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Gazzettino – Venezia. Il Mose si alza. Il futuro divide.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

13

ott

2013

LA POLEMICA  – Ma ora è scontro su chi gestirà le dighe mobili

BUONA LA PRIMA – Show in pompa magna per il sollevamento delle barriere mobili

Il ministro sale sulle dighe «Tutti i soldi arriveranno»

Scoppia il caso dell’ente gestore

E pensare che, per anni, il MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, per tutti Mose, aveva avuto le sembianze di un baldacchino rosso, una specie di capitello in ferro che, non era ben chiaro come, avrebbe dovuto in un lontano futuro salvare Venezia dalle acque alte.  E invece eccoci qua, alle tre di un caldo pomeriggio di ottobre, con il sole che splende e un cielo così terso da far vedere in lontananza le montagne, tutti schierati sui ponti della motonave “Lady Giò” ad aspettare che l’acqua si increspi e dal fondale emergano le prime quattro paratoie gialle con i bordini rossi. Che poi all’inizio non danno neanche l’idea di poter fermare l’acqua: quando poco dopo le alle 15 (per la precisione 15 07’ 53″ – data e orario da segnare, non fosse altro perché se ne parla da 25 anni) si alza il primo parallelepipedo e poi subito sembra riaffondare, beh, sembra un mattoncino giallo del Lego sperso in mezzo all’acqua davanti alla bocca di porto del Lido. Poi però emerge il secondo. E dopo un altro quarto d’ora il terzo. E il quarto. E insieme formano una fila che dà l’idea della barriera e si capisce che, quando ci saranno tutte le 78 paratoie, l’acqua dell’Adriatico soffiata dallo scirocco troverà davanti a sé davvero un muro.
Per questa “Prima movimentazione delle paratoie del Mose” il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato, ha fatto le cose in grande. Ha aperto le porte al ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi. Ha invitato giornalisti da mezzo mondo (103 accreditati di cui un terzo stranieri, tra cui il New York Times, Al Jazeera, Il Quotidiano del Popolo di Pechino). Ha affittato una motonave e un pullman per i tour nei cantieri prima alla bocca di porto di Malamocco, poi del Lido (ci sarebbe stata anche Chioggia, ma non c’era tempo), per non parlare del contorno di motoscafi di supporto. La comunicazione per l’occasione (ma la collaborazione potrebbe anche continuare) è stata affidata allo studio di Enrico Cisnetto. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli. Ad esempio: metti mai che piovesse, come facevano le autorità e i 100 e passa invitati, oltre ai giornalisti, a restare un’ora sotto la pioggia? E allora ecco gli scatoloni pieni di impermeabili Muji, due colori, o bianco o nero, prezzo di listino 15 euro l’uno. E le brochure e i video illustrativi perché, come raccontava l’ingegner Alberto Scotti, il “papà” del Mose, il progettista delle dighe mobili, «la cosa più difficile in tutti questi anni è stata spiegare ai politici, ma non solo a loro, il funzionamento del sistema di paratoie». (Tra parentesi: al Consorzio precisano che le spese per la comunicazione non provengono dai fondi per la salvaguardia di Venezia, sono soldi messi da parte ogni anno dalle imprese sulla base dei fatturati. Così, tanto per chiarire). Insomma, tutto in pompa magna per mostrare che il Mose funziona e funzionerà ogni qualvolta l’acqua salirà a 110 centimetri e dunque le dighe si alzeranno al massimo sette volte all’anno.
Tutte queste cose le spiega in mattinata ai giornalisti Hermes Redi, il direttore del Consorzio. Poi, nel pomeriggio, quando ci sono le autorità e in prima fila sul ponte più alto della motonave siedono il ministro Lupi, il governatore del Veneto Luca Zaia, il sindaco Giorgio Orsoni, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, è il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris. Peccato che il rumore dell’elicottero che volteggia in cielo per riprendere dall’alto l’evento copra la voce di Fabris. Tant’è, sono immagini che faranno il giro del mondo. Come le rassicurazioni di Lupi: «L’obiettivo tassativo è il completamento dell’opera entro il 2016». Perché prima che parlasse il ministro, era stato Zaia a introdurre il poco nobile argomento dei soldi: «Il Mose funziona solo se sarà completato. E oggi è finanziato per l’87%». Ergo, ai 4,9 miliardi di euro già impegnati bisogna trovare gli altri 600 milioni. Il che, in tempi di crisi, non è scontato. Ma il ministro, appunto, rassicura: «I 120 milioni che erano stati tolti saranno reintegrati con la prossima Legge di Stabilità, ma anche le altre risorse per far andare avanti l’opera fino al termine della parte realizzativa ci saranno».
Bene, ma dopo cosa succederà? Nel 2016, una volta che saranno realizzate le quattro dighe con le 78 paratoie alle tre bocche di porto di Chioggia, Malamocco e Lido, chi deciderà quando premere il bottone per azionare il sistema di difesa dell’acqua alta? Chi gestirà il Mose? Chi sarà il cosiddetto Ente Decisore? «È una scelta che dobbiamo affrontare tutti assieme – dice il sindaco Orsoni – La gestione del Mose non può essere affidata solo al Magistrato alle Acque né solo al Porto né solo al Comune o alla Regione. Deve esserci un organismo che metta assieme in modo paritario tutti questi soggetti. Ma non dimentichiamo che il Mose nasce per difendere la città di Venezia». Il ministro alle Infrastrutture non si sbilancia: «Spetta al Parlamento decidere». E i soldi per la gestione? «Governo e Enti locali dovranno lavorare assieme per capire come individuare le risorse necessarie», dice Lupi. Che poi provoca: «Sennò il sindaco di Venezia si inventerà una nuova tassa, ma noi siamo le sentinelle anti-tasse».

