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L’ATTACCO DI PIGOZZO (PD)

MEOLO «Perché Zaia non ha bloccato la gara? Cosa c’è sotto?». Il consigliere regionale del Pd, Bruno Pigozzo, torna a sollevare la questione della Via del Mare Meolo-Jesolo, per la cui realizzazione è tuttora in corso l’iter burocratico. «Gli scandali, l’arresto del suo assessore alle infrastrutture, i sindaci che invocano uno stop, le inchieste come quella di Report che rendono visibile a tutta l’Italia la necessità che sugli appalti in Veneto ci sia un rigoroso giro di vite: non so cosa debba accadere ancora per convincere Zaia e la giunta a sospendere la gara per la costruzione e la gestione della Via del Mare», attacca Pigozzo, «è dall’agosto scorso che rimane senza risposta una mia interrogazione rivolta al presidente Zaia nella quale chiedo di bloccare le procedure di assegnazione dell’opera. Anche nel giugno scorso ho fatto un secondo richiamo. Ma, analogamente alla lettera inviata dai sindaci del territorio interessato, da parte della Regione è chiaro che si va avanti per forza di inerzia». «Zaia non fa nulla per rendere trasparenti le cose», conclude il consigliere regionale Pd, «il presidente continua a fare finta di nulla».

(g.mon.)

 

MEOLO – Via del Mare: «Perché il Governatore Zaia non ha bloccato la gara? Cosa c’è sotto?» A chiederlo è il consigliere regionale del Pd Bruno Pigozzo all’indomani della Conferenza dei servizi per le opere complementari al casello autostradale, in cui i referenti della Regione hanno informato che la commissione incaricata sta valutando i project financing presentati, per decidere sul progetto di superstrada a pedaggio Meolo-Jesolo.

Gli scandali, le inchieste, l’arresto dell’assessore alle infrastrutture Chisso, i sindaci che chiedono di non realizzare la superstrada: «Non so cosa debba ancora accadere per convincere Zaia e la Giunta regionale a sospendere la gara per la costruzione e la gestione della Via del mare» esclama Pigozzo.

Già nell’agosto 2013, in un’interrogazione, il consigliere regionale del Pd aveva chiesto a Zaia di bloccare le procedure di assegnazione dell’opera, e l’aveva ribadito anche nel giugno scorso, senza ottenere alcuna risposta. «Zaia non fa nulla per rendere trasparenti le cose, visto che attorno a questa superstrada continuano ad essere presenti quelle ditte sulle quali continuano a gravare pesanti sospetti di corruzione. Eppure – conclude Pigozzo – il presidente, che ha in mano le deleghe su questa materia, continua a fare finta di nulla».

(E. Fur.)

 

Gazzettino – Mantovani presenta il conto a Baita

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27

ott

2014

SCANDALO MOSE, AZIONE DI RESPONSABILITÀ

La Mantovani presenta il conto a Piergiorgio Baita per lo scandalo Mose. Il gruppo inizia un’azione di responsabilità e chiede all’ingegnere un risarcimento di 37 milioni di euro per sanzioni fiscali, danno d’immagine e perdita di opportunità economiche. La replica: «Mai sottratto nulla, i fatturati sono cresciuti».

Danni d’immagine Mantovani chiede 37 milioni a Baita

MOSE – Azione di responsabilità dell’azienda contro l’ex presidente finito nel ciclone di false fatturazioni e tangenti

«Risarcisca 37 milioni di euro per sanzioni fiscali, danno d’immagine e perdita di opportunità economiche»

PADOVA – Passi per i 6 milioni di euro che la Mantovani dovette sborsare, circa un anno fa, per le imposte evase, le sanzioni fiscali e gli interessi maturati, a seguito dello scandalo delle false fatturazioni orchestrate dall’ingegnere Piergiorgio Baita. Ma gli altri 31 milioni di euro, tra danni d’immagine e appalti mancati, sono davvero una cifra imponente. Eppure che Romeo Chiarotto e i suoi figli prima o poi avrebbero presentato il conto al presidente della società, lo si sapeva da un pezzo. Si attendeva soltanto di conoscere il quantum. Adesso la cifra di 37 milioni è diventata di pubblico dominio, visto che una ventina di giorni fa Baita si è visto recapitare un atto di citazione da parte della Mantovani.

