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Concordano nell’attribuire ogni responsabilità decisionale a Baita, che non collabora con i magistrati e resta in carcere

VENEZIA – Hanno ammesso (almeno in parte) le proprie responsabilità nell’aver partecipato al giro di false fatture milionarie contestato dalla Procura e – davanti al pm Stefano Ancillotto – hanno anche messo a verbale che a decidere tutto era Piergiorgio Baita, ex presidente del colosso edile Mantovani. Così quest’ultimo resta in carcere a Belluno, dov’è detenuto dal 28 febbraio senza aver mai parlato con i magistrati, mentre ieri sono tornati liberi William Colombelli (che della sua Bmc a San Marino aveva fatto la principale cartiera di false fatture), Claudia Minutillo (che partecipava al sistema con la sua Adria Investiment), Nicolò Buson (direttore amministrativo della Mantovani), da settimane agli arresti domiciliari. I coimputati principali di quest’inchiesta che sta figliando altre indagini – con rogatorie anche in Canada e Svizzera, alla ricerca di “cartiere-fabbrica fatture” per possibili fondi all’estero, oltre a quelle che la Procura ha scoperto in Italia – ieri sono tornati liberi dopo che il giudice per le indagini preliminari Gabriele Scaramuzza, ricevuto il via libera dei pm Ancillotto e Buccini, ha revocato le misure cautelari . E ora, per loro, si prospetta una rapida uscita di scena: gli avvocati difensori stanno contrattando con l’accusa una pena patteggiata, che sarà inferiore ai due anni, godendo così del beneficio della “sospensione” che chiude ogni pendenza. Per loro, l’accusa è di aver violato le norme sul fisco. Il cerino in manoresta a Baita, accusato dalla Procura di essere il capo indiscusso e promotore dell’associazione e di aver messo a punto meccanismi di false fatturazioni o fatture maggiorate, come quelle che i finanzieri stanno verificando per i 20 milioni di euro spesi in pietre per il Mose, acquistati nella vicina Croazia, ma fatturati ad un lontano intermediario in Canada. E contro il quale puntano il dito anche i coindagati. «Chi teneva e girava le fila del sistema, creando le opportunità per emettere fatture derivanti da Mantovani era Baita», commenta l’avvocato Augenti, legale di Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan divenuta manager.

«Buson prendeva ordini da Baita che faceva il bello e cattivo tempo e dirigeva tutto: era il suo superiore»,

commenta l’avvocata Flavia Fois, legale dell’ex direttore amministrativo di Mantovani,

«sono soddisfatta che Bruson sia tornato libero e possa riprendere in mano la sua vita, con un possibile patteggiamento che riconosce il suo ruolo marginale in questa vicenda».

Anche Colombelli – difeso da Renzo Fogliata – patteggerà, anche se aveva accarezzato l’idea (rischiosa) di contrastare a giudizio l’accusa di evasione, perché cittadino sanmarinese ai tempi dei fatti contestati e la sua società aveva sede lì. Ora si cerca l’intesa tra accusa e difesa – di massima già raggiunta – che dovrà però essere accettata dal gup. Intanto l’inchiesta prosegue su più fronti: la verifica delle migliaia di fatture sequestrate nella sede della Mantovani – al vaglio dei finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria – apre nuovi filoni d’indagine. Dai fondi al giornale online «Il Punto» – secondo la Procura riconducibile a uomini dei servizi segreti – a quelli spesi per procurarsi informazioni sulle indagini in corso e gli stessi magistrati, alle fatture maggiorate pagate all’estero. I legali di Baita – gli avvocati Longo e Rubini – hanno fatto ricorso in Cassazione, per chiedere la revoca della carcerazione.

