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A volte tornano: Baita, Casarin e Brentan riecco i “facilitatori”

Negli ultimi decenni Baita è apparso più volte nelle cronache giudiziarie, sempre per tangenti

LE CARTE – Sempre gli stessi i “facilitatori” del sistema tangentizio

Eccoli di nuovo. Sembra di tornare indietro di vent’anni. E di nuovo troviamo Piergiorgio Baita. E di nuovo Enzo Casarin. Uno allora vicino alla Dc e l’altro al Psi. E naturalmente nel mazzo c’è anche uno del Pci, Lino Brentan, che finisce agli arresti domiciliari per la seconda volta e nel giro di un paio di anni, mentre agli altri due ce ne sono voluti 20 per tornare dietro le sbarre. Ma è chiaro che è tutto come prima, solo più raffinato, più “oliato”, più perfetto. Vent’anni fa Baita & Co. erano apprendisti stregoni della mazzetta, adesso sono diventati professionisti. Adesso il “nero” si fa creando un giro vorticoso di società che fanno da cartiere nel senso che producono solo fatture senza alcun corrispettivo dal punto di vista del lavoro e alla fine su queste fatture si chiede pure il rimborso Iva, che non si sa mai. Partiamo da Piergiorgio Baita, che è un genio degli appalti, uno dei manager più abili e forse il più importante d’Italia, uno che da del tu al ministro di turno e che viaggia sul milione di euro di stipendio. Baita viene arrestato la prima volta nel luglio 1992, quando era un semplice direttore di un banale ente come il Consorzio Venezia Disinquinamento. Aveva 44 anni, allora, e grazie a lui i magistrati veneziani Carlo Nordio, Felice Casson e Ivano Nelson Salvarani avevano ricostruito la trama delle tangenti nel Veneto del presidente Dc della Regione, Franco Cremonese. Baita aveva spiegato che esisteva un accordo spartitorio tra il Psi di Gianni De Michelis e i dorotei della Dc – Bernini e Cremonese – accordo che coinvolgeva anche il Pci. Baita aveva spiegato che la Maltauro per lavorare si era scelta come referente la Dc, mentre Grassetto e Ccc erano sponsorizzate dal Psi e la Lega delle Cooperative era un tutt’uno con il Pci-Pds. Era il 1992. Vent’anni dopo Baita ri-spiega ai magistrati il meccanismo e pare di leggere in fotocopia quel che ha raccontato allora. Non è cambiato nulla. La politica ha bisogno di soldi per vivere e i soldi li hanno solo gli imprenditori, i quali, se vogliono lavorare, sono costretti a pagare la politica. Non se ne esce. Poi vai a vedere se è nata prima la gallina della concussione – cioè la richiesta di denaro da parte del politico – o l’uovo della corruzione – l’imprenditore che paga per lavorare, ma il succo non cambia.
Passiamo ad Enzo Casarin, 60 anni compiuti il 13 febbraio. Anche per lui è un ritorno alle origini, ma in sedicesimo rispetto a Baita. Per capirci è come fare un paragone tra il generale Patton e il maresciallo di una caserma dell’esercito. Casarin viene arrestato per mazzette, in Comune a Martellago – di cui è sindaco – la prima volta nel 1993 e se ne esce patteggiando due anni di galera. Viene ri-arrestato nel 1995 e ancora per mazzette, ma alla fine riesce a cavarsela con la prescrizione. In politica da quando aveva i calzoni corti – inizia come extraparlamentare nelle fila di Avanguardia Operaia – Casarin si avvicina al partito socialista area Umberto Carraro di cui diventerà segretario in Regione – quando Carraro era vicepresidente della Giunta. Poi nella segreteria di Chisso da sempre, Quello dell’altro ieri è il suo terzo ingresso in carcere. Infatti era il più tranquillo, il ritratto della seraficità. Più nervoso invece il terzo protagonista della saga “rieccoli!”. Parliamo di Lino Brentan, che torna agli arresti domiciliari dopo aver subito la stessa misura nel luglio 2012 ed essersi già beccato una condanna a 4 anni di galera per le mazzette incassate quando era l’amministratore delegato della Venezia-Padova. In quel caso l’inchiesta era partita da una precedente indagine sulle mazzette in Provincia. Dalla Provincia a Brentan e da Brentan alla Mantovani e al nuovo arresto legato ai lavori relativi alla mitigazione ambientale sulla terza corsia dell’autostrada. Secondo l’accusa Brentan “induceva Piergiorgio Baita della Mantovani e Mauro Scaramuzza della Fip Spa, che avevano presentato una offerta migliore a rinunciare ad un ricorso”. Non solo, Brentan avrebbe poi “indotto lo Scaramuzza ad eseguire le opere in subappalto da Sacaim ad un costo fuori mercato deciso dal Brentan medesimo”, infine Brentan si faceva pure consegnare da Scaramuzza 65 mila euro. Insomma Brentan fa e disfa come vuole e, in più si fa pagare, costringendo Baita a fare marcia indietro e a perdere l’appalto. Di solito era lui, Baita, ad averla vinta e questa forse è la prima volta che esce sconfitto dallo scontro con il potentissimo Lino Brentan, 66 anni, da sempre il numero uno del Pci-Pds,Ds,Pd dalle parti della Riviera del Brenta.

Maurizio Dianese

 

IL CONFORMISTA di Massimo Fini

Lo scandalo Mose è la rappresentazione dell’Italia di oggi

Due giugno, Festa della Repubblica. Il Presidente Napolitano ha fatto, tutto festante, un bagno di folla traendone i più beneauguranti auspici (bisognerebbe stare attenti ai bagni di folla, visto i precedenti). Il premier Renzi si è fermato ad accarezzare i bambini (bisognerebbe stare attenti a strumentalizzare i bambini ad uso di propaganda politica, visto i precedenti) e poi si è fermato a prendere un caffè in un bar dell’Ara Coeli, sotto i flash dei fotografi, per far vedere che lui è ‘uno come tutti gli altri’. A Parigi qualche anno fa ho visto Carla Bruni in un bistrot, insieme a dei suoi amici, era lì per divertirsi non per far vedere che anche una ‘Première dame’ può fare una vita normale. Sarebbe bene che i nostri uomini politici non facessero ‘bagni di folla’ o perlomeno che non li facessero tra gente che agita bandierine predisposta ad osannarli, come avviene nei regimi. A me basterebbe vederli, almeno una volta, in un cine nascosti fra il pubblico. Forse si renderebbero meglio conto degli umori dei cittadini.
Due giugno, Festa della Repubblica. Cosa c’è da festeggiare? Per almeno 35 dei suoi 68 anni, e quindi più della metà, la Repubblica italiana ha vissuto stagioni orribili. Quella delle stragi, da piazza Fontana (1969) a Brescia, a Bologna, a Ustica. Poi abbiamo avuto il ‘terrorismo rosso’, il più feroce e spietato dei terrorismi interni in Europa. La Democrazia Cristiana non l’affrontò sul campo, contando, come suo solito, che il fenomeno si esaurisse da solo, per il Pci erano ‘compagni che sbagliano’, parte del Psi, per snobismo intellettuale, ne era addirittura contiguo (Giampiero Mughini si vanterà, in un libro, che un comunicato di Morucci e Faranda fosse stato scritto nella sua cucina, con la sua Lettera 32). Così da noi il terrorismo, a differenza di quanto è successo in Germania o in Francia, è durato dieci anni, più o meno fino all’assassinio del mio fraterno amico Walter Tobagi, cui nessuna Festa della Repubblica ridarà la vita.
Poi sono venuti gli anni socialisti, gli anni della ‘Milano da bere’. Per la verità se la bevevano solo i socialisti. Perché Don Rodrigo stava a Roma ma molti suoi vassalli spadroneggiavano a Milano fino a ‘torre le donne altrui’ in cambio di una conduzione o di una comparsata a Rai Uno e Due di cui si erano nel frattempo impadroniti. Sono gli anni del voto di scambio, clientelare, delle ‘pensioni baby’, delle pensioni fasulle di vecchiaia, delle false pensioni di invalidità, delle ‘pensioni d’oro’ in cui abbiamo accumulato una parte di quel debito pubblico che oggi grava sui ceti più deboli. L’altra parte è venuta fuori con Mani Pulite: non c’era appalto, nella festosa Repubblica, che non fosse gravato da una tangente politica, 630mila miliardi di ruberie il cui costo è ricaduto sulla testa dei cittadini perché gli imprenditori rincaravano i prezzi in proporzione.
All’inizio della Repubblica c’era una sola mafia, cui peraltro il fascismo aveva tagliato le unghie. Oggi ce ne sono quattro: la mafia propriamente detta, la camorra, la Sacra Corona Unita e la mafia calabrese che, a differenza della vecchia, cara e mai troppo rimpianta ‘mala’ meneghina, non si vede, perché ha alzato il livello e fa affari con i politici e gli amministratori.
La principale responsabilità del ventennio berlusconiano è di aver tolto agli italiani quel poco di senso della legalità che gli era rimasto. Oggi, nella festosa Italia repubblicana, c’è gente, già miracolata perché occupa posti di prestigio e benissimo remunerati senza alcun merito, che si vende per un pranzo in un bel ristorante, per una mutanda chic. Una escort ha più dignità. Lo scandalo recentissimo del Consorzio Nuova Venezia, in cui sono coinvolti personaggi politici e amministratori, di alto e basso livello, ne è una rappresentazione plastica.
A noi ci ha rovinato il benessere. Nel 1960, sedicenne, entrai per la prima volta in un Supermarket. Mi pareva il Paese di Bengodi. Era invece il cavallo di Troia che entrava in città e ci avrebbe tolto, per sempre, l’innocenza.

