Nuova Venezia – L’inchiesta Mantovani
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30
mar
2013
«Il Punto? Pensavo fosse un giornale dei comitati locali»
Vernizzi e l’intervista al giornale finanziato da Baita. Intanto dissequestrato appartamento del padovano Buson
VENEZIA – Il Tribunale del riesame di Venezia, così come aveva fatto per Piergiorgio Baita, ha annullato l’ordinanza con cui il giudice aveva sequestrato l’appartamento di Padova di proprietà di Nicolò Buson, il responsabile amministrativo in carcere per associazione a delinquere e frode fiscale. Intanto, Silvano Vernizzi, segretario generale alle Infrastrutture della Regione e Commissario di numerose grandi opere pubbliche venete spiega la sua intervista al settimanale on line «Il Punto» di Roma, che Baita avrebbe finanziato con oltre due milioni di euro in poco più di un anno, dal 2011 al 2013, per ottenere informazioni di prima mano sulle indagini in corso sulla Mantovani grazie a uomini dei servizi segreti all’interno della rivista.«Certo ho dato quell’intervista», sostiene Vernizzi, «perchè io rispondo a tutti i giornalisti e come lo sto facendo adesso con lei l’ho fatto allora con la giornalista de “Il Punto”». Si tratta di un articolo comparso on line il 27 dicembre dello scorso anno, l’argomento era la Pedemontana. «Tra l’altro, visto il tenore delle domande», aggiunge il Commissario alla Pedemontana, «credevo che si trattasse di una pubblicazione molto vicina ai Comitati veneti per la tutela dell’ambiente, che combattono le opere pubbliche di cui mi occupo. Non solo non sapevo che il giornale fosse finanziato dalla Mantovani, come ho appreso in questi giorni leggendo i vostri articoli, ma neppure ne avevo mai sentito parlare». Vernizzi, infine, ricorda che la maggior parte delle domande riguardavano la Pedemontana, una gara d’appalto che il consorzio d’imprese al quale apparteneva la «Mantovani» di Baita aveva perso, visto che se l’era aggiudicata il consorzio concorrente. A presentare il ricorso per il dissequestro della casa di Buson è stato il difensore, l’avvocato Fulvia Fois. Nel dissequestrare i beni di Baita avevano scritto come«la Cassazione abbia chiarito che il sequestro preventivo debba riguardare beni per un valore pari al solo “profitto del reato”, pari all’imposta sui redditi evasa. In questo caso, aveva chiarito il Tribunale, l’aliquota Ires (variabile tra il 27,5 e il 33%), più la sanzione prevista sull’imposta evasa, pari al 100%. Un ammontare pari a circa 6 milioni, dunque, sui quasi 9 precedentemente bloccati. Inoltre, sul provvedimento andava indicato il valore dei beni immobiliari sequestrati.
Giorgio Cecchetti
Gazzettino – I comitati: “Si faccia un’inchiesta sulle grandi opere”
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29
mar
2013
DOLO – Fronte comune degli ambientalisti su Veneto City e Romea dopo l’indagine sulla Mantovani
DOLO
«L’indagine in corso da parte della magistratura sulla galassia Mantovani ha fatto emergere la grande questione della mancanza di programmazione e della gestione delle opere pubbliche nella nostra Regione, insieme con la distorta modalità della pianificazione territoriale ed urbanistica che si è affermata e vige nel Veneto da almeno 10 anni».
Proprio per questo motivo i comitati ambientalisti che si sono trovati ieri mattina a Palazzo Badoer a Venezia, hanno chiesto un incontro con i capigruppo di maggioranza ed opposizione in Regione Veneto, per determinare insieme i parametri di lavoro di una possibile “commissione d’inchiesta”.
«Le infrastrutture stradali, gli ospedali e altre opere spesso solo di presunto interesse pubblico – affermano i comitati – sono state affidate facendo largo uso del project financing, modalità che consente al promotore privato di progettare, costruzione e gestire l’opera pubblica secondo il proprio interesse». Ed evidenziano: «Non si può tacere sull’intero modello incentrato sullo svilimento della programmazione e sulla mano libera ai privati nella promozione dei progetti».
Citando opere come la Pedemontana, la Nogara Mare, il Grap ed altre come la Romea commerciale e Veneto City, queste ultime particolarmente sentite in Riviera del Brenta. All’appello hanno aderito una trentina tra comitati ed associazioni di tutto il Veneto, mentre a livello politico si sono detti favorevoli alle richieste espresse nel documento Sel e Movimento 5 Stelle. (g.d.cor.)
Nuova Venezia – I comitati anti strade attaccano Vernizzi “Parlo’ con Il Punto”
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29
mar
2013
L’accusa: troppi incarichi. E spunta l’intervista del dirigente alla rivista sotto inchiesta perché finanziata da Mantovani
VENEZIA – Una decina di portavoce degli oltre cento comitati veneti per la tutela dell’ambiente, coordinati a livello regionale da AltroVe, si è incontrata ieri a Palazzo Badoer, a Venezia, per evidenziare in relazione alla Regione la forte criticità «della mancanza di programmazione e della distorta modalità della pianificazione territoriale ed urbanistica», messa in luce dalle indagini in corso sulla galassia Mantovani.
«Baita – si legge nel comunicato diffuso – è diventato il promotore quasi esclusivo delle principali opere pubbliche durante la presidenza di Galan ma anche durante quella di Zaia».
In particolare i comitati si sono soffermati su alcuni progetti ritenuti di dubbio interesse pubblico che riguardano alcune infrastrutture stradali come la Gasparona (la futura Pedemontana), il Progetto Tangenziali Venete, la Meolo-Jesolo, la Transpolesana, il Grap, la Orte-Mestre e la Valsugana. I comitati mettono in discussione la modalità del project financing, ritenuta a rischio zero per il privato e alto per il pubblico.
