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MILANO – Il gip milanese Carlo Ottone De Marchi ha confermato la misura cautelare a carico di Marco Milanese, ex parlamentare ed ex consulente di Giulio Tremonti, quando era ministro dell’Economia. Milanese, che resta così in carcere, è accusato di corruzione per aver ricevuto 500 mila euro dal Consorzio Venezia Nuova per favorire lo sblocco di finanziamenti del Cipe per il Mose. La sua posizione è finita a Milano assieme a quella di Roberto Meneguzzo, amministratore delegato e vicepresidente della società vicentina Palladio Finanziaria. Proprio ieri Meneguzzo, che è ai domiciliari, si è autosospeso a tempo indeterminato dalle cariche. Il cda ha preso atto di tale decisione.

 

LE INDAGINI – Impegnativa l’analisi dei file sequestrati

Nel computer dei servizi segreti molti misteri ancora da decifrare

MESTRE – La perquisizione nella sede dei servizi segreti bloccata per una quindicina di ore e il braccio di ferro tra gli 007 veneti e la Procura della Repubblica di Venezia. Cosa c’era nel computer della sede padovana dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, che i finanzieri hanno sequestrato il giorno del blitz dell’inchiesta Mose? I misteri di quei file al momento sono ancora tali, visto che il rapporto del Nucleo di polizia tributaria di Mestre non è ancora pronto per i pubblici ministeri che hanno dovuto occuparsi non solo di tangenti, ma anche di depistaggi, tentativi di interferire nell’inchiesta, soffiate e spiate.
Evidentemente i documenti da decrittare, inerenti l’indagine, sono più numerosi e complessi di quanto si sospettasse. Di certo non vi sono informazioni che potrebbero riguardare il segreto di Stato, paventato in un primo tempo dal colonnello Paolo Splendore, responsabile dell’Aisi a Padova. Per il semplice fatto che il 4 giugno scorso, quando tale ipotesi venne adombrata per evitare la perquisizione, dal palazzo di giustizia di piazzale Roma la replica fu perentoria. Non ci si poteva opporre. E fu talmente convincente da indurre un funzionario a salire sul primo aereo per raggiungere Padova, dove aveva presenziato alla cernita dei documenti. Sono stati acquisiti solo quelli inerenti i filoni dell’inchiesta.
La perquisizione aveva riguardato anche la casa di Splendore (che non è indagato), perché una sua figlia è stata assunta in una società legata alla Mantovani. Per Piergiorgio Baita era quasi un’ossessione avere in anticipo notizie su possibile verifiche fiscali o accertamenti giudiziari. E c’è da dipanare una ragnatela di interventi, soprattutto a Roma, da parte di strani personaggi (alcuni finiti in carcere) che sarebbero stati lautamente pagati da Baita o Mazzacurati per fornire informazioni.

G. P.

 

MOSE. MILANESE E GALAN PERCORSI SIMILI

Spesso, trattando dei fatti del Mose, ma anche di altri casi simili, si fa riferimento ai “misteri” che riguardano la vita dei rituali incriminati. A me sembra che il “curriculum” di molti imputati sia press’a poco lo stesso, anche se gli episodi variano da personaggio a personaggio. Marco Milanese, dopo aver militato per un po’ di tempo nella Guardia di Finanza e aver acquisito alcuni preziosi segreti della burocrazia statale, diventa amico e sodale dei potenti, nel nostro caso del ministro Tremonti, poi fa il gran salto con l’elezione a deputato del Pdl e si mette al sicuro con prospettive “politiche” insospettate. Cercare i suoi programmi a vantaggio del bene comune, sarebbe fatica improba. Anche per Galan vale l’amicizia dei potenti, il voler navigare sempre in alto loco, nonché in modo temerario. E’ forse illusione immaginare che i nostri imputati possano raccontare ai giudici, alla Giunta, o alla stessa Camera, come sono andate veramente le cose e anche il “sistema” di cui sono stati parte integrante?

Luigi Floriani –  Conegliano (Tv)

 

il manager racconta: gli avvocati volevano che mi operassi

Quei 15 mila euro ai due cardiologi per la visita in carcere a Baita

VENEZIA – Come si dice, al cuore non si comanda. Né in versione lover, né in versione thriller. Marcello Dell’Utri, per esempio, era già cardiopatico in Italia ma ha un grosso attacco di cuore in Libano, proprio quando arriva la richiesta di estradizione. Mentre lo rimpatriano tiene bassa l’ansia informando che chiederà di fare il bibliotecario in carcere. Coincidenza, anche Giancarlo Galan, ricoverato per improvvisa cardiopatia, ha detto la stessa cosa: «Ho paura del carcere, se dovessi andarci mi rifugerò in biblioteca». Soffre di cuore Renato Chisso, che si è portato in carcere le pastiglie con le quali tiene a bada il cuore ballerino, dopo il principio d’infarto che l’ha preso lo scorso settembre. E’ sofferente Giovanni Mazzacurati, il «grande burattinaio» del Mose che sarà il grande testimone a carico dei coimputati, quando si farà il processo. L’ingegnere si sta facendo curare in California, dove ha una casa e dove aveva previsto di ritirarsi a fine carriera. Ma nel suo caso, più che il cuore è responsabile l’età e Mazzacurati ha sempre preferito farsi curare da medici americani. Come Gianni Agnelli, che si fidava solo degli ortopedici del centro traumatologico di Aspen, nel Colorado. E’ iperteso l’ingegner Piergiorgio Baita, (foto) che da libero cittadino controllava la pressione con i farmaci, senza problemi. Come molti. In carcere le sue condizioni si aggravano e diventano critiche dopo il secondo interrogatorio, quando la linea suggerita dagli avvocati difensori Piero Longo e Paola Rubini (mai collaborare con i giudici) porta allo scontro con i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. A quel punto la difesa chiede una perizia medica. Baita viene visitato nel carcere di Belluno dov’è rinchiuso dal professor Gino Gerosa, cardiochirurgo del Centro Gallucci di Padova e da Claudio Rago, direttore del centro regionale trapianti. E’ lo stesso Baita che lo riferisce nell’interrogatorio del 17 giugno 2013, assistito non più da Piero Longo e Paola Rubini ma da Enrico Ambrosetti e Alessandro Rampinelli, perché ha cambiato avvocati. Questa storia è già stata raccontata ma non interamente e non con la voce dei protagonisti. Per Baita bisogna stare al verbale del 17 giugno 2013, perché non ha nessuna voglia di tornare sulla vicenda. Quel 17 giugno i pm gli chiedono: lei prima si avvale della facoltà di non rispondere, poi rende un interrogatorio negando praticamente tutto, poi cambia avvocati e inizia a collaborare. Aveva ricevuto pressioni per non parlare? «Non so se la parola pressioni è corretta», risponde Baita. «Io avevo contatti solo con i miei avvocati e dopo l’ultimo interrogatorio mi avevano proposto: non rendiamo altri interrogatori, facciamo un’operazione all’aorta sulla base dello stato di salute, fissiamo la visita e poi il ricovero al Centro Gallucci… E’ stato per quello che io ho preso paura, insomma non mi pareva che ci fosse il motivo». I pm insistono per capire bene: lei aveva intenzione di farsi operare, il suo medico di fiducia le aveva mai prospettato l’intervento all’aorta? «Ma assolutamente», risponde Baita. «Anche i cardiologi che sono venuti mi hanno misurato la pressione, non mi hanno visitato, eh! Mi hanno misurato solo la pressione e l’hanno trovata, tra l’altro, regolare ». Quindi tutta la visita che doveva portare all’operazione chirurgica è stata la misurazione della pressione? «Sì. E anche con un parcella importante di 15.000 euro», conclude Baita, di fronte ai pm increduli. I due cardiologi non hanno nessuna voglia di commentare. Il professor Gerosa è infastidito: «L’entità della parcella è assolutamente falsa, abbiamo fatturato allo studio Longo e Rubini, chiedete a loro la cifra. Ci avevano domandato una consulenza legale, la visita non preludeva all’intervento chirurgico ma a valutare la compatibilità con il carcere. Non mi interessa smentire né aggiungere altro». Claudio Rago precisa che si è trattato di attività libero professionale intra moenia, fatturata attraverso l’Azienda Ospedaliera: bisognava studiare la documentazione preesistente, predisporre la relazione, minimi e massimi delle parcelle sono previsti sia dall’Ordine che dall’Azienda, tutto in regola. Lo studio Longo parla attraverso l’avvocato Gianni Morrone: la rinuncia alla difesa dell’ingegner Baita deriva dalla scelta di non collaborare con la procura, tutto il resto sono fantasie. Ma una cosa Gianni Morrone ce la dice: la parcella chiesta dai due cardiologi è stata di 6.000 euro ciascuno. Per due, più le tasse, si arriva ai 15.000 di cui parla Baita. Pagati direttamente all’Azienda Ospedaliera, che in questi casi si trattiene in 20%. Sono sempre 2400 euro. Con tutto il denaro delle tasse sperperato, è bello sapere che qualcosa torna a casa.

Renzo Mazzaro

 

DIROTTATI DA GALAN

Legge speciale: i fondi andarono al Marcianum

La fine del Marcianum creato dal cardinale Scola fa affiorare un retroscena del 2008: la Regione governata da Galan dirottò, per quel progetto, 50 milioni di fondi della Legge speciale originariamente destinati al disinquinamento della laguna.

Marcianum e Salute salvati con 50 milioni dirottati dalla Regione

Erano i fondi della Legge speciale per il disinquinamento

L’ex governatore veneto disse: non ci occupiamo solo di Mose

Il gioiello creato dal cardinale Scola non sta più in piedi dopo lo scandalo del Cvn

