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Nuova Venezia – Baita: “Costa succube di Mazzacurati”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

12

giu

2014

In un verbale la gara del Porto sullo scavo dei canali, che costò l’arresto all’ex presidente del Consorzio: «Da lui gli input»

VENEZIA In uno dei suoi interrogatori Piergiorgio Baita parla anche della nomina all’Autorità portuale di Paolo Costa, ex rettore di Ca’Foscari, ex sindaco ed ex ministro. Il pubblico ministero Stefano Ancilotto gli pone domande sulla gara d’appalto per lo scavo dei canali portuali che è costata l’arresti a Giovanni Mazzacurati per turbativa d’asta. Ecco il verbale del 17 settembre 2013. DOMANDA – Quindi l’input sulla formazione di questo bando sarebbe venuto da Mazzacurati? RISPOSTA– Sì. Non si occupa del dettaglio del bando ma di dire “fate una forma in modo tale”. DOMANDA– Nei confronti di chi però? RISPOSTA– Dell’Autorità portuale. DOMANDA– Manella persona di chi? RISPOSTA– Costa è succube di Mazzacurati, l’ha messo Mazzacurati. DOMANDA– Questo lo dice come indicazione generica olo dice nello specifico? RISPOSTA– Posso testimoniare che quando si è trattato di fare la nomina di Costa Presidente dell’autorità portuale Mazzacurati si è molto adoperato per superare l’ostilità di Chisso, che non voleva Costa, voleva Michele Gambato (presidente della Confindustria di Rovigo). È stato Mazzacurati a fare da mediatore con Galan perché Galan mediasse su Matteoli e Matteoli desse l’indicazione su Costa, che era indicato nella terna del centrosinistra. Quindi credo che nasca da lì. DOMANDA– Questo nasce da qui, il suo rapporto con Costa. RISPOSTA– No, nasce il rapporto con Costa. DOMANDA– Ma rispetto al bando specifico, alla vicenda specifica, al fatto che questo bando lei dice fosse stato tagliato appositamente per quel determinato gruppo. RISPOSTA– Non per quel determinato gruppo. Per il gruppo dei piccoli del Consorzio. DOMANDA– Ho capito, ma qui si tratta di fare un bando in un certo modo, quindi presso l’autorità portuale. RISPOSTA– Certo. Bisognerebbe andare a chiedere a chi l’ha scritto, ha firmato il bando, qual è la ratio che c’è in quella prescrizione, che impedisce a tutte le imprese, non solo a Mantovani, del Consorzio dotate dell’illimitato nelle opere marittime di partecipare a una gara di 12 milioni, perché non c’è solo Mantovani che non ha partecipato. Cioè era un bando da fare ricorso, non da concorrere. In un altro verbale, del 9 aprile 2013, Claudia Minutillo parla della costruzione della nuova Romea, quella che deve unire Venezia a Civitavecchia via Cesena, costruzione alla quale partecipa anche la Mantovani e per la quale Buson sborsa 17 milioni. Minutillo racconta che tutta Forza Italia si era mobilitata per far procedere l’opera tanto che a Giancarlo Galan ne avevano parlato sia Marcello Dell’Utri sia Cesare Previti. Giorgio Cecchetti

 

Galan, la Procura invia altri 18 faldoni

La giunta per le autorizzazioni ha avviato l’esame della richiesta di arresto: il voto entro l’estate

‘‘Il relatore Rabino: «Voglio rispettare la scadenza originaria del4 luglio»

VENEZIA – Potrebbero allungarsi i tempi per l’esame, da parte della giunta per le autorizzazioni della Camera, della richiesta di custodia cautelare nei confronti del deputato Giancarlo Galan, trasmessa dalla Procura di Venezia. L’ipotesi è stata ventilata ieri dal presidente della giunta, Ignazio La Russa (Fdi), alla luce dell’invio, non richiesto, a Montecitorio, da parte della Procura di Venezia di un fascicolo di 16 falconi (con migliaia di pagine). La Russa ha suggerito che si faccia decorrere il mese a disposizione della giunta da ieri e non dal 4 giugno, data in cui è arrivata a Roma l’ordinanza del gip di Venezia. «Stando al regolamento », rileva l’onorevole Mariano Rabino, di Scelta civica, cui è stato affidato il ruolo di relatore. L’onorevole Galan, che ha chiesto alla giunta di essere ascoltato e ha preannunciato l’intenzione di depositare delle memorie. «L’audizione del collega Galan», puntualizza l’onorevole Rabino, «potrebbe avvenire già nella seduta di mercoledì 18 oppure mercoledì 25 giugno». Galan inoltre insiste per essere ascoltato dalla Procura. L’incontro con i magistrati potrebbe avvenire già oggi. Il parlamentare forzista, che sta ricostruendo tutti i suoi estratti conto dal 1987 al 2014, si dichiara «pronto a rispondere punto per punto ad ogni accusa. Ho le carte per provare la mia estraneità». Tra i componenti della commissione si è pronunciata, alla luce dell’ordinanza del gip Scaramuzza, Giulia Grillo, deputata del Movimento Cinque Stelle: «Quello che ho letto è incredibile, in particolare a pagina 96 dell’ordinanza». Per l’onorevole Rabino, che nelle prossime settimane non avrà certo di che annoiarsi, l’inchiesta sugli appalti del Mose «sta in piedi, bisogna però valutare se le misure richieste di arresto emessa dalla Procura di Venezia. Io comunque m’impegnerò per ché venga rispettata la scadenza originaria del4 luglio». Nei corridoi di Montecitorio qualche membro della giunta per le autorizzazioni avrebbe anche sollevato dei dubbi sull’opportunità della presenza del democratico Davide Zoggia, che nei giorni scorsi era stato chiamato in causa dall’ex amministratore delegato della Venezia-Padova per un finanziamento elettorale. Tra i componenti della giunta figura anche Antonio Leone, ex Forza Italia, ex Pdl e ora esponente del Nuovo centrodestra, che nel giugno 2009 era tra gli invitati al matrimonio di Galan e dodici mesi era presente anche alla festa per il primo anniversario di matrimonio dell’ex governatore.