Da una parte il patriarca del gruppo padovano, dall’altra l’ingegnere brillante e capace – come un prestigiatore – di moltiplicare gli appalti, e quindi fatturati e guadagni della società. «Ma noi siamo parte lesa» ha sempre dichiarato Romeo Chiarotto da quando, nel marzo 2013, si spalancarono le porte del carcere per Baita. Lo aveva ripetuto anche a luglio dello stesso anno, quando le confessioni di Baita avevano fatto finire in carcere Giovanni Mazzacurati, il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova. Lo ha ribadito lo scorso giugno, quando la retata della Finanza ha portato in galera una trentina di persone, per lo scandalo politico-giudiziario più grande che abbia colpito il Nordest.

Il 4 giugno gli investigatori della Finanza erano andati a perquisire anche le abitazioni del patron della Chiarotto e del figlio Giampaolo (entrambi nel cda del Consorzio Venezia Nuova), che però non sono mai stati indagati. Il 5 giugno l’ultraottantenne Romeo Chiarotto aveva dichiarato con una determinazione che già faceva presagire l’iniziativa giudiziaria di questi giorni. «Noi, come Mantovani e come famiglia, siamo completamente fuori dalle indagini. Lo dico perché nonostante tutto quello che abbiamo chiarito e anche pagato sulla nostra pelle, la Mantovani continua ad essere associata a dei corruttori. Ricordo che abbiamo reciso i contatti con l’ingegner Baita da un anno e mezzo. Del resto non sapevamo niente. Se avessi capito che si emettavano fatture da San Marino, l’avrei impedito. Era logico che prima o poi sarebbe emerso».

E riferendosi alle inchieste milanesi sull’Expo, dove la Mantovani ha acquisito un appalto di grande rilevanza, aveva aggiunto: «Il Gip di Milano ha parlato di un gruppo criminale ma non si riferiva a noi, ma ai filibustieri di cui si fidava Baita». Guerra aperta, anche perchè Mantovani aveva pagato 6 milioni di euro nel 2013 ed è impegnata a far lavorare 1500 persone, 400 nella Fip di Selvazzano (che realizza le cerniere del Mose), 400 nella Mantovani e 700 nei cantieri dell’Expo, dove si lavora in due turni di dieci ore al giorno, anche il sabato e la domenica.

Nella maxi-richiesta di risarcimento confluiscono tutti i tre filoni delle inchieste che ruotano attorno a Baita. Il primo è quello delle false fatturazioni (marzo 2013), il secondo quello dell attività del Consorzio Venezia Nuova e di Mazzacurati (luglio 2013), il terzo quello del Mose. Una parte dell’atto che introduce l’azione di responsabilità nei confronti di Baita, in quanto amministratore considerato infedele, si riferisce però a notizie giornalistiche. Lo sostiene Alessandro Rampinelli, il penalista che assiste Baita assieme al civilista Ruggero Sonino. «L’ingegner Baita esclude in modo categorico di aver mai creato o voluto creare danni alla Mantovani. Non ha mai sottratto nulla alla società. E ora, da dichiarazioni di Romeo Chiarotto, abbiamo anche la conferma che sotto la sua amministrazione i fatturati siano enormemente cresciuti».

La citazione calcola non solo i soldi sborsati con il Fisco, ma anche la perdita di opportunità imprenditoriali a causa delle inchieste riguardanti la gestione da parte di Baita. Ma soprattutto insiste sul danno di immagine per un gruppo di primo piano in Italia.

G. P.

 

Gazzettino – Vitalizio a Galan? No, anzi si’.

