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Il 67% è convinto che tra le grandi opere si scopriranno altri casi come quello esploso a Venezia

A poco poco più di un mese dal caso Mose, l’Osservatorio sul Nordest, curato da Demos per Il Gazzettino si occupa della percezione che ha l’opinione pubblica dell’area della corruzione. Chi sono i principali responsabili della corruzione? La maggioranza punta il dito verso i politici, ma una quota rilevante mette sullo stesso piano funzionari pubblici, imprenditori ed eletti: ognuno ugualmente responsabile.
Nel caso del Mose, poi, gli intervistati ritengono che siano coinvolti in ugual misura politici di centrodestra e di centrosinista. Il pessimismo rispetto all’integrità della classe dirigente è tale che la maggioranza si attende vicende simili al Mose anche per le altre opere in costruzione.
In “Batman Begins”, il regista Christopher Nolan fa dire «Io non faccio spiate. E poi con tanta corruzione non saprei neanche a chi farle» al detective Gordon, il poliziotto onesto che in segreto collabora con Batman per cercare di riportare a Gotham City giustizia e legalità. Ecco, l’inchiesta Mose dipinge un Veneto che somiglia molto alla Gotham City di Batman: l’indagine, infatti, ha tolto il velo a un mondo di corruzione in cui trovano posto in tanti, ma più di tutti imprenditori, politici e funzionari pubblici.
Chi ha la colpa maggiore? I politici per il 52%, seguono i funzionari pubblici, indicati dal 14% degli intervistati, mentre l’8% indica gli imprenditori.
Quasi un intervistato su quattro (23%), però, non fa distinguo e ritiene tutti responsabili nella stessa misura. Anche il giudizio dei diversi elettorati rivela che la maggiore responsabilità è attribuita ai politici: la quota va dal 47% al 52% tra i simpatizzanti di Forza Italia e del Pd, per poi crescere al 65% e 61% tra gli elettori della Lega e del Movimento 5 Stelle. Tra questi ultimi, invece, appare contratta la percentuale di quanti tendono ad attribuire uguali colpe a funzionari pubblici, politici e imprenditori (10%), mentre questo orientamento appare più diffuso tra i simpatizzanti del Pd (26%) e tra coloro che scelgono i partiti minori (31%) o sono reticenti (27%). Nel caso del Mose gli intervistati sono stati piuttosto netti: l’85% ritiene che siano coinvolti sia politici di centrosinistra che di centrodestra, e l’orientamento è trasversale rispetto ai diversi elettorati.
Può apparire scontato siano di questo avviso gli elettori del M5Stelle (91%), dato che votano per un partito giovane, che ha fatto dell’accusa all’intera classe politica un tratto caratterizzante e che, in quanto “ultimo arrivato”, può sentirsi estraneo a questi fatti. Forse meno ovvio è che la medesima posizione sia presente anche tra i simpatizzanti del Pd (89%) e di Forza Italia (86%). Sotto la media dell’area, ma comunque molto ampia, è l’adesione manifestata dagli elettori della Lega Nord (78%).
Il “sistema-Mose” è isolato? La visione più fiduciosa, che lo considera un caso unico, riguarda il 22% dei nordestini, mentre il 67% ritiene che si scopriranno scandali analoghi anche per altre opere. Guardando all’interno dei territori, vediamo che tra i trentini prevale l’ottimismo di chi considera il Mose un’eccezione (46%), mentre in Friuli-Venezia Giulia è maggioritaria l’idea che in futuro ci saranno altre vicende simili (58%). È proprio in Veneto, però, che questa visione pessimista della propria classe dirigente si allarga fino a coinvolgere quasi 3 veneti su 4 (73%).

 

Il premio da 5 milioni di Mazzacurati per Meneguzzo

SOLDI – L’uomo d’affari doveva far avere al Consorzio 2 miliardi dalla Cassa depositi

Quei 5 milioni per Meneguzzo

Un contratto “a premio” da 5 milioni di euro, se fosse andato in porto un maxi finanziamento della Cassa Depositi e Prestiti per il completamento del Mose di Venezia.
È questa la super-parcella, equivalente allo 0,25 per cento su un prestito dell’importo di due miliardi di euro, che sarebbe spettata al finanziere vicentino Roberto Meneguzzo, titolare della Palladio Corporate Finance spa con sede legale a Milano e sede operativa a Vicenza.

Aveva firmato nel 2008 un contratto con il Consorzio Venezia Nuova, che gli garantiva un bel po’ di milioni se fosse riuscito a far ottenere l’enorme finanziamento. È per questo che Meneguzzo, ai domiciliari per concorso in corruzione, frequentava sia Giovanni Mazzacurati, il padre-padrone del Cvn, che il consulente del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ovvero l’onorevole Marco Mario Milanese, deputato di Forza Italia. Quest’ultimo è in carcere per aver ricevuto 500 mila euro da Mazzacurati, con la mediazione di Meneguzzo.
Proprio ieri il gip milanese De Marchi ha confermato la custodia cautelare per l’uomo d’affari vicentino, dopo che a Milano è finito il filone riguardante i soldi asseritamente consegnati da Mazzacurati a Milanese, assieme a quello dei pagamenti al generale della Finanza, Emilio Spaziante. Se il giudice non avesse emesso il provvedimento, Meneguzzo sarebbe tornato libero, visto che venti giorni fa il Tribunale del riesame di Venezia ha deciso il trasferimento dei fascioli per competenza. Pochi giorni dopo era finito in carcere Milanese per il versamento di 500 mila euro.
Di questa somma (che il deputato nega di aver ricevuto e che Mazzacurati sostiene di aver pagato) si sa quasi tutto. Serviva a far sbloccare – nel giugno 2010 – un finanziamento da 400 milioni di euro da parte del Cipe per il Mose. Il Consorzio, è l’accusa, pagò Milanese perchè inducesse Tremonti a dare il via libera ai soldi, che erano incagliati tra burocrazia e diniego politico.
Ma quella era solo la prima fase. Ce n’era una seconda, che per Meneguzzo diventa un’arma di difesa. «Che interesse aveva a prestarsi al pagamento di una tangente? Nessuno» ha sintetizzato nella memoria per il Riesame l’avvocato vicentino Giovanni Manfredini, spiegando che Meneguzzo aveva firmato un «contratto a premio» con il Consorzio. Avrebbe ricevuto 5 milioni di euro se fosse riuscito a far arrivare a Venezia il maxi-finanziamento della seconda fase. «Il Cipe non lo riguardava. Aveva rapporti con Milanese per la Cassa Depositi e Prestiti».
Strano che un ente pubblico si rivolgesse a un privato per ottenere un finanziamento da una banca del Tesoro. Che il Consorzio avesse fame di denaro lo dimostra il ricorso al mercato bancario: nel 2012 un contratto con la Cassa per 106 milioni di euro e un finanziamento di 75 milioni con un altro istituto; poi 245 milioni dalla Bei. Il 7 giugno 2010 Mazzacurati e Meneguzzo si incontrarono all’Hotel Sheraton. La consegna dei 500 mila euro a Milanese sarebbe avvenuta una settimana dopo. Ebbene, l’1 giugno, secondo la Finanza, parlandosi al telefono per combinare l’incontro di Padova, «Meneguzzo conferma a Mazzacurati l’impegno del Milanese anche per la seconda fase dell’operazione, ossia un finanziamento tramite Cassa Depositi e Prestiti… il Meneguzzo dice che “il nostro amico”, ossia Milanese, aveva avuto assicurazioni dal suo capo (che era il ministro Tremonti)».
Ecco l’intercettazione. Meneguzzo a Mazzacurati: «Volevo dirle che ieri ho visto il nostro amico a Milano il quale mi ha detto, mi ha confermato quelle cose che ci eravamo detti e mi ha anche detto che lui aveva parlato con il suo capo per la seconda fase, nel senso che con questa modifica si è aperta la strada per procedere con la Cassa depositi su quell’altra cosa».

Giuseppe Pietrobelli

 

IL GIP – Lia Sartori deve restare agli arresti domiciliari

VENEZIA – Amalia Sartori, ex europarlamentare di Forza Italia, rimarrà agli arresti domiciliari. Accusata di finanziamento illecito dei partiti, per ingenti somme di denaro dal Consorzio Venezia Nuova, aveva presentato istanza al giudice Scaramuzza attraverso gli avvocati Pierantonio Zanettin e Alessandro Moscatelli. Secondo il gip permane il rischio di reiterazione del reato, anche se la Sartori non riveste più cariche pubbliche. Per il giudice l’indagata non ha fatto richiesta di rito alternativo e non si può prevedere l’applicazione della sospensione condizionale. «È una motivazione fragile che contestiamo – dichiarano i legali – ricorreremo in Corte d’Appello».

 

IERI MATTINA – Attacco informatico di Anonymous al sito del Consorzio Venezia Nuova

L’attacco informatico è arrivato verso le 11.30. E così sul sito www.salve.it del Consorzio Venezia Nuova è apparsa improvvisamente la famosa maschera di Guy Fawkes, il simbolo di Anonymous che ha preso di mira ieri mattina proprio la piattaforma informatica del Cvn. E così, gli hacker hanno “scavato” nei link della documentazione del Consorzio evidentemente non solo per cercare qualche materiale, ma anche per mettere a soqquadro quello che può definirsi uno dei siti di rappresentanza e di informazione al cittadino che intenda conoscere più da vicino i progetti legati al Mose. Nel sito, Anonymous ha lasciato messaggi come “Mose barriera illegale che fa acqua da tutte le parti” al posto dei link di accesso al sito. Inoltre gli hacker se la sono presa anche con il sito della Mantovani. Il blitz sulla rete era siglato dalla sigla “Operation Green Rights” e dal gruppo italiano Anonymous Italy. I tecnici del Consorzio hanno lavorato per buona parte della mattinata di ieri per “ricostruire” il sito e non è escluso che gli hacker siano riusciti a “sgraffignare” parecchi documenti peraltro resi pubblici dal Consorzio proprio attraverso il sito www.salve.it

 

La carta della salute per evitare il carcere era stata già pianificata

Venuti si dimette dal Collegio sindacale di Save

Il commercialista di Giancarlo Galan, Paolo Venuti, arrestato nell’inchiesta Mose, si è dimesso dalla carica di membro effettivo del Collegio Sindacale di Save, la spa che gestisce l’aeroporto “Marco Polo” di Venezia. È accusato di aver fatto da prestanome di Galan – attraverso la srl P.V.P. – nell’acquisizione del 7% di Adria Infrastrutture e del 70% di Nordest Media, riferibili al duo Baita-Minutillo, quote indicate dai Pm come prezzo della supposta corruzione del Governatore del Veneto. Venuti è da 40 anni amico di Galan, che di lui ha detto: «Ha svolto per me, in modo gratuito, l’incarico di commercialista. Non nascondo di avere, a volte, “caldeggiato” la sua nomina nei collegi sindacali di alcune società a partecipazione regionale, ma lui ha sempre avuto la stima “professionale” di tutti».

 

Confermati ieri i domiciliari per il leader di Palladio

SALVAGUARDIA E RISORSE

SALVAGUARDIA Mose pigliatutto con 6 miliardi. A Ca’ Farsetti 2: la metà destinata ai restauri

L’oro di Venezia: 11 miliardi dallo Stato

In 30 anni, tra Legge speciale e fondi Cipe, in laguna è arrivato un tesoro. Ecco come è stato speso

PIOGGIA DI SOLDI – Undici miliardi di euro in trent’anni. E’ questo l’ammontare complessivo dei finanziamenti dal 1984 al 2013 che lo Stato ha versato al territorio veneziano. Fondi che sono andati al Magistrato alle Acque al Consorzio Venezia Nuova e agli enti locali.

MOSE PIGLIATUTTO – Al sistema destinati 6 miliardi. Il Comune ne ha avuti oltre 2

I TEMPI – Nei primi 13 anni pesanti ritardi nello spendere i fondi stanziati

In laguna uno tsunami di miliardi

Legge speciale e Cipe, ecco a chi sono andati i finanziamenti stanziati dallo Stato

Lo Stato in trent’anni ci ha messo undici miliardi di euro. Una “torta” veramente enorme e appetitosa. E lo ha fatto versando fondi e finanziamenti a tutti: al Consorzio Venezia Nuova (6 miliardi 374 mila euro pari al 55 per cento); al Comune (2.073.134 mila, 16,3); alle Regione (1 miliardo 883.447 pari al 2.5 per cento; al Comune di Chioggia (293 miliardi pari al 2,4; a se stesso attraverso il Magistrato alle Acque (272 miliardi 415 mila pari al 2.4 per cento).
Nel complesso questi cinque enti hanno assorbito sugli undici miliardi concessi in questi anni, ben il 94,2 per cento delle risorse complessive (10 miliardi 897 mila euro). Sono questi alcuni dei dati offerti dalla relazione di sintesi relativa al 2012/2013 dell’Ufficio di Piano in materia di lagislazione speciale per Venezia che Il Gazzettino è entrato in possesso. Si tratta di un’indagine compiuta da un pool di esperti nominati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per valutare lo stato dell’arte dei lavori di tutela e salvaguardia ambientale della Serenissima.
E come sono stati usati questi soldi? Le tabelle qui accanto indicano le “spese”, ma è bene sapere che lo Stato in amministrazione diretta, attraverso il Magistrato alle Acque ha ricevuto disponibilità per 272 milioni 415 mila euro dei quali 269.585 mila spesi. Il 48,7 per cento di essi (132 milioni circa) sono andati alla salvaguardia di edifici pubblici (in minima parte in beni mobili. Il resto (48.3 per cento) in opere di salvaguardia pubblica (marginamenti lagunari, rive e fondamenta, canali oggetto di scavo con la rimozione di 635 mila metri cubi di materiale). Capitolo diverso per il Consorzio Venezia Nuova. Qui negli anni c’è l’ammontare più considerevole (6 miliardi 375 milioni 741 mila) con l’81.7 per cento dell’assegnazione rivolta alle opere di difesa dalle acque alte. E poi c’è la Regione Veneto che ha accumulato assegnazioni per 1 miliardo 883.447 mila euro spendendone al 2012/13 soprattutto nella qualità dell’acqua e dei sedimenti lagunati (bacino scolante).
Il Comune di Venezia ha avuto 2 miliardi 073 milioni di cui spesi 1 miliardo 919.564 a partire dalla legge 798/84 con il 61.4 per cento di investimenti (1 miliardo 182.020) in restauri edifici pubblici, restauri privati su domande in conto capitale; urbanizzazioni, acqusizione e restauro di insediamenti produttivi) ma quello che emerge è il rapporto percentuale tra speso e assegnato cumulato dal 1984 al 2012 che è cresciuto dal 1997 al 2012 passando dal 32.6 per cento al 92.6 a significare che nei primi tredici anni si è fatto veramente poco per la salvaguardia della città.
E allora quale può essere il fabbisogno ulteriore? L’Ufficio di Piano parla chiaro: a fronte di una diminuzione di finanziamenti occorrerebbero almeno 4 miliardi 743 milioni di euro pari al 41 per cento dei fondi per parlare di salvaguardia efficace. Gli interventi di salvaguardia fisica assorbirebbero il 14,7 per cento (698 milioni); l’82 per cento (Mose); tutela ambientale (38.3) di cui l’85 per cento sul disinquinamento di Marghera e la realizzazione del Pif e la rimozione dei sedimenti inquinanti dei canali industriali; infrastrutture ovvero opere di urbanizzazione, manutenzione urbana e immobiliari (37.2). Ma di fronte a tutte queste “richieste” emerge solo un dato: l’assegnazione reale di 336 milioni nel 2010 e 2011 al Mose (573 milioni).
Per il resto, bisognerà attendere, ma la chiusura dell’Ufficio di Piano alla relazione è chiara: «Occorrono flussi di finanziamento costanti, efficacia dei maggiori interventi e rilancio economico della città». Tutto punti ancora tutti all’ordine del giorno. E senza soluzione.

