Nuova Venezia – Mose. Mazzacurati malato, niente interrogatorio.
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9
mar
2015
Scandalo Mose: l’ingegnere convocato oggi in Tribunale ma non ci sarà, condizioni di salute precarie
Avrebbe dovuto tornare oggi dalla California, dove si è rifugiato poco dopo essere stato scarcerato, ma Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e grande corruttore, non ci sarà. Davanti al giudice veneziano Alberto Scaramuzza ci sarà il suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, con una consulenza medico legale, la quale sostiene che l’ingegnere non ricorda più nulla. Inoltre, non può affrontare il viaggio aereo dagli Usa in Italia. Non dovrà, dunque, subire alcun terzo grado, al quale indubbiamente lo avrebbero sottoposto, come è loro diritto, gli avvocati difensori in particolare dell’ex sindaco Giorgio Orsoni e dell’ex europarlamentare di Forza Italia Lia Sartori.
Mazzacurati ha raccontato di aver consegnato 400-450 mila euro per la campagna elettorale del primo e 250 mila alla seconda. Diritto degli indagati interrogare il loro accusatore, ma in questo caso non si farà e probabilmente nel fascicolo finiranno i verbali d’interrogatorio resi dall’ex presidente durante le indagini preliminari.
Per ora, almeno per coloro che hanno presentato ricorso in Cassazione, non è scattata la confisca dei beni disposti dal giudice.
Sono ben nove tra coloro che hanno patteggiato la pena nell’ambito dell’indagine sulla corruzione per il Mose coloro che hanno compiuto questa scelta. I difensori non l’avrebbero fatto perché contestano la pena, che del resto hanno sottoscritto con un accordo con i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, ma per allontanare nel tempo il più possibile il momento in cui scatterà la confisca di ville, conti bancari e altri beni.
Solo quando la pena sarà definitiva, infatti, lo Stato potrà appropriarsi definitivamente dei loro beni e, nel frattempo, potrebbero riuscire a vendere e magari a tenersi qualcosa.
(g.c.)
Nuova Venezia – Mose. Due navi da 55 milioni per la manutenzione delle paratoie
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8
mar
2015
I commissari dimezzano la spesa e pensano al trasferimento
Cemento e guard rail in mezzo alla laguna per i jack up del Mose
Centodieci milioni di euro per due piccole navi che devono sollevare le paratoie e portarle in Arsenale. E una banchina con cemento e guard rail, degna di un parcheggio di periferia, in mezzo alla laguna sotto le mura dell’Arsenale. Il Mose è anche questo.
Spese collaterali e aree occupate per la manutenzione di un sistema che richiederà energìe e lavoro per l’eternità. Prima del ciclone che ha portato in carcere 35 persone, il 4 giugno scorso, il Magistrato alle Acque magnificava le sorti dei due «jack-up», navi specializzate per estrarre le paratoie dal fondo del mare e trasportarle in Arsenale per la manutenzione. Gioielli della tecnica navale che costano 55 milioni di euro l’uno. Soldi sufficienti per risanare e rilanciare il bilancio del Comune per i prossimi anni. Una delle due navi è già quasi pronta, si possono vedere nel Bacino grande dell’Arsenale Nord i piloni gialli della grande macchina idraulica che dovrebbe «svitare» le cerniere e portare in superficie le paratoie.
Secondo il progetto si dovrà estrarne dal fondo del mare una ogni 20-30 giorni. Completando il giro delle 78 paratoie mobili in circa 5 anni, imprevisti esclusi.
Uno dei primi atti dei due nuovi commissari nominati da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, è stato quello di dimezzare le spese per i jack up. Ne arriverà soltanto uno, con un risparmio di 55 milioni di euro. Secondo alcuni ingegneri sarebbe stato sufficiente molto meno per il trasporto delle paratoie. Smontate in loco, potevano essere benissimo trascinate da un rimorchiatore noleggiato.