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25

ott

2014

Il presidente del Consiglio veneto cerca di spegnere il caso, ma la sua nota si rivela una conferma: per la legge l’ex governatore, una volta decaduto da deputato, potrà incassare l’assegno regionale

Giancarlo Galan, quando non sarà più parlamentare, percepirà il vitalizio della Regione per i suoi quindici anni di consigliere e governatore del Veneto, come peraltro ha fatto nei primi due mesi del 2013, prima di entrare a Montecitorio. Galan prenderà il vitalizio anche se ha patteggiato – anzi, proprio perché ha patteggiato – una pena di 2 anni e 10 mesi e una multa di 2,6 milioni di euro per lo scandalo del Mose. Lo dice – anche se forse l’intendimento era un altro – il presidente del consiglio regionale del Veneto, Clodovaldo Ruffato, che ieri, appresa della volontà del gruppo dell’Idv di sollevare un caso politico sulla vicenda, ha diffuso una nota “rasserenante”. Peccato che la stessa nota, pur densa di riferimenti di normativi, confermi la prossima futura erogazione del vitalizio. A meno che – mai dire mai – Ruffato, magari in applicazione dell’agognata autonomia del Veneto, non riesca a modificare la legge statale e il Codice penale e a stabilire che il patteggiamento equivale a una condanna. Perché la legge citata da Ruffato dice proprio questo: chi è «condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione» non prende il vitalizio. Ma chi ha patteggiato? Era, del resto, il tema che intendeva sollevare l’Italia dei valori e che ieri ha effettivamente formalizzato con la presentazione di una interrogazione, ricordando di essere stato il primo gruppo in Veneto ad affrontare la questione dei vitalizi (ma sulla trasparenza anche Ruffato rivendica il primato: «È un cavallo di battaglia della mia presidenza in Consiglio»).

Comunque, ieri il capigruppo dell’Idv, Antonino Pipitone, ha chiesto di fare chiarezza: «La politica deve affrontare una seria riflessione sul fronte vitalizi-patteggiamento, magari modificando la legge attuale. E’ eticamente corretto che un politico, eletto per amministrare la cosa pubblica e che poi ha patteggiato una pena per accuse legate al proprio ruolo, possa godere del vitalizio, ottenuto proprio per il suo mandato elettivo? Magari inserendola nel dibattito sulla natura giuridica dell’istituto del patteggiamento – ha insistito Pipitone – ma la questione va affrontata. Secondo noi, il patteggiamento dovrebbe prevedere la perdita dei privilegi che spettano ai politici e dei ruoli istituzionali, a cominciare proprio dal vitalizio».

A stretto giro è arrivata la risposta di Ruffato. «Allo stato attuale nessun politico o consigliere coinvolto in pesanti vicende giudiziarie sta percependo un vitalizio regionale». Oggi. Ma domani? Ad esempio, se Giampietro Marchese, che per la vicenda del Mose ha patteggiato 11 mesi e 20mila euro e si è dimesso da consigliere regionale del Pd, chiedesse di riavere il vitalizio per i precedenti mandati – vitalizio che ha percepito anche nel 2013 prima di tornare a Palazzo Ferro Fini al posto di Andrea Causin – cosa gli si dirà? Ruffato cita la legge regionale 47/2012 e la legge statale 231/2012 che rimanda agli articoli 28 e 29 del Codice penale che escludono l’erogazione dell’assegno vitalizio a chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione. Il punto è che su condanna e patteggiamento il giudizio etico non ha una equivalenza giuridica. Tant’è che i giuristi sulla questione danno interpretazioni opposte. È per questo che la “tranquillizzante” nota di Ruffato si rivela nei fatti una conferma.

Da registrare, infine, il battibecco a distanza tra il presidente del Ferro Fini e il capigruppo dell’Idv. Recita la nota di Ruffato: “Lavoriamo sulle leggi, sui fatti e sulle cose concrete che i cittadini veneti si attendono e non perdiamo tempo dietro ad argomenti che probabilmente servono per ottenere visibilità sui giornali, ma che non hanno alcun motivo politico di esistere. Soprattutto quando sono superati dai fatti e dalle leggi esistenti”.