 

LA VENEZIA DEL “NERO”

SETTORI A RISCHIO – Dai trasporti all’edilizia è un fiorire di irregolari

L’ANALISI «La crisi alimenta il sottobosco e qui è facile nascondersi»

«È una città di mestieri abusivi»

Dura accusa di De Checchi (Confartigianato): «Non solo gondolieri improvvisati, ecco la mappa»

«Abusivismo in barca a remi? Benvenuti a Venezia». É ironico il segretario della Confartigianato, Gianni De Checchi, all’indomani della denuncia dei gondolieri di Piazzale Roma – Stazione nei confronti di alcuni rematori che, senza titoli e licenze, traghettano i turisti nei rii più nascosti della laguna. La nuova frontiera dell’irregolarità a remi è solo l’ultima di una lunga serie che Confartigianato elenca e rischia di sprofondare Venezia nell’economia sommersa.
TRASPORTO MERCI – É il settore dove più dilaga l’abusivismo in conto terzi. Da una parte vi è l’organizzazione, dall’altra l’abitudine di parenti e amici a darsi uno “strappo” in barca per trasportare oggetti e mobili, a fronte di un compenso. Una pratica talmente radicata che tutto avviene alla luce del sole.
IMPRESE DI TRASPORTO PRIVATE GESTITE DA AZIENDE PUBBLICHE – Per Confartigianato una concorrenza ai privati che non dovrebbe esistere, tanto che su questo tema le categorie dei trasportatori si sono già mosse con un ricorso e il segretario ricorda di averne discusso con l’ex sindaco Orsoni. «Che aveva annunciato tuoni e fulmini – afferma De Checchi – ma poi concretizzatisi in un niente di fatto».
PARRUCCHIERI ED ESTETISTE – Numerosissimi i lavori in nero in questi settori che popolano le case veneziane, fissi e itineranti. «Qui vi è anche un problema di rischio per la salute – aggiunge De Checchi – a causa di strumenti non adeguatamente sterilizzati o prodotti non garantiti». Estetisti e parrucchieri non inquadrati regolarmente lavorano anche in alcuni grandi alberghi della città. «Abbiamo già scritto agli interessati – riprende il segretario – vi sono casi dove la parrucchiera fa anche l’estetista e il taglio della barba agli uomini, ma si tratta di licenze diverse».
IMPRESE EDILI – Venezia è ormai campo di battaglia sul fronte dell’edilizia, dove singoli o corporazioni improvvisate fanno sleale concorrenza ai regolari con sempre meno lavoro e sempre più l’acqua alla gola per le tasse. Muratori, dipintori, stuccatori e piastrellisti in pensione, licenziati o cassaintegrati che decidono di lavorare di nascosto, anche con parenti o amici. E per restare nascosti, non si occupano di ripulire o far ritirare i resti dei lavori, che così spesso insozzano le calli.
SARTI – Un settore irregolare limitato ma costante, che vede la sparizione del mestiere andare di pari passo con l’aumento di chi lo pratica in casa. Ciò che più preoccupa Confartigianato è che anche alcuni negozi si rivolgerebbero alle sarte in casa per lavori di orlatura e rammendatura della merce.
VETRAI – Piccoli laboratori abusivi dentro e fuori Murano che si farebbero prestare i forni da altre realtà. Gli oggetti in vetro finirebbero direttamente sul mercato e inglobati nella produzione di alcune aziende, che così facendo aumentano le proprie vendite.
I motivi che hanno spalancato le porte della città all’abusivismo, secondo De Checchi, sarebbero molteplici: dalla mancanza di sensibilità al problema fino alla conformazione urbana del centro storico lagunare. «É una città “nascosta” – spiega il segretario – dove calli, rii e vicoli sono nascondiglio ideale di malaffare nei settori professionali». L’appello ai vigili urbani, polizia municipale e guardia di finanza per aumentare i controlli del fenomeno in crescita. «Più aziende chiudono per colpa della crisi – stima De Checchi – più persone restano senza lavoro e la percentuale di chi alimenta il “sottobosco” cresce inevitabilmente».

 

IL PRESIDENTE DELLE REMIERE

«Trasporto di sposi? Solo amici, non siamo sleali»

Salta sulla sedia Giovanni Giusto, presidente delle associazioni remiere di Venezia, a sentir parlare di possibili abusivismi in barca a remi, denunciati ieri dai gondolieri. Non parliamone poi, se l’illegalità dovesse riguardare una qualche imbarcazione storica proveniente dalle remiere lagunari. «Il mondo remiero è contro ogni forma di abusivismo – tuona Giusto – che va a ledere il nostro mondo, la nostra immagine e la nostra storia. C’è da capire se gli episodi segnalati siano davvero illeciti, cioè a fronte di pagamento. Per quanto riguarda i matrimoni – aggiunge – è tradizione che chi è socio o legato al mondo delle remiere desideri farsi trasportare dai propri compagni e dall’imbarcazione a remi in un giorno così importante della propria vita, ma è una tradizione, come anche portare in giro gli amici o i familiari sul proprio mezzo. È la vita stessa di Venezia. Capisco che ogni giorno in questa città ci troviamo di fronte ad attività illecite dilaganti sul fronte turistico, ma se non possiamo nemmeno portare chi vogliamo a spasso della nostra barca privata, dove andremo a finire? Se invece ci troviamo di fronte ad una qualche attività illecita, siamo i primi a condannarla, episodi del genere vanno subito segnalati al coordinamento per la verifica e l’eventuale identificazione delle persone coinvolte».

(g.prad.)

 

COZZOLINO (M5S) «Il Magistrato alle Acque passi al Ministero dell’Ambiente»

«Eliminare il magistrato delle acque è una misura sbagliata, perché è il classico caso in cui si getta via il bambino con l’acqua sporca. In merito all’operato del magistrato delle acque sulla vicenda Mose dagli atti dell’inchiesta emergono gravi lacune, ma un conto è sanzionare comportamenti personali anche in maniera severa, un altro è cancellare un’istituzione con una lunga tradizione e che può e deve avere un ruolo nella tutela della laguna di Venezia». Lo dichiara Emanuele Cozzolino deputato M5S e capogruppo in commissione affari costituzionali – E’ per questo che in commissione affari costituzionali abbiamo depositato un emendamento al decreto 90 sulla pubblica amministrazione nel quale manteniamo in vita il magistrato delle acque ma ne trasformiamo le funzioni sottoponendolo al Ministero dell’Ambiente.

 

LA POLEMICA – I soldi spesi dal Consorzio per la promozione

Per Arrigo Cipriani (“Mance dal Consorzio. E nessuno s’interrogava sulla provenienza dei soldi”) è un dettaglio inutile e trascurabile la regolarità di un compenso alla luce del sole per una prestazione professionale effettivamente svolta. Per lui è ozioso e petulante distinguere tra una somma fiscalmente regolare per un lavoro reale, opinabile finché si vuole ma pubblico, e un finanziamento sotto banco e illegittimo, sia pure per finalità benefiche, ma comunque per opere mai prestate.
Comprensibilmente Arrigo Cipriani – contribuente irreprensibile in America e in Italia, vero? – fa questa equiparazione commentando una mia lettera al Gazzettino che proprio questa distinzione intendeva mettere in luce, stigmatizzando la differenza tra il budget per la comunicazione e le pubbliche relazioni del Consorzio Venezia Nuova (tra cui una trentina di libri strenna e, tra questi, il mio “Welcome to Venice”) e la pioggia di sovvenzioni arbitrariamente e illegalmente elargite dall’ingegner Mazzacurati a una varietà di persone e di soggetti che nulla avevano a che fare con la “missione” del Consorzio.
Contestavo, infatti, all’autore dell’articolo, Paolo Navarro Dina, non solo l’imprecisione riguardante il mio compenso ma anche l’aver messo tante cose diverse insieme, nel suo pur interessante articolo, ingenerando una confusione per me inaccettabile. Valutazione, la mia, ancor più fondata dopo la lettura dell’intervento del fondatore dell’Harris Bar. Era peraltro evidente nel pezzo, l’opinabile “calderone dei nomi”, per dirla con Cipriani, e in quel calderone la selezione sia dei beneficiari dei finanziamenti illegittimi sia di coloro che hanno percepito compensi professionali legittimi. L’autore peraltro sa bene, come tutti noi del mestiere, che talvolta certe omissioni sono le notizie più interessanti e ghiotte.
Certo, a parte gli insulti che egli dispensa disinvoltamente ma che possono essere di rilievo legale, il succo dell’intervento di Cipriani va preso sul serio. Il budget del Cvn per la comunicazione e le pr era ingiustificato, trattandosi di un’azienda pubblica? Essendo spese “ufficiali” e visibili, e avendo esse accompagnato l’attività del Consorzio fin dalla sua nascita, sarebbe stato semplice, giusto e opportuno, nei confronti dei cittadini e dei contribuenti, soprattutto quelli probi, criticarne tempestivamente la congruità, specie da parte di chi condivide o legittima il punto di vista di Cipriani.
Forse ricordo male, ma la stampa locale ha diffuso, in più di un’occasione, i “quaderni” pubblicati dal Consorzio. Quelle distribuzioni – pura propaganda – erano evidentemente un’operazione corretta. I libri – letteratura forse criticabilissima ma tutto fuor che propaganda – no?
Guido Moltedo
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Caro Guido Moltedo,
il Suo nome è stato pubblicato tra quelli che hanno usufruito di somme di danaro elargite dal Consorzio Venezia Nuova. Se il fatto corrisponde a verità non sono stato io a pubblicare il Suo nome tra coloro che hanno ricevuto una somma dal Cvn. Se non è vero ho solo preso atto della Sua precisazione che affermava che la somma da Lei percepita era modesta.
Io ho scritto che, leggendo la Sua lettera, sembrava di capire che queste elargizioni per Lei fossero del tutto legittime e anzi rientravano nella scelta corretta fatta dal Cvn di dispensarle per promuovere le proprie iniziative o comunque per crearne un effetto favorevole nell’opinione pubblica. A parte il fatto che questa Sua nuova lettera di precisazione ottiene il risultato che la notizia venga pubblicata tre volte anziché una sola, non credo proprio di aver leso la Sua reputazione con il mio articolo, semmai sarebbe stata l’illecita elargizione di pubblico denaro a farlo.

Arrigo Cipriani

 

LE RICOSTRUZIONI DELL’ACCUSA

Un pranzo a tre poi l’idea project

Baita, Galan, Chisso e le opere pubbliche costruite con la finanza di progetto

VENEZIA – Nel decennio compreso tra il 2000 e il 2010, secondo la Procura di Venezia, il duo Galan- Chisso, ha gestito praticamente in prima persona gli appalti delle grandi opere in Veneto. Ed è durante un pranzo nel 2001, tra i due e Piergiorgio Baita, che quest’ultimo apprende della necessità di doversi “inventare” un sistema per poter partecipare alla realizzazione i grandi opere pubbliche. Altrimenti non avrebbe più vinto, come Mantovani, una gara. Del resto già lui aveva iniziato a lamentarsi, con i due politici di Forza Italia, del fatto che la sua società incontrava non poche difficoltà negli appalti. Infatti altre imprese si erano rivolte agli esponenti di centro destra spiegando come Mantovani si stava spartendo già la torta del Mose e non era giusto che partecipasse ad altri lavori. Ed è durante quel pranzo che il manager capisce che sarebbe stato inutile partecipare a gara d’appalto, non ne avrebbe più vinta una. Ecco allora che il presidente della Mantovani mette a punto l’operazione “project financing”. Un sistema che gli consentì, da quel momento, di operare lo stesso, ma lo vide costretto a occuparsi di altro rispetto alla tradizione di costruttore di grandi opere che aveva caratterizzato l’impresa padovana. Tutto questo lo spiega lo stesso Baita, quando lo scorso anno decide di collaborare con il pm Stefano Ancillotto dopo il suo arresto. Ecco che Mantovani entra con un’Associazione temporanea d’imprese nell’affare ospedale di Mestre, la nuova struttura sanitaria di Mestre a cui viene dato il nome di “Ospedale dell’Angelo”, in onore dell’allora patriarca di Venezia Angelo Scola. La finanza di progetto è un’operazione di tecnica di finanziamento a lungo termine in cui il “ristoro” del finanziamento stesso è garantito dai flussi di cassa previsti dall’attività di gestione dell’opera prevista dal progetto. In Italia, la finanza di progetto ha trovato spazio prevalentemente nella realizzazione di opere di pubblica utilità. In questa configurazione di project financing i soggetti promotori propongono alla Pubblica amministrazione la possibilità di finanziare, eseguire e gestire un’opera pubblica, il cui progetto è stato già approvato, o sarà approvato, in cambio degli utili che deriveranno dai flussi di cassa (cash flow) generati per l’appunto da una efficiente gestione dell’ opera stessa. Ma per molti è solo altri un sistema per aggiudicare le opere «agli amici». Per quanto riguarda l’ospedale di Mestre, il 22 novembre 2002 viene costituita la società Veneta Sanitaria Finanza di Progetto, formata dall’Ati che ha vinto il bando di gara per la realizzazione dell’ospedale. La società gestirà per 24 anni l’ospedale. L’Ati è composta da: Astaldi, Mantovani, Mattioli, Gemmo, Cofathec e Studio Altieri. Ritornando a Baita e al pranzo con Galan e Chisso, da quel momento la Mantovani non partecipa a nessun’altra gara per grandi opere. Secondo la Procura, la conferma di come il duo Galan-Chisso avesse imposto le sue regole.

Carlo Mion

 

Matteoli, dopo il Tribunale dei ministri servirà il voto del Senato

C’è un altro caso che viaggia parallelo a quello di Giancarlo Galan. Si tratta dell’ex ministro Altero Matteoli, la cui posizione è al vaglio del Tribunale dei ministri sezione di Venezia. Se i giudici decideranno che le accuse nei confronti dell’ex ministro sono fondate, il dossier verrà trasferito al Senato che si dovrà pronunciare sull’eventuale autorizzazione a procedere. Matteoli è accusato dall’ex presidente del Consorzio Mazzacurati e da Baita della Mantovani di aver ricevuto sommedi denaro per le campagne elettorali e di aver imposto al Cvn la Socostramo di Erasmo Cinque, ditta a lui vicina, per i lavori di marginamento e bonifica di Porto Marghera. Quando si tratta di un’ipotesi di reato commessa durante le funzioni di ministro, la legge prevede l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare.

 

Nuova Venezia – L’accusa: Galan a libro paga del Cvn

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

14

lug

2014

L’accusa: Galan a libro paga del Cvn

Il gip dispone l’arresto ipotizzando la «corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio», punita con pene da 4 a 8 anni

All’ex governatore è contestato uno «stipendio annuale di circa 1 milione di euro» in cambio del parere favorevole della Commissione Via ai progetti del Consorzio

A suo carico le dichiarazioni rilasciate dagli indagati Minutillo, Baita e Mazzacurati Non solo dighe mobili: pesa il possesso del7% di Adria Infrastrutture

VENEZIA – Essere stato – da presidente della Regione Veneto – a libro paga dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati (grazie ai fondi neri del Cvn) per stendere tappeti rossi davanti al Mose; e in cassa alle imprese per agevolarne i project financing in Regione. Queste, in sostanza, le accuse che i pubblici ministeri Ancilotto, Buccini e Tonini muovono a Giancarlo Galan, con una quadro probatorio che ha convinto il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza a disporne la custodia cautelare in carcere per «corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio»: condanna prevista dal codice, da4 a 8 anni di reclusione. Per agevolare il Mose- elenca puntiglioso il gip Scaramuzza – l’ex presidente avrebbe ricevuto da Mazzacurati «uno stipendio annuale di circa 1 milione di euro; euro 900 mila nel periodo tra il 2007 e il 2008 per il rilascio nella Commissione di salvaguardia del 20 gennaio 2004 del parere favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose; 900 mila euro nel periodo 2006 e 2007 per nel novembre2002 e del gennaio 2005 per il parere favorevole della commissione Via della Regione Veneto ai progetti delle scogliere esterne alla bocche di porto a Malamocco e Chioggia». La prima a chiamarlo in causa era stata l’ex segretaria Claudia Minutillo, poi amministratore di Adria Infrastrutture. Arrestata a febbraio 2013, il 19 marzo mette a verbale: «A Giancarlo Galan venivano consegnate anche più volte all’anno ingenti somme di danaro, parliamo di 100 mila euro e anche più. Mi è stato riferito da Baita, che si lamentava delle richieste esose del Galan, ma anche dal Galan stesso quando ne ero la segretaria prima del 2006». A luglio 2013 è la volta di Giovanni Mazzacurati – arrestato a sua volta – dichiarare ai pm che gli chiedono del “quantum”: «La cosa era molto variabile, però diciamo un milione l’anno, più o meno insomma (…) per dare al Governatore oppure a chi voleva il Governatore». Racconta Piergiorgio Baita ai magistrati che lo interrogano tra maggio e ottobre 2010, della doppia tangente da 900 mila euro: soldi di Mantovani, «secondo quello che mi dice Mazzacurati, richiesti dall’assessore Chisso non per sé ma a nome del presidente Galan». E, ancora, «avevamo avuto molte sollecitazioni da Chisso dicendo che Galan lo pressava». Manon solo Mose e non solo si soli soldi è fatta l’accusa. Secondo la Procura, Galan sarebbe stato ricambiato anche in partecipazioni azionarie per «agevolare l’iter procedimentale dei project financing presentati da Adria Infrastrutture, accelerando le procedure, fornendo informazioni riservate e inserendo nelle posizioni chiave ella struttura organizzativa regionale persone legate e di gradimento dei vertici di Adria e del gruppo Mantovani». Il tornaconto? Il 7% delle azioni di Adria infrastrutture – intestate alla Pvp di Paolo Venuti, suo prestanome – «per partecipare agli utili che sarebbero derivati dall’approvazione dei project»; il 70% delle quote di Nordest media sempre per tramite di Pvp; «riceveva in occasione delle campagne elettorali cospicui finanziamenti che gli venivano consegnati da Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo»; «riceveva nel 2005 la somma di 200 mila euro all’hotel Santa Chiara da Baita tramite Minutillo»; si faceva pagare dalla Mantovani i lavori di ristrutturazione della sua villa di Cinto Euganeo, per un totale di 1,1 milioni, grazie a sovrafatturazioni della stessa Mantovani a favore della Tencostudio, per altri incarichi. Per il gip Scaramuzza Galan e Chisso «hanno totalmente asservito le rispettive funzioni di natura politico istituzionale (…) agli interessi delle società private componenti il Cvn a fini di lucro proprio, personale e ingente (…) condotta di rilevante gravità sia per durata sia per entità delle utilità oggetto di corruzione.