«Nel caso delle infrastrutture stradali – ha spiegato Carlo Costantini di AltroVe – il privato, presentato sempre come benefattore che regala posti di lavoro, propone un progetto che sembra non ricadere sulla cittadinanza, come la realizzazione di un’autostrada. Siccome l’opera costa si assicura ai finanziatori che i soldi messi a disposizione verranno recuperati nel corso degli anni con il pedaggio, calcolato in base al presunto flusso di traffico. Se però il traffico cala e la somma nel giro degli anni prestabiliti non viene raggiunta, la Regione dà la garanzia di colmare il buco con soldi pubblici».
Le opere citate prevedono la privatizzazione di tratti già esistenti che ora sono gratuiti. Un sistema che per i comitati non funziona già dai tempi di Galan, come dimostra il Piano territoriale regionale di coordinamento, fatto senza prendere in considerazione la valenza paesaggistica del progetto e «accentrato» nella segreteria regionale per le Infrastrutture diretta da Silvano Vernizzi che è, inoltre:
«presidente delle commissioni di valutazione (Vas, Via, Vinca), vicepresidente del Nucleo di Verifica degli Investimenti Pubblici (Nuv) e ad di Veneto Strade».
Nei giorni scorsi la Regione ha costituito una commissione d’inchiesta per valutare la modalità di conduzione dei lavori pubblici in Veneto.
«Proprio perché sembra che la Regione indaghi se stessa – concludono i comitati – vogliamo incontrare i capigruppo del Consiglio Regionale e fare tre richieste: che alcuni rappresentanti dei comitati partecipino alla commissione, che si sospendano i progetti realizzati con il project financing e che si faccia chiarezza sui troppi incarichi all’ingegner Vernizzi e dell’evidente conflitto di interesse».
I comitati hanno espresso quindi grande preoccupazione per il project financing e hanno consegnato il link di un’intervista a Vernizzi su project financing e Pedemontana alla rivista «Il Punto» (http://www.ilpunto.it/attualita/item/4243-superstrada-pedemontana-lintervista-silvano-vernizzi.html), coinvolta nelle indagini su Mantovani perché finanziata da Piergiorgio Baita che, secondo gli inquirenti, così voleva ottenere informazioni sulle indagini a suo carico. L’intervista è del 27 dicembre 2012: Vernizzi, come commissario alla Pedemontana (un’opera seguita dal consorzio Sys e non dalla Mantovani), rispondeva alle domande sulla situazione dei cantieri e sui finanziamenti.
Vera Mantengoli
94,5LA PEDEMONTANA VENETA È L’ULTIMA GRANDE OPERA DECOLLATA CON IL PROJECT: SI TRATTA DI UNA AUTOSTRADA DI 94,558 KM CHE COLLEGHERÀ BRENDOLA NEL VICENTINO CON VILLORBA NEL TREVIGIANO. SARÀ OVVIAMENTE A PAGAMENTO. IL COSTO DELL’OPERA È STIMATO IN 2130 MILIONI DI EURO.
10 LE GRANDI OPERE CHE ATTENDONO DI DECOLLARE IN VENETO SONO STIMATE IN 10 MILIARDI DI EURO: LA LISTA COMPRENDE LA NOGARA MARE, LA TREVISO MARE, LA NUOVA ROMEA, IL TRAFORO DELLE TORRICELLE A VERONA, IL GRA DI PADOVA, LA VALDASTICO NORD, LA VALSUGANA, IL NUOVO OSPEDALE DI PADOVA E L’ALTA VELOCITÀ FERROVIARIA.
Gazzettino – Venezia, Lido. Vertenza Est Capital tra soddisfazione e preoccupazione
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28
mar
2013
(L.M.) «Così il Lido rimarrà fermo altri dieci anni». Questo il pericolo che vede via via concretizzarsi il presidente della municipalità del Lido e Pellestrina, Giorgio Vianello, all’indomani dell’ordinanza del giudice che stabilisce che il Comune non è stato inadempiente e perciò non deve restituire ad Est Capital i 31,6 milioni di euro nel contenzioso sulla compravendita dell’ex ospedale al mare del Lido. «Spero che ora si arrivi ad un accordo – prosegue Vianello – Est Capital non ha venduto nulla, non ha più i soldi per fare nulla e così anche il Des Bains rimarrà bloccato. Un fallimento dei grandi progetti al Lido». Michele Zuin, capogruppo del Pdl in consiglio comunale, aggiunge: «Bene che il Comune non debba restituire i soldi – dice – ma i problemi rimangono. Non condivido i trionfalismi del sindaco, che due settimane prima, era pronto a firmare l’accordo, prima di essere stoppato da maggioranza e giunta». Parla di nuova fase, dopo quanto ha approvato il consiglio comunale lunedì, il consigliere comunale, Beppe Caccia, lista
«In Comune»: «La stagione delle grandi opere – scrive al sindaco – tanto faraoniche quanto inutili, è finita, alla Biennale e al polo congressuale del Lido. Non serve un nuovo palazzo, ma un riassetto strutturale degli spazi esistenti: il Paladarsena e il palazzo del Casinò possono essere ristrutturati e riqualificati offrendo il numero di posti e le tecnologie necessarie. E contenendo i costi. Il piazzale può diventare uno spazio pubblico di qualità da vivere tutto l’anno. La partecipazione dei cittadini è decisiva per la riprogettazione dell’area».
All’attacco anche Marta Locatelli (Pdl).
