Gazzettino – “Cosi’ io, innocente, sono finito in carcere”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
5
nov
2013
MAFIA E APPALTI – Parla l’ingegnere mestrino Mauro Scaramuzza, libero dopo 23 giorni dietro le sbarre a Catania
«Ho subito chiesto carta e penna, avevo bisogno di lavorare: una valvola di sfogo per sopravvivere»
FIP – Azienda di Selvazzano dove ieri l’ingegnere Mauro Scaramuzza ha fatto ritorno dopo aver trascorso 23 giorni in carcere
«È micidiale essere privati senza motivo della libertà»
NELLA STESSA CELLA ANCHE ACHILLE SOFFIATO
«Ci siamo arrovellati per capire come potevano accusarci di reati inverosimili»
Quel rumore sinistro dei chiavistelli che gli chiudevano ogni contatto con il mondo non potrà mai dimenticarlo. Era un incubo. Ma non potrà scordare neppure l’aiuto degli altri detenuti e la comprensione dei secondini. Rimarranno un ricordo positivo indelebile. Mauro Scaramuzza, 55 anni, di Mestre, amministratore delegato della Fip, società che fa capo al gruppo padovano Chiarotto (lo stesso che controlla la Mantovani spa) tornato in libertà dopo 23 giorni trascorsi nel carcere “Bicocca” di Catania con l’accusa di aver agevolato ditte appartenenti alla mafia, ieri è tornato nel suo ufficio di Selvazzano. E in serata si è recato in aeroporto a prendere Achille Soffiato, 39 anni, padovano, responsabile del cantiere di cui la Fip si stava occupando in Sicilia, finito anch’egli dietro alle sbarre con la medesima accusa e messo in libertà proprio ieri.
Ingegner Scaramuzza, è stato difficile rientrare in azienda dopo un’esperienza così difficile?
«No. Tutti i dipendenti mi hanno accolto con grande affetto. È stato come tornare dalle… ferie. Anche se in questo periodo non ho mai smesso veramente di lavorare».
In galera?
«Sì. Appena sono arrivato in cella, mi sono fatto dare carta e penna. Ho cercato di ricordare quali erano i problemi dei nostri cantieri e ho individuato le varie soluzioni. Diciamo che ho lavorato per sopravvivere. Una sorta di sfogo, di distrazione mentale. Negli ultimi dieci giorni, poi, ho avuto l’opportunità di dividere la cella con Achille e quindi abbiamo proseguito insieme. Nonostante tutto è stato bellissimo».
Che cosa vi siete detti?
«Ci siamo arrovellati per capire come potevano averci accusato di reati che mai e poi mai avremmo commesso. Abbiamo ripercorso più volte l’iter degli appalti, nel tentativo di appurare se, magari in assoluta buona fede, eravamo caduti in qualche tranello. Ma la risposta era sempre la stessa: non avevamo fatto nulla. Eravamo innocenti. Per fortuna il giudice del Tribunale del riesame ha ritenuto che il disegno del pm fosse un po’ troppo azzardato. Sia chiaro, non me la prendo con quest’ultimo, ma rimane il fatto che la carcerazione preventiva è una gran brutta bestia. Fortunatamente sia io che Achille ci siamo chiusi una porta alle spalle. Definitivamente».
Quali sono stati i momenti più difficili?
«Quando i portoni venivano sbarrati. Per esempio, dopo la doccia, o dopo l’ora d’aria. Sapere di essere chiusi dentro era incredibilmente drammatico. E la sera, quando spegnevano le luci, a me pareva di sentir arrivare i mostri… È micidiale venire privati immotivatamente della libertà».
Che impatto ha avuto con l’ambiente carcerario?
«Ignoravo questo mondo e, comunque, da fuori ne avevo un’impressione negativa. Invece ho dovuto ricredermi. Quando sono stato arrestato non avevo nulla con me, perché, dopo una giornata in cantiere, dovevo prendere l’aereo e tornare a casa. Gli altri detenuti con grande disponibilità, mi hanno fornito tutto quello di cui avevo bisogno. Pure il personale del carcere si è dimostrato molto professionale e umano; aveva con noi un approccio verbale appropriato, avendo compreso perfettamente che Achille ed io in quel contesto eravamo “due pesci fuor d’acqua”. Da questo punto di vista, quindi, l’esperienza umana è stata positiva, forse perché, diciamo fortunatamente, siamo finiti in una struttura penitenziaria di sicurezza, dove la popolazione carceraria non è costituita da detenuti comuni. Non fosse andata così, l’impatto sarebbe stato molto più difficile da superare».
Come trascorreva la giornata alla “Bicocca”?
«Lavorando. Avevo la possibilità di usufruire di quattro ore d’aria al giorno, ma ne utilizzavo solamente una. Poi sempre al lavoro, rinchiuso in pochi metri. Una tortura per me che ero abituato a macinare chilometri su chilometri ogni giorno».
Adesso cosa farà?
«Quello che facevo prima. Domani (oggi per chi legge, ndr) sarò in azienda con Soffiato come se non fosse successo nulla. Fortunatamente per entrambi c’è stato un lieto fine. Quello che ci è capitato non so come definirlo. Forse una fatalità. Forse un errore. Comunque sia, sono arrivato alla conclusione che non potrà mai condizionare il resto della mia vita. Sarebbe una sconfitta. I catenacci si sono chiusi, ma stavolta alle mie spalle. E l’incubo è finito».
LA CRONISTORIA – Gli arresti il 10 ottobre per sospetti di collusione con un clan siciliano. Ma il Riesame li ha annullati
Gli arresti erano avvenuti il 10 ottobre scorso. Mauro Scaramuzza e Achille Soffiato erano accusati (assieme ad alcuni siciliani) di aver favorito nei subappalti in Sicilia il clan mafioso La Rocca di Caltagirone, permettendogli di acquisire la gestione delle attività economiche e il controllo degli appalti pubblici. Così aveva scritto il gip di Catania, riferendosi alle attività imprenditoriali della Fip nell’appalto per la “Variante di Caltagirone”. Le prove a carico erano costituite anche dai testi di alcune intercettazioni telefoniche. I due veneti, secondo l’accusa, avrebbero dato la possibilità ai La Rocca «di realizzare profitti ingiusti mediante la percezione di finanziamenti pubblici che altrimenti non avrebbero ottenuto».
Dopo tre settimane lo scenario è completamente mutato. I due sono tornati liberi in base a una decisione del Tribunale del riesame di Catania per mancanza di gravi indizi, così come evidenziato dalla difesa che, fin dall’inizio, aveva liquidato le contestazioni definendole «ipotesi da fantascienza». La Fip, che si è occupata anche della realizzazione delle cerniere mobili del Mose, è una società che fa capo al gruppo padovano Chiarotto, lo stesso che controlla la Mantovani spa.