Alda Vanzan

 

Venezia, il Mose supera l’esame  «Segnale al mondo»

Positivo test per le paratoie mobili che dal 2016 proteggeranno la città dalle acque alte: un muro che verrà alzato alle tre bocche di porto lagunari

Dieci anni di lavoro, già spesi 4,9 miliardi

Le dighe si alzeranno con acque superiori ai 110 centimetri: meno di 10 volte all’anno

BOTTA E RISPOSTA

Orsoni: «Costituire un organismo»

Lupi: «Deve decidere il Parlamento»

Mancano ancora 600 milioni per completare il progetto entro il 2016

Il sindaco: ora bisogna individuare chi governerà il sistema di difesa

Mazzacurati, il padre del Mose travolto dallo scandalo «L’avevamo invitato a una prova, ma non è venuto»

Flavia Faccioli, responsabile delle relazioni esterne del Consorzio Venezia Nuova, è aggrappata alla balaustra della motonave. Stanno alzando la prima delle quattro paratoie, quella identificata con il numero 7, e mentre la radio gracchia gli ordini che i tecnici stanno impartendo, lei non stacca gli occhi dalla striscia di mare. Sussurra: «Sono ventun anni anni che aspetto questo momento».
Anche l’ingegner Giovanni Mazzacurati forse avrebbe voluto esserci, ma l’ex numero uno del Consorzio Venezia Nuova, prima direttore, poi presidente e direttore insieme del concessionario unico delle opere di salvaguardia di Venezia, non si è fatto vedere. Né nessuno l’ha nominato, anche se tutti sanno che il Mose in un certo senso gli appartiene.
Mauro Fabris, il nuovo presidente del Consorzio Venezia Nuova, lo ammette: «Mazzacurati è il padre del Mose, una storia lunga 35 anni non si può cancellare».
Coinvolto in una vicenda giudiziaria che la scorsa estate (dopo le dimissioni dal Consorzio avvenute il 28 giugno) gli è costata l’arresto, l’ingegner Mazzacurati non è stato invitato alla prima movimentazione delle paratoie alla bocca di porto del Lido.
«Non abbiamo invitato nessuno dei precedenti presidenti del Consorzio Venezia Nuova», chiarisce Fabris. Che però ammette: «L’ingegner Mazzacurati l’abbiamo invitato in un precedente momento per le prove della movimentazione. Però non ha accettato, non ha voluto venire».

Al.Va.