 

La cassaforte Palladio che finanzia i project degli ospedali veneti

Roberto Meneguzzo voleva creare la Mediobanca del Nordest

È in carcere per i contatti con Milanese, factotum di Tremonti

VENEZIA Il dottor Meneguzzo, scusi, chi è? «E’ un consulente del Consorzio ed è stata la persona attraverso la quale Mazzacurati ha trovato il rapporto con il ministro Tremonti, come suggeritogli dal dottor Letta, a sua volta incapace di sbloccare la situazione. L’ingegner Mazzacurati, per trovare questo rapporto, chiede consiglio all’onorevole Sartori, che indica il dottor Meneguzzo». Così Piergiorgio Baita in uno degli interrogatori rilasciati ai pm nell’inchiesta Mose. Fino a una settimana fa, Roberto Meneguzzo era noto come amministratore delegato di Palladio Finanziaria Spa, colui che aspirava a diventare la Mediobanca del Nordest, dopo aver provato a sfidare sul serio la vera Mediobanca. Quel Meneguzzo oggi è in cella con l’accusa di corruzione. Nelle carte dell’inchiesta emerge un ritratto assai lontano dal manager rampante che frequenta i salotti della finanza. Meneguzzo, nel suo ruolo di consigliere e tessitore di relazioni, si spende a Milano per Mazzacurati per risolvere il «problema della verifica Gdf» in corso al Consorzio Venezia Nuova. E’ lui a suggerire la soluzione: «Vi do io una strada che ho già usato per una questione che ha riguardato Omnitel.. non so cosa … di Palladio Finanziaria » riferisce Baita agli inquirenti. E’ Meneguzzo a favorire l’incontro con Marco Milanese, il collaboratore di Tremonti e poi deputato Pdl indagato nell’inchiesta per lo sblocco di un finanziamento al Cipe, e con Emilio Spaziante, ex comandante Gdf in carcere, che «avrebbe comportato il pagamento di due milioni alla Guardia di Finanza e il conferimento a Meneguzzo di 300 mila all’anno più 400 mila come successore». Meneguzzo però guadagna anche dagli ospedali. Per il project Thiene–Schio, continua Baita, «i rapporti sono stati tutti tenuti dalla Palladio, dottor Meneguzzo, a cui abbiamo affidato l’incarico del closing finanziario con una fee importante sul finanziamento ricevuto da Unicredit». Perfino Bovis Lend Lease, la società che ha proposto il project dell’ospedale di Padova e in corsa anche per la cittadella della Salute di Treviso, avrebbe cercato un referente politico tramite la copertura del patron di Palladio. Forse in virtù della joint venture creata nel 2010 tra Palladio e la stessa società di project? «Mazzacurati e Savioli (consulente Coveco, ndr) cercavano di organizzare una loro cordata per partecipare alla gara per l’ospedale di Padova, cordata che fosse orientata su un certo fronte politico, ritenendo che la cordata cui stava lavorando Meneguzzo escludesse la loro parte politica» spiega Baita. Un lavoro parallelo che il manager vicentino gestiva con un telefonino segreto. Procurandone altri ai «colleghi» del giro. Non solo: il marchio Palladio è spuntato anche nell’indagine per l’Expo 2015. Lo dicono le carte dell’inchiesta nel capitolo dedicato alla Città della Salute, dove si cita il coinvolgimento di Palladio per «la copertura coni rossi (coop, ndr)». Ma chi è Roberto Meneguzzo? «Una volpe» spiegava ne Il Nordest sono io Giancarlo Galan, «un vero uomo di finanza». Finito in carcere come un mediatore d’affari qualunque. Classe ’56, di Malo, con la sua Palladio, e in coppia con Enrico Marchi di Finint si era creato un ruolo da protagonista negli affari, diventando consulente delle principali dinastie venete,come il gruppo Riello e la Safilo dei Tabacci. Nella compagine della sua Palladio, oltre una holding con sede in Lussemburgo, siedono con un 21% noti imprenditori locali, tra cui la famiglia Zoppas, con cariche affidate nel tempo anche alla secondogenita di Giuliana Benetton, uscita a marzo 2014. I soci forti sono però Intesa San Paolo (con il 9%) e il Banco Popolare (8,6). Poi c’è Veneto Banca con cui Palladio condivide l’entrata in Generali con il veicolo Effeti, joint venture tra la veneta Ferak e la torinese Crt. E sempre con la Popolare di Montebelluna divide quel 20% di Eta Spa che controlla Est Capital Group, la holding che gestisce la Sgr e 18 fondi immobiliari in Laguna, dove tra le quotiste figurano aziende del Consorzio Venezia Nuova come Grandi Lavori Fincosit (Mazzi), Condotte (Astaldi) e Mantovani. E proprio in Laguna si è impaludato Meneguzzo. La discesa relazionale aveva avuto un primo colpo con il gelo creatosi tra Piazzetta Cuccia e la finanziaria vicentina dopo l’affare Fonsai. Una guerra che secondo alcuni, avrebbe pesato nella cacciata di Giovanni Perissinotto da Generali, facendo venir meno il principale referente e scoperchiando un alone di conflitti di interessi che Perissinotto avrebbe realizzato proprio con gli azionisti veneti di Ferak. Su questo e altri investimenti indaga oggi la Procura di Trieste.