Per ospitare i jack-up il Consorzio Venezia Nuova con il Magistrato alle Acque guidato da Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta – entrambi arrestati per lo scandalo Mose – aveva costruito una banchina degna del porto di Rotterdam. Piloni e barriere in cemento, guard rail poco adatti al paesaggio lagunare.
«Servono per la sicurezza dei movimenti di camion e gru», aveva spiegato l’allora presidente di Mantovani e factotum del Mose Piergiorgio Baita, «al termine di questa fase di lavori saranno rimossi».
Ma sono passati quattro anni e il cemento insieme al ferro dei guard rail è sempre là. Anche in questo caso, hanno osservato inascoltati alcuni tecnici, sarebbe stato sufficiente uno scivolo, come quelli in uso nei cantieri navali, per garantire il passaggio della paratoia dall’acqua ai Bacini e all’area di manutenzione.
Una questione all’esame dei commissari. Che dovranno decidere a breve su un’altra questione strategica fondamentale: dove si farà la manutenzione del Mose? E chi gestirà quello che si annuncia il business senza fine dei prossimi decenni?
Un’ipotesi allo studio è quella di trasferire l’area della manutenzione a Marghera, in un’area attrezzata cghe potrebbe essere proprio l’area ex Pagnan, bonificata e restaurata dalla Mantovani per farci arrivare i cassoni. In questo modo si libererebbe l’Arsenale e con esso i Bacini di carenaggio, da restituire alla cantieristica tradizionale. Nell’Arsenale Nord potrebbe restare la centrale operativa della manutenzione e della gestione.
Temi all’ordine del giorno delle prossime riunioni. Intanto il cemento e i guard -rail autostradali restano al loro posto.
Alberto Vitucci
Nuova Venezia – Chioggia. Treno per Padova e Venezia, presentazione pubblica il 16.
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7
mar
2015
CHIOGGIA – Lo studio di fattibilità per la linea ferroviaria Chioggia-Padova-Venezia sarà presentato pubblicamente il 16 marzo alle 17, in una commissione consiliare congiunta (Infrastrutture e Lavori pubblici) aperta al pubblico.
La richiesta, inoltrata oltre un anno fa dal comitato promotore di una legge regionale di iniziativa popolare che preveda risorse straordinarie per risolvere l’isolamento di Chioggia, trova finalmente risposta.
La presentazione era stata “bloccata” da un veto posto dall’allora assessore regionale alla Mobilità Renato Chisso, ma qualche mese fa il comitato è tornato alla carica chiedendo che lo studio, fermo nei cassetti, sia illustrato pubblicamente.
«Sarà un appuntamento importante per la città», spiega l’avvocato Giuseppe Boscolo, presidente del comitato, «Associazioni e singoli potranno intervenire e chiedere delucidazioni o porre osservazioni. È il passo propedeutico alla presentazione in consiglio comunale della nostra proposta di legge regionale che, in accordo con il presidente del Consiglio, dovrebbe avvenire entro marzo».
Per prepararsi all’evento, il comitato si riunirà il 12 marzo alle 18.30.
(e.b.a.)
Nuova Venezia – Mose “Mazzacurati non ricorda nulla”
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3
mar
2015
L’ex presidente del Cvn manda un certificato medico, non sarà presente all’udienza contro Orsoni, Sartori e gli altri imputati
Nel dibattimento in assenza di contraddittorio finiranno i testi degli interrogatori Ma i difensori degli accusati cercheranno di dimostrare una precedente incapacità
VENEZIA – Giovanni Mazzacurati non si presenterà lunedì prossimo per l’interrogatorio al quale doveva essere sottoposto dagli avvocati degli indagati che lui ha pesantemente accusato. Resterà in California, dove è stato autorizzato a risiedere: lo ha comunicato il suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli al giudice veneziano Alberto Scaramuzza che aveva fissato l’incidente probatorio per il 9 marzo.