VENEZIA – E’ saltato come un castello di carte, sotto i contraccolpi politici e istituzionali dell’inchiesta sui fondi deviati per il Mose, l’ambizioso progetto della Fondazione Studium Generale Marcianum che l’allora Patriarca di Venezia (dal 2002 al 2011) e ora arcivescovo di Milano Angelo Scola aveva edificato in pochi anni, dalla fine del 2007, con l’appoggio determinante della Regione guidata allora da Giancarlo Galan e l’appoggio strategico di aziende come il Consorzio Venezia Nuova, il cui presidente di allora Giovanni Mazzacurati fu dall’inizio anche presidente del Consiglio di amministrazione. La decisione obbligata presa ora dal nuovo Patriarca di Venezia Francesco Moraglia di “smantellarlo”, chiudendo – dopo quello che era già avvenuto per il polo scolastico delle medie e del liceo – anche la Facoltà di Diritto Canonico, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e il Convitto Internazionale, facendone solo un istituto di ricerca, è la fine della “creatura” di Scola. E non a caso il nuovo Patriarca -con un’evidente chiamata di corresponsabilità nei confronti del suo predecessore per la situazione che gli ha lasciato in eredità – si è recato a Milano, come ha tenuto a far sapere, per chiedere al cardinale se volesse lui, e a sue spese , “salvare” il Marcianum, ricevendone ovviamente un rifiuto. E se, come ha sottolineato in questi giorni lo stesso Scola, i fondi erogati dalla Regione e dalle imprese a favore del Patriarcato per il Marcianum sono stati regolarmente approvati da quelle istituzioni, è però nel clima dell’uso improprio dei fondi per la salvaguardia di Venezia che il polo culturale ecclesiastico in laguna si è fondato ed è poi affondato. Lo dicono le cronache, visto che la Regione decise anni fa di sottrarre per la prima volta 50 milioni di euro di fondi della Legge Speciale per il disinquinamento della laguna, di cui è chiamata a occuparsi, per destinarli appunto tutti al Patriarcato di Scola, per il restauro del Palazzo Patriarcale di Piazzetta dei Leoncini, per quello della Basilica della Salute e soprattutto per la ristrutturazione del Seminario Patriarcale della Salute, destinato a ospitare il Marcianum, trasformato in un complesso polifunzionale con una foresteria da 70 camere con bagno, destinate agli ospiti del polo universitario. Più che un restauro, una nuova destinazione del complesso, con spazi anche di ristoro, sale multimediali, biblioteca, spazi espositivi e sale congressi. Anche l’intervento per il Palazzo della Curia, più che a un restauro in senso stretto, rispose a una filosofia di modernizzazione di tutto l’edificio, prevedendo anche qui una foresteria, uffici e nuove sale di accoglienza. Di fronte alle polemiche per l’uso “improprio” di quei fondi girati al Patriarcato, Galan non fece una piega. «È la dimostrazione» dichiarò, «che la Regione non si occupa solo del Mose, ma ha a cuore anche la salvaguardia monumentale della città». E la Regione – socio fondatore dell’istituzione – con lui, non lasciò più solo il Marcianum voluto da Scola, anche per la «realpolitik» del cardinale nel mondo del cattolicesimo e delle comunità mediorientali, aggregate intorno alla rivista «Oasis» nel nome del suo celebre slogan del “meticciato di civiltà”. Con un provvedimento del 2008, infatti, Palazzo Balbi decide subito di stanziare 250 mila euro all’anno, dal 2009 al 2011 per il sostegno delle attività del Marcianum, prelevandole dal capitolo destinato alla formazione professionale. Finanziamenti per il funzionamento del Marcianum furono assicurati annualmente anche dal Consorzio Venezia Nuova e dalle altre aziende che hanno accompagnato la nascita del polo. Fino alla partenza di Scola per Milano. Il sistema istituzionale e imprenditoriale creato intorno al Marcianum dall’attuale arcivescovo di Milano che ne aveva consentito l’ambiziosa creazione e lo sviluppo si è di fatto dissolto con l’uscita di scena di Galan – il grande “alleato” – e con il suo addio a Venezia. Un polo culturale crollato, perché – come ha detto ora Moraglia – non poteva «dipendere a doppio filo dagli sponsor ». Pubblici o privati.

Enrico Tantucci

 

Gazzettino – Mose, il ruolo dei servizi segreti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

20

lug

2014

L’INCHIESTA – Sequestrato un computer, ma solo dopo l’intervento di Nordio e l’arrivo di un alto funzionario da Roma

Mose, il ruolo dei servizi segreti

Nel blitz del 4 giugno alla Finanza fu impedito per ore di perquisire la sede Aisi di Padova

RETROSCENA – L’ombra dei Servizi segreti nello scandalo del Mose. Nel blitz del 4 giugno gli uomini della Guardia di finanza che dovevano perquisire la sede Aisi di Padova furono lasciati fuori per 14 ore.

BRACCIO DI FERRO – Situazione sbloccata dopo un deciso intervento del Pm Nordio. Finì con il sequestro di un computer alla presenza di un funzionario degli 007 giunto da Roma.

007 I Servizi Segreti sono stati tirati in ballo da Piergiorgio Baita nel verbale di un interrogatorio del 2013. Proprio i “Servizi” si sono opposti per ore alla perquisizione ordinata dal procuratore

SCANDALO in laguna

IL BLITZ DEL 4 GIUGNO – Il colonnello Splendore tenne fuori i finanzieri dagli uffici Aisi di Padova

LA TRATTATIVA – Intervento del pm Nordio e uno 007 partì da Roma. Il via libera dopo 14 ore

Mose, perquisizione bloccata. Braccio di ferro Servizi-Procura

L’ombra dei Servizi segreti nello scandalo del Mose. Salta fuori anche questo dall’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Venezia. Particolari rimasti finora segreti e che il Gazzettino racconta in esclusiva.
Della presenza inquietante di “spioni” veri o presunti si sapeva già perchè lo stesso Piergiorgio Baita, l’amministratore delegato della Mantovani, il “genio” delle tangenti, aveva raccontato di aver pagato fior di milioni di euro in consulenze “spionistiche”.
In un verbale di interrogatorio del 6 giugno 2013, Baita rivela: «..nel corso di una colazione che Cicero mi organizzò a Roma vidi la presenza del generale Pollari e di altre persone ed immaginai che quegli ambienti a cui Cicero facesse riferimento potessero essere riferiti ai Servizi o quanto meno Cicero avesse la possibilità di mettersi in contatto con i servizi.» Cicero è Alessandro Cicero, responsabile di un giornale, “Il Punto”, in qualche modo in contatto con i Servizi segreti. Alla “fanzine” di Cicero, Baita verserà oltre 2 milioni di euro, convinto che Cicero sia in grado di fornirgli informazioni certe su quel che sta combinando la Procura veneziana.
Ed ecco che cosa succede all’alba del 4 giugno 2014, quando scatta il mega blitz che porterà in galera 34 persone e farà conoscere al mondo intero il “sistema Mose”, fatto di mazzette e corruzione. Sono le 4 del mattino e i Finanzieri si presentano sia a casa del colonnello Paolo Splendore (Baita ha assunto la figlia in una società controllata da Mantovani) che nella sede padovana dell’Aisi – Agenzia informazioni e sicurezza interna – che Splendore dirige. Ma il colonnello non ha alcuna intenzione di lasciare che i Finanzieri mettano le mani sulle sue carte e sui computer dell’Aisi. Alle 4 del mattino i Finanzieri chiamano al telefono Stefano Ancilotto, il p.m. dell’inchiesta Mose. «Non ci lascia effettuare la perquisizione, invoca il segreto di Stato, dottore, che facciamo?»
Ancilotto non ha dubbi: «Restate lì. Non vi muovete. Vi richiamo». Alza il telefono e parla con il Procuratore aggiunto Carlo Nordio, che coordina le indagini. «Sì, me la ricordo la telefonata. E mi ricordo di essermi messo in contatto con Roma. Mi hanno passato un funzionario dei Servizi, adesso non chiedetemi il nome che non me lo ricordo. Però era un funzionario in grado di decidere, questo sì. Io gli ho spiegato che non potevamo certo lasciar perdere e, dunque, che la perquisizione doveva essere eseguita. Dopo un po’, mi ha chiesto di essere presente e io ho detto di sì. Del resto si sa che un computer, anche quello di casa nostra, contiene un sacco di dati sensibili, figuriamoci un computer dei Servizi segreti. Per cui ho detto di sì e la perquisizione so che è iniziata alle 7 di sera». I Finanzieri hanno aspettato nella sede dell’Aisi di Padova dalle 4 del mattino fino alla 7 di sera. «Sì, il funzionario in questione ha preso un aereo per arrivare a Padova e lo abbiamo aspettato. Lo ripeto, fa parte delle garanzie che è giusto offrire a chiunque. A noi interessavano certe cose e solo quelle parti abbiamo sequestrato. So che la perquisizione poi è stata interrotta e ripresa la mattina dopo».
Nordio era stato diplomatico, ma fermissimo. E quel che non dice il magistrato che nel 1992 ha condotto la prima inchiesta sulla Tangentopoli Veneta, è che aveva fatto capire chiaramente che la Procura di Venezia non si sarebbe fermata. E se a qualcuno fosse saltato in mente sul serio di utilizzare il segreto di Stato, forse era meglio che fosse cosciente che si esponeva al ridicolo. Come si fa ad invocare il segreto di stato in una inchiesta sulle mazzette?
Ma l’episodio, soprattutto nei suoi dettagli, racconta di quante forze si siano mosse per bloccare l’inchiesta sul Mose. I vertici del Consorzio Venezia Nuova e l’amministratore delegato di Mantovani, Piergiorgio Baita, del resto non facevano mistero nelle telefonate e nelle intercettazioni ambientali della loro capacità di “sapere” che cosa bolliva in pentola in Procura a Venezia e i magistrati un po’ alla volta si erano fatti un’idea precisa, tant’è che la mattina del 4 giugno 2014 le manette scattano anche ai polsi del generale della Guardia di Finanza, Emilio Spaziante, mentre un anno prima era stato arrestato il vicequestore di Bologna, Giovanni Preziosa, perchè era entrato nel database delle forze dell’ordine senza autorizzazione ed aveva passato le informazioni a Baita. Dunque c’era al lavoro una vera e propria macchina dello spionaggio che lavorava contro l’inchiesta. I p.m scopriranno che indagati come Baita riuscivano ad avere anche copia dei verbali di interrogatorio, quelli che restano chiusi nell’ufficio del p.m., quelli che non ha nemmeno l’avvocato difensore. E anche Mazzacurati in una intercettazione ambientale diceva che sapeva perfettamente che lo stavano intercettando. «Anche una volta che sono andato a parlare con Gianni Letta, mi hanno beccato”. E adesso la Procura cercherà di capire esattamente chi, come e quando ha fornito agli indagati le informazioni segrete sull’inchiesta.

Maurizio Dianese

 

Mose, è un mostro di ferraglia che ha danneggiato l’ecosistema lagunare

Ritengo che il gravissimo scandalo relativo ai lavori per la costruzione del Mose sia la conseguenza di uno scandalo ancora più grande: la costruzione del mostro Mose. Il Mose, non ancora finito e costato finora 6 miliardi di euro pagati dai contribuenti onesti, è un mostro di ferraglia che ha danneggiato l’ecosistema lagunare. Non si sa quando e se finirà e con tutta probabilità non servirà a salvare (?) la nostra amata Venezia dall’acqua alta. In compenso fa ingrassare le imprese che lo costruiscono che, per far chiudere gli occhi a politici corrotti e dirigenti pubblici disonesti, gli hanno dato parte del bottino. È un peccato che non ci sia più la Repubblica Serenissima che gli avrebbe puniti in modo esemplare.

