Gazzettino – L’investigatore che ha incastrato i padroni di Venezia
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15
ago
2014
Seconda puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di finanza, svegliato alle 4 del mattino del 4 luglio 2014 da un sms: «Ci siamo».
I POTERI FORTI – Dalle verifiche dei bilanci di una coop di Chioggia alla scoperta dei fondi neri dello scandalo-Mose
L’UFFICIALE – Esperto di fisco, si era occupato delle plusvalenze di Inter e Milan e del crac della Popolare di Lodi
ACCUSATO E ACCUSATORE – Piergiorgio Baita, classe 1948, ex patron della Mantovani spa, le sue rivelazioni hanno contribuito alla Retata storica
L’investigatore che ha incastrato i padroni di Venezia
Il colonnello Nisi ha condotto le indagini fino al trasferimento a Roma «Solo un avvicendamento di carriera. Non lo nascondo, ero sfinito»
Il cellulare squilla: «Sia gentile, non insista. Non mi occupo più delle indagini. Non è con me che deve parlare». Il tono è garbato, ma fermo. Il colonnello Renzo Nisi, preme per l’ennesima volta il tasto di fine conversazione del suo smartphone. Un assedio, quello dei giornalisti, cui si sottrae con sottile compiacimento. E correttezza: l’uomo dell’inchiesta sul Mose? Non più. La titolarità investigativa ora è di altri e c’è una scala gerarchica con cui confrontarsi. Il cellulare continua a squillare. Risponde a chi “riconosce”. Sul display in rapida successione i nomi di Luigi Delpino, procuratore capo di Venezia, dell’aggiunto Carlo Nordio, dei sostituti Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Stefano Buccini, i magistrati che, dandogli fiducia, hanno dato corpo e concretezza alle ipotesi accusatorie. Si era partiti da un giro di fatture false, emerso analizzando i bilanci di una cooperativa chioggiotta – la San Martino – e si era approdati ai fondi neri del Mose. Tanti soldi per narcotizzare i controllori e comprare il consenso attraverso elargizioni a enti pubblici, privati, religiosi, associazioni, club, fondazioni.
IL TRASFERIMENTO A ROMA
Più di qualcuno aveva letto il suo trasferimento a Roma come una sorta di rimozione per affossare l’inchiesta. «Una liberazione» la parola quasi gli sfugge dall’increspatura sulle labbra sottili indugiando con la memoria a quei giorni difficili, opachi, ostili. Ma che ne sanno della fatica, della pressione, della tensione, delle subdole intimidazioni, del timore mai sopito che potesse accadere qualcosa di irreparabile? Davide contro Golia. Quando lo scontro è con i poteri forti non ci sono esclusioni di colpi. Lo sa bene. Ci ha messo del tempo a realizzare l’esatta portata della partita che stava giocando, la capacità offensiva dei “padroni ombra” di Venezia. Avevano agito nel e dal profondo occupando spazi, poltrone, palazzi, al riparo da sguardi indiscreti come possono essere quelli dell’opinione pubblica, del “popolino” alle cui spalle si sono ingrassati con l’ingordigia di chi si sente onnipotente. Vivendo in un mondo parallelo sprezzante e offensivo per chi tira avanti col proprio stipendio e magari rischia anche la pelle per portare a casa ogni mese mille euro, se va bene duemila, e si ritrova a dire più no che sì ai desideri dei figli. Un mondo in cui trova posto pure una Spectre, una capillare rete di controspionaggio – in cui pullulano i doppiogiochisti – per neutralizzare chi osa disturbare il manovratore.
L’INGEGNERE E IL REGISTA
«Mazzacurati chi? Il regista?», si era sentito ribattere quando aveva dato la notizia dell’arresto del sovrano del Cvn. No, era il padre di Carlo. Questo Mazzacurati, compianto cantore – è stato stroncato dalla malattia il 22 gennaio 2014 – della terra veneta, dei suoi valori e della sua gente autentica, tanto nelle virtù quanto nei vizi, ha diretto film dalla rara e struggente poetica universale e nel contempo severa e lucida. L’altro Mazzacurati, Giovanni, ingegnere intelligente, brillante, spregiudicato, diventato, a insaputa della stessa gente ritratta dal figlio, fra i personaggi più influenti d’Italia, capace di interloquire alla pari con presidenti di regione, ministri e capi di governo, boiardi di Stato e alte cariche ecclesiastiche, capitani d’industria, docenti universitari. Un potere carsico, secondo le accuse, nato e cresciuto disponendo e spendendo soldi pubblici, milioni, miliardi: 6 e mezzo l’ammontare definitivo per il Mose. Un perfetto sconosciuto. All’esterno della holding clandestina fa più rumore il nome di Piergiorgio Baita, onnipresente nelle opere cruciali e più dispendiose della regione, fautore del project financing sposato senza riserve da Galan e Chisso. «Lo ripeto io non sono l’inchiesta e il mio trasferimento si inserisce nel naturale avvicendamento di carriera che vede gli incarichi di comando ruotare circa ogni tre anni. Quando il generale Giancarlo Pezzuto mi chiamò a maggio 2013 non potevo rappresentargli, per dovere d’ufficio, ciò su cui stavamo investigando. D’altronde Baita fuori dal Veneto non era annoverato fra i soliti noti. E io, io – esita – non lo nascondo, ero sfinito. A Pezzuto chiesi solo una proroga di un paio di mesi e me li concesse sulla base di una indiscussa stima reciproca». Giusto il tempo di eseguire le ordinanze di custodia cautelare a carico di Mazzacurati & Co.
L’ARRIVO A VENEZIA
La memoria va al luglio 2009. Nisi è appena approdato in laguna. Arriva da Milano a ridosso del suo 42. compleanno. Il trasloco, la famiglia, l’iscrizione a scuola per il “grande”‘ al liceo e per il “piccolo” all’asilo. A Venezia c’era stato una sola volta in gita con la moglie. Le ossa in grigioverde se l’era fatte per lo più in terra lombarda. Ma con i gradi da colonnello, nella regione al tempo comandata dal generale Spaziante per Renzo Nisi, non c’era posto. «Che dice di Venezia?». Si può fare. In fin dei conti poteva andare peggio dal punto di vista logistico, s’intende. Esperto in fiscalità internazionale, dal 2003 sotto la “madonnina” era stato alla guida del Gruppo verifiche speciali firmando, fra le altre, le indagini sui “colletti bianchi”, sulla false plusvalenze di Milan e Inter, sul crac della ex Popolare di Lodi, sull’anomala operatività della marocchina Wafa Bank, sul gruppo di consulenza finanziaria Mythos Arkè. È il biglietto da visita con cui si presenta a condurre il Nucleo di Polizia tributaria veneziano: un pedigree di uno che non molla, di uno che non teme il confronto nemmeno con i colossi, di uno che va fino in fondo a costo di andarci a fondo. Dalla sua ha una competenza invidiabile e una condotta lineare dentro e fuori la caserma.