Roberta De Rossi

 

DOPO L’ARRESTO – Venuti, fedelissimo dell’ex Doge lascia il collegio sindacale Save

VENEZIA – Save, la società di gestione dell’ aeroporto Marco Polo di Tessera, ha reso noto di aver ricevuto ieri le dimissioni di Paolo Venuti dalla carica di membro del collegio sindacale. Le dimissioni sono state date «per ragioni di opportunità », in relazione «alle indagini in corso che lo riguardano ». Venuti, finito in carcere, era il commercialista di Giancarlo Galan e in questo ruolo, secondo le accuse formulate nell’inchiesta della Procura di Venezia sul Mose, sarebbe stato il prestanome del parlamentare forzista.

 

Hacker contro Consorzio e Mantovani

Pirati informatici nel sito del Cvn: caricato un video sui costi del malaffare

VENEZIA – Gli hacker attaccano i siti del Consorzio Venezia Nuova e della Mantovani. L’assalto è avvenuto ieri pomeriggio da parte dell’organizzazione OpGreen- Rights che, da qualche settimana, ha aperto una campagna contro il Mose e le grandi opere in laguna. E per rendere pubblico tutti gli affari di chi sta dietro a questa nuova tangentopoli. I pirati hanno messo fuori uso la pagina Mediateca del sito del Cvn. Dopo essere entrati hanno caricato un video di una trasmissione de La7 sui danni del Mose in laguna e sul malaffare collegato alla grande opera. Inoltre quando si apriva lo stessa pagina, appariva una breve spiegazione sui danni e sui costi collegati alla tangentopoli marcata Mose. Negli stessi istanti anche il sito della Mantovani veniva messo fuori uso. Un attacco che deve essere iniziato ben prima di quando i pirati hanno deciso di rendere pubblica l’azione. Infatti da alcuni tweet provenienti dal profilo del gruppo, gli hacker sostengono di aver carpito documenti relativi all’attività della società.

(c.m.)

 

Cantone annuncia «Nei prossimi giorni sarò a Venezia»

Il commissario anti corruzione in tv con il giornalista Giorgio Barbieri: «Meglio le opere idrauliche che il Mose»

PADOVA – Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, sarà a Venezia nei prossimi giorni per valutare gli sviluppi dell’inchiesta Mose, che ha portato all’arresto di 35 persone. La notizia è stata diffusa ieri sera, nel corso dello speciale «In Onda» su La 7, cui ha partecipato anche il nostro collega Giorgio Barbieri che ha presentato il libro scritto con l’economista Francesco Giavazzi: «Corruzione a norma di legge» edito dalla Rizzoli. Nella scheda di presentazione si legge che a Venezia, già nel XIV secolo, la figura dell’Avogador aveva una funzione precisa: controllare che non venissero effettuate ruberie ai danni del bene pubblico. Poteva svolgere questo ruolo solamente chi non avesse alcun conflitto di interesse con ciò che doveva controllare. Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il Mose, la “grande opera” ideata per risolvere il problema dell’acqua alta a Venezia, dimostrano invece il fitto intreccio che legava controllori e controllati, con conseguenze nefaste per la città, la regione e il bene comune. Nel loro libro Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri ricostruiscono la palude che per due decenni ha pervaso non solo il Mose, ma anche l’Alta Velocità, l’Expo di Milano, che proprio ieri ha visto finire nei guai anche il governatore lombardo Roberto Maroni. Dal libro emerge un resistente filo rosso che collega la Tangentopoli degli anni Novanta al Mose. Corruzione delle leggi prima ancora che violazione delle leggi. La vicenda del Mose è l’emblema di «un sistema che ha corrotto il Paese a tutti i livelli, durante la prima e la seconda Repubblica, e che ora mette con le spalle al muro la politica ». Barbieri ha spiegato che il peccato originale del Mose sta nella concessione unica del 1984 affidata dal governo al Consorzio Venezia Nuova: un’anomalia avallata da tutti i premier che si sono succeduti negli ultimi trent’anni: da Ciampi, Prodi, D’Alema e Berlusconi, tanto citare i big. Raffaele Cantone, dopo aver annunciato la sua visita a Venezia, ha ribadito che si deve fare tesoro della lezione con cui la Serenissima ha salvato la laguna: niente paratoie né tangenti, ma solo opere idrauliche nelle isole.

(al.sal.)

 

CHI HA RUBATO SI VERGOGNI PER SEMPRE

di BEPI COVRE

Cos’è la vergogna? Un «sentimento profondo di turbamento e disagio per timore di riprovazione e condanna (morale o sociale), di fronte a comportamenti che provocano disprezzo, discredito, giudizio sfavorevole», recita il dizionario. Da oltre un mese giornali, radio, televisioni italiane e non solo ci fanno arrabbiare sulle vicende del Mose; precisamente sull’operato dei dirigenti del Consorzio Venezia Nuova che da oltre trent’anni briga, intrallazza, corrompe, ruba per salvaguardare in teoria Venezia dalle acque alte. Quintali di carta stampata, fiumi di inchiostro, ore di trasmissioni,e siamo solo ai preliminari di uno scandalo che ci rovinerà l’anima almeno per i prossimi dieci anni, considerati i tempi della giustizia italiana. Premetto che non mi piacciono neppure certi arresti e incarcerazioni preventive fatte nottetempo, traumatizzando mogli e bambini nella serenità del sonno nelle loro famiglie. Soprattutto quando si assiste, poi, dopo settimane di carcere preventivo, alla rimessa in libertà da parte del Tribunale del Riesame, come nel caso dell’ingegner Fasiol (persona stimata, capace e onesta che conosco bene) o del funzionario regionale Artico (ex sindaco di Cessalto), scarcerato dallo stesso Tribunale del Riesame. In molti ci chiediamo: chi risarcirà mai questi signori, chi rimedierà i danni, morali, sociali, familiari che hanno subito e pagato a tanto prezzo? Per la serie che non bisogna mai fare di ogni erba un fascio, soprattutto quando si vuol fare giustizia giusta. Resta il fatto che lo scandalo veneziano sta assumendo gravità consistenza coinvolgimento di istituzioni pubbliche e aziende private in una dimensione che non ha uguali in Italia, forse neppure in Europa. Scandalo aggravato da almeno tre fattori. Il primo riguarda Venezia, la città più bella, conosciuta e amata nel mondo per la sua unicità, la sua storia gloriosa. Quando si va all’estero per turismo, ma soprattutto per lavoro, dire che si abita in Veneto, vicino a Venezia, è sempre stato per tutti noi motivo di prestigio e malcelato orgoglio. Un biglietto da visita che non abbisogna di ulteriori precisazioni. Ogni volta la risposta è sempre stata: «Che bella città, che fortuna viverci vicino». Adesso è meglio evitare perché l’atteggiamento cambia completamente: una smorfia di disgusto, soprattutto all’estero. Anche perché veniamo sempre da un Paese che non ha migliori biglietti da visita da presentare, essendo l’incubatoio di mafie, corruzioni sistemiche, ecc. Il secondo fattore ci tocca come veneti (qui ci manca purtroppo l’autorevole pensiero di Giorgio Lago!), popolo che per anni, sudando e lavorando come pochi al mondo, si è promosso ed è stato riconosciuto ovunque per impegno, capacità e onestà. Per verificarlo basta visitare le comunità venete in ogni continente. Provate a sentire ora cosa dicono e cosa pensano dello scandalo Mose. Il terzo fattore è quello politico. Anche in questo ambito ci siamo comportati bene, rispetto alle altre regioni. Il nostro Consiglio regionale è tra i pochissimi non inquisiti per ladrocinio, capace persino di ridursi nel numero e nelle spese di gestione. Bravo a gestire la sanità, tra le più efficienti in Italia. Non voglio neppure dimenticare i sindaci veneti; non ho memoria di arresti e neppure di scioglimenti di Consigli comunali per fatti di mafia o corruzione. Sì, eravamo orgogliosi di essere veneti e questo orgoglio ci dava la forza per tirare avanti, per lottare, per produrre, pagare le tasse, per mantenere uno Stato inefficiente. Ora ci viene rinfacciato tutto, senza pietà e con giustificato motivo. Ci sentiamo sbeffeggiati, derisi e presi in giro. Io non condanno nessuno di lorsignori, anche perché non so chi, come e quanto ha rubato. Dico però che chi l’ha fatto lo sa perfettamente e, prima ancora che arrivi la sentenza della Giustizia, provveda a vergognarsi in proprio, in grande e per sempre. Assuma la vergogna sulle proprie spalle, nei propri comportamenti, nelle proprie azioni future e sparisca dal consesso civile. Veda di eclissarsi, veda di non dare nell’occhio, di non abitare in case extralusso, di guidare auto costose o possedere barche di valore. Non siamo disposti a tollerare e tantomeno ad abbassare gli occhi se ci capita di incontrarli. Abbassino loro lo sguardo, perché per loro, se saranno condannati, «Pietà l’è morta!», per dirla con Nuto Revelli.

Bepi Covre

 

Gazzettino – Le sette accuse contro Galan e la sua difesa

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14

lug

2014

CASO MOSE – Le sette accuse contro Galan e la sua difesa

DOMANI IL VOTO – Alla Camera la decisione sul carcere per corruzione

OGGI L’ISTANZA – Gli avvocati depositano la richiesta di “domiciliari”

Il Mose e le mazzette, il patrimonio e la villa, le società, i conti e le “gole profonde”: in nove punti le contestazioni delle toghe e le repliche dell’ex Governatore veneto

Accusa & difesa: ecco perchè vogliono l’arresto di Galan

Per Giancarlo Galan l’esito finale della guerra si deciderà davanti ai giudici del Tribunale, quando si dovesse arrivare a un processo. Per il momento è impegnato nella battaglia per la libertà personale, visto che domani la Camera voterà sulla richiesta di arresto per corruzione dell’ex governatore del Veneto, capi d’imputazione per quasi 5 milioni di euro. Oggi l’annunciata mossa dei difensori Antonio Franchini e Niccolò Ghedini che presenteranno al gip la richiesta di trasformare l’eventuale custodia cautelare in carcere negli arresti domiciliari in ospedale o in casa. Perché il parlamentare è bisognoso di cure dopo una caduta con frattura alla gamba e conseguente tromboflebite, innestata in un quadro generale di rischi cardiaci.
Lo scontro è drammatico perché Galan rischia di finire per davvero in galera. Ma in base a quali elementi? Con quali prove? Lo hanno trovato con il sorcio in bocca o il profumo dei soldi è soltanto un sospetto in un’inchiesta che ha già trovato su altri fronti solide conferme? Ecco quello che Pm e difesa hanno messo sul piatto. Almeno fino ad ora.

I PAGATORI

ACCUSA. Secondo i Pm veneziani e il gip Scaramuzza che ha ordinato l’arresto di Galan, esistono dichiarazioni insuperabili di Giovanni Mazzacurati (Consorzio Venezia Nuova), Piergiorgio Baita (Impresa Mantovani) e Claudia Minutillo (ex segretaria di Galan in Regione e socia in Adria Infrastrutture). Sono loro a confermare la colossale corruzione. Le versioni si integrano e completano.
DIFESA. Gli accusatori sono inaffidabili perché hanno parlato quando erano detenuti per altre inchieste. Le loro versioni sono fantasiose e contraddittorie: nessuno può dire di aver consegnato soldi nelle mani di Galan, che non ha mai chiesto nulla a Mazzacurati e Baita.

UN MILIONE ALL’ANNO

ACCUSA. Galan ha ricevuto uno “stipendio” annuale di 1 milioni di euro da Mazzacurati e dal Consorzio Venezia Nuova. Dei versamenti hanno parlato Mazzacurati, Baita e Minutillo. Conferme di altri coinputati.
DIFESA. «Mai nulla ho ricevuto da Mazzacurati. Non so come difendermi da un’accusa così fantasiosa e totalmente destituita di fondamento. All’estero ho solo due conti in Croazia. Mazzacurati ha usato la fantasiosa storia del milione di euro all’anno quale “copertura” di proprie ingenti appropriazioni».

1,8 MILIONI PER IL MOSE

ACCUSA. Galan ha ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova 900.000 euro nel 2007-08 per il rilascio (nel 2004) di parere favorevole al Mose dalla Commissione di Salvaguardia e altri 900.000 euro nel 2006-007 per il rilascio (nel 2002 e 2005) di parere favorevole della Commissione Via regionale sui progetti delle scogliere a Malamocco e Chioggia. Gli accusatori sono Mazzacurati e Baita, secondo cui la richiesta arrivò dall’assessore Renato Chisso.
DIFESA. «Poco credibili» pagamenti a distanza di anni dai pareri. Galan solo una volta presiedette la Commissione di Salvaguardia e non ha mai partecipato alla Commissione Via regionale.

SOLDI A SANTA CHIARA

ACCUSA. Nel 2005 Galan ricevette 200.000 euro all’hotel Santa Chiara a Venezia da Baita, tramite la Minutillo. I due confermano e anche l’imprenditore William Colombelli conferma l’incontro.
DIFESA. Colombelli non parla di passaggio di denaro da Baita a Minutillo da consegnare al Governatore. «Non ho mai ricevuto denari dall’ing. Baita, tantomeno ne ho a costui richiesti».

CONTO A SAN MARINO

ACCUSA. Nel 2005 ha ricevuto 50.000 euro in un conto corrente della International Bank di San Marino da Minutillo e Baita.
DIFESA. Era un conto “ufficiale e trasparente” aperto in modo simbolico per un accordo della Regione Veneto con la Repubblica. «Non operai mai alcuna movimentazione. Tale conto è stato utilizzato da terzi senza che io ne fossi a conoscenza e con la falsificazione delle mie firme».

VILLA SUI COLLI

ACCUSA. Si è fatto ristrutturare la villa a Cinto Euganeo con lavori al corpo centrale (2007-08) e alla barchessa (2011) pagati da Mantovani con sovraffatturazioni all’architetto per un milione 100 mila euro. L’accusa viene da Baita (e Nicolò Buson).
DIFESA. È una “fantasia”. La spesa è stata di 769.000 euro, lo dimostrano fatture e bonifici di pagamento all’architetto. Falsa la circostanza dei lavori in due tranches.

SOCIETÀ “ADRIA”

ACCUSA. Tramite la società PVP (commercialista Paolo Venuti) Galan si è fatto intestare il 7% delle quote di “Adria Infrastrutture” di Baita e Minutillo (valore 350.000 euro) per partecipare agli utili dei “project financing”.
DIFESA. Ammette l’investimento, ma nega di aver mai avvantaggiato Baita nei project-financing.