 

IL CONSORZIO – Fabris: non subiremo le pretestuose polemiche di chi si oppone all’opera

Ore 15,37 dalla laguna esce il Mose

In azione le prime quattro paratoie, 47 anni dopo l’”acqua granda”. Operazione riuscita

Data e ora da ricordare: 15.37, 12 ottobre 2013. Tutto si è risolto in pochi minuti. Dall’acqua verdognola, tra le onde dolci della laguna alla bocca di porto di Lido, pur con qualche apprensione, il Mose ha preso forma. Tra i flutti, come in un film di 007, è spuntato un grande contenitore giallo con le strisce rosse; e poi un altro ancora. Alla fine hanno fatto capolino 4 grandi paratoie. A 47 anni dall'”acqua granda” del 1966, dopo 25 anni di progetti e polemiche, e dieci dalla posa della prima pietra, il sistema Mose con tutta la sua potenza è spuntato dalle acque. Quasi una simbologia biblica.
Ma, ieri pomeriggio, con i cassoni, si è vista solo la punta dell’iceberg, ma sotto il livello dell’acqua, a 12 metri di profondità, era all’opera una vera città realizzata lungo un tunnel che collega la riva di Lido con quella di Treporti, e che ospita tutti gli alloggiamenti per i cassoni. Un lavoro faraonico che unirà anche le bocche di porto di Malamocco e di Chioggia per un totale di 78 paratoie di diverse proporzioni (215; 320; 380 e 330 tonnellate). E poi 27 strutture di alloggiamento ovvero i cassoni, veri e propri condomini costruiti sul fondale della laguna (si varia da 13 mila a 22.500 tonnellate). E poi 156 cerniere che vincoleranno le paratoie agli alloggiamenti e che consentiranno poi il movimento di alzata e discesa delle paratoie in sette minuti. E oltre a tutto questo tre conche di navigazione, una per zona per grandi navi; imbarcazioni e pescherecci. Numeri da capogiro per un’opera di ingegneria idraulica “made in Italy” che, quando sarà ultimata nel 2016, potrà difendere Venezia dalle alte maree. Il tutto per 5 miliardi e mezzo di euro.
«Si è stabilito che le paratoie potranno alzarsi – spiega il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi – quando si raggiungerà la quota di marea di 1.10. Quindi, cinque, sei, sette volte all’anno. E in tutti i casi di emergenza».
E all'”alzata” delle dighe mobili – con il ministro Maurizio Lupi, il governatore Luca Zaia, la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, il sindaco Giorgio Orsoni, Roberto Daniele per il Magistrato alle Acque oltre ai rappresentanti del Comitatone e molti imprenditori che hanno partecipato con le loro aziende al progetto – è toccato al presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris, tracciare un primo bilancio. «Un’opera originata dall’acqua alta del 1966 – ha detto – e da allora si sono succedute 14 legislature, 44 governi, 10 sindaci di Venezia. Lo Stato ha fatto tre leggi speciali, e 48 riunioni del Comitatone. Qui, oggi, si è avuta la prova che si sta realizzando un grande progetto. Noi siamo concentrati su questo, nonostante vicende estranee al Consorzio rischino di condizionare l’operatività, intenzionati a non subire le pretestuose polemiche di chi da 50 anni si oppone e che ora pensa di strumentalizzare quelle stesse vicende per ottenere con altri mezzi ciò che in decenni di confronti tecnici, scientifici e politici non ha ottenuto».

Paolo Navarro Dina

 

LA TECNOLOGIA – Il sindaco Bloomberg vuole difendere così New York

COSTI E TEMPI – Nel 2016 l’opera idraulica più complessa al mondo sarà costata 5,5 miliardi

LE POLEMICHE – Il “fronte del No” la città spesso spaccata le ultime inchieste

Così in 35 anni il “Progettone” si trasformò in Mose

Alla fine saranno passati 13 anni e saranno stati spesi 5 miliardi e mezzo di euro: l’equivalente di una manovra finanziaria. Ma nel 2016 «la più bella città del mondo, sarà anche la più forte», come citava – chiudendo con uno slogan da curva da stadio, “Venezia for ever” – il video celebrativo dei lavori del Mose, proiettato ieri durante la cerimonia di innalzamento delle prime paratoie del sistema che difenderà Venezia e laguna dalle acque alte. Tredici anni per realizzare la più complessa opera di ingegneria idraulica del mondo e per chiudere il più massiccio intervento di modifica della morfologia lagunare che si ricordi.