«Il sindaco – sostiene Locatelli – deve liberarsi immediatamente dalla morsa di Est Capital che in questi anni ha saputo unicamente valorizzare a modo proprio gli Asset dei propri fondi attraverso i cambi di destinazioni d’uso Est Capital ha contribuito indirettamente a svilire l’immagine e l’economia del Lido, comprando gli storici hotel e interrompendo il loro futuro attraverso l’interruzione contrattuale con la Starwood per un progetto faraonico, con il gruppo Four Seasons che solo dopo è stato interrotto rivelandosi insostenibile» .
Gazzettino – Da Baita 2 milioni alla rivista “Il Punto”
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28
mar
2013
FINANZIAMENTI – Piergiorgio Baita avrebbe pagato la rivista per avere informazioni sulle indagini a carico delle sue società
VENEZIA – La scoperta della Guardia di Finanza analizzando la documentazione sequestrata
Secondo l’ex consulente della Mantovani, Mirco Voltazza, la pubblicazione era legata ai servizi segreti
Oltre due milioni di euro in due anni. A tanto ammontano le fatture che le società del gruppo Mantovani risultano aver pagato alla rivista online “Il Punto” tra il 2011 e il 2012. Lo ha scoperto la Guardia di Finanza di Venezia analizzando la documentazione sequestrata nei giorni scorsi, nell’ambito delle indagini sulle false fatturazioni milionarie contestate all’allora presidente della società di costruzioni, Piergiorgio Baita, e sugli accertamenti relativi a presunte attività di depistaggio delle indagini.
La consistente somma di denaro versata alla rivista viene giustificata con la motivazione “sostegno finanziario” e gli investigatori si domandano per quale motivo un gruppo importante come la Mantovani abbia investistito così tanti soldi in una pubblicazione non particolarmente conosciuta, né diffusa. Una chiave di lettura è quella offerta dall’ex consulente della Mantovani, il padovano Mirco Voltazza, il quale ha raccontato «che la rivista “Il Punto” oltre ad essere un giornale era un’agenzia dei servizi segreti che a loro volta finanziavano il giornale in caso di difficoltà». Prima di parlare de “Il Punto” Voltazza ha ammesso di aver ricevuto a sua volta ingenti somme di denaro dalla Mantovani, attraverso la sua società, “Italia Service”, con l’incarico di «anticipare eventuali aggressioni da parte delle forze dell’ordine e magistratura, concedendo all’azienda i tempi di attivazione dei diversi piani di gestione della crisi».
Fin dal 2010 Baita sapeva che la Finanza aveva avviato una verifica fiscale sul suo gruppo e per questo avrebbe incaricato Voltazza di mettere in atto una sorta di attività di “controspionaggio” per ottenere informazioni in merito all’andamento dell’inchiesta e fare pressioni affinché si risolvesse per il meglio. Ed è proprio nell’ambito di questa attività che Voltazza riferisce di essere entrato in contatto con “Il Punto”, in particolare con il suo direttore editoriale, Alessandro Cicero, il quale gli avrebbe presentato un suo collaboratore, tale Enzo Manganaro, ex carabiniere «a suo dire collegato con i servizi». E sarebbe stato proprio Manganaro a prospettare al direttore finanziario della Mantovani, Nicolò Buson, la possibilità di «risolvere i problemi con la magistratura e la Guardia di Finanza con il pagamento di 200.000 euro in luogo dei 100.000 pagati fin allora perché altrimenti “sarebbe stata la fine”». Lo stesso Buson avrebbe successivamente confermato a Voltazza di aver versato «importanti somme al Manganaro per sistemare le cose».
Durante le perquisizioni a “Il Punto” sono stati sequestrati anche documenti provenienti da uffici giudiziari che ora sono al vaglio del pm Stefano Ancilotto. Il direttore della rivista ha spiegato che si tratta di materiale del tutto lecito, detenuto per motivi giornalistici. Ma il racconto di Voltazza, riscontrato da altre testimonianze, e quelle ingenti somme di denaro in apparenza senza spiegazione, sono ritenuti sufficienti agli inquirenti per approfondire gli accertamenti.
Nuova Venezia – L’alt ai project financing di Baita nel Veneto blocca dieci miliardi
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28
mar
2013
I guai giudiziari rischiano di paralizzare la giunta Zaia, mentre lo Stato non ha più soldi per investire
In attesa di realizzazione Treviso-mare, nuovo ospedale di Padova, Pedemontana e Valdastico Nord
VENEZIA – Nel 1775 l’ economia della Serenissima era in stagnazione e i suoi forzieri vuoti. Il provveditore Andrea Memmo decise di trasformare Prato della Valle, un acquitrino dove si affacciavano in maniera caotica commercianti e dove soggiornavano giocolieri e saltimbanchi, in uno spazio utile a Padova. Ma non avendo il becco d’ un quattrino decise di ricorrere a quello che potrebbe essere definito il primo project della storia. Fece da sponsor e gestore di un’opera di ridisegno dello spazio pubblico finanziato dai privati e ripagato in parte dall’ affitto dei negozi commerciali e perfino dalla voglia delle famiglie di essere immortalate nelle effigi e nelle statue che circondano la piazza. Nacque così quel gioiello architettonico di Prato della Valle come lo conosciamo oggi (chi voglia saperne di più sulla storia del progetto legga l’incantevole libro che racconta quest’ esperienza, Il bello e l’utile, ed. Marsilio). Forse anche a fine Settecento, con la Serenissima in decadenza, l’amministrazione pubblica era migliore di quella di adesso. Chissà. Ma è certo che il project non era né l’ angelo, né il diavolo. Era un modo per costruire opere pubbliche con i quattrini dei privati e pagando con i ricavi dell’opera il finanziamento, cercava di trovare un equilibrio tra interesse pubblico e privato. Oggi il project, invece, sembra diventato il diavolo. La gran parte della storia delle infrastrutture del Veneto, di cui ministri, assessori, politici di tutte le tendenze si erano fatti vanto, visto che la Regione era una delle poche in