Gazzettino – Bonifica d’oro, bufera sul Ministero
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
18
ott
2014
UDINE – Sviluppi nel filone romano dell’inchiesta partita dal Friuli sugli interventi nella Laguna di Grado e Marano
Bonifica d’oro, bufera sul Ministero
Una quindicina di indagati, tra cui il commissario Menchini e l’ex direttore generale dell’Ambiente, Mascazzini
ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE E CONCUSSIONE
Una ragnatela di società per controllare progetti di risanamento anche nel Nordest
Una parte dei soldi la teneva per sè, l’altra la dava al suo presidente
Da Grado a Roma bufera sul Ministero per la “bonifica d’oro”
L’onda lunga dell’inchiesta sulla bonifica “fantasma” della Laguna di Grado e Marano porta, due anni dopo, nel cuore del Ministero dell’Ambiente, con ipotesi di reato perfino di associazione per delinquere e concussione. Il pm Alberto Galanti, che ricevette nel 2012 dalla collega udinese Viviana Del Tedesco atti riguardanti possibili compromissioni nella gestione centrale delle bonifiche, ha iscritto più di una decina di persone nel registro degli indagati. E adesso si appresta a convocarli. Si tratta di personaggi-eccellenti. Il sostituto procuratore romano, prima di chiamarli all’interrogatorio, ha ricostruito l’esistenza di una ragnatela di interessi che ruotavano attorno ad alcune bonifiche italiane, a partire da quella di Marano, sotto la regia di funzionari (o ex funzionari) dell’Ambiente. In qualche caso ci sarebbe stata perfino la pressione su rappresentanti di enti locali (ad esempio il sindaco di Venezia) per affidarsi a società di comodo, per evitare ritardi burocratici e aiuti nell’espletamento delle pratiche.
L’inchiesta è ancora in buona parte “coperta”, anche se è iniziata nella primavera del 2012. Due tra i nomi più importanti sono quelli di Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del Ministero dell’Ambiente, e di Gianni Menchini, l’ultimo dei commissari straordinari delegati agli interventi di risanamento della laguna di Marano. Ma l’elenco è più ampio e comprenderebbe altri uomini del Dicastero nonchè della realtà politico-imprenditoriale veneto-friulana. L’inchiesta ha anche interessato (almeno in una fase iniziale a Udine) il Consorzio Venezia Nuova e lo stesso presidente Giovanni Mazzacurati, il cui nome era finito nel registro degli indagati, e la cui posizione sarebbe ora al vaglio anche degli inquirenti romani.
A Udine l’ipotesi d’accusa (truffa e peculato) ruotava attorno all’inquinamento partito dall’area Caffaro. Secondo il Pm e i suoi consulenti si trattava di un inquinamento circoscritto a un’area delimitata, ma che aveva portato a individuare un’area molto più vasta – in realtà non contaminata – con lo scopo di portare in Friuli un fiume di soldi. In totale un centinaio di milioni di euro dal 2003 al 2012, a colpi di proroghe annuali dell’emergenza, fino a quando il premier Mario Monti dichiarò la cessazione dell’emergenza. Ma se il filone friulano era già esplosivo, quello romano rischia di non esserlo di meno.
L’ampiezza del Sito di Interesse Nazionale di Grado e Marano, ampliato rispetto alle reali esigenze di disinquinare l’area Caffaro a Torviscosa, secondo la segnalazione, partita dal Pm Del Tedesco alla volta di Roma, e ora approfondita da Galanti, «avveniva a prescindere da qualsivoglia valutazione tecnico-scientifica sullo stato del territorio e veniva supinamente accettata nella prospettiva rappresentata dall’allora direttore del Ministero dell’Ambiente, dotto Mascazzini». Insomma, il Ministero sarebbe stato accondiscendente.
Ma c’è di più. Mascazzini (che ha già avuto qualche disavventura giudiziaria e in Abruzzo è stato perfino arrestato) era diventato consulente del commissario Menchini. Il quale però ha detto: «Mascazzini fu nominato presidente del Comitato tecnico-scientifico del commissario non da me, ma dal direttore generale del ministero». Era l’epoca in cui Sogesid, una società del Ministero dell’Ambiente di cui Mascazzini era consulente dopo la pensione, aveva preparato un progetto da 230 milioni di euro per risanare l’area Caffaro. Quel progetto (pagato oltre un milione di euro a Sogesind) portò a una serie di ricorsi da parte del commissario straordinario dell’azienda Snia e Caffaro di Torviscosa (che ha salvaguardato 140 posti di lavoro), perché considerato un piano faraonico. E lo stesso Pm udinese l’aveva definita «una soluzione tecnicamente inattuabile ed economicamente insostenibile».
Nell’ipotesi del pm romano, attorno a funzionari ed ex funzionari del Ministero ruoterebbero alcune società che erano state proposte ad amministratori locali per la gestione delle bonifiche. Ovviamente, dietro pagamento di denaro. A una di queste proposte avrebbe detto di no perfino l’allora sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che ha poi ricostruito il pressante interessamento para-ministeriale sulle bonifiche di Marghera.
Giuseppe Pietrobelli