SOCIETÀ “NORDEST MEDIA”

ACCUSA. Tramite la società PVP si è fatto intestare il 70% di “Nordest Media” (valore 81.200 euro), per partecipare agli utili da raccolta pubblicitaria.
DIFESA. Ammette l’investimento, ma se ne disinteressò. Mai fatto nulla per la raccolta pubblicitaria.

PATRIMONIO

ACCUSA. Galan dal 2000 al 2011 ha incassato ufficialmente un milione 413 mila euro, ha speso 2 milioni 695 mila euro. La sproporzione è di un milione 281 mila euro.
DIFESA. Dal 2000 al 2013 Galan e consorte hanno avuto entrate per 3 milioni 461 mila euro, superiori di 701 mila euro alle spese. Nessuna entrata illecita.

Giuseppe Pietrobelli

 

Gazzettino – “Fermare la Mestre-Orte”

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13

lug

2014

MOZIONE DEI 5 STELLE ALLA CAMERA

Mozione dei 5Stelle per bloccare la Romea Commerciale, l’autostrada Orte-Mestre. L’ha presentata Arianna Spessotto, deputata pentastellata di San Donà di Piave, e portavoce veneta dei “grillini”, che ora chiede all’aula di fare presto. «Questo provvedimento, per cui chiedo una immediata calendarizzazione in Aula – spiega la Spessotto – si affianca alle numerose mozioni presentate trasversalmente dalle amministrazioni interessate dal tracciato, come il Consiglio comunale di Venezia, di Dolo o quello di Mira che ha già votato per il ritiro di tutto il progetto della Orte-Mestre».
La Spessotto tira in ballo anche l’impresa Mantovani. «Non c’è da stupirsi – aggiunge la deputato – ma la Mantovai, dopo il Mose, aveva messo gli occhi anche sul progetto della nuova autostrada Orte-Mestre. Un’altra “gallina dalle uova d’oro” da realizzarsi con il delinquenziale sistema del project financing. Un’opera fortemente contestata da cittadini, amministrazioni comunali e tecnici del settore per l’insussistenza di traffico utile a giustificarla e che ha ottenuto il via libera dal Cipe poco dopo la nomina di Lupi a Ministro dei Trasporti».
Proprio le stime sul traffico, e quindi la mancanza di una vera e propria necessità infrastrutturale, sono alla base della mozione presentata dalla Spessotto, che pretende il ritiro della Romea Commerciale, chiedendo al contempo di usare le risorse stanziate per mettere in sicurezza la “vecchia” Romea.
«A fronte delle ingiustificate previsioni di traffico e delle gravi ripercussioni in termini ambientali che la realizzazione della nuova autostrada comporterebbe – argomenta la deputata – chiediamo il ritiro immediato del progetto preliminare della tratta E45-E55 della Orte-Mestre e l’impegno del Governo nella messa in sicurezza dell’attuale SS 309 e della superstrada E-45 classificate dall’Anas tra le strade più pericolose d’Italia».

(m.dor.)

 

IL BILANCIO

Sette in carcere dopo il blitz del 4 giugno

Delle 35 persone per le quali la Procura ha ottenuto l’arresto il 4 giugno, 22 erano finite in carcere, 10 ai domiciliari,, mentre due indagati erano coperti dall’immunità parlamentare (oltre al deputato Galan, l’ex europarlamentare Lia Sartori, ora ai domiciliari). L’intervento del Tribunale del riesame ha trasformato la situazione: in carcere sono rimasti l’ex assessore Renato Chisso, il suo segretario Enzo Casarin, l’imprenditore [………………], il commercialista Paolo Venuti, l’ex braccio destro del ministro Tremonti Marco Milanese (competente ora la Procura di Milano), l’ex generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante (anche lui ora a Milano), Gino Chiarini. Tra i 7 scarcerati, c’è chi ha ammesso le proprie responsabilità (come Patrizio Cuccioletta e Stefano Tomarelli) e altri per i quali i giudici hanno ritenuto non sufficienti le prove a carico, come per i dirigenti regionali Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol.

 

A PRESENTARE IL PROJECT FU LA SOCIETÀ ADRIA, PARTECIPATA DA GALAN E CHISSO

Rubinato: il Governo sospenda l’appalto della Via del Mare

VENEZIA – Il Governo Renzi sospenda, in via precauzionale, la gara d’appalto per la realizzazione e la gestione della nuova superstrada turistica a pedaggio «Via del Mare », destinata a collegare l’autostrada A4, all’altezza del casello di Meolo, con le spiagge del litorale veneziane. La richiesta è contenuta in un’interrogazione alle Infrastrutture Maurizio Lupi, depositata alla Camera dalla parlamentare trevigiana del Pd Simonetta Rubinato e firmata anche dalla collega di gruppo Sara Moretto. L’iniziativa (che fa eco all’analogo intervento di Bruno Pigozzo, vicecapogruppo democratico in Consiglio regionale) prende spunto dal fatto che a proporre l’opera, in project financing, fu nel 2007 Adria Infrastrutture, la società, gestita da Claudia Minutillo e Piergiorgio Baita, finita nel mirino della Procura di Venezia già nelle prime fasi dell’inchiesta che ha terremotato la politica regionale. Ebbene, secondo gli investigatori, Adria Spa – definita «una società di corrotti e corruttori», dall’ordinanza del giudice di Venezia – sarebbe anche stata partecipata, attraverso dei prestanome, da Giancarlo Galan e da Renato Chisso, entrambi indagati nella Tangentopoli veneta. Circostanza ammessa dall’ex governatore del Veneto nel corso della videointervista del 27 giugno al nostro giornale: «L’acquisto del 7% del pacchetto societaria di Adria fu una stupidaggine, un errore che non ripeterei », le sue parole «anche se quelle quote non valgono nulla, perché l’impresa non ha mai costruito nulla». Ma cos’è la Via del Mare? Inclusa dal Cipe tra le opere di «interesse strategico», consiste nella realizzazione di una bretella di collegamento tra il casello autostradale di Meolo sulla Milano- Trieste e la rotatoria «Frova» a nord-ovest del centro abitato di Jesolo; l’asse stradale ha uno sviluppo di circa 19 km e attraversa il territorio di 5 comuni (Roncade, Meolo, Musile, San Donà di Piave, Jesolo) per un costo stimato in 200,752 milioni di euro. Che la cordata capitanata da Adria Infrastrutture Spa, si è offerta di coprire in cambio della riscossione quarantennale del pedaggio, ottenendo così il diritto di prelazione sull’appalto. «Un pessimo affare per la comunità, un vero esproprio ai danni della Treviso Mare e ad esclusivo beneficio dei privati», rincara Rubinato «il piano finanziario del bando è stato a lungo blindato e ora comprendiamo il perché. Va bloccato in ogni caso, a prescindere dai sospetti di illegalità, che puresono pesanti».

Filippo Tosatto

 

Grandi navi, Mose “ingombrante”

Masiero (Slow Lagoon): «Fondale troppo alto, bisognerà modificare i cassoni»

CHIOGGIA – Mose “ingombrante” per l’arrivo delle grandi navi da crociera. Lo denuncia il presidente di Slow Lagoon Marino Masiero individuando nei politici i responsabili di una mancata attenzione sulla vicenda. Da mesi la città si sta candidando a lavorare in sinergia con Venezia per creare un polo crocieristico lagunare in cui poter utilizzare i due scali indifferentemente per mantenere nella provincia le grandi navi. All’orizzonte spunta però un nuovo elemento di cui nessuno finora ha parlato. «I lavori di posa dei cassoni centrali del Mose a Chioggia», sostiene Masiero, membro anche del direttivo di Gruppo turismo, «andrebbero sospesi e l’opera modificata immediatamente per non penalizzare la città. Pochi sanno che la nostra soglia d’ingresso in porto è a meno 11 metri contro i meno 14 di Venezia. Tenuto conto del “franco di sicurezza di due metri” per far passare le navi passeggeri, la differenza squalifica il nostro porto impedendo di far entrare le grandi navi». Gruppo turismo chiede di abbassare la soglia delle paratie centrali del Mose per un centinaio di metri di larghezza alla bocca di porto. «Di fronte ai sette miliardi di costo complessivo del Mose», precisa Masiero, «gli scavi per aumentare di tre metri la profondità avrebbero inciso, forse, per qualche punto percentuale. Un piccolo aumento di spesa che, a fronte delle opportune revisioni dell’appalto unico, potrebbe ampiamente venire coperto da risparmi che si profilano all’orizzonte. Quei tre metri che mancano ci impediscono, a nostro parere per volontà e non per ragioni tecniche, di essere un porto a tutto tondo come Malamocco e Lido ». Con il Mose impostato in questo modo, Chioggia vedrebbe arrivare navi passeggeri minori, con pescaggio inferiore ai 9 metri, mezzi che le stesse compagnie armatoriali ritengono superati sotto il profilo economico e cantieristico.

(e.b.a.)

 

IL MOSE – Un incarico da 40mila euro affidata dal Coveco

Una torre con vista sul Mose per il fratello di Cuccioletta

Tra gli allegati dell’inchiesta sulle mazzette del Mose spunta un contratto di consulenza per una “torre panoramica” a fini dichiaratamente promozionali. L’idea era quella di fare del gigantesco e complesso sistema di dighe mobili, che dovrà difendere Venezia dall’acqua alta, una vera e propria attrazione per i turisti da vedere dall’alto, in posizione strategica e suggestiva. Clonando quanto successe a Parigi con la creazione della Torre Eiffel. Ad affidare l’incarico è il Coveco, attraverso il presidente Franco Morbiolo, arrestato il 4 giugno, insieme fra gli altri all’allora assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso (tuttora in carcere), all’ormai ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e a Patrizio Cuccioletta.
Quest’ultimo, dal 2008 al 2011 Magistrato alle Acque, era a libro paga – come da lui stesso confessato – di Giovanni Mazzacurati, il dominus del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del Mose. Stipendiato con circa 200mila euro l’anno, per non controllare l’avanzamento dei lavori, anzi per approvare tutto, con una buona uscita di 500mila euro, cessato l’incarico. Un carnet fatto non solo di soldi ma anche di favori: cene, viaggi, assunzione della figlia e incarichi al fratello Paolo. Ed è proprio quest’ultimo, architetto, classe 1938, dell’Archingroup con sede a Roma, a venire scelto per «l’individuazione, tra Bocche di Porto oggetto dei lavori, di quella più idonea alla costruzione di una struttura architettonica, vocata all’osservazione delle opere di difesa da parte di eventuali visitatori».
La richiesta dell’intervento arriva – si legge in premessa – dalla stazione appaltante (Magistrato alle Acque) al Consorzio Venezia Nuova di cui il Coveco fa parte in qualità di socio diretto. Compenso pattuito 38mila più Iva comprensivo anche della progettazione del manufatto. La sottoscrizione porta la data del 16 maggio 2012: da sette mesi Cuccioletta junior non è più a capo del Magistrato e Mazzacurati, intercettato dagli uomini della Guardia di Finanza, si dice molto preoccupato perché lo sente depresso. Stesso stato d’animo che emerge dalla conversazione delle rispettive mogli. La parcella con il conto viene presentata due settimane dopo, il 30 maggio 2012: totale da liquidare 40,219,20 euro. Il saldo tramite bonifico bancario da Coveco a Cuccioletta senior. Non c’è traccia dell’elaborato fra gli allegati arrivati in Procura.
Ma i nomi dei due fratelli Cuccioletta erano già assurti all’onore delle cronache tre anni prima che scoppiasse la nuova Tangentopoli lagunare: Patrizio e Paolo comparivano ai numeri 43 e 44 della lista di invitati alla cena della “cricca”, quella dello scandalo del G8 della Maddalena. L’aveva scritta a mano la moglie di Fabio De Santis per festeggiare la nomina del marito a Provveditore delle opere pubbliche di Toscana. Il foglio era stato trovato durante la perquisizione della casa romana dell’ingegnere. Allo stesso tavolo erano stati chiamati anche Berlusconi, Balducci, don Camaldo, cerimoniere del Papa, gli imprenditori Diego Anemone e Francesco de Vito Piscicelli (quello che al telefono rise la sera del terremoto dell’Aquila pregustando gli affari degli appalti). Paolo Cuccioletta si ritrova indagato per corruzione anche a Pescara.

 

INTERROGAZIONE PD «Sospendere la “via del mare”»

ROMA – Il Governo sospenda la gara per la realizzazione e la gestione della nuova superstrada a pedaggio «Via del Mare», che dovrebbe collegare l’autostrada A4, all’altezza del casello di Meolo, con le spiagge. La richiesta è contenuta in un’interrogazione al ministro Lupi, depositata dall’onorevole Simonetta Rubinato del Pd e firmata anche da Sara Moretto. A proporre l’opera, in project financing, fu nel 2007 Adria Infrastrutture finita nell’inchiesta di Venezia e partecipata dal governatore Giancarlo Galan e dall’assessore Renato Chisso.

 

L’INTERVENTO – Mance dal Consorzio. E nessuno si interrogava sulla provenienza dei soldi

Leggo in questi giorni sul Gazzettino un elenco ancora incompleto delle persone fisiche e degli enti che hanno ricevuto finanziamenti erogati dal Consorzio Venezia Nuova durante la costruzione del Mose.
Ciò che accomuna i beneficiati è la loro apparente assoluta estraneità al progetto.
Viene anche pubblicata dal giornale una lunga e dolente precisazione firmata dal giornalista Guido Moltedo il quale deplora di essere stato incluso, per una cifra minima (rispetto alle altre), nel calderone dei nomi pubblicati, spiegando tra l’altro, per quelli che non lo sapessero, come, fino a poco tempo fa, fosse prassi normale che aziende pubbliche utilizzassero questa forma di pubbliche relazioni e vi dedicassero somme anche considerevoli per promuovere le proprie iniziative o comunque per crearne un effetto favorevole nell’opinione pubblica.
Tutto regolare dunque.
Lo Stato, sull’onda di un disastro mai realmente avvenuto, ma solo annunciato dalle prefiche dell’effetto serra, decise dopo il 1966 di costruire un’opera politica tanto imponente quanto poco ingegneristica per salvare Venezia dai futuri danni dell’alta marea.
Da quel momento il Doge delle Regione divise la cittadinanza in due categorie. Chi era contro il Mose voleva la fine di Venezia chi era favorevole la salvezza. Un referendum mentale da cervelli all’ammasso.
Nell’ottica di Galan confesso di essere stato fin dal primo momento per la morte di Venezia.
Mi è sempre sembrato chiaro che l’opera fosse stata volutamente concepita per sbalordire quelli che di marea sanno poco o nulla.
Il male è che alcuni tra gli sbalorditi, sia pur sotto shock dopo le recenti vicende, pensano ancora che questo ferrovecchio possa servire a qualche cosa.
Per sviare i dubbiosi sulla evidente incongruità del costo rapportato agli eventuali danni che l’acqua alta avrebbe potuto produrre alla Città, il Consorzio Nuova Venezia pensò di intervenire con elargizioni mirate e a pioggia in modo di avere un percorso in discesa e senza intoppi durante il corso dell’opera.
Pensando alla Tav, forse ciò che è mancato fino ad oggi per ottenerne l’approvazione popolare, è stata una seria promozione di relazioni pubbliche sotto forma di elargizioni ad alti prelati, parrocchie, organizzazioni, partiti, scrittori, registi e, perché no, ai ciclisti.
Non mi risulta che sia stato fatto. Per una semplice ragione. Non ce n’era alcun bisogno perché è possibile che siano stati i “No Tav” al servizio di lobby diverse.
Dietro tutta questa sporca faccenda del Mose rimane soprattutto una nota amara. Perché queste persone hanno preso scientemente soldi pubblici? Non hanno mai pensato che un’opera pubblica non ha bisogno di appoggi morali per essere ulteriormente approvata?
Io penso che, se gli autori hanno accettato il danaro, lo abbiano fatto convinti che senza quel finanziamento le loro opere non sarebbero mai state né pubblicate né costruite. Hanno incassato una mancia. Da accattoni.

