C.S. Op.Zero 14/07/16 – Orte-Mestre: progetto insostenibile anche dal punto di vista tecnico. I Sindaci rispettino il mandato.
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15
lug
2016
Comunicato Stampa Opzione Zero 14-07-2016
Orte-Mestre: progetto insostenibile anche dal punto di vista tecnico. I Sindaci rispettino il mandato.
Sembra assurdo dover tornare a parlare di autostrada Orte-Mestre, soprattutto dopo il grave disastro ferroviario di due giorni fa in Puglia. Un disastro che dimostra per l’ennesima volta come la politica delle “grandi opere”, spesso inutili e insensate, abbia disastrato il Paese assorbendo miliardi e miliardi di euro che invece dovevano essere spesi per interventi di manutenzione, riqualificazione e messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti. Se sulle ferrovie regionali si muore perché non si fanno investimenti sui dispositivi di sicurezza mentre si buttano 20 miliardi di euro per il tunnel di base della TAV in Val di Susa; qui da noi si continua a morire perché da decenni non si è voluti intervenire su una delle strade più pericolose d’Italia per giustificare la necessità dell’ennesima autostrada a debito.
Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici domani dovrà esprimere un parere decisivo per l’iter della Orte-Mestre: da quanto si apprende emerge in modo chiaro come anche i tecnici del Ministero si siano resi conto dell’insostenibilità di questo progetto. E non si tratta solo di insostenibilità ambientale ma anche tecnica ed economica; numerose infatti le osservazioni critiche presenti nel documento in discussione: dalla scarsità dei rilievi geologici e idrogeologici, alla mancanza di un’adeguata progettazione preliminare per tratti importanti come il tunnel sotto il Brenta, alla mancanza di uno studio di fattibilità, alle analisi dei flussi di traffico e di trasporto delle merci datati e inadeguati; anche la stima dei prezzi e la sostenibilità economica vengono messi in discussione.
Tutte questioni già sollevate in tante sedi da vari comitati e associazioni che come Opzione Zero aderiscono alla rete Nazionale Stop Orte-Mestre, ma rimaste troppo a lungo inascoltate.
Il fatto che questi rilievi ora emergano da documenti ufficiali del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici fa ben sperare, peccato però che non sia ancora stata scritta in modo chiaro quella che è la conclusione più logica, e cioè che questo progetto deve essere ritirato definitivamente.
In questo senso, il ruolo dei Sindaci alla riunione di domani è importantissimo, visto e considerato che oltre tutto il nuovo Codice degli Appalti, abolendo la Legge Obiettivo, torna a dare alle amministraioni locali un ruolo non secondario.
Ed è proprio ai Sindaci della Riviera del Brenta che si rivolge il Comitato Opzione Zero, rammentando loro come i Consigli Comunali di Mira, Dolo, Mirano, Camponogara e anche Pianiga abbiano approvato a stragrande maggioranza nel 2014 degli ordini del giorno con i quali si richiede al Governo la cancellazione della nuova autostrada e la messa in sicurezza immediata della Romea.
Un mandato espresso in modo forte e inequivocabile che non lascia spazio ad ambiguità e tentennamenti che in questo momento sarebbero deleteri e ingiustificabili; Opzione Zero è vigile e pronto a inchiodare alle proprie responsabilità i voltagabbana di turno.
Il Sole 24 Ore – Il clima (e il disastro) che verra’
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11
ott
2015
I guai da effetto clima che hanno martoriato l’Italia anche quest’estate? Altro che congiunzioni astrali. Altro che colpo di coda del destino. È il segnale, o meglio la prova generale, di quello che promette di accadere entro qualche decennio: un vero disastro ambientale, e dunque sociale. Con una ulteriore sorpresa, naturalmente negativa, proprio per il nostro paese. Il più esposto in tutto il continente europeo all’onda dei cambiamenti climatici. A causa della sua conformazione geografica, e della morfologia del suo territorio.
