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L’ex segretaria di Galan: lettere del faccendiere per ottenere la cessione della “cartiera”

Primo giorno agli arresti domiciliari trascorso consultando gli atti del procedimento

MESTRE – La prima telefonata di Claudia Minutillo, venerdì sera appena uscita dal carcere della Giudecca, è stata per l’avvocato padovano Carlo Augenti, suo legale da quando il suo ex compagno l’aveva minacciata perché lei convincesse Piergiorgio Baita ad acquistare la società “cartiera” usata per creare fondi neri a favore della Mantovani. Il primo abbraccio della donna è stato al suo compagno che l’ha attesa fuori dal carcere. Claudia Minutillo, il primo giorno agli arresti domiciliari. L’ex segretaria di Giancarlo Galan, quando era presidente della Regione e arrestata nell’inchiesta “Chalet” che ha portato in carcere anche il presidente della “Mantovani” Piergiorgio Baita, ha scelto come domicilio un’abitazione del compagno. Questi è l’unica persona che potrà incontrare e con cui potrà parlare. «Al telefono mi ha ringraziato. Non credeva più di uscire ed era molto provata. Del resto non mangiava e non dormiva più da una settimana. