi la città si muoverà»

Non è andata a buon fine l’istanza di accesso agli atti che nell’ottobre dello scorso anno il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni si era impegnato ad inoltrare al Magistrato alle Acque di fronte al Consiglio comunale.

«Ho chiesto le informazioni e non le ho ricevute – commenta Orsoni – avevamo presentato un’istanza di accesso agli atti e questa non è stata evasa. Parlerò con il nuovo presidente del Magistrato e se poi anche questi non ci darà gli atti, faremo un passo formale».

La richiesta riguardava materiale richiesto dal consigliere Beppe Caccia in merito alle cerniere prodotte proprio dalla Fip di Selvazzano, poiché nella trasmissione “Report” c’erano state testimonianze che non deponevano a favore della scelta.

Inoltre, si chiedeva di conoscere come il Ministero avesse messo in piedi un sistema di monitoraggio indipendente sui lavori e che fosse reso pubblico l’elenco dei tecnici collaudatori. Secondo Caccia, ci sarebbero state situazioni di conflitto di interesse tutte da verificare.

Sabato, intanto, ci sarà la presentazione del funzionamento delle prime paratoie del Mose messe in opera a Treporti, proprio con le cerniere Fip, realizzate in metallo saldato e non fuso, come invece avrebbe prescritto il progetto iniziale.
Che cosa ha intenzione di fare adesso il Comune?

«Francamente – continua il sindaco – non credo che il Comune abbia competenze in merito. Non riesco neppure a fermare le navi (scherza) figuriamoci se riesco a fermare il Mose, ammesso che il Mose sia da fermare. Secondo me è interesse della città avere un Mose che funzioni bene. Non ho elementi per dire ora che il Mose non funziona per via di quelle cerniere o per chissà quale ragione. Se poi non dovesse funzionare, la città farà certamente le sue valutazioni e si muoverà di conseguenza».

Sul fatto che il Consorzio Venezia nuova abbia annunciato la costituzione di parte civile e che abbia azzerato i vertici di Thetis, Orsoni non si sbilancia.

«Era nell’aria. Si sapeva più o meno di questo cambiamento, dal momento che Thetis dipende direttamente dal Consorzio ed è naturale che dopo il cambio della presidenza nel Consorzio ci possa essere un cambio nei vertici delle controllate. Per me – conclude – è un normale avvicendamento».

 

IL CASO – I dubbi sul sistema di aggancio delle dighe e il ruolo dei collaudatori. Anche la Finanza ha acceso un faro.

BEPPE CACCIA – Nuovo affondo del consigliere

(pnd) Ora Beppe Caccia preme il pedale sull’acceleratore. E torna alla carica. All’indomani dell’operazione dei Carabinieri di Caltagirone che hanno messo le manette a Mauro Scaramuzza, amministratore delegato della Fip Industriale di Selvazzano Dentro (Pd), azienda direttamente coinvolta nelle forniture delle “cerniere” per le dighe mobili, per i suoi contatti con le cosche mafiose di Caltagirone, il consigliere comunale di “In Comune” punta il mirino su una altro aspetto delicato della “partita Mose”: il ruolo dei collaudatori inviati dal Magistrato alle Acque (e quindi dal ministero per le Infrastrutture) chiamati ad esprimere un giudizio sui lavori del Mose, ma che nel corso di questi anni ha sollevato parecchi dubbi sulla loro imparzialità di giudizio.

Una “perplessità” da parte di Caccia che ha avuto come risultato anche la presentazione nel maggio del 2012, di una interrogazione al sindaco Giorgio Orsoni dal titolo emblematico:

“Sono sicure le cerniere del sistema Mose? E chi controlla i controllori (leggasi collaudatori ndr) in materia di salvaguardia?”.

Un documento corposo che solleva dubbi e criticità sull’operato dei “collaudatori” del Mose e sui gangli amministrativi legati alle loro nomine.

«In questi giorni – sottolinea Caccia – abbiamo appreso di un ennesimo blitz delle Fiamme Gialle nella sede del Magistrato alle Acque a Palazzo X Savi a Rialto per raccogliere documentazione relativa ai cantieri presenti in laguna e ai collaudi svolti sui lavori del Mose. Di fronte al cortese invito del presidente del Magistrato alle Acque, Roberto Daniele, di partecipare alla “prima movimentazione” delle paratoie al Lido, ho gentilmente chiesto che rispondesse alle mie richieste di trasparenza e chiarezza già illustrate nell’interrogazione e sulle quali non ho avuto risposta. Ho chiesto e richiedo con forza che il Magistrato alle Acque renda pubblico e trasmetta al Comune, il dettagliato elenco dei componenti delle commissioni di collaudo con relativi importi liquidati e corrispondenti posizioni nella pubblica amministrazione. Mi risulta che tra i collaudatori ci siano figure apicali dell’Amministrazione centrale dello Stato che altresì hanno assicurato e assicurano la continuità dei flussi di cassa allo stesso Consorzio».

E proprio su questo aspetto già nel luglio scorso, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria che hanno condotto l’indagine sul Consorzio Venezia Nuova, segnalavano come “opaco” il rapporto tra Cvn e Magistrato alle Acque e “scarsità di controlli” soprattutto facendo presente che tra i collaudatori ci sarebbero personaggi di rilevanza nazionale come Lorenzo Quinzi e Vincenzo Fortunato, oggi rispettivamente capo e ex di gabinetto del ministero dell’Economia nonchè l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Angelo Balducci, coinvolto in ben altre note inchieste.

 

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