 

I NUOVI LIBRI DI “CORTE DEL FONTEGO” – Mose e grandi navi, ora la città attende risposte

VENEZIA – La collana “Occhi aperti su Venezia” di Corte del Fontego si arricchisce di tre titoli dedicati al sistema Mose e alle grandi navi in laguna. “A bocca chiusa” di Lidia Fersuoch, “Invertire la rotta” di Silvio Testa e “Contare il crocerismo” di Giuseppe Tattara. Presentati alla Scuola dei Calegheri – da Edoardo Salzano e dagli autori – essi propongono in forma sintetica letture critiche della grande opera e degli effetti del crocierismo e del gigantismo navale sulla città lagunare, «dove si registrano le stesse forzature e un pensiero unico che ha caratterizzato per anni la società veneziana fino allo scorso 4 giugno».
«Da questi libretti si evince che in città e non solo il potere reale non è esercitato dai cittadini, ma da un coacervo di poteri forti resi ancora più forti dai margini di manovra loro concessi», ha detto Salzano. E a confermare le sue parole è stata Lidia Fersuoch, secondo cui «il Mose è sbagliato in sè, e frutto di pessime leggi, mancanza di controlli e di un deficit di democrazia. Questo è il primo tentativo di scrivere la sua storia, caratterizzata da denunce e minacce a chi non condivideva l’opera. Che ha avuto costi altissimi, e costi non meno alti richiederà per la manutenzione».
Per Silvio Testa «anche sulle grandi navi si sta riscontrando un rullo compressore che prescinde dal buon senso, dalla logica e da ogni valutazione. Le criticità non hanno mai trovato risposta. E tutto si è ridotto all’opportunità di non far passare più questi mostri davanti a San Marco, in base alla soluzione precostituita dello scavo del canale Contorta Sant’Angelo, che trasformerà la laguna in un tratto di mare. Sui livelli d’inquinamento, poi, il silenzio rimane assordante».
Giuseppe Tattara, invece, il crocierismo lo ha affrontato da un punto di vista sociale ed economico: «Confrontati costi e benefici, non si può negare che il settore dia lavoro. Ma con ricadute sulla città assai modeste, nell’ambito di un’economia circoscritta. E costi per danni ambientali superiori all’indotto».

Vettor Maria Corsetti

 

A proposito di…

SCANDALO DEL MOSE E POLITICI CORROTTI

Caro cronista, con lo scandalo del Mose si sono allegramente corrotti politici di massimo livello; vertici di controllo come lo storico Magistrato alle Acque; un Generale della Finanza; la Corte dei Conti; imprenditori in posizione di privilegio; illustri funzionari pubblici. Tutti caduti nella rete del Consorzio Venezia Nuova che si è prodigato, con generose elargizioni di denaro a destra e a manca, per ottenere la concessione unica dei lavori. Fatti tutti fuori legge e senza appalto dove “Si prefigura, anche, l’ipotesi di reato d’impatto ambientale.” Ora mi domando se il Comitatone – massima sentinella preposta alla sorveglianza delle opere lagunari, scappata, forse, ai tentacoli del Consorzio Venezia Nuova – possa deliberare. Il suo silenzio è durato tre anni: tempo in cui rimane in parcheggio, fra forti polemiche e contestazioni lagunari. Chiamato in causa dal sindaco Orsoni nella seduta del 30 aprile 2014, fa cadere la sua determinante scelta su tre progetti, quelli che porteranno ad altri invasivi scavi ed arginamenti, negando spazio alle quattro alternative presentate in concomitanza, le quali escludono questi pericolosi interventi. Scelta che lascia aperto il problema dell’alternanza. Il Comitatone (composto nella maggior parte da tecnici del settore) non può cadere in questo tranello e dare un colpo di spugna alle alternative, regalando alle grandi navi la morte della Laguna. Viene da chiedersi se esso, nella sua prossima riunione, abbia ancora la facoltà di analisi per deliberare e come il ministro dell’ambiente Massimo Lupi possa convocarlo se non c’è un’analisi ambientale comparativa, come previsto. Tutto ciò accrescerà il già forte malessere dei cittadini in un momento così drammatico per le sorti della città. Si attende la riunione del Comitatone entro luglio e le alternative si sono arenate al Ministero dell’Ambiente. Il Comitatone preposto alla Salvaguardia della Laguna, sceglierà il Contorta che risulta essere il prediletto. Siamo davanti ad un terremoto che ha travolto tutto e – in questa non chiara situazione – sembra essere risoluto a voler continuare a imperversare. Il cittadino si attende un più attento controllo del territorio e non che i controllori vengano controllati dagli esaminandi che svolazzano sull’ambiente, da alcuni decenni, come corvi. Per i soldi che girano, nella tormentata Laguna di oggi, viene da dubitare di tutti.

Yvonne Girardello – Venezia

 

La precisazione

NIENTE CONTRIBUTI DAL CONSORZIO

In relazione all’articolo comparso su “Il Gazzettino” del 4 luglio scorso, intitolato “Così Mazzacurati foraggiava Venezia – 32 milioni dati a enti e associazioni” dove si fa menzione di una generica “mensa per i poveri di Mestre” tra i soggetti beneficiari delle elargizioni del Consorzio Venezia Nuova, tengo a precisare in qualità di presidente della Associazione San Vincenzo Mestrina onlus – che dal 1967 gestisce la mensa di Ca’ Letizia in via Querini a Mestre – che la nostra mensa non è mai stata destinataria di alcun tipo di finanziamento e/o donazione da parte del predetto Consorzio. Tanto per chiarezza anche nei confronti dei tanti benefattori che da sempre sostengono la nostra storica mensa, che vive solo di “Provvidenza” e non riceve alcun finanziamento da istituzioni pubbliche o private.

Stefano Bozzi – presidente Associazione San Vincenzo Mestrina onlus”

 

Mazzette per 250 mila euro su ogni cassone del Mose

L’impresa subappaltante pagava il Cvn con false fatture a carico dello Stato

Boscolo Bachetto della Coop San Martino: «Volevi un lavoro? Dovevi fare così»

VENEZIA – Ogni cassone del Mose valeva 250 mila euro in fondi neri-tangente: questo, infatti, il prezzo della “retrocessione” – coperta con false fatturazioni per spese inesistenti messe in conto allo Stato – che l’impresa subappaltatrice doveva all’appaltatore del Consorzio Venezia Nuova, per ottenere i lavori. Lo racconta Stefano Boscolo Bachetto, della Coop San Martino, nel suo interrogatorio di settembre davanti ai pm Ancilotto, Buccini e Tonini: testimonianza finita nell’ordinanza con al quale i giudici del Tribunale del Riesame hanno confermato la custodia cautelare in carcere per Renato Chisso, perché una tranche per 150 mila euro di queste tante retrocessioni- mazzette pagate a rate è passata – secondo la Procura – dalle mani di Boscolo a quelle di Pio Savioli (interfaccia delle cooperative nel Consorzio), dalle sue a quelle di Sutto (segretario particolare di Mazzacurati) e da queste a quelle dell’ex assessore alle Infrastrutture, con una consegna a domicilio a Palazzo Balbi sotto gli occhi dei finanzieri. Nel suo interrogatorio, Boscolo Bachetto spiega come funzionavano le cose: vuoi un lavoro? Lo paghi in “retrocessioni”, un tanto al pezzo. «Poi c’è la questione dei cassoni della Mose 6, che è la cosa più grossa che sono a conoscenza io nei confronti di Tomarelli », dice Boscolo. «E cioè, quindi , che cosa?», chiedono ovviamente i magistrati. «Lì fu costruita una consortile, la Mose 6, per l’esecuzione di lavori di costruzione dei cassoni», racconta l’imprenditore, spiegando che l’80 della società era della Clea di Campolongo e il 20% della San Martino: «Fu costruita questa Mose 6 per l’esecuzione di sei cassoni, fu stabilito l’importo di 8 milioni e 100 mila euro a cassone; però ci fu la pretesa da parte di Tomarelli (consigliere di Condotte d’Acqua, socia del Consorzio Venezia Nuova, per i giudici tra i quattro della “cupola” che decideva sui fondi neri, ndr) di avere una commissione per aggiudicarsi questo subappalto. In pratica, erano 250 mila euro a cassone, di cui 125 li doveva pagare la Clea e 125 la coop San Martino. Siamo nel 2010: noi non avevamo disponibilità del contanti e Sandro Zerbin, presidente della Clea, mi disse che se volevo lui aveva la possibilità di procurare il contante. Ne parlai con mio padre e mi disse “Va bene”, non so se lui abbia aumentato il prezzo del ferro che aveva all’interno dei cassoni del Mose o se abbia aggiunto delle quantità di ferri, però praticamente tramite queste fatturazioni riusciva a recuperare i contanti». Consegnati a chi? «A parte le primissime volte che fu mio padre, poi fu Zerbin di persona a consegnare i soldi a Savioli, il quale li dava a Tomarelli». «Perché avete accettato questa cosa?», chiedono i pm. «Perché sennò il lavoro non si faceva», «i subappaltatori li sceglieva Tomarelli, era lui il presidente della Clodia e lui aveva facoltà di decidere a chi dare i lavori: la Clea era partita da oltre 9 milioni come primissima offerta alla Clodia. Dopodiché si arrivò a 8,100. Anzi a 7,6, poi Tomarelli ha aggiunto questi 500 mila euro che andavano a coprire praticamente il costo dei 250». Fondi neri per tangenti e prebende pagati dallo Stato sottoforma di spese mai eseguite: è il sistema Mose dell’era Mazzacurati & Co.

Roberta De Rossi

 

mozione del m5s in parlamento

«Renzi fermi la Orte-Mestre»

VENEZIA «Non c’è da stupirsi, ma la Mantovani, dopo il Mose, aveva messo gli occhi anche sul progetto della nuova autostrada Orte-Mestre. Un’altra “gallina dalle uova d’oro” da realizzarsi con il delinquenziale sistema del project financing all’italiana e che godrà anche di 1,9 miliardi di incentivi fiscali». È quanto afferma la portavoce veneta delM5SArianna Spessotto che, insieme ad altri deputati grillini, ha depositato una mozione per impegnare il governo ad abbandonare il progetto «a favore di più piccoli e meno impattanti, ma assolutamente necessari interventi di messa in sicurezza delle arterie esistenti».

 

Galan, FI chiede il voto segreto. Pd-M5S compatti: sì all’arresto

Martella, vicepresidente dei democratici alla Camera: «Dopo il via libera della Giunta non ci sono più dubbi».

I grillini e la Lega: «Siamo pronti per il bis dopo il caso Genovese»

PADOVA «Martedì chiederò il voto segreto sulla richiesta di arresto nei confronti di Giancarlo Galan. Forza Italia è stata garantista con Genovese e lo saremo anche con il nostro collega»: Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, continua a lottare come un leone per salvare Galan dall’incubo carcere. Mercoledì scorso si era opposto all’ufficio di presidenza che ha messo in calendario per il 15 luglio il voto dell’Aula, 4 giorni dopo il via libera della Giunta delle autorizzazioni. «Non c’è il tempo per leggere gli atti», ha detto Brunetta, ma la presidente Laura Boldrini è stata irremovibile: martedì prossimo alle 17 si apre il dibattito e tre ore dopo arriverà il verdetto. Cosa accadrà nel segreto dell’urna? Brunetta spera nel colpo a sorpresa: il garantismo farà breccia? Per evitare sorprese il Pd ha convocato il gruppo in mattinata: i commissari della Giunta, Amoddio, Verini ed Ermini spiegheranno le ragioni del sì alla richiesta di arresto. «Il nostro compito è valutare se esista il fumus persecutionis della magistratura e non diventare il tribunale dello scandalo Mose: il lavoro della Giunta è stato molto accurato e quindi diremo di sì alla richiesta di arresto. Giancarlo Galan come qualsiasi altro cittadino si dovrà difendere nel processo e rispondere alle accuse della Procura di Venezia», spiega Andrea Martella, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera. Sulla stessa linea il sottosegretario Pier PaoloBaretta : «Voto sì, la magistratura ha il diritto-dovere di indagare anche su Galan» e parole analoghe arrivano dall’altro sottosegretario all’Economia, il veneziano Enrico Zanetti (Sc-Monti): «Seguirò le indicazione del relatore Mariano Rabino, mio collega di partito, che è a favore della richiesta d’arresto». Ma il Pd teme il voto segreto? «Non vedo imboscate», spiega l’onorevole Roger De Menech, segretario regionale, «il garantismo invocato da Fi è quanto mai sospetto. Citano il caso di Vasco Errani a sproposito e dimenticano che il governatore dell’Emilia si è dimesso tre secondi dopo la sentenza di condanna di secondo grado: noi siamo garantisti, ma con lo scandalo Mose abbiamo applicato il rigore assoluto, a partire dal caso Orsoni». Per il sì all’arresto di Galan si dichiarano anche Alessandro Naccarato: «Seguirò le indicazioni del gruppo» e Simonetta Rubinato: «Umanamente è sempre difficile decidere di mandare qualcuno in galera. Ma essendo stato escluso il fumus persecutionis, l’immunità parlamentare viene meno perché altrimenti diventerebbe un privilegio ingiustificato rispetto agli altri cittadini. Quindi il mio voto sarà favorevole». E i grillini? Francesca Businarolo, Silvia Benedetti, Gessica Rostellato , Arianna Spessotto, Marco Da Villa, Federico D’Incà, Emanuele Cozzolino non hanno dubbi: il sì all’arresto di Galan sarà un anime da parte del M5S. «Dopo il via libera in Giunta non ci sono dubbi, la magistratura ha il diritto di indagare su un deputato accusato di reati gravissimi: la legge è uguale, non esistono privilegi e immunità da far valere». Più garantista il commento di Alessandro Zan, ex Sel, ora nel Gruppo Misto: «La Camera martedì non si può trasformare in un’aula di tribunale. Sì alla richiesta d’arresto ma senza i toni giacobini dei grillini» dice il deputato padovano. Chi invece non va per il sottile è Marco Marcolin, della Lega: «Non ho dubbi:abbiamo detto di sì all’arresto di Genovese del Pd e diremo sì anche per Galan. È stato il mio governatore per 15 anni in Veneto: lo stimo, si professa innocente, ma deve accettare il processo in tribunale».

Albino Salmaso

 

I DEPUTATI PD «Magistrato Acque, poteri al Comune»

«La soppressione del Magistrato alle Acque non significa ovviamente una soppressione delle competenze che questo organismo aveva, ma impone una loro nuova attribuzione. Come deputati del Pd abbiamo chiesto, con un emendamento, che tutta una serie di funzioni vengano date in prima battuta al Commissario straordinario del Comune di Venezia. Per poi essere trasferite in via definitiva al sindaco metropolitano di Venezia». Così il vice presidente del gruppo del Pd alla Camera, Andrea Martella, spiega i contenuti di un emendamento presentato come primo firmatario al provvedimento di conversione del decreto-legge (24 giugno 2014, n. 90) «recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari». L’emendamento è stato sottoscritto dagli altri 18 deputati democratici veneti. «L’emendamento propone di modificare l’articolo 18 del provvedimento che ad oggi prevede di trasferire ogni funzione al Provveditorato territoriale per le opere pubbliche, articolazione periferica del Ministero per le Infrastrutture. Noi invece chiediamo di attribuire all’istituzione metropolitana le competenze relative all’estuario veneto, da quelle di polizia e vigilanza lagunare a quelle che si legano alle attività di salvaguardia lagunare e monumentale e di tutela-prevenzione dagli inquinamenti delle acque. Non da ultimo chiediamo di assegnare anche le risorse umane e strumentali legate a queste funzioni e che sono state fino ad oggi nella disponibilità dell’organico del Magistrato alle Acque. Si tratta di trasferimenti di poteri già previsti nella proposta di legge per l’istituzione della Città Metropolitana presentata nel 2010».

 

Campolongo – Boldrin: «S’indaghi sui raccomandati»

CAMPOLONGO «Ora si indaghi sulle assunzioni facili fate dai politici corrotti e si caccino i raccomandati». Dopo lo scoppio della tangentopoli del Veneto sul Mose, una proposta arriva da Oriana Boldrin, presidente dell’associazione Mondo di Carta: «Bisogna indagare sulle assunzioni fatte dai politici attualmente inquisiti di parenti ed amici. Di persone cioè che sarebbero state assunte senza alcun tipo di concorso, solo per essere state raccomandate, e che ora stanno togliendo il posto di lavoro ad altri magari molto più preparati e con i regolari titoli di studio». Di esempi la Boldrin ne vede parecchi anche nella zona della Riviera e a Campolongo: «Alcuni personaggi che ora sono in carcere hanno sempre fatto credere di aver fatto assumere grazie alla loro parola. Di fatto molti amici e parenti sono assunti nei settori e società pubbliche che controllavano. Forse è tutto regolare, ma visti il oro comportamenti un controllo sarebbe d’obbligo. Le motivazioni che hanno portato a quelle assunzioni andrebbero verificate».

