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VENEZIA – Partita a Ferragosto, ha già raccolto 500 firme “verificate” una a una e quasi 400 online, su Change.org. Si tratta della petizione lanciata dal gruppo 25 Aprile, Venezia Viva e Ambiente Venezia per chiedere al presidente del Consiglio Renzi di fermare il progetto di scavo del Canale Contorta dell’Angelo. «Quello del Comitatone è stato un blitz d’agosto che va fermato: bisogna, prima, sapere», commenta Marco Gasparinetti, del Gruppo 25 aprile, «la legge speciale impone interventi che siano graduali, sperimentali e reversibili e lo scavo di un nuovo Canale dei Petroli non lo è: determinerà l’accelerazione della massa d’acqua in ingresso, spazzando ad esempio via le isole di Sant’Angelo delle Polveri e San Giorgio in Alga, alle quali abbiamo intitolato l’iniziativa». «Tutto il mondo è contrario passaggio delle grandi navi, ma il Contorta non è la soluzione», commenta l’ex consigliere Renzo Scarpa, di Venezia Viva, «per questo chiediamo ai cittadini di reagire: inciderà sulla velocità d’ingresso dell’acqua e non c’è nuova barena che tenga. Pochi centimetri in più, ma la marea inizierà prima e stazionerà più a lungo. Piazza San Marco sarà sempre sotto». «Il primo atto è questa lettera al premier firmata da veneziani, non da Vip», prosegue Gasparinetti, avvocato, «poi, se il progetto andrà avanti, ci costituiremo con nostre osservazioni nella procedura di Via». «La realizzazione del nuovo canale», si legge, «porterebbe il Canale dei Petroli nel cuore di Venezia riducendone le difese naturali e sottoponendola alla pressione congiunta delle masse d’acqua provenienti dalle bocche di porto di Lido e Malamocco. Chiediamo di ritirare immediatamente il progetto e di riprendere il confronto fra tutte le proposte a disposizione». La petizione sarà sostenuta dal Comitato Nograndinavi, che ieri si è riunito, annunciando anche qualche sorpresa per la Mostra del Cinema: «Ci saremo per ribadire le nostre posizioni», commenta Luciano Mazzolin. Molte le iniziative: l’8 settembre assemblea a San Leonardo promossa dalla Municipalità di Venezia contro lo scavo; il 15, assemblea pubblica organizzata dal Comitato No Grandi Navi domenica 21 settembre, “gita in acqua” aperta ai veneziani dal Canale della Giudecca, fino al Contorta «per mostrare cos’è.

Roberta De Rossi

 