Colpa del destino più che dell’uomo. Che però ha la sua pesante responsabilità. Perché è in gran parte sua la responsabilità dell’incalzante dissesto idrogeologico. Ecco allora l’ultima e qualificata diagnosi previsionale, decisamente terrificante. Viene dal Cmcc, il centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Climatology, che sintetizza una ricerca condotta dagli studiosi Alessandra Lucia Zollo, Valeria Rillo, Edoardo Bucchignani, Myriam Montesarchio e Paola Mercogliano.
Le cifre dell’allarme
Tra una cinquantina d’anni, il tempo di un paio di generazioni, l’Italia si ritroverà ben oltre i parametri di guardia indicati dagli scienziati mondiali per i disastri dell’effetto clima. Ben oltre i 2 gradi di aumento delle temperature medie, con tutto il loro corredo di sciagure. Sarà così che nell’ultimo trentennio di questo secolo le precipitazioni medie aumenteranno di quasi il 10% mentre le temperature, sia nei valori minimi che in quelli massimi, cresceranno di soli 2 gradi centigradi (che pur rappresentano la soglia del disastro) solo se noi e la comunità internazionale riusciremo a fare l’impossibile per frenare l’effetto serra. Altrimenti, ad atteggiamenti e politiche invariate rispetto ad oggi, i nostri territori si scalderanno ben di più, fino a 6 gradi.
I ricercatori del Cmcc giurano di aver utilizzato le tecnologie più avanzate nella modellistica climatica, aggregando le previsioni sulle variazioni di temperatura e precipitazioni medie di tutto il nostro stivale anche se sono stati privilegiati i trend degli eventi estremi in quattro regioni considerate emblematiche: il Veneto, la Calabria, la Sardegna e la Toscana. Il tutto confrontando i dati dello scorso trentennio (dal 1981 al 2010) con quelli prodotti dal modello previsionale per l’ultimo trentennio del secolo corrente (2071-2100).
Veneto sulla graticola
L’allarme colpisce in particolare il Veneto, per il quale sono previsti aumenti della temperatura fino a 7 gradi. Ma nelle altre regioni esaminate a campione non andrà molto meglio. Le notti tropicali, cioè i giorni con temperatura minima sopra i 20 gradi, o i giorni estivi (quelli con temperatura massima superiore ai 25 gradi) aumenteranno nella loro frequenza annuale soprattutto in Calabria e in Sardegna. E siccome sono questi i principali sintomi dei disastri ambientali che si materializzano sotto forma di siccità o di improvvise alluvioni, con il loro drammatico carico di conseguenze, ecco che dallo studio emerge un sicuro e progressivo aumento degli eventi più estremi che colpirà tutti i territori italiani.
Gli scettici e i negazionisti dell’allarme climatico (che continuano a non mancare) sono serviti. Che fare? Il warning sulla necessità di un intervento pronto e deciso, come ben sappiamo, riguarda i governanti dei singoli paesi ma soprattutto l’indispensabile coordinamento della comunità internazionale, visto che l’effetto serra all’origine dei cambiamenti climatici è frutto, anche per le conseguenze locali, delle emissioni complessive e non di quelle generate sul posto. Certo, nel frattempo i paesi possono e devono operare con solerzia a casa propria per tamponare se non altro gli effetti pratici degli sconquassi ambientali. E la cosa riguarda in particolare il nostro paese, visti i suoi problemi, appunto, di dissesto idrogeologico.
Pesi supplementari
A confermare che l’Italia è particolarmente esposta sono i coordinatori del IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il comitato Onu sul clima. Proprio qui da noi la temperatura sta crescendo più velocemente della media globale: un grado e mezzo in più rispetto all’ultimo trentennio del secolo scorso nel 2014, più del doppio della media globale. E proprio l’anno scorso il disastro ha lanciato sonori avvertimenti con alluvioni a Genova, Modena, Senigallia e Chiavari, solo per citare le più rilevanti.