IL CALCIO E LE REGOLE
Per Nisi scatta un percorso a ostacoli, peggio, cosparso addirittura di trappole interne, che metterà a dura prova la tenuta del pool di investigatori che lo affiancherà. Uno staff che gli piace definire «nato da una congiuntura astrale insondabile con il risultato stupefacente di consentire di mettere a punto una macchina in grado di sviluppare al massimo le potenzialità intrinseche». Lui che alle coincidenze non ha mai dato peso e che a Venezia, malgrado le sue resistenze, viene catturato dalla malìa di una città accogliente e al contempo escludente, capace di farti sentire ospite gradito e intruso impiccione. È uno, il colonello Nisi, che crede nella squadra intesa come amalgama coeso di umanità, professionalità, specializzazione, talento. E non a caso usa spesso metafore calcistiche quando riferisce delle attività svolte: tattica, melina, contrattacco, affondo, vittoria. Giusta distanza. Nisi non dimentica mai il patto siglato all’ingresso nelle Fiamme Gialle: il rispetto della legge. Prima di tutto. Le regole. Per lui un imperativo morale che lo ha posto al riparo tanto dalle lusinghe quanto dalle intimidazioni. È un buon allenatore. Insegna e pratica il rigore e, pirandellianamente, il piacere dell’onestà. Già l’onestà. Una parola che suona ironica, fuori tempo, démodé nella “Venezia circo barnum” del Mose.
IN VENDITA. NON TUTTI
Banalmente Nisi dà il buon esempio. E sceglie chi reputa simile nell’intimo e capace investigatore.
In vendita. Non tutti. Non pochi. Nei “palazzi” delle inchieste più clamorose condotte dalla Guardia di Finanza a Venezia, luoghi in cui si dovrebbe tutelare la collettività: Ca’ Corner, Ca’ Farsetti, Ca’ Balbi. Corruzione patologica, che salta fuori anche quando viene spodestato “il re di via Piave”, al secolo Keke Luca Pan, cittadino cinese naturalizzato mestrino – condannato a sette anni e otto mesi di reclusione – che nel giro di un quinquennio è riuscito a sottomettere ai suoi diktat di malavitoso l’area contigua alla stazione ferroviaria di Mestre fondando un impero immobiliare: interi condomini, centri massaggi, alberghi, negozi, a lui riconducibili. Nessuno poteva metter piede nel suo regno senza il benestare del sovrano. Prostituzione, immigrazione clandestina, falsi permessi di soggiorno, minacce: e a libro paga funzionari comunali, vigili urbani, forze dell’ordine. Tutti sapevano. C’è voluta la felice intuizione dell’agente infiltrato per smascherare affari e connivenze. «È una delle operazioni che ricorderò con più nostalgia – confesserà Nisi nell’accomiatarsi da Venezia ai primi settembre del 2013 – poiché ha avuto un effetto immediato sulla gente comune. L’abbiamo considerata una sorta di regalo alla città perché siamo riusciti a restituire ai residenti, attraverso la confisca dei beni di proprietà di Pan, un quartiere che ormai era diventato una sorta di zona franca». Un’altra data memorabile quel 13 dicembre 2012 con il blitz dei finanzieri accolto dagli applausi dei cittadini che festeggiavano l’invocata e avvenuta “liberazione”.
(Continua domenica 17 agosto)
DEI 50 INDAGATI
Per Orsoni, Marchese e Sartori solo finanziamento illecito
L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese e l’ex eurodeputato Lia Sartori sono accusati solo di finanziamento illecito ai partiti. Gli altri indagati invece devono rispondere di corruzione. Si tratta di reati diversi (il finanziamento illecito è meno grave e non prevede come contropartita un atto specifico), anche se l’inchiesta è unica e viene indicata come inchiesta sul Mose. Giorgio Orsoni proclama la sua estraneità all’accusa e ha deciso di difendersi a processo; Giampietro Marchese, pur dicendosi innocente, ha chiesto di patteggiare la pena e si è accordato per 11 mesi di reclusione con la sospensione condizionale; Lia Sartori nega ed è ancora agli arresti domiciliari.
IL MEMORIALE – Mazzacurati: ecco chi riceveva denaro dal Consorzio (Dal memoriale dell’ingegner Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova)
… Dal 2004 e sino al 2006 il referente politico per le attività relative al Sistema Mose è stato il Sen. Ugo Martinat, allora Vice Ministro con specifica delega alle Infrastrutture Strategiche. Il Sen. Martinat subordinava la dovuta allocazione dei finanziamenti alla dazione di somme di denaro. Mi pare di aver versato al Sen. Martinat circa 400 mila euro. All’epoca era previsto che il Sistema Mose fosse completato entro l’anno 2010. Il Sen. Martinat è deceduto nel 2009. … Successivamente, il dottor Meneguzzo mi metteva in contatto con l’On. Milanese, che si presentava quale soggetto direttamente competente, sul piano politico, a gestire le questioni del finanziamento delle opere alle bocche di porto. In sostanza, l’On. Milanese rappresentava che avrebbe assicurato i finanziamenti … solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500 mila euro. Successivamente, il dottor Meneguzzo mi presentò il Generale Spaziante… Mi veniva, pertanto, richiesta dal Gen. Spaziante una somma particolarmente rilevante (circa 2 milioni di euro). Ho versato al Gen. Spaziante complessivamente 500 mila euro in due occasioni in Roma … Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013 ho versato dei denari all’On. Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana. Nel periodo 2001-2008 sono stati versati all’ing. Maria Giovanna Piva circa 150/200 mila euro all’anno. Per quanto posso ricordare ho versato, a sostegno delle diverse campagne elettorali, somme all’ avv. Ugo Bergamo, al sig. Giampietro Marchese, al prof. Giorgio Orsoni.
Gazzettino – Mose, caccia al tesoro in Moldavia
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14
ago
2014
TANGENTI Intanto anche Neri, collaboratore stretto di Mazzacurati, ha chiesto il patteggiamento
Mose, caccia al tesoro in Moldavia
La Procura sospetta che parte dei proventi delle mazzette sia nascosta in conti segreti all’estero
INCHIESTA – Si spostano all’estero le indagini sulle tangenti legate alla costruzione del Mose: i giudici sospettano che in Moldavia ci siano i conti
TRIBUNALE DI MILANO – Confermato il carcere per Milanese, l’ex segretario di Giulio Tremonti
Potrebbero essere nascosti in Moldavia parte dei soldi provento delle “mazzette” del sistema Mose. Ne sono convinti i magistrati della Procura di Venezia i quali hanno avviato le procedure per una rogatoria alla ricerca di conti correnti direttamente intestati a qualcuno degli indagati oppure affidati a qualche prestanome. La nuova “caccia” all’estero si aggiunge alle rogatorie già avviate da tempo in Canada, in Svizzera, in Croazia, nel Regno Unito e in alcuni Paesi del Medio Oriente, di cui sono attese a breve le prime risposte da parte delle locali autorità giudiziaria, alle quali i pm veneziani hanno chiesto di svolgere indagini finanziarie per loro conto.
Evidentemente la Procura ha raccolto nuovi elementi che portano direttamente nella Repubblica Moldova dove qualche politico potrebbe aver portato (o fatto portare) consistenti somme di denaro. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto ha già lavorato con successo in passato con le autorità moldave, riuscendo a catturare un giovane accusato del brutale omicidio a scopo di rapina di un fruttivendolo veneziano, avvenuto nel 2007, e ciò lo renderebbe fiducioso sul possibile esito delle ricerche. Top secret, per il momento, il nome (o i nomi) della persona sospettata di aver nascosto nell’Europa dell’Est i proventi illeciti.