 

Gli anni del Progettone

Nel 2016, a Mose finito, saranno ben 35 gli anni trascorsi da quando, nel 1981, sette professori universitari scelti dal governo consegnarono il “Progettone” con cui si prevedeva di regolare le maree con restringimenti alle bocche di porto, integrati da dighe mobili. E saranno 32 gli anni trascorsi da quando il Comitatone del 1984 decise di affidare le opere di salvaguardia della laguna a un concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova. Sono stati decenni di polemiche, scontri con il fronte del No-Mose che ha messo in campo tecnici, periti, esperti. Con la città di Venezia spaccata in due, spesso dilaniata all’interno di una compagine governativa costituita per anni da un polo rossoverde contrario all’opera (lo stesso ex sindaco Massimo Cacciari disse: «C’è l’acqua alta? I veneziani usino gli stivali…»). Contestazioni tecniche, di carattere ambientale, ma anche politiche. A partire dalla procedura di affidamento al concessionario, un affidamento diretto a un unico soggetto gestore di una marea di soldi pubblici.

 

L’isola del tesoro

Scriveva nel 2004 l’ex vicesindaco ed ex parlamentare del Pd, Michele Vianello, nel libro “Un’isola del tesoro”, riferendosi alla nascita del Consorzio: «La tutela dei diversi interessi politici ed economici veniva garantita (nel rispetto della prassi dell’epoca) seguendo un metodo spartitorio, attraverso la presenza dell’Iri (che doveva rappresentare l’interesse pubblico), del Gruppo Fiat, di altre aziende private e nazionali e locali e delle imprese cooperative. Sempre presenti minoritariamente, le cooperative dovevano probabilmente garantire all’interno del Consorzio il mondo legato alla sinistra e, particolarmente, al Partito Comunista Italiano». Quanto il Mose è stato pensato ad arginare la forza della marea verso la laguna, tanto il Consorzio ha dovuto far fronte, dopo gli anni dei No-Mose, alle inchieste della magistratura degli ultimi tempi. L’inchiesta per fondi neri su Piergiorgio Baita, manager della Mantovani (uno dei colossi imprenditoriali del Consorzio) e quella su Giovanni Mazzacurati, per 30 anni al vertice di Venezia Nuova, hanno aperto uno squarcio sulla gestione di buona parte dei 4.867 milioni di euro spesi finora per il Mose. A partire, ad esempio, dal rapporto con il Magistrato alle acque, organo statale incaricato di vigilare sull’operato del concessionario privato. «L’ente ministeriale appare da un lato approfittare della potenza economica del Consorzio che dovrebbe controllare, dall’altro appare ad esso succube». Così la Guardia di finanza, nell’inchiesta su Mazzacurati, descrive il rapporto tra controllore e controllato. Lui, il “grande vecchio”, l’ingegnere che dopo Luigi Zanda (attuale capogruppo Pd al Senato) ha guidato il Consorzio, è un uomo libero dopo la revoca degli arresti domiciliari.

 

Il Consorzio volta pagina

Chissà per quanto tempo ha sperato di essere presente a un giorno come quello di ieri. Ma il Consorzio ha voltato pagina, alzando le proprie “dighe” e blindandosi nei confronti di inchieste che riguardano imprese associate, come le piccole cooperative sorprese dalla Finanza a costituire fondi neri in Austria gonfiando le fatture della posa dei massi per la costruzione delle dighe, O come l’ultima, quella che riguarda la Fip di Selvazzano, l’azienda che ha costruito le “cerniere” a cui le paratoie si agganciano, il cui amministratore è accusato assieme a un ingegnere di collusione con la mafia per l’appalto di una strada in Sicilia.
Proprio sulle cerniere il Magistrato alle acque si era spaccato a suo tempo, con tre tecnici dimessisi in contrasto con la scelta fatta che, ha ammesso ieri l’ingegner Alberto Scotti, progettista del Mose, «sono costate ben di più dell’alternativa a fusione che ci era stata prospettata». Vicende di cui Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle acque, non vuole più parlare. Eppure il Mose va avanti, inaugurazione dopo inaugurazione, resistendo alle folate e alle mareggiate delle polemiche, come dovrà fare quando sarà chiamato a difendere Venezia dall’acqua alta. Il Consorzio ha dato chiari segnali di discontinuità con il passato, costituendosi anche parte offesa per parare gli “schizzi di fango” piovuti negli ultimi tempi. Il concessionario unico ha voltato pagina, ha un nuovo management, ha anche mandato a casa il vecchio cda di Thetis, società controllata che in una intercettazione veniva definita «un baraccone spaventoso» da Pio Savioli, un altro degli ex dirigenti arrestati. Il Mose visto ieri fa impressione per l’imponenza e la tecnologia. Così come fa impressione l’enorme mole di interventi di compensazione e recupero ambientale realizzati in laguna. Ci lavorano 4mila addetti, il che equivale a 4mila famiglie. Non c’è dubbio che l’opera è e sarà sempre all’attenzione del mondo. La vuole pure Michael Bloomberg, sindaco di New York, per difendere la Grande Mela dagli uragani. “Un progetto italiano”, recitava ieri il video di presentazione. Nel bene e nel male.