Una spia eloquente è rappresentata anche dalla progressiva disgregazione dei nostri ghiacciai, che negli ultimi anni ha subito un’ulteriore accelerazione rispetto all’allarme rosso lanciato cinque anni fa in uno studio coordinato dal CNR: già nel 1991 i ghiacci del versante piemontese del Gran Paradiso avevano perso la metà della loro area ottocentesca. E ancora peggio era successo sul Monte Rosa, mentre nell’intera Val d’Aosta i ghiacciai si sono ritratti per oltre il 40%.
Nuova Venezia – Cemento e dissesto. E’ un territorio violato
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24
mag
2015
L’indice di costruzione secondo solo a quello lombardo, l’incuria pluriennale nella salvaguardia idrogeologica. Gli ambientalisti: troppi impegni disattesi
VENEZIA – Il cimitero degli elefanti dei capannoni abbandonati, gli insediamenti abitativi che invecchiano senza inquilini, le discariche selvagge, i veleni occultati nel sottosuolo, le costruzioni sregolate che costellano campagna, colline, litorale.
L’ambiente veneto aggredito e indifeso, ostaggio di un modello di industrializzazione diffusa e accelerata, che ha frantumato le barriere tra urbanesimo e ruralità, che dal 1970 ad oggi ha trasformato in costruzioni 180 mila ettari di terreno (pari all’intera provincia di Rovigo) con un’indice di cementificazione (il 14%) secondo su scala nazionale soltanto a quello lombardo.
Se questo è l’album del passato (prossimo), l’attualità dei nostri giorni racconta l’epilogo di un ciclo economico espansivo e il suo malinconico corollario fitto di zone commerciali dismesse e impianti inutilizzati, siti produttivi da bonificare e ferite aperte sul territorio.
«Negli ultimi tempi la situazione si è addirittura aggravata, ora nessuno sta peggio di noi», è il severo commento di Andrea Ragona, dirigente di Legambiente «mentre un po’ dovunque spuntano cartelli “vendesi” sugli edifici e nella sola Padova ci sono 10 mila appartamenti vuoti, i costruttori sollecitano ulteriori colate di cemento, funzionali esclusivamente ai loro profitti, non certo ai cittadini. L’altra faccia della cementificazione è l’assenza drammatica di una politica della mobilità pubblica che riduca l’inquinamento dell’aria: aperture di facciata e promesse elettorali, nel concreto quasi nulla. Stiamo scontando gli effetti devastanti di 14 anni di gestione Chisso nei trasporti. Una buona notizia? Finalmente si riparla di idrovia con minimo di concretezza, però dobbiamo essere chiari: o diventerà un canale navigabile, con il traffico pesante sottratto alla strada e posto sopra le chiatte, o si ridurrà all’ennesimo palliativo. Temo che, aldilà degli slogan, la consapevolezza della gravità della situazione e la conseguente volontà di agire, siano del tutto insufficienti».
Abusi e dissesti non indolori, pagati a carissimo prezzo ogniqualvolta le precipitazioni superano le medie stagionali, il bollettino dei danni racconta esondazioni fluviali e torrenti in piena, centri sommersi e distruzioni, vittime e sfollati. Sul fronte della salvaguardia idraulica, dopo lunghi anni di colpevole incuria, la disastrosa alluvione del 2010 è valsa, se non altro, a ridestare l’amministrazione regionale, che, per volontà del governatore Luca Zaia, si è dotata nello stesso anno di un Piano di azioni e interventi per la mitigazione del rischio idraulico e geologico, stimando in 2,7 miliardi di euro il costo complessivo della messa in sicurezza del martoriato territorio veneto. Un obiettivo lungi dall’essere centrato – complice la crisi che ha prosciugato i rubinetti finanziari del Governo – perseguito attraverso l’apertura di 925 cantieri grandi e piccoli, con priorità ai bacini di laminazione di Caldogno, Muson dei Sassi, Viale Diaz a Vicenza, La Colomberetta, Montebello, Pra dei gai, Trissino; i punti più dolenti nella mappa nostrana.
«È un primo passo utile dettato dall’emergenza ma occorre fare molto di più», sentenziano all’unisono i comitati spontanei sorti come funghi nelle zone a rischio alluvionale.