Nel frattempo gli inquirenti registrano l’ennesima richiesta di patteggiamento, che porta ormai ad una ventina il numero degli indagati che hanno deciso di chiedere l’applicazione della pena. Non tutti hanno confessato, e qualcuno giustifica tale scelta con l’intenzione di chiudere al più presto il processo. Ma per la Procura, la “resa” di un numero così consistente di indagati viene interpretata come una conferma della solidità del quadro accusatorio. L’ultimo a concordare il patteggiamento è stato il settantatreenne romano Luciano Neri, ex stretto collaboratore di Giovanni Mazzacurati, accusato di essere stato il gestore dei fondi neri per conto dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova. Fondi neri con cui Mazzacurati ha confessato di aver corrotto e finanziato per anni la politica e pubblici funzionari incaricati di controllare la realizzazione del Mose. Da più di due mesi Neri si trova agli arresti domiciliari e finora, a differenza del suo ex datore di lavoro, si è trincerato dietro il più assoluto silenzio, rifiutandosi di raccontare ciò che sa ai magistrati che coordinano le indagini, i pm Ancilotto, Buccini e Tonini. Il suo difensore, l’avvocato Tommaso Bortoluzzi ha concordato una pena di 2 anni, e la Procura confida di riuscire a confiscargli un milione di euro quando la sentenza sarà passata in giudicato.
Una importante ulteriore conferma della solidità degli indizi raccolti dai pm veneziani è arrivata anche dal Tribunale del riesame di Milano che, nel confermare il carcere per Marco Mario Milanese, l’ex segretario dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, definisce credibili e riscontrate le confessioni di Mazzacurati, dell’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo, l’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan. E avvalora la qualificazione giuridica fatta dalla Procura, che per tutti ha contestato il reato di corruzione, al contrario di quanto ha fatto il Riesame di Venezia, secondo il quale gli imprenditori più piccoli potrebbero essere stati vittima di concussione da parte di Mazzacurati: «Pare assai difficile per il Tribunale leggere in termini estorsivi o concussivi il comportamento di Mazzacurati nei confronti dei consorziati», scrivono i giudici milanesi, spiegando che le piccole imprese che lavoravano per il Cvn accettarono di costituire fondi neri per il pagamento di “mazzette” sulla base di «una ponderata valutazione di convenienza».
Gianluca Amadori
Nuova Venezia – Tesoro delle tangenti Mose nascosto anche in Moldavia
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14
ago
2014
Tesoro delle tangenti Mose nascosto anche in Moldavia
Patteggiamenti: ok della Procura di Venezia a 16 mesi per Gino Chiarini e a 2 anni con la confisca di un milione di euro per Neri, factotum di Mazzacurati
Nuova rogatoria internazionale dopo quelle con Svizzera, Croazia ed Emirati
Proseguono gli interrogatori degli imprenditori citati da Galan sui fondi neri
VENEZIA – Dove sono finiti i soldi dei fondi neri del Consorzio Venezia Nuova? La Procura di Venezia cerca in Moldavia il “tesoro” delle tangenti del Mose. Dopo aver già avviato rogatorie in Croazia, Canada, Svizzera, Regno Unito, Emirati – senza, per altro, aver ancora ricevuto risposta – ora è il fronte Europa dell’Est che i magistrati sondano con maggiore convinzione, in particolare quello con la più collaborativa Moldavia, con la cui magistratura il pm Stefano Ancilotto ha già lavorato nel 2008 in occasione dell’inchiesta che portò all’arresto dell’omicida Gheorghe Vacar, che uccise per rapina il commerciante veneziano Giampaolo Granzo. Così è pronta la richiesta per incrociare i nomi degli indagati con le banche dati moldave. Proseguono, intanto, gli interrogatori degli imprenditori tirati in ballo dall’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, come finanziatori in “nero” della sua campagna elettorale 2005: dopo le smentite tramite giornale, ora devono arrivare quelle formali, che faranno scattare la nuova accusa di calunnia a carico del deputato di Fi. Così ha già fatto il veneziano Andrea Mevorach e così anche l’imprenditore Piero Zannon, che con i pm Ancilotto e Buccini hanno negato di aver consegnato a Claudia Minutillo 200 e 300 mila euro, come invece aveva denunciato Galan nel suo memoriale, accusando la sua ex segretaria di essersene appropriata. Per i magistrati è una calunnia: accusa che si aggiungerebbe così a quelle per corruzione delle quali deve rispondere. E si allunga, nel frattempo, la lista di quanti hanno concluso un accordo con la Procura per patteggiare: oltre una ventina di indagati, praticamente tutti quelli non “politici” e ancora in carcere come Galan agli arresti nel centro clinico del carcere di Opera, in attesa dell’esito del ricorso per Cassazione presentato dai suoi legali, contro l’ordinanza di custodia cautelare confermata dal Tribunale del riesame. Poi c’è il suo prestanome Paolo Venuti, l’ex assessore Renato Chisso e il suo segretario Enzo Casarin, ad esempio. Per loro si prospetta un rinvio a giudizio con rito immediato: la Procura ha tempo fino allo scadere dei sei mesi di custodia cautelare previsti per i reati contestati, che verrebbero così rinnovati in attesa del processo. Ieri si è aggiunto alla lista un nome importante: quello dell’ingegner Luciano Neri, accusato di essere il gestore unico (su ordine di Mazzacurati) del fondo nero del Consorzio Venezia Nuova, alimentato con i soldi pubblici pagati dallo Stato a fronte di fatture per lavori di salvaguardia mai effettuati. Non ha ammesso nulla, ma l’avvocato Tommaso Bortoluzzi e la Procura hanno raggiunto un’intesa per una pena di 2 anni e la confisca di beni per un milione di euro. Raggiunto ieri anche l’accordo con Gino Chiarini per una pena di 16 mesi: è accusato di millantato credito per aver fatto credere a Piergiorgio Baita di avere ascendenti sul giudice Claudio Tito per avere informazioni sulle indagini. Al patteggiamento hanno già avuto accesso – anche se per tutti manca ancora la convalida del giudice per le udienze preliminari Vicinanza – oltre che i maggiori protagonisti dell’inchiesta come Mazzacurati, Baita, Minutillo, anche gli imprenditori chioggiotti Mario e Stefano Boscolo Bacheto, Dante e Gianfranco Boscolo Contadin, Andrea Boscolo Cucco, l’ingegnere del Cvn Maria Brotto, l’ex direttore di Mantovani Nicolò Buson, il commercialista Corrado Crialese, l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, Manuele Marazzi, Franco Morbiolo, l’ex segretario di Mazzacurati, Federico Sutto. Stanno trattando con ipm l’imprenditore Stefano Tomarelli (ai vertici del Cvn con Condotte Spa) e il faccendiere Mirco Voltazza.