 

I VERBALI – Le confessioni ai pm degli ex presidenti di Mantovani e di Consorzio Venezia Nuova

BOTTA E RISPOSTA – Lei pagava il politico oppure il partito? «Per il partito, poca roba»

«Per l’approvazione in Commissione Via delle dighe in sasso furono chiesti 900mila euro»

«E per l’ok al progetto definitivo in Salvaguardia, furono richiesti ulteriori 900mila euro»

Baita e Mazzacurati: milioni a Galan e Chisso e loro «risolvevano»

FINO ALLA FINE «L’ultima corresponsione l’ho fatta un mese prima dell’arresto di Baita»

IL SISTEMA «Cominciai a pagare Chisso alla fine degli anni Novanta»

L’UOMO MACCHINA Giovanni Mazzacurati ammette «di aver dato soldi ma mai direttamente a Galan»

Il romanzo delle tangenti veneziane ha un capitolo introduttivo fondamentale. È costituito da parole che scottano, accuse che vengono da persone inserite nel sistema, anzi cuore del sistema delle elargizioni. Ovvero, Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani, e Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. È soprattutto con queste chiamate di correo che l’ex governatore Giancarlo Galan e l’assessore regionale Renato Chisso dovranno fare i conti davanti ai magistrati. I verbali sono stati riempiti quando i due erano ancora detenuti, completati una volta che sono tornati in libertà. Questo è il racconto dei milioni di euro asseritamente finiti a Palazzo Balbi.
INTERROGATORI-CHIAVE DI BAITA. Baita viene sentito per tre volte sui rapporti con Galan-Chisso. Il 28 maggio, il 17 settembre e il 30 ottobre 2013. La prima volta, a domanda, risponde: «L’altro importante episodio che ricordo è stata l’approvazione da parte della commissione VIA della Regione Veneto delle dighe in sasso per le quali Mazzacurati mi disse che gli era stato richiesto dall’assessore Chisso a nome del Presidente Galan il riconoscimento di 900 mila euro. Altro episodio specifico è stata l’approvazione in commissione di Salvaguardia del progetto definitivo del sistema Mose per il quale, sempre attraverso Chisso, ma a nome del Presidente Galan, fu richiesta la somma di ulteriori 900 mila euro».
LE RICHIESTE DI GALAN. È questo il punto di partenza, poi Baita prosegue: «Queste somme vengono chieste a me da Mazzacurati. Io ho personalmente dato al Consorzio un totale di 900 mila euro in questo modo: 600 mila euro le ho consegnate direttamente all’ing. Neri, 300 mila euro le ha consegnate all’assessore Chisso la dottoressa Minutillo dopo averla portata in Consorzio. Spiego meglio: è venuta in Consorzio con 600 mila euro, 300 li ha lasciati credo al signor Sutto e gli altri 300 ha detto: “Siccome sono quelli che avanza Chisso, glieli porto io”». Conferme? «Io poi ho avuto modo di parlare con Chisso, mi ha detto che era tutto a posto… Che aveva ricevuto».
I Pm insistono: «Per quanto riguarda la VIA, i primi 900 mila euro?». Risposta: «Li ho consegnati a Mazzacurati… sempre in quel periodo. Bisognerebbe far capo a quando è stato approvato in commissione VIA la diga di Malamocco, e un anno dopo il pagamento era stato completato, anche perché avevamo avuto molte sollecitazioni da Chisso dicendo che Galan lo pressava». Pagamento a rate? «Sì, sì, in più rate. Sono due da 900 mila, io ne pago 900». Domanda: «E dove li portava?». «In Consorzio».
MINUTILLO CONSEGNA. Il 17 settembre 2013 un ulteriore approfondimento. Domanda: «Nel precedente interrogatorio precisa che lei paga il singolo politico e non il partito». Risposta: «Sì, ho fatto anche qualcosa per i partiti, poca roba». D. «Queste somme tramite chi venivano consegnate a queste persone? R. «Per quanto riguarda Galan, fino al 2005 attraverso la signora Minutillo, esclusivamente… dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso; dopo il 2010 non c’é più stato sostegno politico a Galan, perché dopo il 2010 é andato a fare un altro mestiere, é rimasta una sorta di soggezione verso una persona importante ma non aveva più un ruolo politico. Per quanto riguarda Chisso, invece, fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente; dal 2005 al 2010 ha provveduto pure la dottoressa; dal 2010, quando noi abbiamo interrotto i rapporti con BMC, ho provveduto io».
IL CROLLO DEL PATRIARCA. Il 31 luglio 2013 è la data in cui Giovanni Mazzacurati decide che è venuto il momento di raccontare dei soldi pagati in Regione. Galan e Chisso, sempre loro.
D. Lei ha mai consegnato somme a qualche politico veneto?.
R. «Sì, é successo, sì».
D. A chi?
R. «È successo. Le ho date a Chisso… Importi nell’ordine tra i 50 e i 150, ecco, una roba del genere, questi sono gli importi che davo. Li davo generalmente un paio di volte l’anno».
D. Un totale di 2-300 mila l’anno?
R. «Sì, forse un po’ meno, ma insomma diciamo sui 200-250 all’anno».
D. Lei li dava personalmente a Renato Chisso?
R. «Li ho dati.. io penso di averglieli dati due volte… Personalmente due volte… penso una volta in Regione e una volta potrei averli consegnati all’Hotel Monaco».
D. Quando iniziano queste corresponsioni a Chisso?
R. «Io credo di aver cominciato alla fine degli anni ’90».
D. E l’ultima quando é avvenuta?
R. «Le ultime non le ho fatte io, perché penso di aver utilizzato o Sutto o.. sì, di aver utilizzato un’altra persona, insomma. L’ultima un mese o due prima dell’arresto di Baita». Agli inizi del 2013.
BAITA SAPEVA. Mazzacurati non si ferma. «Con Baita abbiamo parlato varie volte di queste cose… praticamente ogni volta che si faceva un pagamento o cosa, si concordava».
D. Quindi i pagamenti che Baita ha fatto avere a Galan erano concordati con lei?
R. «No, il rapporto con Galan era.. erano anche concordati con me, ma… Baita concordava alcune somme. Da quello che io ho potuto percepire, a parte che sapevo anche, ci sono… c’erano spese per questa casa che Galan si é costruita ad Arquà Petrarca, e poi altre somme, insomma. Niente, una parte di queste somme sono state corrisposte dal Baita».
D. Chi decideva le somme?
R. «Le decideva… generalmente, Baita aveva dei lavori sia dentro nel rapporto in cui c’entrava il Venezia Nuova e sia al di fuori. Per i lavori del Consorzio si decideva insieme».
D. Più o meno che cifra avete corrisposto, complessivamente o annualmente?
R. «La cosa era molto variabile però diciamo che si può considerare, per esempio, un milione l’anno, un milione di euro».
D. Di euro l’anno?
R. «L’anno. Quello che si finiva per…».
D. Per dare al Governatore?
R. «Per dare al Governatore oppure per dare a chi voleva il Governatore, nel senso che… per esempio poteva entrarci anche Chisso nella cosa».
D. Queste cifre chi gliele dava materialmente?
R. «Molte ce le dava Baita. Io mi trovavo con Baita e lui razionalizzava un pochino insieme quanto doveva arrivare a un uomo, quanto all’altro. Quindi quei soldi erano quasi sempre di Baita. Un’altra parte veniva dal Coveco, cioé da Savioli, però si tratta di cifre molto più modeste, un 10%…».
D. Lei ha mai fatto consegne personalmente a Galan?
R. «No. Le ho fatte a Chisso, ma non a Galan».
E GALAN RISOLVEVA. Ma cosa faceva in cambio dei soldi il Governatore? La domanda è ovvia. Mazzacurati. «Ci fu un’occasione in cui Galan é andato via, era partito, ed era nato un problema. Io chiamai Baita per vedere di fare rientrare Galan che potesse intervenire su una di queste opere che era fondamentale per poter continuare, il fermo di una di queste opere poteva avere un effetto a catena sulla costruzione. Ecco, Galan era fuori, rientrò e la cosa ebbe un effetto chiamiamolo positivo, nel senso che lui intervenne e riuscì a fare approvare queste scogliere, insomma. E’ stato uno di quei momenti importanti in cui il lavoro si poteva bloccare e invece ha continuato».
D. Quindi, viste anche le cifre versate, é esatto dire che il Galan fosse un vostro ferreo sostenitore, o quanto meno dell’opera?
R. «Sì, direi di sì, assolutamente».
D. Quando avevate qualche problema vi rivolgevate abitualmente al Governatore?
R. «Sì, io mi rivolgevo a lui, a Chisso, poi andavo.. o andavo dal dottor Letta, l’elenco che le ho fatto mi pare l’altra volta».
Qui il verbale è coperto da “omissis”. Letta è l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio nei governi Berlusconi.

