Nuova Venezia – Cemento e dissesto. E’ un territorio violato
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24
mag
2015
L’indice di costruzione secondo solo a quello lombardo, l’incuria pluriennale nella salvaguardia idrogeologica. Gli ambientalisti: troppi impegni disattesi
VENEZIA – Il cimitero degli elefanti dei capannoni abbandonati, gli insediamenti abitativi che invecchiano senza inquilini, le discariche selvagge, i veleni occultati nel sottosuolo, le costruzioni sregolate che costellano campagna, colline, litorale.
L’ambiente veneto aggredito e indifeso, ostaggio di un modello di industrializzazione diffusa e accelerata, che ha frantumato le barriere tra urbanesimo e ruralità, che dal 1970 ad oggi ha trasformato in costruzioni 180 mila ettari di terreno (pari all’intera provincia di Rovigo) con un’indice di cementificazione (il 14%) secondo su scala nazionale soltanto a quello lombardo.
Se questo è l’album del passato (prossimo), l’attualità dei nostri giorni racconta l’epilogo di un ciclo economico espansivo e il suo malinconico corollario fitto di zone commerciali dismesse e impianti inutilizzati, siti produttivi da bonificare e ferite aperte sul territorio.
«Negli ultimi tempi la situazione si è addirittura aggravata, ora nessuno sta peggio di noi», è il severo commento di Andrea Ragona, dirigente di Legambiente «mentre un po’ dovunque spuntano cartelli “vendesi” sugli edifici e nella sola Padova ci sono 10 mila appartamenti vuoti, i costruttori sollecitano ulteriori colate di cemento, funzionali esclusivamente ai loro profitti, non certo ai cittadini. L’altra faccia della cementificazione è l’assenza drammatica di una politica della mobilità pubblica che riduca l’inquinamento dell’aria: aperture di facciata e promesse elettorali, nel concreto quasi nulla. Stiamo scontando gli effetti devastanti di 14 anni di gestione Chisso nei trasporti. Una buona notizia? Finalmente si riparla di idrovia con minimo di concretezza, però dobbiamo essere chiari: o diventerà un canale navigabile, con il traffico pesante sottratto alla strada e posto sopra le chiatte, o si ridurrà all’ennesimo palliativo. Temo che, aldilà degli slogan, la consapevolezza della gravità della situazione e la conseguente volontà di agire, siano del tutto insufficienti».
Abusi e dissesti non indolori, pagati a carissimo prezzo ogniqualvolta le precipitazioni superano le medie stagionali, il bollettino dei danni racconta esondazioni fluviali e torrenti in piena, centri sommersi e distruzioni, vittime e sfollati. Sul fronte della salvaguardia idraulica, dopo lunghi anni di colpevole incuria, la disastrosa alluvione del 2010 è valsa, se non altro, a ridestare l’amministrazione regionale, che, per volontà del governatore Luca Zaia, si è dotata nello stesso anno di un Piano di azioni e interventi per la mitigazione del rischio idraulico e geologico, stimando in 2,7 miliardi di euro il costo complessivo della messa in sicurezza del martoriato territorio veneto. Un obiettivo lungi dall’essere centrato – complice la crisi che ha prosciugato i rubinetti finanziari del Governo – perseguito attraverso l’apertura di 925 cantieri grandi e piccoli, con priorità ai bacini di laminazione di Caldogno, Muson dei Sassi, Viale Diaz a Vicenza, La Colomberetta, Montebello, Pra dei gai, Trissino; i punti più dolenti nella mappa nostrana.
«È un primo passo utile dettato dall’emergenza ma occorre fare molto di più», sentenziano all’unisono i comitati spontanei sorti come funghi nelle zone a rischio alluvionale.
Altro versante, quello del risparmio del suolo abbinato alla rigenerazione urbana. A lavorarci, da tempo, sono quelli di Urbanmeta, un “cartello” sorto in Veneto e ad oggi unico in Italia perché include ambientalisti e Ance, architetti e docenti universitari; figure difformi, spesso in conflitto, accomunate dall’interesse per le scelte urbanistiche: «Il Piano Casa voluto dalla Regione ha lievemente attenuato l’impatto sul territorio, escludendo le costruzioni ex novo, però ha concesso chance di ampliamento abitativo che riteniamo del tutto eccessive», è l’opinione di Andrea Ginestri, attivo nel sodalizio «ma ciò che più ci sconcerta è la strategia che emerge in alcune amministrazioni locali.