Roberta De Rossi
Gazzettino – Galan rischia l’imputazione per calunnia
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13
ago
2014
IL CASO MOSE – Le accuse nel memoriale, la Procura sta valutando se procedere d’ufficio anche per questo reato
Galan rischia l’imputazione per calunnia
L’ex presidente ha tirato in ballo imprenditori affermando d’aver ricevuto contributi in nero, loro smentiscono
Giancarlo Galan potrebbe finire sotto inchiesta anche per calunnia. La Procura di Venezia sta valutando se avviare un’indagine a carico dell’ex Governatore del Veneto in relazione al memoriale difensivo nel quale ha lanciato accuse nei confronti di una decina di imprenditori, da lui indicati come finanziatori illeciti della sua campagna elettorale del 2005. Tutti gli imprenditori ascoltati finora hanno negato, dichiarando di non aver mai versato alcun contributo – tantomeno illecito – all’esponente politico di Forza Italia. Alcuni di loro hanno anche annunciato l’intenzione di denunciare Galan per diffamazione, reato perseguibile a querela di parte. La calunnia, invece, è perseguibile d’ufficio in quanto la parte danneggiata non è una singola persona offesa nell’onore, ma la stessa amministrazione della giustizia, in quanto l’aver accusato ingiustamente persone che si sanno innocenti ha l’effetto di dare il via ad un’inchiesta penale.
Nel memoriale dello scorso luglio Galan ha raccontato di aver ricevuto finanziamenti nel 2005 dal vicentino Rinaldo Mezzalira, scomparso nel 2007, già titolare di un’azienda specializzata in tubi per irrigazione, la Fitt, (50-100 mila euro); dall’ex senatore trevigiano di Forza Italia e titolare di Veneta Cucine, Carlo Archiutti (200 mila euro); dal “re” padovano dei cementifici, Giovanni Zillo Monte Xillo (50 mila euro); dal […] (10-20 mila euro); dal titolare della Geox, Mario Moretti Polegato (20 mila euro); dall’attuale direttore generale dell’Usl di Vicenza, Ermanno Angonese (5-10 mila euro); dall’imprenditore di Camposampiero Gianni Roncato (17 mila euro) e dal patron del porto turistico di Jesolo, Angelo Gentile (5-10 mila euro). E ancora da Piero Zannoni, ingegnere bellunese ex consigliere di amministrazione di Veneto Sviluppo (200mila) e dall’imprenditore di Marghera, Andrea Mevorach (300mila).
Finanziamenti ormai prescritti per il troppo tempo trascorso, confessati da Galan per dimostrare che la sua ex segretaria, Caudia Minutillo, non è credibile in quanto quando lo accusa in quanto, dopo aver incassato a suo nome i soldi di Zannoni e Mevorach, li avrebbe trattenuti per sé. La circostanza è stata però smentita da entrambi gli imprenditori.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che costituisca calunnia l’accusare ingiustamente una persona anche se il reato è ormai coperto da prescrizione. Ora spetterà alla Procura fare le valutazioni del caso.
Ieri, nel frattempo, è stato interrogato il ferrarese Gino Chiarini, in carcere dallo scorso 4 giugno con l’accusa di millantato credito: secondo la Procura si fece ricompensare da Mazzacurati e Baita con somme comprese tra 50 e200mila euro prespettando loro di poter ottenere informazioni riservate sull’andamento dell’inchiesta a carico del Consorzio Venezia Nuova grazie ad un magistrato suo amico, il proucratore aggiunto di Udine, Raffaele Tito (che di questa vicenda è risultato non saperne nulla). Chiarini ha parlato a lungo con i pm Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, chiarendo tutti i particolari dell’intricata vicenda di “spionaggio”, fornendo riscontri e nuovi elementi che gli inquirenti considerano di grande interesse.
Palladio, Meneguzzo lascia al figlio
La Palladio volta pagina. Coinvolto dall’inchiesta sul Mose (dopo l’arresto, ora è agli arresti domiciliari) il presidente della finanziaria vicentina, Roberto Meneguzzo lascia il passo al figlio Jacopo. La decisione è stata ufficializzata dopo l’assemblea della Sparta la holding (il 51% è di Meneguzzo) che controlla Pfh1 che a sua volta con il 50,45% ha la maggioranza della finanziaria vicentina. La scelta del cambio al vertice, inciderà su alcune partite finanziarie. In particolare sulla composizione societaria di Generali, dove la partecipata Ferak controlla circa l’1 per cento e un altro 2,15% attraverso Effetti.
Nuova Venezia – Massoni nell’inchiesta Mose? Interrogazione M5s su Galan.
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13
ago
2014
Richiesta di chiarimenti ad Alfano: «Chi sono i “fratelli” magistrati e poliziotti»
Massoni nell’inchiesta Mose? Interrogazione M5s su Galan.
Ieri la moglie ha visitato in carcere a Opera l’ex ministro e governatore veneto
VENEZIA – Un abbraccio, un lungo silenzio, molte domande sulla piccola Margherita, la figlia di sette anni per la quale papà «è in viaggio per lavoro». Sandra Persegato, la moglie di Giancarlo Galan, ha incontrato in carcere il marito, detenuto nel carcere di Opera, alle porte di Milano. Si è trattato del primo incontro tra Galan e la moglie dalla sera del suo traumatico arresto, il 22 luglio scorso, a poche ore dall’autorizzazione votata dalla Camera. Sandra Persegato si è recata a Opera accompagnata dalla cognata, Valentina Galan: i magistrati infatti hanno autorizzato alle visite, oltre alla moglie, solo la sorella e l’anziana madre dell’ex ministro. Per il politico, dopo lo stop del Tribunale del Riesame alla scarcerazione, si tratta di attendere l’esito del ricorso in Cassazione che i suoi legali stanno predisponendo. Ma appare evidente che per l’ex ministro ed ex governatore, che si muove in stampelle in una stanza della clinica del penitenziario di Opera, le porte del carcere si riapriranno non prima del prossimo ottobre. Una lunga carcerazione preventiva, dunque, che rischia di mettere a dura prova lo stato d’animo dell’ex ministro. L’incontro tra Galan e la moglie si trova in carcere, è durato poco più di un’ora. Saltano sul caso di Galan iscritto alla massoneria, invece, i deputati veneti del Movimento 5 stelle Arianna Spessotto, Emanuele Cozzolino, Francesca Businarolo, Marco Brugnerotto, Federico D’Incà, Diego De Lorenzis, Marco Da Villa e Silvia Benedetti. In una interrogazione rivolta al ministro dell’Interno Angelino Alfano, i parlamentari grillini sottolineano come l’appartenza di Galan alla loggia Florence Nightingale di Padova, sia circostanza alquanto «curiosa»: «l’inchiesta penale veneziana sul Mose sta delineando un quadro fosco e preoccupante di intrecci tra funzionari pubblici corrotti e concussi, politici e imprese corruttrici, uomini di assoluto rilievo dei servizi segreti e delle forze di polizia, quasi una sorta di polizia parallela, infedele che ostacolava le indagini dei pubblici ministeri veneziani; non si può escludere l’esistenza di una rete pervasiva e devastante operante in Veneto, per la copertura e il depistaggio sulle gravi violazioni penali seriali condotte per l’affaire Mose; l’appartenenza del Galan alla massoneria non può non destare molta preoccupazione in relazione all’eventuale appartenenza alle logge di funzionari pubblici e in particolare appartenenti alle Forze armate, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri, con funzioni di polizia e di polizia giudiziaria, e inoltre alla magistratura; in effetti l’affiliazione alla massoneria di un magistrato o di ufficiale di polizia giudiziaria preclude di per sé l’imparzialità (secondo la Cassazione, «essere iscritti alla massoneria significa vincolarsi al bene degli adepti, significa fare ad ogni costo un favore. E l’unico modo nel quale un magistrato può fare un favore è piegandosi ad interessi individuali nell’ emettere sentenze, ordinanze, avvisi di garanzia»). I deputati del Movimento 5 stelle, pertanto, chiedono al ministro «se non ritenga opportuno acquisire elementi presso le prefetture per verificare, presso gli appositi elenchi, se risulti la presenza di affiliati alle logge massoniche di magistrati e appartenenti alle Forze armate con compiti di polizia». I grillini sollecitano «iniziative disciplinari urgenti, ove ne sussistano i presupposti, nei confronti di magistrati e appartenenti alle Forze armate per i quali si verifichi l’eventuale sovrapposizione di appartenenza a logge massoniche e di sottoposizione ad avviso di garanzia per reati attinenti allo scandalo Mose».