Giuseppe Pietrobelli

 

IL SEGRETARIO BONELLI – I verdi aprono il fronte burocratico: «L’opera manca del timbro del Consiglio

superiore dei lavori pubblici»

ROMA – Il Mose è senza la Valutazione di impatto ambientale (Via) e anche senza la validazione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. È il leader dei Verdi Angelo Bonelli che apre uno squarcio ‘tecnico’, che si aggiunge a quello giudiziario, sul sistema che dovrebbe governare le maree in Laguna a Venezia. Bonelli parla di «un problema di vulnus» su cui «la corruzione ha fatto carne da macello. Noi ci troviamo di fronte a un’opera che alle sue basi è profondamente illegittima senza una validità tecnica né scientifica». Il leader dei Verdi ricorda che già nel 2006 presentarono un’interrogazione al ministro delle Infrastrutture (a quel tempo Antonio Di Pietro) chiedendo perché «il Mose non avesse ancora la Valutazione di impatto ambientale e perché mancasse la validazione scientifica del Consiglio superiore dei Lavori pubblici». Nella risposta data dal ministro – rileva Bonelli – si diceva che «il Consiglio superiore dei Lavori pubblici non era mai stato incaricato di validare il progetto del Mose e che i progetti definitivi ed esecutivi erano stati fatti dal Magistrato delle acque». Ma ora, osserva Bonelli, «la storia ci dà ragione: chi allora ci metteva nell’angolo adesso ci ha portato al disastro».

 

I LAVORI CONTINUANO – Da domani comincia la posa delle paratoie lungo la bocca di porto di Chioggia

VENEZIA – Da domani iniziano le operazioni di posa dei cassoni del Mose alla bocca di porto di Chioggia. «La movimentazione – fanno sapere dal Consorzio Venezia Nuova – avverrà nel periodo compreso tra giugno e settembre, in giorni stabiliti dalle Autorità preposte e comunicate volta per volta agli organi di informazione e attraverso i canali della Capitaneria di Porto di Chioggia. L’operazione obbliga alla chiusura totale della bocca di porto alla navigazione in entrata e in uscita per 48 ore consecutive, così da garantire la massima sicurezza durante le operazioni di varo e posa dei cassoni (saranno anche presenti operatori subacquei).

 

ALLA CAMERA Mercoledì la Giunta per le autorizzazioni

Rabino (Sc): termine fissato al 4 luglio

ROMA – È prevista per mercoledì prossimo la seduta della Giunta delle Autorizzazioni della Camera nella quale si discuterà della richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare nei confronti del deputato di Forza Italia e presidente della commissione Cultura Giancarlo Galan. Il relatore è Mario Rabino, deputato di Scelta Civica. «Passerò il week end a studiare le 738 pagine del provvedimento del giudice delle indagini preliminari – spiega – sempre che nel frattempo non arrivino altre carte o altre richieste. La volontà è di procedere con rigore, verificando se sarà necessario richiedere altra documentazione e dando la possibilità a Galan di essere ascoltato, senza intento dilatorio, per concludere entro i trenta giorni previsti, quindi entro il 4 luglio, l’esame del caso».

 

Il restauro milionario della barchessa

Baita ricostruisce l’iter dei lavori: Galan attraverso Venuti chiese un “aiutino” per le parcelle di Turato

LA SPESA – Un’operazione da 1,7 milioni

Una doppia ipotesi di parcella. La prima con i prezzi che l’architetto praticava abitualmente, con gli sconti, la seconda con un calcolo maggiorato dei soldi che avrebbe dovuto ricevere da Giancarlo Galan. È attorno a questi documenti che ruota una delle accuse di corruzione: aver goduto dei pagamenti della Mantovani per la ristrutturazione della propria villa (con barchessa) a Cinto Euganeo. La casa ospitò la festa per il matrimonio del presidente a cui partecipò Silvio Berlusconi, come testimone di nozze.
È Piergiorgio Baita a raccontare di aver saputo dall’architetto Danilo Turato, padovano, finito ora ai domiciliari, che Galan aveva acquistato la villa. Il progetto di ristrutturazione ammontava a un milione 700 mila euro. «Attraverso il suo addetto stampa, che era il dottor Miracco, che è mio amico, Galan mi dice se potevo contattare il dottor Paolo Venuti (ora in carcere, ndr), che è il suo commercialista». Baita si sente chiedere un aiuto per la spesa. Poi spiega a Galan che è in difficoltà. «E lui mi ha chiesto solo se posso almeno venire incontro alle parcelle di Turato. Ho detto: “Va bene”. Turato è venuto con i conti versione A, versione B: versione A le sue competenze, versione B quanto avrebbe potuto… la cosa va avanti fino al 2009».
Poi Galan vuole ristrutturare la barchessa. Baita spiega ai Pm: «Ho sostenuto i lavori accollandomi, attraverso una serie di incarichi, i costi di una società che si chiama Tecnostudio dell’architetto Turato». Scrive il gip: «Si è trattato di 4-5 incarichi (sede Mantovani e Ortofrutticolo di Mestre, ndr) che sono stati pagati al prezzo intero, senza chiedere alcuno sconto sulle tariffe, risultando in pratica una sovrafatturazione, poichè la differenza rispetto al prezzo ribassato di mercato costituiva il prezzo dei lavori presso la casa di Galan».

G. P.

 

La difesa di Orsoni «Mazzacurati mente»

MAZZACURATI «Abbiamo sostenuto la campagna elettorale»

BAITA «Per lui due forme diverse di pagamento»

L’AVVOCATO «Il sindaco non c’entra nulla con i corruttori»

SOLDI IN NERO Il primo cittadino fa sapere di essere addolorato dalle accuse

Mazzacurati si è inventato tutto. Si potrebbe sintetizzare così la linea difensiva che il sindaco (sospeso) di Venezia, Giorgio Orsoni, sosterrà questa mattina nell’aula bunker di Mestre, nel corso dell’interrogatorio fissato davanti al giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza che ha disposto nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari in relazione ad un presunto finanziamento illecito riferito alla campagna elettorale del 2010.
Il suo difensore, l’avvocato e presidente dell’Ordine, Daniele Grasso, riferisce che Orsoni è tranquillo e sereno, ma anche determinato e battagliero come suo carattere: «Ha studiato gli atti ed è pronto a difendersi – spiega il legale – È sicuro di poter dimostrare la sua non responsabilità negli episodi che gli vengono contestati».
Non è ancora chiaro se il sindaco accetterà di rispondere alle domande del giudice, o se si limiterà ad una dichiarazione spontanea. Di sicuro è deciso a lottare fino alla fine per cercare di cancellare l’infamante accusa che lo ha portato agli arresti e alla sospensione dalla carica pubblica.
Il suo difensore tiene a precisare che Orsoni «non c’entra nulla con le ipotesi che riguardano corruttori e millantatori. L’ipotesi di finanziamento illecito è reato di minore gravità e appartiene ad un contesto ben diverso».
Grasso evidenzia che il sindaco è totalmente estraneo alle presunte “mazzette” contestate ad altri, tra cui l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan e l’assessore Renato Chisso. L’accusa, infatti, si riferisce a denaro utilizzato per attività politica, non a soldi che l’avvocato diventato primo cittadino si sarebbe messo in tasca per favorire illecitamente il Consorzio Venezia Nuova: il Comune non ha alcuna competenza in merito ai lavori del Mose e dunque non può influire in alcun modo.
I capi d’imputazione formulati nei suoi confronti dai sostituti procuratore Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Stefano Bucini sono due. Il primo fa riferimento ad un contributo elettorale di 110mila euro formalmente versato nel 2010 al mandatario del Comitato elettorale del candidato sindaco Orsoni dalle società San Martino Sc, Clea Scarl, Bosca srl e Cam Ricerche srl, e regolarmente registrato. Secondo la Procura, però, tale contributo è irregolare perché, in realtà, proveniva dal Consorzio Venezia Nuova, frutto di presunte fatture per operazioni inesistenti, mediate dal consorzio Coveco. E Orsoni, secondo i magistrati, era a conoscenza di questo “giro” illecito. Per il sindaco, invece, è tutto in regola. O quantomeno Orsoni era convinto che lo fosse. Assieme a lui risultano indagati anche l’ex presidente del CNV, Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente della Mantovani, Giorgio Baita e tutti gli imprenditori coinvolti nei presunti illeciti per procurare i soldi, tra cui il presidente dell’Istituzione gondola, Nicola Falconi.
La seconda contestazione riguarda un ulteriore versamento di circa 450 mila euro che sarebbero stati consegnati ad Orsoni in più rate, in contanti, da Mazzacurati e da Baita (50mila). Soldi versati quasi tutti in “nero”, senza alcuna ricevuta o registrazione. Ma Orsoni nega con decisione di aver mai ricevuto questi soldi, ed è addolorato nel aver appreso che a raccontare queste cose sia stato un uomo come Mazzacurati, al quale era legato da profonda amicizia.
Oltre alla confessione dell’ex presidente del Consorzio, contro di lui ci sono le deposizioni di Baita e nei verbali si fa riferimento anche a Sutto, il “cassiere” al cui normalmente venivano delegati molti pagamenti, come si è appreso dalle carte dell’inchiesta.
Nell’interrogatorio del 17 settembre 2013, Baita spiega che esistevano due forme parallele di finanziamento per Orsoni, una ufficiale e una in nero, e aggiunge di aver dato 50 mila euro a Orsoni consegnandoli a Federico Sutto. Non è chiaro se Sutto abbia confermato la circostanza.
Mazzacurati, nell’interrogatorio del 31 luglio 2013, precisa: «Ecco, noi abbiamo sostenuto Orsoni sulla campagna elettorale e abbiamo speso quella cifra… 400-500 mila euro. La parte regolare è una piccola parte rispetto al totale, che è stato rilevante».
Secondo Mazzacurati la parte “in bianco” era del 10 per cento della somma totale. Per quanto riguarda la parte “in nero”, oltre ai 50 mila euro che Baita ha dato a Sutto perché li portasse ad Orsoni, anche Mazzacurati assicura di aver dato quattrini a Federico Sutto: «una parte l’abbiamo fatta portare da Sutto» percé li facesse avere ad Orsoni. Una parte invece sarebbe stata consegnata direttamente dall’ex presidente del CVN: «A casa sua ho portato la differenza, ho portato in vari scaglioni, ogni volta gli portavo 100 mila euro, 150 mila euro, fino al completamento».
Tutto falso, tutto inventato secondo Orsoni. Ora spetterà alla difesa il compito di cercare di “smontare” le testimonianze di chi ha raccontato nei dettagli le modalità con cui fu finanziata la sua compagna elettorale. Impresa tutta in salita.