Replica di Pipitone: “In quanto a ricerca di visibilità abbiamo solo da imparare. Per il resto, dal presidente del consiglio regionale, che di certo tutela tutti i gruppi (anche quelli piccoli e di opposizione), su patteggiamento e vitalizi attendiamo una risposta ufficiale alla nostra interrogazione che è stata depositata solo in tarda mattinata. Non che utilizzi le anticipazioni dei giornali per delle esternazioni”. Ma sul punto, Pipitone insiste: «Le questioni che abbiamo aperto non sono “perdite di tempo”. Sono argomenti molto seri. E gradiremmo una risposta ufficiale. Nello specifico, se Ruffato tira in ballo la legge regionale 47/2012, nessuno meglio di lui potrà spiegare che è il recepimento copia-incolla del decreto Monti, attuato al volo altrimenti Roma chiudeva alcuni rubinetti di stanziamento. Proprio questo è uno dei nostri quesiti. La legge Monti (e quindi la lr 47/2012 del Veneto) parlano di “condannato in via definitiva”. Ma chi ha patteggiato rientra in questo novero o no? Non abbiamo inoltre visto, all’indomani del 16 ottobre (udienze di accoglimento dei patteggiamenti), nessuna spiegazione ufficiale sul tema, mentre l’opinione pubblica continua a basarsi, per il vitalizio, sull’elenco apparso sul sito del Consiglio regionale il giorno dopo la nostra richiesta di trasparenza del 6 agosto. Secondo noi i veneti meritano chiarezza e trasparenza. E risposte ufficiali».

lda Vanzan

 

Pipitone (Idv) va all’attacco della Regione. In ballo anche gli assegni di Chisso e Marchese

VENEZIA – Giancarlo Galan riceverà il vitalizio da ex consigliere regionale per i suoi 15 anni di presidente della regione, oppure quando la sentenza di patteggiamento sarà definitiva decadrà da deputato, come prevede la legge Severino, e perderà anche il vitalizio da parlamentare e da ex consigliere regionale? Il quesito, più che giuridico, sta diventando fonte di risse in consiglio regionale perché Antonino Pipitone ha sollevato il caso: «Non è giusto pagare i vitalizi a chi è stato condannato». E in ballo non c’è solo Galan, ma anche Renato Chisso, ex assessore, sospeso dalla giunta veneta grazie alla legge Severino e in attesa di patteggiare la sua pena, e poi Giampiero Marchese, ex consigliere regionale Pd che si è dimesso dopo aver patteggiato con la procura di Venezia. I casi sono tre. Ma la domanda che tutti si fanno è assai intricata: il patteggiamento equivale ad una sentenza di condanna? I difensori degli imputati dicono di no, i pm e i gip invece pensano l’esatto contrario. Ma cosa accadrà nel concreto? Solo con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici scatta la decadenza da parlamentare o consigliere regionale. Ruffato mette in chiaro che Galan ha ricevuto il vitalizio della Regione, dopo i 55 anni, quando non era più ministro né deputato: un periodo molto breve perché nel 2013 è stato rieletto a Montecitorio e il vitalizio veneto si è interrotto. Ora tutti attendono che il patteggiamento diventi sentenza definitiva: la decisione del gip Galasso può essere impugnata dai difensori o dal procuratore generale Calogero e in tale caso a decidere sarà la Cassazione. Tra qualche giorno scadono i termini e quindi si capirà con quali tempi la sentenza Galan diventerà definitiva. Il presidente del consiglio regionale risponde all’Idv e precisa che il Veneto è una «delle primissime regioni che hanno recepito il decreto legge 174.2012 Monti con la legge regionale 47. Voglio quindi assicurare i cittadini sul fatto che allo stato attuale nessun politico o consigliere coinvolto in pesanti vicende giudiziarie sta percependo un vitalizio regionale». La legge a cui si riferisce Ruffato è «Disposizioni per la riduzione e il controllo delle spese… (21 dicembre 2012, n. 47)». Ruffato si riferisce nello specifico all’ articolo 7 nella quale si precisa che «è esclusa, ai sensi degli articoli 28 e 29 del Codice penale, l’erogazione dell’assegno vitalizio in favore di chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione» (comma 2). Inoltre il titolare dell’assegno vitalizio «è tenuto a certificare l’insussistenza di condanne in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione e, in caso di sopravvenute condanne in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione, è tenuto a darne comunicazione entro cinque giorni, fatta salva la possibilità di procedere in via d’ufficio» (comma 3). Tra commi e codici c’è da impazzire: «La trasparenza del nostro operato in tema di vitalizi è assolutamente evidente», conclude Ruffato.