Daniele Ferrazza
In arrivo per l’ex presidente regionale anche un’accusa per calunnia
VENEZIA. Una nuova accusa – quella di calunnia – si potrebbe presto aggiungere alle altre nei confronti dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan, in carcere con l’accusa di essersi fatto corrompere per anni a suon di “stipendi” milionari dal Consorzio Venezia Nuova e dalla Mantovani (allora) di Piergiorgio Baita. La Procura di Venezia sta valutando concretamente l’ipotesi, in merito a quella parte del memoriale difensivo, nella quale Galan (nel negare gli addebiti che gli vengono mossi) si autoaccusa di aver percepito nel 2005 fondi neri elettorali da dieci imprenditori (che hanno tutti negato) e accusa l’ex segretaria Claudia Minutillo di essersi appropriata di 300 mila euro consegnati dall’imprenditore Andrea Mevorach (che da parte sua ha negato con forza il fatto, replicando di aver ricevuto pressioni da Galan per contributi che si è sempre rifiutato di pagare). La Procura risponde con l’accusa di calunnia, valida anche in caso di fatti prescritti. Ieri, intanto, lungo interrogatorio difensivo davanti ai pm Ancilotto e Buccini per Gino Chiarini, ferrarese, in carcere dal 4 giugno con l’accusa di millantato credito: si sarebbe fatto consegnare dai 50 ai 200 mila euro da Baita (in cerca di informazioni sull’inchiesta) vendendogli la possibilità di avere notizie dal giudice Claudio Tito, all’oscuro di tutto. Chiarini ha raccontato per ore ai magistrati di molti episodi dei quali è stato testimone, “guadagnandosi” il sì della Procura agli arresti domiciliari. […]
(r.d.r.)
Gazzettino – Preganziol. Il calvario dei pendolari “Stazione dimenticata”.
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12
ago
2014
PREGANZIOL – L’esasperazione del Comitato: «Abbiamo bussato a tutte le porte, nessuno ci ascolta»
«Il trasporto pubblico a Preganziol? Un colabrodo»: non si dà pace Pietro Dal Don, coordinatore del comitato di protesta dei pendolari del servizi ferroviario denominato “Più treni a Preganziol”, che ha gia raccolto oltre 1.200 firme. Aggiunge Dal Don: «Non sono state attivate le corse promesse 3 mesi fa dall’assessore regionale alla mobilità Renato Chisso, ma da poco è stato addirittura aumentato del 6% il costo del biglietto delle corse regionali. Ieri il treno delle 7.45 Treviso-Venezia è stato cancellato. Così non può continuare. Purtroppo si sta facendo come i gamberi: è questo il tanto decantato progetto della Metropolitana leggera di superficie che prevedeva il transito di un treno ogni quarto d’ora lungo la tratta Treviso-Venezia? Dopo l’entrata in vigore dell’orario cadenzato le cose sono peggiorate». Il Comitato si batte da anni con la Regione e con Trenitalia perchè a Preganziol ci siano le stesse fermate di Mogliano. L’anno scorso alla stazione di Mogliano si sono fermati 60 treni, a Preganziol meno della metà. Per non parlare della domenica. Il Comitato ha bussato negli ultimi mesi a tutte le porte delle istituzioni che “dovrebbero” avere un ruolo nelle decisioni: Regione, Trenitalia, enti locali. La precedente amministrazione con l’ex sindaco Sergio Marton si era fatta carico del problema. «Abbiamo avuto -prosegue Dal Don- un primo contatto anche con il nuovo sindaco Paolo Galeano che ci ha assicurato il suo interessamento». Da risolvere l’annoso “buco” di alcuni orari. L’ultimo treno che parte da Venezia per Preganziol è alle 21.15. E i pendolari che lavorano negli alberghi e nei locali pubblici, oltre ai numerosi turisti che pernottano nelle strutture alberghiere di Preganziol, si trovano in difficoltà. Ancora Dal Don: «Altrettanto preoccupante è la carenza dei servizi del trasporto pubblico su gomma. Ci battiamo perchè Actv e Mom trovino l’accordo per migliorare il trasporto sul Terraglio. Da Mestre a Treviso bisogna cambiare autobus giunti a Preganziol e fare un nuovo biglietto. Un’assurdità».
Nello Duprè
Nuova Venezia – Dai files rubati le accuse al manager “infedele”
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12
ago
2014
Dai files rubati le accuse al manager «infedele»
Anonymus svela le contestazioni all’ex numero 2 della finanziaria Veneto Sviluppo
«Peretti faceva parte di un gruppo d’attacco alla società, ha gettato discredito»
Rivelate mail al presidente del Consiglio regionale Valdo Ruffato e al leghista Luca Baggio
Passava all’esterno Informazioni riservate per favorire un socio privato a scapito della società pubblica
VENEZIA Ripetute violazioni della riservatezza, un’abile condotta di discredito nei confronti della società, una continuata azione di sabotaggio verso le strategie aziendali, frequenti fughe di notizie, un comportamento nel suo complesso teso a danneggiare Veneto Sviluppo. Sono i termini delle contestazioni che il direttore generale della finanziaria regionale Veneto Sviluppo, Gianmarco Russo, ha rivolto all’ormai ex vicedirettore generale Antonio Peretti nell’ambito di un contenziosto tuttora aperto e volto a sciogliere il contratto di lavoro del manager. Dall’incursione di Anonymus nei files del consiglio regionale affiora anche la lettera di contestazioni, datata 27 marzo scorso, rivolta dal vertice di Veneto Sviluppo a Peretti. E si fanno più chiari i motivi del suo allontanamento dall’incarico di vertice. Il punto è una profonda divergenza sul tema della «riassicurazione del credito », una delle operazioni che più ha impegnato la finanziaria regionale negli ultimi mesi. Ma le divergenze riguardano anche la «sgr» appena costituita con la Regione Friuli Venezia Giulia. Il caso Peretti scoppia quando il capo di gabinetto della presidenza del Consiglio, Giuseppe Nezzo, consegna al presidente di Veneto Sviluppo, Giorgio Grosso, una mail riservata inviata da Peretti a Clodovaldo Ruffato, presidente del consiglio regionale. «Ti segnalo – scrive Peretti – che il nuovo Presidente ed il nuovo Vice Direttore Generale di Veneto Sviluppo stanno disattendendo in pieno» gli indirizzi contenuti da una risoluzione del consiglio regionale del giugno 2012. «L’incredibile comunicazione – scrive Russo nella contestazione – apriva uno squarcio allarmante su gravi vicende di alcuni mesi precedenti delle queli Lei appariva come il responsabile ». Veneto Sviluppo, dunque, congela la casella postale e sigililla telefono, personale computer e ufficio di Peretti, sospendendolo dal servizio in via cautelativa. Secondo la lettera di contestazioni, Peretti nel periodo da marzo a maggio2013 avrebbe «posto in essere una iniziativa di vero e proprio sabotaggio» del progetto Riassicurazione del credito che la Regione stava varando. L’accusa è di aver suggerito alla Terza commissione regionale, presieduta dal leghista Luca Baggio, una serie di spunti per mettere in cattiva luce l’operazione. A seguito della convocazione di presidente e direttore davanti alla commissione regionale, i vertici di Veneto Sviluppo «si trovarono di fronte ad un fuoco incrociato di domande, accuse e rilievi» da parte dei consiglieri regionali, evidentemente imbeccati. Nello stesso periodo la società «si è dovuta difendere da pesantissimi attacchi esterni, enfatizzati dalla stampa, che sono stati possibili solo grazie a continue rilevanti fughe di notizie riservate dall’interno della società». Per il direttore di Veneto Sviluppo, due diversi accessi alla casella di posta elettronica aziendale di Peretti hanno comprovato «un reiterato comportamento diretto a danneggiare la società». Anche il «rapporto privilegiato con singoli consiglieri» regionali appare censurabile e frutto di un atteggiamento volto a raggiungere «un obiettivo personale di ritorsione». Le conclusioni sono trancianti: per Gianmarco Russo l’ex vicedirettore Antonio Peretti partecipava «ad un gruppo di attacco della attuale direzione operativa della società». Di più: gran parte dei contenuti di una lettera anonima, giunta nell’ottobre 2013 nelle redazioni dei giornali, sarebbero farina del sacco di qualche talpa interna. Peretti insomma sarebbe stato un manager infedele che, per ritorsioni personali, ha cercato di danneggiare l’attuale vertice della finanziaria regionale in tutti i modi, al «solo possibile scopo di danneggiare l’azienda e di avvantaggiare potenzialmente uno dei soci privati».