Altro versante, quello del risparmio del suolo abbinato alla rigenerazione urbana. A lavorarci, da tempo, sono quelli di Urbanmeta, un “cartello” sorto in Veneto e ad oggi unico in Italia perché include ambientalisti e Ance, architetti e docenti universitari; figure difformi, spesso in conflitto, accomunate dall’interesse per le scelte urbanistiche: «Il Piano Casa voluto dalla Regione ha lievemente attenuato l’impatto sul territorio, escludendo le costruzioni ex novo, però ha concesso chance di ampliamento abitativo che riteniamo del tutto eccessive», è l’opinione di Andrea Ginestri, attivo nel sodalizio «ma ciò che più ci sconcerta è la strategia che emerge in alcune amministrazioni locali.
Ci dicono: “Fra tre anni esauriremo la cubatura prevista dal Piani di assetto territoriale e allora introdurremo lo stop ai cantieri edili”; ebbene, alcuni di quei Pat prevedono aumenti della cementificazione fino al 40% : una follia, impraticabile per il venir meno di suolo disponibile prima ancora che per decenza amministrativa».
Intanto la legislatura si è conclusa ma l’annunciata legge quadro regionale è rimasta alla fase progettuale alcuna: «Se è per questo, siamo in ritardo anche sul piano delle idee», chiosa Ginestri «finora, il massimo che si è riusciti a escogitare per riqualificare un sito industriale dismesso, è stato piazzarci un centro commerciale o un silos di auto. La moderna rigenerazione urbana è altra cosa».
È tutto? Non proprio. C’è anche il rischio persistente di terremoto (confermato dalla recente serie di scosse) che i geologi individuano nell’arco della Pedemontana che si estende dalla Lessinia al Cansiglio e coinvolge le province di Verona, Vicenza e Treviso, dichiarate zone sismiche di seconda categoria. Gli esperti della prevenzione sollecitano a gran voce uno screening organico, ovvero una mappatura degli edifici – abitativi e produttivi – accompagnata da incentivi finanziari all’adeguamento degli stabili pubblici e privati. Il Piano Casa, in verità, assegna alcuni fondi in questa direzione, legati alla ristrutturazione e messa in sicurezza. Ma è soltanto l’inizio di un percorso che si annuncia lungo e accidentato.
Filippo Tosatto
Il docente di Idraulica: «Basta strade, ci vuole equilibrio. Bene l’Idrovia. Il Mose? Speriamo almeno che funzioni»
D’Alpaos: «Il rischio allagamenti è alto, servono invasi»
VENEZIA – Il territorio e la sua sicurezza sacrificati sull’altare del cemento, come risultato di una politica che per almeno quarant’anni si è lasciata dettare l’agenda delle grandi e piccole opere da pochi portatori di interesse. E l’interesse generale torna a far capolino solo quando si verificano le tragedie, come l’alluvione del 2010.
Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’università di Padova chiede al nuovo governatore il coraggio di scegliere: la sicurezza idraulica del Veneto è l’unica priorità su cui concentrare le risorse.
Professore, come sta il territorio veneto? «Ha i suoi problemi dal punto di vista della difesa idraulica, una situazione che è conseguenza di anni di incuria, sfruttamento del suolo e della stessa acqua. Ma anche di una politica che ha concentrato progetti e risorse sempre e solo su cemento e asfalto».
Dove è urgente intervenire? «Ci sono due piani, quello del grande sistema idrografico e le reti minori. Il problema dei nostri fiumi è che non sono in grado di convogliare al mare in sicurezza la portata delle piene. È un problema grave perché quanto accaduto nel 1966 può succedere di nuovo. Servono invasi per trattenere temporaneamente i colli di piena».