Il legale veneziano avrebbe informato anche che a rendere impossibile l’interrogatorio non sono soltanto i problemi cardiaci che renderebbero improponibile il viaggio aereo per l’ultraottantenne ingegnere. Esiste, infatti, una consulenza medico legale, controfirmata anche da uno psichiatra, nella quale si afferma che oramai l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova non ricorda più fatti e circostanze di cui ha parlato per almeno sette lunghi interrogatori immediatamente dopo essere stato arrestato il 12 luglio di due anni fa.
Già nell’interrogatorio reso davanti al giudice statunitense, nello scorso autunno, e richiesto dal Tribunale dei ministri su istanza dei difensori dell’ex ministro di Forza Italia Altero Mattioli, Mazzacurati aveva dimostrato poca lucidità, si era limitato a confermare pronunciano solo brevi frasi e ricordando solo alcune circostanze. Stando alla consulenza medico legale, le sue condizioni mentali sarebbero peggiorate notevolmente soprattutto dopo la morte del figlio, il regista Carlo Mazzacurati. Naturalmente, anche l’età avrebbe avuto la sua parte.
Mazzacurati, assieme a Piergiorgio Baita allora presidente di Mantovani, è uno dei due maggiori accusatori di tutti coloro che hanno patteggiato (sono 31) e anche dei dieci indagati per i quali i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno depositato gli atti in vista della richiesta del rinvio a giudizio. Hanno raccontato di aver pagato e corrotto l’ex ministro Giancarlo Galan, l’assessore Renato Chisso, il generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante, Marco Milanese, il braccio destro del ministro Tremonti, e di averlo deciso in combutta con i maggiori imprenditori italiani del Consorzio Venezia Nuova.
Hanno raccontato di aver sovvenzionato le campagne elettorali di tutti i partiti, in particolare Forza Italia e Pd, e di aver passato centinaia di migliaia di euro all’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e all’ex parlamentare europeo Lia Sartori.
Il codice di procedura penale prevede che se un testimone viene a mancare prima del processo, cioè prima che si formino le prove in aula attraverso il contraddittorio, possono finire nel fascicolo del Tribunale i verbali resi durante le indagini preliminari alla presenza del difensore. Anche nel caso di una grave malattia che impedisca la testimonianza in aula, il Tribunale può decidere di farsi consegnare dalla Procura i verbali degli interrogatori resi in indagini preliminari.
Ma i difensori degli imputati, avranno maggiori possibilità di dimostrare che anche le dichiarazioni rese dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova siano state condizionate dalla sua già discutibile salute mentale.
Tutto, dunque, si sposta al giorno dell’udienza preliminare, quando presumibilmente i difensori dell’ex sindaco lagunare e non è escluso di altri imputati chiederanno il rito abbreviato.
Così, il magistrato incaricato, il veneziano Andrea Comez, dovrà valutare la loro responsabilità o meno allo stato degli atti, cioè limitandosi a leggere i documenti inseriti nel fascicolo processuale.
Giorgio Cecchetti
Gazzettino – Mose, Mazzacurati non torna dagli Stati Uniti.
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3
mar
2015
VENEZIA
Non ci sarà il faccia a faccia chiesto da Lia Sartori
Non ci sarà alcun faccia a faccia tra Giovanni Mazzacurati e l’ex eurodeputata Lia Sartori. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova non si presenterà, lunedì 9 marzo, all’udienza fissata dal giudice Alberto Scaramuzza per l’incidente probatorio richiesto dall’esponente politica di Forza Italia, accusata di aver ricevuto finanziamento illeciti proprio dal Cvn.
Il legale di Mazzacurati, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ha infatti reso noto che all’udienza presenterà una consulenza medica dalla quale risulta l’impossibilità per l’ex presidente del Cvn di muoversi dalla California (dove risiede dallo scorso anno nella villa della moglie) a causa delle condizioni di salute. In ogni caso Mazzacurati soffre di un notevole deficit mnemonico che renderebbe inutile la sua audizione.