Davide Scalzotto

 

IL PROGETTO – Quell’idea del tram sublagunare dentro le gallerie dei cassoni

LA GESTIONE – La cabina di regia sul Mose sarà decisa dal Parlamento. Lo ha specificato il ministro Lupi, affrontando uno dei nodi più importanti riguardanti il futuro del Mose. Il sindaco Orsoni ha però puntualizzato che nella gestione dovranno essere coinvolti tutti gli enti della città, dal Comune al Porto. Le paratoie, ha detto il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi si alzeranno a quota 110: praticamente una media di 6-7 volte l’anno.

LA DIFESA DI VENEZIA – Il sindaco: «Segnale al mondo».

Pronto nel 2016, le barriere si solleveranno 6-7 volte l’anno

Il Mose si alza. Il futuro divide.

LA PROVA – Il Mose funziona. È andata a buon fine la prima prova in acqua delle gigantesche paratoie che, adagiate sul fondale, si dovranno alzare quando Venezia e la sua laguna saranno minacciate dall’acqua alta. Il sindaco Orsoni, presente al test assieme al ministro Maurizio Lupi e ad altre autorità, parla di una sorta di segnale al mondo che parte da Venezia: «La città – ha detto dimostra di essere capitale della contemporaneità, non un parco giochi».

Dieci anni di lavori, costo di 5.5 miliardi

IL RICORDO   «I problemi maggiori: far capire il piano ai politici

IL SINDACO  «Momento di svolta. Venezia capitale della modernità non parco giochi»

LA PROVA ALLE PARATOIE – Il ministro Lupi in sopralluogo ai cantieri delle dighe mobili. Sperimentato l’innalzamento delle gigantesche barriere idrauliche

 

I NUMERI DEL MOSE

Inizio lavori: 2003
Messa in funzione prevista: 2016
Stato di avanzamento attuale: 80 %
Costo totale dell’opera: 5.493 milioni di euro
Finanziamenti già stanziati: 4.867 milioni di euro
Addetti ai lavori: 4.000 (diretti e indiretti)
Dighe mobili: 4, per uno sviluppo totale di 1,6 km
Paratoie: 78 del peso complessivo di 1.245 tonnellate
Cassoni: 27 del peso complessivo di quasi 75.000 tonnellate
Cerniere: 156, ciascuna del peso di 42 tonnellate
Conche di navigazione: Malamocco, 1 per grandi navi, Lido, 1 per barche da diporto, Chioggia 2, per pescherecci e barche da diporto
Marea massima sostenibile: 3 metri (la marea record finora è stata di 1.94 nel 1966)
Rialzo del livello del mare previsto: 60 cm in 100 anni

 

IL PROGETTISTA DEL MOSE, ALBERTO SCOTTI

«Le cerniere? Funzionano ma abbiamo speso di più»