Ci dicono: “Fra tre anni esauriremo la cubatura prevista dal Piani di assetto territoriale e allora introdurremo lo stop ai cantieri edili”; ebbene, alcuni di quei Pat prevedono aumenti della cementificazione fino al 40% : una follia, impraticabile per il venir meno di suolo disponibile prima ancora che per decenza amministrativa».
Intanto la legislatura si è conclusa ma l’annunciata legge quadro regionale è rimasta alla fase progettuale alcuna: «Se è per questo, siamo in ritardo anche sul piano delle idee», chiosa Ginestri «finora, il massimo che si è riusciti a escogitare per riqualificare un sito industriale dismesso, è stato piazzarci un centro commerciale o un silos di auto. La moderna rigenerazione urbana è altra cosa».
È tutto? Non proprio. C’è anche il rischio persistente di terremoto (confermato dalla recente serie di scosse) che i geologi individuano nell’arco della Pedemontana che si estende dalla Lessinia al Cansiglio e coinvolge le province di Verona, Vicenza e Treviso, dichiarate zone sismiche di seconda categoria. Gli esperti della prevenzione sollecitano a gran voce uno screening organico, ovvero una mappatura degli edifici – abitativi e produttivi – accompagnata da incentivi finanziari all’adeguamento degli stabili pubblici e privati. Il Piano Casa, in verità, assegna alcuni fondi in questa direzione, legati alla ristrutturazione e messa in sicurezza. Ma è soltanto l’inizio di un percorso che si annuncia lungo e accidentato.
Filippo Tosatto
Il docente di Idraulica: «Basta strade, ci vuole equilibrio. Bene l’Idrovia. Il Mose? Speriamo almeno che funzioni»
D’Alpaos: «Il rischio allagamenti è alto, servono invasi»
VENEZIA – Il territorio e la sua sicurezza sacrificati sull’altare del cemento, come risultato di una politica che per almeno quarant’anni si è lasciata dettare l’agenda delle grandi e piccole opere da pochi portatori di interesse. E l’interesse generale torna a far capolino solo quando si verificano le tragedie, come l’alluvione del 2010.
Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’università di Padova chiede al nuovo governatore il coraggio di scegliere: la sicurezza idraulica del Veneto è l’unica priorità su cui concentrare le risorse.
Professore, come sta il territorio veneto? «Ha i suoi problemi dal punto di vista della difesa idraulica, una situazione che è conseguenza di anni di incuria, sfruttamento del suolo e della stessa acqua. Ma anche di una politica che ha concentrato progetti e risorse sempre e solo su cemento e asfalto».
Dove è urgente intervenire? «Ci sono due piani, quello del grande sistema idrografico e le reti minori. Il problema dei nostri fiumi è che non sono in grado di convogliare al mare in sicurezza la portata delle piene. È un problema grave perché quanto accaduto nel 1966 può succedere di nuovo. Servono invasi per trattenere temporaneamente i colli di piena».
E l’Idrovia Padova-Mare di cui da qualche anno si è tornati a parlare? È certamente un’opera necessaria per garantire la sicurezza idraulica di tutta la zona a valle del nodo idraulico di Voltabarozzo, sia nel Padovano che nel Veneziano, potendo fungere da canale scolmatore per Brenta e Bacchiglione. Se ne è tornato a parlare dopo l’alluvione del 2010 quando tante persone e tante imprese si sono ritrovare in ginocchio. Eppure se si chiede a qualsiasi imprenditore cosa serve al Veneto, si parla ancora e sempre di strade, autostrade e tangenziali. Non capiscono cosa stanno rischiando. È quello che io chiamo il “partito degli stradini” che ha dettato lo sviluppo del nostro territorio. La politica deve prendere in mano la situazione, smettere di rilanciare, di ascoltare pochi portatori di interesse e fare le opere di difesa idraulica».
Non è cambiato nulla dopo il 2010? «Qualcosa si è iniziato a fare, ma sono solo i primi passi di un cammino che sarà lunghissimo e dovrà impegnarci per i prossimi 30 anni. L’acqua è una minaccia, ma anche una grande risorsa. Difendersi dalle acque, difendere le acque: sono i due lati della stessa medaglia. Da una parte il rischio alluvioni, dall’altra fiumi ridotti a rivoli, come il Piave. Va ristabilito l’equilibrio».