Gianluca Amadori

 

COMUNE DI VENEZIA – Il prefetto sospende Orsoni dalla carica di primo cittadino

Giorgio Orsoni, posto l’altro ieri agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, è stato sospeso dalla carica di sindaco di Venezia. Lo ha deciso il prefetto, Domenico Cuttaia, sulla base dell’ordinanza ricevuta dalla Procura. La sospensione, ricorda la Prefettura, è un atto dovuto in base alla cosiddetta ‘legge Severino’ nei confronti degli amministratori locali destinatari di misure coercitive in base agli artt.284, 285 e 286 del codice di procedura penale. Dopo il provvedimento di sospensione del sindaco di Venezia le funzioni attribuite al sindaco sono esercitate in via temporanea dal vicesindaco, Sandro Simionato.
E ieri due riunioni importanti. A tarda sera i partiti di maggioranza che reggono il governo della città si sono ritrovati alla ricerca di una soluzione all’empasse. Una riunione affollatissima, con quasi tutti i Consiglieri comunali, gli assessori e i segretari dei partiti. Il clima era preoccupato, teso, ma molto serio, volto a cercare di trovare una via d’uscita che non metta la città in ginocchio consegnandola al Commissario straordinario. La decisione, arrivata poco prima di mezzanotte, è stata quella di attendere l’interrogatorio di oggi di Orsoni e intanto cercare di anticipare la votazione del Bilancio, che è l’unico vero ostacolo allo scioglimento del Consiglio comunale. Se arrivasse il Commissario, temono i partiti che governano il Comune di Venezia, non ci sarebbe infatti argine ai tagli improvvisi e non ragionati al welfare. Dunque, si aspetterà la mossa di Orsoni che vuole andare rapidamente davanti al Tribunale del riesame per cercare di tornare in libertà.

 

Il generale a tre stelle usato come una talpa per sabotare le indagini

«Il mio telefonino sotto ascolto per sei mesi: me l’hanno detto»

L’ACCUSA – Spaziante, ex GdF rivelò a Mazzacurati le intercettazioni

“SPIA” L’ex generale della Finanza Emilio Spaziante, indicato come “talpa” per depistare le indagini

È stato arrestato all’Hotel Principe di Savoia a Milano, pare stupendosi del fatto che i finanzieri di Venezia sapessero che era lì. Proprio lui che aveva dato un duro colpo all’indagine svelando a Mazzacurati le utenze telefoniche intercettate dalla procura lagunare. Emilio Spaziante, il generale a tre stelle in pensione, che ha scalato la gerarchia del Corpo, fermandosi a un passo dal vertice, è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, accusato di corruzione nell’ambito della maxi inchiesta sulle tangenti del Mose.
A mettergli le manette ai polsi gli stessi sottoposti che solo a posteriori si sono resi conto che le richieste di informazioni sulla verifica fiscale in atto al Consorzio Venezia Nuova da parte dell’alto ufficiale erano tutt’altro che di carattere diciamo investigativo. Spaziante infatti, secondo quanto scrive il gip veneziano Alberto Scaramuzza nell’ordinanza di custodia cautelare, figurava nella lista degli stipendiati Cvn.
A dichiararlo ai magistrati Piergiorgio Baita, l’ex patron di Mantovani spa, arrestato il 28 febbraio del 2013, giorno che ha scattare il conto alla rovescia, come emerso l’altro ieri, dell’annientamento della cupola del malaffare, gestita da plenipotenziario da Giovanni Mazzacurati, presidente del Cvn, arrestato quattro mesi e mezzo dopo. I pagamenti a Spaziante, Baita li inserisce tra le cosiddette “emergenze”: ovvero l’uomo giusto al momento giusto alla bisogna. Soggetti cioè cui rivolgersi per risolvere particolari problemi. E non a caso Spaziante entra nel fascicolo aperto dal pm Paola Tonini, l’11 giugno 2010.
È il giorno in cui i militari del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia, allora guidati dal colonnello Renzo Nisi, fanno scattare la verifica fiscale nella sede del Cvn. Un imprevisto che impedisce il prelievo dei soldi raccolti da Luciano Neri, cassiere in nero del Cvn, da portare a Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria con sede a Vicenza, e destinatati a Marco Milanese, al tempo consigliere politico del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per aver sbloccato al Cipe 400 milioni di finanziamenti per il Mose. Nel pomeriggio Mazzacurati aveva fissato l’appuntamento nella città berica con Meneguzzo per la consegna della mazzetta. Incontro che non viene annullato.
Ed ecco che gli inquirenti stabiliscono un nesso tra la visita di Mazzacurati a Meneguzzo e nello stesso giorno la partenza immediata per Venezia da Roma del gen. Spaziante. All’indomani Mazzacurati inoltra via fax a Meneguzzo che si trova all’Hotel Excelsior del Lido dove ha a disposizione un alloggio, il verbale di ispezione della Finanza. Documento che mostrerà a Spaziante anche lui a Venezia. Il quale il 13 giugno telefonerà per due volte al diretto superiore dei verificatori, il generale Walter Manzon – ora comandante regionale in Puglia – sottoposto di Spaziante quando questo era comandante regionale in Lombardia. Il secondo aggiornamento, quello più dannoso, sulle indagini in corso Mazzacurati le avrà a novembre. Con Spaziante non parla mai direttamente al telefono ma sempre con la mediazione di Meneguzzo.
Il 25 novembre Spaziante chiama Manzon e quest’ultimo il 26 richiede al col. Nisi, come scrive il gip, “un prospetto riepilogativo delle persone oggetto di intercettazione e nel quale fosse specificato il numero di telefono e indicando altresì l’esistenza di eventuali intercettazioni ambientali e ovviamente il col Nisi non potendo avere in quel momento alcun tipo di sospetto trattandosi di dati richiesti dal suo diretto superiore gerarchico, gli fornisce tali dati”. Dati di cui Mazzacurati verrà a consocenza da Spaziante visto di persona sempre il 26 al residence Ripetta a Roma. È così che Mazzacurati apprenderà di essere intercettato.
Non saprà però delle cimici che sono nel suo ufficio. Il 3 dicembre la microspia registra la conversazione con Antonio Armellini, ex diplomatico: «Sei mesi di registrazioni… il mio telefonino… me l’hanno detto… è ancora sotto controllo fino alla fine dell’anno. Mi hanno detto di una telefonata che hanno registrato col dottor Letta… una con Matteoli… e col dottor Letta pensi… mi hanno raccontato ma io la ricordavo benissimo».
Il 10 dicembre parla con l’avvocato Stefano Sacchetto e gli dice di sapere che c’è anche un procedimento penale a suo carico: «Ci sono questi giudici… non è la Guardia di Finanza che sono venuti tante altre volte… sono dei pm, una è una signora che si chiama Tonini… La Guardia di Fianzna è lo strumento … è la magistratura che sta facendo». Informazioni che rischiano di mandare all’aria l’inchiesta e che secondo l’accusa Mazzacurati pagherà a Spaziante 500mila euro, avendone promessi 2 milioni e mezzo.

Monica Andolfatto

 

LO SNODO – Meneguzzo era il punto di contatto tra il capo del Consorzio e l’ufficiale

Spaziante è stato arrestato nello stesso albergo di Milano dov’era alloggiato, l’uno pare all’insaputa dell’altro, anche Roberto Meneguzzo, faccendiere vicentino e amministratore delegato (ad) di Palladio Finanziaria pure lui finito con le manette ai polsi. È stato quest’ultimo a mettere in contatto Mazzacurati con l’alto ufficiale che, come Meneguzzo, era un buon amico dell’ex tenente colonnello della GdF, avvocato ed ex deputato Pdl Marco Milanese, già consigliere del ministro Tremonti. Durante la perquisizione in una delle case nella disponibilità del generale delle Fiamme gialle in pensione, Spaziante, sono stati sequestrati 200mila euro in contanti.

 

NEUTRALIZZATE LE «INGERENZE»

Il procuratore capo di Venezia Delpino si complimenta con le Fiamme gialle

Il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino (foto) si è complimentato con i finanzieri per aver saputo reagire e neutralizzare «pesanti ingerenze». Perché nell’inchiesta sulle tangenti del Mose, il nemico più pericoloso, ce l’avevano in casa. I militari del Nucleo di polizia tributaria, allora guidati dal col. Renzo Nisi, lo hanno scoperto alla fine del 2010, grazie alle ambientali nell’ufficio di Mazzacurati. Spaziante lo aveva avvertito sia di essere intercettato sia dell’indagine della Procura, coordinata dal sostituto procuratore Paola Tonini.