E l’Idrovia Padova-Mare di cui da qualche anno si è tornati a parlare? È certamente un’opera necessaria per garantire la sicurezza idraulica di tutta la zona a valle del nodo idraulico di Voltabarozzo, sia nel Padovano che nel Veneziano, potendo fungere da canale scolmatore per Brenta e Bacchiglione. Se ne è tornato a parlare dopo l’alluvione del 2010 quando tante persone e tante imprese si sono ritrovare in ginocchio. Eppure se si chiede a qualsiasi imprenditore cosa serve al Veneto, si parla ancora e sempre di strade, autostrade e tangenziali. Non capiscono cosa stanno rischiando. È quello che io chiamo il “partito degli stradini” che ha dettato lo sviluppo del nostro territorio. La politica deve prendere in mano la situazione, smettere di rilanciare, di ascoltare pochi portatori di interesse e fare le opere di difesa idraulica».
Non è cambiato nulla dopo il 2010? «Qualcosa si è iniziato a fare, ma sono solo i primi passi di un cammino che sarà lunghissimo e dovrà impegnarci per i prossimi 30 anni. L’acqua è una minaccia, ma anche una grande risorsa. Difendersi dalle acque, difendere le acque: sono i due lati della stessa medaglia. Da una parte il rischio alluvioni, dall’altra fiumi ridotti a rivoli, come il Piave. Va ristabilito l’equilibrio».
E il Mose? «Un’opera troppo complessa e troppo costosa. Ma arrivati a questo punto non possiamo che augurarci tutti che funzioni».
Elena Livieri
Gazzettino – Mirano. Vandali. Detersivo nel Muson e olio esausto in un canale.
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30
apr
2015
MIRANO – Prima i detersivi nelle acque del Muson, poi l’olio in un fossato di aperta campagna. Doppio intervento dei vigili del fuoco a Mirano, la Polizia indaga per rintracciare i responsabili ma non sarà affatto facile.
Ieri mattina un miranese ha segnalato la presenza in via Viasana di tre bidoni colmi d’olio rovesciati sullo scolo a lato strada. Si trattava di olio che deve essere smaltito rivolgendosi alle ditte specializzate, così non è stato e ora il Comune di Mirano dovrà pagare degli specialisti per procedere con il recupero di quel liquido dannoso e successivamente con la bonifica di quel tratto di fossato. Non sarà facile individuare gli autori di questo abbandono perché siamo in una zona di aperta campagna.
Lunedì invece durante il mercato moltissimi miranesi avevano segnalato l’insolita presenza di moltissima schiuma al bacino dei Molini di Sotto in via Barche. I tecnici hanno accertato che si trattava di detersivo, probabilmente il liquido è stato svuotato in qualche punto del fiume Muson e poi la pioggia di domenica ha fatto il resto. Potrebbe essere la conseguenza del lavaggio di qualche piazzale, non è affatto la prima volta che capita.
(g.pip.)
Nuova Venezia – Spinea. In due anni ridotte del 24% le emissioni in atmosfera.
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25
apr
2015
SPINEA – Spinea si “gode” il suo Paes, il Piano per l’energia sostenibile: in due anni, ridotte del 24,24% le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, nonostante la crescita della popolazione del 10%.
Un dato molto significativo, a cui guardano con curioso interesse anche i Comuni che hanno adottato il Paes dopo Spinea: il successo è dovuto per il 26% alla diminuzione delle emissioni nel comparto pubblico, per l’8% alla diminuzione del comparto residenziale privato e soprattutto alla drastica diminuzione delle emissioni relative ai trasporti, pari al 50%, anche se avvenuta su scala sovracomunale in conseguenza della crisi economica. Le emissioni procapite sono passate da 3,6 tonnellate per abitante a 2,7 tonnellate.
I dati sono stati presentati giovedì in seconda commissione, alla presenza dell’assessore all’Ambiente Stefania Busatta che afferma soddisfatta: «Sono risultati che ci dicono che siamo sulla strada giusta, anche se molto resta da fare. Il Paes ha consentito di avviare azioni concrete sotto il profilo dei lavori pubblici, dell’ambiente, di viabilità, urbanistica ed edilizia. Ora puntiamo a migliorare ancora».
(f.d.g.)
Nuova Venezia – Pianiga. Il Pionca inquinato da idrocarburi. Esami e indagini.