E il Mose? «Un’opera troppo complessa e troppo costosa. Ma arrivati a questo punto non possiamo che augurarci tutti che funzioni».
Elena Livieri
Gazzettino – Mirano. Vandali. Detersivo nel Muson e olio esausto in un canale.
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30
apr
2015
MIRANO – Prima i detersivi nelle acque del Muson, poi l’olio in un fossato di aperta campagna. Doppio intervento dei vigili del fuoco a Mirano, la Polizia indaga per rintracciare i responsabili ma non sarà affatto facile.
Ieri mattina un miranese ha segnalato la presenza in via Viasana di tre bidoni colmi d’olio rovesciati sullo scolo a lato strada. Si trattava di olio che deve essere smaltito rivolgendosi alle ditte specializzate, così non è stato e ora il Comune di Mirano dovrà pagare degli specialisti per procedere con il recupero di quel liquido dannoso e successivamente con la bonifica di quel tratto di fossato. Non sarà facile individuare gli autori di questo abbandono perché siamo in una zona di aperta campagna.
Lunedì invece durante il mercato moltissimi miranesi avevano segnalato l’insolita presenza di moltissima schiuma al bacino dei Molini di Sotto in via Barche. I tecnici hanno accertato che si trattava di detersivo, probabilmente il liquido è stato svuotato in qualche punto del fiume Muson e poi la pioggia di domenica ha fatto il resto. Potrebbe essere la conseguenza del lavaggio di qualche piazzale, non è affatto la prima volta che capita.
(g.pip.)
Nuova Venezia – Spinea. In due anni ridotte del 24% le emissioni in atmosfera.
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25
apr
2015
SPINEA – Spinea si “gode” il suo Paes, il Piano per l’energia sostenibile: in due anni, ridotte del 24,24% le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, nonostante la crescita della popolazione del 10%.
Un dato molto significativo, a cui guardano con curioso interesse anche i Comuni che hanno adottato il Paes dopo Spinea: il successo è dovuto per il 26% alla diminuzione delle emissioni nel comparto pubblico, per l’8% alla diminuzione del comparto residenziale privato e soprattutto alla drastica diminuzione delle emissioni relative ai trasporti, pari al 50%, anche se avvenuta su scala sovracomunale in conseguenza della crisi economica. Le emissioni procapite sono passate da 3,6 tonnellate per abitante a 2,7 tonnellate.
I dati sono stati presentati giovedì in seconda commissione, alla presenza dell’assessore all’Ambiente Stefania Busatta che afferma soddisfatta: «Sono risultati che ci dicono che siamo sulla strada giusta, anche se molto resta da fare. Il Paes ha consentito di avviare azioni concrete sotto il profilo dei lavori pubblici, dell’ambiente, di viabilità, urbanistica ed edilizia. Ora puntiamo a migliorare ancora».
(f.d.g.)
Nuova Venezia – Pianiga. Il Pionca inquinato da idrocarburi. Esami e indagini.
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24
apr
2015
CAMPAGNA LUPIA – Inquinamenti in corsi d’acqua negli ultimi due giorni a Pianiga e Campagna Lupia. A Pianiga l’inquinamento maggiore si è avuto a ridosso del canale Pionca dove nella mattinata di lunedì i residenti hanno sentito un gran odore di nafta provenire dalla superficie dell’acqua. Immediatamente sono stati allertati i vigili del fuoco, i tecnici dell’Agenzia regionale protezione ambientale (Arpav) e del Comune che sono intervenuti. Sono state collocate delle pannellature per evitare che il carburante provocasse danni a flora e fauna e finissero all’interno di qualche altro corso d’acqua.
Ora si sta cercando di capire chi possa aver sversato in acqua il materiale. Si pensa che possa essersi trattato della pulizia di una cisterna di carburante. Una operazione fatta da qualche azienda agricola nel tratto a monte (cioè nel padovano) del Pionca.
Un altro inquinamento invece si è verificato a Campagna Lupia ieri mattina in una canaletta consorziale ai confini con il comune di Campolongo. Anche in questo caso si è trattato di uno sversamento di materiale inquinante e cioè idrocarburi. A mettere in sicurezza l’area, un tratto di 300 metri, con pannellature sono intervenuti i pompieri.
(a.ab.)