Italia a progettare e costruire opere, viene rimessa in discussione dopo l’ arresto di quello che è stato definito il mago dei project e cioè Piergiorgio Baita,che ne aveva messo al centro la Mantovani da lui presieduta. Tutto è finito sotto una valanga di critiche: strade e autostrade, ospedali e Tribunali, come se quanto deciso fino ad oggi fosse il frutto di malaffare avvenuto clamorosamente sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno se ne accorgesse. Possibile? Non sappiamo i risvolti e gli esiti dell’ indagine giudiziaria centrata su Baita e le sue manovre. Quello che invece è sotto gli occhi di tutti è che un sistema è morto e una Regione rischia la paralisi se non si sa che cosa metterci al posto. La Mantovani e Baita erano i protagonisti di molti dei project messi al bando dalla Regione: la Treviso mare, la Nuova Romea, il Terminal di Fusina, il Traforo delle Torricelle, le tangenziali della Brescia-Padova, tanto per citarne alcuni. Nella Venezia-Padova, la ex autostrada oggi trasformata in società, di cui Mantovani ha una bella quota, ci sono i project del Gra di Padova, della Nogara mare. E poi la Valdastico Nord, la Valsugana, la Pedemontana… Come si sarebbero potuti trovare quasi dieci miliardi di finanziamenti per costruire queste opere? E sono tutte inutili? Come si costruiranno il nuovo ospedale di Padova, l’ampliamento del Tribunale di Rovigo, il Parcheggio sotterraneo di Prato della Valle, l’ arsenale di Borgo Trento a Verona e decine di altre iniziative? Molti, anche sotto l’ombra della crisi e l’ombrello anti-opere portato dal grillismo, dicono che tutte queste strade non servono: meglio andare in ferrovia. Può essere una bella idea, magari da verificare. Ma anche se fosse, e, in alcuni casi c’è da dubitarne, dove si trovano i soldi per investire nel potenziamento delle ferrovie? L’unica fonte individuata finora per costruire i tratti mancanti dell’ alta velocità o alta capacità Venezia-Milano, è, non a caso, il solito “diavolo” del project financing. Altre proposte non se ne sono viste. Quattrini men che meno. Il project financing è un meccanismo delicato fatto da investitori che rischiano i loro soldi, banche che decidono di finanziarli e di accordi tra pubblico e privato su come farsi ripagare. Diventa un angelo se è un modo per realizzare un interesse pubblico con i soldi dei privati, perché ha costi certi e tempi rapidi e chiari. Non è poco per un settore pubblico che ha visto, anche in Veneto, casi come l’ ospedale di Bassano realizzato dopo trent’anni o il Ponte di Calatrava a Venezia, opere costate non si sa neanche più quanto. Il «Pf» si trasforma in un diavolo se l’amministrazione non è in grado di controllare o peggio viene piegata ad interessi privati con manovre oscure e corruttive, anche se queste ultime, come hanno dimostrato inchieste in mezza Italia, ci sono con qualsiasi sistema: anzi, nel caso di amministrazioni appaltanti, hanno punteggiato il Paese di opere non finite, costate non si sa più quanto con decine di amministratori finiti in prigione. Se la via del project non piace perché, come ad esempio dice l’ avvocato Massimo Malvestio, ascoltato consigliere del presidente della Regione Zaia, l’ amministrazione non ha capacità e know how per controllare, bisognerebbe sapere che cosa metterci al posto, anche se è lecito domandarsi perché un’ amministrazione non può evolversi verso la modernità. Ma in attesa della riforme bisognerebbe chiedersi da dove, da ora in poi, si prenderanno i quattrini. È una risposta cruciale per una Regione che rischia davvero la paralisi con conseguenze drammatiche visto che i privati, Mantovani in testa, sono in via di ritirata, le banche sempre più circospette e avare, e quanto ai quattrini lasciati liberi dai patti di stabilità non se ne vede nemmeno l’ombra.
Alessandra Carini
Strade e ospedali, le partite aperte
La sola Mantovani nel 2011 aveva investito nella finanza di progetto 40 milioni
TUTTE LE OPERE – Pedemontana Veneta cerca ancora l’accordo con le banche, Gra di Pd e Nogara Mare stentano
Per la Nuova Romea servono 9,3 miliardi
PADOVA – Dalla Pedemontana Veneta, che con Sis cerca ancora l’accordo con le banche, alla Nuova Valsugana. Passando per la Nogara Mare le Tangenziali Venete fino alla la Nuova Romea per la quale servono 9,7 miliardi. Il project financing in Veneto vale la quasi totalità delle opere inserite nei piani di sviluppo infrastrutturali regionali. E una buona parte di queste hanno la Mantovani tra i protagonisti. Dal Consorzio Veneti Nuova Romea – nato a luglio del 2011 per partecipare ai lavori della Mestre-Civitavecchia o Nuova Romea – al Grande raccordo anulare di Padova, passando dal Passante Alpe Adria Belluno-Cadore fino al nuovo ospedale vicentino di Santorso. «L’unica strada per realizzare grandi opere nel nostro Paese», sottolineava spesso Piergiorgio Baita al riguardo della finanza di progetto. Anche se in tempi recenti, in parallelo al capitolo project, l’ex stratega del gruppo controllato dalla famiglia Chiarotto aveva aperto quello delle partecipazioni nelle concessionarie autostradali. Due filoni, questi, che hanno assorbito una grossa fetta degli investimenti fatti dal gruppo nel 2011 (ultimo bilancio disponibile, chiuso con ricavi per 404 milioni e un utile di oltre 29 milioni). Nel dettaglio 13,7 milioni investiti per la partecipazione nel Consorzio Veneti Nuova Romea, 17,5 milioni per un pacchetto azionario di Autostrada Venezia-Padova (poi ribattezzata Serenissima), 2,3 milioni per l’aumento di capitale della Veneto City Spa e altri 4,3 milioni per aumentare le quote nel fondo Real Venice II impegnato nella valorizzazione dell’ex Ospedale al Mare del Lido (operazione bloccata per un contenzioso insorto con il Comune). Attraverso la Adria Infrastrutture, inoltre, oltre a Gra di Padova, il gruppo partecipa anche alle Tangeziali Venete alla Nogara Mare. (m.mar.)
