Nuova Venezia – L’onda dei patteggiamenti: dopo Chisso, in pista Sutto
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
12
ott
2014
L’accordo accusa-difesa su Galan ha aperto la via alla trattativa sull’ex assessore “tentato” anche l’ex braccio destro di Mazzacurati, ancora agli arresti domiciliari
L’onda dei patteggiamenti: dopo Chisso, in pista Sutto
VENEZIA – Sono arrivate ieri sul tavolo del giudice veneziano Roberta Marchiori le conclusioni cui sono giunti i suoi tre periti, un medico legale, un cardiologo e uno psichiatra forense, sul conto dell’ex assessore regionale Renato Chisso e, di conseguenza, la sua decisione sulla richiesta del difensore, l’avvocato Antonio Forza, sarà presa e resa nota nei prossimi giorni. Non è escluso, comunque, che la trattativa avviata venerdì tra il difensore dell’esponente di Forza Italia e il procuratore aggiunto Carlo Nordio per trovare l’accordo sulla pena da patteggiare possa concludersi prima che il giudice decida se il carcere è compatibile o meno con le condizioni di salute di Chisso. La conseguenza, quindi, sarebbe, come è accaduto per Giancarlo Galan, che anche lui potrebbe velocemente uscire dal carcere di Pisa e tornare nella sua casa di Mestre o essere ricoverato in un ospedale, comunque agli arresti domiciliari. L’accordo raggiunto tra i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini da una parte e gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini per conto di Galan (due anni e 10 mesi e due milioni e 600 mila euro) potrebbe dare il via anche ad altri patteggiamenti oltre a quello di Chisso. C’è un altro indagato che potrebbe cercare l’accordo con l’accusa, è il braccio destro di Giovanni Mazzacurati al Consorzio Venezia Nuova, Federico Sutto, che si trova agli arresti domiciliari. Grande amico di Chisso e come lui per anni nel partito socialista di Gianni De Michelis – è stato anche sindaco di Zero Branco – prima di passare al movimento fondato da Silvio Berlusconi, è accusato di aver consegnato a destra e a manca numerose bustarelle per conto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, ma nel suo interrogatorio – stando ai pubblici ministeri – avrebbe riferito soltanto una parte di ciò che sa e che ha combinato, evitando soprattutto di parlare di Chisso. L’accordo su Galan, che esclude qualsiasi ammissione di colpa come hanno più volte sottolineato i suoi difensori, potrebbe a questo punto aprire la strada anche al patteggiamento di Sutto. Se così fosse, i pubblici ministeri veneziani non avrebbero più nessuno per cui chiedere il rito immediato, ma dovrebbero limitarsi a depositare le carte dell’inchiesta per quella decina di indagati, tra cui l’ex sindaco Giorgio Orsoni e l’ex europarlamentare Lia Sartori, prima della richiesta di rinvio a giudizio.
Giorgio Cecchetti
La Corte dei Conti pronta a chiedere i danni erariali
C’ è anche la Corte dei Conti pronta a battere cassa da Giancarlo Galan, chiamato a staccare un assegno da 2,6 milioni di euro (che portrebbero diventare quasi 4 con le aliquote fiscali evase). L’ex ministro della Cultura rischia di dover risarcire anche il danno erariale procurato alla cosa pubblica: quello più rilevante riguarda i danni all’immagine della Regione e della città di Venezia, finite entrambe nella polvere con l’inchiesta sul Mose. I grandi sponsor non vogliono più affiancare il loro nome ai grandi simboli culturali, in primis La Fenice: l’orchestra del gran teatro si trova a corto di risorse anche perché le «maison» internazionali hanno dirottato altrove le risorsem dopo l’ennesimo scandalo in laguna. Il procuratore regionale della Corte dei Conti, Carmine Scarano, aveva già avviato la procedura per i danni erariali qualche mese fa e a fine settembre, al termine dell’udienza che ha approvato il bilancio della Regione, è tornato sulla vicenda: la Corte dei conti ha avviato la procedura per calcolare il danno all’immagine: che sia «immenso» non c’è dubbio, ora si tratta di quantificarlo.
«Pellegrinaggio» dei curiosi a villa Rodella
Villa Rodella alla pari di un’attrazione turistica. Il fenomeno si era già manifestato nelle settimane dell’arresto, ma da giovedì – giorno del rientro a casa dell’ex governatore – salta notevolmente agli occhi: non si contano le automobili che passano per via Dietromonte per curiosare dentro la proprietà di Giancarlo Galan, ai domiciliari nella sua villa Rodella di Cinto Euganeo. La tenuta sui Colli dell’ex Doge è diventata quasi meta di «pellegrinaggio»: le auto attraversano la via, che dal centro di Lozzo Atestino taglia per Cinto Euganeo e Rivadolmo, rallentano in prossimità del primo cancello della villa, si fermano davanti al corpo centrale del rustico e provano a buttare l’occhio nella speranza di vedere l’ex ministro. Che, perlomeno negli orari di piena luce, non si rivela e non esce in giardino, quasi sicuramente proprio per evitare gli sguardi dei curiosi. Mai, lungo questa strada secondaria, si era vista così tanta gente passare. Pare invece interrotta la processione di ciclisti infuriati, che davanti alle telecamere di giornalisti e tv sia giovedì che venerdì, tra una pedalata e l’altra, avevano gridato pesanti invettive all’ex governatore veneto.
