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Commissariare il Consorzio è stato un passo importante ma prevenire a 360 gradi è impossibile «Il killer è dentro abiti perfetti»

«A volte ho più rispetto per i casalesi che per i colletti bianchi». Una provocazione che fa ancora più effetto se a pronunciarla è un magistrato che ha dedicato gran parte della sua vita professionale a combattere la Camorra e che ora si trova a dover fare i conti, con cadenza quasi quotidiana, con la rete di malaffare che sconvolge la vita economica dell’Italia.

Sono le parole con cui si apre “Il male italiano. Liberarsi dalla corruzione per cambiare il Paese” (Rizzoli, pp 198), libro-intervista di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, con Gianluca Di Feo, giornalista dell’Espresso.

È un viaggio nel cuore della corruzione («il peccato capitale della democrazia») che parte dall’Expo di Milano, attraversa la Venezia del Mose e arriva a Roma, dove «l’odore del potere» si sente ovunque.

Ma chi sono i colletti bianchi cui si riferisce Cantone? Politici, burocrati, imprenditori, faccendieri che mostrano una maschera, «dietro la quale si nasconde una persona pronta a fregarsene della legge e della collettività per il proprio tornaconto, che si tratti di accumulare soldi o potere».

Vent’anni dopo Tangentopoli nulla sembra infatti essere cambiato. Da quando è stato nominato presidente dell’Anac, nel marzo dell’anno scorso, Cantone si è infatti spesso imbattuto negli stessi protagonisti di allora: i Greganti, i Maltauro e i Frigerio a Milano, Piergiorgio Baita a Venezia.

Solo il meccanismo della corruzione si è evoluto: se vent’anni fa erano le mazzette, magari nascoste dentro scatole di cioccolatini, ora il sistema è più sofisticato e pervasivo, capace di entrare nel cuore di quelle istituzioni che, al contrario, dovrebbero fare da argine al malaffare.

L’esempio certamente più emblematico è il Mose di Venezia, la grande diga che una volta in funzione dovrebbe difendere la laguna dalle acque alte, ma che nel corso degli anni si è trasformata in una grande mangiatoia, capace di inghiottire miliardi di euro di soldi pubblici. Uno scandalo che Cantone si è trovato a dover affrontare in prima persona, arrivando a commissariare il Consorzio Venezia Nuova grazie ai poteri che il governo Renzi gli ha affidato dopo gli arresti per l’Expo. Una vera rivoluzione in laguna, se si considera che per trent’anni nessuno era mai riuscito a mettere in discussione l’immenso potere del concessionario unico.

«È una vicenda molto più inquietante, più grave di quello che si è scoperto su Expo», scrivono Cantone e Di Feo, «grazie a questi denari da Venezia la corruzione si è insinuata ovunque, non c’è istituzione locale o nazionale che non sia stata coinvolta nelle indagini, con accuse a esponenti di tutti gli schieramenti politici».

Ed è proprio prendendo spunto da quanto accaduto in laguna che Cantone indica una possibile via d’uscita da questo labirinto di corruzione in cui l’Italia sembra essersi persa.

«Ma è solo un problema di norme?», si chiede il magistrato, «faccio fatica a crederlo. Anche cambiando, come auspico, le regole sugli appalti, mi pare difficile si riesca a impedire il ripetersi di situazioni così incancrenite, in cui sono invischiati controllati, controllori, ceto politico: un’intera classe dirigente, compresi appartenenti alle forze dell’ordine e a organismi di controllo, è stata coinvolta negli intrallazzi o ha chiuso gli occhi. È evidente quindi che per uscirne bisogna fare scelte chiare sul piano della discontinuità, politica e culturale».

E il primo seme è stato gettato proprio nella laguna di Venezia con il commissariamento del Consorzio, sei mesi dopo la grande retata del 4 giugno 2014. Grazie alle indagini della magistratura si è messo mano a un sistema che, grazie al fiume di denaro che gli era garantito dalla Legge Speciale, era diventato politicamente incontrollabile, un “mostro giuridico” come l’aveva efficacemente definito Massimo Cacciari.

Qualcosa dunque si è finalmente iniziato a fare, ma la battaglia è ancora lunga e Cantone non lo nasconde: «Nella corruzione non è possibile la prevenzione a trecentossessanta gradi, perché se le pratiche vengono preparate bene, è difficilissimo accorgersi che c’è qualcosa sotto: insomma puoi sempre cucire un abito perfetto, dentro il quale però è nascosto il killer».

La differenza con i casalesi è che ora i killer indossano il colletto bianco.

Giorgio Barbieri

 

l’autore

Dal processo ai Casalesi agli scandali delle Grandi Opere

Raffaele Cantone, napoletano classe 1963, è dal marzo dell’anno scorso presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione. In precedenza, dal 1999 al 2007, è stato alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, dove si è occupato anche delle indagini sul clan camorristico dei Casalesi, riuscendo a ottenere la condanna all’ergastolo dei più importanti capi: su tutti Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, Francesco Bidognetti e Walter Schiavone.

Ha poi raccontato la sua esperienza di magistrato nel libro autobiografico “Solo per giustizia”, pubblicato nel 2008 da Mondadori.

Nel marzo dell’anno scorso Matteo Renzi l’ha nominato presidente dell’Anac e in questa veste si è dovuto occupare dei principali scandali legati alla realizzazione delle Grandi Opere: Expo e Mose su tutti. Nel nuovo ruolo aveva infatti esordito con la richiesta al prefetto di Milano (che l’ha accolta) di commissariare l’impresa vicentina Maltauro, finita nelle indagini per corruzione in relazione alla realizzazione dell’Expo a Milano. Non era mai accaduto. Successivamente la sua attenzione si è spostata sulle aziende venete indagate per i lavori del Mose di Venezia. A fine ottobre 2014 ha chiesto e ottenuto dalla Prefettura di Roma il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per i lavori della Salvaguardia di Venezia.

(g.b.)

 

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