Gazzettino – Casale. Carotaggi al via: la discarica svela i suoi “misteri”
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17
apr
2015
CASALE SUL SILE – «Dobbiamo aspettare altri 10 anni per sapere cosa c’è sotto l’ex mega discarica in via del Carmine?». Non molla la presa il comitato sorto a Conscio di Casale in difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini. Ed è grazie alla loro pressante azione se nei prossimi giorni sono previsti i primi carotaggi del terreno dell’ex discarica.
Il terreno, di proprietà di Enrico Cerello, verrà sottoposto ad alcuni carotaggi eseguiti dalla ditta specializzata Chelab, di Resana, dopo l’accordo a cui sono giunti Comune, Provincia e lo stesso proprietario che pagherà le spese delle analisi.
Sono stati individuati i siti per i carotaggi e soltanto dopo avere in mano i risultati delle analisi il Comune potrà decidere se in quel sito è possibile realizzare un impianto a biogas.
Intanto, i residenti di via del Carmine protestano: «Vogliamo sapere se le falde fratiche sono state inquinate dalla montagna di ceneri industriali che sono accatastate nell’area da anni. Queste ceneri, nelle giornate ventose, vengono disperse nell’aria».
Sono state anche raccolte 3000 per avviare la bonifica dell’area sequestrata. La discarica era stata posta sotto sequestro nel 2002 dopo che è stata scoperta la presenza di rifiuti speciali non assimilabili al trattamento di materiali inerti. A distanza di 13 anni tutto è fermo.
(nd)
Gazzettino – Mira. Duecento chili di vongole vietate
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12
apr
2015
MIRA – Due pescatori abusivi finiscono nella rete del nucleo Natanti dei carabinieri
Sono stati bloccati lungo il canale Cunetta: avevano già dei precedenti
Il profitto innanzitutto, alla faccia dei colleghi pescatori che si comportano regolarmente e sui quali ricadono comunque conseguenze negative.
Eppoi nessuna remora di esporre i consumatori a possibili rischi per la salute a causa del potenziale contenuto di metalli pesanti, diossine o altre sostanze pericolose contenute nei molluschi.
I militari del Nucleo Natanti Carabinieri di Venezia hanno sorpreso nella giornata di venerdì scorso due pescatori abusivi con quasi 200 chilogrammi di vongole raccolte in zona vietata, precisamente lungo il canale Cunetta – Verto nord, in comune di Mira, adiacente al Canale dei Petroli di Marghera e molto vicino alla centrale idroelettrica di Fusina.
Nel corso dell’operazione predisposta con una motovedetta civetta e in abiti civili, i militari hanno sorpreso due persone di Chioggia già note per tale tipo di pesca abusiva, che con un barchino stavano raccogliendo molluschi in zona vietata per motivi igienico sanitari.
Con la classica attrezzatura chiamata «giostra» avevano già riempito diverse ceste con oltre 180 chilogrammi di vongole. I militari hanno identificato i due pescatori abusivi e li hanno successivamente accompagnati nella caserma di San Zaccaria, dove è stato loro notificato l’atto del sequestro dell’imbarcazione, dell’attrezzatura da pesca e del prodotto pescato abusivamente. I due chioggiotti sono stati deferiti all’Autorità giudiziaria per danneggiamento aggravato dei fondali lagunari. I pescatori sono due habitué. Ad ottobre del 2014 erano già stati «pescati» per l’identico motivo e sullo stesso posto. A febbraio e marzo di quest’anno erano nuovamente stati sorpresi sempre in zona, anche se non erano stati trovati in possesso di vongole pescate abusivamente. Le vongole sono state rigettate in acqua ancora vive.
Vittorino Compagno
Nuova Venezia – Discarica “benedetta” dalla legge
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10
apr
2015
Mira. Nel Testo unico per l’ambiente la pirite non è un rifiuto. La Corte Costituzionale boccia l’articolo
MIRA . Erano riusciti addirittura ad arrivare in Parlamento, dove era stata approvata un norma, all’interno del Testo unico per l’ambiente, con la quale si declassavano da rifiuti a sottoprodotti le ceneri di pirite, che a tonnellate si trovavano e si trovano ancora stoccate sui terreni di Dogaletto della società milanese, con sede operativa a Este, “Veneta Row Material srl”. Terreni che stanno lungo la Romea.