Giorgio Trinca – Mestre

 

Il sottosegretario alla Giustizia Ferri: pronte le norme per allungare la prescrizione e introdurre l’autoriciclaggio

Il procuratore Luigi Delpino: «Apprezzo la cautela di Cantone sul commissariamento Cvn»

PADOVA – ll commissariamento del Consorzio Venezia Nuova? Giuridicamente complicato e quindi non auspicabile. Il procuratore della repubblica di Venezia Luigi Delpino condivide la prudenza con cui il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone ha affrontato la questione durante la sua visita a Venezia. Il Mose non è l’Expo di Milano. E nel colloquio in Procura giovedì scorso Delpino, Adelchi D’Ippolito e i pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini hanno illustrato nei dettagli com’è nata l’inchiesta che ha fatto scattare i 35 arresti disposti dal gip Scaramuzza. «La corruzione non è servita per vincere gli appalti, ma per ottenere i soldi dal Cipe», ha spiegato il procuratore Delpino: è da questo assioma che si deve partire per capire lo scenario del tutto particolare dello scandalo Mose, l’opera più complicata mai realizzata in Italia, che va assolutamente conclusa entro il 2016. Un eventuale commissariamento stile Maltauro-inchiesta Expo Milano, potrebbe essere disposto solo per le aziende che fanno parte del Consorzio Venezia Nuova, costrette a «retrocedere » lo 0,2% degli importi dei lavori per creare i fondi neri con la sovraffatturazione. Il Cvn è un ente di diritto privato che gode di una concessione pubblica a carattere di monopolio senza obbligo di bandire gare d’appalto per il Mose: da 30 anni è così. Si può intervenire con la revisione della concessione con un provvedimento che ne modifichi le caratteristiche, come auspicato da Raffaele Cantone. Uno scenario che sarà affrontato in tempi rapidi dal governo con una legge ad hoc, come ha sottolineato il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, ieri a Padova per un convegno. Insomma, dopo aver soppresso il Magistrato alle Acque, il premier Renzi risolverà anche il«nodo» Cvn. Sottosegretario Ferri, che idea si è fatto del Mose? «Il problema appalti e corruzione non riguarda solo il Mose e il governo l’ha affrontato con l’ultimo decreto legge che ha aumentato i poteri dell’Anac. Bisogna puntare sulle prevenzione e rivedere il meccanismo delle deroghe. C’è un codice farraginoso che viene applicato solo per i piccoli appalti e invece per le grandi opere si procede con le deroghe, con gli effetti perversi che conosciamo. Ciò vale per l’Expo e il Mose ma la prima deroga risale a Italia 90». Il governo come intende intervenire sulla revisione del falso in bilancio e sulla prescrizione, che rischia di vanificare il lavoro della magistratura. «Il governo non ha perso tempo e intende presentare un disegno di legge che riveda completamente l’istituto della prescrizione: tra l’altro è stata istituita con il premier Letta, la commissione Fiorella che ha già depositato una relazione con una serie di proposte su cui stiamo lavorando. Poi ci sono le iniziative parlamentari, che vanno analizzate». Proprio di questo discutete nel convegno di Padova: siparte dal ddl Grasso? «Il ddl del presidente del Senato Grasso considera la prescrizione solo per alcuni reati mentre il governo intende mettere ordine a tutti i reati con una disciplina organica. Per quanto riguarda il falso in bilancio e l’autoriciclaggio, noi abbiamo pronto un pacchetto contro la criminalità economica: ci saranno misure più incisive sulla confisca dei patrimoni illeciti della mafia. Ci vogliono norme più efficaci sulla confisca immediata mentre il reato di autoriciclaggio va previsto solo nei confronti di chi reinveste i proventi del profitto illecito, a patto che sia davvero la stessa persona».

Albino Salmaso

 

Mose, lo scandalo travolge l’Università del Patriarcato

Venezia, fondi finiti: Moraglia chiude i corsi, la società editrice e la Facoltà di diritto canonico
del Marcianum, voluto e fondato da Scola.

Le decisioni “approvate” da Santa Sede e Papa

VENEZIA – Via libera dal Pontefice «Un atto non scontato da parte della Santa Sede»

Attraverso una lettera, il 19 giugno, il Pontefice ha determinato il disimpegno della diocesi dal Marcianum, così come deciso dal patriarca

L’ANNUNCIO SU GENTE VENETA – Senza sponsor e con più costi impossibile andare avanti

Lo scandalo travolge l’università della Curia Soldi finiti, stop ai corsi

Rotti i rapporti con il Consorzio Venezia Nuova, il Marcianum taglia e si trasforma

Il patriarca Moraglia aveva chiesto al predecessore Scola di farsene carico: niente da fare

LA NUOVA FONDAZIONE – Si è dimesso anche Chiarotto storico patron di Mantovani

L’incontro non deve essere stato facile. E non solo per un delicato problema di “timore reverenziale” tra un principe della Chiesa come il cardinale Angelo Scola e monsignor Francesco Moraglia, suo successore come Patriarca di Venezia. Di sicuro, però, lo scambio di opinioni tra i due uomini di Chiesa nella sede milanese dell’Arcivescovado, deve essere stato molto franco. Così schietto e risoluto che, alla fine, è stato tracciato il classico rigo: addio all’esperienza della Fondazione Marcianum come “polo educativo e di formazione cattolica” in quel di Venezia.
Moraglia, nella veste di Gran Cancelliere della Fondazione, che da tempo si è trovato a sbrogliare la matassa dei costi di questo “think tank” ideato nel 2006 dal suo predecessore sulla cattedra di San Marco, ha messo sul piatto della bilancia non solo la questione Marcianum, ma anche rivelato le difficoltà economiche e finanziarie dell’ente all’indomani del “terremoto” dello scandalo Mose che ha visto il Marcianum fino all’anno scorso tra i beneficiari dei fondi “girati” dal Consorzio Venezia Nuova attraverso il suo ex presidente Giovanni Mazzacurati, che era anche al vertice dell’istituto di formazione veneziano.
Ed è toccato proprio allo stesso Patriarca Moraglia rivelare in un’intervista al settimanale diocesano “Gente Veneta”, come egli si sia recato a Milano il mese scorso, insieme al proprio vicario episcopale, per incontrare Scola e formulare, visto il venir meno degli sponsor e l’incremento dei costi di gestione e in piena tempesta giudiziaria, che la Diocesi di Venezia non sarebbe stata più in grado di sostenere l’ente, invitando lo stesso Scola a farsene carico anche come ideatore del progetto.
Una richiesta precisa che Scola ha escluso di poter assolvere ritenendola una “strada non praticabile”. A definire la fine delle attività teologiche del Marcianum (la Facoltà di diritto canonico che non attiverà i corsi del primo anno così come non partiranno le iniziative dell’Istituto di scienze religiose, nonchè l’attività editoriale Marcianum press oltre al Convitto internazionale) non solo il “no” di Scola, ma anche le autorevoli prese di posizione e i giudizi giunti da Oltretevere, prima attraverso la Congregazione del Clero, la Cei, poi la Segreteria di Stato del Vaticano fino ad arrivare a Papa Francesco. Ed è stato proprio dal Pontefice, con gli atti e i mezzi a sua disposizione, attraverso una lettera del 19 giugno scorso, che è giunto il disimpegno dal Marcianum come Venezia lo aveva conosciuto in questi anni, attraverso una “procedura” che in qualche modo ha dato una esplicita approvazione ad una decisione assunta a livello diocesano. «Un atto – ha spiegato monsignor Moraglia – né comune né scontato da parte della Santa Sede».
Una decisione che comunque era nell’aria da un po’ di tempo, complice il fatto che il Marcianum si era ritrovato nell’occhio del ciclone per l’inchiesta della magistratura sul Mose, e che proprio recentemente aveva portato al riassetto della Fondazione con l’ingresso di un nuovo gruppo di dirigenti alla guida di Gabriele Galateri di Genola, dopo che Moraglia aveva già “sacrificato” il liceo Giovanni Paolo I accorpandolo ad un altro ente educativo paritario come l’Istituto Cavanis.
E proprio dalla dismissione del “ramo religioso” della Fondazione che sboccerà ora la nuova vita dell’istituzione con un percorso mirato, lungo un biennio con alcuni progetti legati all’innovazione, al lavoro e alla ricerca sociale in stretto rapporto con il territorio nel segno della dottrina sociale della Chiesa tanto cara proprio a Moraglia. Una “formula” che, se da un lato trasforma il Marcianum e ne modifica le prospettive, dall’altro lo inserisce, con ogni probabilità, tra i “pensatoi” della realtà veneziana e veneta. E in questo quadro, al di là della rescissione del cordone ombelicale con la Diocesi di Venezia, il consiglio di amministrazione che si è riunito ieri in città, ha scelto Paolo Lombardi come nuovo amministratore delegato che subentrerà a Marco Agostini cooptato in cda, ma soprattutto ha accettato le dimissioni di Romeo Chiarotto, patron di quella Mantovani spa coinvolta recentemente nell’inchiesta sul sistema Mose a Venezia. Un nome autorevole, tanto quanto quello di Mazzacurati già dimessosi nelle scorse settimane, ma che nei corridoi del Patriarcato di Venezia risultava, al giorno d’oggi, oltremodo imbarazzante.

Paolo Navarro Dina

 

VICENZA – Martedì il Riesame di Venezia discute sulla liberazione negata all’ex eurodeputata vicentina

Lia Sartori: «Sono ai domiciliari per un reato che è già prescritto»

INDAGATA – L’ex eurodeputata vicentina Amalia Sartori è agli arresti domiciliari

LA SMENTITA DELLA PROCURA «I termini non sono scaduti, ma i tempi sono ravvicinati»

VICENZA – «Mi tengono in carcere per un reato già prescritto». Amalia Sartori detta Lia, vicentina di Valdastico, per due volte eurodeputata, con un pedigree di lungo corso prima con i socialisti, poi con Forza Italia, è chiusa nella sua casa in Contrà San Faustino a Vicenza. Non può comunicare con l’esterno visto che sta agli arresti domiciliari, a seguito dell’ordinanza del gip veneziano Alberto Scaramuzza sullo scandalo del Mose e dei grandi appalti a Nord Est. Il provvedimento è scattato il 2 luglio, di buon mattino, non appena è venuta a mancare la tutela dell’Europarlamento, visto che la Sartori non è stata rieletta a Strasburgo. Ma lei ha deciso di tener duro.
La sua dichiarazione viene riportata dall’avvocato Pierantonio Zanettin che, assieme ad Alessandro Moscatelli, assiste l’indagata. Ma è probabile che il 22 luglio, quando la posizione sarà discussa davanti al Riesame a Venezia, si aggiunga il professore Franco Coppi. «Non è giusto tenerla ai domiciliari per un reato di finanziamento illecito dei partiti che è già prescritto. Il provvedimento non doveva neppure essere emesso» spiega l’avvocato Zanettin che ha sintetizzato le sue considerazioni in una memoria. «Prima vogliamo uscire, poi ci difenderemo nel merito». E replica al gip Scaramuzza che, negando alcuni giorni fa la liberazione, ha spiegato come non sia prevedibile una condanna sotto i limiti della prescrizione, visto che l’indagata non ha presentato richiesta di riti alternati. «Se lo scordi che chiederemo il patteggiamento» replica ora l’avvocato Zanettin, affilando le armi in vista della discussione di martedì prossimo.
In Procura a Venezia negano che siano scattati i tempi della prescrizione, anche se i termini sono abbastanza ravvicinati. L’ex parlamentare è finita nei guai per alcuni versamenti elettorali da parte del Consorzio Venezia Nuova. Bisogna prestare attenzione alle date. I primi 25 mila euro risalgono al 2009, con la dimenticanza di delibera da parte degli organi sociali del Consorzio. Altri 200 mila euro sarebbero stati corrisposti, come finanziamento elettorale, in un periodo che va dal 2006 al 2012. Il capo d’imputazione fa riferimento, in concreto, a 50 mila euro consegnati personalmente (e in contanti) da Giovanni Mazzacurati, padre-padrone del Consorzio, il 6 maggio 2010 in un albergo di Mestre.