Eleonora Vallin

 

Marchi: «Sono amico di Galan e con lui ho solo rapporti nel rispetto della legge»

ROMA. «I miei rapporti con l’onorevole Galan, al quale sono legato da una amicizia che risale fin dagli anni della giovinezza, si sono sempre svolti all’insegna della massima correttezza e del rispetto della legge. Mi riservo comunque di tutelare il mio buon nomee quello delle Società che rappresento in tutte le sedi opportune». Lo rileva in una nota Enrico Marchi, (foto) presidente di Save e di Finanziaria Internazionale, in relazione ad articoli di stampa pubblicati oggi che, citando i verbali dell’inchiesta sul Mose e le dichiarazioni di Claudia Minutillo, parlano di presunte «corresponsioni di denaro a Galan». Marchi conosce Galan fin dagli anni in cui militavano entrambi nel partito liberale, autentica minoranza in Veneto, anche se a Roma era al governo con la Dc. A Palazzo Balbi invece imperava il monopolio dello scudocrociato che divide le poltrone con gli alleati solo per assoluta necessità. A raccontare il sistema di pagamenti a Galan è stata Claudia Minutillo, l’ex segretaria del doge azzurro che ha ricostruito al magistrati il sistema di contribuzione al leader di Forza Italia. I fondi per la campagna elettorale arrivavano anche da molti imprenditori, secondo le procedure concordate.

 

«Sanità? Si vinceva solo se c’era Gemmo»

Baita: «Mantovani fu costretta a non partecipare ad appalti pubblici e a impegnarsi solo sui project»

VICENZA – Le sorprese di Baita. L’ingegner Piergiorgio, arrestato un anno e mezzo fa quand’era il numero uno della “Mantovani spa”, ha riempito migliaia di pagine di interrogatori davanti ai pubblici ministeri Ancilotto, Tonini e Buccini per raccontare il sistema di tangenti e favori che riguardavano il Mose e i grandi appalti in Veneto. Ma le sue ammissioni, oltre che ricche di nomi e cifre, sono anche fonte di sorprese. Dalle piccole mazzette a quando la sua azienda, fra le più importanti d’Italia, venne tagliata fuori dagli appalti pubblici regionali per le proteste dei concorrenti alla politica. Ragion per cui, ricostruisce Baita, la società fu costretta a buttarsi sui project financing, trovando appoggi sul fronte delle infrastrutture (per l’ottimo rapporto con l’assessore Chisso), ma non su quello sanitario (gestito in toto, ribadisce Baita, dall’europarlamentare Lia Sartori). Fuori dagli appalti. Baita, nel lungo interrogatorio del 6 giugno dello scorso anno, suddivide i suoi rapporti con la politica regionale in tre fasi. La prima, fra il 2002 e il 2005, durante la quale «sono stato chiamato direttamente a sostenere la campagna elettorale del presidente uscente Galan… ho contribuito con 200 mila euro, che ho consegnato alla dottoressa Minutillo… assistente del presidente, mail mercato la chiamava la vice presidente». Ma è nel secondo periodo, con Galan rieletto, che succede qualcosa. «Il secondo periodo – ricorda Baita – comincia per quanto mi riguarda con un invito a pranzo in un ristorante di Galzignano, al quale era presente l’assessore Chisso oltre al presidente Galan». Durante il pranzo, «mi fu detto che, vista la posizione che la Mantovani aveva ormai assunto all’interno del Consorzio, la quantità dei lavori… le lamentele che le imprese di riferimento avevano scritto su una nota che il presidente Galan mi fece vedere sulla invadenza della Mantovani nel settore degli appalti», Baita doveva «ritenersi escluso dagli appalti della Regione durante quella legislatura». I project. E Baita cosa fa?«Dopo un paio di prove e aver dimostrato che senza i santi non si va in paradiso…». «Sia più chiaro », gli chiede il pm. «Ci fanno perdere un paio di gare in modo evidente… ci concentriamo sui project, o partecipando a delle compagini già avviate, come per la Pedemontana, o con proposte autonome nostre». Non c’è via d’uscita: «Dal 2005 al 2010 a Mantovani in Veneto non resta che fare project, perchè appalti non ne vince neanche uno». La sanità. «I project che la Mantovani presenta, in sanità per esempio, se non sono accompagnati da una certa formazione non vincono», precisa Baita. Il quale spiega che «se non c’è la Gemmo non si vince in Veneto una concessione… Gemmo legata all’onorevole Sartori». E Baita poi precisa che «devo dire che il mio rapporto con l’onorevole Sartori non è sempre stato dei migliori… Il mio rapporto con Lia Sartori era del tutto conflittuale, quindi non ho mai corrisposto somme di danaro in via diretta ». La Gemmoa cui si riferisce Baita è la “Gemmo spa” di Vicenza, azienda leader nel settore degli impianti tecnologici e nelle opere di illuminazione pubblica.

(d.n.)

 

Le “collette” di Brentan e il 6% versato dalla Fip

Il ruolo decisivo dell’ex amministratore delegato della Padova-Venezia

Quei 200 mila euro “lasciati” da Scaramuzza per salvare la Sacaim dalla crisi

VENEZIA Giampietro Marchese da una parte, e Lino Brentan dall’altra, sono i due collettori di denaro destinato al Pd veneziano. Denaro proveniente dal sistema Mose e grandi opere in Veneto. Denaro non dichiarato, soldi che provengono dal Consorzio Venezia Nuova e dalle imprese impegnate nella realizzazione di opere autostradali. E non sono pochi soldi, anche se va detto che molto probabilmente qualche cosa è rimasto attaccato alle mani dei due collettori. Emerge dagli interrogatori di Giovanni Mazzacurati che consegna il denaro a Giampiero Marchese e dell’imprenditore Mauro Scaramuzza, titolare di un’impresa impegnata nel 2006, nella realizzazione di opere di mitigazione ambientali lungo il passante di Mestre. Quest’ultimo ha rapporti diretti con Lino Brentan, amministratore delegato della Padova- Venezia. La sua Fip Indutriale di Mestre vince l’appalto ma è costretta a cederlo alla Sacaim, anche se di fatto resta a gestire i lavori. Brentan è chiaro «lascia l’appalto alla Sacaim ed è inutile che fai ricorso al Tar, tanto perderesti solo del tempo…», gli dice quando vengono affidati i lavori. In quella occasione Scaramuzza capisce cosa voglia dire lasciare l’appalto. La Fip, deve consegnare il 6 per cento del valore dei lavori alla Sacaim, in quel momento non è in buone acque: si tratta di 200mila euro. All’apparenza sembrano soldi destinati all’impresa in difficoltà. In realtà Scaramuzza spiega alpm Stefano Ancilotto che lo interroga nel novembre scorso, che in più occasioni Brentan si lamenta di come è stato trattato dal partito. «Gli ho procurato dei fondi e manco mi ringraziano», dice l’ad dell’autostrada. Ma Scaramuzza consegna denaro a Brentan, destinato al Pd, anche grazie a ad un’altra azienda costretta a pagare, allo stesso titolare della Fip, se vuole lavorare negli appalti. Si tratta dei fratelli Benetazzo, titolari di un vivaio. Per fornire le piante da sistemare lungo il Passante devono pagare a Scaramuzza 170mila euro, che lui in gran parte e con tranche diverse, consegna a Brentan per le campagne elettorali ma pure per spese personali dell’ad: acquisto di mobili e biglietti della lotteria. Comunque la cupola Mazzacurati- Baita era informata di tutto, senza il suo assenso nulla sarebbe avvenuto. Del resto Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio spiega al pm Paola Tonini: «Ho dato per tre anni all’incirca 500 mila euro a Marchese. In occasione i campagne elettorali. Lui ci serviva come vice presidente del consiglio regionale per velocizzare le pratiche».