Una norma inserita proprio durante le indagini veneziane che vedevano tra gli imputati, oltre al milanese Piergiorgio Sacco, il titolare della società proprietaria della discarica, che allora era la “Veneta Mineraria”, anche il dirigente del settore Ecologia della Provincia Alessandro Pavanato, colui che nonostante la pericolosità aveva autorizzato la società a stoccare le ceneri di pirite senza alcuna particolare precauzione.
Concluse le indagini, durante il processo il giudice, accogliendo una richiesta del pubblico ministero Giorgio Gava, aveva inviato gli atti alla Corte costituzionale, sollevando un quesito costituzionale sulla legittimità dell’articolo in questione.
In attesa della risposta, il processo si è concluso con la prescrizione e gli imputati sono stati prosciolti, ma alla fine la decisione della Corte, che ha bocciato quell’articolo ritenendolo anticostituzionale, ha permesso allo stesso pubblico ministero di avviare un nuovo procedimento per i reati di aver costituito un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi, in pratica una discarica abusiva.
Nel frattempo infatti, nulla è cambiato se non il nome della società e il rappresentante legale: è finito sotto processo, infatti, Sergio Spinoglio per la “Veneta Row Material”. Ma le montagne di ceneri di pirite alte parecchi metri sono ancora allo stesso posto e hanno continuato a inquinare terreni, corsi d’acqua e falde sotterranee, come hanno spiegato due giorni fa alla giudice Bello i tecnici dell’Arpav e il proprietario dei terreni confinanti la discarica, Giuseppe Pavanetto. Si è costituito parte civile e ha raccontato che sul campo più vicino alla discarica l’erba si è seccata e non cresce più nulla. Ha sostenuto che più capi di bestiame delle sue stalle sono morti a causa dell’inquinamento e ha giurato di aver visto decine di gabbiani e di anatre appoggiarsi sulle montagne di ceneri e poi morire.
Marco Ostoich dell’Arpav ha spiegato che la pioggia provoca il dilavamento e la cenere di pirite, che contiene arsenico, cadmio, nichel e altri metalli pericolosi, finisce nel canale Finarda, che a sua volta scarica direttamente in laguna. Non solo, l’Arpav ha avviato anche un sondaggio per stabilire se le acque di falda, a varie profondità sotto la discarica, siano inquinate o meno e le prime risposte confermano una grave contaminazione.
Il terreno era stato posto sotto sequestro, ma in seguito alla dichiarazione della prescrizione nel precedente processo è stato restituito e nel frattempo la proprietà non ha speso un euro per risolvere il grave problema.
A spendere più di 700 mila euro è stato il Comune di Mira che infatti si è costituito parte civile per recuperare almeno quella cifra, ma quello sforzo non è bastato per smaltire migliaia di tonnellate di terre rosse e inquinanti che hanno cominciato a essere stoccate a Dogaletto dalla fine degli anni Sessanta, allora arrivavano direttamente dal Petrolchimico di Porto Marghera come scarti di produzione.
Giorgio Cecchetti
Nuova Venezia – I veleni di Dogaletto finiscono in laguna
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9
apr
2015
Mira. Nuova udienza e nuove verità al processo per la discarica di pirite. Marco Ostoich (Arpav): «Situazione indecente»
MIRA «La situazione a Dogaletto è indecente, c’è un deposito di tonellate di ceneri di pirite, un rifiuto pericoloso, che quando piove il dilavamento trasporta e disperde nei canali circostanti e tutto poi finisce in laguna». A raccontarlo, ieri in udienza risponderndo alle domande del pubblico ministero di Venezia Giorgio Gava, è stato il funzionario dell’Arpav Marco Ostoich. E nelle ceneri di pirite c’è l’arsenico, il cadmio, il ferro, il nichel e tanti altri materiali pesanti e pericolosi. Ha testimoniato anche Giuseppe Pivotto, un agricoltore che con i suoi terreni confina con la discarica e che con il Comune di Mira, la Provincia, la Regione, il ministero dell’Ambiente, il Wwf e Legambiente, si è costituito parte civile.
«Nel campo che confina con le montagne di pirite l’erba si è seccata e non cresce più», ha spiegato il contadino, «mi sono morte alcune mucche e con i miei occhi ho visto decine di gabbiani morti dopo essersi appoggiati su quelle montagne di terra rossa».