 

L’EX MINISTRO COIVOLTO – Altero Matteoli chiamato in causa per le bonifiche ambientali a Mestre

VENEZIA – È il settore delle bonifiche ambientali il filone che coinvolge l’ex ministro Altero Matteoli nell’inchiesta sugli appalti del Consorzio Venezia Nuova, che ha per opera simbolo il Mose. L’ipotesi è stata confermata dalla Procura di Venezia. Il nome di Matteoli girava da tempo nelle inchieste veneziane sulla nuova tangentopoli, ma il politico di centrodestra ha finora sempre smentito il proprio coinvolgimento. Matteoli non è tra i nomi degli arrestati; l’ex ministro è indagato ed il fascicolo è stato inviato dalla Procura veneziana al Tribunale dei ministri. L’ipotesi è che il politico abbia ricevuto denaro per una serie di bonifiche ambientali dei siti inquinati di Mestre. Circostanze che l’ex ministro ha smentito e ha a suo tempo anche chiesto di essere ascoltato.
L’accertamento di eventuali aspetti penali dovrà essere svolto quindi dal Tribunale dei ministri che, in questa situazione, si sostituirà di fatto ai tre Pm, Stefano Buccini, Stefano Ancillotto e Paola Tonini, titolari dell’inchiesta.
Matteoli – riferisce la Procura – è finito nell’indagine in relazione ad interventi di bonifica per il recupero di una serie di aree fortemente inquinate prospicienti la laguna di Venezia nella zona tra Marghera e Mestre. Si tratta, in buona sostanza, di una vasta area nella quale è stato realizzato una sorta di sarcofago per contenere lo sversamento in laguna per dilavazione delle sostanze tossiche depositatesi per anni, alla testa del ponte della Libertà che collega la terraferma al centro storico. Tutti lavori per i quali lo Stato aveva stanziato, all’epoca, oltre un miliardo di euro, poi gestito dal Consorzio Venezia Nuova, che aveva affidato le opere alle sue associate. La presunta dazione all’ex ministro – gli atti sono secretati – sarebbe legata al suo potere di controllo del Magistrato alle acque, che avrebbe favorito l’intervento del Consorzio Venezia Nuova.
Nell’ordinanza del Gip che ieri ha portato ai 35 arresti, Matteoli compare in un passaggio riguardante la realizzazione di un’opera accessoria del Mose, la «conca di navigazione».

 

CONSEGNE Claudia Minutillo stando all’indagine è stata testimone di un giro di bustarelle per centinaia di migliaia di euro «più volte all’anno»

Mezzo milione dietro l’armadio

Nei racconti della Minutillo il sistema delle mazzette. Come quella destinata a Milanese

CIBO E TANGENTI – Le riunioni riservate nella saletta “privata” del ristorante I Porteghi

LA “ZARINA” La segretaria di Galan che divenne asso pigliatutto degli appalti

BENEFICI – Maria Giovanna Piva l’ex Magistrato alle Acque che è stata tirata in ballo da Claudia Minutillo

VENEZIA – La “zarina” Claudia Minutillo – per l’aria dura che assumeva con i suoi interlocutori – vedeva tutto e sapeva tutto sul sistema della cricca degli appalti legati al Mose. Nelle carte dell’inchiesta delle tangenti pagate dalla “Mantovani” di Piergiorgio Baita (febbraio 2013), confluite ora nell’indagine sul Mose, ci sono pagine e pagine di interrogatori e intercettazioni dell’ex segretaria di Giancarlo Galan. Che dopo aver lasciato l’ufficio in Regione del “Doge” di Forza Italia, visti gli affari e i denari che giravano attorno agli appalti, aveva deciso di mettersi in proprio: imprenditrice, a capo della “Adria Infrastrutture”, società in realtà controllata dal gruppo Mantovani (lei aveva il 5%). E sarebbe stato proprio con questa società che Minutillo avrebbe fatto il salto di qualità, conquistando appalti regionali (l’organizzazione di eventi al Porto di Venezia, o il lancio del sistema metropolitano veneto) che le sarebbero arrivati grazie ai buoni uffici di Renato Chisso (Fi), braccio destro di Galan. Nell’inchiesta “Mantovani” Minutillo era stata arrestata con l’accusa di frode fiscale: il solito sistema – confermato anche nell’inchiesta Mose – delle false fatturazioni e delle “retrocessioni” di importi alle società collegate che permettevano di creare le provviste di soldi da consegnare a politici e funzionari pubblici. Un fiume di denaro, per non fermare le opere in laguna, il flusso di denaro verso Venezia. Un fiume di soldi. In una intercettazione ambientale di un colloquio tra Minutillo e Baita, l’11 settembre 2012, i magistrati acquisiscono la conferma della «falsità delle fatture di tutte le società»: «noi – dice Baita – di quelle prestazioni delle società di Mirco (Voltazza, imprenditore padovano, ndr) ne abbiamo bisogno esclusivamente strumentale. Non è che abbiamo bisogno di dare un incarico ad una società». Ma Minutillo farà anche da “fattorino” nelle consegne delle mazzette. È Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, ad affermare in un interrogatorio ai pm che nel 2005 consegna una busta alla segretaria di Galan, Minutillo, contenente 200mila euro, affinché li portasse al presidente all’hotel Santa Chiara di Venezia. Secondo la “dogaressa”, del resto, «lo sapevano tutti» che giravano bustarelle. La donna, in un passaggio di un interrogatorio, afferma che all’ex governatore forzista «costantemente versati centinaia di migliaia di euro più volte all’anno…a lui in persona…da Baita….era una cosa acquisita, si sapeva…». Lo fa, Minutillo, ricordando ad esempio le riunioni al ristorante “Ai porteghi” di Padova: «ci davano la saletta riservata – ha raccontato -, andavamo lì e discutevamo di tutte le cose che c’erano in ballo». In un successivo interrogatorio, la donna spiega ad esempio che «c’erano modi di remunerare», non solo le mazzette. E racconta ai magistrati, ad esempio, come l’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, grazie «ai buoni uffici del Cvn» fosse stata “beneficiata” con «il collaudo del Passante di Mestre». In realtà, appurano i magistrati, si trattò poi del collaudo del nuovo Ospedale di Mestre, costruito dalla “Mantovani”, per i quali Piva, che presiedeva il Mav, percepì un compenso lordo di 327mila euro. Infine la storia se si vuole più buffa: è sempre Claudia Minutillo a raccontare di una mazzetta di 500mila euro destinata buttata dietro un armadio in un ufficio del Consorzio Venezia Nuova poco prima di una ispezione della Gdf. Dice Minutillo: «Mi raccontarono “pensa che c’era Neri – uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato,ndr. – che aveva nel cassetto 500 mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio”. La Guardia di Finanza sigillò l’armadio e la sera andarono a recuperarli».

 

GLI “RI-ARRESTATI” Da vent’anni sulla scena, tessono le tele dei rapporti tra cartiere e fatture inesistenti

GLI INTERROGATORI Il sindaco di Venezia sarà ascoltato in aula bunker, Chisso a Pisa

Il manager Tomarelli (Consorzio) non risponde e oggi tocca a Orsoni

Gli arrestati saranno interrogati entro domani. Dai Pm oggi Falconi (Istituzione Gondola) e Brentan

VENEZIA Il sindaco Orsoni, oggi l’interrogatorio

Oggi gli interrogatori, per i legali degli imprenditori si profila il reato di concussione e non di corruzione

(gla) Primi interrogatori ieri mattina. Nel carcere di Pavia il romano Stefano Tomarelli, chiamato in causa in qualità di manager del Consorzio Venezia Nuova (avvocati Angelo Andreatta e Umberto Pauro) si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre a Padova l’imprenditore bellunese Luigi Dal Borgo, bellunese di Pieve d’Alpago (avvocati Guido Simonetti e Simone Zancani), ha respinto le accuse, chiedendo una serie di approfondimenti d’indagine per dimostrare di non aver nulla a che fare con le false fatture. Questa mattina, nell’aula bunker di Mestre, sarà la volta degli indagati che si trovano agli arresti domiciliari, tra cui Giorgio Orsoni (avvocato Daniele Grasso). Davanti al gip Alberto Scaramuzza saranno ascoltati anche Nicola Falconi, finito sotto inchiesta in qualità di titolare della Sitmar, società che operava per il CVN (avvocato Giorgio Bortolotto), accusato di corruzione; l’ex amministratore dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan (avvocato Lino Brentan) accusato di induzione indebita a dare o promettere utilità; e l’ex giudice della sezione controllo di Venezia, Vittorio Giuseppone, accusato di essere stato al soldo del Consozio per accelerare la registrazione delle convenzioni e garantire rapide erogazioni dei finanziamenti per i lavori del Mose.Tutti gli altri indagati finiti in carcere saranno ascoltati, tra oggi e domani, per rogatoria dai giudici dei tribunali vicini ai penitenziari nei quali sono reclusi: tra loro figurano l’assessore regionale ai Trasporti, dimissionario ieri, Renato Chisso (avvocato Antonio Forza) il suo segretario Enzo casarin (avvocato Carmela Parziale) e gli ex presidenti del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva (avvocato Emanuele Fragasso) e Patrizio Cuccioletta (avvocato Ciro Pellegrino).