L’assenza all’udienza del 9 marzo aprirà sicuramente un contenzioso sull’utilizzabilità o meno delle dichiarazioni accusatorie rese da Mazzacurati nel corso delle indagini, che riempiono centinaia di pagine di verbale. Ma, su questo punto, difesa e accusa avranno tempo di discutere nel corso del processo: la Procura ha provveduto al deposito degli atti per tutti gli imputati che non hanno patteggiato ed è presumibile che l’udienza preliminare si svolga subito dopo l’estate. Lia Sartori nega ogni accusa e avrebbe voluto far interrogare Mazzacurati dai suoi avvocati, Franco Coppi e Pieranonio Zanettin, per fare emergere la verità. All’incidente probatorio avrebbero potuto partecipare anche gli altri imputati: ma senza Mazzacurati non se ne farà nulla.
(gla)
Gazzettino – Mestre. Ferrovie, Un buco milionario nei cantieri Sfmr.
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3
mar
2015
Le ditte non pagate dalla Coop costruzioni di Modena per i lavori alla Gazzera e in via Olimpia battono cassa al Coveco
Nel cantiere non hanno lasciato nemmeno una carriola. In compenso, hanno creato un “buco” di alcuni milioni di euro tra fornitori e subappaltatori non pagati. Che, adesso, battono alla porta della Covevo, il consorzio veneto della Lega delle cooperative che aveva affidato i cantieri mestrini dell’Sfmr ad una sua consociata, la Cooperativa costruzioni di Modena. Quella che ha bloccato la costruzione delle stazioni del “metrò di superficie” di via Olimpia oltre a tutta la viabilità del nodo della Gazzera.
«Siamo i primi a subire il default della nostra consorziata – allarga le braccia Devis Rizzo, presidente del consorzio che ha sede in via Ulloa -. Non sono falliti, ma stanno andando verso una procedura di concordato e forse da lì qualcuno ha detto a tutti i creditori di rivolgersi a noi. Ma noi i soldi ricevuti dalla Regione per l’avanzamento dei lavori li abbiamo interamente girati alla Cdc di Modena, crediti probabilmente ceduti alle banche».
A quanto ammonterebbe il “buco”? «Fornitori e subappaltatori avanzano qualche milione – risponde Rizzo -. Ho la fila qui fuori dalla sede di Marghera, ma i soldi che ha incassato il Consorzio sono stati tutti girati all’impresa».
Ricapitolando: il cantiere (della Regione) è più o meno fermo da almeno sei mesi, e comunque è tuttora abbandonato bloccando la realizzazione delle ultime due stazioni dell’Sfmr (Gazzera e via Olimpia) oltre alle bretelle e by-pass tra via Brendole, via Gazzera Alta e nuova stazione di via Olimpia. Un cantiere aperto il 3 settembre 2009 e che doveva essere chiuso in 930 giorni, cioè il 20 marzo 2012, ma – variante dopo variante – la data di consegna dei lavori era slittata fino al 16 ottobre 2014. Siamo nel marzo 2015 ed è tutto ancora un sentiero di guerra, con l’aggiunta che ora non c’è più nemmeno l’impresa.
«Ma noi non abbandoneremo il cantiere – riprende Devis Rizzo -. Nelle prossime ore revocheremo i lavori alla Cdc di Modena ed abbiamo già individuato un’altra impresa del nostro consorzio alla quale affideremo le opere. Siamo costantemente in contatto con la Regione e contiamo di chiudere a breve questo passaggio. Quando? In primavera contiamo di rimettere in moto il cantiere».
Di certo in Regione dovevano accorgersi un po’ prima che le cose non stavano andando per il verso giusto. Se l’appalto iniziale era stato aggiudicato per 12 milioni e 526mila euro alla Coveco, l’anno scorso l’ex assessore Renato Chisso portò in Giunta un “accordo bonario” con l’impresa. Per i vari problemi emersi a cantiere già aperto (perfino un errore nel calcolo delle distanze tra le nuove stazioncine di Gazzera e via Olimpia, costringendo a limitare la prima solo a servizio della linea per Udine, ed arretrando di 300 metri verso la Gazzera quella di via Olimpia, rendendola così raggiungibile a piedi anche da questa parte della città) la Coveco chiese un aumento dell’importo di altri 18,9 milioni di euro, una volta e mezza l’appalto iniziale.