L’Idv non è però soddisfatta e torna alla carica: non si deve pagare mai.

L’ultima mossa però la decideranno gli avvocati Ghedini e Franchini: un loro ricorso in Cassazione contro il patteggiamento, consentirebbe a Galan di restare deputato fino alla sentenza definitiva. Con l’indennità intera pagata da Roma . Sarà così?

Albino Salmaso

 

Gazzettino – A Galan il vitalizio regionale

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24

ott

2014

Idv all’attacco: è giusto pagarlo ai politici coinvolti nel caso Mose?

Il patteggiamento e il problema dell’interdizione dai pubblici uffici

L’ex governatore, quando decadrà da deputato, incasserà l’assegno da ex consigliere veneto

Se un politico patteggia la pena, perché deve continuare a prendere il vitalizio? Perché devono essere i veneti a contribuire a pagare la multa concordata con i giudici?
Il tema tiene banco in consiglio regionale del Veneto e riguarda, per ora, l’ex governatore Giancarlo Galan, uscito dal procedimento dello scandalo del Mose dopo aver patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi e il pagamento di una multa di 2,6 milioni di euro. A Palazzo Ferro Fini se ne parla anche perché Galan, governatore e consigliere regionale per quindici anni, è uno dei 226 titolari di vitalizi erogati dalle casse della Regione. Tanto che, prima ancora che esplodesse lo scandalo delle dighe mobili, non era passato inosservato il fatto che parecchi ex che nel frattempo avevano avuto altri incarichi politici, figurassero nell’elenco dei titolari di “pensione”. Tant’è, il gruppo consiliare dell’Italia dei valori è deciso a sollevare il caso politico. Ossia: è etico che un politico, eletto per amministrare la cosa pubblica e che patteggia una pena per accuse legate al suo ruolo di amministratore, continui a godere del vitalizio, vale a dire quella “pensione” ottenuta in virtù del precedente mandato elettivo?
Val la pena ricordare che quello dei vitalizi è un cavallo di battaglia dell’Idv. È partita da questo gruppo consiliare la richiesta di rendere noti i nomi dei titolari di assegni vitalizi e di reversibilità – e dallo scorsa estate i nomi sono pubblicati nel sito “Trasparenza” del consiglio regionale. Tra l’altro, l’elenco, riferito al 2013, riporta anche i nomi di Giancarlo Galan, divenuto parlamentare nel marzo di un anno fa (ha preso il vitalizio per i due mesi prima di andare a Roma), e di Flavio Zanonato, che prima di diventare eurodeputato era ministro. Il cumulo non è possibile in alcuni casi: la legge regionale numero 9 del 1973 dice che l’assegno è “sospeso se il titolare viene eletto al parlamento nazionale, al parlamento europeo o ad altro consiglio regionale” e specifica che “l’assegno è ripristinato con la cessazione dell’esercizio dei relativi mandati”. Dunque, posto che attualmente Galan non può percepire il vitalizio perché gode già dell’indennità di parlamentare, la “pensione da politico” tornerà ad essergli erogata quando cesserà il mandato di deputato. E su questo tema, appunto, è decisa a puntare i piedi l’Idv: è (o sarà) pagato il vitalizio ai politici coinvolti nella vicenda del Mose? E l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, che implica anche la perdita di stipendi e pensioni a carico di enti pubblici, può valere anche per i casi di patteggiamento?
E sul patteggiamento di Galan, ieri a “La Zanzara” su Radio 24 è intervenuto anche l’ex sindaco di Padova ed europarlamentare del Pd, Flavio Zanonato: «Galan? Non ci tengo che le persone stiano in carcere, voglio solo conoscere la verità dei fatti. Ma normalmente una persona innocente vuole andare fino in fondo per dimostrare la sua innocenza, io sarei andato fino in fondo». All’obiezione che Galan non si sente colpevole e che voleva uscire dal procedimento perché non ce la faceva più di stare in carcere, Zanonato ha ribattuto: «Il patteggiamento sospende il giudizio e non è una sentenza di colpevolezza, ma è una specie di scusa quella di dire che usa il patteggiamento perché non ce la fa più».