 

«Chi non pagava era escluso dal sistema»

Altro che acqua alta. Non c’è Mose che possa contenere lo tsunami giudiziario che ha travolto Venezia.
Lo sanno bene gli imprenditori arrestati per essersi adeguati e aver fatto parte del sistema utilizzato dal Consorzio Venezia Nuova: o paghi, o vieni escluso dai lavori. Una prassi che pare far passare gli imprenditori consorziati quasi dalla parte delle vittime.
Tra questi c’è anche il trevigiano Andrea Rismondi, il biologo marino di Preganziol (è agli arresti domiciliari) che verrà interrogato stamattina. Difeso dall’avvocato Andrea Franco, si avvarrà della facoltà di non rispondere. Ma il legale ha sottolineato che nel caso in cui i versamenti di denaro alla CVN ci fossero realmente stati, è comunque necessario capire chi li ha fatti, quando, per quali importi e per quali finalità.
«Si potrebbe parlare di concussione e non di corruzione – dice – gli imprenditori coinvolti sarebbero in qualche modo stati indotti a pagare CVN per non essere esclusi dal sistema». Una sorta di costrizione insomma e non di volontà. La tangentopoli veneta ha coinvolto anche l’ex sindaco di Cessalto Giovanni Artico, ora funzionario della Regione Veneto e stretto collaboratore di Renato Chisso. «È stupefacente l’enorme differenza tra le varie posizioni degli indagati – afferma Rizzardo Del Giudice, legale di Artico – Le accuse a carico del mio assistito risultano generiche e infondate. Puntiamo a chiarire tutto nel più breve tempo possibile visto che non ha mai preso un euro».
Intanto ieri mattina il terzo trevigiano Federico Sutto, difeso dall’avvocato Gianni Morrone, è stato uno dei primi a essere interrogato, ma ha tenuto la bocca chiusa. È considerato il canale con cui Mazzacurati manovrava i flussi di denaro, arrivando a consegnare le mazzette a Renato Chisso fin dentro gli uffici della regione.

 

Rabbia e indignazione del popolo del web

Sul sito del Gazzettino migliaia di lettori commentano il caso Mose. Chiedono “politici a casa” e “pene esemplari”

Il popolo del web si scatena e si scalda per lo “scandalo Mose” sul sito internet e sul profilo Facebook del Gazzettino presi d’assalto anche ieri da decine di migliaia di lettori che, con toni più o meno marcati, ribadiscono un concetto: «Il sistema delle Grandi Opere è marcio e corrotto, deve essere estirpato: i politici a casa puniti e mandati a casa». Migliaia di utenti si sono sbizzarriti nel commentare via via gli aggiornamenti delle notizie con la sospensione del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Alcune associazioni – come Italia Nostra – segnalano “le denunce rimaste inascoltate, le nostre segnalazioni sulla scelta del progetto del Mose e sul metodo, ora si ripropone un sistema identico per le Grandi Navi”. C’è anche chi annuncia la propria costituzione di parte civile nel futuro processo come il presidente dell’associazione Adico Carlo Garofolini: “Si tratta di un’opera pubblica che ha cambiato per sempre il nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno lo sapremo presto”. I lettori – anche su Twitter – hanno apprezzato gli strali di Renzi (“I corrotti vanno processati per alto tradimento”) ma lo hanno subito invitato a far seguire i fatti alle parole: “Presto e bene, senza pietà”. C’è anche chi invoca “il rogo” o pene corporali violente. In serata ha colpito molto gli utenti web il video del passaggio di mazzette pubblicato in home page con i contatti e i commenti che sono aumentati nelle ore serali. E molti oggi si attendono nuovi sviluppi dagli interrogatori di Orsoni e Chisso.

 

LE CIFRE Il dettagliato elenco della corruzione stilato dagli inquirenti in base alle indagini

Tangenti per 14 milioni: ecco chi intasca

I profitti illeciti della “cricca serenissima”. I beneficiari sono politici, burocrati, portaborse

POLE POSITION – Per il solo Galan il calcolo del giudice supera i 4,8 milioni di euro

SECONDO E TERZO – L’assessore Chisso a quota 4,2 distanzia Cuccioletta che tocca i 2,1

MISURA CAUTELATIVA – Sequestrati beni agli indagati per quaranta milioni

L’IPOTESI D’ACCUSA – Un fiume di denaro sottratto all’Erario con false fatturazioni

Tredicimilioninovecentosessantanovemilacinquecentottantotto euro (13.969.588). E qualche cent. Una Laguna di denaro. Bigliettoni che galleggiano sull’acqua. Soldi che escono dalle capienti casse del Consorzio Venezia Nuova e finiscono a politici, portaborse, burocrati, funzionari pubblici, uomini dello Stato e della Regione Veneto. È questo quanto ha lucrato la “cricca serenissima”. E si limita al calcolo delle cifre contestate nei capi d’imputazione ai pubblici ufficiali o consulenti. A cui vanno aggiunti 6 milioni di euro pagati da Mantovani, Mazzacurati e soci per vari episodi di millantato credito. Il che fa 20 milioni di euro. Si devono aggiungere ancora alcune decine di milioni per le false fatturazioni, ovvero la sottrazione fiscale all’Erario. Il che giustifica ampiamente il sequestro di beni degli indagati per 40 milioni di euro.
L’elenco lo fa il gip Scaramuzza.
Per l’ex presidente del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta, il prezzo complessivo del reato è di 2.100.000 euro per effetto di uno “stipendio” annuale di 400 mila euro ricevuto dal Consorzio, dal 2008 al 2011 (totale di 1,6 milioni di euro) e di un bonifico su un conto svizzero di 500.000 euro.
Per Maria Giovanna Piva, ex magistrato alle Acque di Venezia il prezzo del reato è di 529.950,27 euro per uno “stipendio” annuale di 400.000 euro calcolato però solo per il 2008 e di 327.000 euro per l’incarico di collaudatrice dell’Ospedale di Mestre; il giudice calcola solo la quota parte del periodo di incarico di Magistrato e defalca le imposte pagate (98 mila euro).
Per Marco Mario Milanese, deputato di Forza Italia, già consulente del ministro Tremonti viene calcolato un prezzo del reato di 500.000 euro, somma ricevuta “in nero”.
Il generale della Finanza Emilio Spaziante si vede addebitare 500.000 euro pari ai soldi ricevuti dal Consorzio (su una richiesta di 2 milioni di euro).
Per l’ex governatore e ministro Giancarlo Galan il calcolo è più complesso. Per un primo capo d’imputazione viene calcolato un prezzo del reato di 4.000.000 euro, frutto della somma di 1.000.000 euro all’anno ricevuti dal Consorzio dal 2008 al 2011 come “stipendio”. Per un secondo capo d’accusa il prezzo del reato è di 831.200 euro composti da 400.000 euro pagati da Mantovani per la ristrutturazione della barchessa della villa di Cinto Euganeo, da 350.000 euro pari al 7% delle quote di Adria Infrastrutture e da 81.200 euro pari al 70% del capitale di Nordest Media. Così il totale di Galan raggiunge i 4.831.000 euro.
Per l’assessore regionale Renato Chisso in un primo capo d’accusa il prezzo del reato è di 1.200.000 euro frutto del calcolo di uno “stipendio” annuale di 200-250.000 euro dal 2008 al 2013. In un secondo capo d’accusa il prezzo del reato è di 3.025.792,38 euro frutto dei seguenti cespiti: 250.000 euro per il 5% di Adria Infrastrutture; 11.600 euro per il 10% di Nordest Media; 2.000.000 euro per la vendita del 5% di Adria; centinaia di migliaia di euro quantificate in 400.000 euro dal “cassiere” Buson; 250.000 euro ricevuti da Baita; 114.192 euro per ripianare le perdite di Territorio srl, una società di Bortolo Mainardi. Totale complessivo: 4.225.792 euro.
Per il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone viene indicato uno “stipendio annuale” tra i 300.000 e i 400.000 euro a cadenze semestrali dai primi anni 2000 al 2008; il giudice considera solo 300.000 euro per il 2008.
Per Giovanni Artico, collaboratore di Chisso, 69.708,06 euro frutto di consulenze di un amico avvocato e dell’assunzione della figlia in Nordest Media.
Per Giancarlo Ruscitti un contratto di collaborazione a progetto costa una contestazione di un prezzo di reato pari a 112.088 euro.
Per Lino Brentan ex ad di Autostrade Venezia-Padova il prezzo del reato è di 65.000 euro.
Per Giuseppe Fasiol di Veneto Strade c’è l’accusa di aver intascato parcelle per 19.000 euro.
Per il consigliere regionale Gianpietro Marchese del Pd c’è l’accusa di aver intascato 458.000 euro come contributi elettorali più l’assunzione per 35.000 euro.
Per l’eurodeputata del Pdl Amalia Sartori c’è un’accusa di finanziamenti elettorali per 225.000 euro.
Per il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni finanziamenti elettorali per 560.000 euro.
Sulle supposte tangenti versate dal Consorzio Venezia Nuova sono chiamati in causa i dirigenti. Per le false fatturazioni imprenditori e funzionari che vi hanno concorso.

