Nuova Venezia – Baita finisce in manette scoperti i fondi neri
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
1
mar
2013
In carcere con il presidente della Mantovani anche Claudia Minutillo William Colombelli e Nicolò Buson. Sono accusati di frode fiscale
VENEZIA – È finito in manette uno dei “padroni del Veneto”, l’imprenditore veneziano Piergiorgio Baita, 64enne presidente della Mantovani Spa, asso pigliatutto delle costruzioni venete soprattutto regionali e in generale pubbliche, in project financing e non, e la principale del Consorzio Venezia Nuova impegnato nei lavori per il Mose. Con lui sono stati arrestati dai finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova, Claudia Minutillo (49 anni), nella sua lunga carriera segretaria di numerosi esponenti politici del Pdl, da Giancarlo Galan a Paolo Bonazza Buora, e ora trasformatasi in manager tanto da divenire amministratore delegato di “Adria Infrastrutture spa”; William Colombelli, 49enne titolare di una società di San Marino che si faceva passare per console onorario della Repubblica del Monte Titano, e Nicolò Buson (padovano di 56 anni), responsabile amministrativo della «Mantovani». Tutti sono accusati di associazione a delinquere e di concorso in frode fiscale. Baita, rinchiuso ora nel carcere di Belluno, è stato arrestato nella sua abitazione di Mogliano, mentre Minutillo era a Mestre ed è stata accompagnata nel carcere femminile della Giudecca, così Buson che è stato bloccato a Padova e accompagnato al Santa Bona di Treviso, infine Colombelli è finito in manette a Santa Margherita Ligure, dove risiede abitualmente ed è finito nel carcere di Genova. Due le direzioni dalle quali gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero veneziano Stefano Ancilotto, sono arrivati alla «Business Merchant consulting (Bmc) Broher srl» di San Marino di Colombelli: il Nucleo di Polizia tributaria di Padova attraverso una verifica fiscale negli uffici amministrativi della “Mantovani”, che sono nella città del Santo, e il Nucleo di Polizia tributaria di Venezia a partire dall’indagine che hanno portato due anni fa all’arresto dei due dirigenti dell’ufficio Edilizia della Provincia e da quella dell’anno scorso nell’ambito della quale è finito in manette l’amministratore delegato della società Autostrade Venezia-Padova Lino Brentan. I finanzieri avrebbero accertato che, a partire del 2005, la Bmc Broker avrebbe emesso fatture false per dieci milioni di euro, di cui otto a favore della «Mantovani» di Baita e altri due a favore della «Adria Infrastrutture» della Minutillo. Secondo quelle fatture fasulle, la società di Colombelli avrebbe svolto attività tecniche che in realtà avevano già svolte altre aziende pagate regolarmente e che avevano rilasciato fattura, questa sì vera. Ad esempio, la Bmc Broker avrebbe svolto ricerche di mercato, studi su possibili inserzioni pubblicitarie, addirittura ricerche sulla consistenza che dovevano avere le paratie del Mose, ricerca di partner commerciali. Consulenze pagate profumatamente: fatture false da 500 mila euro, addirittura di un milione che venivano poi pagate tramite bonifico bancario su conti correnti sanmarinesi e, a stretto giro, quei soldi venivano prelevati in contanti per la quasi totalità (escluso il corrispettivo che veniva trattenuto per la commissione) da Colombelli o da suoi incaricati. Denaro che sarebbe poi stato riconsegnato a Baita e a Minutillo, in Italia e in Svizzera. In questo modo «Mantovani» e «Adria Infrastrutture» avrebbero costituito veri e propri fondi neri per circa 10 milioni di euro. Solitamente attraverso le risorse clandestine le imprese pagano tangenti ai pubblici amministratori e gli inquirenti veneziani stanno compiendo accertamenti su questo punto. Il giudice veneziano Alberto Scaramuzza ha disposto anche sequestri di beni mobili e immobili per 8 milioni di euro e i finanziari hanno sequestrato a Baita due conti correnti e cinque appartamenti (a Mogliano, a Treviso, a Venezia e a Lignano); a Colombelli un conto corrente, una villa sul lago di Como e due barche (una di 14 metri ormeggiata a Portofino e l’altra di sei metri sul lago, sotto casa); a Minutillo due appartamenti, uno a Mestre, l’altro a Jesolo; a Buson un appartamento a Padova. Nella conferenza stampa il procuratore della Repubblica Luigi Delpino ha voluto sottolineare l’importante collaborazione internazionale fornita dall’autorità giudiziaria e di polizia sia della Repubblica di San Marino, un tempo considerato un paradiso fiscale, e della Svizzera. «È stata una collaborazione essenziale» ha detto il magistrato. A coordinare le indagini i colonnelli della Guardia di finanza Renzo Nisi e Giovanni Parascandolo.
Giorgio Cecchetti
«Azzero il debito per… Giancarlo»
Le registrazioni telefoniche fatte da William Colombelli per incastrare l’ingegnere: «Questo non lo dovevi fare»
VENEZIA «Questo non lo dovevi fare…», è il 15 maggio dello scorso anno e Piergiorgio Baita parla al telefono con William Colombelli. E il presidente di Mantovani si riferisce alle registrazioni delle loro conversazioni fatte dal titolare della BMC Broker, quando s’incontravano e quando incontrava Claudia Minutillo. Registrazioni che i finanzieri avevano sequestrato il giorno prima durante la perquisizione della società di San Marino. Sono le registrazioni che incastrano Baita e che non lasciano scampo nemmeno a Claudia Minutillo. In una conversazione Baita dice all’altro: «Quel materiale non avrebbe dovuto esserci…». Colombelli aveva iniziato a fare registrazioni quando, a fine 2010, ha capito che i due lo stavano scaricando. Dieci i file trovati riguardanti le registrazioni. In uno dei file trovati in casa a Colombelli e denominato “conti a casa con Claudia”, l’uomo e la Minutillo parlano dell’incontro che ci deve essere con Baita, nel quale il presidente di Mantovani deve fare l’offerta per l’acquisizione di BMC Broker. Dice Colombelli: «…sono valori miei, io qui ho soltanto i fatturati loro Adria, Mantovani…vedi che i primi anni c’era Consorzio, Talea…le Autostrade». Colombelli spiega che il fatturato lo fa con la Mantovani e con altre società che usano lo stesso sistema delle fatture false. In un altro passo della registrazione Colombelli spiega il sistema, il “giro del nero” della Mantovani, grazie alle fatture false. Dice alla Minutillo: «Che i 4mila, dove cazzo sono, questi soldi qua…questi 2 milioni e 697, questi 4 milioni…questi 3 milioni…li hanno sempre avuti indietro…su questo fatturato loro portano a casa sempre…perché c’è l’ho segnato sempre…se vai sul 2005, loro hanno portato a casa 4 milioni in nero, mi segui? Io l’ho fatturato quel lavoro, e tu c’hai guadagnato…con tutti quei soldi in questi anni tu hai portato a casa tutto questo totale di nero…». Poi riferendosi a Baita dice: «Se comincia a rompere i coglioni c’ho qua tutto, c’ho qua la lettera e le altre cose di Mantovani». Colombelli vuole che Baita acquisti, per 3 milioni la sua azienda. «Il fatto del bilancio glielo azzero nello stesso identico modo. Se lo vogliono fare…perché è stata arrivata la cosa…da…da Giancarlo…». E ancora: «Vi siete portatati a casa la bellezza di 8 milioni di euro in sei anni che io ti ho consegnato personalmente». Colombelli vuole vendere la società per farla chiudere, staccando fatture false a favore di Mantovani. Come del resto vuole fare Baita che sente il fiato della Guardia di Finanza addosso. Ma ritiene che 3 milioni siano troppi.
Carlo Mion
la conversazione – Baita: «Non voglio una cartiera all’interno del mio gruppo»
Che Piergiorgio Baita si renda conto che la “Bmc Broker” sia una “cartiera” è evidente in alcune conversazioni registrate da Colombelli nel 2010, quando ci sono gli accertamenti della Guardia di Finanza e quando i due discutono della possibile acquisizione, da parte di Baita della società dell’altro. Dice Baita: «Non penso che tu abbia fatto la Bmc per noi». Colombelli risponde: «Inizialmente aveva anche un ramo commerciale, ma negli ultimi anni è stata solo per voi». In un’altra conversazione, quando la Bmc, in seguito ai controlli della Guardia di Finanza, non lavora più, e Colombelli insiste perché la sua società venga acquisita dal gruppo Mantovani. Baita gli risponde: «Io non posso come gruppo prendere una società che produce carta, è pericoloso». Quando oramai hanno capito che la Guardia di Finanza sta scavando a fondo sulla loro attività cercano di sapere quanto gli investigatori hanno scoperto pagando un poliziotto di un commissariato che attraverso il computer del Ministero dell’interno aveva cercato di scoprire se ci fossero persone indagate tra loro. (c.m.)
Spunta una gola profonda una dipendente della bmc broker
Oltre a riscontri cartacei di bonifici bancari e prelevamenti di contante nelle banche di San Marino per un totale che supera gli otto milioni di euro, gli investigatori della Guardia di finanza di Padova coordinati dal pubblico ministero Stefano Ancilotto hanno basato l’indagine su due punti di riferimento. Il primo è stato una ”gola profonda”, determinante nel tratteggiare il funzionamento dall’interno del sistema messo in cantiere da Baita, Minutillo e Colombelli. Si tratta di una dipendente della Bmc Broker, la quale inizialmente, probabilmente su pressione del suo datore di lavoro, non ha rivelato alcunché, ma in un secondo momento ha riferito come funzionava il meccanismo, riferendo sostanzialmente che dietro le fatture che partivano per Venezia non c’era scambio di beni o servizi. Una conferma testimoniale di quello che gli investigatori delle «fiamme gialle» avevano appurato grazie alla documentazione sequestrata presso gli uffici padovani della Mantovani con la verifica fiscale. Il secondo punto di riferimento sono le intercettazioni telefoniche ed ambientali alle quali sono stati sottoposti Baita, Minutillo e Colombelli. Telefoni di casa, cellulari e anche microspie nelle automobili. E’ stato spiegato ieri che inserire la «cimice» nell’auto del sanmarinese è stata un’operazione piuttosto complessa che ha portato via ai finanzieri alcuni mesi addirittura. Colombelli, infatti, era molto attento e piazzava la sua auto di lusso sempre nei pressi di dove si trovava in modo da poterla tenere sotto controllo con uno sguardo. E le intercettazioni hanno potuto anche stabilire quale tenore di vita manteneva Colombelli: ville, auto sportive, vacanze in luoghi da sogno e imbarcazioni, Eppure, a un veloce controllo della sua dichiarazione dei redditi, risultava appena sopra il limite della povertà: negli ultimi anni, infatti, il presidente della «Bmc Broker» aveva dichiarato cifre intorno ai 12 mila euro di reddito lordo all’anno.
La resistibile ascesa di Baita Da Tangentopoli al Mose. Garante del patto tra il democristiano Bernini e il socialista De Michelis negli Anni Novanta poi ingegnere del “sistema maxi opere”. «Gli appalti non piovono, deve proporli l’impresa»
Dicono che la Mantovani prende sempre tutto ma questo indica una mentalità. Ora bisogna rischiare del proprio, non c’è più niente da prendere nelle opere pubbliche.