GLI ATTORI
Chisso, Vernizzi, Schneck e Bonsignore: i protagonisti delle infrastrutture venete
RENATO CHISSO. Politico veneziano del Pdl è alla sua terza esperienza consecutiva come assessore regionale alla Mobilità-infrastrutture e al suo quarto mandato regionale. Assessore di fiducia dell’ex governatore Giancarlo Galan confermato nel ruolo da Luca Zaia.
ATTILIO SCHNECK. Commissario governativo della Provincia di Vicenza (di cui è stato presidente dal 2007 al 2012), dal 2008 ricopre anche la carica di presidente dell’Autostrada Brescia-Padova oggi A4 Holding. Società coinvolta in diversi project fra cui Tangenziali Venete.
VITO BONSIGNORE. Dopo aver liquidato le velleità dei soci di Nuova Romea Spa, il politico ex Udc e poi Pdl , attraverso la sua Gefip Holding, si è assicurato la realizzazione in project della Mestre-Orte. L’investimento complessivo stimato per la realizzazione supera i 9 miliardi.
SILVANO VERNIZZI. Segretario regionale Infrastrutture. Già commissario straordinario per il Passante di Mestre, dall’agosto del 2009 gestisce l’emergenza nell’area interessata dal project della Pedemontana Veneta. Come a.d. di Veneto Strade ha seguito interventi per oltre 1,5 miliardi.
Lo scenario
Il destino della Brescia-Padova nelle mani di Intesa e dei privati
VENEZIA – C’era una volta un’autostrada, la Brescia Padova, che doveva essere il fulcro di un ridisegno dell’asse autostradale Est-Ovest. Un po’ acciaccata dalle vicende proprietarie che l’hanno vista finire in mano alle banche, Intesa in primo luogo, con i soggetti pubblici ormai in minoranza, su di essa si sono appuntati i “desideri” di chi, come i gruppi privati, Astaldi, Gavio e la Mantovani di Piergiorgio Baita, ne avevano fatto il centro di un progetto. Quello di unire da Brescia a Trieste un asse oggi diviso tra concessionarie diverse, controllate da pubblici in ritirata, in un’alternativa privata o semitale all’asse Nord-Sud dominato da Autostrade per l’ Italia dei Benetton. Buono o cattivo che fosse quel progetto è ormai morto, e non solo per l’ arresto di Piergiorgio Baita che ne aveva tessuto, per il Veneto, le fila. Ma anche perché quello che potrebbe essere per la sua forza oggettiva (la Brescia Padova è il più importante asse autostradale Est-Ovest) il centro di un disegno, appare come un campo di battaglia. Proviamo a farne una fotografia. La proprietà è in mano a Banca Intesa (è l’ azionista di riferimento con il 30 per cento) che, non è un mistero, con la gestione di Enrico Cucchiani, è più che intenzionata a vendere. Il gruppo Astaldi, che ha comprato pezzo a pezzo quote pubbliche, fino ad arrivare a circa il 15% dell’ azionariato, non ha la forza certo di comprare. Gli altri privati, Gavio in testa, sono stati fermati di fatto dall’arresto di Baita. Gli azionisti pubblici sono in minoranza e in ritirata perché non hanno soldi per sostenere gli aumenti di capitale di cui l’autostrada ha bisogno. E comunque anche se fosse non hanno una strategia unitaria: l’ autostrada è un asset della Regione presieduta da Luca Zaia, ma è solidamente piazzata nella Verona di Flavio Tosi, due leghisti che si guardano in cagnesco nella resa dei conti della Lega veneta. Alla vigilia dei rinnovi triennali delle cariche, che si terranno a fine aprile, c’è da decidere chi andrà a rappresentare i soci pubblici alla presidenza, tenuta fino ad ora dal leghista vicentino Flavio Schneck, visto che Intesa ha deciso di sostituire l’amministratore delegato con Giulio Burchi, un uomo da presidenza tranquilla, non certo uno adatto a manovrare truppe su un campo di battaglia. E c’è sempre in ballo la concessione, legata alla vicenda della Valdastico Nord, approvata in parte dal Cipe. Questione che apre scenari problematici. Perché se la Valdastico Nord non passa si apre una complicatissima trattativa con il governo e l’Unione europea per il futuro dell’ autostrada. Finora tutte queste difficoltà avevano viaggiato in sottofondo nascoste dal disegno che Mantovani-Baita stavano tessendo in Veneto e che passava attraverso la Serenissima, la ex concessionaria della Venezia Padova che era il fulcro, per il Veneto, della privatizzazione dell’asse. Nella Serenissima la famiglia Chiarotto e la Mantovani hanno il 22 per cento, alla pari con Autovie Venete. Ma Baita aveva fatto entrare come azionista Gavio (che ha oggi il 4,6 per cento) proprio prospettandogli l’ipotesi di fare della ex società autostradale il fulcro dell’ operazione: conquistare una quota rilevante della Brescia Padova, sottoscrivendo i pezzi che venivano sul mercato (tra cui l’ ex quota della Serravalle) fino ad arrivare a quote simili ad Astaldi. E partire da qui per gestire l’asse visto che Gavio è il secondo operatore in Italia, ma non è presente in Veneto: non solo mettere un piede da Brescia a Padova ma andare oltre. C’è infatti anche la Cav, la società che gestisce il Passante che deve comunque fare una gara per la gestione, visto che non può continuare ad essere concedente e concessionario. E poi Autovie, chissà, la cui concessione scade nel 2017. L’arresto di Baita ha fermato e forse sepolto questo disegno. Gavio, a quanto se ne sa, non vuole sottoscrivere gli aumenti di capitale della Serenissima che dovevano permettere di comprare altre quote della Brescia-Padova. Autovie aveva già storto il naso prima dell’ arresto di Baita. Mantovani starà fermo probabilmente per lungo tempo. Così la Brescia Padova e fors’anche la Cav devono trovare un futuro e qualcuno che punti e tracci un altro disegno in un mondo che si è fatto più difficile. Non si sa se lo potranno fare i soggetti pubblici, che la politica leghista divide e che sono in minoranza. Intesa che finora aveva avuto una posizione in equilibrio tra pubblico e privato, non ne vuol sapere di essere azionista stabile. I privati con le loro quote sono in bilico. Insomma per il Veneto un bel rebus da risolvere. (a.c.)