Fatte tutte le valutazioni, la Regione accordò “solo” 2 milioni e 756mila euro in più alla Coveco (e quindi alla Cdc) che, però, non sono bastati a salvare i conti dell’impresa modenese, né a saldare i debiti con tutte le imprese ed i fornitori che in questi anni hanno lavorato nei cantieri di Gazzera e via Olimpia.
Oggi c’è solo da sperare che si trovi davvero un’altra impresa pronta a subentrare per riprendere i lavori: se la Coveco dovesse rinunciare all’appalto si dovrebbe infatti andare ad una nuova gara, con ulteriori ritardi di anni su un cronoprogramma ampiamente sforato. E anche il metrò di superficie finirebbe tra le tante, innumerevoli incompiute di Mestre.
Nuova Venezia – Mose. Spaziante, tesoro in mano ai prestanome.
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1
mar
2015
Scandalo Mose, il Gico di Venezia: per l’ex vicecomandante delle Fiamme gialle quattro milioni di origine non giustificata
VENEZIA «Dissi che non volevo assolutamente che risultasse che io avevo prestato quei soldi perché non era vero in quanto le somme me le dava il generale Emilio Spaziante» ha raccontato il tenente della Guardia di finanza Daniele Cassoni a proposito dell’acquisto di un appartamento a Roma.
«Utilizzai per trasformare il contante in assegni circolari ed evitare di far emergere l’interezza della somma», riferisce un ex appartenente alla Finanza e poi consulente fiscale del generale a proposito dell’acquisto di una seconda casa nella capitale, «i nominativi di mio fratello, mio cugino, mia madre, la mia ex moglie, l’ex suocera, l’ex suocero, mia zia, nonchè due collaboratori del mio studio… Io stesso accompagnai Spaziante dal notaio per il rogito, dove gli assegni gli vennero consegnati».
L’ex comandante in seconda della Guardia di finanza, accusato di corruzione per aver intascato 500 mila euro da Giovanni Mazzacurati per ammorbidire la verifica fiscale che era in corso al Consorzio Venezia Nuova e per conoscere se e quali telefoni fossero intercettati dalla Procura veneziana, ha già patteggiato quattro anni di reclusione ed è nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. E nei giorni scorsi il giudice di Milano, sulla base degli accertamenti compiuti dagli investigatori del Gico della Guardia di finanza lagunare, ha posto sotto sequestro tre lussuosi appartamenti a Roma, una villa in provincia di Macerata e i 201 mila euro in contanti trovati nella sua abitazione al momento del suo arresto.
Un «sequestro per sproporzione», lo stesso che solitamente scatta per i boss mafiosi o i grandi criminali perché non possono giustificare le loro proprietà. In questo caso, poi, il generale aveva intestato i beni a convivente e figli, avrebbe addirittura utilizzato ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza per evitare di comparire. Adesso tutti rischiano di finire sotto inchiesta per riciclaggio.
Le «fiamme gialle» hanno accertato che nel periodo compreso fra il gennaio 2005 e il 30 giugno 2013 Spaziante ha incassato 617 mila 780 euro come emolumenti dalla Guardia di finanza, altri 483 mila 164 nel breve periodo in cui è stato al Dipartimento dell’informazione per la sicurezza presso la Presidenza del consiglio dei ministri, altri 19 mila 108 euro per una consulenza fornita all’Agenzia delle Entrate. Complessivamente una cifra considerevole, che però non basta a giustificare le spese sostenute dalla famiglia del generale.
«L’ammontare complessivo delle entrate del nucleo familiare del generale», scrive la Guardia di finanza veneziana, «nel periodo di riferimento è stato di due milioni e 152 mila euro. Nello stesso arco temporale, invece le uscite sono state calcolate in 5 milioni 47 mila euro, ovvero in misura più che doppia rispetto alle entrate».