L’INGEGNERE DEL “SISTEMA GRANDI OPERE”
VENEZIA – La battuta che gira è che nel 1992 Baita si salvò parlando: se parla oggi, altro che Grillo, viene giù il soffitto. Ma cosa potrebbe dire oggi l’ingegner Piergiorgio Baita di così grave che non si sappia già, almeno nelle linee generali se non proprio nei dettagli? Il sistema dei lavori pubblici nel Veneto e delle grandi opere costruite con i soldi dei privati che poi si fanno rimborsare dagli enti pubblici, è ampiamente noto e descritto, con nomi e cognomi, da anni, in centinaia di articoli di giornale. Non c’è niente di misterioso, è tutto alla luce del sole: vincono sempre i soliti. Sono i più bravi, i più fortunati e i più ammanicati, fate voi in che ordine. Vincono quando ci sono le gare e anche quando non ci sono. Vincono perfino quando fanno offerte più alte dei concorrenti. Il sistema è arrivato al punto che la decisione di costruire un ospedale o un’autostrada è stata delegata ai privati: la Regione Veneto che dovrebbe stare all’inizio del processo programmatorio arriva in coda a prenderne atto. Da notare che non siamo in regime di monopolio: le imprese sono tante ma poche si accaparrano i grossi lavori, tutte le altre fanno la coda per elemosinare un sub-appalto. Alle condizioni imposte. Prendere o morire. E questo alimenta un clima di veleni. È una situazione illegale? Sono «vestitini cuciti su misura» del tipo di quelli realizzati in Lombardia per l’amico di Roberto Formigoni, quel Pierangelo Daccò che gli pagava le vacanze ma poi viaggiava in corsia di sorpasso quand’era il momento di assicurarsi gli appalti regionali? Piergiorgio Baita potrebbe dare di sicuro qualche risposta, anche se lui sostiene da tempo di aver preso il largo dai politici. Per almeno due motivi: non contano più niente, fatto sotto gli occhi di tutti, e hanno finito i soldi, cosa un po’ meno evidente. «Mi hanno dipinto come il compagno di merende di Giancarlo Galan», ci diceva l’anno scorso. «Compagno di merende nel senso che lui mi ha sempre portato via la merenda per darla ai suoi amici, questo sì! Dal nuovo ospedale di Este-Monselice al padiglione Jona di Venezia, al Centro Protonico di Mestre: chiedete all’onorevole Sartori perché la Mantovani l’ha perso. Ecco i compagni di merende. Questo è un luogo comune, non solo falso ma che ha funzionato al contrario. Non sono mai stato così tranquillo dopo che Giancarlo Galan è andato a fare il ministro». Adesso Galan non è più ministro e l’ingegnere è un po’ meno tranquillo. Pochi lo sarebbero nella sua situazione, anche se agli arresti era già finito nel 1992, con la prima Tangentopoli. All’epoca dirigeva il Consorzio Veneto Disinquinamento, controllato da Iniziativa Spa, società costituita dall’impresa Furlanis, per la quale lavorava da vent’anni, e da Italstrade (Partecipazioni Statali). Puntavano a diventare concessionari di grandi opere pubbliche, con la formula del project financing che all’epoca nessuno conosceva. La sponda politica era assicurata da Franco Cremonese presidente della Regione e dal ministro Carlo Bernini. Mani Pulite mandò tutti a gambe all’aria, ma Baita ostinandosi a volere il processo ne venne fuori assolto nel 1995 per non aver commesso il fatto. Ai magistrati aveva raccontato per filo e per segno il meccanismo di spartizione degli appalti tra Carlo Bernini e Gianni de Michelis, i due dogi del Veneto di allora. La sua tesi era che in Veneto le imprese potevano lavorare solo con la “benedizione” dei partiti, ottenuta pagando un “obolo” alla chiesa, evidentemente. Era un concusso, non un corruttore. Piergiorgio è un tipo tosto, preparato, volitivo. Già risorto una volta. Molto addentro ai meccanismi. Con gli agganci che gli hanno consentito di riemergere e portarsi al comando, primo tra questi il patto di ferro con Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. Non si contano gli incroci societari e le partecipazioni con il suo nome, non ultima quell’Adria Infrastrutture spa che compare in un sacco di appalti pubblici del Veneto. Nel Cda di Adria Infrastrutture sedeva anche Claudia Minutillo, la dark lady, segretaria del presidente Giancarlo Galan fino al 2004, poi defenestrata senza complimenti ma subito «indennizzata» con incarichi e prebende sui generis, per tenerla buona. La Minutillo è in Bmc Brokers, la società che arriva da San Marino per rifornire il buffet pre-elettorale voluto da Galan nel febbraio 2006 a Fusina, con gli allora ministri Lunardi e Matteoli. Seicento invitati, costo 150.000 euro più altri 60.000 pagati da Palazzo Balbi attraverso Veneto Acque, società regionale. La Brokers incassa anche i 130.000 euro di una incredibile campagna informativa sullo stato di attuazione del Sfmr, il metrò regionale che ad oggi non è ancora partito. Quanto coinvolto sia stato Piergiorgio Baita in questi costosi giochi di palazzo, difficile dire. Di certo è un uomo che garantisce gli accordi. La prima repubblica finisce con Baita in galera, la seconda comincia con Baita libero come un fringuello che prende in mano la Mantovani Costruzioni, la fonde con la Laguna Dragaggi e ne fa una macchina da guerra. Vince dappertutto. Possibile che tocchi sempre a lui? «Dicono che la Mantovani prende tutto, ma questo indica la mentalità», ci replicava l’anno scorso. «La Regione che eroga e io sotto a prendere sgomitando con gli altri per arrivare prima. Non c’è più niente da prendere, devi essere tu a proporre. Bisogna investire e questo vuol dire rischiare soldi tuoi. Quelli che dicono che la Mantovani prende tutto, sono lì che aspettano che torni a piovere denaro pubblico sulle loro imprese. Succederà sempre meno. Io cerco di fare una mia strada, diversa dagli altri». Un’altra frase che l’ingegnere ama è una citazione di Al Capone, che non a caso ci faceva un anno fa, dopo l’arresto di Lino Brentan: «Puoi fare molta più strada con una parola gentile e una pistola, che con una parola gentile e basta». Baita cercava di spiegarsi l’arresto del presidente dell’autostrada Nogara-Mare arrivato tre mesi dopo l’avviso di garanzia. Perché non l’avevano arrestato subito? Per la strategia dei due tempi: prima la parola gentile, poi la pistola alla tempia. Adesso la pistola alla tempia ce l’ha lui. Siamo alla fine della seconda repubblica? «Non è vero che i project financing sono vinti tutti dalla Mantovani» ci aveva detto ultimamente. «Venite a trovarmi che vi do la classifica aggiornata». Ma non c’è stato il tempo.
Renzo Mazzaro
LA CURIOSITA’ – L’indagine è stata anticipata in un libro I magistrati veneziani: «Tutto spiegato nei “Padroni del Veneto” di Renzo Mazzaro»
VENEZIA – Lo hanno letto sia il pm Stefano Ancillotto che i finanzieri che si stanno occupando della frode fiscale attribuita al gruppo Mantovani, da qualche nano. Si tratta del libro “I padroni del Veneto” scritto dal giornalista Renzo Mazzaro. In quel libro c’è l’anima dell’indagine che ieri ha portato in carcere Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. In quel libro è spiegato molto bene come avviene l’incontro tra gli imprenditori veneti, Baita in testa, e William Colombelli. Avviene grazie all’allora presidente della Regione Giancarlo Galan. Quando all’epoca la Bmc di Colombelli si occupava, con il suo ramo commerciale, di manifestazioni fieristiche. Ancora ieri il pm Ancillotto, a chi chiedeva come era nato il rapporto tra Baita e Colombelli, rispondeva: «È spiegato molto bene nel libro “I padroni del Veneto”». Leggendo quel libro spesso gli investigatori hanno capito che la realtà che emergeva dalla loro indagine, personaggi compresi, era raccontata in quelle pagine. Del resto il libro di Renzo Mazzaro mette in luce come con il sistema del project finacing la Mantovani è diventata, grazie all’appoggio della presidenza di Giancarlo Galan, se non la padrona del Veneto, uno dei padroni. Per ora le indagini si sono fermate agli imprenditori, mentre nel libro s’incontrano altre figure importanti che però appartengono al mondo della politica. I finanzieri continuano a rileggerlo, quel libro.
Il monopolio Mantovani. Ora trema anche l’Expo.
L’azienda si è aggiudicata la gara per le opere dell’esposizione milanese. E per il Mose incassati finora cinque miliardi e mezzo e non è ancora finita.
VENEZIA «Monopolio? Ma dai… Noi investiamo, rischiamo. Siamo un’impresa e facciamo quello che decide la politica». Così Piergiorgio Baita, 64 anni, imprenditore numero uno del Veneto, rispondeva poco tempo fa sulla «Mantovani pigliatutto». L’impresa padovana nata nel 1947, da 25 anni nelle mani della famiglia Chiarotto, è oggi uno dei leader nel panorama edilizio-immobiliare nazionale. Prima nel Veneto, undicesima in Italia, appalti e incarichi in continua espansione. Il nome di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani da quasi vent’anni, si trova per ben 67 volte nel registro delle imprese della Camera di commercio come presidente, consigliere, rappresentante legale. Il grosso delle commesse arriva dal Mose, le dighe mobili da anni al centro dei riflettori. Giunte al 65 per cento dei lavori, costo complessivo 5 miliardi e mezzo di euro, cinque volte il prezzo del progetto di massima. Un miliardo e 200 mila in più del «prezzo chiuso» stabilito pochi anni fa. Soldi garantiti, vista la concessione unica prevista dalla Legge Speciale del 1984. Sul Mose l’Unione europea ha respinto l’archiviazione dell’esposto degli ambientalisti. E nei prossimi giorni convocherà tecnici e Magistrato della Corte dei Conti, Antonio Mezzera, che aveva duramente criticato la gestione finanziaria della salvaguardia negli ultimi anni. Mose ma non solo. Il nome Mantovani si legge in quasi tutti i grandi cantieri aperti, progettati e appena chiusi del Veneto. Con particolare concentrazione in laguna. C’è il Passante di Mestre, ma anche le bonifiche di Marghera, lo scavo dei canali portuali e la difesa dei litorali, il restauro di rive, banchine portuali e fondamenta. Il tram di Mestre è stato realizzato dalla Mantovani, così come il depuratore di Marghera. Con la benedizione di Giancarlo Galan, presidente del Veneto per 15 anni e oggi deputato del Pdl, la Mantovani ha realizzato con il sistema del project financing il nuovo Ospedale di Mestre e il centro protonico. Sempre in project la Mantovani dovrebbe costruire in cordata con Sacaim e Studio Altieri – lo stesso che ha progettato gli ospedali – la sublagunare, futuristico progetto di collegamento subacqueo con il treno da Tessera all’Arsenale. Anche qui prezzo più che raddoppiato in pochi anni (da 400 a 800 milioni di euro). Studi tecnici negativi, «no» di Comune e Provincia, dubbi sulla sua utilità e sugli impatti. Da qualche anno Mantovani e Baita hanno intrapreso anche la strada delle gare. «Vinciamo sempre noi? Vuol dire che gli altri non hanno voglia di rischiare», ripete. Alla Mantovani viene assegnato così l’incarico di lavorare al terminal di Fusina, all’ex Alumix e nelle banchine portuali Piave Isonzo, alla tangenziale di Padova e ai sottopassi di Verona. Insieme a Fincosit e Condotte, le altre imprese del Mose, Mantovani ha acquistato con il fondo Real Venice 2 di Est Capital l’Ospedale al Mare del Lido per 61 milioni di euro. Operazione contestata dai comitati dell’isola, che prevede di realizzare appartamenti di lusso, ristorante, negozi, uffici e una grande darsena da mille posti barca a San Nicolò. Per dimostrare che non è solo il cemento il suo core business, l’azienda di Baita aveva accettato lo scorso anno di sponsorizzare con 5 milioni di euro le regate di Coppa America. Sede logistica all’Arsenale, gare in bacino San Marco, ricevimenti e attività nei capannoni (le Teze) dell’Arsenale nord appena restaurate proprio dal Consorzio Venezia Nuova. Mantovani, attraverso il Consorzio, finanzia anche attività culturali come la Fenice e il Marcianum, centro studi della Curia voluto da Angelo Scola. L’ultima avventura si chiama Expo. Baita e la sua azienda si sono aggiudicati la gara per l’Expo di Milano 2015, con un ribasso d’asta notevole e qualche problema con le imprese collegate, di cui una in odore di mafia.
Alberto Vitucci
esposizione universale
Il sindaco Pisapia: «Baita si dimetta»
Il sindaco di Milano e commissario straordinario di Expo 2015 Giuliano Pisapia esprime in una nota la propria preoccupazione per le conseguenze dell’arresto avvenuto ieri mattina dell’amministratore delegato della società Mantovani, Piergiorgio Baita, società aggiudicataria dell’appalto per la costruzione della “piastra” per il sito espositivo di Rho-Pero. «Senza entrare in alcun modo nel merito delle indagini della magistratura, voglio comunque sottolineare – ha affermato Pisapia – che l’inchiesta non riguarda, né direttamente né indirettamente, l’appalto e i lavori sul sito di Expo 2015. Da parte mia, non posso che auspicare, nell’interesse di tutti e al fine di evitare polemiche, che, dopo quanto accaduto oggi, Piergiorgio Baita si dimetta spontaneamente da rappresentante legale della società o che la Mantovani decida di modificare la propria governance», ha concluso Pisapia.
Dall’Arsenale al Passante, un impero
L’azienda padovana ha realizzato le maggiori opere del Veneto e ne gestisce gran parte
VENEZIA – Non c’è solo Mantovani spa. O meglio, la Mantovani è dappertutto. Socia e partecipata di altre aziende che operano nel campo dell’edilizia, del disinquinamento, delle infrastrutture, della sanità. Un elenco lungo che comprende la Cav (Costruzioni Arsenale Venezia) società che ha in gestione per 30 anni la parte nord dell’Arsenale e i bacini di carenaggio. La Cav ha realizzato qualche anno fa anche i giganteschi dolphin piloni in cemento del rigassifigatore di Rovigo e ora costruirà le navi per il trasporto delle paratoie del Mose (jack up). Cav ha sostituito la società Palomar, che aveva ottenuto nel 2005 la concessione dallo Stato per il Mose. Altre società dove è presente la Mantovani sono la Sanitaria veneta, creata per costruire in project financing il nuovo Ospedale dell’Angelo a Mestre. La Sanitaria veneta di cui Baita è vicepresidente ha oggi in gestione servizi, immobili e parcheggi del nuovo ospedale. C’è anche Adria Infrastrutture, la Alles depurazione, creata insieme a Veritas e al Comune per depurare i fanghi a Marghera. Poi i Consorzi di cui Mantovani ha una quota, come il consorzio Lepanto e il Consorzio per la Pedemontana, il Molo Sali al Porto di Venezia, il Covela. Di proprietà della società Mantovani è adesso anche la Tethis, società di ricerca con sede all’Arsenale fondata 25 anni fa da Comune e Tecnomare. La Tethis si occupa di studi e ricerche legate al Mose, ed è interamente di proprietà della spa presieduta da Baita, presieduta da Maria Teresa Brotto. Società che ha notevolmente ridotto negli ultimi mesi il personale e l’attività di ricerca estranea al Mose. Il nome della Mantovani si trova anche nella neocostituita società New Port spa. La sede è in viale Ancona a Mestre, stesso civico della azienda madre padovana. Il presidente qui è l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, il vice Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani. Consigliere è Sandro Trevisanato, presidente della Vtp (Venezia terminal passeggeri), revisore dei conti Arcangelo Boldrin. Recente l’acquisizione da parte di Mantovani spa della società mestrina di Plinio Danieli Venice campus, che ha in programma la nuova edificazione in via Torino con torri, case, negozi e uffici. Una delle tante operazioni che la società padovana ha in campo. Uno degli ambiti dove la Mantovani è più attiva, oltre all’edilizia, sono le infrastrutture stradali. La Mantovani ha costruito il Passante, 32 chilometri tra Dolo e Quarto d’Altino costati circa un miliardo di euro. A gestire gli introiti del Passante di Mestre è adesso un’altra Cav (Concessioni autostradali venete) presieduta fino al 2011 da Alfredo Biagini, legale della Mantovani, e oggi dal leghista Tiziano Bembo. (a.v.)