G. P.

 

AMBIENTE VENEZIA – Sollecitato un incontro con il commissario prefettizio

Mose, appello a Zappalorto: «Esperti estranei al Consorzio»

Una conferenza stampa davanti a Ca’ Loredan, quella organizzata ieri da Ambiente Venezia per sollecitare un incontro con il commissario Vittorio Zappalorto in materia di Mose e grandi navi. «Temi sui quali ha ascoltato tutti, fuorché noi – hanno detto Armando Danella e Luciano Mazzolin – Poco fa abbiamo consegnato alla sua segreteria la richiesta scritta di audizione, accompagnata dalla versione aggiornata del Libro bianco sulle grandi navi e dal testo dell’esposto su eventuali danni erariali legati al sistema Mose, depositato il 17 luglio presso la Procura della Repubblica».
Nello spiegare che per loro quest’ultimo «è sempre stato un progetto sbagliato e costosissimo, sia per la realizzazione sia per la manutenzione», i promotori dell’iniziativa hanno spiegato che dal commissario pretendono «la nomina di una commissione di esperti per eventuali varianti in corso d’opera, oltre alla sospensione dei lavori e al blocco dei fondi assegnati dal Cipe e non ancora spesi».
Sulle grandi navi da crociera, invece, Ambiente Venezia invita Zappalorto a dissociarsi dal Governo «qualora volesse forzare i tempi convocando il Comitatone o riunioni tecniche più o meno partecipate, inserendo l’ipotesi di scavare nuovi canali in laguna nel provvedimento sull’accelerazione delle opere infrastrutturali che il premier Renzi vorrebbe emanare entro il 31 luglio». E chiedendo altresì al commissario «di farsi interprete e garante delle nostre richieste di sottoporre tutti i progetti presentati a parere tecnico preliminare della commissione nazionale Via, di tener conto dei tre pareri espressi da questa nel settembre 2013, di non nominare esperti che abbiano avuto collaborazioni con il Consorzio Venezia Nuova e di pubblicizzare tutti gli atti».

 

IMPRESE – Dopo l’arresto per le tangenti Expo, Enrico fuori dal cda, via anche le sorelle Elena e Adriana. E in futuro nuovo brand

E la Maltauro ora pensa di cambiare nome

NOVITÀ AL VERTICE – Organismo di vigilanza: arriva un generale della Gdf

VENEZIA – Signori si cambia. Sembra essere proprio questo il motto del nuovo corso della Maltauro, il gruppo vicentino delle costruzioni, tra le prime dodici aziende italiane del settore, forte di un portafolgio ordini vicino ai 3 miliardi di euro. Dopo l’arresto del presidente Enrico Maltauro, coinvolto nella scandalo delle tangenti legate all’Expo, l’azienda ha deciso di avviare una vera e propria rivoluzione, che porterà quasi certamente anche alla scomparsa dello stesso storico nome dell’impresa vicentina nata nel 1921 a Recoaro Terme. Intanto il nome, anzi il cognome, Maltauro è già sparito dagli organigrammi di vertice del gruppo. Dal nuovo consiglio d’amministrazione dell’impresa sono infatti usciti non solo il protagonista dell’inchiesta sull’Expo, ossia Enrico Maltauro (a cui fa capo il 25% della società), attualmente agli arresti domiciliari, ma anche le sorelle Elena e Adriana, anch’esse titolari di una quota del 25% a testa. La continuità aziendale sarà comunque garantita da Gianfranco Simonetto, alla cui famiglia fa capo il restante 25% della Maltauro. Simonetto, con la qualifica di amministratore delegato, condividerà la guida dell’azienda con il nuovo amministratore delegato, Alberto Liberatori, entrato in azienda all’inizio di luglio. Alla presidenza della società arriva una donna, la commercialista milanese Gabriella Chersicla, tra l’altro vice presidente del gruppo Parmalat. Nel consiglio sono stati invece confermati i due consiglieri indipendenti Alberto Regazzo e Francesco Marena, mentre al posto delle sorelle Maltauro sono entrati due nuovi consiglieri: Piergiuseppe Biandrino, general counsel di Edison e Bettina Campedelli, docente dell’università di Verona e membro del cda di Cattolica. Rinnovato anche l’organismo di vigilanza alla cui presidenza è stato chiamato Rodolfo Mecarelli, generale di brigata della Guardia di Finanza nonchè consigliere della Banca d’Italia. La novità più clamorosa dovrebbe però arrivare nei prossimi mesi con l’abbandono del marchio storico, cioè il nome Maltauro, danneggiato sul piano dell’immagine dall’inchiesta milanese sull’Expo, e l’individuazione di un nuovo nome per il gruppo vicentino.

(lil.ab)

 

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Comunicato Stampa Opzione Zero


Altri due Comuni del Miranese-Riviera del Brenta chiedono il ritiro del progetto; in tutto sono cinque i Comuni contrari, tutti quelli collocati alla “testata” della famigerata romea commerciale.

La pressione dei Comitati, l’insostenibilità dell’opera, e il marciume legato alle grandi opere stanno ribaltando nei territori la retorica “del fare comunque” tanto cara a Renzi e Zaia.

Dall’inchiesta MOSE emerge in modo chiaro come proprio la nuova autostrada fosse pensata e voluta a solo uso e consumo delle cricche del cemento legate alla Mantovani, a Bonsignore e alle Coop emiliane.

Il mostro di asfalto si può e si deve sconfiggere, la priorità deve diventare è la messa in sicurezza della Romea.

Dopo la presa di posizione del Comune di Mira, Dolo, Fiesso ora si aggiungono anche i Comuni di Pianiga e Mirano: l’Autostrada Orte-Mestre è un progetto che deve essere stracciato nella sua interezza.

Infatti i voti dei consigli Comunali di Pianiga e Mirano contro la Orte-Mestre segnano ancora una volta una inequivocabile e netta inversione di tendenza: di fronte all’evidenza dei fatti, gli argomenti e le ragioni di chi continua a sostenerla non reggono più, diventando pura retorica, tanto più se chi la sostiene ora si trovano in carcere o agli arresti domiciliari proprio a causa di una gestione mafiosa della grandi opere.

Da dieci anni, i comitati analizzano dati ufficiali e incontrovertibili ponendoli all’attenzione delle istituzioni locali che, finalmente, si sono decise a prenderne atto: l’opera, oltre che anacronistica, risulta del tutto insostenibile e distruttiva da qualsiasi punto di vista. E del resto proprio dalle indagini sul MOSE, (dichiarazioni di Claudia Minutillo), emerge come proprio la nuova autostrada Orte-Mestre, del costo di almeno 10 miliardi di euro, fosse in cima agli interessi della cricca veneta del cemento così come di quella genovese legata a Bonsignore e di quella legata alle Coop Emiliane: dopo il MOSE, la nuova autostrada sarebbe diventata un altro grosso “osso” da spolpare attraverso la truffa del Project Financing.

Non è un caso che, a livello istituzionale, siano proprio i Comuni ad alzare per primi la voce. Sono infatti le amministrazioni e le popolazioni locali i soli a pagare gli effetti devastanti delle cosiddette “grandi opere” come la Orte-Mestre, sia in termini ambientali sia in termini economici. Anche per i Sindaci più possibilisti ormai è chiaro che le solite promesse di Governo e Regione sulle opere di compensazione sono solo specchietti per le allodole: la storia del Passante sta lì a dimostrarlo.

Rebecca Rovoletto e Lisa Causin, portavoce del Comitato, esprimono grande soddisfazione per questo importante risultato che continua a rafforzare e dà speranza a chi è da sempre impegnato in questa difficile battaglia; e che dimostra che i Comuni nel cui territorio dove dovrebbe trovare spazio la “testa” dell’autostrada si oppongono a tale progetto.

Inoltre la portata di questa presa di posizione supera finalmente la discussione artificiosa e fuorviante, tipicamente NIMBY, in quanto tale progetto viene rigettato per intero.

Secondo Mattia Donadel, presidente di Opzione Zero, “bisogna crederci fino in fondo”: l’approvazione del progetto preliminare della Orte-Mestre non è per nulla irreversibile, si tratta di una decisione politica e come tale può essere messa in discussione in ogni momento.

Per Opzione Zero e per tutto il variegato arcipelago di organizzazioni che costituisce la Rete Nazionale Stop Orte-Mestre, è fondamentale che Comuni e le forze politiche trovino il coraggio di cambiare posizione a capiscano che è invece necessario affrontare in modo prioritario il tema della messa in sicurezza immediata della SS 309 e del trasporto pubblico locale, vere urgenze per i cittadini della Riviera.

 

Quote Ihfl con Galan: Zaia apre un’inchiesta su Pavesi e Simoni

Il governatore manda gli atti alla procura della Repubblica «Il manager di Usl 17 e Usl 8 hanno un rapporto di esclusiva»

VENEZIA – Luca Zaia non finisce di stupirsi. Aveva nominato Bortolo Simoni direttore generale dell’Usl 8 di Asolo, al posto del galaniano di ferro Renato Mason. Pensava di aver fatto la scelta giusta: un medico in sostituzione dell’ex segretario regionale degli artigiani della Cgia, trasvolato dai problemi delle piccole aziende a quelli delle sale operatorie. Va bene che tutti possono fare tutto, ma utilizzare le competenze appropriate nei settori di riferimento, come minimo riduce i problemi. Nossignore, oggi Zaia si ritrova il dottor Simoni dentro alla Ihfl, la società costituita da Giancarlo Galan assieme a Giancarlo Ruscitti, l’ultimo segretario regionale alla sanità di quella gestione, l’uomo che aveva lanciato gli appalti per Area Vasta in modo da sottrarre autonomia ai direttori generali e far risparmiare soldi ai contribuenti. Senza accorgersi dell’«effetto collaterale», la gestione calore negli ospedali andava quasi dappertutto alla Gemmo Impianti, una delle poche imprese abituate a vincere sempre nel quindicennio di Galan. Con contratti milionari per 9 anni, rinnovabili per altri 9. Ne vennero fuori ricorsi alla magistratura in tutte le province, che paralizzarono il giochino, almeno per un po’. Dentro a Ihlf Galan ha reclutato anche il vecchio amico Giovanni Pavesi, direttore generale dell’Usl 17 Monselice-Este, dove i casi della vita vedono oggi l’ex presidente della Regione ricoverato come paziente a rischio. Di passaggio registriamo che la frattura a tibia e perone sembrerebbe retrocessa a semplice frattura del malleolo. Meno male, Giancarlo potrà guarire più in fretta: chi non lo vorrebbe? Pavesi era stato insediato nel 2008 ma è stato confermato il 31 dicembre 2012 da Luca Zaia. Questa è la seconda sgradita sorpresa per l’attuale inquilino di palazzo Balbi. Più seria di quella di Simoni, perché alla giunta regionale risulta che Pavesi sia presente anche in altre società, sempre in conflitto con l’attività esclusiva di direttore generale. Dentro ad Ihfl troviamo un altro medico veneto, Alberto Prandin, fino al 1° marzo 2013 direttore generale dell’Oras di Motta di Livenza, un ospedale ad alta specializzazione riabilitativa per cerebrolesi, a gestione mista pubblico-privato. Prandin era espressione della parte privata. E’ grande amico di Giancarlo Galan, che da presidente della Regione andava a inaugurare i nuovi padiglioni con dichiarazioni frizzanti alle tv: «L’Oas è un’eccellenza che dimostra come sono fuori luogo certi atteggiamenti post bolscevichi, in cui il privato è quasi sempre un pregiudicato da tenere lontano». Il 1° marzo 2013 Prandin è stato sfiduciato dal Cda e licenziato in tronco, non s’è mai capito bene perché. Forse premi contestati, ci sono cause in corso. Altri soci della Ihfl, i cui nomi sono già apparsi sui giornali, sono Massimo Bufacchi, direttore dell’Ulsa, l’ufficio per il lavoro della sede apostolica del Vaticano e Stefano Del Missier, vicedirettore generale della sanità lombarda. Giancarlo Galan controlla il 50% di Ihfl mascherato da una società fiduciaria, la Sirefid, il cui Cda è presieduto da Angelo Caloia, professore dell’Università Cattolica di Milano nonché ex direttore dello Ior, la banca del Vaticano, prima di Gotti Tedeschi. La Ihfl viene costituita il 29 dicembre 2011 nello studio milanese del notaio Angelo Busani, già candidato sindaco a Parma per Forza Italia. Lo stesso notaio che ratifica la formazione di un’altra società, la Prohealth, che avrebbe la stessa ragione sociale della Ihlf e tra i cui soci figurerebbe la Gemmo Impianti di Vicenza. Questi intrecci societari, secondo la procura di Venezia, miravano a controllare la realizzazione del nuovo ospedale di Padova, il cui promotore è un’Ati presieduta da Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo. Meneguzzo è l’imputato più conteso dopo il 4 giugno: arrestato su richiesta della procura di Venezia,ha tentato il suicidio in carcere, gli hanno concesso i domiciliari, ma è stato immediatamente reincarcerato, su richiesta della procura di Milano. Le vicende sono contigue: mettetevi d’accordo verrebbe da dire. Questo tourbillon non ha fatto girare la testa a Luca Zaia. E’ lui che nomina i direttori generali della sanità. Dopo la sorpresa del primo giorno, con l’uscita dei nomi e l’intreccio societario, Simoni e Pavesi sono stati immediatamente convocati al Balbi per una formale contestazione. I due hanno risposto: Simoni ha invocato la buonafede (si sarebbe trovato coinvolto da persone di cui professionalmente non dubitava, senza cogliere la necessità di informare la giunta regionale); Pavesi ha scritto poche righe, rivendicandola correttezza dell’operato. Sulla quale invece ci sono dubbi serissimi. Le due memorie sono al vaglio dell’avvocatura regionale: il direttore generale ha un contratto con la Regione che prevede l’esclusività. Non aver dichiarato di far parte di una società che si occupa di sanità, costituita prima di firmare il contratto con la Regione, è un duplice conflitto: di interesse e di mancata esclusività. Il rapporto fiduciario è minato. Le carte del procedimento sono state mandate alla procura della repubblica.