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24
apr
2015
CAMPAGNA LUPIA – Inquinamenti in corsi d’acqua negli ultimi due giorni a Pianiga e Campagna Lupia. A Pianiga l’inquinamento maggiore si è avuto a ridosso del canale Pionca dove nella mattinata di lunedì i residenti hanno sentito un gran odore di nafta provenire dalla superficie dell’acqua. Immediatamente sono stati allertati i vigili del fuoco, i tecnici dell’Agenzia regionale protezione ambientale (Arpav) e del Comune che sono intervenuti. Sono state collocate delle pannellature per evitare che il carburante provocasse danni a flora e fauna e finissero all’interno di qualche altro corso d’acqua.
Ora si sta cercando di capire chi possa aver sversato in acqua il materiale. Si pensa che possa essersi trattato della pulizia di una cisterna di carburante. Una operazione fatta da qualche azienda agricola nel tratto a monte (cioè nel padovano) del Pionca.
Un altro inquinamento invece si è verificato a Campagna Lupia ieri mattina in una canaletta consorziale ai confini con il comune di Campolongo. Anche in questo caso si è trattato di uno sversamento di materiale inquinante e cioè idrocarburi. A mettere in sicurezza l’area, un tratto di 300 metri, con pannellature sono intervenuti i pompieri.
(a.ab.)
Gazzettino – Casale. Carotaggi al via: la discarica svela i suoi “misteri”
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17
apr
2015
CASALE SUL SILE – «Dobbiamo aspettare altri 10 anni per sapere cosa c’è sotto l’ex mega discarica in via del Carmine?». Non molla la presa il comitato sorto a Conscio di Casale in difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini. Ed è grazie alla loro pressante azione se nei prossimi giorni sono previsti i primi carotaggi del terreno dell’ex discarica.
Il terreno, di proprietà di Enrico Cerello, verrà sottoposto ad alcuni carotaggi eseguiti dalla ditta specializzata Chelab, di Resana, dopo l’accordo a cui sono giunti Comune, Provincia e lo stesso proprietario che pagherà le spese delle analisi.
Sono stati individuati i siti per i carotaggi e soltanto dopo avere in mano i risultati delle analisi il Comune potrà decidere se in quel sito è possibile realizzare un impianto a biogas.
Intanto, i residenti di via del Carmine protestano: «Vogliamo sapere se le falde fratiche sono state inquinate dalla montagna di ceneri industriali che sono accatastate nell’area da anni. Queste ceneri, nelle giornate ventose, vengono disperse nell’aria».
Sono state anche raccolte 3000 per avviare la bonifica dell’area sequestrata. La discarica era stata posta sotto sequestro nel 2002 dopo che è stata scoperta la presenza di rifiuti speciali non assimilabili al trattamento di materiali inerti. A distanza di 13 anni tutto è fermo.
(nd)
Gazzettino – Mira. Duecento chili di vongole vietate
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12
apr
2015
MIRA – Due pescatori abusivi finiscono nella rete del nucleo Natanti dei carabinieri
Sono stati bloccati lungo il canale Cunetta: avevano già dei precedenti
Il profitto innanzitutto, alla faccia dei colleghi pescatori che si comportano regolarmente e sui quali ricadono comunque conseguenze negative.
Eppoi nessuna remora di esporre i consumatori a possibili rischi per la salute a causa del potenziale contenuto di metalli pesanti, diossine o altre sostanze pericolose contenute nei molluschi.
I militari del Nucleo Natanti Carabinieri di Venezia hanno sorpreso nella giornata di venerdì scorso due pescatori abusivi con quasi 200 chilogrammi di vongole raccolte in zona vietata, precisamente lungo il canale Cunetta – Verto nord, in comune di Mira, adiacente al Canale dei Petroli di Marghera e molto vicino alla centrale idroelettrica di Fusina.
Nel corso dell’operazione predisposta con una motovedetta civetta e in abiti civili, i militari hanno sorpreso due persone di Chioggia già note per tale tipo di pesca abusiva, che con un barchino stavano raccogliendo molluschi in zona vietata per motivi igienico sanitari.