L’affare d’oro chiamato project financing
La fondazione negli anni ’40 a Verona, ma dal 2000 la svolta strategica e la crescita esponenziale
VENEZIA – Una storia aziendale che inizia negli anni Quaranta ma la cui svolta arriva nel 2000, quando la Costruzioni Ing.E. Mantovani si butta nel business delle mega infrastrutture in project financing. Fino ad allora l’azienda fondata a Verona dall’ingegner Enzo Mantovani si era occupata in particolare di grandi opere stradali: fra le opere per cui era ricordata spiccavano i primi lotti dell’Autostrada del Sole ma anche il trampolino olimpico di Cortina d’Ampezzo. Nel 1987 l’acquisizione da parte della famiglia padovana Chiarotto, dopo che l’ingegner Mantovani non era riuscito a trovare tra i suoi due figli chi fosse interessato a continuare l’attività aziendale. Qui c’è una prima svolta, perché lo scoppio di Tangentopoli impone all’azienda di cambiare rotta e di specializzarsi nei dragaggi e nelle opere marittime. Fra le acquisizioni di quegli anni c’è la Laguna Dragaggi, che nel 1996 si fonde con la stessa Mantovani. Poco prima Mantovani era entrata nel Consorzio Venezia Nuova, che sta costruendo il Mose di Venezia. La prima di una serie di maxi opere che l’azienda ormai padovana mette in cantiere. È con l’arrivo di Piergiorgio Baita che questa linea strategica assume una particolare rilevanza. Baita è un manager dinamico, che nel 1992 era stato però arrestato perché implicato in un presunto giro di tangenti: ex direttore del Consorzio Veneto Disinquinamento e della società Iniziativa, venne arrestato con l’accusa di concorso in corruzione, perché sospettato di aver gestito la spartizione dei lavori autostradali. Alla fine del processo venne prosciolto con formula piena. Il sodalizio Mantovani-Baita porta a incrementare in modo impressionante il portafoglio ordini. E a far crescere l’azienda dai 182 milioni del 2004 agli oltre 500 del 2008, e i lavoratori diretti fino a oltre 400. Nel frattempo la famiglia Chiarotto, con Giampaolo Chiarotto, costruisce intorno alla Mantovani un gruppo che va dalle costruzioni alle partecipazioni nelle concessionarie autostradali. Al vertice della piramide si trova Serenissima Holding, 358 milioni nel 2011, che controlla Mantovani e altre aziende di rilievo, come la padovana Fip Industriale, fortissima nell’edilizia antisismica. La punta di diamante resta però la Costruzioni Mantovani. Fino agli arresti di ieri. Una prova durissima da affrontare, anche sotto il profilo della reputazione aziendale.
Claudia, da segretaria di Galan a manager di eventi e mattone
La Minutillo uscita da palazzo Balbi è diventata amministratore delegato di Adria Infrastrutture con una passione sfrenata per lo shopping, ora è accusata di associazione per delinquere
VENEZIA – Quando era accanto al presidente della Regione Giancarlo Galan, gli avversari politici del capo la chiamavano la «Dogessa», insomma la donna del «Doge», perché era la sua ombra e non era una semplice segretaria, ma una vera e propria consigliera. Claudia Minutillo è famosa a Mestre perché quando entra in una boutique – frequenta solo quelle di super lusso – esce con dieci e più sacchetti ed è considerata una ricca modaiola, insomma una supergriffata, e da qualche anno il debole per lo shopping è aumentato: da segretaria, infatti, è passata all’imprenditoria, trovandosi a capo di un piccolo gruppo finanziario-industriale. Eppure la sua uscita da palazzo Balbi non sarebbe stata serena: i maligni raccontano che a volere il suo congedo, nel 2005, sia stata la compagna prima e moglie poi del capo, Sandra Persegato, che avrebbe posto il classico aut aut: o lei o me. Per arrivare nelle stanze di Galan aveva fatto la gavetta: si era impratichita come assistente di un altro esponente veneziano del partito di Berlusconi, Paolo Bonazza Buora, poi era finita nella segreteria dell’assessore regionale Renato Chisso, infine era approdata negli uffici del governatore. Ma, dopo la sua fuoriuscita, non le va certo male: si piazza subito alla «Business Merchant consulting Broker» di San Marino, dove, secondo l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice veneziano Alberto Scaramuzza, sarebbe stata la socia occulta. Nel 2006, a questa società sconosciuta ai più, vengono assegnati incarichi e consulenze della giunta regionale. C’è da pubblicizzare il Sistema metropolitano regionale? Ci pensa la Bmc di San Marino. C’è la festa da organizzare per la fine dei lavori dei canali lagunari per conto dell’Autorità portuale? La regia dell’evento è firmata Bmc. Appalti di poco conto, rispetto ad altro, ma in Consiglio regionale c’è chi si insospettisce e fioccano le interrogazioni. Ma la Minutillo non si ferma e dagli eventi passa alle costruzioni, da segretaria diventa imprenditrice edile con la passione per le opere pubbliche. Il trampolino di lancio lo fornisce la sua partecipazione come una degli amministratori della Pedemontana, società a capitale privato chiamata a realizzare il progetto in discussione da anni, per la nuova strada veloce tra Vicenza e Treviso. Il Veneto in quegli anni offre decine di grandi occasioni e quella migliore la fornisce Piergiorgio Baita, già allora asso pigliatutto nelle costruzioni: bretelle, passanti, terminal, strade e autostrade. Minutillo entra in Adria Infrastrutture e non dalla porta di servizio: comanda Baita, che mette i soldi ed è vicepresidente del Consiglio d’amministrazione, ma lei è amministratore delegato dal 2006 ed è anche socia con il 5 per cento del capitale intestato a «Investimenti srl». Da quell’anno, piano piano, «Adria» si è conquistata la sua fetta di lavori pubblici, per la maggior parte appalti regionali assegnati dall’assessorato del forzista veneziano Renato Chisso. Siede nell’associazione di imprese chiamata a costruire la Treviso-Mare, la superstrada che dovrebbe collegare la A4 con il litorale di Jesolo, quasi 20 chilometri di tracciato con due viadotti, sette sottopassi e sei caselli. Poi il passante Alpe Adria, 85 chilometri di autostrada per unire Longarone a Tarvisio attraverso il Cadore e la valle del Tagliamento. Poi un tentativo finito male: Minutillo e Baita cercano di acquisire una vasta area di Porto Marghera messa all’asta dall’Autorità portuale, ma c’è un altro imprenditore che se la aggiudica e nemmeno il ricorso al Tar riesce a raddrizzare l’affare. Adesso Claudia Minutillo è alla Giudecca, forse in una cella assieme ad altre detenute, ma almeno quello femminile non è un penitenziario sovraffollato. È difesa dall’avvocato Carlo Augenti ed è in attesa dell’interrogatorio, che si svolgerà lunedì. (g.c.)
IL PRESIDENTE DELLA BMC BROKER
Colombelli, la mente della cartiera Si spacciava anche per console di San Marino, ma non era vero
VENEZIA – Strano personaggio Walter Colombelli, tanto che nella rete e in alcune occasioni anche sui quotidiani è stato indicato erroneamente come il marito di Claudia Minutillo, ma nessuno mai ha ricevuto smentite, meglio passare inosservato, deve aver pensato anche se è sposato e ha pure figli. Adesso, invece, è finito sulle prime pagine come presidente della “Business Merchant consultin Broker” di San Marino. Per la Guardia di finanza una vera e propria cartiera, cioè una società che non vedeva o acquistava prodotti o servizi, ma fingeva di farlo rilasciando fatture per operazioni commerciali inesistitenti. Chi le usava poteva così abbattere i profitti aumentando i costi e pagare meno imposte. Naturalmente ci guadagnava, eccome! Dei bonifici di “Mantovani” e “Adria Infrastrutture” si tratteneva una percentuale, che gli ha permesso di acquistare una lussuosa villa affacciata sul lago di Como, un’auto e una moto lussuose e due barche. Quando i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria si sono fatti vivi con lui, all’inizio dell’indagine per raccogliere documenti sulla sua società, ha cercato di spiegare che non avrebbero potuto, che godeva di una specie di extraterritorialità in quanto console onorario di San Marino, dove ha la residenza. Ma gli inquirenti hanno appurato che non era così ed hanno potuto portarsi via tutte le carte necessarie. È difeso dall’avvocato veneziano Alberto Fogliata ed è presumibile che il suo interrogatorio si svolgerà per rogatoria a Genova, dove è detenuto.
CHI E’ IL QUARTO ARRESTATO
Buson, tradito dalla fotocopiatrice Il registro falso del direttore amministrativo svelato dalla macchina
PADOVA – Nato nella campagna della Bassa padovana, a Pernumia, Nicolò Buson, 56 anni, direttore amministrativo della Mantovani Spa, secondo la guardia di finanza ha avuto nell’ambito dell’associazione a delinquere, di cui è accusato di far parte, un ruolo da mero esecutore. Non che fosse all’oscuro delle finalità per cui registrava le false fatture, disponeva i pagamenti alle banche di San Marino e protocollava fittiziamente le fatture. Ma a decidere non era lui. Lui eseguiva gli ordini di Piergiorgio Baita. Buson, che vive a Padova con la moglie, gestiva la contabilità “occulta” della Mantovani. Nel corso della perquisizione nella sua abitazione la guardia di finanza ha trovato materiale informatico ritenuto cruciale per i successivi sviluppi delle indagini. Ci sono documenti che fanno ritenere che una possibile via di fuga dei fondi neri raccolti con le false fatturazioni alla società di San Marino siano paradisi fiscali come Panama. Non è escluso che parte di quei soldi sia già lì. Sono state trovate alcune chiavette Usb in casa di Buson, una era stata nascosta dentro la scatola di un orologio prezioso. Un telefono cellulare Blackberry, in cui ci sono contatti “interessanti”, è stato trovato, invece, in un vano della sua auto. Infine, è stato Buson, nel corso delle indagini, a fornire alla Finanza il registro di protocollo delle false fatture. Registro che non ha passato l’esame: i finanzieri hanno scoperto che le fatture erano state scannerizzate con un apparecchio Canon entrato in produzione tre anni dopo la data di emissione delle stesse. La prova provata della falsità del registro. Elena Livieri
Nel luglio scorso la “Nuova Venezia” dava già la notizia l’inchiesta
Già il 15 luglio dello scorso anno la Nuova dava la notizia dell’inchiesta della Guardia di finanza e del pubblico ministero Stefano Ancilotto sul conto di Baita e della Mantovani. «Piergiorgio Baita , uno dei maggiori imprenditori veneziani, rivuole i documenti che i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria si sono portati via dai suoi uffici» si leggeva nell’articolo «E», proseguiva, «per riaverli si è scelto lo stesso legale dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, l’avvocato Piero Longo. Martedì, infatti, il Tribunale del riesame di Venezia presieduto dal giudice Lucia Bartolini discuterà del ricorso presentato dall’avvocato padovano dovrà decidere se gli incartamenti resteranno a disposizione del pubblico ministero o se Baita potrà riaverli subito. Baita le aule di giustizia, addirittura anche il carcere, li ha già conosciuti. Nei primi anni Novanta, in piena bufera di Mani pulite a Milano e quando a Venezia erano finiti sotto inchiesta i ministri Gianni De Michelis e Carlo Bernini per gli appalti veneti, Baita era stato arrestato, a Santa Maria Maggiore aveva illustrato al pubblico ministero il sistema delle tangenti, poi venne prosciolto. Nel 2003 era finito sotto inchiesta per evasione fiscale, ma se l’era cavata con un patteggiamento, una pena di sei mesi, cancellati grazie al pagamento di poco meno di novemila euro. Quindi, per quasi dieci anni la pace e soprattutto passi da gigante nel mondo degli appalti pubblici e non solo».
Fatture false, coinvolti Porto e Veneto Strade
Il “sistema Baita” riguarda molte altre imprese che hanno emesso bonifici alla Bmc Broker per oltre 15 milioni. Controlli a tappeto delle Fiamme Gialle
VENEZIA – Il “sistema Baita” della società che emetteva fatture false era assai consolidato in Veneto nel periodo tra il 2005 e il 2010 e non riguarda solo la Mantovani Spa e la Adria Infrastrutture, ma tante altre aziende private e pubbliche che avevano il vizio di farsi fare fatture false dalla cartiera di William Colombelli. Ne sono sicuri il sostituto procuratore Stefano Ancillotto e i finanzieri del colonnello Renzo Nisi. Del resto quando hanno perquisito la sede della BMC Broker Srl e hanno visionato i conti correnti della società e di Colombelli si sono trovati davanti a bonifici bancari e a copia di fatture fasulle relative ad altre aziende. Ieri in queste società la Guardia di Finanza ha acquisito parecchia documentazione. La lista è lunga e all’interno ci sono diverse società del gruppo Mantovani, ma anche altre molto note. Ad aprire questa lista c’è Veneto Strade, la società controllata dalla Regione, che ha costruito chilometri di di strade nel Veneto: da Rovigo a Verona, da Mestre a Treviso fino a Belluno. Stando agli accertamenti della Guardia di Finanza, Veneto Strade ha versato alla società di Colombelli oltre due milioni di euro. Rimanendo sempre in ambito stradale, bonifici li ha fatti anche la Passante di Mestre, la società che ha realizzato appunto l’importante passante di Mestre. Naturalmente non manca la Mantovani che guida la lista di bonifici con i suoi quasi nove milioni di euro. La società di Baita è capofila anche nel consorzio di imprese Consorzio Venezia Nuova che sta realizzando il Mose a Venezia. Lo stesso consorzio nell’arco dei sei anni, che vanno dall’inizio del 2005 al 2010, ha versato oltre 413mila euro in banca a favore della BMC Broker. Poi si trovano anche l’Autorità Portuale di Venezia con oltre 140 mila euro, poi lo studio di progettazione Thetis Spa che lavora per il Consorzio Venezia Nuova e la Veneto Acque. Il primo ha fatto un bonifico di 85 mila euro e il secondo di trentamila. C’è quindi la società, con sede a Padova, Autostrade Brescia Padova Spa che gestisce il tratto da Padova a Brescia dell’A4. Da sottolineare come, indagando sulla società che gestisce l’altro tratto di A4, da Padova a Venezia, con al centro dell’inchiesta Lino Brentan, i finanzieri di Venezia si sono imbattuti sul “sistema Baita”. Proseguendo nella lista delle imprese individuate, vanno elencate la Dolomiti Rocce, di Belluno, la Palomar Scarl, di Padova, la Tressetre S.c.p.a. e la Talea Scarl. Queste ultime due sono aziende di Mestre. Si tratta di società del Gruppo Mantovani. Hanno fatto bonifici, a vario titolo, su banche di San Marino a favore di Colombelli, per cifre che variano dai 240 mila ai 400 mila euri. Queste società non sono indagate e non sono state perquisite. Almeno per ora. A proposito del “sistema Baita” e delle fatture false, il colonnello Renzo Nisi, comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia, ha sottolineato: «Noi non abbiamo le prove per dire dove sono finiti i soldi transitati sui conti di Colombelli e poi consegnati a Baita e Minutillo. Ma l’esperienza ci fa supporre che siano stati utilizzati per creare dei fondi neri che solitamente vengono impiegati per pagare tangenti».
Carlo Mion
Due anni fa la prima retata di Ancilotto
L’inchiesta del pm partì con gli arresti in Provincia e proseguì cone le manette ai polsi di Brentan
VENEZIA – Lo stesso pubblico ministero, il sostituto procuratore Stefano Ancilotto, gli stessi finanzieri, quelli del Nucleo di Polizia tributaria comandati dal colonnello Renzo Nisi: esattamente due anni fa sono finiti in manette per corruzione e peculato il capo dell’ufficio Edilizia della Provincia Claudio Carlon e il suo braccio destro, il geometra Domenico Ragno. Sei mesi dopo il loro arresto hanno patteggiato la pena di tre anni e otto mesi di reclusione ciascuno. Non solo, hanno anche risarcito una parte del danno, sborsando 300 mila euro. E ancora, esattamente un anno fa, lo stesso magistrato e gli stessi finanzieri hanno fatto scattare le manette ai polsi all’amministratore delegato della società Autostrada Venezia-Padova. Brentan non è finito in carcere, è rimasto per mesi agli arresti domiciliari nella sua villetta di Campolongo Maggiore e, anche lui, dopo pochi mesi dall’aver ricevuto l’ordinanza di custodia cautelare ha scelto di non finire in aula davanti al Tribunale, ma ha evitato l’accordo con il rappresentante dell’accusa e si è fatto processare con rito abbreviato dal giudice dell’udienza premilinare: 4 anni di reclusione. A differenza di Carlo, Ragno e i numerosi imprenditori che hanno confessato di aver preso o consegnato mazzette, Brentan ha sempre negato. I suoi avvocati, poco più di due mesi fa, hanno presentato appello contro la sentenza di primo grado davanti alla Corte d’appello nella speranza di ottenere, se non l’assoluzione, uno sconto. L’’ ex amministratore delegato di Autostrade Venezia e Padova, già assessore ai Lavori pubblici in Provincia, è finito sotto inchiesta per 185 mila euro di tangenti, ricevute dagli imprenditori Luigi Rizzo, Rino Spolaor e Remo Pavan in cambio di assegnazioni pilotate di lavori. Opere pubbliche che – secondo l’accusa mossa dal pm Ancillotto – erano state “spacchettate” per ridurne l’importo e non dover così andare a gara d’appalto. Brentan «ha sistematicamente svenduto le proprie funzioni di amministratore delegato della società», scriveva la giudice Marchiori nella sua sentenza, «favorendo una ristretta cerchia di imprenditori locali e ciò in cambio di cospicue somme di denaro da cui ha tratto fonte di indebito arricchimento. Un anno dopo in manette sono finiti Baita e gli altri.
«Vi siete portati a casa otto milioni»
Colombelli intercettato litiga con Minutillo: «Io creo carta straccia per voi». Il «console sanmarinese» aveva il fiato sul collo
Secondo l’accusa, l’ex segretaria di Galan, andava personalmente nella repubblica del Titano per ricevere dalle mani del «consulente» i frutti delle false fatture
PADOVA – Una normale, persino banale, verifica fiscale a carico della Mantovani Costruzioni Spa avviata dal comando del nucleo di polizia tributaria di Padova diretto dal tenente colonnello Giovanni Parascandolo. Parte da qui l’indagine che ha portato in carcere Piergiorgio Baita & soci. È il 5 ottobre del 2010. Ovvio che la società non finisce a caso nel mirino della finanza. È coinvolta nelle opere pubbliche più importanti del Veneto, sposta fiumi di denari, pubblici e privati. Parallelamente, sui destini della Mantovani, si muove la Procura di Venezia che indaga sul filone “Brentan”. Ad accendere i sospetti nei finanzieri padovani sono gli stretti rapporti che la Mantovani intrattiene con una società di San Marino, la Bmc Broker che, in sei anni, dal 2005 al 2010 ha emesso a carico della Mantovani fatture per oltre otto milioni di euro. Altri due milioni di euro, sono stati fatturati dalla medesima società alla Adria Infrastrutture Spa di cui è presidente l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo. Cifre importanti che suggeriscono alla finanza di eseguire dei controlli sulla società sanmarinese. Viene avviata un’attività di mutua assistenza amministrativa, una sorta di rogatoria internazionale (rivolta oltre che a San Marino anche a Canada, Germania e Croazia) che passa per il comando generale della guardia di finanza. San Marino risponde nel 2011: Bmc Broker non è conosciuta nella Repubblica. Acquisita l’informazione, gli uomini del tenente colonnello Parascandolo vanno a trovare Baita nel suo ufficio di via Belgio. Nel suo computer scoprono un fitto scambio di corrispondenza con William Colombelli. Ma Baita nega: «Non so chi sia» dice ai finanzieri, «non so come quelle e mail siano finite nel mio computer». In seguito dirà di aver conosciuto Colombelli in occasione di un incontro istituzionale della Regione Veneto, quando gli fu presentato come console di San Marino. Quel giorno veniva presentato il protocollo d’intesa fra Veneto e San Marino per facilitare gli investimenti della regione nella piccola repubblica. Bmc Broker, ovvero la “cartiera”: è lo stesso Colombelli che, intercettato al telefono con la Minutillo, svela la sua vera attività. «Io creo carta straccia, capito? In sei anni vi siete portati a casa otto milioni»: sta trattando la sua buonuscita dal “giro”. La finanza gli sta col fiato sul collo e la priorità è chiudere la Bmc. Colombelli si incontrava a San Marino con la Minutillo: erano loro due che andavano a riscuotere, giusto un giorno dopo il bonifico, i soldi che arrivavano dalla Mantovani. La Minutillo prelevava in contanti l’80% di ciascun pagamento che veniva effettuato. Il 20% rimaneva a Colombelli. Ci sono fatture da centinaia di migliaia di euro. L’ad di Adria Infrastrutture, secondo i finanzieri, rientrava in Italia col denaro contante. Ma dove finiva e con quali finalità? I soldi non sono stati trovati. Il filone che rimane aperto dell’inchiesta è proprio quello che punta a capire il destino di quel fiume di quattrini. Per gli investigatori Baita & soci dispongono di guadagni tali da non rendere credibile l’ipotesi che quei fondi neri fossero destinati a rimpinguare il loro portafoglio. Dunque c’è dell’altro. Le indagini sono tutto fuorché finite. Anzi. Dal comando della guardia di finanza di via San Fidenzio a Padova si sussurra la quasi certezza che molto presto ci saranno altri reati, oltre a quelli fiscali, da contestare a Baita & soci. L’anello debole della catena potrebbe essere Claudia Minutillo. Oltre agli arrestati, l’inchiesta conta anche venti indagati sempre per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Numerose le perquisizioni eseguite, non solo a Padova ma anche a Monselice e Piove di Sacco.
Elena Livieri
I PROPRIETARI DELL’AZIENDA
La famiglia Chiarotto estranea alle accuse
PADOVA – Nessun componente della famiglia Chiarotto risulta indagato nell’ambito dell’inchiesta che ha portato in carcere Piergiorgio Baita, Nicolò Buson, Claudia Minutillo e William Colombelli. La famiglia, di origine padovana, è la proprietaria della Mantovani Spa, essendo l’anziano Romeo Chiarotto, 82 anni, industriale di lungo corso, amministratore delegato della Serenissima Holding, società a cui fa capo il colosso delle costruzioni. Giampaolo Chiarotto, figlio di Romeo, ha vari incarichi e fa parte del Cda della Mantovani Costruzioni. L’altra figlia, Donatella, è alla guida della Fip Industriale di Selvazzano Dentro, azienda specializzata nello sviluppo di tecnologie di protezione e rinforzo delle opere di ingegneria. Nel 2011 la donna fu indagata dalla Procura dell’Aquila per il reato di frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta, nell’ambito dell’inchiesta sugli isolatori sismici adottati per le abitazioni del progetto “Case”, realizzate dopo il terremoto. La Fip era accusata di aver fornito alla Protezione civile oltre duemila isolatori sismici, per un importo di oltre 4 milioni di euro, senza la necessaria certificazione, arrivata solo a consegna ultimata. Dei fondi neri per cui sono accusati Baita e gli altri, la famiglia Chiarotto risulta al momento del tutto all’oscuro. La guardia di finanza sta proseguendo gli accertamenti per capire se la famiglia, o anche solo un componente della stessa, abbia avuto un ruolo o fosse a conoscenza dell’attività “parallela” in cui la società era coinvolta. Per ora, tuttavia, non è emerso alcun collegamento o coinvolgimento. L’unico ruolo in cui viene inquadrata la famiglia Chiarotto è quello di parte lesa. (e.l.)
IL COMUNICATO DELL’AZIENDA
«Provvedimenti abnormi ma pronti a collaborare»
PADOVA «In data odierna Impresa di Costruzioni Ing. E. Mantovani S.p.A. ha avuto notizia che la Procura della Repubblica di Venezia, ha assunto provvedimenti cautelari nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione della società, del Consigliere Delegato della controllata Adria Infrastrutture S.p.A. e del proprio Direttore Finanziario», inizia così il comunicato della Mantovani a poche ore dalla bufera che ha investito l’azienda di via Belgio 26, nella sede padovana dell’azienda. «A quanto è dato conoscere da notizie di stampa», si legge poi, «le vicende che hanno dato origine ai provvedimenti risalgono ad alcuni anni or sono e hanno da tempo formato oggetto di verifiche e approfondimenti da parte degli inquirenti, nel corso delle quali sono sempre stati forniti dagli esponenti aziendali i chiarimenti e le informazioni richiesti, in spirito di disponibilità e collaborazione. Desta quindi sorpresa e amarezza l’abnormità dei provvedimenti cautelari assunti dagli inquirenti. Nell’affermare la propria estraneità a ogni coinvolgimento in presunti illeciti, la società manifesta la disponibilità a fornire la più ampia collaborazione ed è fiduciosa che i propri esponenti potranno dimostrare l’insussistenza degli illeciti loro ascritti e il rispetto della legge, cui è ispirata l’attività sociale». Fin qui le dichiarazioni ufficiali. Ma Alle 17 di ieri pomeriggio la Guardia di Finanza è ancora in via Belgio, mentre i primi dipendenti escono alla spicciolata, soprattutto donne, ma nessuno ha voglia di parlare. Visi scuri, facce tese e capi chini, per non incontrare occhi estranei. Qualcuno si saluta, «a domani», ma dall’altra parte silenzio tombale: ci sarà un domani? È questa la domanda che da ieri mattina, quando i militari si sono presentati in azienda ed hanno cominciato la loro caccia al tesoro in nome della giustizia, i dipendenti della Mantovani si pongono, dietro l’ansia di famiglie e la trafila che tutti conosciamo di affitti, mutui, bollette e fatture che scadono infischiandosene dei guai giudiziari del capo o dell’azienda. «Non ho intenzione di parlare»; «non ho nulla da dire»; «si vedrà» e via di questo passo a collezionare strategie d’indietreggiamento. A giudicare dalle auto (8 Audi all’ingresso e la più “utilitaria” è una Passat) e dalle borse Louis Vuitton, a uscire sono manager e dirigenti: il team padovano di Piergiorgio Baita, amministratore delegato di Mantovani. In tutto però i dipendenti sono 600, oltre a una miriade di società collegate. I livelli più bassi, non sono per nulla sereni. «Ci hanno imposto silenzio assoluto», ammettono e ubbidiscono. E domani? «E chi lo sa». Nessuno fiata, questo è l’ordine impartito, resta il fiato sul collo dei finanzieri. Elvira Scigliano
«Lavoratori sconfortati»
Il sindacato teme ci siano ripercussioni occupazionali
Padova – Nella sede centrale della Mantovani, in Via Belgio 26, area Zip, tra i venti impiegati e gli ottanta operai che girano nei cantieri più vicini dell’impresa di costruzioni si respira preoccupazione. L’arresto eccellente del presidente della società rischia di segnare pesantemente il passo del loro futuro occupazionale. Tanti di loro hanno già effettuato le prime telefonate ai sindacati di categoria che più li rappresentano. Ossia alla Fillea-Cgil, guidata da Marco Benati, alla Feneal -Uil ( Omero Cazzaro) ed alla Filca Cisl ( Albino Ruggero). Tra i più preoccupati, il sindacalista della Uil. «La notizia ha gettato i lavoratori nello sconforto» sottolinea Cazzaro, che segue edili e cantieri da trent’anni «mi metterò in contatto sia con i miei delegati aziendali che con i miei colleghi di Cisl e Cgil, per studiare il da farsi. La Mantovani è la più grande e importante impresa del settore del Nordest. Per fortuna sta lavorando abbastanza anche in questi tempi di crisi, anche se i tempi delle vacche grasse sono finiti. Tra l’altro l’impresa di Via Belgio ha sempre avuto con noi della Uil un buon rapporto basato sulla correttezza e sul rispetto reciproco dei ruoli. Speriamo che la vicenda giudiziaria si chiuda presto e non ci siano effetti pesanti sull’occupazione». La grande impresa padovana è stata fondata nel 1949 da Enzo Mantovani. Nel 1987 è stata acquisita dall’imprenditore, sempre padovano, Romeo Chiarotto. Il presidente Pier Giorgio Baita è arrivato più tardi. Tra le numerose opere realizzate nel corso degli anni, in tutti i settori delle costruzioni in generale ( ferrovia, strade e lavori marini, fluviali e lacustri) ci sono anche il trampolino olimpionico di salto a Cortina, gli ospedali di Mestre e di Trento, alcuni lotti dell’Autostrada del Sole, Cà Nordio a Padova Est, il ponte sul Po sulla Rovigo- Ferrara. (f.pad.)