Roberta De Rossi

 

Gazzettino – Caso Baita, liberi Minutillo e Buson

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16

mag

2013

VENEZIA – Revocati i domiciliari all’ex segretaria di Galan, al manager di Mantovani e anche al broker Colombelli

RIVELAZIONI – Gli indagati avrebbero raccontato particolari interessanti sul sistema di false fatture

Sono tornati in libertà tre dei quattro principali indagati nell’inchiesta sulle presunte false fatture milionarie contestate alla società di costruzioni Mantovani. Ieri il gip Alberto Scaramuzza ha revocato la misura degli arresti domiciliari che aveva imposto al direttore amministrativo del gruppo Mantovani, Nicolò Buson, all’amministratrice di Adria Infrastrutture Claudia Minutillo (ex collaboratrice dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan) e al presidente della Bmc Broker, società di consulenza sammarinese, William Alfonso Colombelli che, secondo l’accusa, avrebbe “prodotto” una parte consistente delle fatture che, secondo la procura, sarebbero state emesse a fronte di operazioni inesistenti con lo scopo di consentire alla Mantovani di realizzare consistenti provviste in nero. Lo stesso sostituto procuratore Stefano Ancilotto, ha dato parere favorevole alla revoca della misura cautelare nei confronti dei tre indagati, i quali sono stati interrogati più volte e, oltre ad ammettere la falsità delle fatture evidenziate dalla Guardia di Finanza, hanno raccontato numerosi particolari ritenuti interessanti, sui quali gli inquirenti stanno proseguendo gli approfondimenti, alla ricerca degli eventuali destinatari finali delle consistenti somme in nero. Il sospetto è che quei soldi possano essere serviti per pagare qualche politico. Ma per ora non vi è notizia che questa pista abbia trovato conferme.
I difensori di Buson, Minutillo e Colombelli, gli avvocati Fois, Augenti e Fogliata, stanno trattando con il pm Ancilotto per concordare il patteggiamento della pena che, per tutti, dovrebbe restare sotto i due anni di reclusione, con la sospensione condizionale.
L’unico indagato che resta in carcere resta è l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, al quale il pm Ancilotto contesta il ruolo di organizzatore della presunta associazione per delinquere finalizzata alle false fatturazioni. Baita, difeso dall’avvocatessa Rubini dello studio Longo, finora ha scelto la strategia del silenzio e nei suoi confronti è stata confermata la misura cautelare per evitare che possa inquinare le indagini.
La Procura si appresta a chiudere le indagini in relazione al filone delle false fatturazioni che, grazie a documenti e confessioni, viene ritenuto dagli inquirenti ampiamente provato.

 

POLITICA E AFFARI»LO SCANDALO DELLE FATTURE FALSE

È l’unico coinvolto nell’inchiesta Mantovani ancora in cella e per il manager ora il rischio è di rimanerci fino a due anni

L’avvocato difensore Paola Rubini: «Attendiamo l’udienza davanti alla Cassazione non condividiamo l’attualità dell’esigenza cautelare»