«Sussiste dunque una sproporzione evidentissima», si legge ancora, «tra entrate e uscite riconducibili a Spaziante, il quale per altro dispone di ingentissime somme in denaro contante, pari ad almeno in milione e mezzo di euro».
Per quanto riguarda poi gli immobili di sua proprietà, i finanzieri hanno accertato che familiari, ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza si sarebbero prestati, su richiesta di Spaziante, a disporre i pagamenti dei beni acquistati utilizzando a tal fine denaro contante che lo stesso generale forniva loro in modo da schermare la provenienza dei soldi.
«I beni immobili acquistati dalla famiglia Spaziante», conclude il giudice milanese Chiara Valori che ha firmato il provvedimento di sequestro preventivo, «possono dunque essere considerati tutti riferibili al generale e solo fittiziamente intestati ai familiari ed è evidente che si tratta di beni di valore del tutto sproporzionato rispetto ai redditi leciti dichiarati da Spaziante, le cui entrate non sarebbero mai state sufficienti a coprire i relativi costi, anche tenendo conto dell’elevato tenore di vita che tutta la famiglia teneva (risulta la disponibilità di imbarcazioni, cavalli, auto e moto di lusso)».
E ancora: «Emerge un differenziale tra entrate e uscite ammontante a circa 4 milioni di euro, dovendosi ritenere che il denaro servito per gli acquisti sia di provenienza del tutto ingiustificata».
Giorgio Cecchetti
Revocata l’ultima misura, Brentan libero
Terza corsia in A4: pressioni per pilotare la gara, il Riesame cancella anche l’obbligo di dimora
L’ex manager intervenne su Mantovani e Fip perché non ricorressero al Tar contro Sacaim
VENEZIA – I giudici del Tribunale del riesame di Venezia, accogliendo l’invito della Corte di Cassazione, hanno revocato venerdì pomeriggio anche l’ultima misura nei confronti di Lino Brentan, l’ex amministratore delegato dell’Autostrada Venezia-Padova, quella che lo costringeva all’obbligo di dimora nel suo comune di residenza, Campolongo Maggiore. A chiederlo erano stati i suoi difensori, gli avvocati Giovanni Molin e Stefano Mirate. Dopo essere stato condannato a quattro anni di reclusione per con concussione a causa di alcuni appalti per l’autostrada, Brentan era stato nuovamente arrestato (come la precedente era finito agli arresti domiciliari) per corruzione. Stando ai pubblici ministeri veneziani che hanno coordinato le indagini della Guardia di finanza, avrebbe pilotato l’appalto per le opere di mitigazione della Terza corsia (base d’asta, 18 milioni) escludendo le offerte più vantaggiose e facendosi pagare una tangente per riammettere gli esclusi come sub appaltatori.
I suoi difensori, avevano subito presentato ricorso al Tribunale del riesame, che aveva confermato gravità degli indizi, ma che aveva ritenuto di alleggerire la misura cautelare, così era passato all’obbligo di dimora. Non contenti, i due avvocati hanno presentato ricorso a Roma e i giudici della Cassazione lo hanno accolto e così i giudici veneziani hanno cancellato anche l’obbligo di dimora. Per il Riesame veneziano, è provato che l’ex amministratore di Autostrade Venezia-Padova abbia fatto pressioni su Piergiorgio Baita (presidente di Mantovani) e Mauro Scaramuzza (Fip Industriale) perché non impugnassero al Tar l’assegnazione dei lavori alla Sacaim, ricambiandoli con l’ottenimento delle opere in subappalto. Non c’è invece prova che abbia incassato la tangente da 65 mila euro che secondo la Procura avrebbe preteso dallo stesso Scaramuzza.