«Il sistema Galan non esiste, mai presi soldi dalle imprese»
L’ex presidente del Veneto: «Non so nulla né ho ricevuto avvisi di garanzia, mi aspetto di essere interrogato a breve»
PADOVA – La tempesta giudiziaria ha sorpreso il gruppo dirigente pidiellino nella sede regionale di Padova, dove il “regista” Marino Zorzato ha convocato parlamentari eletti e coordinatori provinciali per valutare il voto. Sorrisi per lo scampato pericolo elettorale, poi lo spettro di una nuova Tangentopoli spegne l’euforia. Il deputato Giancarlo Galan – uomo del giorno, suo malgrado – appare più infastidito che allarmato. Riemerge da un colloquio con Niccolò Ghedini, senatore e avvocato di Silvio Berlusconi, sbircia il cellulare che lampeggia e porge i polsi arrossati: «Non è colpa delle manette, ho potato le rose». Non si sottrae alle domande. Tra gli arrestati figurano l’imprenditrice Claudia Minutillo, che è stata la sua assistente per cinque anni, e Piergiorgio Baita, l’ad del Gruppo Mantovani ritenuto molto vicino a lei. «Così ho appreso dalle agenzie, ne so quanto voi, anzi molto meno. Cosa posso dire? Certo, li conosco, lo sanno tutti, e mi auguro che siano innocenti. Nel merito delle accuse non saprei cosa commentare, immagino che si scatenerà la solita bufera mediatica, con veleni e sospetti. Io sono assolutamente tranquillo sul piano personale, provo un senso di stanchezza all’idea di ciò che si profila: fare politica è gratificante ma, di questi tempi, anche molto difficile». C’è chi definisce l’inchiesta una picconata al “sistema Galan”, alludendo alla cordata d’imprese che l’avrebbero sostenuta, anche sul piano finanziario, nei tre lustri di presidenza del Veneto. «Non è mai esistito, né tantomeno esiste, un sistema Galan. Le imprese concorrenti si odiano, si contendono gli appalti con tutti i mezzi, come possono esistere cordate a sostegno di un unico esponente politico? Durante il mio mandato presidenziale tutti i gruppi hanno lavorato nelle grandi opere, nessuno escluso. Chi può ipotizzare una regìa occulta tra imprese di diverso colore che si facevano la guerra?». La Guardia di Finanza ha scoperto un fondo “nero” di dieci milioni costituito a San Marino attraverso fatture false. Il sospetto è che alimentasse, oltre ai profitti nascosti al fisco, un sistema di corruzione diffusa che aveva quale obiettivo la conquista degli appalti. «Tutto può essere, ripeto, non ne ho la minima idea». Ha mai ricevuto contributi alla campagna elettorale da persone coinvolte in questa inchiesta? «Neanche un soldo. Quando servivano dei fondi organizzavo delle cene con amici imprenditori: le donazioni, tutte inferiori ai limiti di legge, sono state regolarmente registrate. Con l’attuale legge elettorale, poi, l’esigenza è venuta meno; le campagne sul territorio non si fanno più». Che opinione ha di Baita? «Un uomo di grande spessore professionale, attentissimo, informato, una spanna sopra tutti gli altri dal punto di vista tecnico e manageriale». I suoi rapporti con Claudia Minutillo? In epoca galaniana, era soprannominata “la dogaressa” per la sua influenza ai vertici della Regione. «È stata una collaboratrice instancabile, capace di lavorare diciotto ore al giorno senza perdere un colpo. Il nostro rapporto di lavoro si è concluso, fisiologicamente, sette anni fa». Si parla anche di una ventina di avvisi di garanzia “secretati”. Lei figura tra i destinatari? «Ma non dovrebbero essere sempre segreti? Comunque, a me non è arrivato nulla. Ricordo che, da presidente della Regione, a pochi giorni dall’insediamento, ricevetti un avviso di garanzia dal pm Felice Casson, ora parlamentare, per violazione della legge Seveso. Non me la presi, lo considerai una specie di biglietto da visita». Si aspetta di essere convocato dalla Procura della Repubblica? «Sì, certamente. Al loro posto io lo farei». Molti politici lamentano l’invasione di campo dei giudici. La magistratura di Venezia ha atteso che si chiudessero le urne prima di procedere… «È vero, un atto di correttezza del quale dò atto volentieri. D’altronde io non me la sono mai presa con i giudici che fanno il loro dovere».
Filippo Tosatto
Il governatore Zaia «Completa fiducia nella magistratura»
«La più assoluta fiducia nell’operato della magistratura» è stata ribadita dal governatore veneto Luca Zaia in relazione all’inchiesta per tangenti che vede coinvolta anche la società regionale Veneto Strade, la cui sede ieri è stata oggetto di perquisizione da parte della Guardia di Finanza. Zaia ha confermato la «Massima disponibilità dell’amministrazione regionale a collaborare con gli inquirenti, mettendo a loro disposizione tutti gli atti e le informazioni necessari nelle indagini». «Il nostro principale interesse», ha aggiunto « è che sia fatta massima chiarezza nel più breve tempo possibile e, per quanto mi riguarda, ciò che più conta è la totale trasparenza». A Palazzo Balbi, totale silenzio, invece, dall’assessore regionale alla mobilità e alle infrastrutture Renato Chisso, pidiellino vicino a Giancarlo Galan, che non ha voluto rilasciare alcun commento alla perquisizione seguita nella sede di Veneto Strade. Nello staff di Zaia, infine, si fa presente l’ottimo rapporto di collaborazione avviato con l’autorità giudiziaria – dalla Procura della Repubblica alla Corte dei Conti – e con la Guardia di Finanza, invitata a monitorare periodicamente i conti della Regione.
Pipitone (Idv): è una valanga inarrestabile
E Berlato, pidiellino anti-Galan, rincara: «Presto nella rete i pescecani che divorano le nostre risorse»
VENEZIA – Tra le forze politiche, opposizione inclusa, prevalgono il silenzio e l’attesa. Fa eccezione l’Italia dei Valori, che prende posizione per voce del suo capogruppo in consiglio regionale: «Il quadro che emerge dall’inchiesta che ha portato all’arresto dell’amministratore delegato del Gruppo Mantovani è molto preoccupante e la sensazione del primo momento è che questa valanga non si fermerà qui, leggeremo altri titoli choc», afferma Antonino Pipitone «abbiamo piena fiducia nella magistratura, che deve cancellare qualsiasi ombra nella gestione dei soldi pubblici». «Pur con tutti i benefici del dubbio ed attendendo appunto l’esito delle indagini», conclude Pipitone «ravvisiamo la necessità di avviare una profonda e seria riflessione sui project financing, strumenti zoppicanti che, anche alla luce di questa vicenda, mostrano troppi lati deboli e preoccupanti, soprattutto sul versante dei controlli e delle verifiche». A fare la voce grossa, curiosamente ma non troppo, è proprio un pidiellino, l’europarlamentare e coordinatore del partito a Vicenza Sergio Berlato, acerrimo nemico di Giancarlo Galan: «Apprendiamo che nella rete degli inquirenti sono finiti, per il momento, solo alcuni pesci piccoli, che sono anche i più canterini, ma che sarebbe imminente anche la cattura di alcuni grossi pescecani la cui voracità ha divorato in questi ultimi dieci anni, una quantità enorme di risorse pubbliche a danno dell’erario e dei cittadini veneti».
Nelle scorse settimane il battagliero Berlato – accusato dai vertici del Pdl di aver falsificato le tessere in occasione dell’ultimo congresso – ha consegnato alla Procura della Repubblica un dossier sul “malaffare nella pubblica amministrazione in Veneto” . Una requisitoria articolata, la sua, che chiede ai pm di verificare «Se è vero che negli ultimi dieci anni in Veneto le più importanti opere pubbliche siano state progettate dai soliti studi (uno in particolare) molto legati ad alcuni noti politici locali; «Che l’esecuzione delle principali opere pubbliche sia stata quasi sempre affidata alle stesse imprese di costruzione, due in particolare»; «Che la stragrande maggioranza degli appalti dei servizi di pulizia che riguardano molti ambienti pubblici siano stati assegnati, quasi fosse una compensazione o una tacitazione della parte politica avversa, alle solite cooperative, due in particolare»; «Che la stragrande maggioranza degli appalti dei servizi di ristorazione e catering nei principali luoghi pubblici siano stati affidati alle solite società di servizi, una in particolare»; «Che, contravvenendo alle normative vigenti, le Ulss siano state assicurate con l’intermediazione di una unica società di brokeraggio; «Che il cosiddetto sistema del Project Financing consenta di coprire un complesso di tangenti utilizzando il sistema “estero su estero” per trasferire illegalmente ingenti somme di denaro a beneficio di prestanome strettamente legati ad alcuni esponenti politici locali»; «Che oltre alle ipotizzate tangenti concordate, qualcuna delle ditte che abitualmente si aggiudicano gli appalti pubblici, si spinga a fare ulteriori regalini a qualche noto politico locale, compreso qualche edificio ad uso abitazione in nota stazione turistica montana». Parole come pietre. Si vedrà.
«Commissione d’inchiesta, subito»
Sconcerto a Ca’ Farsetti, la richiesta di Caccia, ma il sindaco sceglie la strada della prudenza
VENEZIA «La Mantovani è stata per noi un partner importante e lo è a tutt’oggi. Non credo che questa vicenda avrà contraccolpi nei nostri confronti». Il sindaco Giorgio Orsoni è prudente. Ha accolto ieri mattina con sorpresa la notizia dell’arresto di Piergiorgio Baita, con cui negli ultimi mesi ha trattato a lungo questioni di bilancio e dei progetti del Lido. Proprio oggi il giudice civile dovrebbe decidere sul contenzioso tra Comune e aziende sui 32 milioni di euro già depositati. E proprio ieri sono arrivate a Marghera le prime paratoie del Mose costruite a Monfalcone. Tutti episodi che hanno come protagonista la Mantovani di Baita. «Aspettiamo di vedere cosa farà la magistratura», dice il sindaco, «per adesso mi pare ci siano casi episodici. Comunque i rapporti del Comune con la Mantovani sono sempre stati improntati a correttezza istituzionale». Ieri a Ca’ Farsetti non si parlava d’altro. Da tempo si discute sul «monopolio» e sui tanti lavori che l’impresa padovana ha in laguna, a cominciare dal Mose, dal tram, dai lavori di manutenzione e di bonifica. E adesso i progetti immobiliari del Lido. Ieri il consigliere comunale Renato Boraso si è presentato in aula con un sacchetto di arance. Gesto goliardico a ricordare le sue accuse proprio alla gestione del Consorzio e di Baita. «Si faccia chiarezza, al più presto», dice, «la città vuole sapere». Beppe Caccia («Lista in Comune») chiede al sindaco di istituire una commissione d’inchiesta sul ruolo del Consorzio Venezia Nuova e della Mantovani spa nella vita cittadina. «Negli ultimi vent’anni», scrive Caccia, «nel Veneto si è consolidato un sistema politico affaristico che ha influenzato la politica. Vogliamo che su tutto questo si faccia chiarezza, partendo dall’inchiesta fiscale della Finanza e sull’attività di Mantovani che ha avuto rapporti con le maggiori aziende pubbliche veneziane e venete, tra cui il Porto, veneto Acque e Veneto Strade». Gianluigi Placella, neoletto consigliere del Movimento Cinque Stelle, chiede al sindaco Orsoni di avere in tempi rapidi «una relazione sui rapporti economici della Mantovani con il Comune di Venezia e con le sue società partecipate». Sebastiano Bonzio (Federazione della Sinistra) ricorda le battaglie condotte in quasi solitudine contro il monopolio del Mose e le 12 firme depositate a Bruxelles. «Il presidente sull’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici Sergio Santoro ha detto ieri a Mestre che la Corte adesso vaglierà la posizione dei contratti del Mose e le spese fatte. È un tardivo riconoscimento di quanto sosteniamo da anni. Adesso è giusto che la Corte dei Conti e l’Unione europea vadano a vedere bene i dettagli di quel progetto». Atmosfera incredula, ieri pomeriggio in Consiglio comunale. Anche Cesare Campa (Pdl) chiede notizie. «Bisogna capire bene quello che è successo, Certo è un fatto importante, che coinvolge la città e la politica». I rapporti di Mantovani con le istituzioni e gli enti della città sono infatti molteplici. Le ultime operazioni hanno riguardato l’anticipo di 8 milioni di euro al Comune per i lavori di via Torino. Accordo raggiunto in extremis per cercare di salvare il Patto di Stabilità. I legami con l’amministrazione riguardano anche altre vicende. L’organizzazione della Coppa America 2012, i contributi alla Fenice e al Marcianum. E l’operazione Lido. L’acquisto dell’ex Ospedale al Mare, firmato da Est Capital, ha in realtà come grandi investitori proprio le imprese del Mose, a cominciare da Mantovani. E poi ci sono i 61 milioni di euro di cui 55 già pagati – e 32 dovranno essere sbloccati proprio oggi dal giudice – per il Palazzo del Cinema. Vicenda che adesso vede di nuovo alla carica i consiglieri che l’avevano criticata, a cominciare dagli indipendenti Nicola Funari e Renzo Scarpa. E l’avvocato Mario d’Elia ha scritto ieri una lettera al sindaco Orsoni e all’avvocato civico Giulio Gidoni. «Alla luce degli ultimi fatti e di presunti accordi tra Est Capital, Mantovani e il Comune», scrive d’Elia, «vi chiedo di rinviare la firma del contratto riguardante l’Ospedale al Mare, in attesa di chiarimenti e a tutela dell’interesse pubblico».
Alberto Vitucci
FESTA ROVINATA A MARGHERA
Ieri l’arrivo delle prime due paratoie del Mose lunghe 20 metri
Festa rovinata dall’arresto. Ieri mattina all’alba, alle stesse ore in cui i finanzieri prelevavano il presidente Baita, venivano sbarcate a Marghera le due prime paratoie del Mose, che andranno montate con le cerniere costruite dalla Fip di Padova e poi installate sul fondo di Treporti a maggio. Le due paratoie, pesanti 170 tonnellate, sono lunghe 20 metri e alte 18,5, spesse tre metri e mezzo. Saranno adesso lavorate nell’area Pagnan, ex area industriale bonificata e rimessa a posto dalla Mantovani qualche mese fa. Proprio a Marghera Baita aveva illustrato pochi giorni fa le caratteristiche della nuova area, primo esempio di bonifica fatta «in loco», riciclando i materiali demoliti. Nuova banchina e nuove strutture per accogliere le paratoie del Mose che a Treporti saranno in tutto 21, più 2 di riserva. Il Mose dovrebbe essere finito nel 2016.(a.v.)