 

CHISSO E LA MANTOVANI

Le indagini: «Con Galan era a libro paga dell’azienda, gioiva per le vittorie negli appalti»

Le verità esplosive della segretaria

Le confessioni di Claudia Minutillo, assistente dell’ex governatore, hanno scoperchiato il “sistema Baita”

«Ricordo che Renato Chisso in più occasioni ebbe a lamentarsi del fatto che Giovanni Mazzacurati gli corrispondeva somme di denaro solo alle feste comandate, lo diceva ridendo, ma era chiaro che voleva essere remunerato più frequentemente… So che normalmente il Mazzacurati corrispondeva somme di denaro al Chisso presso l’hotel Monaco all’ora di pranzo».
A raccontarlo al sostituto procuratore Stefano Ancilotto, nell’aprile del 2013,è stata Claudia Minutillo, arrestata alla fine di marzo perché coinvolta, in qualità di presidente di Adria Infrasttuture, nell’inchiesta sulle false fatture milionarie dell’impresa di costruzioni Mantovani spa (socio del CVN), attraverso le quali il suo presidente, Piergiorgio Baita, costituiva fondi neri per pagare i politici.
«FLUIDIFICARE» – Sono proprio le dichiarazioni dell’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan, seguite alle confessioni di numerosi altri indagati nella stessa inchiesta, ad aprire la strada alla nuova “tangentopoli” del Veneto, concretizzatasi mercoledì in 35 arresti. A confermare le parole della Minutillo è stato, qualche mese più tardi, nel mese di luglio. lo stesso Mazzacurati, pur collocando i pagamenti nella sede della Regione. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova ha riferito di aver pagato personalmente l’assessore regionale ai Trasporti in un paio di occasioni; nelle altre se ne sarebbe occupato il suo “cassiere”, Federico Sutto. L’ultima mazzetta risale al periodo compreso tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 e Mazzacurati la spiega così: «Noi avevamo bisogno un po’ della Regione… c’è un Comitato tecnico che approva dei progetti; per noi questo flusso era una cosa abbastanza importante, essenziale, che fosse veloce… ecco, nell’ambito di questo ragionamento abbiamo cercato di fluidificare questo settore…»
GALAN – La prima a parlare dell’ex presidente della Regione è sempre la sua ex segretaria: «Baita a volta si lamentava di quanto veniva a costare Galan», riferisce Minutillo ai magistrati. Circostanza confermata dall’ex presidente della Mantovani, il quale spiega di aver pagato personalmente i politici, e solo in minima parte finanziando i partiti. Baita ha spiegato che i versamenti avvenivano «fino al 2005 attraverso la signora Minutillo… dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso; dopo il 2010 non c’è stato più alcun sostegno politico a Galan perché è andato a fare un altro mestiere… Per quanto riguarda Chisso, invece, fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente; dal 2005 al 2010 pure la dottoressa Minutillo; dal 2010… ho provveduto io».
«STIPENDIATI» – Nella richiesta di emissione di misura cautelare nei confronti di Galan e Chisso, la Procura di Venezia ritiene provate le accuse sulla base di riscontri e intercettazioni: «La necessità di passare uno “stipendio” ai massimi esponenti della Giunta regionale del Veneto… ha una spiegazione logica confermata confermata dai vari indagati, ovvero quella di sbloccare o quantomeno snellire le pratiche relative alle autorizzazioni per eseguire le opere…», scrivono i pm Ancilotto, Buccini e Tonini.
A DISPOSIZIONE – Dalle indagini emerge come Galan e Chisso «fossero a libro paga del gruppo Mantovani… si legge nella richiesta di arresto – Numerose sono le conversazioni telefoniche relative ai project presentati dalla Mantovani che confermano come l’assessore Chisso, in precedenza anche su ordine di Galan, fosse totalmente a disposizione di Baita e Minutillo. Nel corso di tali conversazioni si ha l’impressione che l’assessore Chisso sia quasi un dipendente del gruppo Mantovani: esulta per i successi della Mantovani, comunica in via riservata ed anticipata l’esito delle procedure, studia con Minutillo e Baita come, e con quali uomini, modificare la struttura dell’ente Regione in modo che l’iter procedimentale che sta a cuore al Baita non venga alterato…».

 

AI DOMICILIARI La carriera del presidente dell’Ente gondola. Un video della Finanza lo incastra

LA RICHIESTA – Molina (Pd): «Faccia chiarezza e intanto si dimetta dalla carica»

Nicola Falconi, il “moralizzatore” accusato di aver pagato Orsoni

Era arrivato all’Ente gondola con l’intenzione di dargli trasparenza amministrativa, ma anche di ricostruire l’immagine dei gondolieri. Una sorta di “moralizzatore” in linea con le direttive dell’amministrazione Orsoni. Sua la proposta, approvata, di test antidroga e anti alcol ai “pope”.
Del resto, Nicola Falconi, figlio di un notissimo capitano della Marina, la disciplina l’aveva imparata nei tre anni da ufficiale dei Lagunari. Era stato proprio il sindaco Giorgio Orsoni a volerlo alla guida dell’Ente gondola, distogliendolo dal suo impegno nella ditta “Sitmar Sub”, che conta 35 dipendenti.
Lidense, 52 anni, amico di politici e sindaci, trasversale a ogni divisione politica, un passato da consigliere di Save, ora si trova agli arresti domiciliari e sarà ascoltato oggi in aula bunker a Mestre. Lo accusano di finanziamento illecito della campagna elettorale di Orsoni in relazione ad una parte del contributo di 110mila euro che, secondo la Procura, il Consorzio Venezia Nuova versò per tramite di due società di cui è titolare, Bo.sca srl e Cam srl. Un video girato dalla Guardia di Finanza in un bar di Mestre lo immortala mentre passa una bustarella a Pio Savioli, consulente del Co.Ve.Co, cooperativa che fa parte del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Mose.
Nel suo curriculum anche la carriera “diplomatica”, come console generale onorario di Finlandia a Venezia, con giurisdizione per il Veneto ed il Trentino-Alto Adige. È anche componente del consiglio di decanato del Corpo consolare di Venezia e del Veneto, nonché vicepresidente dell’Unione nazionale dei consoli onorari.
«Siamo confusi», è il commento di Cesare Peris, componente del consiglio d’amministrazione dell’istituzione Gondola. Ora, come vuole lo statuto dell’ente, sarà il consigliere più anziano a presiedere il consiglio d’amministrazione, ovvero Alessandra Vio, l’ultima arrivata in seno all’istituzione, anch’essa nominata da Giorgio Orsoni. «Auspico che Falconi possa fare chiarezza innanzi all’autorità giudiziaria – ha dichiarato in merito il consigliere Pd, Jacopo Molina – al contempo chiedo che rassegni le dimissioni da presidente dell’istituzione Gondola, affinché la sua attuale personale posizione non faccia velo all’attività istituzionale del Comune, di cui l’istituzione Gondola è diretta emanazione». Aldo Rosso, predecessore di Falconi alla guida dell’Ente gondola, ha una sua convinzione: «Falconi? Non ha corrotto o concusso nessuno, casomai se le esigenze di lavoro lo imponevano, ha dovuto partecipare ad un gioco imposto da altri, anche per non licenziare alcun dipendente».

(ha collaborato Tullio Cardona)

 

La corruzione a Venezia spopola nei siti e giornali esteri

L’ombra della corruzione è su Venezia e dall’Europa all’America, passando per il mondo arabo, la stampa straniera è attenta al caso che ha stravolto l’Italia. A campeggiare in ogni pagina web d’informazione è l’immagine di un sindaco sorridente attorniato da titoli particolarmente severi.
Il Regno Unito è scatenato, con The Guardian, Telegraph, The Indipendent, Financial Times e BBC, che riportano la storia dando risalto alle parole dell’ex sindaco Massimo Cacciari, al magistrato Carlo Nordio e comparando quanto accaduto in questi giorni ai recenti scandali dell’Expo 2015 di Milano e a Tangentopoli del 1992. I media di ogni latitudine sparano a zero sulla realtà politica italiana, evidenziando i vocaboli “corruzione”, “tangenti”, “scandalo” e “arrestati”, senza lasciarsi scappare il riferimento a una ricerca del Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di corruzione. La classifica, nel report, vede l’Italia al 69 posto, su 177 nazioni, dietro alla capofila Danimarca (1), ma anche Botswana (30), Bhutan (31), Brunei (38), Rwanda (49), Lesotho (55), Cuba e Ghana (63) e Montenegro (68). Appena davanti al Kuwait (70) e al fanalino di coda Somalia. Anche nel resto d’Europa la notizia ha destato attenzione. Spagna (El Pais, El Mundo, La Razon e La Vanguardia), Francia (Le Parisien, Le Monde, Le Figaro, Libération, Les Echos), Russia (The voice of Russia) e Germania (Der Spiegel, Berliner Zeitung, Suddeutsche), per citarne alcuni hanno dato ampio risalto allo scandalo. Le parole più usate, anche in questi casi, sono state “corruzione”, “arresti domiciliari” e, appunto, “scandalo”. Oltreoceano il New York Times si chiede come sia possibile quanto accaduto, ponendo l’accento sul dove sia successo: nelle regioni del Nord Italia, solitamente ritenute tra le più “attendibili” del Belpaese. E mentre Il Wall Street Journal e il Washington Post rilevano l’aspetto dei domiciliari per il sindaco, Al Jazeera, principale voce del mondo arabo, tratta la notizia riportando tutti i fatti di cronaca venuti alla luce nei giorni scorsi. Dando un’immagine di un’Italia a pezzi.