Nuova Venezia – Mantovani, E l’inchiesta avanza: versati due milioni alla rivista “Il Punto”
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28
mar
2013
Indagini su Baita, la Procura di Venezia sospetta che i fondi servissero a ottenere informazioni sull’attività istruttoria
VENEZIA – La Guardia di finanza, grazie alle perquisizioni del 20 marzo scorso nella redazione della rivista di Roma «Il Punto» e nelle case del direttore editoriale e di un suo collaboratore, ha trovato le fatture: sono più di una decina e dimostrano che «Mantovani spa» di Piergiorgio Baita e «Adria Infrastrutture» di Claudia Minutillo avrebbero versato nel giro di un anno e qualche mese oltre due milioni di euro al settimanale che ha sede in via Nazionale 75. L’imprenditore di Polverara Mirco Voltazza aveva parlato di 200 mila euro perché lui aveva assistito ad un unico versamento, ora grazie alle fatture e ai pagamenti, il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha ricostruito il flusso di finanziamenti ed ha scoperto che la cifra di 200 mila euro era probabilmente riferita ad un mese: nelle fatture si parla genericamente di «sostegno finanziario» a «Il Punto» e sono più di dieci, a partire dalla fine del 2011 fino al gennaio 2013. Il sospetto è che tutto quel denaro sarebbe stato versato perché Alessandro Cicero, direttore editoriale, e il collaboratore ed ex carabiniere Enzo Manganaro, sarebbero uomini dei servizi segreti e in gradi di contattare i vertici della Guardia di finanza in modo da ottenere informazioni sull’indagine che la Procura e le «fiamme gialle» di Venezia stavano conducendo. Non è un caso, dunque, che durante le perquisizioni i finanzieri abbiano trovato «decreti di perquisizione, bozze di lavoro non firmate dell’ordinanza di custodia cautelare e dati relativi al magistrati procedenti» scrive il Tribunale del riesame. La caccia ai fondi neri nel frattempo prosegue: gli inquirenti ritengono che siano finiti in conti correnti cifrati in banche della Svizzera e della Croazia. A conoscere i particolari, però, sarebbero soltanto Baita e il responsabile dell’amministrazione della Mantovani, il ragioniere Nicolò Buson, ed entrambi non hanno parlato, a differenza di Claudia Minutillo e di William Colombelli che, anche per questo, hanno ottenuto gli arresti domiciliari, mentre i primi due sono ancora in carcere, il primo in quello di Belluno, il secondo in quello di Treviso. Il Tribunale del riesame di Venezia sia per Baita sia per Buson ha respinto i ricorsi dei difensori, sostenendo che indizi e prove sono gravi e sufficienti e che c’è il pericolo di inquinamento probatorio nel caso fossero scarcerati. Mentre Baita ha molto da perdere, Buson era un semplice dipendente anche se con grandi responsabilità e quindi c’è chi non capisce perché si ostini a tacere, soprattutto dopo che Minutillo e Colombelli hanno confermato con le loro dichiarazioni le contestazioni dell’accusa. Ma dal carcere esce la voce che Buson ha paura, teme di pagarla in qualche modo nel caso decidesse di raccontare quello che sa. Tra l’altro, avrebbe letto l’incendio alle tre automobili, di cui due di proprietà Mantovani, ai cantiere del Mose di Pellestrina come un messaggio indirizzato a lui o, meglio, come una minaccia. Alle auto è stato dato fuoco sabato 16 marzo, alla sera: l’obiettivo erano i due mezzi di proprietà della società di Baita, poi l’incendio si è propagato anche a quello di un pellestrinotto, che era parcheggiato non lontano. Il Tribunale del riesame lagunare dovrà esprimersi ancora una volta su questa vicenda domani: l’avvocato Fulvia Fois, infatti, ha presentato ricorso anche sul sequestro cher gli inquirenti hanno compiuto ai danni di Buson, così come ai beni degli altri tre arrestati. Il ricorso per quanto riguarda l’arresto del ragioniere della Mantovani è stato respinto , ora i giudici esamineranno quello che riguarda i beni, si tratta di un appartamento a Padova. Quello presentato dall’avvocato Paola Rubini per i beni di Baita è stato accolto, ma è probabile che nei prossimi giorni ne venga firmato un secondo sempre sugli stessi beni.