Carlo Mion

 

Il rapporto sulle ecomafie in regione

Legambiente: anche noi parte civile sul Mose

Accertati oltre mille reati contro l’ambiente, altrettante denunce e più di 200 sequestri

VENEZIA – Legambiente si costituirà parte civile nel processo per la nuova tangentopoli veneta e nel contempo, assieme all’Osservatorio ambiente legalità Venezia, propone una serie di proposte contro la corruzione. Dal traffico dei rifiuti all’abusivismo edilizio, dagli incendi boschivi al racket degli animali, dall’agromafia agli affari illeciti nel settore dei beni culturali e della green economy: sono alcuni dei temi di “Ecomafia 2014”, il rapporto annuale di Legambiente che racconta il business sempre fiorente della criminalità che danneggia l’ambiente e mette a rischio la salute dei cittadini. A presentare il Rapporto sono stati ieri a Mestre l’assessore comunale all’Ambiente, Gianfranco Bettin, i presidenti di Legambiente Veneto, Luigi Lazzaro, e del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto, Luca Tirapelle, e il coordinatore dell’Osservatorio ambiente e legalità di Venezia, Gianni Belloni. «Il Veneto – ha spiegato Belloni – guadagna una posizione rispetto allo scorso anno, passando al decimo posto nella classifica sugli illeciti accertati dalle forze dell’ordine. Nella nostra regione sono state registrate 1.004 infrazioni, pari al 3,4% per cento del totale, 1.035 sono state le persone denunciate e 213 i sequestri. Si è registrato inoltre un cambiamento nel modus operandi delle organizzazioni criminali che lucrano sul ciclo dei rifiuti o del cemento a spese dell’ambiente, che hanno accresciuto la capacità di mimetizzare gli illeciti e di ampliare le rotte del crimine». «Il Rapporto – ha sottolineato Bettin – ci racconta di un contesto squilibrato a livello nazionale, un sistema malato che ha preparato la strada a crimini ambientali enormi, come quello del Mose, vero e proprio test sulla carne viva della città e della laguna che ha prodotto danni ambientali devastanti senza neppure una reale garanzia di efficacia». «È ora di voltare pagina – ha concluso Lazzaro – e di passare dall’indignazione ai fatti concreti per fermare la corruzione dilagante, che crea ingiustizia, spreca risorse pubbliche e devasta l’ambiente. Per questo abbiamo stilato un “Manifesto contro la corruzione, per i beni comuni e la democrazia” che contiene 15 proposte concrete e verificabili». Per leggere il manifesto e aderire: stop corruzione veneta. wordpress.com

(c.m.)

 

L’OPINIONE

LO STATO CHE BISOGNA BONIFICARE

Cosa può fare la politica I partiti hanno occupato lo Stato, ora serve una rigorosa selezione delle persone a cui si affidano incarichi pubblici

FRANCESCO JORI – Come vent’anni fa? No,come duemila. Mentre a Roma si discute, che si tratti di Annibale o di Scajola, la Sagunto-Italia viene espugnata, messa a sacco, depredata. Un Niagara di tangenti fertilizza le praterie di una sfilza di mascalzoni, non pochi dei quali recidivi; e anziché prosciugarle alla fonte, stiamo ancora qui a di battere se sia un problema di regole o di uomini. Sappiamo bene, dalla stagione di Mani Pulite, cosa si sarebbe dovuto fare. Non solo non lo si è fatto, ma diversi protagonisti di allora tuonano tutt’oggi contro la magistratura, dimenticando le cifre ufficiali: solo il 6 per cento degli imputati sono stati assolti perché estranei ai fatti; degli altri, molti se la sono cavata grazie a una legislazione di favore. Dalle fogne messe a nudo in tante successive vicende, e in particolare le due ultime di Expo e Mose, emerge una sconcertante novità: la tacita istituzione di una sorta di Cassa Depositi ed Elargizioni; i primi costituiti con i soldi della comunità, le seconde erogate non più a beneficio di partiti e correnti come vent’anni fa, ma di singoli figuri collocati in posizioni strategiche, politiche e amministrative. Un meccanismo messo in piedi dallo Stato in persona, attraverso strutture tecnocratiche ad hoc: come il Consorzio Venezia Nuova, che come ha spiegato Piergiorgio Baita intasca per legge, e ribadiamo per legge, il 12per cento; cifra servita per garantire una vita spericolata non solo a se stesso, ma pure a una serie di personaggi di ogni forma e colore, per il non disprezzabileimportodi100milioni. Finendo per penalizzare le imprese di cui avrebbe dovuto essere la sponda. Ci sono altre due questioni da chiarire. La prima è quella sottolineata da un giudice stimato come Carlo Nordio: il sistema delle opere pubbliche è congegnato in modo talmente farraginoso e complesso, da indurre all’illecito per by-passarlo. Anche questa è saggezza antica: «corruptissima re publica plurimae leges», ammoniva Tacito. Come dire, le troppe leggi aprono le porte alla corruzione; nell’odierna Italia, le spalanca. Inutile sparare sulla magistratura, o parlare di giustizia a orologeria: tocca alla politica cambiare le leggi; e se non lo fa, è per ignavia o per interesse. La seconda questione riguardai predatori. Ogni volta, tutti si proclamano innocenti e vittime di macchinazioni. Aspettando le sentenze, resta il fatto che intanto i soldi dalle casse sono usciti, e tanti. Non risulta che siano stati versati alla Caritas o alla San Vincenzo; e poiché, tanto nella vicenda Expo come in quella Mose, sono serviti a creare un fondo- tangenti, è assai improbabile che siano finiti nelle tasche degli uscieri. Non creiamo mostri, ma neppure martiri: qualcuno di sicuro ne ha beneficiato; e altrettanto di sicuro non era un comprimario. In attesa di certezze su nomi e responsabilità, ci sono almeno due cose che il sistema politico può e deve fare, da subito. Primo, smetterla con ipocrite prese di distanza o con ambigui silenzi: avessero o no in tasca una tessera, le persone coinvolte hanno fatto molto comodo ai partiti per raccogliere voti e gestire istituzioni; quanto a chi la tessera l’aveva, in non pochi casi ha rivestito posizioni di primissimo piano, e non per poco tempo. Secondo, e conseguente: occorre procedere a una radicale bonifica delle posizioni esistenti, e a una rigorosa selezione delle persone cui si affidano incarichi pubblici, dai palazzi romani a quelli periferici, dai grandi enti ai piccoli consigli di amministrazione. Non basta mettere in galera ladri e corrotti, ammoniva più di trent’anni fa Enrico Berlinguer: il nodo sta nell’occupazione dello Stato a opera dei partiti. L’assedio continua; e ad ognuno ormai puzza questo barbaro dominio, come scriveva Machiavelli nel “Principe”: cortigiani di ogni colore, lasciateci respirare.