PADOVA – Si apre un nuovo filone d’indagine e, intanto, Piergiorgio Baita, 64 anni, l’ex presidente del consiglio di amministrazione di Mantovani spa, è l’unico fra gli indagati ancora in carcere dal 27 febbraio scorso nell’ambito dell’inchiesta che ha per protagonista la più importante impresa di costruzioni del Veneto. Un carcere – quello di Belluno – dove rischia di restare almeno un anno in detenzione preventiva, periodo destinato a lievitare di un altro anno se, prima della scadenza del termine di custodia cautelare, la procura chiederà il rinvio a giudizio o il giudizio immediato facendo scattare il decorso dei termini fin dal principio. «È quello che prevede la legge perché al mio assistito, fra gli altri, è stato contestato il reato di associazione a delinquere con l’aggravante del primo comma» spiega la penalista Paola Rubini, uno dei difensori che assiste il manager con il collega Piero Longo, in attesa che la Cassazione fissi la data dell’udienza per discutere un alleggerimento se non l’annullamento o la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dal pubblico ministero veneziano Stefano Ancillotto. Nel marzo scorso il tribunale del Riesame aveva già rispedito al mittente la richiesta di scarcerazione, confermando a carico di Baita il rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Diversa la sorte dei co-indagati come Claudia Minutillo (una rapida carriera da segretaria dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan a quella di amministratore della società Adria Investimenti), di William Ambrogio Colombelli, titolare della Bmc Broker di San Marino, sospettata di essere una delle “cartiere” di Mantovani, e dell’ex direttore amministrativo della spa, il ragioniere padovano Nicolò Buson, tutti finiti agli arresti domiciliari dopo un lungo interrogatorio con il pm e la firma di un verbale di parecchie pagine. Nessuna collaborazione o confessione da parte di Baita che, pochi giorni dopo l’arresto, con un semplice tratto di penna si era dimesso da ben 42 incarichi compreso il ruolo di vertice alla Mantovani, spianando la strada a una strategia difensiva che punta a dimostrare come da parte del manager non ci sia nessuna possibilità di inquinare o di orientare gli accertamenti in corso. Conferma l’avvocato Rubini: «Attendiamo la fissazione dell’udienza davanti alla Cassazione. E aspettiamo la pronuncia del giudice di legittimità sull’applicazione della misura restrittiva. Secondo il pm c’è stato un tentativo di inquinare le prove che risalirebbe a diversi mesi fa: la difesa contesta l’attualità dell’esigenza cautelare». Sul merito dell’indagine, nessuna presa di posizione, nemmeno alla luce degli ultimi sviluppi: «Il compendio di conoscenza che ci è stato offerto, con il deposito delle carte messe a disposizione della difesa, non dicono certo tutto». La partita è aperta, mossa dopo mossa. E la prossima settimana i difensori incontreranno Piergiorgio Baita: nella sala-colloqui del carcere di Belluno. Salvo novità.

Cristina Genesin

 

L’indagine punta su Svizzera e Canada

Nuove perquisizioni, sotto la lente transazioni per l’acquisto oltre frontiera di materie prime e servizi

VENEZIA – Il Canada e la Svizzera. È internazionale la nuova frontiera delle indagini della Procura di Venezia, nell’inchiesta che vede ancora in carcere l’ex presidente del colosso edile Mantovani Piergiorgio Baita, accusato – con altri complici ora agli arresti domiciliari – di aver orchestrato un sistema di cartiere, alle quali attribuire false fatturazioni per milioni di euro per servizi mai eseguiti e costituire così fondi neri ed evadere il fisco. Spulciando tra le migliaia di fatture sequestrate negli uffici della Mantovani – e che hanno permesso di scoprire nuove cartiere – i finanzieri del Nucleo tributario si sono imbattuti anche in fatture emesse da una società svizzera (per alcuni servizi intestati alla Mantovani) e da una canadese, sulle quali ora sono stati accesi i riflettori dell’indagine. La società canadese ha ricevuto da Mantovani i pagamenti per 20 milioni di euro in 10 anni, per l’acquisto della pietra per la realizzazione dei fondali del Mose. Pietra comprata in Croazia dall’impresa maggiore azionista del Consorzio Venezia Nuova – concessionario dello Stato per le opere di salvaguardia della laguna – ma pagata a una società con sede legale in Canada: perché andare incontro ad un sovrapprezzo del 10-20% per l’intermediazione, invece di saldare direttamente le cave croate, si sono domandati i finanzieri, coordinati dai pm Ancillotto e Buccini? Il sospetto degli investigatori – da verificare – è che si tratti di un altro modo per creare fondi neri all’estero: in questo caso i beni sarebbero reali (migliaia di tonnellate di pietre), ma pagati con un sovrapprezzo all’azienda canadese, per creare un fondo. Circa un milione all’anno, per 4-5 anni: un sospetto, per ora, che ha portato il 24 aprile i finanzieri del Nucleo tributario padovano a una nuova perquisizione durata 12 ore alla sede della Mantovani, per acquisire dati relativi all’acquisto dei “masegni”. Per rogatoria, la Procura ha chiesto alle autorità canadesi notizie circa la titolarità della società verificare se sia o meno riconducibile alle cave o alla Mantovani stessa. Un altro filone degli accertamenti ha invece preso la via della Svizzera, in questo caso per fatturazioni relative a servizi pagate a una società elvetica: anche in questo caso, il sospetto (da appurare) è che si tratti di un modo per creare un fondo all’estero. Se Baita è in carcere e potrà restarvi per parecchio altro tempo – in quanto accusato di essere a capo dell’associazione – a fine maggio scadranno i termini di custodia per altri protagonisti dell’indagine: William Colombelli, Claudia Minutillo e l’ex direttore di Mantovani Sergio Buson, agli arresti domiciliari perché hanno dato il loro contributo all’inchiesta. Potrebbero tornare liberi o il pm Ancillotto potrebbe chiudere l’inchiesta e chiedere nei prossimi giorni il processo con rito immediato. (r.d.r. – e.f.)