Renzo Mazzaro

 

Galan in ospedale, martedì vota la Camera: nessuna perizia dei pm

In attesa della decisione della Camera dei deputati nei confronti dell’ex ministro e parlamentare di Forza Italia Giancarlo Galan, i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini proseguono gli interrogatori degli indagati: nei giorni scorsi sono stati risentiti tra gli altri il dirigente del Consorzio Venezia Nuova Pio Savioli, l’ingegner Luciano Neri, tecnico anche lui del Consorzio, e il consigliere regionale del Pd Giampiero Marchese. I rappresentanti dell’accusa vogliono chiudere al più presto le indagini, chiedendo il giudizio immediato davanti al Tribunale collegiale per tutti coloro che sono ancora sottoposti alla misura cautelare del carcere o degli arresti domiciliari e la citazione diretta davanti al giudice monocratico per coloro che sono accusati del solo reato di finanziamento illecito ai partiti. Naturalmente prima dei processi potrebbe esserci più di qualcuno che raggiungerà l’accordo con la Procura per patteggiare la pena e quindi eviterà di presentarsi in aula. Il questo modo i processi potrebbero svolgersi prima della primavera del prossimo anno. Per quanto riguarda la malattia di Galan o, meglio, l’impossibilità che ha segnalato al presidente della Camera Laura Boldrini di non potersi muovere per almeno40giorni, Procura e giudice delle indagini preliminari non hanno disposto alcuna consulenza o perizia medico legale per lo stesso motivo per cui hanno respinto la richiesta di trasformare la custodia in carcere in arresti domiciliari (il provvedimento è sospeso in attesa della decisione dei deputati). Ma leggendo la documentazione sanitaria che lo stesso Galan ha inviato si può osservare che non c’è alcuna frattura di tibia o perone, bensì quella meno grave del malleolo della gamba sinistra, frattura tra l’altro «composta» scrive il direttore dell’Unità di Ortopedia dell’ospedale Sant’Antonio di Padova. Insomma, poco più di una forte storta alla caviglia sinistra, che va comunque aggiunta alle altre patologie dell’esponente politico se si valuta la condizione generale della sua salute. Ma ad essere messa in discussione è la sua impossibilità a muoversi.

(g.c.)

 

Mose, rischiano le imprese

Cantone a Venezia: «Valuterò se andranno commissariate»

Cantone: «Mose peggio dell’Expo bloccare il monopolio dei privati»

Il presidente dell’Anticorruzione: «Il Consorzio Venezia Nuova non ha mai fatto un appalto dal 1984

Più che il commissariamento ci vuole subito una legge per assegnare la gestione dell’opera»

VENEZIA «Il Mose? Peggio dell’Expo». Commissariamento alle porte, dunque? Un’ipotesi possibile, ma da verificare nel caso veneziano: «Ho bisogno di capire se la norma che prevede il commissariamento delle imprese coinvolte sia applicabile anche a imprese che non sono transitate per un appalto. Il Consorzio Venezia Nuova non ha mai fatto un appalto. Assegnava lavori a imprese che ne facevano parte. Legalmente, perché la legge glielo permetteva. Valuteremo cosa fare, al Consorzio ho acquisito dei documenti che dovrò valutare». Al termine della sua lunga giornata veneziana – tra una visita alla centrale operativa del Mose e un incontro con i vertici del Consorzio Venezia Nuova, un faccia-a-faccia con i pubblici ministeri che si occupano dell’inchiesta e un affollato dibattito pubblico con senatore pd Felice Casson – il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, ha giudizi taglienti, seziona punti critici dello scandalo Mose (partendo dalla legge sul concessionario unico), ma non ha interventi certi da annunciare: l’impressione è che il commissariamento delle imprese coinvolte nell’indagine-terremoto “gli pruda” tra le mani,ma che non sia scontata la sua applicabilità al caso veneziano. Così è cauto sul presente e netto per il futuro: per la gestione del Mose, Cantone chiede una legge che blindi il futuro dagli errori del passato. «La più grande opera d’Italia, quella che il mondo sta studiando e incredibilmente», ha sottolineato Cantone, «ha avuto una gestione privatistica. Ora però si apre una questione fondamentale. Chi farà la manutenzione del Mose: sarà il grande affare successivo e bisognerà tenere gli occhi aperti», «ci vorrà una legge per stabilire come verrà gestita, anche perché dobbiamo partire da una domanda: quali aziende avranno la competenza per la gestione del Mose? Probabilmente solo quelle che lo hanno costruito, e quindi bisognerà tenere gli occhi bene aperti. Questo rischia di trasformarsi in un appalto a vita», frutto di una «legge criminogena, quella del 1984, che ha permesso che un consorzio prima in parte pubblico e privato, e poi solo privato, gestisse una somma enorme di soldi, praticamente senza nessun controllo da parte dell’autorità pubblica, e se qualche controllo c’è stato è stato corrotto o comprato». «Per me è molto strana l’idea di un privato che gestisca soldi pubblici e faccia anche i lavori», aveva commentato al termine del suo incontro con i vertici del Consorzio (il presidente Mauro Fabris, il direttore Hermes Redi, accompagnati anche dall’avvocato del Cvn Biagini) che gli hanno illustrato lo stato di avanzamento delle opere e la centrale operativa, da dove attivare il Mose a quota 110 cm di marea sul medio mare. Tornando all’ipotesi di commissariamento, il problema è giuridico, perché l’articolo 32 del decreto 90/2014 parla di «impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture»: il Consorzio (privato) le opere le ha ottenute come concessionario unico dello Stato e le ha date in appalto, anche se i suoi vecchi vertici sono accusati di aver stipendiato i controllori e coperto di danaro chi doveva decidere sui progetti, mettendo le tangenti in conto allo stato con fatture per spese inesistenti. «Gli atti che posso firmare devono essere conseguenti a atti giudiziari: avevo bisogno di capire», ha detto ancora Cantone al termine dell’incontro con il procuratore Luigi Delpino, il neo procuratore aggiunto Adelchi d’Ippolito, i pubblici ministeri che hanno seguito l’inchiesta Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. «La vicenda non è semplice, né tranquilla: questa è l’opera più complicata che c’è in Italia».

Roberta De Rossi e Francesco Furlan

 

l’incontro con casson e i cittadini a marghera

«Trattare i corruttori come mafiosi»

Il magistrato al convegno sul malaffare: un cancro da combattere

MARGHERA «La corruzione è un cancro come la mafia: fino a che molte persone continueranno ad accettare i corruttori perché in qualche modo simpatici, capaci di risolvere i problemi, nulla potrà essere risolto». Il presidente dell’Autorità Anti-corruzione Raffaele Cantone arriva a Marghera dopo la sua giornata in centro storico e trova ad accoglierlo un teatro Aurora strapieno per l’incontro promosso dall’associazione Umberto Conte per discutere, in un dialogo con l’ex magistrato e senatore del Pd Felice Casson, di politica e malaffare, proprio a partire dall’Expo e dal Mose. «Sembra essere tornati indietro di vent’anni perché sia a Milano che a Venezia», dice Cantone, «ricorrono i nomi delle stesse aziende, degli stessi imprenditori ». Da Tangentopoli in poi, dice il magistrato napoletano, non è stato fatto nulla dal punto di vista della prevenzione, non si è lavorato per stigmatizzare la corruzione, perché in fondo chi corrompe risolve i problemi, permette che gli affari vadano avanti «e invece elimina la concorrenza e uccide le aziende sane: nessuno si meraviglia se una persona condannata per corruzione torna in parlamento». È un problema, anche, di anticorpi, da risolvere, secondo Casson, in tre mosse: repressione, prevenzione, e formazione. Perché c’è anche quella forma di corruzione legale che, per il senatore del Pd, ha permesso che per vent’anni quasi nessuno, a destra come a sinistra, aprisse bocca sul meccanismo perverso creato in laguna, dove «Il Consorzio ha pagato sponsorizzato, anche legalmente, moltissimi soggetti», dice Casson, «come possiamo pretendere che poi questi soggetti prendano decisioni contrarie agli interessi del Consorzio che li finanzia?». È una realtà, quella del Mose, che Cantone dovrà approfondire nei prossimi giorni, prima di decidere come muoversi, sulla scorta dei documenti che ha acquisito al Consorzio. E ci sono documenti che vorrebbero vedere anche Carlo Giacomini e Andreina Zitelli, docenti universitari ed ex componenti della commissione nazionale di valutazione d’impatto ambientale del Mose, che combattono da anni. «Il Consorzio ritiene di avere una struttura privatistisca e di non essere soggetto alla trasparenza», ha risposto loro Cantone, a margine, alla fine dell’incontro. Quella stessa trasparenza che, come ha sottolineato più volte lo stesso Cantone, è fondamentale per combattere la corruzione «perché se un’azienda vince un appalto con un ribasso del 41% e poi in corso d’pera l’importo aumenta in modo esponenziale tutti capirebbero che c’è qualcosa che non torna». Il dibattito vola dai passi avanti della legge Severino, nell’alveo della quale è maturata la sua nomina a presidente dell’Autorità, al codice degli appalti da riformare «perché avvantaggia solo i grandi gruppi e schiaccia i più piccoli ». Si parla anche di mafia: «Le infiltrazioni al Nord ci sono ma la corruzione non è in questo caso un fatto mafioso».