(n.c.)
L’ex segretaria dell’allora governatore dal 1995 al 2000: «Ecco come gli imprenditori pagavano»
«L’omo grando» e le bustarelle
VENEZIA – Per cinque anni, dal 1995 al 2000, è stata al fianco di Giancarlo Galan a Palazzo Balbi, era a capo della sua segreteria e ne ha viste tante, poi l’hanno isolata e trasferita perché aveva lanciato l’allarme, riferendo allo stesso presidente della giunta regionale che alcuni imprenditori raccontavano di aver pagato tangenti a lui e ai suoi uomini, e perché si era rifiutata di ricevere e consegnare una busta che conteneva denaro. Ha fatto causa di lavoro alla Regione per demansionamento e ha scritto un libro nel 2008, «L’omo grando», in cui denunciava la corruzione. Fanny Lardjane, allora tra l’altro impegnata in politica (era presidente del Consiglio di quartiere del Lido per Forza Italia), ha cambiato lavoro e città e accetta di rispondere alle domande. Ha più risentito Galan prima o dopo il suo arresto? «Prima del suo arresto no, non ne volevo nemmeno sentire parlare. Poi gli ho scritto la prima lettera e lui mi ha risposto dal carcere. Se lei già sa probabilmente dagli inquirenti che ci siamo scritti non posso negare, comunque i contenuti delle lettere riguardano soltanto lui e me». Che pensa di quegli imprenditori che hanno negato di aver finanziato le sue campagne elettorali dopo che lui aveva rivelato i loro nomi? «Sono rimasta disgustata, so di certo di alcuni di loro, perché proprio loro me lo hanno riferito in confidenza, che hanno pagato. Uno ad esempio, un imprenditore trevigiano si era lamentato con me perché doveva consegnare 400 milioni di lire all’anno. C’era qualcun altro che chiedeva di inserire in Regione questo o quello, tra l’altro è accaduto anche con un giornalista». E con Chisso è rimasta in contatto? «All’epoca era un amico e l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato poco dopo l’arresto di Claudia Minutillo e della notizia che stava parlando. Lui era molto preoccupato in quei giorni ed evidentemente ne aveva le sue ragioni. Io da subito gli avevo consigliato di dimettersi da assessore non tanto perché sapessi che aveva intascato tangenti, questo non posso proprio dirlo, ma per la sua responsabilità politica nell’intera vicenda. Lui, però, non mi ha ascoltato». Hanno mai cercato di avvicinarla, di contattarla, dopo che era stata trasferita e isolata? «Nel giugno 2000 mi hanno messo in condizioni di non lavorare più in Regione, non avevo più un ufficio, una scrivania e nel dicembre dello stesso anno, mi ricordo, un imprenditore di Chioggia mi ha dato appuntamento all’hotel Sofitel e mi ha spiegato che gli avevano detto di offrirmi 500 milioni di lire, allora c’erano ancora quelle, perché io tacessi, io l’ho anche raccontato ad un magistrato che mi ha sentito e lui ha interrogato quell’imprenditore, che naturalmente ha negato». Ma che pensa dell’inchiesta della Procura veneziana? «Finalmente, era ora. Comunque Galan non deve diventare il capro espiatorio perché se un politico ruba e incassa tangenti non riesce a farlo senza il sostegno e l’omertà dell’apparato amministrativo. Comunque, credo che questo sistema continuerà anche dopo l’inchiesta su Galan e il Mose di Venezia».