 

INCHIESTA MANTOVANI

Un «giro» da trenta milioni. Perquisito l’ufficio del nuovo presidente Damiano

PADOVA —Affaire Mantovani: a due mesi e mezzo dagli arresti che hanno alzato il velo sui presunti fondi neri legati a Gianfranco Baita, ex ad della Mantovani costruzioni e «re» delle grandi opere in carcere dal 27 febbraio scorso, le indagini vanno avanti. I finanzieri di Padova si stanno infatti concentrando sui rivoli (si fa per dire, visto che si tratta di fatture da 30 milioni di euro) che riguardano la realizzazione del Mose di Venezia. In particolare, gli investigatori hanno messo sotto la lente l’acquisto delle pietre utilizzate per la protezione delle bocche di porto in laguna. Pietre che arrivano dalla Croazia ma che sarebbero state pagate, con fatture da 30 milioni di euro, a una società con sede in Canada. Per approfondire elementi parziali che sono già in mano alla procura veneziana, le Fiamme gialle di Padova si sono nuovamente presentate il 23 aprile scorso alla Mantovani, con in mano un ordine di perquisizione emesso della procura anche nell’ufficio di Carmine Damiano, ex dirigente di polizia (è stato questore di Treviso) e neopresidente della società dal 15 marzo scorso. L’obiettivo era raccogliere quanto più materiale possibile che consenta di disegnare il «percorso» se non delle pietre, che venivano portate con le navi dalla Croazia a Venezia, quantomeno dei soldi usati per pagarle, che a dispetto della vicinanza tra la costa veneziana e quella slava sembrano aver fatto mezzo giro del mondo. È ancora tutto da chiarire, secondo gli investigatori, il motivo per cui i sassi croati siano stati acquistati attraverso fatture emesse a una società canadese.

Per questo è stato necessario acquisire nuova documentazione relativa al filone parallelo del Canada, per ricostruire la genesi dei trasferimenti di 30 milioni di euro (avvenuti nell’arco di dieci anni, si intende): di qui la necessità di un nuovo sopralluogo alla società di via Belgio a Padova. Quando si sono presentati davanti al nuovo presidente di Mantovani, Damiano, i finanzieri hanno esibito l’ordine di perquisizione e hanno trovato la piena disponibilità da parte dell’ex questore. Le fatture «canadesi» di cui i militari vanno a caccia fanno riferimento al sistema Mose e in particolare all’acquisto delle pietre che servono a costruire barriere di protezione per il passaggio delle navi alle bocche di porto. Si tratta di lavori aggiunti in corso d’opera, le cosiddette «lunate»: barriere curve che dovrebbero assorbire le onde e proteggere, in caso di maltempo, le imbarcazioni in entrata in laguna. Inoltre, sempre in corso d’opera, si sono ritenuti necessari nuovi acquisti di queste pietre trovate in Croazia, lavorate e particolarmente adeguate agli studi di resistenza in relazione alla permanenza nell’acqua tra la laguna e il mare.