 

Orsoni: ho chiesto quei soldi

Mose, il sindaco ammette un contributo dal Consorzio per le elezioni

Orsoni: sì, a Mazzacurati chiesi soldi per le elezioni

Zoggia, Marchese e Mognato lo consigliarono di rivolgersi al Consorzio perché Brunetta era in vantaggio.

Ammessa anche la consegna di una busta

VENEZIA Il sindaco di Venezia spera di essere scarcerato presto dopo il lungo interrogatorio di tre giorni fa, anche perché se da un lato ha continuato a negare di aver ricevuto nelle sue mani direttamente dal presidente del Consorzio Venezia Nuova i 400 mila euro per la sua campagna elettorale, dall’altro ha fornito al pubblico ministero Stefano Ancilotto nuovi elementi utili all’indagine. Ha, infatti, raccontato che nel 2010, in piena campagna elettorale per le comunali in laguna, si erano presentati da lui l’allora segretario provinciale Michele Mognato, poi eletto in Parlamento, l’allora candidato alla presidenza della Provincia Davide Zoggia poi eletto alla Camera e chiamato in segretaria nazionale del Pd da Pierluigi Bersani, e Giampietro Marchese, responsabile organizzativo del partito. Al futuro sindaco, sempre stando al racconto di Orsoni, avrebbero spiegato che la campagna elettorale non stava andando come doveva e c’era il rischio che il candidato del Centrodestra – era Renato Brunetta – potesse farcela, c’era quindi la necessità di incrementare gli sforzi e di conseguenza c’era bisogno di soldi per finanziare iniziative e propaganda. Orsoni avrebbe spiegato che i tre esponenti del Pd l’avrebbero spinto a chiedere a Giovanni Mazzacurati ulteriori finanziamenti oltre a quei 110 mila euro che le aziende collegate al Consorzio avevano elargito. Per convincerlo avrebbero aggiunto che quei finanziamenti ulteriori poteva chiederli e ottenerli soltanto lui, grazie all’amicizia di lunga data che lo legava al presidente del Consorzio. Il futuro sindaco avrebbe compiuto il passo richiesto, ma durante il lungo interrogatorio di lunedì, è durato quasi due ore alla presenza dei difensori (gli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo), ha ribadito di non aver mai ricevuto quei 400 mila euro di cui ha raccontato l’anziano ingegnere. Ha naturalmente ammesso che Mazzacurati è più volte andata a casa sua, a San Silvestro, e che in un’occasione gli avrebbe anche consegnato una busta, ma lui non l’avrebbe aperta, non sapendo che cosa conteneva, lui credeva documenti e carte: «Io non ho visto un euro», ha messo a verbale. Sulla base di questo interrogatorio, i difensori non solo hanno chiesto al giudice Alberto Scaramuzza, lo stesso che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, che il sindaco venga scarcerato, ma avrebbero già avviato una trattativa con i rappresentanti della Procura che si occupano della vicenda per giungere ad un patteggiamento, di quelli previsti dal codice durante le indagini preliminari e dunque prima di qualsiasi richiesta di rinvio a giudizio. Il reato contestato al sindaco, due episodi di finanziamento illecito al partito, prevede una pena che varia da un minimo di sei mesi di reclusione a un massimo di quattro anni ed è probabile che i difensori puntino al minino a addirittura a uno o due mesi in meno di quei sei mesi. Probabile, comunque, che l’obiettivo principale dei due avvocati non sia tanto il mese in più o in meno, bensì quello di ottenere prima possibile la scarcerazione del sindaco e in secondo luogo la sua uscita da questa inchiesta dei pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonin i e Stefano Buccini in modo da non vedere più il suo nomee la sua foto accanto a quella degli altri arrestati e indagati, i quali devono rispondere del reato di corruzione, un’accusa ben più grave e diversa da quella contestata ad Orsoni. E il primo obiettivo, quello della scarcerazione potrebbero ottenerlo addirittura entro la fine di questa settimana, sempre grazie all’interrogatorio di lunedì scorso.