IL SISTEMA DELLE DIGHE – Un progetto ingegneristico che non ha uguali al mondo

Se ne è stato in disparte per buona parte della “missione” annunciata per vedere le prime paratoie mobili spuntare dall’acqua, ma poi non ce l’ha fatta. Alberto Scotti, ingegnere della Tecnital spa, è probabilmente uno dei “padri” del Mose. E ieri ha sicuramente gioito nel vedere le prime paratoie uscire alla luce del sole.
«Per Venezia i problemi maggiori – dice l’esperto – sono dovuti alle frequenze delle acque alte, anche perchè gli eventi eccezionali si verificano ogni dieci/quindici anni. I pochi centimetri di alta marea si possono gestire anche senza chiudere tutte le paratoie. Abbiamo cominciato a lavorare al progetto nel 1987, iniziammo a parlare con il ministro Prandini, ma io per la prima volta ho visto il suo successore Franco Nicolazzi». Scotti ricorda il suo lavoro: «É uno di quei progetti – sottolinea – che capita una volta nella vita. Devo dire che il Consorzio Venezia Nuova ha dato ampio seguito alle idee del progettista. Ho avuto la possibilità di fare quello che volevo, tenendo conto di tutte le problematiche e non solamente quelle costruttive, delle opere, o di quelle ambientali-sociali. La cosa importante è che funzioni. Non posso comunque nascondere che il lavoro per il Mose è stato anche un’ottima credenziale per altri lavori e per la mia professione».
Scotti non dimentica la peculiarità del sistema anti-acque alte: «Questo piano è una novità mondiale per la complessità – aggiunge – per la necessità di integrare più cose. L’idea iniziale riduceva molto lo scambio mare/laguna, ma poi abbiamo cambiato i criteri. Per quel che mi riguarda quanto è stato realizzato risponde pienamente all’idea progettuale». Infine il momento più delicato quando Scotti racconta dell’impegno profuso per spiegare il progetto a tecnici e politici: «É stato impegnativo spiegarlo. Certo: non solo ai politici, ma anche a molti tecnici. Per quel che riguarda le cerniere ricordo la discussione sull’ipotesi di fusione o quella di saldatura. Si decise per la prima opzione, ma i costi indubbiamente lievitarono».

P.N.D.

Il Mose si alza, ora l’obiettivo è il 2016

Il test va a buon fine: il sistema sarà attivato a quota 110, praticamente 6 o 7 volte l’anno

Improvvisamente il pelo dell’acqua ha iniziato ad incresparsi. A muoversi sempre di più, come se stesse spuntando fuori un sottomarino. Una scena da film di 007. E così è stato: alle 15.37, sette minuti dopo l’annuncio delle operazioni, il Mose si è materializzato con uno, due, tre, quattro paratoie di colore giallo e strisce rosse. A 47 anni dall’«acqua granda» del 1966; 14 legislature e dieci sindaci di Venezia, il Sistema di difesa della laguna di Venezia dall’acqua alta, ha fatto capolino dalle acque placide alla bocca di porto di Lido e Treporti. Un momento di suspence che si è risolto nel giro di qualche minuto con l’applauso dei rappresentanti delle istituzioni, alla presenza del ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi; del governatore del Veneto, Luca Zaia; della presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto e del sindaco Giorgio Orsoni, oltre ai membri del Comitatone, degli imprenditori e delle maestranze. «Le dighe mobili – ha raccontato il direttore del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi – si alzeranno cinque, al massimo sette volte all’anno in condizioni di emergenza». Gli ha fatto eco il presidente del Cvn, Mauro Fabris: «Ora speriamo che nella prossima Legge di Stabilità – ha detto – si possano garantire le risorse per finire questa grande opera». Una preoccupazione che è stata subito rimossa dal ministro Lupi: «I soldi ci saranno: arriveranno i 120 milioni che avevamo tolto nel “Decreto del Fare” e ci impegniamo fin d’ora a garantire il termine dei lavori nel 2016». Il ministro ha risposto anche sul caso Grandi Navi: «Ci ritroveremo al più presto con gli enti interessati. E partiremo dal decreto Clini-Passera che deve essere applicato». Dal canto suo, la presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto ha sottolineato l’emozione: «Dopo quanto visto – ha detto – non possiamo che essere orgogliosi di quanto è accaduto». E anche il sindaco Giorgio Orsoni non ha nascosto la soddisfazione: «Siamo senz’altro di fronte ad un momento di svolta – ha detto il primo cittadino – Quest’opera cambierà in modo radicale il modo di approcciarsi alla città e alla laguna che sono un tutt’uno. Il Mose ci permetterà di consegnare al mondo un messaggio importante: questa città non è un parco giochi. Questa è una città viva, vitale. É una città della contemporaneità e quest’opera lo dimostra». E anche la Regione ha avuto la sua parte. «Si tratta di una pietra miliare per Venezia – ha detto il governatore del Veneto, Luca Zaia – Ora però dobbiamo finirlo. Il Mose non è importante solamente sul piano ingegneristico, ma anche perchè finora ha dato lavoro a oltre quattromila persone». E poi ha rilanciato sui fondi a disposizione per completare l’opera: «Noi paghiamo 18 miliardi di euro all’anno di tasse a Roma, siamo una delle cinque regioni che hanno un residuo fiscale attivo, per cui 20-30 milioni di euro che saranno necessari all’anno penso che a Roma già ci sono, e sono nostri».
E ora si guarda al futuro, dopo le tempeste giudiziarie dei mesi scorsi che si sono abbattute sul Consorzio Venezia Nuova e pure le recenti vicende che hanno visto una ditta, la Fip Industriale di Selvazzano, una delle aziende costruttrici delle cerniere del Mose, finire in odore di mafia. Ma oggi (ieri ndr) non è stato il giorno delle preoccupazioni, ma quelle di una sfida rinnovata alle acque alte. In difesa di Venezia.