Che ci fossero le navi pagate da Mantovani che attraversavano l’Adriatico portando questi sassi non è un segreto. E veniva dato per scontato che questo materiale venisse pagato alla società croata che lo produce. Gli investigatori hanno invece notato con sorpresa cospicui spostamenti di danaro giustificati come pagamento di sassi, ma trasferiti a una sola società in Canada. L’ipotesi accusatoria potrebbe intravedere una nuova società «cartiera» in Canada, sullo stile e stampo di quella scoperta a San Marino. Se così fosse, emergerebbe l’ipotesi di più canali di approvvigionamento dell’indagato Piergiorgio Baita (ancora in carcere a Belluno) in merito a quei presunti fondi neri che sono emersi nella prima parte dell’inchiesta. Soldi pagati alla Bmc, società sanmarinese, a fronte di false fatture, e poi ritirati in contanti per una quota pari all’80% sul totale versato da Claudia Minutillo e William Colombelli (entrambi arrestati e ora ai domiciliari, come pure il fido collaboratore di Baita Niccolò Buson). I soldi in contanti erano ordinati dallo stesso Baita, come ha ammesso in sede di interrogatorio Claudia Minutillo, ex assistente di Giancarlo Galan poi entrata in affari con il manager Mantovani. Ciò che ancora non si conosce è la destinazione di quei soldi: una cifra pari a circa 10 milioni di euro. La quota potrebbe alzarsi di molto, però, se la pista dei sassi «canadesi » seguita dal Nucleo tributario di Padova rivelasse delle similitudini con quella di San Marino.

Roberta Polese

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Gazzettino – Baita, caccia ai fondi neri

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13

mag

2013

LE DIGHE IN LAGUNA – Una società canadese rivendeva a Mantovani a prezzi maggiorati

VENEZIA – Nuove indagini della Procura sull’intreccio internazionale per acquistare grossi massi

Nel mirino i lavori del Mose

Un “giro” di società estere utilizzate allo scopo di far lievitare sensibilmente il costo di materiali destinati alle opere complementari al Mose. E, probabilmente, alla creazione di consistenti fondi “neri”. È questo il nuovo filone al quale sta lavorando la Procura di Venezia nell’ambito dell’inchiesta su Piergiorgio Baita, l’ex presidente della società di costruzioni Mantovani, in carcere dalla fine di febbraio con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla creazione di false fatture per milioni di euro.
Qualche settimana fa la Guardia di Finanza è tornata a Padova nella sede della Mantovani (ora presieduta dall’ex questore di Treviso, Carmine Damiano) per acquisire documentazione relativa all’acquisto, per decine di milioni di euro, di considerevoli quantitativi di grandi massi utilizzati per la realizzazione delle opere di protezione alle bocche di porto della laguna di Venezia. Sulla base degli atti già in possesso degli inquirenti, acquisita in parte nel corso delle perquisizioni effettuate due mesi fa, risulta che le pietre provengono dalla Croazia e non sarebbero state acquistate direttamente dalla Mantovani, ma da una società con sede in Canada la quale, successivamente, le avrebbe rivendute alla Mantovani ad un prezzo sensibilmente maggiorato. Documentazione contabile relativa a questa società nordamericana, nonché ad un intreccio con altre società estere, è stata rinvenuta lo scorso febbraio nella sede della Mantovani e la Finanza ha acquisito numerosi elementi (tra cui ci sarebbe anche qualche testimonianza) in base ai quali ritiene di poter provare che queste società estere fanno (o facevano) capo alla Mantovani. E che, di conseguenza, la singolare “triangolazione” per l’acquisto dei massi necessari alla realizzazione del Mose, sarebbe servita a garantire un consistente “surpluss” economico all’azienda di costruzioni amministrata all’epoca da Baita. Il tutto con un considerevole aumento di costi per le casse pubbliche, costrette a pagare più “salati” i lavori di Salvaguardia della laguna di Venezia. Qualcosa di più di una semplice ipotesi di lavoro, assicurano gli investigatori, i quali stanno ora lavorando per cercare di ricostruire il flusso di questo “surpluss” realizzato in Canada, nella speranza di capire dove siano finite le ingenti somme di denaro ricavate grazie all’acquisto “allungato” delle pietre croate. Operazione che non si preannuncia semplice proprio a causa dell’intreccio di società estere che sarebbe stato utilizzato.