Con la classica attrezzatura chiamata «giostra» avevano già riempito diverse ceste con oltre 180 chilogrammi di vongole. I militari hanno identificato i due pescatori abusivi e li hanno successivamente accompagnati nella caserma di San Zaccaria, dove è stato loro notificato l’atto del sequestro dell’imbarcazione, dell’attrezzatura da pesca e del prodotto pescato abusivamente. I due chioggiotti sono stati deferiti all’Autorità giudiziaria per danneggiamento aggravato dei fondali lagunari. I pescatori sono due habitué. Ad ottobre del 2014 erano già stati «pescati» per l’identico motivo e sullo stesso posto. A febbraio e marzo di quest’anno erano nuovamente stati sorpresi sempre in zona, anche se non erano stati trovati in possesso di vongole pescate abusivamente. Le vongole sono state rigettate in acqua ancora vive.
Vittorino Compagno
Nuova Venezia – Discarica “benedetta” dalla legge
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10
apr
2015
Mira. Nel Testo unico per l’ambiente la pirite non è un rifiuto. La Corte Costituzionale boccia l’articolo
MIRA . Erano riusciti addirittura ad arrivare in Parlamento, dove era stata approvata un norma, all’interno del Testo unico per l’ambiente, con la quale si declassavano da rifiuti a sottoprodotti le ceneri di pirite, che a tonnellate si trovavano e si trovano ancora stoccate sui terreni di Dogaletto della società milanese, con sede operativa a Este, “Veneta Row Material srl”. Terreni che stanno lungo la Romea.
Una norma inserita proprio durante le indagini veneziane che vedevano tra gli imputati, oltre al milanese Piergiorgio Sacco, il titolare della società proprietaria della discarica, che allora era la “Veneta Mineraria”, anche il dirigente del settore Ecologia della Provincia Alessandro Pavanato, colui che nonostante la pericolosità aveva autorizzato la società a stoccare le ceneri di pirite senza alcuna particolare precauzione.
Concluse le indagini, durante il processo il giudice, accogliendo una richiesta del pubblico ministero Giorgio Gava, aveva inviato gli atti alla Corte costituzionale, sollevando un quesito costituzionale sulla legittimità dell’articolo in questione.
In attesa della risposta, il processo si è concluso con la prescrizione e gli imputati sono stati prosciolti, ma alla fine la decisione della Corte, che ha bocciato quell’articolo ritenendolo anticostituzionale, ha permesso allo stesso pubblico ministero di avviare un nuovo procedimento per i reati di aver costituito un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi, in pratica una discarica abusiva.
Nel frattempo infatti, nulla è cambiato se non il nome della società e il rappresentante legale: è finito sotto processo, infatti, Sergio Spinoglio per la “Veneta Row Material”. Ma le montagne di ceneri di pirite alte parecchi metri sono ancora allo stesso posto e hanno continuato a inquinare terreni, corsi d’acqua e falde sotterranee, come hanno spiegato due giorni fa alla giudice Bello i tecnici dell’Arpav e il proprietario dei terreni confinanti la discarica, Giuseppe Pavanetto. Si è costituito parte civile e ha raccontato che sul campo più vicino alla discarica l’erba si è seccata e non cresce più nulla. Ha sostenuto che più capi di bestiame delle sue stalle sono morti a causa dell’inquinamento e ha giurato di aver visto decine di gabbiani e di anatre appoggiarsi sulle montagne di ceneri e poi morire.
Marco Ostoich dell’Arpav ha spiegato che la pioggia provoca il dilavamento e la cenere di pirite, che contiene arsenico, cadmio, nichel e altri metalli pericolosi, finisce nel canale Finarda, che a sua volta scarica direttamente in laguna. Non solo, l’Arpav ha avviato anche un sondaggio per stabilire se le acque di falda, a varie profondità sotto la discarica, siano inquinate o meno e le prime risposte confermano una grave contaminazione.
Il terreno era stato posto sotto sequestro, ma in seguito alla dichiarazione della prescrizione nel precedente processo è stato restituito e nel frattempo la proprietà non ha speso un euro per risolvere il grave problema.