Giorgio Cecchetti
IL FASCICOLO DEL TRIBUNALE DEI MINISTRI
Fanta-progetto milionario nelle carte contro Matteoli
VENEZIA «Thetis, su incarico del Consorzio (Venezia Nuova) paga questi 7 milioni e mezzo, pensando che poi i lavori sarebbero scaturiti dopo questo progetto. Progetto che, essendo carta colorata, non si è mai tradotto in lavori». Così Piergiorgio Baita, ex presidente Mantovani: riservano sempre nuove sorprese sui mille rivoli del sistema Tangenti Mose le migliaia di pagine di interrogatori dell’inchiesta. L’ultima perla – milioni per un progetto di “carta colorata” – si legge nelle 200 pagine che il Tribunale dei Ministri e la Procura di Venezia hanno inviato in Parlamento, per chiedere l’autorizzazione indagare sull’ex ministro Altero Matteoli – che respinge con forza ogni addebito – accusato di aver intascato tangenti dal Consorzio Venezia Nuova in cambio di fondi e di aver fatto pressioni per far lavorare alcune imprese, che in realtà hanno solo fatto cassa. Come quella del suo sodale di An Erasmo Cinque (48 milioni nella partita bonifiche Porto Marghera per la sua azienda, senza di fatto alcun cantiere è l’accusa) e la Teseco. Tra bisticci e ripicche. Racconta Baita: «Poi Matteoli non è più ministro dell’Ambiente, ma delle lnfrastrutture e deve aver litigato con Erasmo Cinque, perché presenta un altro signore, un certo Gualtiero Masini (….) che si propone di fare un progetto – che a proposito di cartiere (fabbriche di fatture false, ndr) è veramente un capolavoro! – di impianto di lavaggio terra a Marghera: un progetto, un fascicolo colorato, incarico che dà a Thetis, del valore di circa 8 milioni di euro». Che Thetis – società con soci Actv e poi nomi dell’inchiesta: Adria infrastrutture, Condotte, Mantovani, Mazzacurati, Coveco, Cvn – paga. Ma non se ne fa nulla. Conferma anche l’ex ad, poi assessore comunale, Antonio Paruzzolo: «Nel maggio 2002, Mazzacurati mi riferì che era stato deliberato l’avvio di un progetto di bonifica di terre inquinate nel quale Thetis avrebbe avuto un ruolo importante. Thetis fu invitata da Mazzacurati a mettersi in contatto con Gualtiero Masini della Teseco per elaborare il programma relativo a tale progetto (… omissis…) Il 2 luglio del 2002 mi arrivò una telefonata di Mazzacurati: mi riferì che l’intero progetto era già stato concordato con le istituzioni preposte, tra cui Magistrato alle Acque e ministero dell’Ambiente e doveva assolutamente procedere nei modi in cui era stato stabilito, cosa che io assolutamente non condividevo. In pratica, mi impose di non far eseguire il progetto alla Thetis ma di passarlo in toto alla Teseco (…). Percepii che Mazzacurati era in forte difficoltà e non avrebbe potuto agire diversamente in quanto fu l ‘unica circostanza in cui mi “impose” qualcosa contro la mia volontà. Accettai forse anche perché emotivamente provato dal un lutto». Storia di 7 milioni di “carta colorata”.
Roberta De Rossi
De Menech e la Moretti contro il governatore della Lega: «È stato il vice di Galan dal 2005 al 2008»
Il Pd: crolla il centrodestra di Zaia
VENEZIA «Stiamo assistendo al crollo del sistema di potere del centrodestra. Mi pare difficile che Zaia possa chiamarsi fuori, almeno politicamente ha delle responsabilità». Lo sostiene il segretario veneto del Pd, Roger De Menech, che torna a infuocare la polemica, dopo la clamorosa decisione dell’onorevole Giancarlo Galan (Forza Italia) di scendere a patti con la giustizia. Zaia ha sempre affermato che la Lega è l’unico partito estraneo completamente all’inchiesta e ma il Pd va all’attacco. «L’ex presidente della giunta regionale Galan che patteggia 2 anni e 10 mesi e deve restituire oltre 2,6 milioni di euro allo Stato, un assessore in carcere, un consigliere di maggioranza indagato, diversi tra i massimi dirigenti regionali indagati per reati gravissimi, i responsabili delle imprese che hanno vinto tutti i grandi appalti regionali in carcere, agli arresti domiciliari o indagati. Se questo è il lascito della giunta Zaia è meglio voltare pagina velocemente. Da 20 anni il centrodestra è a capo della Regione» aggiunge Roger De Menech, «ma Zaia finge di essere all’oscuro di quanto è accaduto. Eppure è stato il vice di Galan dal 2005 al 2008, Zaia ha nominato l’assessore Chisso nel 2010 e ha lavorato al suo fianco ogni giorno per oltre quattro anni. Non intendo dare giudizi, quelli spettano ai giudici. Però dico che ci sono responsabilità politiche a cui il presidente di una delle più importanti regioni italiane non può e non deve sottrarsi» continua il deputato e segretaruio regionale del Pd. «Perché da qualsiasi parte la si guardi, questa vicenda fa acqua: o Zaia ha perpetrato il sistema di potere costruito da Galan, oppure non è stato capace di cogliere i segnali deboli che pure arrivavano. Le indagini su molti uffici regionali si susseguono infatti da anni e sono state segnate da arresti eccellenti. Cosa è stato fatto per prevenire corruzione, malversazione, peculato e abuso di ufficio, i principali reati contestati agli indagati? A leggere le cronache giudiziarie sembra davvero molto poco e di questo i cittadini veneti chiedono e chiederanno conto», conclude De Menech. Nei giorni scorsi per commentare l’ultima inchiesta su politica e malaffare in Veneto che ha coinvolto anche Fabio Fior, un funzionario della Regione, e i due ex assessori Chisso e Conta, aveva preso posizione con un tweet anche l’eurodeputata Pd Alessandra Moretti: «Valanga di inchieste alla Regione Veneto. Zaia risponda: non vede, non sente, non parla. Ma lo sa di essere Governatore?» scrive nel suo teewt la Moretti, della segreteria del Pd, indicata come la candidata più autorevole nella sfida del 2015 al governatore della Lega.
(r.r.)