(a.ab.)

 

Gazzettino – La mappa dell’impero economico dell’ex doge

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12

lug

2014

MOSE – La mappa dell’impero dell’ex doge: villa, case in Croazia, tenuta agricola e partecipazioni in varie società

Galan, la battaglia del voto segreto

Forza Italia cerca di evitare l’arresto. Brunetta si appella alla libertà di coscienza. Il Pd non cede: il Paese chiede rigore

VERSO IL VOTO – Martedì prossimo la Camera deciderà sull’arresto di Galan. Brunetta si appella alla libertà di coscienza e chiederà il voto segreto. Il Pd non dà segni di ripensamento: Il Paese chiede rigore.

LE PROPRIETÀ – Intanto ecco la mappa dell’”impero” dell’ex governatore: oltre alla villa sui Colli, due case in Croazia, una tenuta agricola, sei vetture in garage e partecipazioni in varie società.

AUTO E BOSCHI – Sei vetture in garage una tenuta agricola e 5 ettari a Rovolon

LE ABITAZIONI – Oltre alla villa sui Colli una casa a Rovigno e un immobile a Lussino

La mappa dell’impero economico dell’ex doge

Una villa e due case, cinque auto e un quad, partecipazioni in una ragnatela di società. Ricco come un Creso oppure oberato dai mutui che deve onorare, un milione 850mila euro solo con Veneto Banca (di cui detiene azioni per 100mila euro)? Padrone di case da favola, o più modestamente un benestante che ha investito i soldi di una vita nella villa con barchessa sui Colle Euganei? Abile gestore di società tra Italia e Croazia, magari all’incrocio con attività (sanità, energia…) su cui la Regione Veneto aveva competenza, o in realtà il titolare di qualche scatola vuota, senza sostanza economica? Si dibatterà a lungo sull’”impero” di Giancarlo Galan, almeno da qui al probabile processo che lo attende (salvo colpi di scena) al termine dell’inchiesta su affari e mazzette in Laguna.
Ma da qualche parte bisogna cominciare, avendo ben presente che i livelli da considerare sono tre. Da una parte la Procura che gli contesta tangenti per 4 milioni 831mila euro: un milione all’anno dal 2008 al 2013 come “stipendio” del Consorzio Venezia Nuova, 831mila euro dalla Mantovani (400mila euro per la ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, 350mila euro per partecipazioni azionarie in Adria Infrastrutture e Nordest Media). Dall’altra parte l’interessato che nega di essere mai stato corrotto con un solo centesimo, e di essere quindi la vittima di una grande macchinazione. In mezzo la guardia di Finanza, che ha monitorato il patrimonio di Galan e consorte, sostenendo che i due hanno speso molto più di quanto hanno incassato.
LA VILLA La dimora di Cinto Euganeo impressiona, per vastità e ricercatezza del giardino. «Ho acquistato tale abitazione nel 2005 per un prezzo inferiore al milione di euro. – ha spiegato l’indagato nella memoria mai consegnata ai Pm, ma finita alla Giunta della Camera – Il denaro arrivava dalle mie azioni detenute in Antonveneta». La ristrutturazione? «Pagai all’incirca 700mila euro, utilizzando, tra l’altro, un mutuo di 200mila euro acceso con la Banca Popolare di Vicenza, che a tutt’oggi paghiamo mensilmente». È per questo che il 30 maggio 2006 fu iscritta un’ipoteca sulla villa. Ma per la Finanza e i Pm i lavori furono pagati dalla Mantovani di Piergiorgio Baita, con un sistema di sovraffaturazioni.
A ROVIGNO Nota è la passione di Galan per la pesca in mare. È anche per questo che frequenta la Croazia. Nel 2001 acquista «il primo piano di una abitazione nella nota località turistica croata di Rovigno, per circa 155mila euro; negli immediati anni successivi svolsi sulla stessa dei lavori di ristrutturazione». Per farlo costituisce la società “Franica Doo”.
A LUSSINO Non è l’unica proprietà all’estero. A Lussino Galan possiede la «porzione indivisa di un immobile di cui sono proprietario unitamente a Paolo Venuti e Luigi Rossi Luciani». Il primo è il suo commercialista, arrestato a giugno, il secondo è l’ex presidente degli industriali del Veneto. «Questa abitazione è stata acquistata nel 2010 per un importo di circa 60mila euro». L’ex governatore puntualizza: «La mia parte di proprietà è la meno pregiata trattandosi della porzione non rivolta al mare».
I BOSCHI L’elenco dei beni immobili si completa con la tenuta agricola “Frassinetta” a Casola Valsenio (Ravenna). Secondo Galan «si tratta di un territorio prevalentemente boschivo acquistato per una quota pari al 70% nel 2008 con un mutuo acceso presso Veneto Banca a copertura dell’intero importo». Secondo la Finanza il valore è di 920mila euro. Per finire, 5 ettari e mezzo di bosco a Rovolon, sui Colli Euganei, comperati sempre nel 2008 e pagati 47mila euro.
AUTOMOBILI Il parco-auto comprende l’ammiraglia, una Audi Q7 di dieci anni fa (330 mila chilometri), una Land Rover “Defender” (regalo della moglie nel 2013, intestata alla società Margherita), un Quad acquistato per 1.250 euro. Ci sono anche tre auto storiche: un Land Rover “Defender” del 1980, un Pinzgauer del 1973 (regalo dell’imprenditore Nicola Pagnan), una Mini Morris del 1976 (regalo di nozze dell’avvocato Niccolò Ghedini).
ADRIA INFRASTRUTTURE Entriamo nel dedalo delle società. Secondo Galan “Adria Infrastrutture”, come Nordest Media, non ha mai operato. Ne detiene il 7% che per la Finanza vale 350mila euro, prezzo di una presunta corruzione. Fu Piergiorgio Baita (oggi uno dei suoi grandi accusatori) a proporgli l’acquisto: «Acconsentii reputandolo un buon investimento per il futuro, per quando si sarebbe conclusa la mia esperienza da Governatore». Ma Galan nega di aver mai discusso di eventuali project financing. «Lo stesso Baita afferma che io non mi sono mai adoperato per avvantaggiare, agevolare o favorire una sua società nell’ambito della finanza di progetto».
NORDEST MEDIA. Galan detiene il 70 per cento del capitale, che per la Finanza equivale a 81.200 euro. Doveva servire per attività giornalistiche. Ma Galan assicura: «Si parlò delle testate e delle probabili chances che avevano sul mercato italiano, ma non mi interessai minimamente alla vicenda». E se dall’inchiesta emerge che avrebbe dovuto convincere amici imprenditori a finanziare la pubblicità, lui giura: «Non ho fatto assolutamente nulla per la raccolta pubblicitaria».
MARGHERITA. Società equamente divisa con la moglie Sandra Persegato. Secondo la Finanza è la holding di famiglia. I petali della “Margherita srl” portano alle partecipazioni in “Frassinetto”, “Energia Green Power” («Capitale non versato, non ha mai operato», dice lui; la Finanza: 10 mila euro), “Amigdala” (4 mila euro su un capitale di 20 mila, tra i soci anche la famiglia Stefanel), “San Pieri srl” (soci le mogli di Galan e dell’imprenditore Stefano Bozzetto; la partecipazione per 850 mila euro è stata finanziata da Veneto Banca; secondo la Finanza la partecipazione del 21.6% vale un milione 323 mila euro).
LA SANITÀ. Galan è all’oscuro di detenere il 50% di IHLF, società costituita per consulenze con i cinesi in ambito sanitario.
INDONESIA. Secondo la Finanza, “Thema Italia spa” faceva affari con il gas in Indonesia, e i coniugi Galan avrebbero avuto un interesse personale (tramite il commercialista Venuti), anche se «le quote sono formalmente intestate a terzi soggetti». Ma Galan replica che il cliente di Venuti non è lui, in questo caso, bensì «il signor Roberto Bonetto» che detiene il 65% della società e che vendette una partecipazione societaria in Indonesia per 45 milioni di dollari.

Giuseppe Pietrobelli

 

RICHIESTA D’ARRESTO Martedì 15 alle ore 17 la Camera deciderà

Brunetta si appella al voto di coscienza per salvare Galan

Ma il Pd risponde picche

L’ex governatore a casa alle prese con problemi di salute

Forza Italia denuncia: hanno voluto liquidarlo in fretta

GLI AZZURRI – Milanato: c’era il fumus persecutionis. Zanettin: no a giudizi sommari

LE SOCIETÀ – Partecipazioni in Adria infrastrutture, Nordest media e nella sanità

CAMERA DEPUTATI – Giovedì primo sì all’arresto di Giancarlo Galan, tra i fondatori di Fi, da parte della Giunta

Per salvare il soldato Galan, Forza Italia si aggrappa al caso Errani (il governatore dell’Emilia dimessosi dopo la condanna in appello a 1 anno per falso ideologico a cui il premier Renzi ha confermato piena fiducia fino alla sentenza definitiva). Per provare a far breccia nella solida maggioranza Pd-Cinque stelle, da sola con i numeri sufficienti a decidere la partita, gioca l’estrema carta dell’appello al «voto libero di coscienza» il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, annunciando la richiesta di voto segreto quando martedì prossimo, 15 luglio, alle ore 17, l’aula deciderà sull’arresto dell’ex ministro e governatore del Veneto, richiesto dalla Procura di Venezia che accusa l’ex Doge di corruzione nella Tangentopoli per le opere del Mose.
Ma con ogni probabilità tutti questi tentativi non basteranno ad evitare il carcere a Galan. Il precedente di Francantonio Genovese non lascia presagire nulla di buono: il deputato del Pd, ex sindaco di Messina, accusato di associazione a delinquere, riciclaggio, peculato, è entrato in carcere a metà maggio, giusto due mesi fa, dopo l’ok della Camera all’arresto con 371 sì e 39 no. Nè alimenta speranze tutta la gestione parlamentare del caso Galan, in particolare la velocità con cui si è arrivati al voto finale: giovedì il primo sì all’arresto (16 sì, 3 no) dalla Giunta per le autorizzazioni è arrivato quando la Conferenza dei capigruppo aveva già messo in calendario per il 15, quindi con tempi strettissimi, il passaggio in aula. La Capigruppo è sovrana e in teoria avrebbe potuto concedere più tempo al pronunciamento dell’aula. È l’aspetto sottolineato dalla senatrice azzurra Elisabetta Casellati: «Il tempo è troppo breve, i deputati non avranno modo di votare con cognizione di causa, di giudicare in diritto e coscienza. Impossibile leggersi 16mila pagine in pochi giorni. È sospetto e ingiusto, specie quando è in gioco la libertà personale».
Per Galan sono giornate difficili. Dopo la frattura al pèrone, l’altro ieri – proprio il giorno della votazione in Giunta – ha avuto due tromboflebiti, è dovuto restare a letto, gambe alzate, forti mal di testa. Chi gli ha parlato riferisce che è arrabbiatissimo, per quanto il verdetto contrario della Giunta fosse scontato. Forse si aspettava anche un maggiore difesa dal suo partito, lui che di Forza Italia è stato uno dei fondatori. Ieri si sono fatti sentire comunque la deputata Lorena Milanato («c’era l’oggettività del fumus persecutionis contro Galan») e i senatori Giovanni Piccoli e Pierantonio Zanettin: «Vogliamo stigmatizzare il ricorso a giudizi sommari. Siamo fiduciosi che il presidente Galan saprà dimostrare l’estrenità ai fatti addebitati».
Dall’ex Doge nessuna dichiarazione. Prima dovrà rimettersi e concordare le mosse con gli avvocati, anche in vista di un prossimo arresto dagli effetti mediatici comunque potenti, cui seguirà certamente l’istanza di assegnazione ai domiciliari. Martedì Galan non dovrebbe essere presente alla Camera. Ma mancano ancora quattro giorni.
Il capogruppo Renato Brunetta alza la bandiera del garantismo: «A maggio abbiamo votato contro l’arresto di Genovese, siamo garantisti in primo luogo con gli avversari e lo siamo sempre, non a corrente alternata o a seconda del riscontro mediatico. Per Renzi non è così: guanti di seta a Errani, comunque difeso da Fi, manette a Galan. Il premier divide il mondo in amici e nemici. Anzi, anche tra gli amici ci sono quelli “più” e quelli “meno”».
Fuori discussione l’intransigenza dei Cinque Stelle (Mattia Fantinati: «La limitazione della libertà persoanle è il minimo», Francesca Businarolo: «La sua difesa non è credibile per nessuno o quasi»), nel Pd non si scorgono segni di ripensamento nè tentennamenti nel segreto dell’urna. «Non c’entra niente il caso Errani – replica Alessandra Moretti, eurodeputata vicentina – Lui non è parlamentare, non gode di immunità, si è immediatamente dimesso. Galan non lo ha fatto anche se gli sarebbe stato utile per una difesa più autorevole. Resta comunque una decisione dolorosa e difficile. È evidente che c’è una pressione mediatica fortissima oggi perchè sono troppi i casi di corruzione che investono la politica e tutte le istituzioni. Dalla politica, però, chiamata a legiferare, ci si aspetta legalità e trasparenza. La nuova generazione dovrà guardare alla questione morale con un’attenzione totalmente diversa dal passato». C’è chi vorrebbe cambiare le regole sull’immunità, che dice? «Che va verificata – risponde Moretti – l’opportunità di trasferire le competenze oggi affidate alla Giunta per le autorizzazioni a una sezione della Corte Costituzionale».

 

GLI AVVOCATI DELL’EX SINDACO

«L’immagine di Orsoni danneggiata da troppe notizie lontane dalla realtà»

Troppe notizie non sempre «rispondenti al reale svolgimento dei fatti e mal uso delle informazioni acquisite negli ambienti giudiziari» starebbero determinando «una grave lesione dell’immagine» dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Ne sono convinti i difensori, Francesco Arata e Daniele Grasso, che precisano che «nessuna contestazione diversa dalla predetta ipotesi di presunti finanziamenti illeciti durante la campagna elettorale del 2010 è stata mai formulata nei confronti di Orsoni». Sottolineando che Orsoni è indagato unicamente in relazione a questi presunti illeciti legati a contributi elettorali, ricordano che non ha «già subito sentenza di condanna, ed anzi si ritiene di poter chiarire la sua assoluta estraneità».

 

IN PARLAMENTO – Indagini sul Consorzio. Duello tra Pd e M5S sulla commissione

I parlamentari veneti del Pd chiedono di avviare un’indagine conoscitiva sul Mose e c’è chi storce il naso. Per qualcuno la richiesta alla Commissione Ambiente da parte dei democratici appare come uno specchio per le allodole, quasi a voler uscire dall’angolo ad ogni costo per risollevare quell’immagine politicamente ammaccata dalle recenti cronache giudiziarie. In primis Emanuele Cozzolino, deputato M5S e primo firmatario di una proposta di commissione d’inchiesta sul Mose presentata dai deputati veneti pentastellati.
«Davvero singolare – scherna Cozzolino – apprendere che i deputati veneti del Pd chiedono di avviare in Commissione Ambiente un’indagine conoscitiva sul Mose e sulle attività del Consorzio Venezia Nuova quando è già stata depositata la proposta per avviare una commissione d’inchiesta sugli stessi fatti, perché è come voler curare una brutta polmonite con l’acqua fresca invece che con una robusta dose di antibiotico».
L’indagine conoscitiva richiesta dai democratici del Veneto ha il compito di riattraversare gli uffici del Cvn e delle imprese ad esso collegate per rispolverare e prelevare tutti gli atti utili ad ottenere un quadro complessivo sulla realizzazione e gestione dell’infrastruttura e un cronoprogramma delle opere ancora da realizzare, per valutare possibili iniziative che si dovessero rendere necessarie alla luce degli sviluppi dell’indagine. Il tutto ha la durata di tre mesi, lo stesso vale per le audizioni di soggetti interessati dall’indagine, da confondersi con quelle svolte della magistratura.
«Non è altro che una serie di audizioni come se ne fanno in occasione di ogni provvedimento legislativo – rincara Cozzolino – la commissione d’inchiesta invece agisce a tutto campo con gli stessi poteri della magistratura. Se nel Pd c’è voglia di fare chiarezza sul Mose e sulle attività del consorzio Venezia Nuova è un’ottima notizia, è per questo che chiediamo al Pd di raggiungere questo obiettivo per la via principale e non per strade secondarie, associandosi al Movimento 5 stelle nella richiesta di avviare al più presto l’esame della proposta di istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta».
A chiarire la differenza il sottosegretario all’Economia del Pd Pier Paolo Baretta, che definisce quella di Cozzolino una polemica strumentale.
«La loro richiesta – afferma Baretta riferendosi ai cinque stelle – è un doppione dell’indagine della magistratura. Ma la legge è già all’opera per trovare i colpevoli e far luce sulle irregolarità, il nostro compito, il compito della politica, è quello di affrontare i problemi amministrativi e gestionali della vicenda, come quello degli appalti assegnati senza gare, o della verifica dei lavori già effettuati con falsificate autorizzazioni, e in base all’esito dell’indagine conoscitiva arrivare a delle proposte di riforma in Parlamento».