Così il Tribunale del Riesame aveva motivato la sua decisione di liberare Brentan. Per i giudici, le offerte di Mantovani e Fip (meno 41,17%) erano assolutamente al di sotto della soglia di anomalia: del tutto «legittima e regolare», dunque, la decisione di escluderle. Come pure l’offerta della Ati Consorzio Stabile Consta (-35,83%), anch’essa incongrua, assegnando i lavori a Sacaim (-31%). Per il Riesame è invece certo che Brentan sia intervenuto per evitare ricorsi al Tar. Racconta l’ingegner Angelo Matassi, della commissione tecnica: «Chiesi (a Brentan) se i lavori fatti in subappalto dalle imprese escluse nella medesima gara potevano essere un problema; lui mi ammonì seccamente dicendomi di stare tranquillo e che la cosa andava bene così».
(g.c.)
Nuova Venezia – “Mose, un ladrocinio impunito”, la Guzzanti si scaglia contro Galan
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27
feb
2015
La regista del film “La trattativa” dialoga con il pubblico che ha riempito per due giorni il Dante
«Ripristiniamo il senso critico e smettiamola con l’idea che non possiamo cambiare niente»
MESTRE «Dopo il ’94 questo Paese ha iniziato a disintegrarsi, ovunque vado in giro per l’Italia, escono fuori solo ladronerie e scandali come il Mose, l’Expo, Mafia Capitale, storie raccapriccianti dappertutto».
L’attrice e regista Sabina Guzzanti con la sua ironia tagliente mercoledì sera ha fatto tappa al cinema Dante con il film “La trattativa” (Stato Mafia), riscuotendo successo di pubblico e indicando ai primi posti tra ciò che non va e di cui i cittadini sono stanchi lo scandalo del Mose che ha ferito la città lagunare e la Regione.
Sold out il primo spettacolo, stessa scena alla seconda proiezione, tanto che oltre una cinquantina di persone sono state rimandate a ieri sera per il secondo appuntamento della due giorni.
La regista invitata a Mestre su iniziativa del Movimento Agende Rosse di Venezia in collaborazione con il Circuito Cinema comunale e con l’Associazione Dlf (Dopo lavoro ferroviario), si è intrattenuta con il pubblico che l’ha incalzata con le domande.
«Il film è uscito ad ottobre», ha esordito, «ma a nessuno fregava nulla, o meglio nessuno ne sapeva nulla. Per questo abbiamo deciso di distribuirlo da soli e in quattro mesi abbiamo fatto 461 proiezioni, nonostante ci siano ancora cinema che non ci danno la sala e alcuni presidi delle scuole che contattiamo non ci faccano sapere nulla. Fosse per me io lo farei vedere a tutti e 58 milioni di italiani, perché non ci sia più la scusa di voltare la testa dall’altra parte”.
Poi è entrata nel merito della questione: “Siamo un Paese incivile, ma prima non era così, è così da dopo la “trattativa”, prima delle stragi mafiose l’informazione era pubblica, avevamo una delle migliori istruzioni al mondo. Dopo il ’94 questo Paese ha iniziato a disintegrarsi, escono fuori solo “zozzerie”, ne sono un esempio gli scandali del Mose, l’Expo, Mafia Capitale, in ogni luogo si sente solo di giunte coinvolte in qualsiasi genere di storie raccapriccianti, si sentono solo di ladronerie. Prima c’era una dialettica, c’era chi si batteva per un’Italia diversa. Dopo la trattativa, più nulla».
«Ho citato il Mose», spiega a margine, «perché è l’esempio eclatante di quanto vado dicendo, per la sua formula: un ladrocinio impunito e sistematico. Galan ha patteggiato ma resta presidente della commissione parlamentare cultura. È un delitto, il suo, rimasto impunito. Galan ha forse restituito il maltolto? È un cittadino che dovrebbe stare in galera, che dovrebbe essere rinnegato dalla società, invece i rinnegati sono gli altri e non lui».