 

 

VIAGGIO NEL CUORE DEI CASSONI

Quelle gallerie dove si poteva far passare il tram sublagunare

L’idea iniziale prevedeva anche un collegamento sommerso da Punta Sabbioni a Chioggia.

«Adesso non si può più»

Da Chioggia a Jesolo in bicicletta. O in tram. Sott’acqua. A dodici metri di profondità. Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova, sorride: «Noi lo avevamo proposto. Ci hanno detto di no e adesso non si può più». Manca poco a mezzogiorno, la motonave “Lady Giò” ha appena attraccato alla bocca di porto di Malamocco ed è qui che ai 103 giornalisti giunti da tutto il mondo l’ingegner Redi mostra il “Syncrolift”, l’ascensore sincronizzato che trasporterà i cassoni e li farà immergere nell’acqua, così da poter poi agganciare le paratoie. Il direttore del Consorzio mostra i cassoni montati su pilastri, sembrano enormi condomini di calcestruzzo, spiega che all’interno ci sono delle celle, delle stanze di fatto comunicanti. Insomma, sott’acqua, per far emergere all’occorrenza le paratoie contro l’acqua alta, c’è un tunnel. E questo tunnel poteva essere utilizzato come mezzo di trasporto. Solo che bisognava deciderlo a tempo debito.
«Si sarebbe potuto andare da Chioggia a Jesolo in bicicletta – dice l’ingegner Redi – O anche far passare un tram. Certo, bisognava deciderlo all’epoca. Ma quando è stata fatta la proposta, venne detto no». Il direttore non lo dice, ma è il senso chiaro: qualsiasi cosa provenga dal Consorzio Venezia Nuova trova contrarietà e contestazioni. Salvo, poi, rilanciare quando il tempo, le decisioni progettuali e lo stato di avanzamento dei lavori non lo consentono più. Ossia: inutile, oggi, chiedere di utilizzare i 27 cassoni lunghi 60 metri l’uno, per far correre le biciclette. O le macchine.
Fabio Pinton, direttore dei lavori, sgrana gli occhi appena gli si formula la domanda: «Far passare le persone qui sotto? Impossibile». La visita ai cassoni avviene nel tardo pomeriggio. Le autorità hanno già lasciato la motonave, resta solo un gruppetto di giornalisti che, caschetto in testa e giubbetto di sicurezza indossato, si cala con i tecnici sotto terra. Anzi, sott’acqua. Si scendono due, tre, quattro rampe di scale. Si è dodici metri sott’acqua, proprio all’interno dei cassoni che collegano due sponde della bocca di porta del Lido, solo qui sono 420 metri di lunghezza. Pare di stare in un bunker di cemento, un lungo corridoio che si collega a sinistra con delle stanzette a chiusura ermetica dove dentro ci sono le cerniere che fanno alzare e abbassare le paratoie e, per sicurezza, una camera iperbarica in ogni sala, mentre a destra ci sono altri due analoghi corridoi, i cosiddetti locali secondari. Quelli di “scorta”, dovesse mai capitare qualcosa. Le paratoie sono agganciate proprio sul “tetto” di questi cassoni. Chi verrà qui? Operai? Tecnici? Ingegneri? Praticamente nessuno, spiega Pinton, perché i comandi per azionare le dighe si trovano all’Arsenale e in ciascuna delle tre bocche di porto e questi corridoi serviranno solo per la manutenzione. Si potevano usare diversamente, certo, bastava allargarne uno. Solo che – dice il direttore del Consorzio Venezia Nuova – bisognava deciderlo a tempo debito.

HERMES REDI  «Anche il Porto dovrà far parte del gruppo di controllo»

LE CONCHE – Ospiteranno le medie stazze I colossi staranno in mare aperto

GESTIONE & IMPATTO – Il direttore generale del Consorzio «Le grandi navi? Saranno avvisate con tre giorni di anticipo quando il Mose entrerà in funzione»

Dighe mobili, la cabina di regia divide

Il ministro Lupi: «Deciderà il Parlamento».