Un fulmine su Est Capital
«Ma il piano Lido va avanti»
VENEZIA – Il fulmine si abbatte su Est Capital proprio mentre è in corso un Consiglio di amministrazione che deve valutare la proposta del Comune sull’accordo per l’ex Ospedale al Mare. «Baita arrestato dalla Finanza». Baita non è un imprenditore qualunque. Ma il maggiore azionista, oltre che del Consorzio Venezia Nuova, anche del fondo di investimento Real Venice 2, che Est Capital ha costituito per portare avanti l’operazione Lido. «Non conosco nel dettagli le vicende, ma so che non hanno nulla a che fare con noi», dice Gianfranco Mossetto, presidente di Est Capital, «noi siamo una società per azioni, abbiamo rapporti con le società, a prescindere dai singoli. Siamo una sorta di custode del Fondo, per cui non c’è nulla da temere». L’operazione Lido, insomma, garantisce Mossetto, «va avanti senza problemi». La pensano diversamente i Comitati di AltroLido, che chiedono adesso di bloccare il contratto di acquisto e l’accordo tra Est Capital e Comune. «Le vicende che hanno portato all’arresto del presidente di Mantovani per frode fiscale», dice il portavoce di AltroLido Salvatore Lihard, «devono far riflettere. Bisogna che il sindaco si fermi e il Consiglio comunale riprenda in mano la questione. Perché affidando a Mantovani anche la costruzione del nuovo auditorium si andrebbe a stravolgere il contratto preliminare già firmato nel 2010 all’epoca del commissario Spaziante». Un nuovo ostacolo dunque sulla strada dell’accordo per i progetti del Lido. L’arresto di Baita, fulmine a ciel sereno per il mondo dell’imprenditoria, cambia le carte in tavola. Anche se per il momento si parla soltanto di «frode fiscale». Ma il fiume di milioni transitato in questi anni per Mantovani e le tante opere realizzate o progettate sono adesso più che mai sotto i riflettori. Stupore e dispiacere anche al Consorzio Venezia Nuova, dove ieri si preparavano i festeggiamenti per l’arrivo a Marghera delle prime paratoie del Mose costruite a Monfalcone. Il presidente Giovanni Mazzacurati non commenta, ma ha appreso la notizia con grande dolore e preocupazione, dal momento che Mantovani è la maggiore impresa del raggruppamento, l’ingegner Baita un attivo e bravo imprenditore. «Abbiamo sempre avuto con lui rapporti corretti, siamo dispiaciuti», commenta la responsabile dell’Ufficio stampa Flavia Faccioli, «vediamo cosa succede». In serata dalla Mantovani spa arriva una nota. «Provvedimento abnorme», si dice. «Apprendiamo con sorpresa e amarezza dei provvedimenti cautelari. La vicenda risale a molti anni fa e l’azienda ha sempre fornito agli inquirenti i chiarimenti richiesti con spirito di collaborazione. Nell’affermare la nostra estraneità a ogni coinvolgimento in presunti illeciti, confidiamo che i nostri esponenti potranno presto dimostrare l’insussistenza degli illeciti a loro ascritti e il rispetto della legge, cui è ispirata l’attività sociale». Sulla vicenda il neoeletto deputato di Sel, Giulio Marcon, annuncia intanto la sua prima iniziativa parlamentare. «Appena insediato il Parlamento chiederò sia fatta piena luce sul sistema di potere veneto»
Alberto Vitucci
«Organici indecenti, controlli impossibili»
VENEZIA – Colmare gli «inconcepibili vuoti d’organico» degli uffici della magistratura contabile, per non diventare la foglia di fico delle politica, che approva leggi sulla trasparenza e il controllo sui propri atti e le opere pubbliche, salvo poi non dotare gli enti di controllo degli organici sufficienti, stroncando così nei fatti ogni verifica. Questa la sostanza dell’accorato appello che il presidente dell’associazione magistrati della Corte dei Conti, Tommaso Miele, ha lanciato ieri nel corso del convegno su “Enti locali e lotta alla corruzione”, organizzato dalla Provincia di Venezia. «Abbiamo bisogno di colmare inconcepibile vuoto d’organico attuale, per poter corrispondere effettivamente ai controlli che la legge ci affida», commenta incalzante Miele ai microfoni, «ce n’è bisogno, basti vedere quello che è successo nelle spese gruppi regionali. Oggi la legislazione ci assegna un’importante funzione di controllo, ma effettivamente se non abbiamo la forza necessaria, la possibilità di eseguire questo compito per mancanza d’organico, il rischio è creare un’abili per la politica e questo non lo vorremmo assolutamente». «Il tema delle società partecipate dall’ente locale, ad esempio, è un nervo scoperto della finanza pubblica locale», ha commentato ancora il presidente dei magistrati contabili, «spesso le società sono state non solo un’occasione utile per dare risposte immediate in servizi ai cittadini, ma anche un modo per superare i paletti della norma dell’ente (penso al patto di stabilità, alle gare e agli appalti) quando non peggio una sorta di “poltronificio. Oggi l’obiettivo principale dev’ssere la prevenzione della corruzione e il corretto uso delle risorse pubbliche». «Purtroppo fatti come quelli di queste ore», ha commentato la presidente Francesca Zaccariotto, riferendosi all’inchiesta sulla Mantovani, «rappresentano fatti molto tristi, che allontanano i cittadini dal mondo della politica e delle istituzioni: pare che tutti siamo poco onesti, poco trasparenti, mentre bisogna inquadrare singoli fatti e responsabilità. Come Provincia, abbiamo progettato un sistema integrato e moderno di controllo interno che riguarda tutte le aree strategiche dell’ente -infrastrutture e viabilità di area vasta, edilizia scolastica, ambiente – garanzia della qualità di governo dell’ente locale. E la cronaca di tutti i giorni in merito ad illeciti accertati ci dà piena conferma».
Roberta De Rossi
Nuova Venezia – Frode fiscale, arrestato Piergiorgio Baita presidente della Mantovani
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28
feb
2013
L’imprenditore al centro di un’indagine della Guardia di Finanza perché avrebbe lucrato su alcune grandi opere in project financing.
Arrestate quattro persone tra cui Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan
VENEZIA. Un ’fondo nerò con 10 milioni di euro attraverso fatture false, la cui emissione ha portato all’ arresto in Veneto di 4 persone, tra le quali Piergiorgio Baita, presidente della Mantovanì, potrebbe celare finalità diverse dalla mera evasione fiscale. Lo spettro delle tangenti aleggia infatti nell’inchiesta della procura veneziana che ha raggruppato in un unico troncone due indagini della Guardia di Finanza, una veneziana legata ad un filone relativo ad una precedente indagine per tangenti e l’altra padovana scaturita da una verifica fiscale, che hanno portato alla scoperta di un sistema, a opera l’accusa della sanmarinese Bmc Broker, di creazionè di fatture false per inesistenti consulenze tecniche al Gruppo Mantovani, e non solo, che per i finanzieri poteva gestire in proprio. Anche perchè la Bmc, secondo l’ipotesi accusatoria, non aveva le caratteristiche nè le capacità e i professionisti per farle.
La struttura della Bmc era tutta condensata in un ufficio sul Monte Titano di 50 mq, privo di fotocopiatrice e con un’unica dipendente e un titolare, William Colombelli, 49anni, che dichiarava da anni un reddito di 12 mila euro. Un’entrata al di sotto della soglia della povertà, ma Colombelli aveva un tenore di vita elevato, due barche, auto di lusso, una villa sul Lago di Como e un’altra sul lago di Lecco. Stando agli accertamenti dei finanzieri, la società ha incassato 10 mln per consulenze per il Gruppo Mantovani. Una realtà imprenditoriale, quest’ultima, che guida una cordata di imprese che si è aggiudicata per 160 mln l’appalto per la realizzazione della piastra del sito espositivo di Expo Milano 2015, è impegnata nei lavori di costruzione del Mose e in altri interventi pubblici realizzati con il sistema del project financing in Veneto (come l’ospedale di Mestre). A proposito dell’impegno del gruppo su Expo 2015 è lo stesso sindaco di Milano Giuliano Pisapia ad «auspicare, nell’interesse di tutti e al fine di evitare polemiche, che, dopo quanto accaduto oggi, Piergiorgio Baita si dimetta spontaneamente da rappresentante legale della società o che la Mantovani decida di modificare la propria governance». Il Gruppo è inoltre il terzo azionista dell’autostrada
Padova-Venezia. Baita, 64 anni, già coinvolto in una Tangentopoli negli anni ’90, e Claudia Minutillo (48), ex segretaria dell’ex governatore Giancarlo Galan e Ad di Adria Infrastrutture, erano già sotto il mirino dei finanzieri in un filone d’indagine che aveva portato nel 2011 all’arresto, per tangenti, tra gli altri, dell’ex Ad dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan.
Ma è stato l’accertamento fiscale alla Mantovani che ha aperto un nuovo fronte: nel 2005 la Bmc aveva emesso fatture indicando nell’oggetto attività tecniche che in realtà venivano svolte da altre società e in altri casi mai fatte. Le fatture false sono state pagate tramite bonifico bancario su conti bancari di San Marino e, a stretto giro, gli importi sarebbero stati prelevati in contanti per la quasi totalità (esclusa la ’commissionè) da Colombelli e poi ridati a Baita e alla Minutillo. Fondamentale è stata la collaborazione della Repubblica del Titano, ma anche della Svizzera, mentre si attendono risposte da Croazia, Canada e Germania. Dalla documentazione in mano agli inquirenti emerge la corrispondenza tra la Bmc e una ventina di altre società, come Consorzio Venezia Nuova, Veneto Acque, Passante di Mestre, Veneto Strade, Autorità Portuale di Venezia. I finanzieri vogliono capire quale tipo di rapporto ci fosse, ma soprattutto vogliono sapere come i fondi neri così creati siamo stati utilizzati, forse per altre finalità.
Gli arrestati:
Piergiorgio Baita, Ad del consiglio di amministrazione
della Mantovani Spa e vice presidente di Adria Infrastrutture Spa.
Nicolò Buson, responsabile amministrativo della Mantovani Spa.
Claudia Minutillo, amministratore delegato di Adria Infrastrutture
ed ex segretaria di Galan.
William Colombelli, presidente della Bmc Broker Srl.
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Nuova Venezia – Mantovani. Palomar, otto fatture nel mirino
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19
lug
2012
Baita: «Sono tranquillo, le verifiche fiscali sono normali». I rapporti con la società di San Marino.
VENEZIA «Sono tranquillo. Le verifiche fiscali fanno parte della vita di una società. Può anche darsi che abbiamo sbagliato, ma stiamo parlando di otto operazioni su milioni di scritture contabili. Hanno il diritto di verificare, noi aspettiamo fiduciosi». Non perde il tradizionale buon umore Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, tra i più importanti imprenditori del Nord Est. Ieri il giudice del Riesame Lucia Bartolini ha deciso di respingere il suo ricorso presentato per riavere la documentazione sequestrata dalla Finanza, nell’ambito di verifiche fiscali nel periodo che va dal 2005 al 2010. La società Palomar del gruppo Mantovani, con sede in viale Ancona a Mestre, è quella che ha ottenuto in affidamento l’Arsenale dallo Stato.
La Finanza sta passando al setaccio alcune fatture sospettando l’evasione fiscale. Alcune di queste riguardano la società Bmc Broker (Business Merchant consulting) con sede a San Marino. Società presieduta da William Colombelli, dove lavorano l’ex segretaria personale di Giancarlo Galan Claudia Minutillo e il suo ex addetto stampa Gianluca La Torre.
Balzata agli onori della cronaca per aver organizzato manifestazioni della Regione di Galan e del Porto, come l’inaugurazione dello scavo dei canali e i lavori a Fusina. Lavori effettuati da Mantovani, come del resto la gran parte dei lavori su strade, bonifiche e infrastrutture del Veneto. «Siamo una grande impresa, e dunque lavoriamo», dice Baita, «non vedo cosa ci sia di male. Le verifiche sono un atto dovuto. Il giudice entra in campo perché stiamo parlando di cifre elevate. Nei cinque anni in questione, dal 2005 al 2010, abbiamo avuto tre miliardi di euro di fatturato, versato allo Stato centinaia di milioni di imposte dirette». La Finanza è al lavoro adesso per verificare la corrispondenza di quelle fatture con le prestazioni eseguite.
Il pm Stefano Ancilotto potrà trattenere la documentazione sequestrata, visto che il giudice ha rigettato il ricorso presentato da Baita attraverso l’avvocato di Pietro Longo, uno dei più importanti penalisti italiani difensore anche di Berlusconi.
Intanto l’attività della Mantovani, impresa del Mose ma anche del tram, delle bonifiche, del Passante e dell’operazione Lido va avanti. L’altro giorno l’azienda si è aggiudicata anche la gara per l’Expo di Milano. Ancora ossigeno alla macchina esigente di un’impresa che per ora non conosce la crisi. E il rinvio a metà settembre della decisione sulla cauzione per l’ex Ospedale al Mare ha riaperto anche la trattativa su quel fronte. Mantovani, insieme a Condotte ed Est Capital, minacciava di ritirarsi dall’operazione Lido. Il giudice però ha bloccato in banca la cauzione di 31 milioni su richiesta del Comune. «Noi vogliamo restare, il mercato oggi va male, ma il mattone tornerà bene sicuro in tempi di recessione», dice Baita, «ma ognuno deve fare la sua parte. Siamo fiduciosi che il Comune mantenga i suoi impegni. Adesso il tempo per trovare un accordo c’è. Il Comune ha il vincolo del Patto si stabilità, noi non possiamo perdere i soldi delle banche. Vediamo». Alberto Vitucci
L’impresa: Mose, tram, ospedali e strade
Indagine fiscale sulle fatture emesse da Palomar e Mantovani nei cinque anni che vanno dal 2005 al 2010. Una rete di attività con migliaia di dipendenti e miliardi di fatturato, quella delle società del gruppo Mantovani. Società padovana della famiglia Chiarotto presieduta da Piergiorgio Baita, manager della prima Republica diventato oggi uno dei più importanti imprenditori del settore edilizia. Mantovani è la prima azionista del Consorzio Venezia Nuova che sta costruendo il Mose. Ma anche l’impresa che ha realizzato il Passante di Mestre, il tram, le bonifiche di Marghera, lo scavo dei canali, l’Ospedale all’Angelo con la società Veneta Sanitaria, lavori al Porto, strade e autostrade. E la proposta di realizzare la sublagunare, il progetto della trasformazione dell’ex Ospedale al Mare in centro turistico privato. E infine ha vinto la gara per l’Expo di Milano del 2015, piazzandosi davanti a imprese del calibro di Astaldi e Impregilo. (a.v.)