 

MARGHERA – Chiuso con lucchetti e catene il cancello dell’impianto

La carica dei 200. In tanti, ieri mattina, hanno «preso d’assalto» l’impianto di trattamento rifiuti Alles di Malcontenta. Per contestare il progetto di ampliamento, approvato dalla Regione. Una folla di cittadini – dai bambini a mamme e nonni – che da Marghera ha raggiunto, in bicicletta, lo stabilimento di via dell’Elettronica malgrado il tempo incerto. Il corteo colorato, promosso dall’assemblea permanente contro il rischio chimico, ha ribadito il no della città al revamping.

«Non sarà accettato – hanno scandito i manifestanti – nessun progetto legato al business dei rifiuti tossico-nocivi. No a Marghera pattumiera d’Italia.»

Il potenziamento di Alles permetterebbe, infatti, di trattare rifiuti provenienti anche dal mercato nazionale ed internazionale e aprirebbe le porte di Marghera ad una concentrazione di questo tipo di aziende, con effetti disastrosi sulla salute. I manifestanti hanno voluto dare un’immagine della loro volontà di chiudere con un futuro di rifiuti, apponendo catene e lucchetti sul cancello di Alles oltre a posizionare cartelli inneggianti «No al revamping di Alles» e «Mantovani, giù le mani dalla città». Prossimo appuntamento della protesta, è fissato per mercoledì 15 alle 21 al centro Gardenia di Marghera per definire le prossime iniziative. (g.gim.)

 

 

Duecento cittadini hanno partecipato alla protesta terminata davanti ai cancelli dell’azienda

MARGHERA. Circa 200 cittadini di Marghera ieri mattina, malgrado il maltempo, hanno attraversato la città con un colorato corteo di biciclette che ha raggiunto in via dell’Elettronica la sede dell’impianto di trattamento di fanghi di Alles spa (gruppo Mantovani). La manifestazione è stata organizzata dall’Assemblea Permanente Contro il Rischio Chimico per

«affermare che nessun progetto legato al business dei rifiuti tossico-nocivi e speciali pericolosi sarà accettato».

Per i manifestanti il “revamping” degli impianti di Alles – approvato dalla regione Veneto malgrado il no di Comune e Provincia – permetterebbe di trattare rifiuti provenienti anche dal mercato nazionale ed internazionale e aprirebbe le porte di Marghera ad una concentrazione di questo tipo di aziende, facendone una discarica con effetti disastrosi sulla salute pubblica.

«Per questo motivo»A hanno spiegato i manifestanti davanti alla portineria di Alles «abbiamo sanzionato chiudendo il cancello d’ingresso con catene e lucchetti».

I manifestanti hanno coperto e le sue insegne dell’entrata con scritte colorate. Dagli interventi al megafono è stato ribadito che

«è iniziata una mobilitazione popolare che ha come obiettivo lo stop a questo potenziamento e a tutti gli appetiti futuri legati a questo business. Famiglie e cittadini, comitati e amministratori locali, pediatri e associazioni concordano nel dichiarare con forza che il potenziamento di Alles non passerà!» .

Per mercoledì prossimo, alle ore 21 presso il centro Gardenia (davanti al municipio di Marghera), nuova assemblea per discutere e definire le prossime iniziative e scadenze da organizzare. Inoltre il il 7-8-9 giugno in cui i comitati italiani e internazionali contro le grandi opere si ritroveranno a Venezia e Marghera per un meeting di lotta e discussione organizzato dal Comitato contro le Grandi Navi in bacino a San Marco.

