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L’OPINIONE

Nonostante l’accordo di cui tutti parlano, le perplessità non mancano: la speranza è che i buoni propositi non restino tali fino al 2017

Accordo sulla chimica verde di Porto Marghera: queste sono le parole che sentiamo ormai da molto tempo. Sono parole che possono essere allo stesso tempo piene di significato ma anche vuote e prive di senso nei propri contenuti. La società Eni ha lavorato non poco in questi mesi al fine di convincere tutti sulla scelta di chiudere un impianto di chimica tradizionale che asserviva gli impianti di Ferrara e Mantova con la produzione di etilene e che oggi vivono in una continua apprensione sull’approvvigionamento, in cambio della chimica verde che sembra ormai un orientamento futuro e strategico ma che deve essere ancora sperimentato. La prima considerazione che voglio fare si riferisce all’accordo di febbraio: era un accordo sostenibile in quanto si tenevano in piedi la chimica di base con un ridimensionamento produttivo e allo stesso tempo, così come previsto anche dal nuovo accordo sulla chimica verde, la progettazione e la fase applicativa dei nuovi impianti di chimica verde. In quel caso non ci sarebbe stato nessun periodo di transizione per i lavoratori perché le due produzioni potevano coesistere e addirittura si sarebbe potuta abbassare anche l’economia di scala della produzione. La seconda considerazione è che la scelta di tenere solo la chimica verde o di provare verso questo nuovo filone produttivo, mette la parola fine su quello che era Porto Marghera. Se parliamo di innovazione dobbiamo essere anche capaci di capire le trasformazioni che ci sono nel mercato. In questo caso non risulta che la chimica di base o la produzione di etilene e tutta la filiera delle “comodities” sia stata messa in discussione ma, anzi, sulla bilancia commerciale del nostro stato quelle produzioni servono eccome. Porto Marghera, invece, deve accettare una sfida tra l’innovazione, la tecnologia e un futuro che è tutto da guadagnare in un percorso previsto dalla società Eni che dovrebbe concretizzarsi alla fine del 2017, un periodo troppo lungo di transizione in cui dovremo prioritariamente misurare anche l’affidabilità di questa società. È vero che Eni sta investendo (almeno su carta) ed è vero che Eni fa accordi, ma è altrettanto vero che Eni, nell’ultimo periodo, non ha dato prova di grande affidabilità nelle scelte che ha fatto anche per quanto riguarda le strategie produttive. E quella sulla chimica verde, se sarà gestita bene e in termini reali anche dal punto di vista economico, potrebbe essere, sì, una sfida ma questa cosa potremo misurarla dal momento in cui inizieranno a vedersi i reali mutamenti su Porto Marghera. Nutro in questo senso una grande preoccupazione nei confronti della società Eni, società che sempre più (e anche nel merito di queste scelte ancora da sperimentare) si sta mutando in una società prevalentemente commerciale e poco industriale, visto che anche le ultime decisioni su Saipem fanno capire che la società Eni è un salvadanaio di questo e degli altri governi. Dico questo perché, a mio avviso, uscire gradualmente dal ciclo dell’etilene e delle comodities specifiche è una scelta prematura e che altri stati dell’Europa non stanno praticando proprio per il fatto che tutta la filiera a valle delle produzioni tiene in piedi molte aziende trasformatrici della piccola e media industria. Voglio però dire cos’è successo in queste ultime due settimane. In un primo incontro al ministero siamo stati messi di fronte ad un documento dove veniva articolata tutta la questione della chimica verde, la gestione del periodo di transizione, ecc… Già in quella fase Eni voleva sottoscrivere quell’accordo, una cosa anomala per noi perché nel momento in cui si stanno facendo passi importanti e molto delicati come quelli che sono stati fatti in questi ultimi giorni, non si capisce perché si volesse chiudere la riunione nell’arco di un brevissimo tempo. Per fortuna, e per ovvi motivi, l’incontro è stato spostato alla settimana successiva e questo ci ha dato la possibilità di poter modificare sostanzialmente quella bozza dove, in tutti i modi assieme alle altre organizzazioni, siamo riusciti a mettere degli elementi di tutela sia dal punto di vista degli interventi ma soprattutto anche per avere in tempi rapidi dei riscontri dal punto di vista tecnologico ed operativo. Ora, però, ritorniamo alla società Eni che, incassando positivamente il plauso di tutte le istituzioni e della gran parte del mondo politico (questo dimostra quanto Eni si è spesa per fare un’opera di convincimento), si assume una responsabilità importante per questo territorio perché tutto il sistema dell’occupazione (e stiamo parlando di quasi 1300 persone tra diretti e indiretti) è legato a questa scelta ed è evidente che non ci si può nascondere, come già verificato in altri periodi quando non si volevano fare le cose, dietro a pareri “Via” ministeriali piuttosto che regionali che non arrivavano mai ma anche allo stesso tempo dentro meccanismi burocratici che non hanno mai acconsentito di portare avanti tali progetti e alla fine far risparmiare i soldi e non fare gli investimenti. Sono film già visti ai quali non vorremmo assistere da spettatori. Io credo che su questo Eni debba essere richiamata da tutti, monitorata da tutti affinché quei progetti che impegneranno tutto il 2015 non restino sulla carta fino al 2017. Abbiamo bisogno di atti concreti e subito!

Riccardo Colletti – Segretario generale Filtem Cgil

 

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