Giorgia Pradolin

 

POLITICA – Un emendamento potrebbe mitigare le conseguenze della decisione di Renzi di cancellare l’ente

“Blitz” per riportare la laguna al Comune

Il Pd vuole trasferire le competenze del Magistrato alle acque a Ca’ Farsetti

L’obiettivo è quello di intervenire, con un emendamento, al decreto legge (numero 90, giugno 2014), quello sulla trasparenza nella pubblica amministrazione. E quindi, in qualche modo, riempire di contenuti l’annuncio che nelle scorse settimane il premier Matteo Renzi aveva fatto sulla “soppressione” del Magistrato alle Acque. Così, proprio in queste ore, il parlamentare Pd, Andrea Martella insieme ad un pool di parlamentari democratici, tra i quali Delia Murer, Michele Mognato, Davide Zoggia e altri, ha presentato una “modifica” che punta ad individuare nel commissario prefettizio di Venezia la figura di “traghettatore” per l’assunzione di tutte quelle competenze che in questo momento, immediatamente dopo l’annuncio dell’addio al Magistrato alle Acque, sono state assegnate al Provveditorato interregionale alle opere pubbliche del Triveneto, ma anche alla fine – una volta istituita la Città metropolitana – dovrebbero diventare appannaggio del futuro sindaco metropolitano di Venezia. In qualche modo negli orientamenti di Martella e del gruppo parlamentare del Pd vi è tutta l’intenzione di arrivare definitivamente al trasferimento di tutte le competenze finora gestite da Palazzo X Savi al Comune metrpolitano di Venezia nell’arco del prossimo 2015.
«La soppressione del Magistrato alle Acque – chiarisce Martella – non significa una soppressione di competenze, ma punta a individuare una nuova attribuzione. In questo senso il nostro emendamento punta a trasferire prima al commissario e da questi al futuro sindaco, oneri e onori del Magistrato alle Acque, evitando così una sorta di “dispersione” in ambito interregionale». L’emendamento Martella, se accolto, consentirà di modificare l’articolo 18 del provvedimento sulla pubblica amministrazione in materia. «In questo modo, gli ambiti del Magistrato alle Acque – sottolinea ancora Martella – sull’ecosistema lagunare (salvaguardia, tutela, polizia e vigilanza, difesa della monumentalità, prevenzione e lotta all’inquinamento, traffico marittimo) passeranno alla fin fine al Comune metropolitano che ne avrà così diretta competenza. «Non da ultimo – conclude Martella – chiediamo di assegnare a questa fase anche le risorse umane e strumentali legate a queste funzioni e che sono state fino ad oggi nella disponibiità del Magistrato alle Acque».

 

Nuova Venezia – Mose, primo si’ all’arresto di Galan

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11

lug

2014

Mose, primo sì all’arresto di Galan

Dopo la Giunta martedì decide l’aula. «Non sono sorpreso. È un voto politico»

Galan, arresto più vicino

Inchiesta Mose, voto schiacciante alla Giunta di Montecitorio: 16 a favore e 3 contro

La Russa: non c’è il “fumus persecutionis” Il caso del leghista veronese Bragantini: dice sì alla relazione poi abbandona la seduta

PADOVA Inchiesta Mose, arriva un primo verdetto chiaro: con 16 voti a favore e solo 3 contrari la Giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati ha dato il via libera alla richiesta d’arresto nei confronti dell’onorevole Giancarlo Galan, (Fi). «L’esito non era per nulla scontato ed è maturato dopo un’attenta analisi dei documenti processuali da cui emerge che non esiste il fumus persecutionis da parte della magistratura», ha commentato il presidente Ignazio La Russa che si è astenuto, come la prassi vuole. Il deputato milanese, cresciuto in An con Fini, poi nel Pdl e oggi in Fratelli d’Italia, ha giocato un ruolo di arbitro super partes: dopo aver concesso una proroga ai 21 «commissari» per leggere le 16 mila pagine d’accusa e le tre memorie difensive depositate da Galan, ieri alle 13,20 è passato alle dichiarazioni di voto e le hachiuse alle 15,22. A favore della richiesta d’arresto hanno votato Pd, M5S, lista per l’Italia, Sel e Scelta civica mentre i tre no sono di Chiarelli (Fi),Leone (Ncd) e Di Lello (Psi). Matteo Bragantini, unico rappresentante della Lega Nord, deputato veronese, haannunciato il suo sì alla relazione di Mariano Rabino, ma al momento di alzare la manonon c’era e quindi risulta assente. Martedì 15 luglio sarà l’Aula di Montecitorio a decidere il destino del deputato di Forza Italia, dopo tre ore di dibattito eun voto che si annuncia segreto: all’orizzonte non si profila nessun rinvio perché la strada tracciata sembra la stessa seguita con Francantonio Genovese, il deputato Pd arrestato un paio di mesi fa e subito messo agli arresti domiciliari dopo aver reso un ampio interrogatorio ai magistrati sulla gestione dei fondi comunitari. Secco il commento di Mariano Rabino, commissario-relatore, di Scelta civica-lista Monti: «Ho dato il mio parere favorevole alla richiesta d’arresto di Galan, perché i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge, i parlamentari non si possono difendere con lo scudo dell’immunità che è stata ampiamente dimezzata. L’inchiesta della procura di Venezia non ha guardato in faccia nessuno: assessori regionali, politici, manager, dirigenti pubblici, generali della Guardia di finanza sono finiti in cella. Siamo di fronte a 35 richieste di arresto, una delle quali riguarda anche un deputato e non si vede perché egli debba godere di un privilegio. Io sono convinto che vada completamente abolita l’immunità parlamentare e ci vuole pure una rivisitazione della carcerazione preventiva. Ma in fatto di giustizia, la penso come il procuratore Carlo Nordio: la prescrizione si combatte con i processi rapidi e il parlamento non può porre ostacoli, ma deve favorire il cammino della giustizia. Questo è il nostro compito. La richiesta del gip Scaramuzza è arrivata il 4 giugno alla Camera dei deputati e il nostro compito era valutare l’esistenza del fumus persecutionis : dopo aver letto gli atti mi pare che l’inchiesta della magistratura di Venezia sia solida, fondata su pilastri che reggono molto bene. Così la pensano 16 commissari su 21. Auguro all’onorevole Galan di difendersi nel processo con la stessa grinta e tenacia che ha manifestato in queste settimane. Capisco il suo stato d’animo, la rabbia e l’amarezza: ieri abbiamo chiuso il primo tempo della partita, il secondo si gioca martedì alla Camera. Nelle vesti di relatore chiederò all’aula di votare il sì all’arresto» conclude Rabino. A difendere l’ex ministro della Cultura e governatore del Veneto per 15 anni si sono trovati in tre: Gianfranco Chiarelli (Fi), Antonio Leone (Ncd) e Marco Di Lello (Psi) che ha giocato l’ultima carta e ha chiesto alla Giunta di rinviare gli atti alla magistratura di Venezia alla luce della novella legislativa entrata in vigore lo scorso 26 giugno. Si tratta del dl 92-2014 che con la riforma dell’articolo 275 del cpp voluta dal ministro Orlando esclude l’arresto in caso di previsione di condanne fino a 3 anni. Leone e Chiarelli hanno sostenuto che tra sconti e benefici Galan, che ora rischia 5 anni, potrebbe scendere sotto quella fatidica soglia. Immediata la replica di Sofia Amoddio, (Pd): il dl 92 non era stato varato al momento della richiesta d’arresto del deputato di Forza Italia e non è retroattivo. In ogni caso è compito esclusivo del giudice «valutare se applicare la misura della custodia cautelare in carcere » nel caso in cui «all’esito del giudizio la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni». Nessuna interferenza con la magistratura, ha detto l’onorevole Amoddio, che ha balenato un ’ ipotesi più dura: «La continuazione dei reati e l’entità della somma presuntivamente percepita possono far ritenere che la pena possa essere superiore ai tre anni». Una frase che ha fatto infuriare Leone (Ndc): «Altro che Pd garantista, oggi si scrive un’altra pagina vergognosa del Parlamento, la fotocopia dell’arresto di Genovese».

Albino Salmaso

 

la parabola

L’ex portaborse di Biondi diventato doge di Venezia

VENEZIA Si fa presto a dire dalle stelle alle stalle. Dal parlamento alla galera. L’angoscia del momento ha fatto venire una tromboflebite a Giancarlo Galan, costringendolo a un ricovero in ospedale. La settimana scorsa si è procurato una frattura al perone. Le disgrazie non arrivano mai sole. L’ex presidente fatica a capacitarsi di quello che gli sta succedendo. Bisogna capirlo: come si fa a smontare in due e due quattro dal senso di onnipotenza maturato in vent’anni? «Adesso parlo io», ha fatto sapere alla nazione la settimana scorsa. Un brivido di indifferenza ha percorso la penisola: la sua parola contro quella di Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo. Bella autodifesa, con gente che ha già patteggiato e altri che stanno cercando di farlo. E con una montagna di riscontri in mano ai magistrati. È vero che la responsabilità penale è certa solo dopo il terzo grado, se non arriva prima la prescrizione. La vicenda umana merita rispetto, aggiungiamo pure, ma sul giudizio politico non ci si può confondere. Per 15 anni la spesa pubblica in Veneto è stata in mano a un ristretto gruppo di persone, che l’ha gestita a piacimento, in modo insindacabile. Giancarlo Galan si è trovato al vertice del gruppetto di liberali e socialisti emersi da Tangentopoli come classe dirigente del Veneto. Pensare che negli anni ’80 aveva detto addio alla politica, mollando il ministro liberale Alfredo Biondi, di cui era assistente parlamentare, per seguire Marcello Dell’Utri a Publitalia. Braccia strappate alla Fininvest, quando Berlusconi decide di «scendere in campo» con il partito leggero costruito con uomini delle sue aziende. Giancarlo si ritrova eletto alla Camera nel 1994, poi subito candidato a presidente del Veneto nel 1995. Vince di misura contro il centrosinistra che sbaglia candidato (puntava su Ettore Bentsik) e la Lega marciava da sola. La prima legislatura è difficile, ma ci sono già tutti i nomi dei protagonisti: Lia Sartori, con la quale si cementa una collaborazione che farà parlare di matriarcato, Fabio Gava, Renato Chisso, Enrico Marchi che prende la rincorsa per la Save, Irene Gemmo, Gian Michele Gambato, Vittorio Altieri. Naturalmente Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. E pochi altri, da Luigi Rossi Luciani a Bepi Stefanel, persone con le quali non sai mai se l’amicizia viene prima degli affari o viceversa. Quando serve tagliare i rapporti, Giancarlo non ci pensa due volte: vedi la vicenda di Paolo Sinigaglia con la Save e Alpieagles. Galan porta in politica un linguaggio nuovo e accattivante, un modo sprezzante di porsi all’attenzione del pubblico, la rissosità con gli avversari ma sempre con l’occhio a favore di telecamera. È rapido, capisce le situazioni al volo, è simpatico ma anche umorale, lascia volentieri il lavoro agli altri ma negli snodi che gli interessano lo trovi sempre. Gli snodi sono quelli delle grandi opere. E gli interessi volano dopo il 2000. Una montagna di denaro pubblico si abbatte sul Veneto: solo dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali valga 2,5 miliardi. Senza contare il Mose che ne pompa 4,5 a partire dal 2003. Senza il Passante, che doveva costare 650 milioni di euro e invece arriva a 1.260 milioni. Senza le Ferrovie che sull’Alta Velocità in Veneto spendono 2 miliardi. Si comincia a parlare di un partito degli affari, che controlla gli appalti pubblici e li indirizza verso i soliti noti. Accuse circostanziate, interviste che a leggerle oggi sono inquietanti. Esempio: «I sassi della ex Jugoslavia pagati il doppio del costo? ». Chi lo chiedeva era il padovano Frigo, consigliere regionale della Margherita, 12 agosto 2006. E i sassi sono stati davvero pagati il doppio. Fino a che punto arrivava il consociativismo? Delle critiche Giancarlo Galan non si è mai preoccupato. Gli davano fastidio, questo sì. Ma dimenticava tutto andando a pesca. E poi anche a caccia, ultima passione esercitata nella valle di Drago jesolo dell’amico Stefanel. Con Berlusconi il sodalizio, non è mai venuto meno, neanche dopo il siluramento a beneficio di Luca Zaia. Ma chi non vorrebbe essere silurato, passando da presidente di regione a ministro? Alla rielezione del 2005 il nostro giornale gli chiese: dove si vede tra dieci anni? «Farò l’imprenditore » rispose lui. «Mi è sempre piaciuto. Aprirò un B&B sui Colli Euganei». Aveva già adocchiato Villa Rodella. Oggi Galan non ha più voglia di fare il guascone. Le battute non gli vengono bene, gli arrivano frasi livide, del tipo «vorrei solo mezz’ora di impunità per chiudermi in una stanza con la Minutillo». Frase che fa accapponare la pelle, non tanto per quello che lui potrebbe fare alla Minutillo,ma per il disprezzo che dimostra verso il diritto. Galan si è laureato in giurisprudenza, è stato votato dai veneti in tre legislature regionali e in tre tornate nazionali, siede in Parlamento dal quale non intende dimettersi. Sta ai vertici di una società regolata dalle leggi. E vuole mezz’ora di impunità per vedersela con l’ex segretaria? Ma per piacere.

Renzo Mazzaro

 

Martedì pomeriggio il voto della Camera

ROMA. L’ufficio di presidenza della Camera dei deputati conferma che martedì 15 luglio alle ore 17 ci sarà la discussione sulla richiesta di arresto dell’onorevole Giancarlo Galan, presentata dal gip Scaramuzza del tribunale di Venezia. Gli atti saranno trasmessi dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere alla Camera e i 620 deputati ne potranno prendere visione fin da oggi. Certo, leggere 16 mila pagine in 5 giorni è impresa impossibile. Proprio per questo il capogruppo Renato Brunetta aveva chiesto a nome di Forza Italia di far slittare il voto su Galan ad agosto,mal’ufficio di presidenza ha imposto il voto con i tempi contingentati per martedì prossimo. Relatore in aula sarà Mariano Rabino, per Fi parlerà Chiarelli.