Orsoni: «Coinvolgere tutti gli enti della città»

Devono ancora dargli un nome, figuriamoci se hanno deciso chi ne farà parte. Dunque, per ora è genericamente l’Ente Decisore. Non si sa chi rappresenterà. Non si sa da dove prenderà i fondi. L’unica cosa certa è che sarà l’Ente Decisore a stabilire quando le paratoie dovranno alzarsi. E, soprattutto, a gestire l’intero sistema di difesa di Venezia dalle acque alte. Per farla breve: quando nel 2016 il Mose sarà finito (ammesso che lo sia), il Consorzio Venezia Nuova uscirà di scena e farà il suo ingresso l’Ente Decisore.
Sarà un ente pubblico? privato? si faranno gare? da dove arriveranno i soldi per far funzionare per cent’anni il Mose? Secondo Hermes Redi, direttore del Consorzio Venezia Nuova, dovrà essere «un ente pubblico». Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, non intende stare in un angolo: «È una decisione che dobbiamo affrontare tutti assieme perché la gestione del Mose non può essere affidata solo al Magistrato alle Acque né solo al Porto né solo al Comune o alla Regione. Deve esserci un organismo che metta assieme in modo paritario tutti questi soggetti. Ma – avverte Orsoni – non dimentichiamo che il Mose nasce per difendere Venezia». Della serie: la città deve avere voce in capitolo.
Il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi, dice che non tocca al Governo: «Spetta al Parlamento decidere. Ci sono quattro proposte di legge, quella di Gianpiero Dalla Zuanna ha già visto l’avvio dell’iter al Senato, in ogni caso tocca al Parlamento decidere le modalità di gestione di questa opera». E i soldi per la gestione del Mose? «Governo e Enti locali dovranno lavorare assieme per capire come individuare le risorse necessarie», dice Lupi. Che, peraltro, non si sbilancia neanche sui fondi per la manutenzione della città lagunare: «Partiamo da quello che stiamo facendo. Poi, in dialogo continuo con il Comune di Venezia, lavoriamo assieme per individuare le altre priorità».
È chiaro che se il Comune non vuole stare in un angolo, lo stesso varrà per l’Autorità portuale. Il primo a dire che il Porto dovrà far parte del futuro “gruppo di controllo” è l’ingegner Redi. Che spiega anche cosa succederà con le navi da crociera quando entreranno in funzione le paratoie: «Le navi da crociera potranno organizzare tranquillamente il loro tragitto perché noi sapremo con tre giorni di anticipo quando saranno azionate le paratoie, conosceremo data e ora di apertura e chiusura. E quindi l’avviso sarà dato in anticipo». Nel caso, le navi da crociera potranno trovare rifugio nelle conche di navigazione: ma solo quelle di media stazza – ha detto Redi – i colossi staranno in mare aperto.

 

I NO MOSE  «Non c’è proprio nulla da festeggiare»

(G.P.B.) «Non c’è davvero niente da festeggiare». Così i simpatizzanti del centro sociale Morion hanno energicamente protestato, ieri alle Zattere, mentre gli ospiti e le autorità si imbarcavano verso il cantiere del Mose.
«Non ci interessava andare con loro anche se con tutti i soldi versati dai contribuenti magari i cittadini potevano anche essere invitati – ironizza Tommaso Cacciari – la nostra era solo una protesta colorata per ricordare anche quello che accaduto sul fronte giudiziario. Insomma, che i problemi emersi non passassero inosservati».
Il Mose, secondo il centro sociale Morion e il No Grandi navi, non è preparato ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici. «Nessuno ha mai dato risposta ai dubbi sulla tenuta delle paratoie in presenza di forti correnti – affermano i No Mose – perchè nessuno ha mai chiarito se le cerniere sono sicure e affidabili. Sta venendo alla luce anche il meccanismo infernale della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova. È stato creato un meccanismo politico-affaristico». Nel ricordare le recenti inchieste della magistratura, i No Mose evidenziano che fino ad oggi sono stati spesi sei miliardi. «Il ministro Lupi invece di festeggiare – concludono – dovrebbe preoccuparsi di dare immediate risposte alla comunità che chiede l’allontanamento della Grandi navi. Bisogna riconvocare il vertice del governo e decidere subito sulle alternative».

 

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