Il Manifesto – Cemento, asfalto e sporchi schei
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17
lug
2012
La manifattura non «tira» più: oggi i miracoli a Nord-est si fanno con la rendita e le grandi opere. Tra speculazioni, distruzione del territorio, corruzione politica e la Camorra che si fa impresa.
Nemmeno sant’Antonio fa più miracoli e non salva dalla crisi la sua «industria», una delle principali di Padova: pellegrini in calo e turismo religioso in difficoltà, con un meno 3% tra 2010 e 2011. I frati osservano preoccupati una curva negativa e indifferente persino all’ultima ostensione del santo corpo. Le autorità locali sono corse ai ripari affidandosi a un mago delle promozioni, Josep Ejarque, che intende «rompere la dipendenza da pellegrinaggi, ostensioni e riti di passaggio», per «rigenerare i prodotti turistici padovani, puntando sui flussi europei e usando molto internet». Ejarque ha alle spalle i successi dei giochi olimpici di Barcellona ’92, ma quelli erano anni di vacche grasse. Poi con le olimpiadi invernali di Torino 2006 le cose sono andate diversamente, considerato il poco che è rimasto alla città – debiti a parte – una volta spenti i costosi «botti» a cinque cerchi.
Di fronte a una crisi che come una pestilenza colpisce un po’ tutti, è difficile dire se l’ispirazione salvifica possa essere la mistica antoniana o la managerialità virtuale. Di certo è che, nel cuore del Nord-est – tra Padova, Mestre e Treviso – la «strada degli schei» da tempo ha cambiato punti di riferimento e consistenza. Nell’ultimo decennio s’è fatta sempre più astratta, meno visibile quanto reale. Spostandosi dal manifatturiero ai servizi, alle concessioni, alla rendita. Un caso evidente è il gruppo Benetton, che continua a produrre e vendere maglioncini e magliette, ma i soldi li fa con autostrade e aeroporti. Basta leggere l’ultimo bilancio di «Edizione srl», lo scrigno di famiglia. Fatturato 12.253 milioni di euro, utile netto 300 milioni – per metà da attività svolte all’estero -, così ripartiti: 52,4% da Autogrill, autostrade e aeroporti, 30,7% da infrastrutture e servizi per la mobilità, 16,6% da tessile e abbigliamento (con quest’ultimo a segnare un -2% sull’anno precedente). Benetton vent’anni fa marchiava di sé il trevigiano (squadre di basket e volley esibite come gioielli di famiglia), oggi pensa globale e sposta i suoi investimenti dal tessile alle concessioni che assicurano rendita: prossimo investimento, 12 miliardi per gli aeroporti, con relativa guerra delle tariffe. Una precisa concezione dello «sviluppo».
Di Benetton, naturalmente ce ne è uno, ma il caso è sintomatico e l’illustre esempio fa scuola. Grandi e piccoli ne traggono ispirazione, aggiornando le vecchie abitudini di chi ha i piedi ben piantati sulla terra e la considera un suo bene. Da sfruttare il più possibile e «in proprio». Così si è passati dal dilagare di capannoni industriali a quello delle speculazioni più fantasiose, protagonisti gli stessi che trent’anni fa hanno cementificato mezzo Veneto e oggi continuano a farlo, dirottando sulla rendita tutto ciò che hanno ricavato dal manifatturiero. Perché se c’è un’ispirazione che è stata abbandonata è quella industriale – per molti ormai troppo faticosa e poco remunerativa. Perché gli «schei» (veri o virtuali) si possono fare più comodamente da novelli rentiers e senza il rischio d’impresa. Costruendo una nuova rete: non più un distretto industriale ma un intreccio di relazioni – palesi e occulte – tra economia, politica e malaffare.
Tra Veneto City e Nuova Romea
La furia costruttrice, che da queste parti non tramonta mai, ruota sull’asse Padova-Mestre. Veneto City e Nuova Romea sono le due mega-opere attorno cui e da cui partono una serie di altri progetti, per un giro d’affari superiore ai 20 miliardi di euro. Veneto City è un faraonico progetto da due milioni di metri cubi su un’area di 750.000 metri quadri, divisi tra i comuni di Dolo e Pianiga, a ridosso di quello di Mira: la logica è quella delle newtown che hanno fatto la fortuna di Berlusconi (e costruito, mattone su mattone, il berlusconismo) declinata tutta in chiave commerciale. Cosa ci sarà dentro, di preciso, ancora non si sa (il progetto ha maglie molto larghe: outlet e botteghe, spazi fieristici e aree museali, alberghi e università, persino ospedali) e nemmeno importa molto. Quel che conta è l’occupazione di una rilevante porzione di campagna con l’equivalente di un capannone largo 12 metri, alto 7 e lungo quanto il tratto dell’autostrada A4 che separa Padova Est da Villanova: 23 chilometri.
E’ un progetto che vale 2 miliardi di euro, sponsorizzato prima dal centrosinistra e poi dal centrodestra, nato nel 1998 da una società promossa da un selezionato gruppo di imprenditori padovani e trevigiani: Luigi Endrizzi (costruttore), Giuseppe Stefanel (industriale tessile), Fabio Biasuzzi (calcestruzzi e presidente di Nordest Ippodromi), Olindo Andrighetti (import di legname) e l’unico non veneto del gruppo, Giancarlo Selci (pesarese, industriale meccanico e cavaliere del lavoro).
Nel corso degli anni la società Veneto City ha acquistato terreni ed è diventata oggetto d’investimenti, aumentando progressivamente il proprio capitale oltre i 9 milioni di euro. Ma è rimasta una società in mano al costruttore Endrizzi, che grazie a due piccole srl di 10.000 euro ciascuna, detiene il 26% del totale azionario (un valore di quasi 2 milioni e mezzo). Chiavi di volta della valorizzazione di questo progetto – che porta con sé strade, svincoli, caselli autostradali, aree verdi, allargando a oltre un milione di metri quadri l’area interessata – sono il passaggio dei terreni da uso agricolo a commerciale-industriale, una serie di varianti approvate dai comuni interessati (affascinati dai «contributi di costruzione» e dalle previsioni sulla futura Ici-Imu)
e soprattutto il via libera al progetto da parte della giunta regionale guidata dal leghista Zaia, che dichiarandone la «pubblica utilità» ha cancellato tutti i pareri contrari e tutte le obiezioni istituzionali. Un’approvazione arrivata di gran corsa il 31 dicembre del 2011, facendo lievitare il valore dei terreni, giusto in tempo per porre a bilancio cifre consistenti, far crescere patrimoni, per la salvezza delle società di alcuni proprietari dei lotti e la tranquillità delle banche finanziatrici: sul modello dei derivati si creano soldi finti.
Pazienza se poi, in questo modo, si gonfiano bolle immobiliari e finanziarie. Del resto quella dei terreni comprati per poi cambiarne la destinazione d’uso, facendo del valore maggiorato una garanzia bancaria, è una pratica ricorrente (c’è persino chi costruisce ancora capannoni per lasciarli vuoti e farne solo una voce patrimoniale). I lavori di Veneto City dovrebbero iniziare entro la fine del 2012, anche se i Comitati, che fin dall’inizio denunciano questa follia, sperano ancora di bloccarli. Se pure inizieranno, non è detto che la crisi economica ne permetta il completamento e non riduca Veneto City a un’enorme speculazione finanziaria, lasciando sul terreno solo qualche edificio e un scheletrico reticolo di strade.
E proprio una strada (anzi, un’autostrada) è l’altra grande opera. Viene da sud, è la «Nuova Romea», sarebbe l’ultima propaggine di un delirio chiamato Civitavecchia-Marghera, dal Tirreno all’Adriatico, tagliando gli Appennini. Detta così sembra un doppione dell’Autostrada del sole. E, infatti, lo è. Nel concreto sarebbe la trasformazione in autostrada dell’attuale Orte-Cesena, che proseguendo a nord attraverso Ravenna (tratto già esistente) confluisce nella «vecchia» Romea. Statale pericolosissima (ad alta frequenza d’incidenti) che arriva fino a Marghera (per unirsi al passante di Mestre): da anni si parla di un suo raddoppio, uno schieramento trasversale – che unisce i ravennati delle cooperative vicine al Pd (segretario nazionale in testa) ai berlusconiani di Vito Bonsignore – ha pensato di proporne la trasformazione in autostrada (a pagamento). L’ipotesi è al vaglio del Cipe che se riconoscerà la legittimità delle varianti di programma, decretandone la «priorità», farà partire i lavori per una spesa inizialmente prevista di quasi 10 miliardi. Non proprio bruscolini, in epoca di crisi. Agli oppositori – che pure hanno pesato sulle ultime elezioni amministrative, con l’elezione del grillino Maniero a Mira e gli oltre mille voti di una lista appoggiata dai Comitati ambiente e territorio – non resterà che l’ultima carta del ricorso al Tar. «Perché l’ideologia dello spreco che ha sorretto il berlusconismo – sintetizza Antonio Draghi, architetto, uno dei promotori dei Cat e candidato sindaco del centro sinistra a Vigonovo, sconfitto dalla Lega per un pugno di voti –
si sfalderà quando dimostreremo che si può creare lavoro e benessere curando l’esistente e il territorio. Quando passeremo dal consumo alla manutenzione». Un modello di sviluppo che ricorda un po’ la «Fabbrica di san Pietro», un cantiere sempre aperto, che dà lavoro per valorizzare l’esistente, piuttosto che per sostituirlo o aggiungere. Che punta sul riuso e sul riadattamento alle nuove esigenze di ciò che è stato abbandonato, come potrebbe accadere per tante aree ex-industriali del Nord-est.
Idea affascinante, ma che si scontra con interessi forti e – anche – con una cultura popolare ben radicata da queste parti. A partire dalla tradizione contadina che fa coincidere l’uscita dalla famiglia originaria del primogenito maschio con la costruzione (in dote) di una nuova casa; comunque, a prescindere dagli edifici vuoti che possono esserci attorno. Aspettando che i poteri (e i costumi) cambino e compatibilmente con i tagli alla spesa, si comincerà a scavare, spianare, costruire. Non solo per Veneto City e Nuova Romea, ma per la Pedemontana (da Vicenza a Treviso a nord della A4), l’ipotizzata camionabile Marghera-Padova, la città della moda di Fiesso d’Artico (200.000 metri cubi), Motor City (il «parco dei motori» vicino a Verona) e una serie quasi infinita di strade, raccordi, bretelle, caselli. Senza dimenticare il polo logistico di Dogaletto, che si affaccia sulla laguna veneziana e dovrebbe essere collegato alla zona industriale di Padova da una nuova camionabile a pedaggio: i terreni dell’area per lo stoccaggio dei containers sono già stati acquistati da Alba srl e con il solo cambio di destinazione d’uso – da agricolo a industriale – la società dell’imprenditore romagnolo Franco Gandolfi guadagnerebbe circa 165 milioni di euro senza muovere un dito.
Chisso, l’assessore d’asfalto
Spending review permettendo, un po’ qua e un po’ là, qualcosa resterà, perché il Veneto «che conta» si farà sentire anche a Roma, pensando di andare avanti così, nonostante tutto, fingendo di essere sani: dall’azienda a rete sul territorio alla rete della rendita del territorio. Sotto il controllo e le spinte del deus ex machina che trasforma la terra in soldi (veri o virtuali, poco importa), il santo del cemento e dell’asfalto, Renato Chisso, già socialista, dal 1995 consigliere regionale del centrodestra (prima Forza Italia, poi Pdl), attuale assessore alla mobilità della giunta Zaia. Chisso rappresenta, insieme a Silvano Vernizzi (amministratore delegato di Veneto strade), la vera continuità del potere che dalla giunta Galan è transitata a quella Zaia, basata sulla gestione di opere pubbliche e appalti. Dirige il traffico della vera fabbrica di soldi del Nord-est odierno, il delicato intreccio tra economia e politica che frutta ricchezze, potere e un certo brivido del proibito che anche da queste parti conosce le sue «vittime». Come Lino Brentan, amministratore delegato dell’autostrada (a partecipazione pubblica) Venezia-Padova. Brentan, area Pd, lunga militanza nel Pci e nella Cgil, da febbraio è agli arresti domiciliari, accusato di corruzione e «atti contro i doveri d’ufficio». Avrebbe distribuito appalti – frazionandoli in tanti lotti per evitare di metterli a gara – in cambio di mazzette; secondo Brentan servivano a «finanziare il partito». Un Lusi in formato minore (le tangenti sarebbero attorno ai 100.000 euro), che negli interrogatori si sarebbe difeso parlando di «feste e iniziative elettorali». Molto amico dell’assessore Chisso – nonostante le diverse provenienze politiche – Brentan potrebbe essere solo la punta di un iceberg: secondo il pm veneziano Carlo Mastelloni «siamo arrivati di fronte al potere, a una cassaforte che ora si spera di aprire». Dentro ci potrebbero trovare di tutto. Come è accaduto, in un’altra inchiesta, alla Guardia di finanza che indagando su alcuni fallimenti sospetti di aziende in crisi è arrivata alla criminalità organizzata, quella più «pesante»: bancarotta, evasione fiscale, truffa, sono le accuse che hanno portato in carcere Giuseppe Capatano, titolare dell’omonima holding e presidente dell’Associazione «Osservatorio parlamentare europeo» (politicamente inesistente, eppur indiziato di un breve amoreggiamento con Scilipoti). Gli inquirenti sono convinti che Capatano e il suo gruppo siano legati al clan camorristico della famiglia Gionta di Torre Annunziata, che – anzi – ne siano la longa manus per controllare aziende venete in crisi, in particolare del settore costruzioni. Promettendo di sanare i passivi attraverso la costituzione di società all’estero (domiciliate presso un box office in Gran Bretagna) cui intestare i beni delle imprese in difficoltà prima di farle «sparire». In cambio chiedeva e otteneva un pagamento in contanti pari al 15% del totale dei debiti. Un giro d’affari stimato attorno ai 50 milioni di euro e un’evasione fiscale di 5,5 milioni nel solo padovano.