Giorgio Cecchetti

 

ex assessori e tesorieri, ora in regione e in parlamento

Il filo rosso tra Comune e Partito democratico

Chi sono i tre uomini che vengono dal Pci-Pds e tengono in pugno il Pd veneziano

VENEZIA – Finanziamenti per la campagna elettorale e l’elezione del sindaco. È un filone della maxi inchiesta sul Mose, che adesso intende far luce anche sulla corsa delle amministrative 2010. Lotta furibonda tra il candidato del centrosinistra, l’avvocato Giorgio Orsoni, e il fedelissimo di Berlusconi, l’economista Renato Brunetta. Quest’ultimo si porta in laguna i ministri del governo Berlusconi, si schiera senza riserve per il Mose e le grandi opere, raccoglie anche lui fondi (dichiarati) da industriali e imprese del Consorzio. A un certo punto i sondaggi dicono che potrebbe farcela, nonostante la lunga tradizione di centrosinistra in città. Occorre cambiare marcia. E questo, secondo le dichiarazioni rese dal sindaco ai magistrati, è il motivo della richiesta che gli viene fatta dai tre responsabili del suo comitato elettorale. Chi sono? Giampietro Marchese, 55 anni, jesolano, esponente storico del Pci locale. Sempre in seconda fila, a contare le preferenze e a incassare i finanziamenti. Il tesoriere è un pezzo importante del Pci-Pds, poi del neonato Pd. Gestisce i contatti con le imprese e i sostenitori. Viene eletto per tre volte in Consiglio regionale, dove si occupa di sanità. Da Orsoni si fa anche nominare amministratore delegato della società delle Farmacie comunali. Si autosospende dal Pd dopo la notizia dell’estate scorsa di aver ricevuto finanziamenti elettorali. «Un atto opportuno», commenta allora il segretario provinciale Michele Mognato, «per fare chiarezza evitando strumentalizzazioni ». Del trio che chiede altri finanziamenti, secondo le dichiarazioni di Orsoni, farebbe parte anche lui. Classe 1961, impiegato alla Metro, la multinazionale del commercio con sede a Marghera, ha fatto il consigliere comunale, il vicesindaco di Paolo Costa e poi di Massimo Cacciari. Capogruppo e segretario provinciale del Pd, è stato eletto alla Camera nel 2013. Il terzo uomo è Davide Zoggia, 50 anni, è stato sindaco di Jesolo, poi vicepresidente e presidente della Provincia (dal 2004 al 2009), poi sconfitto dalla leghista Francesca Zaccariotto. Viene eletto anche lui alla Camera con le Politiche del 2013, messo in lista – come Mognato – per la corrente bersaniana. Negli ultimi due anni Zoggia ha esercitato la funzione di portavoce del segretario Pierluigi Bersani, responsabile nazionale degli Enti locali e segretario organizzativo. Una «fede», quella per il partito, che li tiene uniti ormai da molti anni. E che li ha messi un po’ in crisi con la vittoria al congresso di Matteo Renzi. Mognato, Zoggia e Marchese. Per loro finora non è emersa alcuna ipotesi di reato. Ma una chiamata di responsabilità da parte del sindaco che hanno eletto nel 2010.

Alberto Vitucci

 

Letta: solo falsità e fango

Boldrin: quelle con il Cvn sono fatture vere e documentabili

VENEZIA «Leggo falsità sul mio conto legate al Mose. Smentisco con sdegno e nel modo più categorico. Non lascerò che mi si infanghi così!». Lo scrive su Twitter l’ex premier Enrico Letta, dopo aver letto quanto riferito da alcuni giornali, che riferiscono quanto dichiarato da Roberto Pravatà, ex vicedirettore del Consorzio Venezia Nuova. «Nel 2007 abbiamo dato un contributo elettorale di 150 mila euro all’onorevole Enrico Letta». La somma sarebbe stata versata ad Arcangelo Boldrin, che replica senza timori: «Con riferimento alle notizie di stampa preciso che il nostro Studio Associato ha svolto per qualche tempo un’attività professionale nei confronti del Consorzio Venezia Nuova, tutta documentabile e regolarmente fatturata. Contribuzioni dirette o indirette a sostegno di campagne elettorali dell’On. Enrico Letta sono destituite di ogni fondamento», afferma il commercialista Arcangelo Boldrin. «E sono convinto della totale onestà di Enrico Letta: il mio contratto è reale con fatture vere, lo posso dimostrare».

 

Le dichiarazioni sui rapporti con la lega

Sutto e l’incontro con Cavaliere

La Spessotto (M5S): revocare tutte le sentenze del Tar

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova «non aveva referenti politici nella Lega», ma non significa che non parlasse anche con il Carroccio. Lo racconta Federico Sutto, ex braccio destro di Mazzacurati, nei verbali agli atti della inchiesta Mose. «Si parlava anche con la Lega» dice Sutto. «L’unica persona che in passato ha avuto un rapporto con il Consorzio, intorno al 2000, è stato Enrico Cavaliere, quand’era presidente del Consiglio regionale. L’abbiamo conosciuto e visto» prosegue Sutto « «e la cosa è finita lì». Sullo scandalo interviene anche Arianna Spessotto, deputata M5S. «A fronte delle ultime e gravissime dichiarazioni rilasciate dalla Minutillo, ex segretaria di Galan, e Baita, ex presidente della Mantovani, chiediamo la revoca immediata di tutte le sentenze pronunciate dal Tar della Regione Veneto e dal Consiglio di Stato, nel cui Collegio giudicante dovessero esserci soggetti coinvolti nell’inchiesta in corso sul Mose. E’ quanto ha affermato ieri in Aula la portavoce del M5S Arianna Spessotto in relazione alla notizia dell’acquisto di sentenze, da parte degli imprenditori del Mose, attraverso un avvocato cassazionista, Corrado Crialese. «Questa vera e propria compravendita di sentenze favorevoli alle ditte del Consorzio rappresenta solo un piccola parte dell’agghiacciante quadro che sta emergendo in questi giorni, una Tangentopoli-bis che vede il coinvolgimento di una classe politica, con esponenti sia di destra che di sinistra, implicata in un sistema criminoso senza precedenti