A spendere più di 700 mila euro è stato il Comune di Mira che infatti si è costituito parte civile per recuperare almeno quella cifra, ma quello sforzo non è bastato per smaltire migliaia di tonnellate di terre rosse e inquinanti che hanno cominciato a essere stoccate a Dogaletto dalla fine degli anni Sessanta, allora arrivavano direttamente dal Petrolchimico di Porto Marghera come scarti di produzione.
Giorgio Cecchetti
Nuova Venezia – I veleni di Dogaletto finiscono in laguna
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9
apr
2015
Mira. Nuova udienza e nuove verità al processo per la discarica di pirite. Marco Ostoich (Arpav): «Situazione indecente»
MIRA «La situazione a Dogaletto è indecente, c’è un deposito di tonellate di ceneri di pirite, un rifiuto pericoloso, che quando piove il dilavamento trasporta e disperde nei canali circostanti e tutto poi finisce in laguna». A raccontarlo, ieri in udienza risponderndo alle domande del pubblico ministero di Venezia Giorgio Gava, è stato il funzionario dell’Arpav Marco Ostoich. E nelle ceneri di pirite c’è l’arsenico, il cadmio, il ferro, il nichel e tanti altri materiali pesanti e pericolosi. Ha testimoniato anche Giuseppe Pivotto, un agricoltore che con i suoi terreni confina con la discarica e che con il Comune di Mira, la Provincia, la Regione, il ministero dell’Ambiente, il Wwf e Legambiente, si è costituito parte civile.
«Nel campo che confina con le montagne di pirite l’erba si è seccata e non cresce più», ha spiegato il contadino, «mi sono morte alcune mucche e con i miei occhi ho visto decine di gabbiani morti dopo essersi appoggiati su quelle montagne di terra rossa».
Sul banco degli imputati, per rispondere di aver costituito una discarica di rifiuti pericolosi che ha inquinato le acque e i campi circostanti a Dogaletto di Mira, e di getto pericoloso di cose c’è il milanese Sergio Spinoglio, di 70 anni. Stando alle accuse, la polvere di pirite, quando piove, viene trasportata dall’acqua nei fossi, nei vicini corsi d’acqua, in particolare scola nel canale Finarda, il quale a sua volta sversa l’inquinamento direttamente in laguna.
I fatti contestati all’anziano titolare della milanese «Veneta Row Mineral srl», che però ha sede operativa ad Este in provincia di Padova, vanno dal settembre 2011 a tutto il 2013.
Ieri, numerosi i testimoni, tra questi l’ex dirigente del comune Marina Pacchiani e il dirigente regionale Giovanni Artico, finito in carcere il 4 giugno dello scorso anno nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione per il Mose e per il quale alcune settimane fa la Procura ha depositato gli atti in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Per conto della Regione Artico aveva seguito gli incontri per l’accordo di programma tra enti coinvolti e società che gestiva la discarica.
Incalzato dalle domande degli avvocati Roberto Chiaia e Arianna Tosoni ha sostenuto che alla fine l’accordo era saltato a causa dell’atteggiamento dilatorio dell’imputato. Prossima udienza prevista per il mese di settembre.
Il sito, accanto alla Romea e vicino alla laguna, in cui si trovano i depositi di ceneri di pirite nasce a metà anni Sessanta in piena attività di Porto Marghera. Le ceneri di pirite infatti, altro non sarebbero che scarti di lavorazione dell’area del Petrolchimico. All’epoca venne autorizzato un deposito temporaneo di ceneri di pirite che si trasformò in definitivo. Vennero portate fino ad un massimo di 1 milione e 200 mila metri cubi di ceneri, su un’area di 77 mila metri quadrati a ridosso della Romea. A metà degli anni Novanta parte delle ceneri, che seppur inquinanti hanno un valore nel campo dell’edilizia, vennero conferite a dei cementifici. Ne sono rimasti 750 mila metri cubi.
Giorgio Cecchetti
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