Alda Vanzan

 

«Trattati come degli appestati alla manifestazione. Con gli espropriandi accordi sotto ricatto». Elvio Gatto, coordinatore del Coordinamento veneto pedemontana alternativa, legge con gli occhi di chi è sulle barricate gli eventi verificatisi martedì in occasione della posa della prima pietra, nel trevigiano, dell’opera. «È stata una manifestazione pacifica di cittadini, che si sono mossi senza campagne a tappeto; eravamo molti di più di quanti dice il commissario per la Pedemontana Vernizzi, e trovo comunque che sia meschino il riferimento al numero di manifestanti (due, secondo Vernizzi) per paese. Ad avere ragione può essere una singola persona».

Ma l’accoglienza non è stata amichevole. «Siamo stati tenuti lontano come degli appestati. Ciò dimostra come Zaia tema qualsiasi confronto con la popolazione che possa fare rilievi critici. Il clima di nervosismo fuori luogo delle Forze dell’ordine ha portato all’increscioso episodio del trattore».

Sul quale Gatto spiega: «Un’ora e mezzo prima dell’arrivo di Zaia, i poliziotti già stavano chiudendo le strade. Il nostro amico Marino Fogal è arrivato con il trattore per mettersi simbolicamente vicino alle ruspe quasi a dimostrare il contrasto fra chi coltiva i campi e chi vuole distruggerli. È nato un increscioso equivoco. È chiaro che Marino non voleva aggredire il palco; conoscendolo è un’ipotesi risibile». Intanto, restano ancora in piedi dei ricorsi. «La corte costituzionale si è riunita il 7 ottobre per valutare il quello di 40 persone -dice Gatto- e stiamo aspettando la sentenza. Quindi l’uomo che fa il portavoce della legalità, ovvero Vernizzi, attenda il verdetto prima di procedere con lavori e immissioni in possesso. Anche perché il giudizio su un secondo ricorso, quello al Tar del Lazio, è in vigore dal 25 settembre e prevede la possibilità per gli agricoltori di continuare a raccogliere i frutti dei loro campi». E sugli accordi bonari aggiunge: «sono stati fatti sotto ricatto. La gente ha firmato per paura e sfinimento. Ma non è finita qui».

 

La sentenza d’appello riconosce alla società di Monselice crediti e risarcimenti legati alla metropolitana di superficie

VENEZIA – L’estenuante braccio di ferro giudiziario tra Net Engineering e Regione Veneto si va trasformando in una Caporetto per quest’ultima, che in Corte d’Appello incassa una nuova sconfitta: l’undicesima da quando è stato avviato il contenzioso. Stavolta i giudici della prima sezione civile di Venezia hanno respinto il ricorso di Palazzo Balbi contro il lodo arbitrale che, nel febbraio 2011 riconosceva alla società di progettazione tecnologica di Monselice crediti per circa 30 milioni di euro per lavori non pagati, interessi maturati e danni patrimoniali. Oltre a bocciare l’impugnazione, la Corte ha condannato l’amministrazione presieduta da Luca Zaia anche al pagamento delle spese legali della controparte (poco più di 45 mila euro) mentre si avvicina il sequestro cautelativo di beni regionali – per un valore proporzionale alla somma milionaria contestata – già contemplato dal lodo precedente.