Soluzioni? La Guzzanti le abbozza al pubblico: «Bisogna ripristinare il senso critico che abbiamo perduto: se ognuno facesse la sua parte sarebbe già un passo avanti. E invece siamo conformisti, rassegnati, dobbiamo uscire da questo circolo vizioso, dobbiamo liberarci dall’idea che non possiamo cambiare nulla, perché è questo che un sistema mafioso vuole che pensiamo: avere una popolazione convinta di ciò e il film è stato oscurato per evitare che creasse dibattito e facesse nascere discussioni».
Marta Artico
Gazzettino – Ferrovia. Pendolari, Conte bussa in Regione
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26
feb
2015
QUARTO D’ALTINO «Nessun riscontro alle critiche sul nuovo orario»
QUARTO D’ALTINO – Il tempo stringe, le elezioni si avvicinano e le pressioni, per la giunta regionale, arrivano da ogni angolo della Regione. I pendolari della tratta Venezia-Portogruaro, però, aspettano una convocazione in Regione da dicembre. E prima che sia troppo tardi, la sindaca di Quarto d’Altino, Silvia Conte, ha deciso di spedire una nuova lettera all’assessore regionale ai trasporti Elena Donazzan.
«Avevamo trasmesso la stessa richiesta all’assessore a gennaio, per conoscere quali misure si intendano intraprendere in merito alle più volte segnalate criticità della tratta ferroviaria Venezia-Portogruaro, di competenza della Regione Veneto – spiega Conte – e ci aveva preannunciato che a breve sarebbe stato organizzato un confronto per un aggiornamento. Ma non si è più mosso nulla».
Intanto i treni restano sempre quelli, con i loro ritardi, le cancellazioni, i “buchi” di un orario poco cadenzato e le corse ridotte nel fine settimana o nelle vacanze scolastiche.
«Resta una situazione critica lungo la tratta – continua Conte – E durante l’incontro dello scorso ottobre con i tecnici regionali della direzione mobilità e un dirigente di Trenitalia, ci era stato garantito che le varie criticità rappresentate da sindaci e rappresentanti dei Comitati dei pendolari sarebbero state affrontate. Ma a distanza di quasi quattro mesi non abbiamo ancora avuto risposte chiare».
Pendolari e sindaci, oltre a chiedere aggiustamenti al nuovo orario e l’avvio del tavolo permanente della mobilità, attendono anche un riscontro alla proposta di orario ferroviario cadenzato consegnata all’assessore Chisso nel 2013.
Melody Fusaro
Nuova Venezia – Pedemontana veneta, Cappelletti alla Corte dei conti.
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26
feb
2015
Incontro con IL PROCURATORE GENERALE NOTTOLA
VENEZIA – Il senatore grillino Cappelletti incontra il procuratore generale della Corte dei conti Nottola per chiedergli di indagare sulla Pedemontana Veneta.
Lo rende noto lo stesso parlamentare del Movimento 5 stelle: «La SPV è un’opera che si sta realizzando in violazione dei più basilari principi di trasparenza; inizialmente doveva costare 1,829 miliardi di euro, ma a seguito degli aggiornamenti progettuali, il costo è lievitato a 2,258 miliardi di euro. E pare debba crescere ulteriormente».
Cappelletti ricorda la genesi e i promotori politici della grande opera: «Importanti nomi delle istituzioni venete, come Galan, Zaia e Chisso, due dei quali passati recentemente dalle patrie galere – dice il senatore grillino – hanno offerto coperture politiche ad un’opera che mancava delle coperture economiche necessarie. In particolare il presidente Galan ha fortemente voluto, nel 2009, la dichiarazione dello stato di emergenza e la nomina di un commissario per derogare ad importanti norme in materia ambientale e di protezione civile».
Il parlamentare del Movimento 5 stelle si incontrerà, dunque, con il procuratore generale Nottola per chiedere di fare chiarezza sui finanziamenti, sull’aumento dei costi, «sulle numerose ipotesi di irregolarità nell’applicazione del codice dei contratti, e sul trasferimento del rischio d’impresa dal concessionario al concedente – conclude – che evidenzierebbe un consistente sbilanciamento di interessi a favore dei privati».
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