La soluzione Contorta è una forzatura

Mi rivolgo a Matteo Zoppas, presidente di Confindustria. Le recenti decisioni prese dal Comitatone sulla nostra portualità, condivise e fortemente sostenute proprio da Zoppas, e l’aperto appoggio offerto da Confindustria alla gestione Vpt, appaiono ben poco rispondenti con gli interessi e le prerogative della cittadinanza veneziana, unica a dover giudicare in materia. Con una clamorosa forzatura e approfittando dell’assenza di un sindaco eletto, viene scelta una soluzione che porterà ancor più sfruttamento a una città che chiunque dotato di un minimo di spirito critico riconosce aver superato ogni limite ragionevole. Venezia, dove l’Università di Ca’ Foscari ha stimato tra 10 e 12 milioni il volume di turismo sostenibile e compatibile con le sue delicatissime strutture, oggi, non contenta dei 30 milioni di turisti, dovrebbe aumentare i flussi ampliando la ricettività delle strutture portuali per accogliere giornalmente fino a dieci grandi navi e per di più creare un’ulteriore via d’acqua che inevitabilmente andrà ad alterare i flussi delle maree in corrispondenza con il canale della Giudecca e cioè all’interno del centro storico. Non solo si prosegue nell’evitare qualsiasi regola che stabilizzi e qualifichi i flussi turistici, ma si arriva al punto di mettere le mani sul delicatissimo equilibrio lagunare già oggetto di opere che, con il senno di poi, avremmo voluto e dovuto evitare. Il professor Costa ci sorprenderà a breve con teorie che addirittura dovrebbero dimostrare i benefici derivanti dallo scavo del Contorta. Personalmente non ne vedo né a livello ambientale né per gli interessi dei veneziani. Vpt rifiuta Porto Marghera, una soluzione che invece porterebbe grossi vantaggi al declino di quell’area e non avrebbe costi ambientali e soverchie difficoltà salvo quelle di scontentare gli interessi di Vpt. Vpt è la sola e unica responsabile di questo assurdo stato di cose e con lei il presidente dell’Autorità portuale. Se ci sono posti di lavoro a rischio non sono da addebitare a chi contrasta la presenza delle grandi navi in laguna, vanno addebitati a coloro che, senza valutare la sostenibilità dei loro business, ne hanno consentito uno sviluppo fuori controllo e ad altissimo rischio e oggi si nascondono dietro lo spettro dei licenziamenti, per continuare in un’opera di sfruttamento al di fuori di ogni ragionevole pianificazione e corretta visione di un futuro sostenibile, per quella che è considerata la più bella città del mondo e, come tale, è sotto gli occhi del mondo intero. Le mie sono considerazioni dettate dal buon senso e dall’aver vissuto 66 anni in questa città, facendo il mestiere dell’imprenditore. Il mio consiglio è di valutare meglio gli aspetti legati alla sopravvivenza di Venezia come città “vivibile”. Se non ne salvaguardiamo questo lato fondamentale, rischieremo di vederci il mondo contro e un’ennesima figuraccia, dopo quella che ha visto perdere la faccia a una parte della locale Imprenditoria sulla vicenda Mose e, ahimé, ancora oggi ben presente nell’Associazione che Zoppas presiede.

Massimo Vidal – Amministratore delegato Mavive Spa

 

Servono numeri precisi sui lavoratori a rischio

Vorrei riuscire ad avere notizie precise sul numero effettivo dei lavoratori a rischio, se le grandi navi dovessero lasciare Venezia. Si parla sempre di cinquemila persone, senza peraltro dare dettagli. Non è che nel conto si metta, a forfait, un indotto interminabile? L’altro giorno un tassista veneziano mi diceva, ad esempio, che anche i suoi colleghi di Padova e Treviso lavorano molto con le grandi navi. Anche questi ultimi rientrano nel conto? Ricordo che nel 1966 procedevano alacremente i lavori per un gigantesco ampliamento di Porto Marghera (si guardava a Rotterdam…). Il canale dei Petroli era stato scavato in tempi record, velocemente si stava procedendo all’imbonimento di migliaia di ettari e al contemporaneo scavo dei canali di “penetrazione” per le navi che dovevano arrivare ai nuovi stabilimenti che vi si sarebbero insediati. L’industria, italiana e non solo, aveva grandi progetti per l’area (con una visione credo oggi superata). Porto Marghera contava allora 40 mila addetti e triplicarlo avrebbe triplicato,o comunque più che raddoppiato, l’occupazione nel territorio. La catastrofica inondazione del novembre ’66 mise subito in stato di accusa il canale dei Petroli e i lavori di bonifica della laguna in corso, e assestò un colpo fatale al progetto degli industriali, che vi stavano investendo ben più di quanto sinora realizzato per l’attività crocieristica. E nessuna delle organizzazioni sindacali insorse contro il blocco del progetto. Il tutto sulla base del principio, che parrebbe ovvio, che l’integrità fisica di Venezia ha la priorità su qualunque altra cosa. Appare quindi, come minimo, assurdo che venga ora proposto lo scavo di un nuovo grande canale, con l’alibi (fragile) dei posti di lavoro, quasi che fossero i lavoratori del settore i beneficiari esclusivi dell’attività croceristica. Sarebbe in ogni caso interessante, per la trasparenza delle posizioni in gioco, avere numeri precisi degli addetti alle crociere e relativi datori di lavoro (non solo il ); dati, questi, che i responsabili del settore crocieristico e dell’Autorità portuale non avrebbero certo difficoltà a fornire.

Paolo Trentinaglia De Daverio – Venezia

 

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