Giorgio Cecchetti
Nuova Venezia – Venezia, Ex ospedale, i 32 milioni restano a Ca’ Farsetti
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27
mar
2013
Lido, il giudice civile dà ragione al Comune. «I ritardi? Colpa di Est Capital» La Finanziaria: «Una sentenza errata e ingiusta. Faremo ricorso in appello»
I soldi dell’Ospedale al Mare restano al Comune. La colpa dei ritardi nelle autorizzazioni non è da attribuire a Ca’ Farsetti ma alla società acquirente che ha presentato in ritardo le richieste. Il Tribunale dà ragione all’amministrazione comunale, patrocinata dall’avvocato civico Giulio Gidoni, e nega a Est Capital la restituzione dei 31,6 milioni di euro versati come acconto per l’acquisto dell’ex ospedale del Lido. Primo round al Comune, dunque. Ieri il giudice civile Manuela Bano ha depositato l’attesa sentenza sul ricorso presentato dal Comune. Provvedimento cautelare d’urgenza, a cui dovrà fare seguito la causa di merito. Ma intanto il Comune segna un punto importante. E adesso per la nuova trattativa con la finanziaria l’amministrazione pubblica parte da un punto di forza. Nell’ordinanza il giudice definisce infondate le motivazioni addotte dalla finanziaria padovana, tutelata dagli avvocati Alfredo Biagini e Alfredo Bianchini. Nel giugno dello scorso anno, la richiesta di annullare il contratto preliminare di acquisto e di rientrare in possesso delle somme versate era stato motivato da Est Capital con i «ritardi nelle autorizzazioni ad opera del Comune». In sostanza la società reclamava il diritto di stracciare il contratto perché le autorizzazioni non erano state consegnate nei tempi previsti. Il giudice ricorda «la tardiva consegna da parte di Est Capital del progetto di bonifica e la mancanza del progetto costruttivo, prodromici al rilascio dei permessi». Dunque, scrive il magistrato, «il mancato rispetto dei termini da parte del Comune invocato da Est Capital ai fini della presente fase cautelare non trova pregio». In sostanza, la responsabilità è dei privati. Perché anche l’autorizzazione alla demolizione del Padiglione Rossi era stata rilasciata «in sede di Conferenza dei servizi il 9 giugno 2011». Più in generale il giudice ribadisce che in caso di contratti sottoposti a condizione sospensiva, come appunto quello tra Est Capital è il Comune, non si può dar luogo a risoluzione per inadempimento, ma solo se una delle parti non osserva i «doveri di lealtà e correttezza», come previsto dall’articolo 1358 del codice civile. Una sentenza in qualche modo attesa e auspicata dal Comune e dal sindaco avvocato Giorgio Orsoni che ribadisce come si sia dimostrata la correttezza dell’operato del Comune. Ma ha provocato la dura reazione della finanziaria, che annuncia ricorsi. «Est Capital esprime la convinta opinione che questo provvedimento sia totalmente errato e ingiusto», si legge in una nota, «e conseguentemente proporrà reclamo nelle competenti sedi giudiziarie per ottenerne la completa riforma». La parola passa adesso alla Corte d’Appello. E i tempi si allungano. Intanto in primo grado il giudice ha anche condannato la finanziaria al pagamento delle spese (2500 euro), disponendo che la somma di 31,6 milioni di euro resti depositata presso la tesoreria della Cassa di Risparmio ma con «vincolo di indisponibilità da parte del Comune». In sostanza per avere una decisione si dovrà attendere la pronuncia nel merito del Tribunale. Nel frattempo Est Capital, già bisogniosa di liquidità per portare avanti le operazioni di restauro dell’Excelsior, Des Bains e Lungomare, si vede congelati 31,6 milioni di euro. Una vicenda che potrebbe influire pesantemente sugli equilibri finanziari della società padovana presieduta da Gianfranco Mossetto. Che ora annuncia battaglia.
Alberto Vitucci
Vendita della struttura sanitaria, pasticcio infinito iniziato nel 2008
Un pasticcio quasi pari a quello del Palazzo del Cinema. Cominciato proprio per finanziare la grande opera necessaria allo sviluppo del Lido. Dopo aver acquistato per 28 milioni di euro l’Ospedale al Mare dismesso dall’Asl 12, il Comune lo ha messo in vendita alla somma di 65 milioni. Nel frattempo è stata approvata la Variante urbanistica che consente di realizzare nell’ex area sanitaria casette, centri benessere, alberghi, negozi. Centro turistico-commerciale con concessione della spiaggia annessa e nuovo porticciolo da mille posti barca a San Nicolò. Progetti approvati con poteri straordinari dal commissario del governo Vincenzo Spaziante. Unica partecipante alla gara la finanziaria Est Capital sgr, con la società Real Venice 2 di cui sono azionisti Mantovani, Condotte e Fincosit, le imprese del Mose.
(a.v.)
