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L’ingegnere bellunese e il dissesto idrogeologico: «Basta scuse, le responsabilità sono dell’uomo»

BELLUNO «Non diamo sempre la colpa ai cambiamenti climatici o alla scarsità di risorse economiche, quando accadono eventi che minano la sicurezza idrogeologica del territorio. È infatti pericoloso, perché così facendo si rischia di togliere l’attenzione da altri problemi, che hanno un’incidenza ben più elevata».

È la risposta dell’ingegnere bellunese Luigi D’Alpaos alla domanda sullo “stato di salute” del territorio della provincia di Belluno e sulla prevedibilità di fenomeni più o meno calamitosi. D’Alpaos era ieri nel capoluogo, in sala Bianchi, nell’ambito delle attività previste per le due giornate di studio organizzate in suo onore (a breve lascerà infatti l’insegnamento, ndr) dal Dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale dell’Università di Padova, dalla Fondazione “G. Angelini” e dal Comune di Belluno. Una scelta, quella del luogo, non casuale, visto il legame che d’Alpaos, originario dell’Alpago, da sempre intrattiene con la sua terra natale. E proprio in relazione alle nevicate straordinarie che hanno colpito la parte “alta” della provincia nelle scorse settimane e al black out che ha messo in ginocchio interi paesi, il professore ordinario di Idrodinamica applicata all’Università di Padova ha qualcosa da dire:

«Sono fenomeni che ci possiamo aspettare», commenta. «Con questo non intendo dire che si può prevedere in toto quello che accadrà. I grandi fenomeni sono un po’ più difficili da “anticipare”. Ma quelli più “piccoli” sì che c’è modo di prevederli e prevenirli. Sono infatti legati all’abbandono del territorio. E proprio gli eventi più piccoli, se trascurati, spesso diventano “grossi”». Dire che tutto dipende dal clima, dai suoi improvvisi cambiamenti ed evoluzioni, dal fatto che non esistono più le stagioni è riduttivo: «Se pensiamo di essere nelle mani del Padre eterno, questo non è certo un atteggiamento produttivo», dice ancora D’Alpaos.

«Dobbiamo considerare le grosse responsabilità che abbiamo noi essere umani, che abbiamo fatto tante cose negative a scapito del territorio. Anche quella dei soldi che mancano è spesso una scusa. Certo, le risorse economiche ci sono in misura più ridotta. Ma quello che in realtà manca è una volontà politica di portare avanti azioni che portano risultati più a lungo termine che non nel breve. E forse proprio per questo non si vogliono intraprendere».

Insomma, secondo D’Alpaos bisogna aprire gli occhi sul fatto che tanti danni e catastrofi ambientali non accadono per caso, ma sono responsabilità di un uomo moderno «che è decisamente poco saggio».

Un aspetto che l’ingegnere ha dimostrato in passato con alcuni studi svolti anche in territorio provinciale (si pensi a quello sul polo industriale di Longarone). Ieri, invece, durante la sua lectio – a cui sono seguiti gli interventi di Danella e Canestrelli del Comune di Venezia, Fenti e Angelini sulle emergenze in Alpago e Bortoluzzi sugli Oronimi – D’Alpaos ha portato come esempio il “caso” della laguna, trattando non solo la questione delle “acque alte”, ma soprattutto quella dei cambiamenti morfologici, causati dalle opere dell’uomo.

«Anche questa è un’esperienza che dovrebbe insegnare», ha messo in evidenza. «Viviamo in un tempo in cui le voglie ingorde degli uomini non si pongono limiti. E questo accade ovunque, in pianura e in laguna come in montagna. L’ingordigia c’è dappertutto».

Martina Reolon

 

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