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All’assemblea cittadina Bettin conferma: «Ricorso contro la delibera regionale perché manca la Vas». Stasera ne discute anche il consiglio di Municipalità

MARGHERA. Oggi alle 20.45 in municipio il caso Alles sarà discusso in una riunione del consiglio di Municipalità a cui prenderà parte anche l’assessore comunale all’Ambiente Gianfranco Bettin. Il componente della giunta comunale, da sempre in prima linea contro i progetti tesi a trasformare Porto Marghera nel luogo per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi provenienti da tutta Italia, l’altro ieri sera ha partecipato ad un affollato incontro organizzato in municipio dall’Assemblea permanente contro il rischio chimico.

Bettin ha ricordato che

«la giunta comunale ha fatto ricorso al Tar contro la decisione della giunta regionale che ha dato il via libera al potenziamento di Alles. Il procedimento autorizzativo è incompleto in quanto manca la Vas (Valutazione ambientale strategica)».

Roberto Trevisan dell’Assemblea permanente ha annunciato che

«sabato alle 10 partirà da piazza Municipio una manifestazione in bicicletta per contestare il progetto Alles che arriverà sino a Malcontenta davanti alla sede di Mantovani».

Inoltre, il presidente della Municipalità Flavio Dal Corso ha annunciato che durante la riunione odierna del consiglio municipale sarà lanciata una

«manifestazione cittadina a Venezia, per contestare la decisione inaccettabile della giunta regionale».

La protesta contro Alles però potrebbe unirsi a tutte le vertenze ambientali della regione e del Paese. Un rappresentante del comitato “No grandi navi” ha proposto, l’altra sera, ai cittadini di Marghera, di

«partecipare ad una grande mobilitazione dei comitati di tutta Italia che si terrà l’8 e il 9 giugno a Venezia».

Una rappresentante del M5S, invece, ha annunciato che presto i grillini organizzeranno un incontro sulla questione a Marghera e ha aggiunto:

«Metteremo a disposizione i nostri parlamentari per fermare il progetto Alles ma è necessario porre il problema anche a livello europeo».

Il consigliere regionale Gennaro Marotta (IdV), invece, ha affermato:

«La Lega in Provincia a suo tempo si è pronunciato contro il potenziamento di Alles ma è stata smentita dal governatore leghista Luca Zaia che ha approvato il progetto. La presidente della Provincia Francesca Zaccariotto provi a far tornare sui suoi passi Zaia».

Davide Scano del M5S, invece, ha detto:

«Bisogna denunciare il conflitto di interessi di cui è protagonista il funzionario regionale Silvano Vernizzi a causa dei suoi mille incarichi istituzionali. E’ commissario alla Pedemontana, commissario del Passante di Mestre, commissario al traffico di diverse città, amministratore delegato di Veneto Strade, presidente della commissione Vas, presidente della commissione Via».

Michele Bugliari

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Duro attacco dell’assessore comunale all’Ambiente alla delibera regionale che autorizza il revamping dell’azienda: «Si è stravolto il piano regolatore»

«Finora con il sistema efficace di controlli di matrice pubblica, l’illegalità nel settore rifiuti a Porto Marghera è stata ridotta al minimo anche perché si trattano solo i rifiuti prodotti nell’area con un sistema rigoroso di controlli. Ma oggi il rischio esiste perché per autorizzare il revamping di Alles Spa, la giunta regionale del Veneto ha stravolto il Piano regolare di Porto Marghera, con il rischio concreto di far arrivare qui il Far West».

Non ha dubbi, Gianfranco Bettin. La scelta della giunta regionale di autorizzare il revamping dell’impianto di Alles Spa, società del gruppo Mantovani ( finita nel ciclone dell’inchiesta sul giro di fatture false che ha portato in carcere il presidente Piergiorgio Baita, ndr) , è un clamoroso errore della Regione Veneto guidata dal leghista Luca Zaia.

Per concedere il trattamento di 70 diversi codici di rifiuti, contro i 20 attuali,

spiega Bettin nel municipio di Mestre

«si è cambiato il piano regolatore dell’area nel punto che vieta il trattamento di rifiuti che arrivano dall’esterno del territorio veneziano. Aprirsi a quel mercato significa aprirsi ad un rischio fortissimo»,

precisa l’assessore all’Ambiente di Venezia ricordando che la decisione della giunta regionale arriva dopo il via libera della commissione Via di

«cui fanno parte dodici tecnici di nomina regionale più un tredicesimo di nomina Arpav, ma sempre riconducibile alla Regione».