Daniele Ferrazza
Il blitz della rete internazionale di hackers
VENEZIA. Il blitz degli attivisti di Anonymus è di qualche giorno fa. Con una minuziosa opera di hackeraggio gli attivisti della rete internazionale che si batte per la trasparenza sono entrati nel server del Consiglio regionale del Veneto, pubblicando migliaia di mail, corrispondenza e files riservati della Regione. Anonymous si batte a tutela dell’ambiente e contro le grandi opere che «sistematicamente comportano corruzione e inefficienza» rileva il loro sito ufficiale. Per il Veneto «ci siamo battuti contro Tav, Mose, rigassificatori, centrali nucleari, inceneritori. Quindi riteniamo doveroso manifestare la nostra contrarietà ad un opera come il Mose» ma è nota la contrarietà anche all’attraversamento del centro storico di Venezia da parte delle gigantesche navi da crociera e la difesa di tutte le battaglie contro i project e le grandi opere infrastrutturali al centro dell’inchiesta della Procura di Venezia.
Meneguzzo lascia le cariche al figlio
Al via il riassetto di Palladio Finanziaria: i soci liberi di vendere le quote, gli scenari per Generali
VICENZA – Passaggio generazionale obbligato dentro a Palladio Finanziaria, il «salottino» della finanza veneta travolto dall’arresto del suo presidente Roberto Meneguzzo nell’ambito della inchiesta sul Mose. Nei giorni scorsi si è svolta l’assemblea degli azionisti di Sparta, la holding che controlla la finanziaria vicentina, e il presidente – già autosospeso da tutte le cariche dal giorno dell’arresto – ha deciso di fare un passo indietro nominando al suo posto il figlio. L’assetto di Palladio è attualmente il seguente: Roberto Meneguzzo controlla, attraverso il veicolo Pfh1, il 51 per cento, i partner industriali Ricci, Spiller, Bocchi e Bernardi il 21, 65%, i partner bancari Intesa San Paolo (9%), Veneto Banca (9,8%), Banco Popolare e (8,6%), Mps (0,5%) il restante 28%. Secondo quanto scrive «il Sole 24 Ore» il riassetto di Sparta, varato il 5 agosto scorso, ha modificato lo statuto sociale liberando tutti i vincoli al trasferimento delle azioni da parte dei soci. Un «liberi tutti» che consentirà a tutti gli azionisti di valorizzare le proprie quote. Il riassetto di Palladio avrà delle ripercussioni, nelle prossime settimane, anche nell’assetto di alcune partite rilevanti della finanza nordestina: in Generali, soprattutto, di cui la partecipata Ferak controlla circa l’1 per cento e un altro 2,15% attraverso Effeti. Agli attuali valori di Borsa, si tratta di un pacchetto che vale 500 milioni di euro. Gli azionisti, oltre a Palladio, sono Veneto Banca, la famiglia Amenduni (Acciaierie Valbruna), la Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido, la famiglia Zoppas. Il riassetto di Palladio Finanziaria, dunque, inciderà negli equilibri del Leone di Trieste. Tutto da decidere anche il destino stesso di Palladio, che detiene un portafoglio di partecipazioni rilevante. Nell’attesa di definire la posizione giudiziaria di Roberto Meneguzzo, attualmente agli arresti domiciliari, la merchant bank vicentina dunque si guarda attorno. Da definire anche il ruolo dell’altro amministratore delegato Giorgio Drago, che controlla direttamente il 4,47% della cassaforte vicentina. Meneguzzo è accusato di aver fatto da tramite tra Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova e l’ex portaborse dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, intascando una «mazzetta» di 500 mila euro nella sede milanese di Palladio. Per questo l’inchiesta è stata trasferita a Milano.
Gazzettino – “Cosi’ Milanese si interesso’ alle inchieste della Finanza”
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12
ago
2014
IL CASO MOSE – Le parziali ammissioni di Meneguzzo. I giudici di Milano: accusatori attendibili
«Così Milanese si interessò alle inchieste della Finanza»
«Milanese disse che avrebbe cercato di capire se vi fosse un disegno contro il Consorzio Venezia Nuova attraverso la Gdf, attraverso le sue relazioni… Milanese era per Tremonti ciò che per Berlusconi era Gianni Letta». Lo ha raccontato il manager vicentino Roberto Meneguzzo, nell’interrogatorio finora segreto, reso a Milano lo scorso 8 luglio, nel quale ha ricostruito il colloquio avvenuto il 14 giugno del 2010 negli uffici della sua società, la Palladio Finanziaria di Milano, alla quale parteciparono sia il presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati, sia Marco Mario Milanese, allora consigliere politico del ministro dell’Economia, Giulio Tremoni. Meneguzzo e Milanese sono entrambi indagati con l’accusa di corruzione in relazione a 500mila euro che Mazzacurati racconta di aver versato a Milanese per un aiuto a sbloccare i fondi del Mose. Versamento che in parte sarebbe avvenuto proprio quel giorno, ma negato da entrambi.
All’epoca la verifica fiscale avviata al Cvn dalla Finanza preoccupava l’allora presidente del Cvn, il quale mosse tutte le pedine, ad altissimo livello, per cercare di capire cosa stava accadendo e per verificare cosa si sarebbe potuto fare per fermare le Fiamme Gialle. E fu proprio Meneguzzo a presentargli chi avrebbe potuto aiutarlo.
