Nuova Venezia – Mose. Meneguzzo ottiene i domiciliari
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
22
giu
2014
INCHIESTA TANGENTI
Ai domiciliari
Meneguzzo ad di Palladio
Meneguzzo ottiene i domiciliari
Scarcerato l’ad di Palladio. Lunedì cruciale per Galan: presenta il suo memoriale
VENEZIA – Roberto Meneguzzo, l’amministratore delegato di Palladio Finanziaria, è uscito dal carcere per fare ritorno alla sua casa di Vicenza. Il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, ha accolto la richiesta presentata dall’avvocato Giovanni Manfredini concedendo gli arresti domiciliari all’imprenditore detenuto dal 4 giugno per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio. È il prologo ai due appuntamenti di domani, per quanto riguarda l’inchiesta della Procura veneziana sul Mose. Innanzitutto il Tribunale del riesame valuterà i ricorsi di una decina di arrestati, tra cui quelli dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, del consulente fiscale del Consorzio Venezia nuova Francesco Giordano, del commercialista di riferimento dell’ex presidente della giunta veneta Giancarlo Galan, Paolo Venuti, del dirigente regionale delle Infrastrutture Giuseppe Fasiol. Ma c’è anche un appuntamento a Roma: Galan ha preannunciato che in una conferenza stampa alla Camera illustrerà la sua memoria difensiva prima di presentarsi – mercoledì – davanti ai colleghi della Giunta per le autorizzazioni a procedere, presieduta da Ignazio Larussa. Una memoria che i due difensori dell’ex ministro di Forza Italia, gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini, hanno già consegnato ai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, gli stessi che hanno chiesto il suo arresto per corruzione. Nel frattempo la sua villa di Cinto Euganeo (secondo le accuse di Piergiorgio Baita, restaurata per oltre un milione di euro con i soldi della Mantovani), una decina di imbarcazioni da diporto e i suoi conti correnti sono finiti sotto sequestro. C’è anche una cassetta di sicurezza intestata alla moglie, che è stata sigillata e che verrà aperta solamente se la Giunta della Camera darà il via libera affermando che non c’è alcuna persecuzione nei suoi confronti da parte della Procura veneziana. Galan ha chiesto più volte, attraverso i suoi legali, di essere sentito anche dai pm veneziani, che ora evidentemente non hanno alcun interesse ad ascoltarlo; lo faranno presumibilmente dopo la decisione della Camera. Prosegue, intanto, anche l’indagine nella Repubblica di San Marino, avviata grazie alla documentazione inviata dall’autorità giudiziaria veneziana oltreun anno fa. Al centro dell’attenzione c’è l’attività della «Bmc Broker srl» di William Colombelli, che avrebbe emesso ben otto milioni di fatture false a favore della Mantovani e di Adria Infrastrutture, le società che facevano capo a Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Sono tutti indagati per riciclaggio e fatture false da tempo anche a San Marino, dopo aver patteggiato la pena a Venezia. Colombelli, tra l’altro, si presentava come console in Italia per San Marino e, almeno allora,nessuno lo aveva smentito, tanto che era stato lo stesso Galan, poi diventato ministro, ad averlo presentato con quella carica a più persone.
Giorgio Cecchetti
Comune e Wwf contro Tar sul «gigante» di Pellestrina
Da cinque anni giace al Consiglio di Stato il ricorso sul grande cantiere delle diga abbinato al «villaggio» per 400 operai realizzato su un’area sottoposta a vincolo
VENEZIA – Da oltre cinque anni, giace nei meandri del Consiglio di Stato – mai messo a ruolo in udienza, nonostante due solleciti delle parti, per ora caduti nel nulla – l’appello con il quale il Comune di Venezia e il Wwf hanno impugnato la sentenza del Tar del Veneto, che nell’ormai lontano ottobre 2008 ha respinto il ricorso presentato contro la realizzazione del gigantesco cantiere del Mose e il “villaggio” per 400 operai realizzato a Pellestrina, su un’area vincolata. Oggetto del contendere – con richiesta di risarcimento danni avanzata dal Comune – il parere positivo con la quale la Commissione di salvaguardia autorizzò la realizzazione dell’enorme piattaforma di 500 metri tra spiaggia e mare, lungo la diga di Pellestrina (su area Sic sottoposta a tutela) destinata alla realizzazione dei cassoni del Mose e il vicino villaggio per le maestranze. Nel 2008, il Tar Veneto – presidente Bruno Amoroso – respinse il ricorso sostenendo che si trattava di opere «strumentali alla realizzazione del Mose» e che un eventuale accoglimento «avrebbe pregiudicato l’intero iter di realizzazione del Mose, da tempo ormai definito e consolidato ». Presentato appello, del procedimento non si sa più nulla. «Visto quel che sta accadendo, faremo subito partire il terzo sollecito», osserva l’avvocato Angelo Pozzan, che patrocina il ricorso per il Wwf, «il nostro obiettivo non è mai stato fermare la realizzazione del Mose, ma contestare un atto a nostro giudizio illegittimo». Allora, il ricorso contestò – tra l’altro – come l’autorizzazione paesaggistica fosse stata data al Consorzio Venezia Nuova a mega cantiere già realizzato e con il parere contrario del ministero dell’Ambiente al villaggio per 400 operai, che il quale si erano ipotizzati siti alternativi come una nave o le palazzine dell’ex colonia Inpdap. «Tant’è», conclude l’avvocato Pozzan, «quel nostro ricorso è ancora attuale, perché se venisse riconosciuta dai giudici l’illegittimità dell’autorizzazione della commissione di salvaguardia, saremmo davanti ad un abuso edilizio da sanare con le previste sanzioni a favore delle casse del Comune: milioni di euro». Di ricorsi amministrativi si è parlato anche nell’inchiesta «Tangenti Mose»: l’avvocato Corrado Crialese è, infatti, accusato dalla Procura di Venezia di millantato credito, per essersi fatto consegnare 340 mila euro da Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo sostenendo che avrebbe potuto influire sull’esito dei giudizi presso il Tar Veneto e il Consiglio di Stato in cui erano coinvolte le società del Gruppo Mantovani (dalla Pedemontana alla Jesolo-Mare), «col pretesto di dover remunerare i magistrati che facevano parte dei collegi giudicanti incaricati di decidere le relative controversie». Millantato credito: nessuna accusa è quindi mossa ai giudici.