Nuova Venezia – Mantovani, 35 fatture sotto la lente dei pm
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27
mar
2013
Inquirenti alla ricerca dei fondi sommersi e di chi se ne è avvantaggiato. Quei 283 conti bancari attivi
VENEZIA – Al momento dell’arresto per frode fiscale – per mezzo di almeno «35 fatture per operazioni inesistenti di cui 25 concretamente utilizzate in frode all’Erario, per importi di oltre 10 milioni di euro» – l’ex presidente di Mantovani Piergiorgio Baita aveva 283 «posizioni bancarie attive» e sul suo personal computer sono stati rinvenuti «programmi particolarmente evoluti, normalmente in uso ad hacker e professionisti informatici per assicurare forme di comunicazioni non rintracciabili». Pillole di questo “mondo a parte” dove vorticano decine di milioni di euro arrivano dal provvedimento con il quale il Tribunale del Riesame – a firma del presidente Angelo Risi – ha respinto l’istanza di scarcerazione presentata dai legali dell’ex direttore di Mantovani, Nicolò Buson, «non un semplice contabile, ma il responsabile amministrativo di un’impresa di costruzioni importante come la Mantovani che gli aveva conferito una procura speciale». Una posizione che – secondo i giudici – gli attribuisce «un ruolo di essenzialità nel programma criminoso». Gli indagati Claudia Minutillo e Mirco Voltazza raccontano che lui gestiva i bilanci e a lui venivano talvolta riconsegnati i soldi che uscivano dalle casse della Mantovani per pagare fatture inesistenti, per conto di Baita: «Profitti dell’associazione non ancora rintracciati». Dunque, l’inchiesta del pm Ancillotto – affiancato dal collega Buccini che sta controllando la contabilità del Mose – e della Finanza cerca ora i danari in nero e chi se ne è avvantaggiato, oltre agli indagati. Danari che – secondo la ricostruzione – sono serviti anche a finanziare attività d’indagine per arginare l’inchiesta, con l’accordo per 1,32 milioni (440 mila pagati) del contratto tra Baita e la Ditta Italia Service di Voltazza, «per anticipare aggressioni di forze dell’ordine o magistratura», «con attività d’intelligence informazioni e bonifica ambientale» e il ruolo da chiarire del giornale online «Il punto» che – accusa Voltazza – «oltre ad essere un giornale, era un’agenzia dei servizi segreti» e ha ricevuto centinaia di migliaia di euro da Baita. «Deve rilevare il 51% della testata», la replica del direttore Cicero. Indagine tutta aperta. (r.d.r.)
Gazzettino – Mantovani, La “cricca” degli appalti aveva in mano i verbali
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26
mar
2013
MANTOVANI – Il ruolo di Buson nelle operazioni di riciclaggio
Baita, tutti i verbali della Finanza nelle mani della cricca degli appalti
L’ex direttore amministrativo della Mantovani, il ragioniere padovano Nicolò Buson, non era un semplice “ufficiale pagatore” e il suo ruolo nella vicenda delle false fatture milionarie è ben più rilevante rispetto a quanto sostiene la difesa. Lo scrive il Tribunale del riesame di Venezia nelle motivazioni al provvedimento con cui, venerdì scorso, ha confermato per lui il carcere. Nelle 17 pagine depositate ieri, il presidente Angelo Risi fa riferimento a «un’attività di inquinamento probatorio» direttamente riferibile a Buson, attività che si sarebbe affiancata a quella contestata al presidente Piergiorgio Baita (dimessosi dopo l’arresto), il quale avrebbe messo a disposizione più di un milione e 300mila euro alla società Italia Service di Mirco Voltazza per «anticipare eventuali aggressioni da parte di forze dell’ordine e magistratura», e ulteriori consistenti somme di denaro alla rivista romana “Il Punto” che, secondo lo stesso Voltazza, «oltre a essere un giornale era un’agenzia dei servizi segreti». A svelargli tale circostanza sarebbe stato lo stesso direttore editoriale della rivista, Alessandro Cicero, nel presentargli un collaboratore ex carabiniere, Enzo Manganaro. É stato lo stesso Voltazza, dopo essere rientrato dalla latitanza in Croazia, a riferire agli inquirenti che «Nicolò Buson andò a Roma dal Manganaro, il quale gli disse, dopo averlo portato presso la sede della rivista in via Nazionale, che avrebbero potuto risolvere i problemi con la Magistratura e la Guardia di Finanza con il pagamento di 200.000 euro in luogo del 100.000 pagati fin allora perché altrimenti “sarebbe stata la fine”».
Voltazza ha spiegato che è stato lo stesso Buson a informarlo del pagamento da parte della Mantovani di importanti somme di denaro al Manganaro «per sistemare le cose». E, sempre Buson avrebbe dato a Voltazza «delle chiavette con tutti i verbali fatti dalla Guardia di Finanza di Padova e Venezia» che sarebbero poi stati consegnati ad un tale Marazzi «in quanto anche quest’ultimo aveva possibili agganci all’interno della Guardia di Finanza o di persone altolocate che sarebbero potuti intervenire in favore del gruppo Mantovani». Sul ruolo di Busan nelle false fatturazioni, il Riesame scrive che la frode era di tale entità da non poter «passare inosservata ad un qualunque soggetto che si occupi di contabilità». Ma ci sono anche «plurime e convergenti chiamate in correità provenienti da altri coindagati». Claudia Minutillo, amministratrice di Adria Infrastrutture (ed ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan) ha parlato in capo a Buson di «piena consapevolezza della complessiva illiceità di tutte le operazioni contabili».
Voltazza ha invece rivelato che Buson avrebbe avuto un ruolo ben preciso anche «in riferimento ad altri e ulteriori episodi di riciclaggio di somme provenienti dalla fatturazione per operazioni inesisenti», diversi da quelli realizzati con la Bmc Broker di William Alfonso Colombelli. «Il sistema era il seguente: – ha raccontato Voltazza – le somme venivano portate da Marazzi in contanti, dopo averle fatte rientrare dalla Croazia… I soldi erano messi in buste aperte e fuori dalle stesse per controllare che la somma contenuta corrispondesse a quella indicata e che io avrei dovuto restituire al Buson. Poi consegnavo le somme al Buson. Ho fatto questo tipo di lavori per il Baita 7, 8 volte…» Buson, insomma, non si sarebbe limitato a pagare le false fatture, ricevendo «direttamente le liquidità di provenienza illecita gestendole in nome e per conto degli organizzatori dell’associazione per delinquere».
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