Francesco Furlan

 

In elicottero col Cvn, poi il sì alla maxi isola

Davanti a Sant’Erasmo gli edifici per la centrale elettrica, il soprintendente Rossini si era opposto

VENEZIA – Decine di edifici in ferro e cemento che oscurano la vista del mare. Una colata di calcestruzzo in mezzo alla laguna, dove prima c’erano acqua e bassi fondali. Uno degli interventi più importanti del progetto Mose è la nuova isola artificiale davanti a Sant’Erasmo. Tredici ettari di cemento, con le nuove costruzioni ormai quasi ultimate. Adesso dovranno essere realizzate anche le ciminiere, la grande centrale elettrica per creare l’energia necessaria a far funzionare il Mose. Un pezzo della grande opera che aveva sollevato esposti e proteste sempre ignorate. Adesso, nel mezzo della grande inchiesta che prova a far luce su trent’anni di concessione unica, anche quelle vicende assumono una nuova luce. L’iter di autorizzazioni che aveva portato alla realizzazione dell’isola presenta infatti numerosi aspetti piuttosto originali. Il parere della Soprintendenza veneziana al progetto definitivo è infatti di segno nettamente negativo. L’allora soprintendente Giorgio Rossini manda al ministero il 3 settembre 2003 un lungo e articolato parere istruttorio. «L’insieme delle opere da realizzarsi nelle tre bocche di porto», scrive, «presenta elementi di alterazione fisica e paesaggistica di rilevante entità, la cui accettazione potrebbe essere giustificata solo alla luce dell’assoluta certezza dell’utilità dell’opera e della sua effettiva durata». «Tale intrusione», scrive Rossini, «risulta infatti permanente e irreversibile, ostativa di eventuali modifiche a fronte di possibili future esigenze». Quanto basta per ricevere almeno uno studio che risponda ai quesiti sollevati. Invece solo tre mesi dopo, il 3 dicembre del 2003, il Comitato di settore per i Beni ambientali e architettonici, riunito a Roma e presieduto da Marisa Bonfatti Paini, supera – e annulla – il parere negativo del soprintendente. «Vista la complessità della questione», scrive la commissione, di cui fanno parte anche il direttore generale Roberto Cecchi, già soprintendente in laguna, Giovanni Carbonara, Stella Casiello e Ruggero Martines, «ha deciso di effettuare un sopralluogo in elicottero». Alla fine del giro sull’elicottero del Consorzio Venezia Nuova il parere è positivo e rassicurante: «Nessuna opera interessa direttamente manufatti vincolati». Il Mose può andare avanti.

Alberto Vitucci

 

L’OPINIONE

di Giuseppe Tattara – Già professore a Ca’ Foscari dipartimento di Economia

È necessaria una verifica tecnica del Mose

Gentile dottor Raffaele Cantone, ho ascoltato la trasmissione televisiva “In onda” (TV7) e ho letto le sue dichiarazioni riportate sui giornali in merito al Mose. Lei sembra affermare una cosa che molti dicono, e cioè che il Mose è in stadio molto avanzato, pressoché al termine, e che una possibile azione del suo ufficio può riguardare solo la sua futura manutenzione. Io la vorrei invitare a prendere in esame alcuni fatti. 1) la tecnologia impiegata. A suo tempo e ancora oggi sono stati avanzati molti dubbi sul fatto che funzionerà (ad esempio i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e della commissione“Via”, 1998). Le verifiche tecniche operate dal Magistrato alle Acque erano frutto di corrutela e altre non ce ne sono state. Che senso ha terminare un’opera anche mancasse poco alla fine, cosa non vera, senza fare prima una verifica tecnica indipendente? Anche il Collegio di esperti internazionali a suo tempo convocato notò la “possibilità di una indesiderata risonanza tra gli elementi delle barriere”(Rapporto, 1998), che vanificherebbe l’efficacia dell’opera. Vogliamo che tutto marcisca nel fondo della laguna senza mai operare? Perché non fare oggi quella verifica tecnica che sarebbe stato necessario fare a suo tempo e non fu mai fatta? 2) ll Mose manca di un progetto esecutivo (Corte dei Conti, 2003) in base al quale si possa affermare che a tutt’oggi ne è stata completata una quota definita. Bisogna fare un’ attenta verifica circa lo stato di avanzamento dei lavori e valutare dove e se è eventualmente possibile intervenire (ad esempio le cerniere, il materiale delle paratie e altro). 3) Lei ha fatto presenti a più riprese le incongruità della Concessione Unica. Benissimo. Ma lei sa bene che nel 1995 una legge ha stabilito la abrogazione della Concessione unica e le nuove opere sono state realizzate dal Consorzio considerandole “aggiuntive” alla concessione originaria, quindi senza concorso pubblico. Ma lei vuole veramente continuare su questa strada e affidare i lavori mancanti al Consorzio? È ovvio che si sta aggirando la legge con un espediente indegno di un Paese civile. Spero veramente che lei ci ripensi o di aver capito male le sue intenzioni.

 

LAVORI DEL MOSE

Dopo la grande retata non è cambiato niente

A un mese mezzo dalla grande retata del Mose, tutto è come prima. I lavori alle bocche di porto continuano,con la posa in opera dei cassoni alla bocca di porto di Chioggia. Il Consorzio Venezia Nuova ha cambiato i vertici corrotti,come pure Mantovani Spa, l’impresa capofila del Consorzio. Il tutto come fosse un’ordinaria storia di corruzione: qualche mariuolo che per motivi di lucro personale ha gestito il malaffare. Ma l’inchiesta non dice questo: l’inchiesta sta mettendo in luce quanto da anni sostenevano le associazioni ambientaliste e i comitati e cioè che la “concessione unica” a un consorzio privato di imprese ha creato un mostro che ha partorito una grande opera inutile e dannosa, un progetto sbagliato, imposto con il monopolio della corruzione, che ha superato tutti i passaggi di approvazione con la tangente. Leggiamo sulla “Nuova Venezia” del 12 luglio che un impresa subappaltante (la CoopSanMartino) pagava250 mila euro in fondi neri-tangente alla “cupola” del Consorzio per ogni cassone (quelle scatole in cemento armato, grandi come un condominio, del costo di otto milioni ec entomila euro l’uno, che vengono posate sul fondo delle bocche di porto e nelle quali vengono collocate le paratoie): chi ci dice che l’impresa subappaltante poi, per rifarsi dei costi extra, non abbia fatto la cresta sul ferro e sul cemento? Chi ci assicura che le singole opere, pure di un sistema con molte criticità mai accertate (vedi le cerniere o il fenomeno della risonanze delle paratie) siano state realizzate adopera d’arte, per quanto riguarda i materiali e le tecniche di realizzazione? Tanto poi i collaudi erano pilotati pure quelli, come accertato dall’inchiesta. A quando un’ispezione tecnico- scientifica e contabile, da parte di un authority indipendente, sui lavori che sono stati effettuati e quelli da effettuare, che valuti anche la possibilità di una variante in corso d’opera per le criticità già denunciate?

Stefano Micheletti – Associazione Ambiente Venezia

 

Fabris: ma qui nessuna mazzetta per vincere appalti

«Ci siamo già confrontati altre volte con il governo dopo la scoperta di questa triste e schifosa vicenda e lo faremo in futuro, ma siamo convinti che le imprese possano concludere il Mose senza commissariamenti». Così il presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris . «La norma prevede il commissariamento di quelle aziende che si siano macchiate di atti corruttivi per ottenere appalti e nulla di questo è contestato per il Mose. Poi abbiamo segnato molti atti di discontinuità rispetto al passato: nuovo presidente, direttore, organi di vigilanza, la revoca delle deleghe ai dirigenti, tagli alle spese non nel nostro core business». Confermata la chiusura dei lavori entro il 2016, con una spesa finale di 5,493 miliardi. «A condizione che ci vengano garantiti i flussi finanziari necessari», chiosa il direttore Hermes Redi, «siamo avanti di tre anni rispetto ai fondi erogati dal governo,ma non ancora disponibili: ci siamo indebitati con le banche per 700 milioni per garantire i lavori». Gli interessi – spiega Fabris – «rientrano nel12% di corrispettivo del Cvn».

(r.d.r.)

 

L’INCHIESTA – Il presidente dell’anticorruzione a Venezia. Galan, dal Cvn regalo di nozze da 12mila euro

VENEZIA – Alla Camera le motivazioni del gip che non revoca il carcere per il deputato. Va ai domiciliari il bellunese Dal Borgo

Da Mazzacurati un regalo di nozze da 12mila euro a Galan

L’INCHIESTA – Intanto, dalle carte dell’inchiesta spunta il regalo che il Consorzio (gestione Mazzacurati) avrebbe fatto a Giancarlo Galan per le nozze: cristalleria per 12 mila euro.

Il Consorzio Venezia Nuova avrebbe regalato a Giancarlo Galan, in occasione del suo matrimonio, un set di cristalleria per un valore di circa 12mila euro. Il dato emerge da un recente interrogatorio cui è stata sottoposta la segretaria del Cvn al tempo di Giovanni Mazzacurati, Francesca De Pol. La magistratura, dunque, continua a raccogliere documentazione ed elementi probatori a carico del parlamentare, in attesa che la Camera si esprima sull’autorizzazione all’arresto. Dal palazzo di Giustizia fanno intanto sapere di non avere nessuna fretta di sentirlo e che lo faranno non appena si rimetterà dalla sua malattia e sarà uscito dall’ospedale dove attualmente è ricoverato per una frattura alla gamba.
Continua dunque il match a distanza: il gip Alberto Scaramuzza ha notificato alla presidente Laura Boldrini il rigetto dell’istanza – presentata dai legali di Galan, Ghedini e Franchini – di commutare l’arresto nella misura degli arresti domiciliari da scontare all’ospedale di Este. «Considerato che non essendo ancora a conoscenza di quando e come la Camera si determinerà – scrive il magistrato – questo giudice non è allo stato in grado di formulare previsioni in ordine all’esito della decisione, che, se negativa, renderà superflua ogni determinazione in merito all’odierna richiesta».
L’avvocato Antonio Franchini impugnerà oggi il provvedimento di fronte al Tribunale del Riesame, sostenendo che «l’autorizzazione a procedere è solo condizione di proseguibilità; l’ordinanza è un atto perfetto è può essere modificata anche per fatti precedenti all’esecuzione».
Il Riesame ha depositato ieri le motivazioni con cui ha concesso gli arresti domiciliari al bellunese Luigi Dal Borgo, ritenuto un intermediario in diverse operazioni illecite, membro del cda di Adria Infrastrutture e poi dell’Autostrada Padova-Venezia. Il Tribunale ha ripercorso le fasi salienti dell’inchiesta, puntualizzando la «piena consapevolezza del Dal Borgo circa la natura comunque illecita delle operazioni». Per i giudici è assodato che egli avrebbe contribuito anche a produrre fatture false. Pur ravvisando il persistere dell’esigenza cautelare per impedire la reiterazione dei reati, la corte ha concesso l’attenuazione su richiesta dei difensori, gli avvocati Guido Simonetti e Simone Zancani.