Il racconto dell’ad di Palladio viene confermato dallo stesso Milanese, il quale lo scorso 7 luglio ha ammesso di aver contattato il generale Emilio Spaziante (anche lui in carcere per corruzione nell’inchiesta sul sistema Mose) per avere le notizie richieste. Meneguzzo ha quindi raccontato ai pm milanesi di un successivo incontro avvenuto a Roma, il 7 luglio, con Mazzacurati, Milanese e il generale della Finanza, nel corso del quale quest’ultimo fornì informazioni riservate: «Spaziante disse che la verifica fiscale era accompagnata da una indagine penale rivolta ad accertare l’esistenza di fondi neri costituiti anche all’estero che erano nel mirino dei magistrati… In quella circostanza fu Spaziante a suggerire agli interlocutori di utilizzare un apparecchio Blackberry raccomandando prudenza e cautela» per evitare di farsi intercettare.
Milanese ha confermato l’incontro, ma ha sostenuto di non aver sentito parlare di indagini, essendosi allontanato per telefonare. Circostanza non creduta dai giudici milanesi. Per quelle informazioni (e per il suo intervento) Spaziante avrebbe ricevuto a sua volta un compenso di 500mila euro. Gli interrogatori finora inediti dell’inchiesta Mose sono contenuti nell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Milano (dove sono finite per competenza territoriale le indagini su Milanese e Spaziante) ha confermato il carcere per l’ex consigliere di Tremonti, ritenuto inserito «in un sistema di corruttela vasto e ramificato».
I giudici di Milano ritengono pienamente attendibili i principali accusatori, Mazzacurati, Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo e scrivono che pare evidente come Milanese «abbia strumentalizzato il rapporto fiduciario che notoriamente lo legava al ministro Tremonti». Il primo ad escludere davanti ai pm veneziani di aver pagato l’allora ministro dell’Economia è stato Mazzacurati, il quale ha pure assicurato di aver avuto soltanto rapporti leciti anche con l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, da lui semplicemente informato sull’esito dei lavori del Mose. E il Tribunale del riesame di Milano rileva che, mentre gli indizi sono gravi a carico di Milanese, non vi sono «elementi che supportino il sospetto di un coinvolgimento diretto di un esponente del governo all’epoca in carica».
L’ULTIMA MOSSA – I difensori di Galan ricorrono in Cassazione: scarceratelo
La difesa di Giancarlo Galan annuncia ricorso in Cassazione contro l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Venezia ha confermato il carcere per l’ex presidente della Regione Veneto. Lo ha annunciato ieri l’avvocato Antonio Franchini sostenendo che l’ordinanza depositata sabato è viziata da numerosi errori e mancanze, per le quali chiederà il suo annullamento ai giudici della Suprema Corte.
Nuova Venezia – Quel pranzo nel 2011 per discutere dei soldi di S.Marino.
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11
ago
2014
Quel pranzo nel 2011 per discutere dei soldi di S.Marino
Colombelli mi disse che fu cacciato dallo studio di Ghedini perché cercava un contatto con l’ex ministro
VENEZIA – Nelle motivazioni del Riesame di Galan, i magistrati riportano un brano dell’interrogatorio del 6 giugno 2013 di Piergiorgio Baita, dal quale emerge un pranzo, collocato nella primavera del 2011, tra Galan, Chisso, Baita e Minutillo.
Racconta Baita: Lo stesso Colombelli, quando nel 2010 ho interrotto i rapporti, mi ha fatto presente che non potevo interromperli perché lui aveva ancora pendenti dei soldi che aveva anticipato al Presidente Galan alla fondazione di BMC, in quanto la dottoressa Minutillo era socia di fatto di BMC ed era procuratrice di BMC per conto di Galan, e Colombelli disse “io gli ho anticipato (al Galan NDR) oltre due milioni di euro, quelli me li restituite dico “guarda che io non ho niente a che vedere con i soldi che tu hai anticipato alla Minutillo. Colombelli non si è mai dato per vinto fino all’ ultimo, ha cercato di avere gli ulteriori due milioni e mezzo, però che fosse abbastanza vero l’ho intuito quando Colombelli mi disse, tramite la Minutillo, che aveva cercato di mettersi in contatto urgente con l’Onorevole Ghedini, che l’aveva estromesso dallo studio brutalmente, che aveva cercato un contatto con Galan che non glielo dava e che riferissimo al Presidente Galan che era urgente che lui andasse a San Marino a sistemare i suoi conti. Qualche giorno dopo questo messaggio abbiamo incontrato il Presidente Galan, credo in una trattoria, si chiama Da Ugo a Mestre .
D.- Ce lo può collocare nel tempo?
R.- Dunque Galan era stato eletto Ministro dell’Agricoltura, sarà stato i primi del 2011, credo primavera del 2011, la tarda primavera perché abbiamo mangiato fuori all’esterno, ero presente io, la dottoressa Minutillo e l’assessore Chisso. Abbiamo riferito al Presidente Galan il messaggio di Colombelli e ho letto sui giornali che tre giorni dopo Galan era andato a San Marino. Io non ho più avuto dubbi sulla destinazione delle somme che Colombelli tratteneva per sé. Quindi non ..purtuttavia, nonostante questi ripetuti pagamenti che si sono protratti in questo modo fino al 2010, nessuno dei project è andato in porto dei miei, sono andati in porto quelli degli altri a cui io partecipavo, mi andava bene lo stesso, ma non ero io il promotore».
Dopo il riesame. La difesa: «Galan pronto al giudizio immediato»
Le motivazioni del Riesame non scoraggiano i legali di Galan: «Restano solo tre accuse».