Sul banco degli imputati, per rispondere di aver costituito una discarica di rifiuti pericolosi che ha inquinato le acque e i campi circostanti a Dogaletto di Mira, e di getto pericoloso di cose c’è il milanese Sergio Spinoglio, di 70 anni. Stando alle accuse, la polvere di pirite, quando piove, viene trasportata dall’acqua nei fossi, nei vicini corsi d’acqua, in particolare scola nel canale Finarda, il quale a sua volta sversa l’inquinamento direttamente in laguna.
I fatti contestati all’anziano titolare della milanese «Veneta Row Mineral srl», che però ha sede operativa ad Este in provincia di Padova, vanno dal settembre 2011 a tutto il 2013.
Ieri, numerosi i testimoni, tra questi l’ex dirigente del comune Marina Pacchiani e il dirigente regionale Giovanni Artico, finito in carcere il 4 giugno dello scorso anno nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione per il Mose e per il quale alcune settimane fa la Procura ha depositato gli atti in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Per conto della Regione Artico aveva seguito gli incontri per l’accordo di programma tra enti coinvolti e società che gestiva la discarica.
Incalzato dalle domande degli avvocati Roberto Chiaia e Arianna Tosoni ha sostenuto che alla fine l’accordo era saltato a causa dell’atteggiamento dilatorio dell’imputato. Prossima udienza prevista per il mese di settembre.
Il sito, accanto alla Romea e vicino alla laguna, in cui si trovano i depositi di ceneri di pirite nasce a metà anni Sessanta in piena attività di Porto Marghera. Le ceneri di pirite infatti, altro non sarebbero che scarti di lavorazione dell’area del Petrolchimico. All’epoca venne autorizzato un deposito temporaneo di ceneri di pirite che si trasformò in definitivo. Vennero portate fino ad un massimo di 1 milione e 200 mila metri cubi di ceneri, su un’area di 77 mila metri quadrati a ridosso della Romea. A metà degli anni Novanta parte delle ceneri, che seppur inquinanti hanno un valore nel campo dell’edilizia, vennero conferite a dei cementifici. Ne sono rimasti 750 mila metri cubi.
Giorgio Cecchetti
Gazzettino – Martellago / Scorze’. Apre il nuovo casello, “CappellaVive” in lutto.
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1
apr
2015
SCORZÈ/MARTELLAGO – Il comitato si è opposto per anni alla realizzazione della struttura autostradale
Giornata di lutto da parte del Comitato CappellaVive per l’apertura odierna del casello autostradale dopo anni di lavori e una spesa di decine di milioni.
«Asfalto a go-go disseminato di lampioni, viadotto chilometrico, rotatorie ogni 500 metri, acquitrini a iosa.» Scrivono in un comunicato i portavoce che avevano iniziato la loro battaglia ancora prima della costruzione del Passante Autostradale di Mestre- «70 milioni, in aggiunta a quelli del Passante per trasformare un’oasi degna di un parco naturale in asfalto, viadotti, rotatorie, acquitrini e smog».
A nulla è valsa la battaglia quasi trentennale, sin dal 1990, degli abitanti della piccola frazione di Scorzè per salvare una zona documentata oltre 1500 anni fa. Al suo posto il casello autostradale che occupa circa 30 ettari oltre agli svincoli sino a Martellago.
L’area è stata scavata in profondità anche 3-4 metri. Portato via il terreno buono, scrive il Comitato, per bonificare il parco di San Giuliano a Mestre.
Nell’area di Cappella, invece , sono arrivati migliaia di metri cubi di fanghi del vallone Moranzani velocemente asfaltati. E ora manca il terreno per le dune e i terrapieni per contenere le tracimazioni del Dese.
Senza parlare delle barriere di mitigazione ambientale per le quali pare che non ci siano più soldi. »
Renzo Favaretto
OGGI L’INAUGURAZIONE – Si attende il governatore Zaia ma anche la protesta dei comitati
GRANDI OPERE – Verrà aperto oggi al traffico dopo anni di lavori il nuovo casello autostradale di Martellago e Scorzè
MARTELLAGO – Tutto pronto per l’inaugurazione, oggi alle 12, e, a ruota, per l’apertura del casello di Martellago-Scorzè e della nuova viabilità di adduzione, «ulteriore passo per il completamento delle opere complementari del Passante» per dirla con Tiziano Bembo, presidente di Cav, che ha finanziato i lavori realizzati da Pdm.