 

Lista di urgenze, poi a casa

Simionato: «Vediamo se ci sono le condizioni per approvare il bilancio»

Un decalogo delle cose da fare prima di sciogliere il Comune. Una lista di “emergenze” da sottoporre ai cittadini. Il sindaco facente funzioni, Sandro Simionato: «Vediamo se ci sono le condizioni per approvare il bilancio»

Decalogo di urgenze prima di andare a casa

Il vicesindaco Simionato riunisce la giunta: «Incontreremo le categorie»

Per tutta la giornata si sono rincorse voci sulle dimissioni di Orsoni

VENEZIA Un decalogo di cose da fare prima di sciogliere il Comune. E una lista di «emergenze» da sottoporre ai cittadini. «Ci proviamo, vediamo se ci sono le condizioni per approvare un bilancio», dice con in filo di voce il sindaco «facente funzioni » Sandro Simionato. Dimagrito di qualche chilo, affaticato e convinto che andare a casa subito non sarebbe un buon affare per la città. Ieri, per tutta la mattinata, si era sparsa la voce che il sindaco avesse intenzione di dimettersi. La lettera non è arrivata,ma l’agitazione era palpabile. La legge prevede che il sindaco possa presentare le sue dimissioni al presidente del Consiglio comunale (Roberto Turetta) o al segretario generale (Rita Carcò). Ma essendo ancora agli arresti domiciliari avrebbe dovuto farlo attraverso si suoi legali. Una mossa che avrebbe reso vano il tentativo, annunciato anche in Consiglio comunale, di «provare ad approvare il bilancio prima dell’arrivo del commissario». Niente di tutto questo. A Ca’ Farsetti la lettera non è arrivata. Potrebbe arrivare forse nei prossimi giorni, se come sembra, il sindaco dovesse ottenere la libertà tra domani e lunedì. Intanto si prova ad andare avanti sulla strada stabilita a larga maggioranza dal Consiglio comunale di lunedì. Ieri si è riunita la giunta, presieduta da Simionato. «Abbiamo deciso di incontrare ognuno per le parti di sua competenza associazioni di categoria, comitati e gruppi di cittadini. per confrontarci e capire se ci sono i termini per provarci», dice Simionato. «Il nostro dovere è quello di mettere in sicurezza il bilancio, garantire i servizi ai cittadini, portare a termine progetti avviati», continua. Questioni come la bonifica di Marghera, la vendita del Casinò, la programmazione dei servizi sociali, il tram, l’Arsenale. Ce la farà la giunta? La pressione per «andare a casa subito » è sempre più forte. Lo chiedono le opposizioni, ma anche molti settori della maggioranza. «Sabato a Roma c’è l’assemblea nazionale, sentiamo anche cosa dice il segretario Renzi», sorride Simionato. Ma il clima a Ca’ Farsetti non è dei migliori. E in mattinata il vicesindaco ha voluto precisare la sua posizione in merito alla decisione di costituire il Comune come parte civile sulla vicenda delle tangenti. Un atto che qualcuno aveva interpretato anche contro il sindaco Giorgio Orsoni. «Ma c’è una totale diversità tra la posizione del sindaco, che mi auguro possa a breve dimostrare la propria estraneità alle accuse e il sistema di corruzione costruito intorno al Mose, con la regia tecnico politica che sta da altre parti». Secondo Simionato la prova è che «in alcun modo l’amministrazione comunale, i suoi dirigenti e i suoi dipendenti sono coinvolti in queste vicende. È contro quel sistema di malaffare che la città intende far valere la propria onorabilità e la propria diversità». Ma la situazione politica, al di là di come finirà l’inchiesta, è compromessa. Le dimissioni del Consiglio comunale sono ormai imminenti, sicure entro l’estate. E il voto – forse anticipato a ottobre, se il governo firmerà il decreto – inevitabile per riportare a piena operatività un’amministrazione comunale colpita al cuore dall’arresto del suo sindaco.

Alberto Vitucci

 

stop alla concessione unica

«Opera approvata senza una Via positiva»

Alla Camera il question time e l’interrogazione al governo del grillino Marco Da Villa

VENEZIA «Un’opera approvata senza mai avere avuto un decreto di Valutazione ambientale favorevole. Leggi eluse, un sistema capillare di tangenti e le alternative mai prese in considerazione. Si è lasciato a un privato il compito di studiare e intervenire sulla laguna, senza controlli pubblici». Question time sullo scandalo Mose ieri mattina a Montecitorio. Il ministro per l’Ambiente Luca Galletti ha risposto all’interrogazione del deputato Cinquestelle Marco Da Villa. «Ha confermato in pratica che quell’opera è stata approvata senza una Via favorevole », dice Da Villa, «e questo non ci soddisfa. Non sono state rispettate le leggi, e non soltanto con il governo Berlusconi, ma anche con il governo Prodi e il suo ministro Di Pietro, ex pm di mani pulite. Adesso il governo Renzi sta seguendo lo stesso metodo con le grandi navi, cercando di far passare come unica soluzione il devastante scavo del nuovo canale Contorta- Sant’Angelo. Da Villa, a nome del Movimento Cinquestelle, ha proposto allora quattro azioni «immediate ». L’interruzione immediata della concessione unica, già cancellata dalla legge; la separazione degli studi dalla progettazione e dal controllo delle opere va anche smontata totalmente, prosegue Da Villa, la struttura del Magistrato alle Acque, collocandolo al ministero dell’Ambiente com’è naturale che sia. Infine, occorre «ridurre le profondità delle bocche di porto, almeno dove i cassoni non sono ancora posizionati, come Malamocco e Chioggia; e correggere per quanto possibile i difetti delle paratoie mobili. Un tema per niente chiuso, quello della salvaguardia. E una nuova luce gettata dopo la grande inchiesta sulle tangenti. «Una cricca che la lavorato per vent’anni», dice Da Villa, «e nessuno ha mai alzato la voce di fronte al prolungamento della concessione. Nemmeno le imprese rimaste senza lavoro». Un dibattito destinato a proseguire anche in sede parlamentare. Dove numerose sono state negli ultimi anni le interrogazioni presentate anche dal senatore del Pd Felice Casson e in sede locale da Verdi e Rifondazione. Anche queste rimaste spesso senza risposta.