Una votazione simile ad un “porcellum”, attacca l’assessore visto che con i loro pareri contrari e contando solo un voto ciascuno, Comune e Provincia si sono trovati in minoranza schiacciante.

Una scelta poi che stride con l’allarme lanciato dal rapporto Dia, la direzione investigativa antimafia, nel 2011 secondo cui la mafia aveva messo le mani anche a «Porto Marghera sul traffico di rifiuti». Se l’allarme è di due anni fa, il rischio è concreto, avverte l’assessore comunale all’Ambiente.

«Per questo occorre guardare con attenzione agli assetti societari delle aziende impegnate nel settore e occorre evitare, anche, indebiti allargamenti dei permessi a operare di impianti che possono essere oggetto di operazioni non pienamente controllabili»,

segnala Bettin con un chiarissimo riferimento alla vicenda del revamping di Alles, delibera regionale

«pericolosissima perché rischia di far saltare il sistema collaudato di controlli pubblici sul ciclo dei rifiuti tossici che ora è pressoché completamente un ciclo locale».

Dal via libera al revamping di Alles Spa avverte l’assessore comunale

«il rischio di aprirsi ad avventurieri e a criminali viene così moltiplicato e questa è una inquietante, pericolosa, deregulation di tutta l’area».

Per questo motivo, quindi, la giunta Orsoni ha confermato che ricorrerà al Tar, tribunale amministrativo del Veneto, per chiedere la sospensiva della delibera regionale che autorizza Alles Spa ad aumentare le sostanze trattate nell’impianto di Marghera.

E la mobilitazione coinvolge anche comitati e associazioni ambientaliste che si ritrovano stasera in una grande assemblea cittadina a Marghera. L’Osservatorio, attivato da Comune e Legambiente, continuerà ad occuparsi di legalità e traffici ambientali: dal consumo di suolo agli affari delle ecomafie locali e nazionali con convegni e pubblicazioni.

Mitia Chiarin

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L’Assemblea Permanente Contro il Rischio Chimico ha organizzato per questa sera – alle 20.30 in municipio a Marghera (piazza Municipio) – un’assemblea pubblica contro il decreto firmato dal governatore del Veneto, Luca Zaia, che autorizza il revamping (potenziamento) degli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti pericolosi di Alles spa (gruppo Mantovani) in via dell’Elettronica a Marghera.

Grazie al via libera della Commisisone Via e della Giunta regionali, negli impianti di Alles si potranno trattare rifiuti tossico-nocivi di 70 tipologie diverse, tra cui rifiuti speciali pericolosi, facendone arrivare anche dall’estero e da tutta Italia.

«Come abitanti di questo territorio» spiega un comunicato dell’Assemblea Permanente «non accettiamo che la nostra salute venga messa a repentaglio per garantire il business dei grandi trafficanti di rifiuti. Chi vive a Marghera e d’intorni sta già pagando un prezzo sanitario altissimo in termini di malattie per l’inquinamento. A Marghera vogliamo le bonifiche non i rifiuti. L’oltraggio del presidente della Giunta regionale, Luca Zaia alla nostra città non passerà, impediremo ai camion carichi di rifiuti tossici di arrivare a Marghera. Bloccare questo progetto è ancora possibile, la lotta vincente contro l’altro progetto di riapertura dell’inceneritore di rifiuti tossici SG31 ne è la dimostrazione».

«La Giunta regionale ha accordato a Mantovani spa, proprietaria di Alles spa» continua il comunicato stampa «di lucrare sulla nostra pelle, aumentando le polveri sottili e l’inquinamento acustico del 30 per cento».

L’Assemblea Permanente di Marghera invita tutti i cittadini a partecipare all’assemblea pubblica.

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