Una vicenda per molti versi sconcertante, che investe la distribuzione degli appalti del Sistema ferroviario metropolitano di superficie: correva il 2009 quando la Net – esclusa dal service tecnico sulla linea Mestre-Adria e sulla stazione Mira Buse nonostante le convenzioni stipulate – iniziò una battaglia legale chiedendo il risarcimento per l’«illecita sottrazione di attività» per collezionare nel tempo una serie di lodi arbitrali favorevoli, puntualmente impugnati dalla Regione – che adduce l’assenza di copertura finanziaria degli accordi in discussione – decisa a non sborsare un soldo nonostante un accordo transattivo sottoscritto l’8 agosto 2013: una strategia dilatoria che appare confermata dall’assenza, nel bilancio del Veneto, di ogni accantonamento cautelare.

Una circostanza che suscita la durissima reazione della società presieduta da Giovanni Battista Furlan. «Perché tanta cieca ostinazione della Regione in un contenzioso senza speranze? Perché, dopo l’ingloriosa caduta di Galan e Chisso, anche questa giunta e in particolare il suo presidente Zaia, che ha avocato a sé le competenze di Chisso, e il vicepresidente Zorzato, che ha la delega al contenzioso, persevera con tanta caparbietà nell’azione di Galan e Chisso contro Net? Perché si è tentato di mettere in ginocchio Net? È stato usato lo stesso accanimento in altri cinque arbitrati milionari nei quali si è ricorso ai servizi dei consulenti tecnici Balducci e Cuccioletta?», gli interrogativi sollevati da una nota dell’azienda. Che dopo aver evocato il “sistema Galan” avanza un pesante sospetto: «Sembra evidente che l’intenzione, neanche tanto sottintesa, sia stata quella di utilizzare, come un’efferata garrota, l’inesorabile trascorrere del tempo, in modo da far morire Net a poco a poco di asfissia finanziaria per il mancato incasso dei corrispettivi maturati in anni di lavoro. Non ci sono riusciti, ma questo non toglie la gravissima responsabilità politica della Regione nell’aver costretto l’Azienda a ricorrere ad ammortizzatori sociali, costringendo decine di collaboratori a mesi di umiliante inattività».

Pesanti i contraccolpi dei mancati introiti sui conti dell’impresa, che non usa mezzi termini alludendo all’«impressionante volume di fuoco dispiegato da forze, oscure e no, ostili a Net ma soprattutto all’Sfmr e ai cittadini del Veneto». Conclusione? Net Engineering auspica che dinanzi all’ennesimo pronunciamento della magistratura, Zaia «non voglia con gladiatoria e suicida determinazione, perseverare nell’impugnazione» e adempia al pagamento, ora divenuto esecutivo. Si vedrà ma il “muro contro muro” in atto non autorizza previsioni ottimiste.

Filippo Tosatto

 

CORTE D’APPELLO

VENEZIA – “Prosegue l’imbarazzante e costosa collezione di sconfitte della Regione Veneto”. Si intitola così il comunicato diffuso ieri da Net Engineering, la società di Monselice (Padova), che ha in corso un lungo contenzioso con Palazzo Balbi in merito alla metropolitana di superficie, la cosiddetta Sfmr. La nota si riferisce al pronunciamento dalla prima sezione civile della Corte di Appello di Venezia (presidente Vittorio Rossi) e riguardante un lodo arbitrale che nel febbraio 2011 riconosceva a Net Engineering crediti per circa venti milioni di euro per lavori non pagati, interessi maturati e danni patrimoniali. «L’impugnazione della Regione è stata respinta dalla Corte d’Appello, che ha condannato la Regione anche al pagamento delle spese legali della controparte, poco più di 45mila euro. Nella contabilità di questa incredibile odissea giudiziaria del Sfmr – undici cause, undici sconfitte della Regione – la sentenza di mercoledì della Corte di Appello di Venezia riguarda il secondo dei tre arbitrati avviati e vinti da Net». C’è anche un terzo lodo, dello scorso maggio, che condanna la Regione al pagamento di circa 30 milioni a Net, ma i crediti non sono stati ancora pagati.