Michele Fullin

 

IL CASO GALAN TORMENTONE DELL’ESTATE

Per tutti noi italiani la salute di Giancarlo Galan sta diventando il tormentone dell’estate. Fino a una settimana fa godeva di ottima salute e ora lo ritroviamo moribondo con mille problemi fisici. Guai a tirarlo fuori dall’ospedale di Este, rifugio sicuro (vedi soci), ha certificati medici di mille primari. Per un semplice cittadino è già difficile ottenerlo anche da un solo medico di base…
Mi risulta che non abbia ancora rassegnato le dimissioni da onorevole e che continua a tenere sulla corda con le sue sciocchezze il Parlamento che di certo ha problemi molto più importanti che lo stato del “poco” onorevole Galan. Basta rinvii, se deve andare in galera che si voti e subito. Mi risulta che anche nelle carceri esistano degli infermerie-ospedali e che nessuno sia morto o sia stato abbandonato. Quindi è meglio che i suoi avvocati la smettamo di trovare cavilli per evitare la galera. Siamo stufi di tutti questi privilegi e di essere presi in giro. In questo modo si finisce per esasperare la gente.

Antonio Zoffoli – Quinto di Treviso

 

Mose, c’è l’ipotesi commissario

Cantone: stiamo valutando se applicare il decreto. Fabris: ma la gestione del Consorzio è già cambiata

LA VISITA – Il presidente dell’Autorità anti-corruzione, Raffaele Cantone, in visita a Venezia. Prima al Consorzio Venezia Nuova, poi in Procura. Ed emerge l’ipotesi di un commissario per il Mose, anche se i vertici del Cvn assicurano che la situazione è cambiata.

Il presidente dell’authority visita Consorzio e Procura: stiamo valutando se applicare il decreto anticorruzione

L’AUTORITÀ – Il modello-Maltauro fa l’apripista a Milano per lo scandalo Expo

LA REPLICA CVN «Reati non commessi per ottenere gli appalti e ora c’è discontinuità»

Mose, Cantone studia l’ipotesi del commissario

Dilemma amletico in laguna dopo trent’anni di incontrastata solitudine decisionale del Consorzio Venezia Nuova che ha fatto e disfatto tutto ciò che ha voluto su salvaguardia e Mose, l’opera idraulica più grande e costosa mai pensata in Italia. Saranno commissariati imprese e lavori in corso di ultimazione alle bocche di porto, in base alla stretta voluta dal governo dopo lo scandalo dell’Expo 2015, pallido preludio del malaffare che sta venendo a galla a Nord Est? Per dipanare la matassa di un problema giuridico, prima che politico, il commissario anticorruzione Raffaele Cantone ha compiuto ieri una visita in tre tappe a Venezia.
La prima nella sede del Consorzio, per esaminare presupposti e conseguenze della possibile replica del modello-Maltauro, già operativa a Milano e Vicenza. La seconda in Procura della Repubblica, per verificare l’esistenza delle condizioni di applicabilità, ovvero il patto illecito che avrebbe condizionato l’esito degli appalti. La terza nel teatro Aurora di Mestre, per discutere con Felice Casson, senatore del Pd, della necessità di una crociata contro la tangentocrazia, da equiparare alla Mafia per effetti nefasti su società ed economia italiana.
In quella parte di Arsenale che il Consorzio ha trasformato negli anni in un’oasi verde di pace, dentro una cornice architettonica straordinaria, Cantone ha incontrato il presidente Mauro Fabris, il direttore Hermes Redi e l’avvocato Alfredo Biagini. Ha guardato i computer che controllano la Laguna, i monitoraggi delle maree, i modellini del Mose. Poi, senza rompere – per il momento – il bel giocattolino (il governo ha assicurato che verrà portato a termine) ha ammesso: «La legge prevede la possibilità in presenza di fatti corruttivi dell’applicazione di alcuni strumenti, come il commissariamento delle imprese aggiudicatarie».
Ma per arrivare a tale conclusione deve fare i conti con «una legge speciale che risale al 1984, una scelta legislativa di altri tempi. È una situazione complicata, con un unico concessionario. Mi pare comunque strana l’idea che vengano chiamati i privati a gestire soldi pubblici e a realizzare le opere». Puntura di spillo rivelatrice di un orientamento, anche se il Commissario aggiunge: «Sono abituato a capire, prima di decidere». Per farlo deve risolvere il paradosso di poter commissariare le «imprese aggiudicatarie» che si identificano con la «stazione appaltante», il Consorzio da esse composto.
Il presidente Mauro Fabris, quando Cantone se ne è andato, cogliendo il rischio di veder strappare il potere alla nuova gestione, assicura: «Il Commissario sta valutando l’applicabilità del decreto anticorruzione. Ma per farlo deve tenere conto se vi siano stati o meno elementi di discontinuità con la vecchia governance del Consorzio». A seguire, snocciola una litania di elementi di rottura: la nuova presidenza, il nuovo direttore, un nuovo organismo di vigilanza, la revoca delle deleghe ai vecchi dirigenti, il taglio delle spese estranee alla finalità originaria del Consorzio, la concentrazione sull’asset principale, che è il completamento del Mose entro il 2016. «Si può aggiungere che in questa triste e schifosa vicenda i reati non sono stati commessi per ottenere gli appalti». Infatti, erano già stati assegnati, eppure il denaro scorreva a fiumi.
Uscendo dal palazzo di giustizia, un’ora e mezzo dopo, Cantone ha ammesso di aver aggiunto un altro tassello alla sua indagine. «Avevo la necessità di parlare con i procuratori, che mi hanno spiegato la situazione». Forse perché cercava le prove, agli atti, della corruzione? «Certamente quello è il presupposto per l’applicazione del decreto». E quindi per il commissariamento. Ma se n’è andato senza portare via documenti dell’inchiesta.
A Marghera, davanti a una platea pidiessina foltissima, interessata al tema della legalità, Cantore si è poi lasciato andare ad altre ammissioni. «Nell’Expo di Milano i lavori non li farà più la società che ha pagato le tangenti, ma le sue maestranze, con una diversa amministrazione». Ecco la strada che potrebbe ripercorrere a Venezia. Anche perché Casson lo ha sollecitato ricordando che lo scandalo-Mose nasce «dalla creazione, voluta da centrodestra e centrosinistra, di fondi leciti da gestire senza rendicontazione: lì è il marcio, il bubbone del Mose». E Cantone, di rimando: «Un Comune qualsiasi deve seguire il Codice degli appalti, mentre qui sono stati spesi 6 miliardi senza averne fatto alcuno, perché non erano previsti dalla legge che ha assegnato ai privati la gestione, senza controllo, dei soldi pubblici». Affondo finale: «E questo, con il silenzio di tutti».

Giuseppe Pietrobelli

 

IL SUPERMAGISTRATO – Cantone: «A Venezia più corruzione che a Milano»

«Leggi criminogene hanno favorito il Consorzio»

MARGHERA Affollato incontro all’Aurora con il magistrato simbolo della lotta al malaffare negli appalti

Cantone: «A Venezia corruzione a 360 gradi»

«Venezia peggio di Milano. Qui la corruzione è a 360 gradi e coinvolge tutti, anche i controllori. Se punto a commissariare le imprese del Consorzio Venezia Nuova come ho fatto con la Maltauro a Milano? Non credo sia possibile. Vedremo. Quel che è certo è che dobbiamo riflettere sulla portata della corruzione nel nostro Paese, che è un cancro paragonabile alla mafia. E come abbiamo vinto la mafia dobbiamo vincere la corruzione.» Così Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione ad un incontro pubblico, a Marghera. Al teatro Aurora che negli anni ha ospitato infuocati dibattitti sulla chimica e sull’occupazione, Raffaela Cantone ha detto chiaro e tondo che lo scandalo del Mose nasce da una “legislazione criminogena” perchè a suo tempo, quando fu affidato l’incarico al Consorzio Venezia Nuova di gestire i soldi pubblici, una parte di aziende del Consorzio era pubblica, ma poi sono diventate tutte private. E come si fa a far gestire i soldi pubblici da un privato? E riconoscerli il 12 per cento su tutto quello che fa?» – si è chiesto Cantone. Dunque la corruzione è stata favorita se non incoraggiata dalla Legge speciale per Venezia. Resta il fatto che poi gli imprenditori – e i politici, i funzionari statali, i Finanzieri corrotti- ci hanno messo del loro e la corruzione è diventata quel “sistema Mose” che la Procura di Venezia ha portato alla luce. Una corruzione così estesa da far dire al magistrato simbolo della lotta alla corruzione che il punto nodale – e lo dice anche il senatore Felice Casson che ha partecipato al dibattito all’Aurora – è che è necessario un cambio di mentalità. «Oggi il corruttore non è una persona antipatica. Si fa fatica a rendersi cnto della sua pericolosità. E invece la corruzione mina alle basi la società perchè mette le imprese oneste nella impossibilità di competere. Ecco perchè ho commissariato la Maltauro. L’imprenditore che ha pagato le mazzette non deve godere i benefici della sua azione di corruttela. E quindi la sua impresa lavorerà, i suoi operai lavoreranno, ma lui non incasserà un centesimo». Ma oltre ai soldi delle mazzette, nel caso Mose bisogna tener conto anche degli altri soldi, quelli spesi in “liberalità” e cioè in sponsorizzazioni e convegni, in film e studi di ogni tipo, ma anche in squadre di calcio e di basket. E in campagne elettorali. «E anche chi ha preso i soldi in modo lecito e li ha dichiarati – ha detto Casson – deve rendersi conto che comunque ha fatto sì che si creasse un terreno fertile per la corruzione. Perchè, come si fa a mettersi contro qualcuno che ti ha sponsorizzato il convegno o che ti ha pagato la campagna elettorale?»