(a.v.)

 

«Le mani sulla città», quel dossier del 2006

I comitati: «Le nostre denunce ignorate sulla rete diffusa del malaffare per la salvaguardia»

VENEZIA «Le mani sulla città». Denunce cadute nel vuoto, esposti lasciati un cassetto. Adesso il Comitato «No Mose-Laguna Bene comune » rilancia. E ripropone il «libro bianco» diffuso nel novembre del 2006, all’indomani del via libera del Comitatone (con il voto contrario del sindaco Cacciari) ai lavori del Mose. «Basta leggere il dossier», dice il portavoce Luciano Mazzolin, «per capire che c’è ancora molto su cui indagare». Quei giorni di novembre del 2006 i comitati avevano occupato la sede del Consorzio Venezia Nuova in campo Santo Stefano, srotolato striscioni e distribuito volantini con su gli «appunti per un libro bianco». Materiali ufficiali e articoli di giornale, ricerche contabili e sulle società. «Il Consorzio è fuorilegge», è scritto nel dossier, che i comitati hanno deciso di ripresentare alla Procura, «perché nel 1993 con la legge 527 il Parlamento aveva deciso di abrogare la famigerata concessione unica. La legge del 1984 che attribuiva al Consorzio il monopolio delle opere di salvaguardia in laguna, dispensandolo dalle gare d’appalto e in pratica annullando ogni forma di concorrenza. Ma anche lì si era trovato «l’inganno». Perché un comma della legge manteneva in vita «gli atti adottati e gli effetti prodotti». Dunque restava in vigore la famosa convenzione quadro del 1992 che vincolava lo Stato a una serie di obblighi con il suo concessionario. Un dossier che parlava dei «mancati controlli» del Magistrato alle Acque, dell’intreccio degli interessi e delle imprese coinvolte nella grande torta del Mose. «Il Consorzio Venezia Nuova e il partito trasversale degli affari hanno le mani sulla città e sulla laguna», il titolo della denuncia. Sotto accusa anche gli incarichi di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani che all’epoca otteneva quasi tutti i grandi lavori per le infrastrutture dalla Regione di Giancarlo Galan e Renato Chisso. La società Palomar, di proprietà del Consorzio, che aveva avuto in concessione i Bacini di carenaggio dell’Arsenale. E il Corila, il Consorzio universitario incaricato di fare studi e monitoraggi in laguna. Otto anni fa avevamo già denunciato tutto», dice Mazzolin, «la centrale della corruzione nata negli anni Ottanta grazie a un’idea di Gianni De Michelis, poi diventato vicepresidente del Consiglio. Un dossier secondo i comitati ancora estremamente attua- Lavori in corso per il Mose a Malamocco le.

(a.v.)

 

«Un esame di coscienza prima di trarre giudizi»

Il Patriarca Francesco Moraglia invita alla prudenza. «Vivo questo momento con trepidazione, preoccupazione e speranza. Bisogna tenere la barra dritta»

VENEZIA «Tenere la barra dritta. A dispetto dei venti impetuosi che vorrebbero condurre la nave di qua e di là. Quant’è più facile, infatti, lasciarsi portare dal vento. Ma sarebbe debolezza o, almeno, leggerezza. Con il pericolo di non giungere alla meta che pur nella tempesta di questi giorni si chiama giustizia. Vivo il momento presente con trepidazione e speranza ».Così il patriarca Francesco Moraglia affronta la questione dell’inchiesta sul Mose. Lo aveva detto sulla Nuova, adesso in un’intervista che uscirà domani con il settimanale diocesano Gente Veneta. Una questione che ha sconvolto la città. Perché oltre alla «cricca» del Mose l’inchiesta ha toccato anche il sindaco Giorgio Orsoni, primo procuratore di San Marco. E nelle carte compare anche il Marcianum (di cui era presidente Giovanni Mazzacurati) e il nome dell’ex patriarca Angelo Scola, oggi arcivescovo di Milano.Coni finanziamenti della Legge Speciale destinati dalla Regione di Galan al seminario e al palazzo patriarcale. Moraglia invita tutti a un «esame di coscienza». «In attesa che i fatti siano accertati e i giudizi emessi», dice, «è urgente avviare da subito un esame di coscienza. Che deve avere per protagonisti la città e la Chiesa che è in Venezia». Ma anche alla prudenza. «Prima di ergersi a giudici di una situazione ancora in divenire », dice, «è bene riflettere con pacatezza. Per questo anch’io ho ritenuto opportuno riflettere per non lasciarmi andare a dichiarazioni affrettate». Una prudenza che non va vista come debolezza ma come virtù. «Ricordo che già vent’anni fa ai tempi di Tangentopoli », risponde il patriarca, «mi sentivo molto in sintonia con chi diceva “i magistrati parlano con le sentenze”. In un tempo in cui tutti davano interviste la trovai un’affermazione di metodo saggia, opportuna e volta al bene comune. In generale, penso che sia corretto esprimersi su un fatto per ciò che si sa, per conoscenza diretta e completa, nelle sedi opportune. Il resto tende a sconfinare nelle chiacchiere». Una bufera che non lascia insensibili i vertici della Chiesa veneziana. Anche se, dice il patriarca, bisogna essere prudenti e tendere alla giustizia. « credo che nessuno debba e possa godere di questa situazione», continua Moraglia, «penso che sia un momento faticoso e difficile e faticoso per tutti, anche se con responsabilità ben distinte. Al tempo stesso è una situazione che deve essere letta come momento di grazia e di speranza, se fa scaturire davvero quell’esame di coscienza di cui parlavo». Una situazione delicata, che il patriarca Moraglia e i vertici della Curia seguono con attenzione.

(a.v.)

 

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