Roberta De Rossi
I COMPAGNI DELLE LAUTE MERENDE
di FRANCESCO JORI
Falce e carrello. È un’istruttiva storia delle coop rosse, quella proposta nel 2007 da Bernardo Caprotti (il “signor Esselunga”, ora in meritata pensione) in un libro scomodo: più volte oggetto di querela, incluso un tentativo di sequestro delle copie ma che continua a tenere botta e a rimanere a disposizione di chi vuol farsi una cultura. Riguarda il settore della grande distribuzione; e tuttavia le vicende di queste settimane suggeriscono l’idea che potrebbe anche essere solo il primo atto di una mortificante trilogia: seguito da Lombardia-Expo, Veneto-Mose. L’accordo spartitorio denunciato già vent’anni fa dal giudice Carlo Nordio si ripropone oggi in termini ancora più esasperati: mettendo a nudo un mercato drogato, dal quale viene sistematicamente escluso chi tenta di seguire le regole. E perfino chi si riduce a dirsi a sua volta disponibile a ungere le ruote pur di non rimanere a secco: come suggerisce la meschina vicenda di Chioggia, dove alcune cooperative fuori dal giro non sono riuscite a entrare nel gioco neppure offrendosi di pagare tangenti. Da Manutencoop a Cmc, da Coopsette a Unieco, da Milanoa Molfetta passando per Venezia e Perugia, un inquietante “fil rouge” di inchieste tiene insieme un mondo che per decenni ha vissuto in simbiosi con il principale partito della sinistra, attraversando senza traumi i vari cambi di ragione sociale dello stesso, da Pci a Pds a Ds, fino a travasare le cattive pratiche nel Pd; e mantenendo intatto il proprio budget, semmai impinguandolo, anche a costo di derogare nei rapporti con i dipendenti ai principi ispiratori della sua area politico-sindacale di riferimento. E deve proprio aver passato il segno, il cooperativismo rosso, se in maggio,al congresso Cgil di Rimini, si è attirato gli strali di Susanna Camusso: «Sappiamo bene che veniamo dalle stesse radici, ma proprio per questo ci indigniamo di più quando non si riesce a dare risposta al tema della falsa cooperazione, quando si usano appalti alla qualunque e non si firmano i contratti, quando si disdettano gli accordi come una qualunque catena straniera della grande distribuzione». Capitalismo e marxismo, profitti e diritti, mescolati in un indigesto minestrone. Ogni imprenditore che ha a che fare con il settore delle opere pubbliche sa bene che c’è da mettere in preventivo una quota coop, magari mediata dai vari “compagni G” di ogni taglia che continuano a tenere ufficio nel partito, senza che nessuno pensi a fargli trovare le valigie sulla porta con l’invito a sloggiare. Succede nella rossa Emilia, come nell’ex bianco e oggi verde- azzurro Veneto; solo che i consociati di quest’ultimo sono considerati di serie Be ridotti ad accontentarsi degli avanzi: come dimostrano le squallide polemiche interne venute a galla dai verbali dell’inchiesta. «Date qualcosa anche a noi», è la parola d’ordine degli accattoni della tangente: che alla fine considerano un torto non il saccheggio delle pubbliche risorse, ma un incasso a loro avviso inadeguato. Ed è d’altra parte solo l’ennesimo meschino risvolto di un ignobile mercato, la cui foto più impietosa è una delle frasi di Piergiorgio Baita: «Basta portare lì anche la carta igienica usata che te la firmano». Parla del Magistrato alle acque ma a quanto pare, a trafficare con quel prodotto da wc erano in tanti. È tempo di una radicale bonifica, di una grande operazione di igiene. E non solo per i tanti imprenditori onesti messi in ginocchio dalla crisi ma anche dalla corruzione: soprattutto per un Paese che ha vitale bisogno di recuperare la legalità smarrita, perché sequestrata dai soliti noti che nei partiti come nelle istituzioni, nelle grandi imprese come nelle piccole aziende, pasteggiano da decenni nella greppia dell’illecito. Perfino quando si fregiano della qualifica di “compagni”. Compagni sì: ma di laute merende.