 

Nuova Venezia – Galan nell’ospedale del direttore-socio

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17

lug

2014

Galan nell’ospedale del direttore-socio

La scelta del ricovero a Este, dove l’Ulss è guidata da Pavesi

Il manager ha il 6,5% di Ihfl, società controllata dal deputato

La replica: «Respingo ogni insinuazione, non sapevo che venisse qui, un po’ di rispetto verso i medici»

PADOVA – Certo che ne capitano di tutti colori a Giancarlo Galan. Non bastava la traversia giudiziaria. Mentre pota le rose a Villa Rodella seguendo il corso dei suoi pensieri, inciampa e si frattura una gamba. Lo stesso Galan è un recidivo. Anni fa arrivò a Palazzo Balbi con una mano completamente fasciata. «Stavo potando le rose con le forbici», raccontò, «non mi sono accorto che mi stavo tagliando». Per fortuna che non va a vendemmiare, commentò uno. Battutaccia. Poco intonata oggi, perché la sanità del Veneto, che Galan ha sempre definito tra le migliori d’Europa, gli fa un’ingessatura troppo stretta: la gamba si gonfia, sopraggiunge una flebite, c’è il rischio di un trombo, lui è diabetico, ha complicanze cardiache, bisogna portarlo d’urgenza in ospedale. La situazione è seria, dicono. Voi dove andreste se rischiaste la pelle: nell’ospedale più vicino o in quello più famoso e attrezzato? Questa domanda a risposta obbligata è stata adoperata per anni dalla Regione a guida galaniana per convincere i veneti che bisogna chiudere gli ospedali più piccoli: avevano senso in passato, oggi la medicina è diffusa sul territorio, i ricoveri devono essere appropriati, minima durata, strutture efficienti. Bene. Adesso che tocca a lui, Galan sceglie l’ospedale più piccolo e meno attrezzato rispetto a Padova. D’accordo che Este non è un ospedale tra i più piccoli, resta il fatto che entro fine anno lo chiudono (è previsto il trasloco nel nuovo ospedale unico della Bassa Padovana).Non solo. Si viene a sapere che il direttore generale dell’Ulss 17 Giovanni Pavesi è socio in affari di Giancarlo Galan nella Ihfl,una società a responsabilità limitata costituita nel 2011. Il particolare non aiuterà a guarire, ma complica senz’altro il caso, dall’ottica della Camera che deve votare l’autorizzazione a procedere. Che Galan e Pavesi fossero amici non è una novità. Galan lo insedia nel 2008 dando il benservito al precedente direttore generale Ugo Zurlo, benché questi avesse predisposto il progetto del nuovo ospedale unico con tecnici interni (risparmio per la Regione di 700.000 euro). E benché puntasse sul mutuo bancario invece che sulla concessione ai privati (una variante del project financing, il denaro investito rende il 20% l’anno). Verrà scelta questa seconda strada. E poco importa che Pavesi fosse incappato nella Tangentopoli veronese del 1992: arrestato per aver pagato una tangente di 150 milioni di lire. Acqua passata. Di nuovo oggi c’è questa Ihfl, inquisita nell’inchiesta Mose. Galan ne detiene il 50% attraverso la Sirefid spa, una fiduciaria milanese. Pavesi ne detiene il 6,5%, altri soci sono figure di spicco della sanità veneta e lombarda. Secondo la Finanza l’obiettivo di Ihfl era entrare nella costruzione del nuovo ospedale di Padova. In project naturalmente. Pavesi, lei sta ultimando l’ospedale nuovo della Bassa Padovana. «Non so se ho operato nel migliore dei modi, ma sono certo di poter demolire le vostre convinzioni in proposito, con dati di fatto. Basta che vogliate prenderne visione». Volentieri, ma intanto lei è socio di Galan? «Arrivate in ritardo. L’Ihfl è una notizia vecchia e digerita, uscita dopo i primi giorni dell’inchiesta Mose». Con cui ha a chefare? «Non c’entra un fico secco. Non solo, questa società non è stata mai attivata. È in liquidazione. Avrebbe dovuto svolgere consulenza sanitaria all’estero, invece è abortita prima di partire e non ha mai approvato un bilancio. Comunque verificate le cose che dico, perché io sono solo un socio». Lei è ancora socio? «Finché non è liquidata sì». Quanti soci siete? «Non li conosco nemmeno, sono professionisti del settore sanitario. Capisco che viene facile dire l’hanno ricoverato lì perché il direttore generale è suo amico. Questo si può anche scrivere. Ma un po’ di rispetto per il medico che l’ha ricoverato, su questo non transigo. Io ho saputo che Galan era qui,quando sono arrivato». Non vi eravate parlati prima? «No, assolutamente. Che sia il direttore generale che stabilisce il ricovero, mi sembra assurdo a prescindere». Ma se lei fosse a rischio andrebbe nell’ospedale più attrezzato o in quello più piccolo? «Adesso lei mi offende, Este è un ottimo ospedale». Ma di quattro ospedali ne state facendo uno, vorrà dire qualcosa. «È corretto, ma lo dico per non indurre a retropensieri chi legge. Intendo che possa esserci un medico compiacente, che si sia preso il rischio di un ricovero non dovuto. L’errore può sempre starci, ma sul comportamento strettamente professionale non ho nessun dubbio».

Renzo Mazzaro

 

«Galan può stare in carcere»

Mose,no del gip ai domiciliari. Martedì il voto alla Camera

Il gip: no ai domiciliari da scontare all’ospedale

Il giudice Scaramuzza: se e quando Montecitorio voterà l’arresto, l’ex ministro non trascorrerà la detenzione a Este. Riesame, respinto ricorso di […]

VENEZIA – Se e quando la Camera dei deputati darà il via libera per l’arresto di Giancarlo Galan, l’ex presidente della Regione Veneto non potrà rimanere nella stanza dell’ospedale di Este dove si trova ricoverato ora e tanto meno nella sua villa di Cinto Euganeo. Ieri, infatti, il giudice veneziano Alberto Scaramuzza ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari in ospedale avanzata dai difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, così come avevano sostenuto i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Il magistrato lagunare ha dichiarato il non luogo a provvedere, spiegando di non poter decidere perché l’ordinanza di custodia cautelare «è sospesa», in attesa dell’autorizzazione a procedere per Galan. Nella sostanza, sostiene che potrà decidere sull’eventuale conversione della custodia in carcere in arresti domiciliari solo nel momento in cui la Camera si esprimerà sull’autorizzazione alla misura cautelare per il parlamentare veneto. La Camera, ricorda, potrebbe infatti anche non concedere il via libera e quindi la misura non sarebbe mai eseguita o, ancora, potrebbe concederla tra alcune settimane, quando i problemi di salute dell’esponente di Forza Italia potrebbero essere in parte risolti. «Il giudice sbaglia», ha osservato l’avvocato Franchini, «perché nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere l’autorizzazione a procedere da parte del Parlamento non è una condizione di procedibilità ma di efficacia della misura. E in base al codice il giudice può intervenire in qualsiasi momento per modificare la misura in base a fatti nuovi, come un ricovero ospedaliero. Presenteremo appello». Chiarito, intanto, il fatto che Galan non si è fratturato tibia e perone, come raccontato inizialmente, bensì il piccolo malleolo, una frattura molto meno grave. Ieri, il Tribunale del riesame presieduto dal giudice Angelo Risi ha respinto il ricorso presentato dai difensori del commercialista milanese […] latitante a Dubai, come ha confermato ieri uno dei suoi legali. Niente arresti domiciliari nel caso tornasse in Italia, ma il Tribunale ha spiegato che l’autorità giudiziaria di Venezia non è competente ad indagare perché il reato sarebbe stato commesso negli uffici padovani della «Mantovani » e, quindi, tocca alla Procura di Padova continuare a svolgere le indagini. L’accusa gli contesta di essere stato lamente del sistema di fatturazione fasulla e sovrafatturazione che ha permesso a Piergiorgio Baita di creare fondi neri all’estero per circa otto milioni di euro. Il pm Buccini, ieri, ha depositato l’interrogatorio di un altro imprenditore, il chioggiotto Gianfranco Boscolo Contadin, il quale ha confermato le accuse di Baita, sostenendo che lo stesso sistema sarebbe stato messo in atto, grazie alla consulenza di […], anche alla «Co.Ed.Mar». Nel pomeriggio di oggi, infine, il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone incontrerà il procuratore Luigi Delpino e i pm.

Giorgio Cecchetti

 

Manager pubblici veneti: è Baita il paperone

Non solo Mantovani: in veste di vicepresidente Autostrade Serenissima ha dichiarato 594 mila euro

VENEZIA Tra i manager pubblici del Veneto, il più ricco è l’ingegnere Piergiorgo Baita che – in veste di vicepresidente dell’Ente Società Autostrade Serenissima, ha dichiarato nel 2012 un reddito di 594.137 euro. Ma nell’elenco delle 24 dichiarazioni patrimoniali e reddituali dei dirigenti di società pubbliche o partecipate dal pubblico, diffuso dalla prefettura di Venezia, l’ex presidente della Mantovani (indagato e teste chiave dello scandalo Mose) conta un ulteriore primato: la quarantina tra consorzi, imprese e società dove risulta presidente, vice o consigliere; l’ingegnere possiede un’auto Audi A6; fabbricati in comproprietà a Lignano Sabbiadoro, Mogliano, Treviso e Venezia; e un terreno in comproprietà a Mogliano. Baita, poi, partecipa con un pacchetto di azioni pari al 5% delle quote dnell’impresa di costruzioni Mantovani. Nella classifica dei paperoni, al secondo posto troviamo Giulio Burchi, ad della A4 Holding spa con un reddito pari a 526.587 euro, due Fiat e una Ferrari. Il veneziano Maurizio Milan, in veste di presidente dell’aeroporto lidense Nicelli, gli sta alle calcagna con ben 524.153 euro, piazzandosi al terzo posto. Nonostante la voce riporti «situazione patrimoniale invariata» continua a crescere il reddito del Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia Paolo Costa: nel 2012 dichiara 447.061 euro, contro i 420.533 del 2011 e i 407 mila del 2010. A confronto con queste cifre, gli altri sembrano vivacchiare. I successivi veneziani sono Cristiano Chiarot, sovrintendente del Teatro La Fenice con 174.192 euro e i direttori della società «In Housesrl», collegata alla Camera di Commercio,Mario Feltrin con 126.401 e Alberto Capuzzo con 109.705 euro. Tra i padovani, per un soffio, il più ricco è Mario Peghin, presidente fino al 2012 del Parco Scientifico Tecnologico Galileo Spa con 221.560 euro, seguito da Attilio Schneck, presidente della Holding A4, con 221.195 euro. Il terzo posto va sempre al Pst Galileo con Giuseppe Stellin (213.131 euro) al quarto (e ultimo) troviamo Giampaolo Negrin, presidente Fiera di Padova immobiliare Spa con 121.710 euro. Si scende ancora a Treviso con un reddito under 100 mila: 25 mila per Adriano Sartor, vice presidente di Tecnologia e Design scarl a Montebelluna, 18 mila per Giuseppe Montuosi, vice presidente di Gal Terre di Marca a Gorgo al Monticano, 15 mila per Danilo Bronca, vice presidente del consorzio zootecnico «Comizo » e 14 mila per Franco Dal Vecchio, presidente di Gal Alta Marca. A Belluno invece gli unici ad aver presentato il reddito sono stati Antonio Andrich e Renzo Minella; il primo, direttore dell’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, dichiara 33.222 euro di reddito; tra i suoi beni spicca una Vespa Piaggio Spint immatricolata nel 1966. L’altro, Minella, per Dolomiti Turismo, società destinata a chiudere, nel 2012 dichiarava un reddito pari a 78.233 euro. Gli altri manager «paperoni» del Veneto si trovano Rovigo: Giuseppe Moretto di Polesine TLC srl»con 80 mila euro e Corrado Facco, direttore della Fiera di Vicenza con 204.398 euro.

Vera Mantengoli

 

IL VERTICE – Cantone a Venezia oggi incontra i pm

Pomeriggio veneziano, oggi, per Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione alle prese in queste settimane con l’intreccio fra inchieste giudiziarie ed Expo di Milano. Il magistrato arriva intorno alle 14 al Consorzio Venezia nuova e visita i cantieri del Mose. La seconda tappa in agenda è alla procura veneziana: Cantone incontra il pool dei magistrati che indagano sulle dighe mobili e sul colossale giro di tangenti fiorito intorno alla sua costruzione. All’incontro sarà presente Luigi Delpino, procuratore della Repubblica di Venezia. Infine alle 17.30 Cantone partecipa a un convegno dal titolo “Malaffare e politica” insieme con il senatore Pd Felice Casson. Il convegno si svolge al teatro Aurora di Marghera ed è organizzato da circolo culturale e di solidarietà Umberto Conte, associazione Campo Aperto, Auser di Venezia, Spi-Cgil metropolitana e Arci di Venezia.

 

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