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Gazzettino – Venezia. Offshore, pronto il nuovo progetto

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

12

nov

2014

PORTO – Sarà presentato al Cipe entro l’anno. Costo: 2,1 miliardi, 600 milioni a carico dello Stato

Il progetto per il porto offshore al largo di Malamocco è pronto per essere presentato al Cipe, entro un mese. Costerà 2 miliardi e 100 milioni invece dei quasi 3 previsti, e lo Stato dovrà metterne 600. Messo a punto un sistema chiamato “nastro trasportatore continuo” con navi madre (mama vessel) e chiatte che, dalle navi oceaniche attraccate in mare, porteranno i container fino alle banchine di Marghera. «Da questo dipende la prospettiva di vita del porto di Venezia» spiega il presidente dell’Autorità Paolo Costa.

IL PRESIDENTE «Non si è ancora capito che da questa prospettiva dipende la vita dello scalo»

I COSTI PREVISTI – La revisione progettuale ha consentito di ridurre di 750 milioni la spesa

IL PROGETTO – La società olandese ha presentato le analisi: per realizzarlo servono 2,1 miliardi di euro

Porto off shore? Solo se ci stanno i privati

Lo Stato dovrebbe mettere 600 milioni erogabili a fronte di un intervento degli investitori almeno di pari entità

Trieste si sta costruendo la propria piattaforma logistica. Ma da sola non andrà da nessuna parte. Ne è convinto il presidente dell’Autorità portuale veneziana, Paolo Costa, che spiega come l’unico modo per rispondere alle esigenze delle grandi navi oceaniche, e quindi attrarle nell’Alto Adriatico, è offrire loro le dotazioni infrastrutturali come banchine, piazzali, capacità di inoltro… che solo i quattro scali messi assieme potranno esprimere, secondo i programmi del Napa, l’Associazione dei Porti del Nord Adriatico, tra Venezia, Trieste, Capodistria e Fiume.

Se, inoltre, Trieste, Capodistria e Fiume guardano ai mercati dell’Est, Venezia con il nuovo porto offshore si rivolge a quelli dell’Ovest e a maggior ragione, quindi, il sistema logistico che sta realizzando Trieste non è alternativo al nuovo porto in alto mare cui sta lavorando Venezia, anzi è complementare. Vallo a spiegare a Debora Serracchiani, la governatrice del Friuli Venezia Giulia e vice segretaria nazionale del Pd che continua a sparare contro il porto offshore.

«Tutte le osservazioni che ci vengono fatte sono fuori luogo – taglia corto Paolo Costa -. Noi andiamo avanti per la nostra strada». Vale a dire che sono state chiuse le fasi tecnica, ambientale e finanziaria, il progetto è stato completamente ridisegnato, ed entro un mese verrà depositato al Cipe. «Poi spero che ci si renda conto che da questo dipende la prospettiva di vita del porto. Già adesso senza il Mose si entra a Marghera solo con navi da 12 metri. Così possiamo sopravvivere qualche anno». Perché 12 metri di profondità sono assolutamente insufficienti per le nuove navi in circolazione per il mondo. E Costa ricorda che le banchine al largo di Malamocco serviranno a restituire l’accessibilità portuale sacrificata in nome della salvaguardia della città dalle acque alte: «L’accordo scritto nel 2003 era questo. Noi facciamo la nostra parte convinti di poter consegnare al Paese un progetto Paese, perché consegue la rivitalizzazione di Venezia mantenendo gli impegni dello Stato nei confronti della città. Venezia avrebbe diritto di pretenderlo anche se non portasse niente all’esterno» continua Costa che ieri ha ricevuto da Royal Haskoning DHV, la società di ingegneria olandese che ha vinto il bando di gara internazionale per l’ottimizzazione dell’intero progetto del porto offshore-onshore, il risultato delle ultime analisi e delle simulazioni effettuate.

La revisione del progetto ha permesso di ridurre del 25% i costi, ossia di 750 milioni di euro abbassandoli a 2 miliardi e 100 milioni di euro che comprendono la costruzione delle banchine, l’acquisto dei mezzi per carico e scarico e la realizzazione del terminal petrolifero, per portare definitivamente fuori della laguna questi traffici, che da solo porta via 625 milioni di euro. L’opera, com’è noto, è da realizzare in partenariato pubblico-privato: lo Stato dovrebbe mettere 600 milioni di euro spalmabili in 5 anni e, come ha ultimamente annunciato Costa, erogabili solo a fronte di un investimento privato di pari o superiore entità: con 1 miliardo e 200 milioni, insomma, si parte. Se non si troveranno privati disposti a intervenire, insomma, il progetto non si farà, e il porto di Marghera prenderà una strada senza ritorno.

 

Con un “nastro trasportatore continuo” dal mare fino a Marghera e viceversa

Dal punto di vista tecnico la revisione del progetto ha introdotto il principio del “nastro trasportatore continuo” che permetterà di garantire carico e scarico dei container tra il porto offshore e le banchine di Marghera potenzialmente senza interruzione, 24 ore su 24. Non si tratta di un tapis roulant lungo chilometri e sospeso sull’acqua ma di un sistema fatto di “mama vessel” e di chiatte. Che cosa sono le mama vessel? Sono delle navi semi affondanti che, sfruttando il principio di Archimede e la tecnologia ad aria compressa dei sommergibili della Royal Navy inglese, trasferiscono i container ai terminal di terra, riducendo fortemente i tempi di percorrenza offshore-onshore (3 ore e 20 minuti) rispetto alle normali imbarcazioni. Queste, combinate con le chiatte (“cassette” che trasportano ognuna 384 container), consentono appunto una movimentazione a ciclo continuo.

Se le mama vessel sono ancora da progettare, il resto dell’equipement (gru e sistema di movimentazione dei container) è già rodato dato che una delle modifiche del progetto prevede proprio che, invece di studiare nuove soluzioni, si utilizzino prodotti già presenti sul mercato.

Secondo i calcoli le modifiche apportare consentiranno al porto offshore di ottenere performance che sono pari a quelle dei migliori terminal container del mondo: le navi oceaniche (fino a 18 mila Teu) saranno, ad esempio, caricate/scaricate in meno di 24 ore. Secondo Royal Haskoning DHV il terminal sarà in grado di movimentare circa 1,04 milioni di container l’anno, dei 5 milioni di Teu che gli esperti internazionali stimano potranno essere movimentati in Alto Adriatico entro il 2030.

(e.t.)

 

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