TANGENTOPOLI VENETA» DOPO IL RIESAME
Galan pronto al giudizio immediato
Quasi tutti i reati prescritti: restano le accuse sulla barchessa, l’aumento di capitale di Adria e lo «stipendio» da un milione
Gli avvocati preparano il ricorso in Cassazione contro la sentenza del giudice Angelo Risi, ma sono pronti a sfidare la Procura di Venezia in un giudizio immediato
Secondo i Magistrati si rende necessaria l’applicazione di una misura che costituisca una effettiva, netta, reale e definitiva cesura dall’ambiente
VENEZIA – Il giorno dopo il deposito delle motivazioni con cui il Tribunale del Riesame ha respinto l’istanza di scarcerazione per l’ex ministro Giancarlo Galan, l’atteggiamento della difesa è combattuto tra delusione e speranza. Delusione per il tenore delle motivazioni espresse dal giudice Angelo Risi. Speranza perché, per ammissione dello stesso Riesame, l’80 per cento dei reati contestati è da considerarsi estinto per prescrizione. Scontato il ricorso alla Cassazione, che va depositato entro trenta giorni. Ma la difesa è pronta a «sfidare » la Procura con il giudizio immediato, momento nel quale tutti devono scoprire le carte. Con l’80 dei reati già prescritti (ante 22 luglio 2008), gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini sarebbero pronti a discutere del merito le tre accuse rimaste: il restauro della barchessa per 400 mila euro, l’aumento di capitale in Adria Infrastrutture pagato dall’Impresa Mantovani, e il pagamento di un milione di euro l’anno dal 2008 in poi asserito da Giovanni Mazzacurati. Su tutti e tre gli elementi la difesa è pronta a contrastare punto su punto le tesi della Procura, in una sfida che potrebbe vedere davanti a una corte, in qualità di testimoni, tutti i principali accusatori dell’ex ministro: dall’ex segretaria Claudia Minutillo all’ex presidente di Mantovani Piergiorgio Baita sino all’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. La delusione invece è tutta nel tenore delle motivazioni che sembra andare ben oltre le più pessimistiche previsioni: Galan protagonista di un sistema di potere corrotto ancora capace di influenzare. Una «condotta caratterizzata dalla capacità di profittare di qualunque occasione, anche di mera convivialità, per avanzare le sue richieste e le sue pretese sfruttando le sue cariche istituzionali, induce questi Giudici a ritenere che il medesimo, se posto in una condizione di occasione favorevole, darebbe corso all’ennesima richiesta illecita ». E ancora: «i fatti sono gravissimi, reiterati e perdurati nel tempo, le esigenze cautelari di eccezionale gravità e quindi tali da imporre, nell’immediatezza, l’applicazione di una misura che costituisca ed integri una effettiva, netta, reale e definitiva cesura dall’ambiente in cui sono maturati i fatti. Esigenza che gli arresti domiciliari non sono in grado di garantire, preso atto della vasta ragnatela di interessi complicità e colpevoli connivenze che hanno accompagnato il Galan nell’intera vicenda». Nel frattempo, l’ex ministro Giancarlo Galan è ospite del carcere di Opera. Le sue condizioni di salute sono sempre sotto controllo, ma dopo lo stop del Riesame è molto probabile che il politico tornerà in libertà non prima del mese di ottobre. I magistrati veneziani sono intenzionati a costruire, intorno a lui, un castello accusatorio usando tutte le dichiarazioni utili allo scopo.
Daniele Ferrazza
Gazzettino – Galan, scontro sulla prescrizione tra Procura e giudici del Riesame.
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11
ago
2014
INCHIESTA – I pm: contestati anche i fatti prima del 2008
Galan, prescrizione dei reati è scontro Procura-Riesame
Procura contro il tribunale del Riesame sul calcolo della prescrizione per Giancarlo Galan. Per i pm si deve partire dall’ultima mazzetta, trattandosi di una specie di “rata” di un’unica maxi-tangente; per i giudici, invece, il decorso va calcolato dalla data di ogni singolo versamento. E quindi i presunti reati compiuti più di sei anni fa sono già “scaduti”. Un nodo decisivo da sciogliere anche in vista del processo.
IL NODO – Far valere i reati fino in Cassazione
IL CASO – Bocciata la tesi dei pm sul decorso dalla data dell’ultima mazzetta
Galan, scontro sulla prescrizione tra Procura e giudici del Riesame
NEL MIRINO – Giancarlo Galan e Giovanni Mazzacurati
CONFISCA – Marchese e Orsoni non rischiano
«Il Tribunale del riesame sbaglia: gli episodi contestati all’ex presidente della Regione precedenti al 22 luglio del 2008 non sono prescritti».
Lo sostiene la Procura di Venezia annunciando che, quando chiuderà le indagini preliminari, chiederà per Giancarlo Galan il processo in relazione a tutte le presunte “mazzette” scoperte dalla Guardia di Finanza grazie alle confessioni dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, dell’ex presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, e dell’ex segretaria dello stesso Governatore del Veneto, Claudia Minutillo, diventata successivamente al 2005 amministratrice di Adria Infrastrutture, la società che Baita utilizzava per presentare alla Regione le opere da realizzare in “project financing”.
Lo “scontro” tra rappresentanti della pubblica accusa e giudici del Riesame è tutto in punto di diritto. Il Tribunale, nel provvedimento con cui la scorsa settimana ha confermato il carcere per Galan, ha annullato la misura cautelare in relazione agli episodi per i quali, al momento dell’esecuzione dell’ordinanza (22 luglio scorso) erano trascorsi più di sei anni, il termine ordinario di prescrizione in mancanza di atti interruttivi. Secondo il Riesame, il calcolo della prescrizione va effettuato a partire dalla data nella quale risulta essere stata pagata ciascuna “mazzetta”, ovvero consumato il reato.
Ma la Procura non è d’accordo ed è convinta che al processo la sua linea troverà soddisfazione, in quanto è avvalorata da un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione. La questione è semplice: i rappresentanti della pubblica accusa sostengono che non ci troviamo di fronte a singoli episodi corruttivi, a dazioni occasionali. Secondo l’ipotesi degli inquirenti, Galan era stabilmente al soldo di Mazzacurati e Baita: di conseguenza i singoli versamenti costituirebbero le “rate” di un’unica, grande tangente. Insomma, trovandosi di fronte ad un unico accordo corruttivo, è l’ultimo versamento quello che fa fede e, a partire dal quale, deve essere fatto decorrere il termine di prescrizione.
Se la tesi della Procura fosse condivisa a conclusione del futuro processo (in primo grado, ma anche e soprattutto in Cassazione) nessuno dei reati contestati finora a Galan risulterebbe prescritto. L’ultimo episodio corruttivo, infatti, risale alla metà del 2010 e, dunque, ci sarebbe tempo fino al 2018 per celebrare i tre gradi di giudizio. L’interpretazione della Procura era già stata condivisa dal giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, ed è questo il motivo per il quale l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Galan riguardava tutti gli episodi venuti alla luce, anche quelli risalenti al 2005.
Sul tema della prescrizione è prevedibile che si combatterà una “guerra” a tutto campo nel corso del futuro processo. Molti degli episodi contestati a Galan (e a numerosi altri indagati) risalgono a parecchi anni fa, come spesso accade nel caso di inchieste che riguardano corruzione o evasione fiscale. Di conseguenza una dichiarazione di intervenuta prescrizione prima della sentenza di primo grado avrebbe per la difesa un duplice, importante effetto: non soltanto evitare la condanna ad una pena detentiva (sempre spiacevole) ma, e soprattutto, scongiurare il rischio di una confisca del patrimonio personale (case, terreni, conti correnti), possibile soltanto se, prima della dichiarazione di prescrizione, viene pronunciata una sentenza di condanna. Almeno davanti al Tribunale.
Il gip ha disposto il sequestro conservativo di beni fino ad un ammontare complessivo di 80 milioni di euro, a garanzia della possibilità che lo Stato riesca a recuperare almeno una parte del prezzo del reato. La confisca dei beni per equivalente è prevista per i reati fiscali e per la corruzione, e vale anche in caso di patteggiamento. Tant’è che alcuni degli indagati che hanno chiesto l’applicazione della pena, hanno concordato con la Procura anche la somma da versare al Fondo unico della giustizia, calcolata, pro quota, sull’ammontare delle false fatture emesse o delle mazzette che vengono loro contestate.
La confisca non è prevista, invece, per il reato di finanziamento illecito dei partiti, e dunque non rischia nulla su questo fronte l’ex consigliere regionale Giampietro Marchese (che ha già chiesto di patteggiare pur dichiarandosi innocente) e neppure l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e l’ex eurodeputata Lia Sartori che respingono ogni accusa e hanno annunciato di volersi difendere a dibattimento.
Gianluca Amadori
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