Anche se sulla cerimonia, prevista nel piazzale di stazione a sud in corrispondenza della carreggiata est per Trieste, e a cui è atteso anche il Governatore Luca Zaia, incombono lo sciopero degli esattori Ugl e la manifestazione di protesta di CappellaVive e del Comitato Procomplanare, che sarà presente «per ribadire la contrarietà a un’opera esempio di spreco di danaro e di suolo agricolo e poco utile».
Giudizio opposto a quello del sindaco di Scorzè, Mestriner e di Martellago, Barbiero, che rileva anche come la nuova variante alla Sr 245 Castellana, lunga 5,4 km, con cui avviene il collegamento con la viabilità ordinaria, toglierà il traffico dal centro. A diamante rovesciato con semibarriere d’esazione a cavallo del Passante, la stazione è a elevata automazione: 6 le piste di entrata e 8 di uscita. Tra le opere spicca il cavalcavia sul Passante e sul Dese a 3 luci, lungo 480 metri.
(n.der.)
Nuova Venezia – Quarto d’Altino. Aperta la circonvallazione Est.
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31
mar
2015
L’opera complementare al Passante è un bypass del centro abitato lungo due chilometri e mezzo
Il sindaco Conte ha criticato il costo di 11 milioni e chiesto alla Regione maggior impegno per i treni
Quarto respira con meno traffico
QUARTO – È stata aperta ieri la nuova circonvallazione Est di Quarto che sgraverà il centro dal traffico di attraversamento e dalle tante automobili dirette, specialmente in estate, verso le spiagge. Si tratta di un’opera complementare del Passante di Mestre, realizzata da Veneto Strade. Al taglio del nastro oltre alle autorità locali, in testa il sindaco, Silvia Conte assieme all’assessore alla Mobilità, Radames Favaro, hanno partecipato l’assessore regionale alle Infrastrutture, Marialuisa Coppola, l’assessore al Lavoro Elena Donazzan, l’assessore alla Caccia Daniele Stival e ancora il commissario prefettizio della provincia di Venezia, Castelli e il vicepresidente di Veneto Strade, Leonardo Muraro.
La circonvallazione est, che parte dalla rotonda di via Resistenza, sarà gestita dalla Provincia secondo l’accordo già siglato; al comune spetta invece la gestione della pista ciclabile. L’apertura permette di effettuare un riordino della viabilità, con il passaggio di alcune strade da provinciali a comunali, intervenendo con rallentatori e piste pedonali. Il palco è stato posizionato ai piedi della nuova rampa cavalcavia di via Claudia Augusta, l’antica strada romana. Il nuovo tratto stradale è lungo due chilometri e mezzo, si sviluppa interamente nel comune altinte e costituisce un bypass al centro abitato. Il costo è stato di oltre 11 milioni di euro, che si aggiungono all’altro pezzo dell’infrastruttura giù aperto. Un’opera attesa da molto, tanto che al taglio del nastro erano presenti anche l’ex sindaco, Loredano Marcassa e l’ex vicesindaco Gianni Bianchini.
Pungente il sindaco di Quarto e candidata in Regione, Silvia Conte, la quale ha apprezzato l’apertura, ma ha anche ricordato il costo molto alto e auspicato che d’ora in poi si pensi a dare anche maggiori servizi, vedi alla voce trasporto ferroviario. «C’è bisogno di un ripensamento di quello che vogliamo sia il Veneto futuro», ha esordito, «non solo grandi opere ma servizi».
Una frecciatina anche all’ex assessore Renato Chisso, «assessore alle infrastrutture e alla mobilità, ma di mobilità collettiva ne abbiamo vista ben poca. Abbiamo strade nuove, ma treni?».
Conte ha ricordato Nane Cristo, al secolo Giovanni Simoncin, l’anziano artigiano e artista 95enne costruttore stampi per la caccia amico di Hemingway che fu suo cliente di cui ieri si sono svolti i funerali, dedicando a lui l’impegno futuro per la tutela del territorio.
Sviluppo sostenibile e salvaguardia del territorio sono state anche le parole utilizzate da Muraro. L’assessore Coppola ha sottolineato come la circonvallazione est e in particolare il manufatto sopra la Claudia Augusta sia una sfida vinta dalla Regione, «un’opera concordata e condivisa con il territorio».
Marta Artico
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