Quella sul gruppo Catapano è una delle tante inchieste in corso nel Veneto (Alessandro Naccarato, deputato del Pd, ne ha censito una quarantina in tre anni) che indicano come stia crescendo il ruolo delle mafie nell’economia del Nord-est, anche attraverso lo strozzinaggio nei confronti di centinaia di imprese che, messe alle strette dalla crisi economica, trovano chiusi gli sportelli delle banche e aperti quelli della malavita che «investe» e mette le mani sulle aziende, acquisendole direttamente o indirizzandone l’attività. Come sempre molto avviene nei servizi e nelle opere pubbliche. Dallo smaltimento dei rifiuti – in particolare quelli tossici che per anni il Nord-est ha «affidato» alla malavita campana e scaricato nel Mezzogiorno – all’edilizia e al movimento terra, settore in cui si sono specializzati i Casalesi. I clan sono molto interessati alle grandi opere, le sole (a parte le nicchie dell’alta qualità manifatturiera, più difficili da infiltrare) che fanno ancora girare gli schei del Nord-est. Insieme al traffico illegale vero e proprio di merci (armi, droga) e persone (immigrazione e prostituzione) che dalla Trieste-Padova riforniscono tutta la penisola.
«La corsa della locomotiva veneta – dice Massimo Carlotto, scrittore che per storia e mestiere conosce bene il ventre della «bassa» padovana – si è alimentata per anni anche di evasione fiscale e lavoro nero, creando così un habitat perfetto per la criminalità e il riciclaggio dei soldi sporchi. Qui c’è gente che gira con le valigette piene di contante che presta a strozzo o investe negli appalti, prendendosi le aziende e taglieggiandole». Ecco come e dove girano i soldi «veri» nel Nordest di oggi. Un nuovo «miracolo» che sant’Antonio non avrebbe proprio saputo fare.
Inchiesta di Gabriele Polo. Con la collaborazione di Sebastiano Canetta ed Ernesto Milane
paologiacon.blogspot.it – La Provincia di Padova, Veneto City ed il Centro Congressi
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2
lug
2012
Padova 30 giugno 2012 – “Abbiamo finalmente risolto il rebus e compreso il reale motivo per cui la Lega Nord di Padova ed il PdL di Padova (e di conseguenza l’Amministrazione Provinciale) hanno deciso di affossare il progetto del nuovo centro congressi in Fiera appigliandosi a qualsiasi cavillo.” Paolo Giacon, consigliere provinciale del PD apre una nuova prospettiva destinata a far discutere e sulla quale la Provincia sara’ costretta ad intervenire.
“Il motivo per cui l’amministrazione Degani non vuole realizzare il centro congressi si chiama Veneto City, un mega polo commerciale, direzionale e terziario che dovrebbe sorgere sulla riviera del Brenta (in provincia di Venezia!) e che prevede – guarda un po’ – la realizzazione di un centro congressi di dimensioni paragonabili con quello progettato a Padova.”,
spiega Giacon. “Da sempre il progetto di Veneto City e’ stato appoggiato dalla Lega Nord padovana – che ha presentato in consiglio provinciale anche una mozione per la sua realizzazione – e da Giancarlo Galan, vero dominus del PdL in Veneto e a Padova, che evidentemente e’ riuscito ad imporre la sua linea su Barbara Degani. Ed ecco svelato il mistero – afferma caustico Paolo Giacon – : il no della Provincia si giustifica solo di fronte al progetto di sostenere Veneto City e quindi il centro congressi di Veneto City. Che tuttavia sara’ realizzato in provincia di Venezia e non certo in provincia di Padova”. Accanto alle bordate di Giacon, anche Fabio Rocco, capogruppo dei democratici interviene e afferma:
“L’amministrazione Degani getti la maschera e dica apertamente che e’ contro Padova, la sua area metropolitana, contro il territorio e contro le categorie economiche. Dica apertamente che ha ricevuto ordini dalla Lega e da Galan di appoggiare il progetto Veneziano di Veneto City, dannegiando in questo modo gli imprenditori ed i commercianti padovani che a gran voce correbbero realizzare il centro congressi in Fiera. Un atteggiamento irresponsabile che antepone gli interessi di singoli privati e dei partiti al bene comune e all’interesse collettivo”.
Gazzettino – Dolo. Polo logistico, Gei accusa la Regione
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26
giu
2012
«Scavalcate le norme di tutela ambientale, Zaia si rivela peggiore di Galan»
DOLO – «Il Polo logistico di Dogaletto di Mira come Veneto City». È questa l’accusa che il consigliere de “Il Ponte del Dolo” Giorgio Gei muove alla Regione Veneto.
«Ancora una volta – attacca – la Regione Veneto mira a scavalcare le procedure di tutela e per il Polo logistico di Dogaletto e punta ad aggirare la Valutazione ambientale strategica». Secondo Gei «l’amministrazione Zaia si conferma così ancor più devastante della precedente giunta Galan e se, saggiamente, la nuova amministrazione mirese si dichiara decisamente contraria, ecco che spunta prontamente qualche emulo del conte Volpi di Misurata disposto ad una nuova devastazione della Laguna un pò più a Sud».
Il timore è che l’approvazione del progetto possa compromettere l’equilibrio ambientale. Gei non lesina una stoccata ai primi cittadini di Dolo e Pianiga (Maddalena Gottardo e Massimo Calzavara):
«Reputo del tutto incomprensibili, se confermate, visti i precedenti, le dichiarazioni dei sindaci di Dolo e Pianiga disposti a discutere e valutare i progetti e magari pronti a far decollare un Polo logistico sicuramente Green».
(g.d.c.)
Ernesto Milanese – Veneto. Locomotiva su binario morto
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24
giu
2012
I 20 lunghi anni che non hanno «rivoluzionato» il mondo fra Venezia e Roma
I veri cronisti sono la disperazione di direttori e capiredattori. Scrivono per raccontare e descrivono le pieghe della realtà. Coltivano la curiosità e la critica. Sono fastidiosi e insistenti con i loro “pezzi” urticanti, che eccedono le informazioni standard o ricostruiscono il puzzle degli interessi. Insomma, notizie «narrate» oltre la superficialità: con documenti di pubblico dominio e l’atteggiamento del cane da guardia. Renzo Mazzaro sulla soglia della pensione restituisce con I padroni del Veneto (Laterza, pagine 272, euro 16) l’esperienza giornalistica dentro e fuori il Palazzo alla luce della parabola del Nord Est, che sintetizza l’illusione in cui si è cullata tutta l’Italia postdemocristiana. È davvero un lungo racconto dei vent’anni che non hanno «rivoluzionato» il mondo fra Venezia e Roma. Una storia ricomposta attraverso i protagonisti, i luoghi, i destini. Perfino gli aneddoti e le vicende apparentemente meno cruciali. Mazzaro rilegge il «nanismo politico» dell’aggiornamento del modello veneto. Il doge Giancarlo Galan diventa ministro solo al tramonto di Berlusconi. E Luca Zaia è eletto governatore mentre si eclissa ogni velleità federalista. Ma gli orfani della Dc di Bisaglia, Bernini e Fracanzani scontano anche il più feroce fai-da-te dell’economia locale. Spariscono le banche di riferimento fagocitate altrove, detta legge la finanza a senso unico e fioriscono «imprenditori» che cannibalizzano risorse pubbliche. Infine, la società veneta ormai multietnica e globalizzata «lavora» senza più la rete di protezione: consuma anche la famiglia tradizionale come l’idea stessa di benessere. Il cronista Mazzaro testimonia l’eterna contraddizione del Veneto formato «locomotiva» che si arena nel binario morto del narcisismo.
Ma soprattutto disvela i segreti di Pulcinella: la conquista della Save da parte di Enrico Marchi con la complicità del centrosinistra; l’affare da 80 milioni all’anno (le assicurazioni degli ospedali) monopolizzato da Gianni Pesce; la mega-colata di cemento di Veneto City targata Giuseppe Stefanel, Enrico Marchi e Luigi Brugnaro con il supporto dell’ingegner Luigi Endrizzi e di Rinaldo Panzarini (ex direttore generale di Carisparmio approdato a Est Capital Sgr); i fili delle matasse fra soldi pubblici e giochi privati che riconducono sempre a Gian Michele Gambato, dirigente della Regione che presiede Confindustria Rovigo.
È il Veneto sussidiario in cui si annidano mandarini, cricche e satrapie. Con la vocazione «istituzionale» a dividersi la torta perché a Nord Est la sinistra business-oriented ha anticipato dagli anni Novanta il «compromesso storico» fra Compagnia delle Opere e Lega delle cooperative. Il libro accende i riflettori sul «compagno M» di Tangentopoli e sulla carriera di Lino Brentan arrestato per le mazzette autostradali. Tuttavia, manca la vera «radiografia» dell’immobiliarismo. La Torre della Ricerca nell’ex zona industriale di Padova sarà il San Raffaele del Veneto? Le rigenerazioni in laguna occultano conti in rosso? L’edilizia universitaria è ormai fuori controllo? Mazzaro tradisce la nostalgia per la svolta sfumata.
Correva l’anno 1995 e si poteva vincere: bastava candidare Tina Anselmi presidente della Regione. Invece Elio Armano, segretario del Pds, «scomunicò» Rifondazione e gli altri strateghi della coalizione vollero Ettore Bentsik. Risultato: Galan al potere con il 38%, il professore dell’Ulivo al 34% e Paolo Cacciari al 6,8%. Da allora non c’è più alternativa.
Le successive tre sconfitte elettorali, anzi, allargano il campo della spudorata autonomia della rappresentanza politica.
È il Veneto «governato» dal consociativismo. Lo stesso che garantisce alle imprese di riferimento di attraversare indenni la crisi.
Mazzaro disegna la geografia del flusso di denaro e individua i «nuovi padroni» svezzati nell’ultimo ventennio. Informazioni e interviste, scenari e confessioni, inchieste e analisi. I padroni del Veneto fa impallidire da questo punto di vista le celebrate firme dei grandi giornali, ma anche vanifica radicalmente la comunicazione votata agli stereotipi. Un saggio di come il cronista sia ancora di pubblica utilità.
Ad altri, giovani eredi di Mazzaro, spetterà presto il compito di raccontarci nel dettaglio come Legaland si sia trasformata nella succursale di Gomorra.
Gazzettino – Edilizia, “Siamo più esposti a causa della crisi”
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24
giu
2012
I VERTICI DELLA CASSA EDILE
A RISCHIO – L’edilizia è uno dei settori che più interessa la criminalità organizzata
La crisi colpisce duro e continua a farlo, soprattutto nell’ambito delle piccole imprese. Un rischio evidenziato in occasione delle celebrazioni del venticinquennale della Cassa edile veneta artigiana, che oltre a inaugurare la sua nuova sede in via della Pila, ha organizzato all’Istituto Parini un convegno su “Economia e criminalità”. Secondo Ceva ad accrescere l’esposizione alle infiltrazioni criminali contribuiscono anche le gravissime condizioni della crisi economica: nel caso dell’edilizia nel 2012 è prevista una riduzione del 5,2% degli investimenti, che si aggiunge alla precedente contrazione del 20% registrata tra il 2008 ed il 2011. Le più colpite sono proprio le piccole imprese: quelle con meno di 5 addetti nell’ultimo trimestre 2011 hanno avuto cali di fatturato pari al 4,4%. Di pari passo anche l’emorragia di posti di lavoro (4600 lavoratori in meno nel 2011) e la crescente mortalità di imprese (-1,6% in due anni). «Oggi, purtroppo, sempre più imprese faticano a reggere le difficoltà del mercato – spiega il presidente della Ceva Roberto Strumendo – C’è terreno fertile per la criminalità, in particolare sul fronte degli appalti». Interessante la riflessione del professor Filippo Della Puppa dello Iuav: «In Veneto e nel veneziano si è costruito troppo e male – Per contrastare la crisi l’unica strada per uscirne è l’innovazione, l’adozione di politiche sostenibili ed evitare di consumare altro territorio». (r.ros.)
Appello agli amministratori del coordinatore di “Avviso Pubblico”
«Vigilate contro la mafia»
«Il Veneto non è terra di mafia ma terra che interessa alla mafia. E solo con la denuncia preventiva si può tenere lontano questo cancro della società». È l’istantanea che Pierpaolo Romani, Coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico” (definita la Libera degli amministratori pubblici e comunali) fornisce di ciò che interessa ai fenomeni di Cosa Nostra nel nostro territorio. Il suo intervento nel dibattito su Economia e Legalità in occasione dei 25 anni della Cassa edile veneziana (Ceva) scuote e a tratti sorprende. Ma non troppo. Lui che il tessuto urbano lo conosce perchè è sempre a contatto con gli amministratori pubblici sa bene anche quanto succede in quest’area del Nordest. «Il recente vertice a Venezia della Commissione Antimafia presieduto dall’ex ministro Giuseppe Pisanu e anche il monito del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri che ha riconosciuto nel Veneto uno dei territori più appetibili per gli affari mafiosi, sono la cartina di tornasole di quanto, purtroppo, sta accadendo – spiega Romani – La mafia da tempo non è più quella della polvere da sparo ma quella che segue l’odore dei soldi. E di soldi, in Veneto, ne girano parecchi e significano investimenti, imprese, piccole società da aiutare, grandi progetti e infrastrutture in cui inserirsi. Tutti affari che per la mafia dai guanti bianchi sono manna dal cielo». Un territorio, quello Veneto, per Romani, che crea diffidenza anche all’estero. «Allo sceicco del Qatar, in visita poche settimane fa in Italia, (quello che ha finanziato il rigassificatore di Rovigo per intenderci) hanno chiesto perché non investe di più nel nostro Paese e lui ha risposto: corruzione. E anche in Veneto corruzione, evasione fiscale e paura di denunciare sono i principali fattori che rendono grande le mafie che vogliono porre radici. Non è vero che non esistono i casi ma non si vogliono dire, far emergere. E i settori più a rischio in questo territorio sono l’edilizia e il turismo (anche Jesolo ed Eraclea), i trasporti, i mercati ortofrutticoli, il gioco d’azzardo, non certo il Casinò di Venezia ma quello dei bar, dove piccoli imprenditori malati di gioco perdono patrimoni e poi chiedono prestiti a usurai camorristi e mafiosi». Il giornalista Giovanni Viafora, secondo relatore del dibattito, ritiene che la colpa sia anche della politica. «Il Veneto è impreparato all’onda d’urto delle infiltrazioni mafiose – dice – Le piccole imprese, sono le più a rischio. Qualche giorno fa ho chiesto all’ex governatore Galan come è possibile che la politica non si sia accorta di nulla. Sapete la risposta? «Nessuno me l’ha mai detto». Forse anche la magistratura andrebbe adeguata alla situazione: ma ha ragione Romani, la regola numero uno deve essere la denuncia».
Raffaele Rosa
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