Tomaso Borzomì

 

Grande Venezia, stadio e casinò: temi strategici congelati

MESTRE – Ovviamente, non c’è mai un momento “giusto” perchè un sindaco venga arrestato. Ma, fatta questa lapalissiana premessa, va anche detto che questo per Venezia è in assoluto “il momento sbagliato”. L’amministrazione comunale del capoluogo ha appena imboccato l’ultimo tornante e si avvia verso i mesi conclusivi dell’esperienza amministrativa, una stagione in cui per definizione si raccolgono i frutti del mandato.
E’ l’anno dei fuochi d’artificio, delle inaugurazioni, delle iniziative “acchiappavoti” in vista della ormai vicina contesa elettorale. Eppure, se possibile, per Venezia è molto di più, visto che per la Giunta guidata da Giorgio Orsoni di carne al fuoco ce n’è (ce n’era?) veramente tanta. Citiamo solo tre dei temi più roventi all’ordine del giorno.
GRANDE VENEZIA

Tra spinte e controspinte, siamo alla stretta finale per la nascita della città metropolitana e il pallino è saldamente in mano a Venezia. Tocca al capoluogo “dare la linea”, chiamare a raccolta gli altri comuni coinvolti e definire le modalità di un approdo. Molti sindaci del Veneziano sono perplessi per la grande confusione che regna sull’argomento, altri contestano la scarsa democraticità e rappresentatività di un meccanismo che consegna al primo cittadino del capoluogo un grande potere senza una legittimazione legata al voto popolare.
Ma in ogni caso, per Venezia era una sorta di march ball per volgere a proprio favore la partita. Ora, tutto appare congelato.
CASINO’

Altro tema in piena gestazione, con Orsoni determinato ad andare ad un nuovo bando per la vendita e il Pd in frenata causa rapporti ormai deterioratisi con l’amministratore delegato Ravà. Qualcuno ora maligna che il redde rationem in maggioranza dell’altra sera si sia rivelato una bolla di sapone perchè era chiara ormai la sensazione che il sindaco sarebbe stato presto azzoppato dallo tsumani Mose, ma al di là delle dietrologie è un fatto che – anche per esigenze di bilancio – si dovrà arrivare a una decisione in tempi brevi.
STADIO

Qui il sindaco si accingeva ad andare a vedere le carte di mister Korablin, il presidente del Venezia intenzionato alla maxi operazione di Tessera. Dopo l’acquisto delle aree per avviare l’operazione l’imprenditore russo e Orsoni dovevano trovarsi per definire tutti gli aspetti urbanistici e procedurali, ma l’assenza di Korablin ha determinato la stizzita reazione del primo cittadino. Ora dall’altra parte del tavolo mancherà proprio lui.
ti.gra

 

No Navi e No Mose: «All’appello mancano ancora molti nomi facilmente intuibili»

Comitato No grandi navi, Ambiente Venezia e Italia Nostra a ruota libera contro il Mose «per la stretta correlazione fra i due temi». E contro l’escavo del canale Contorta Sant’Angelo, «perché devastante per la laguna e per la progettazione ed esecuzione dei lavori che verrebbe commissionata a tecnici e a imprese legati al Consorzio Venezia Nuova. Vale a dire lo stesso soggetto per il quale non ci stancheremo mai di chiedere la fine del sistema a concessionario unico».
Ieri, a Cà Farsetti, l’incontro sulla presentazione del weekend di protesta contro le grandi navi si è trasformato in un crescendo di commenti sull’inchiesta giudiziaria in corso: «Finalmente la Magistratura si è svegliata – hanno detto Luciano Mazzolin (Ambiente Venezia), Tommaso Cacciari (centri sociali) e Cristiano Gasparetto (Italia Nostra) – A meravigliarci, il fatto che dall’elenco degli indagati e colpiti da provvedimenti restrittivi ancora non risultino certi nomi facilmente intuibili, ma confidiamo sull’approfondimento delle indagini. Il film è già visto, con responsabilità gravi che vanno da Prodi a Berlusconi. E se si decide di mettere le mani sul piatto, tanto vale mettere le mani dappertutto, comprese le tante procedure non rispettate».
Su Giorgio Orsoni, la precisazione che «se soldi gli sono stati consegnati in campagna elettorale, leciti o illeciti in un modo o nell’altro hanno influenzato». E alla Giunta l’invito a dimettersi, «perché emanazione diretta di un sindaco agli arresti domiciliari».

 

General Fluidi di Padova: «La Fip si è appropriata dei nostri progetti»

LA CAUSA – In Tribunale penale e civile per il risarcimento

Hanno fatto causa alla Fip Mantovani, chiedono un risarcimento simbolico rispetto a quanto hanno investito in termini di risorse umane e materiali e si augurano che la magistratura vada a fondo. La General Fluidi, un’azienda di Padova che si occupa di impianti oleodinamici che oggi ha una decina di dipendenti, all’avanguardia nel settore della ricerca e sviluppo, era stata incaricata dalla Fip Mantovani di realizzare un prototipo per il sistema di aggancio delle cerniere delle paratoie del Mose e nel 2009 aveva prodotto il primo lotto per la bocca di Porto del Lido. Una commessa che complessivamente doveva aggirarsi sui due milioni di euro. «Ma dopo quel primo lotto la Fip non si fece più viva – racconta il rappresentante della General Fluidi Alessandro Tiburli – Poi ci dissero evasivamente che il nostro lavoro era finito. Allora andammo a controllare i capitolati d’appalto al Magistrato alle Acque, scoprendo che la Fip aveva depositato parte dei disegni da noi forniti a proprio nome, tra l’altro allegando una fotografia che riportava ancora il nome della nostra azienda».
La General Fluidi, patrocinata dagli avvocati Biagio Pignatelli e Angela Favara, ha presentato causa penale per appropriazione indebita di proprietà intellettuale e civile per il risarcimento danni. Prossima udienza nel 2016. «Abbiamo subito un danno di almeno 600 mila euro per il lavoro di progettazione fatto, che è stato riconosciuto solo in parte e che ha avvantaggiato la concorrenza – prosegue Tiburli – e abbiamo quantificato il danno morale in 50 mila euro. Ma l’amarezza non ha prezzo: per due anni abbiamo avuto uno dei nostri ingegneri che andava alla Fip una volta a settimana a insegnare ai loro uomini come andavano realizzati questi meccanismi».
Si tratta di un capitolo successivo alla diatriba tra le diverse tecnologie delle cerniere che avevano causato tante battaglie in Comitato tecnico di magistratura al Magistrato alle Acque. Si era già passati alla realizzazione delle cerniere per saldatura e non per fusione.
«Sarebbe importante che qualcuno controllasse la differenza di prodotto fornito – prosegue Tiburla – il Mose avrà dei sistemi di aggancio prodotti da ditte diverse tra la Bocca di porto del Lido e quelli di Malamocco e di Chioggia. Quelli successivi non hanno mai superato le prove tecniche perchè non c’era il tempo di farlo, ma sono diversi dai nostri».

Raffaella Vittadello

 

LE REAZIONI L’ex assessore regionale è nato a Quarto d’Altino e ha sempre vissuto a Ca’ Solaro

Nel regno di Chisso Favaro sbigottita per “mister preferenze”

I colleghi di partito del Psi e i compaesani si augurano che le accuse nei suoi confronti si rivelino infondate

LA RIFLESSIONE «Forse impossibile fare politica a certi livelli senza sporcarsi»

Muti e attoniti. Ben calzano i due aggettivi di manzoniana memoria per descrivere l’atteggiamento degli abitanti di Favaro all’indomani della notizia dell’arresto di Renato Chisso, l’assessore regionale alle infrastrutture.
Nonostante da qualche giorno in quel di Favaro si parlasse già di un coinvolgimento di Chisso nell’inchiesta, tra la gente c’è molta incredulità e, soprattutto, tanta voglia di evitare le domande del cronista sulla vicenda che ha visto un loro compaesano finire dietro le sbarre perché accusato di aver intascato tangenti per svariati milioni.
Chisso, nato a Quarto D’Altino, ha sempre vissuto nella frazione favarese di Ca’ Solaro, nella casa che fino a qualche anno fa era dei genitori, ora entrambi deceduti.
La politica nel sangue l’ha sempre avuta, tant’è che ha cominciato a militare giovanissimo nel Partito socialista italiano, del quale è diventato ben presto segretario della sezione di Favaro.
Bancario di professione, ma politico di vocazione, ha ricoperto la carica di consigliere di quartiere e poi di presidente del parlamentino favarese.
Con un numero di preferenze decisamente alto è stato successivamente eletto consigliere comunale ed, infine, il grande salto, diventando nelle liste di Forza Italia consigliere regionale e poi assessore ai trasporti, alla mobilità e alle infrastrutture.
«Sono umanamente dispiaciuta per quanto gli sta capitando – ha commentato Elettra Vivian, presidente del comitato residenti di Favaro – perché con lui ho avuto modo di lavorare ai tempi del Psi e perché lo conosco come una persona semplice e da sempre in prima linea per sostenere le istanze del territorio.
Ha sempre tenuto un profilo molto basso e, quindi, mai avrei pensato che potesse arrivare a commettere i reati di cui è accusato, tanto più che si parla di cifre esorbitanti.
Certo – ha proseguito – che quanto sta emergendo in questi giorni non può che provocare amarezza e delusione tra la gente perbene. Mi auguro solo che non sia vero, per lui, per la sua famiglia e per quanti credono in una società corretta».
Incredulità anche da parte di Piero Trabuio, titolare dell’omonima pizzeria di Favaro e membro dell’associazione esercenti e liberi professionisti «ViviFavaro».
«Conosco Chisso da quand’era bambino e la notizia del suo arresto, come quella dell’altro mio amico, l’architetto Dario Lugato, mi ha preso totalmente alla sprovvista, perché mai e poi mai avrei immaginato che potessero essere coinvolti in una cosa del genere. A pensarci bene, però, non dev’essere facile fare politica a certi livelli – ha aggiunto – senza sporcarsi le mani.
Mi spiego, non voglio affatto assolvere chi ruba, ma mi pare di capire che si è creato un tale sistema nella politica, per cui sei costretto ad entrare in certi “perversi” meccanismi se non vuoi restare al palo. Tuttavia – ha concluso – spero che sia Chisso che Lugato possano dimostrare l’infondatezza delle accuse per cui sono stati arrestati”.

Mauro De Lazzari

 

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