 

Nordio: non esultiamo ma è la dimostrazione che l’inchiesta è solida

Il procuratore aggiunto: «Su Galan nessun accanimento»

Mazzacurati: rogatoria negli Usa. Interrogato Cuccioletta

VENEZIA «La decisione della giunta per le autorizzazioni a procedere costituisce un’ulteriore conferma della solidità di un’inchiesta condotta senza pregiudizi e senza accanimenti. Non vi è mai esultanza, davanti alla prospettazione del carcere: soltanto la serena affermazione che la legge è uguale per tutti». Così, il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio – a nome della Procura – ha commentato il “sì” della Giunta della Camera alla richiesta di arresto avanzata dai magistrati per il deputato pdl e ex presidente della Regione Veneto, accusato di essere stato a libro paga del Consorzio Venezia Nuova. Non c’è fumus persecutionis nei confronti di Galan – ha decretato la giunta – perché tutti gli indagati principali dell’inchiesta sono stati arrestati. Dopo le numerose convalide dei provvedimenti cautelari da parte del Tribunale del Riesame, la Procura di Venezia segna ora un altro punto. Rogatoria Usa per Mazzacurati. Sarà interrogato negli Stati Uniti, per rogatoria, Giovanni Mazzacurati, l’anziano ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, accusato di aver inventato e gestito per vent’anni il meccanismo delle sovrafatturazioni, fondi neri, tangenti e prebende per decine di milioni di euro pubblici, attorno al Mose. Il Tribunale dei ministri ne aveva ordinato l’audizione, ieri, nell’ambito del procedimento al termine del quale i tre giudici dovranno decidere se autorizzare la Procura di Venezia a indagare sull’ex ministro dell’Ambiente e Infrastrutture Altero Matteoli per corruzione. Tra gli accusatori – insieme a Piergiorgio Baita – lo stesso Mazzacurati: ieri, il suo avvocato Muscari Tomaioli ha presentato ai giudici un’istanza, per chiedere che l’anziano ex imprenditore sia ascoltato per rogatoria, non potendo tornare dagli Usa per motivi di salute (è da mesi nella villa della moglie a La Jolla, in California: villa che per anni era stata “affittata” per 100 mila euro al Consorzio come sede di rappresentanza oltre oceano). Ieri mattina è stato anche ascoltato l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta – che ha ammesso di essere stato per anni a libro paga del Consorzio Venezia Nuova (400 mila euro l’anno, gli contesta la Procura) per fare i provvedimenti che il Consorzio voleva e, spesso, stilava – che ai giudici del Tribunale dei ministri ha confermato che a chiedergli di tornare a Venezia come Magistrato era stato lo stesso Matteoli, su sollecito dell’imprenditore Erasmo Cinque. Tra i suoi “incarichi” anche quello di nominare i collaudatori del Mose: «Facevo una turnazione», ha in sostanza detto ieri Cuccioletta, «ma Mazzacurati mi chiese di soprassedere». Stando alle accuse, l’ex ministro ora senatore di Forza Italia, aveva fatto pressioni perché la società dell’imprenditore romano, la «Socostramo», venisse inserita nell’appalto per la bonifica di Porto Marghera, che aveva vinto anche la «Mantovani ». Cinque è sospettato di essere il collettore delle tangenti per Matteoli, che ha con forza respinto ogni addebito.

Roberta De Rossi

 

NESSUNO PRENDE LE DIFESE DELL’EX DOGE

Muro di silenzio dei forzisti veneti

Pipitone (Idv): doveroso il sì parlamentare, l’immunità non è impunità

Da Zaia a Ruffato raffica di no comment sul fronte istituzionale

L’ex portavoce Miracco «Indagine seria, spero ne esca a testa alta»

VENEZIA – Un muro di silenzio. Nel giorno più nero, non si levano voci in difesa di Giancarlo Galan. C’è una corsa a prendere le distanze dal potente caduto in disgrazia, accelerata forse dalla convinzione che le prove a suo carico siano tutt’altro che fantasiose. Muti come pesci i forzisti veneti. Vano anche chiedere commenti al governatore leghista Luca Zaia – più volte bersaglio degli attacchi galaniani ma deciso ad astenersi da ogni replica – così come cadono nel vuoto gli interrogativi rivolti al capogruppo di Forza Italia in Regione, Leonardo Padrin, e al presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato, del Ncd. Evita di parlare anche Franco Miracco, il critico d’arte che fu a lungo il portavoce del presidente berlusconiano («Quello che avevo da dire l’ho già detto»), confermando così quanto affermato in precedenza: «L’indagine della Procura appare seria, mi auguro che, nonostante questo, Galan e Orsoni, che sono stati ai vertici istituzionali della Regione e di Venezia possano difendersi più che bene e che ne escano a testa alta». Così, a spezzare un silenzio diventato assordante è Antonino Pipitone (nella foto), capogruppo regionale dell’Idv: «I deputati della Giunta che hanno approvato la richiesta d’arresto, hanno fatto il loro dovere. Occorre rispettare il lavoro dei magistrati e l’immunità parlamentare serve a proteggere dai reati d’opinione, non a garantire l’impunità. Accanimento? Verdetto politico? Non direi proprio, Galan, al pari degli altri cittadini, avrà modo di far valere le sue ragioni nelle sedi competenti, e d’altronde mi pare che negli ultimi tempi l’indirizzo del Parlamento vada esattamente in questa direzione: verificare l’esistenza di un fumus persecutionis ed in caso negativo consentire alla giustizia di fare il suo corso». Pipitone, poi, solleva un’altra questione riguardante lo scandalo del Mose, quella dei compensi erogati contemporaneamente ai consiglieri arrestati (Renato Chisso di FI e Giampietro Marchese del Pd) che, nonostante la sospensione dalla carica, percepiscono tuttora l’80% dell’indennità lorda mensile, ed ai loro sostituti sui banchi dell’assemblea veneta, Francesco Piccolo e Alessio Alessandrini. «In questo caso la legge Severino ha creato un corto circuito normativo », attacca Pipitone «con il risultato che i contribuenti veneti oggi pagano 62 consiglieri e non 60. Rimaniamo allibiti da questo intreccio di norme statali e regionali che, alla fine, fa pagare ai cittadini una follia legislativa ». Oggi, a Padova, gran consulto dell’Idv sugli intrecci tra politica ed affari nella tangentopoli veneta con il segretario nazionale del partito Ignazio Messina.

Filippo Tosatto

 

«Brentan, nessuna prova della tangente»

Il Tribunale della libertà: però il manager fece pressioni su Baita perché non ricorresse contro Sacaim

VENEZIA I giudici del Tribunale della Libertà alleggeriscono la posizione dell’ex amministratore delegato di Autostrade Venezia-Padova, Lino Brentan, accusato dalla Procura di aver pilotato l’appalto per le opere di mitigazione della Terza corsia (base d’asta,18 milioni) escludendo le offerte più vantaggiose e facendosi pagare una tangente per riammettere gli esclusi come subappaltatori. Per il Riesame, è provato che l’ex amministratore di Autostrade Venezia-Padova abbia fatto pressioni su Piergiorgio Baita (presidente di Mantovani) e Mauro Scaramuzza (Fip Industriale) perché non impugnassero al Tar l’assegnazione dei lavori alla Sacaim, ricambiandoli con l’ottenimento delle opere in subappalto. Non c’è invece prova che abbia incassato la tangente da 65 mila euro che secondo la Procura avrebbe preteso dallo stesso Scaramuzza. Così il Tribunale del Riesame motiva la sua decisione di liberare Brentan dagli arresti domiciliari, obbligandolo solo a risiedere nel comune di Campolongo. Per i giudici, le offerte di Mantovani e Fip (meno 41,17%) erano assolutamente al di sotto della soglia di anomalia: del tutto «legittima e regolare», dunque, la decisione di escluderle. Come pure l’offerta della Ati Consorzio Stabile Consta (-35,83%), anch’essa incongrua, assegnando i lavori a Sacaim (-31%). Per il Riesame è invece certo che Brentan sia intervenuto per evitare ricorsi al Tar. Racconta l’ingegner Angelo Matassi, della commissione tecnica: «Chiesi (a Brentan) se i lavori fatti in subappalto dalle imprese escluse nella medesima gara potevano essere un problema; lui mi ammonì seccamente dicendomi di stare tranquillo e che la cosa andava bene così». Ma ci sono 2,5 milioni e mezzo che non tornano: svaniti. Baita ai pm aveva raccontato: «Brentan (…) mi ha spiegato che poi avremmo comunque fatto il lavoro in subappalto per Sacaim allo stesso prezzo a cui avevamo vinto e potevamo astenerci dal fare ricorso». La differenza? «2 milioni e mezzo», risponde Baita, secondo il quale i soldi sarebbero «rimasti nelle mani di Sacaim perché tecnicamente incassava dalla Padova-Venezia». Brentan «fu chiaro» – racconta Scaramuzza – «disse: “Non rompete le scatole, tanto se fai ricorso al Tar non concluderai niente… e roviniamo un rapporto: guarda se ti conviene”». I giudici ritengono invece non vi sia riscontro all’accusa mossa a Brentan di aver incassato – in una sorta di catena delle mazzette – 65 mila euro da Scaramuzza dei 200 mila che quest’ultimo avrebbe preteso da Nievo e Ido Benetazzo per sub-subappaltare loro le opere. Soldi che Scaramuzza ha detto di tenere nascosti in «una cassetta, antro, buco nel mobile ricavato dal muro del bagno, da cui io carico e pesco a seconda delle necessità».

Roberta De Rossi

 

i giudici del riesame

«Su Artico indizi insufficienti»

La scarcerazione del dirigente regionale: nessuna violazione di legge

TREVISO Sono racchiuse in diciotto pagine le motivazioni che hanno portato i giudici del Riesamea stracciare l’ordinanza di custodia cautelare che aveva portato dietro le sbarre Giovanni Artico (nella foto), ex sindaco di Cessalto e ora funzionario della Regione. Ventitré giorni trascorsi nel carcere di Ravenna dopo lo scoppio del caso Mose, con l’accusa di corruzione. Le stesse intercettazioni che avevano fatto scattare le manette ai polsi di Artico hanno convinto i giudici del Riesame ad annullare tutto: «Quadro indiziario insufficiente », ma anche nessuna violazione della legge. Secondo i giudici, nel comportamento di Artico non sarebbero ravvisabili nemmeno violazioni deontologiche. Il Riesame, esaminando le prove, ha stabilito che «non emerge alcun atteggiamento diretto a vanificare la funzione demandatagli ». Secondo i giudici, Artico sarebbe estraneo al meccanismo corruttivo che viene contestato dai pm della Procura di Venezia. A portarlo in carcere erano proprio state le intercettazioni telefoniche: conversazioni tra l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, l’ex numero uno della Mantovani Piergiorgio Baita, l’ex assessore alla mobilità della Regione Veneto Renato Chisso e l’addetta stampa del Consorzio Venezia Nuova Flavia Faccioli. Proprio Chisso avrebbe confidato a Minutillo che Artico era l’uomo da contattare per accelerare i “favori” alla Mantovani. Ad alleggerire la posizione di Giovanni Artico è stato Piergiorgio Baita: in merito all’assunzione della figlia dell’ ex primo cittadino di Cessalto alla Nordest Media (di cui Claudia Minutillo era legale rappresentante) ha affermato come non ci sia stato nessun accordo corruttivo. I giudici nell’ordinanza sottolineano infatti che, anche se la figlia di Artico è stata effettivamente assunta dalla Nordest Media, non sono stati compiuti «atti contrari ai doveri d’ufficio». Lo stesso ex sindaco, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva respinto ogni accusa, escludendo qualsiasi accordo contrario alla legge. Fabiana Pesci

 

FIUME DI SOLDI SU CUI FARE CHIAREZZA

di FRANCESCO JORI

Questione di punti di vista, anche nel senso letterale del termine. Non vi è chi non veda un intento persecutorio nell’indagine condotta contro di me, sostiene Giancarlo Galan. All’opposto, non vi è chi non veda perché gli avrebbe dovuto essere concesso ciò che è stato negato a tanti altri, parlamentari compresi: alla manciata di pagine delle memorie difensive sue e di altri imputati che si proclamano estranei al Nilo di tangenti originato dal Mose, la magistratura ne contrappone160 mila frutto di oltre quattro anni di indagini, riscontri incrociati, intercettazioni, confessioni plurime. E in ogni caso, c’è un punto centrale da sottolineare: con il suo voto a schiacciante maggioranza (16 contro 3), ieri la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera non ha stabilito che Galan sia colpevole; ha semplicemente dato via libera a una richiesta di arresto. Comunque un semplice parere, visto che la decisione spetta all’aula: cosa che avverrà alle 5 del pomeriggio di martedì. Non saranno le fatidiche “cincos de la tarde”, né ci sarà nessuna arena su cui inscenare un sanguinoso duello. Se pure dovesse varcare le soglie del carcere, l’esperienza dell’ex governatore del Veneto sarebbe molto diversa da quella dei 14 mila detenuti italiani in attesa di primo giudizio. Anche perché ad attenderlo non ci sarebbe una cella magari sovraffollata come quasi tutte, ma verosimilmente l’infermeria: le disgrazie, si sa, non vengono mai sole; tant’è che all’ex governatore del Veneto è accaduto di fratturarsi tibia e perone potando non una poderosa quercia ma una semplice rosa, così da trovarsi con la gamba ingessata. Il che potrebbe anche schiudergli le porte degli arresti domiciliari, nell’ormai ben nota dimora sui Colli Euganei che non ricorda propriamente lo Spielberg. Ma non è questo il punto. Che Galan finisca o no in prigione, potrà appassionare al massimo gli sparuti e opposti manipoli di garantisti e giustizialisti. La questione centrale è stabilire chi abbia beneficiato dell’alluvione di soldi scatenata in Veneto dal Mose ma presumibilmente anche da altre opere pubbliche; e che, proprio come nel caso del Nilo, ha fertilizzato le terre non solo della politica ma pure della pubblica amministrazione, dell’impresa privata e di svariati professionisti, arrivando a lambire perfino i sagrati della Chiesa: esemplari in tal senso le decisioni annunciate l’altro ieri dal patriarca di Venezia. Nel caso specifico, si tratta di capire se e quali siano state le responsabilità di Galan: uno dei tanti indagati, anche se tra i più ingombranti visto il ruolo di dominus esercitato per quindici lunghi anni. In questo senso, la risposta di ieri della giunta e quella di martedì prossimo della Camera sono comunque marginali: a contare sarà la pronuncia finale della magistratura. Sulla quale purtroppo grava già, però, una venefica zona d’ombra: il lavacro della prescrizioneche rischia di mettere al riparo quasi tutti gli imputati, considerando che essa scatta dalla data in cui i reati sono stati commessi, anziché da quella in cui sono stati accertati. Proprio di questo tratta il punto 9 del pacchetto di riforma della giustizia annunciato nei giorni scorsi dal premier Renzi, che giustamente l’ha definita «una questione di civiltà ». Se e quando passerà, varrà comunque a futura memoria; oggi rappresenta per troppi un comodo salvagente. Certo, per il presente c’è sempre la possibilità di rinunciare alla prescrizione, per chi è convinto di essere innocente e vittima di un’ingiustizia. Ma c’è da credere che a quel provvidenziale gavitello si aggrapperanno a frotte. Finendo così per concorrere ad alimentare il massimo di inciviltà: colpa manifesta, nessun colpevole. Anzi, molti impuniti beneficiari.

 

decisione del gip entro il fine settimana

I pm milanesi: nuovo arresto di Meneguzzo La Procura di Milano rinnova la richiesta di arresto per Roberto Meneguzzo, amministratore della Palladio Finanziaria, accusato di essere il mediatore di contatto e tangenti tra il Consorzio Venezia Nuova e Marco Milanese, ex braccio destro dell’allora ministro delle Finanze Tremonti. Tangente da 500 mila euro per riaprire la partita dei fondi al Mose che languivano, che Giovanni Mazzacurati da detto di aver consegnato a Milanese, dentro una scatola di biscotti, nella sede della Palladio: questa parte dell’inchiesta è così passata a Milano. I magistrati veneziani avevano arrestato Meneguzzo il 4 giugno, concedendogli poi il 21 giugno i domiciliari, dopo un tentativo di suicidio. Sulla misura cautelare chiesta dai pm Pellicano e Orsi – che dovranno rinnovarla anche per Milanese – deciderà il gip De Marchi entro il fine settimana.

 

Expo, commissariato l’appalto Maltauro

«E ora piena operatività del cantiere»

Il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato ieri al prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, il provvedimento di richiesta di commissariamento della società Maltauro, relativamente alla gara di appalto delle cosiddette architetture di servizio di Expo 2015. Il provvedimento è stato pubblicato sul sito dell’autorità nazionale anticorruzione. La società Expo spa, in una nota, aggiungeva ieri pomeriggio che si era da poco concluso un incontro di lavoro «molto proficuo» tra il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, e il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Nell’incontro «sono state definite le linee guida per l’azione nei prossimi mesi – si legge nella nota diffusa a seguito del vertice in modo tale da garantire da subito la piena operatività sul cantiere e in tutte le attività connesse all’esposizione universale».

 

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