 

Nuova Venezia – Le pietre del Mose

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23

ott

2014

La Procura attende notizie dalla Croazia

I legali di Galan smentiscono: «Non ha mai avuto cave»

Pipitone (Idv) chiede a Zaia di scavare in questa storia»

VENEZIA – Le notizie arrivate dall’Istria sul conto degli affari che Giancarlo Galan avrebbe avuto in Croazia, riassunte nelle rivelazioni del deputato dei Democratici istriani Damir Kajin, hanno fatto drizzare le orecchie ai pubblici ministeri e agli investigatori del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia. Notizie seccamente smentite, ieri, dai difensori dell’ex presidente del Veneto, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini. Gli inquirenti sono impazienti di ricevere le informazioni che hanno chiesto attraverso le rogatorie anche alle autorità di Zagabria, oltre che a quelle della Svizzera, dell’Austria, della Slovenia, della Moldavia e dell’Ucraina. Avrebbero, infatti, richiesto non solo accertamenti sull’esistenza o meno di conti correnti o cassette di sicurezza intestate a Galan o ai parenti in banche di quei Paesi, ma anche l’esistenza di partecipazioni societarie. E il deputato istriano sostiene nelle sue dichiarazioni che Galan sarebbe stato socio occulto in una ditta alla quale sarebbe stato concesso dalle autorità croate di estrarre massi da una cava, massi che sarebbero stati utilizzati per le dighe alle bocche di porto del Lido, Malamocco e Chioggia. Da tener presente che la verifica fiscale della Guardia di finanza alla cooperativa San Martino, verifica dalla quale è partita l’indagine sul Mose, ha messo in luce che i massi acquistati in Croazia venivano pagati un terzo in più del loro valore e che quelle cifre erano poi trasferite all’estero e sarebbero andate a formare i fondi neri per versare le tangenti. «Le dichiarazioni rese dal deputato istriano Damir Kajin, riportate nell’articolo, meritano una smentita radicale, appaiono esercizio di pura fantasia e sono palesemente diffamatorie», affermano invece gli avvocati difensori di Galan. «L’onorevole Galan», proseguono, «non è mai stato titolare né diretto né indiretto di cave di pietra in Istria, né, tantomeno, ha ottenuto la concessione delle stesse attraverso pretese attività illecite, e si rivolgerà, quindi, all’Autorità giudiziaria per esperire tutte le azioni che riterrà opportuno a tutela della verità». Chiede chiarezza sulla vicenda il consigliere regionale di Italia dei Valori Antonio Pipitone. «Da dove provengono», chiede il politico IdV, «le pietre utilizzate per realizzare il sistema di dighe mobili lagunare? Chiediamo al presidente della Regione Zaia se voglia fare accertamenti e verifiche, visto che questa vicenda riguarderebbe il suo predecessore a Palazzo Balbi. Siamo consci che il Mose è un’opera statale, ma gli intrecci dell’inchiesta con il cammino della Regione, in questi mesi, non sono purtroppo mancati. Per questo – conclude Pipitone – e per contribuire a fugare ogni dubbio domandiamo a Zaia se, per quanto di sua competenza, voglia scavare in questa storia di massi, navi e dighe».

Giorgio Cecchetti

 

Senato, incardinata procedura su Matteoli

ROMA. Nella seduta di ieri della Giunta per le Immunità del Senato è stata incardinata la procedura nei confronti di Altero Matteoli, il senatore di Forza Italia, ex ministro delle Infrastrutture, coinvolto nell’inchiesta bonifiche di Marghera. Il relatore, secondo quanto si apprende, sarà il presidente della Giunta Dario Stefàno (Sel). Il Tribunale dei ministri di Venezia ha chiesto alla Giunta l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex titolare del dicastero. L’ipotesi è che l’esponente forzista abbia ricevuto denaro per una serie di bonifiche ambientali dei siti inquinati di Mestre. Circostanze che l’ex ministro ha sempre smentito chiedendo che il Senato conceda l’autorizzazione ai magistrati. Tra una decina di giorni, sempre secondo quanto si apprende, il senatore dovrebbe venire ascoltato dalla Giunta.

 

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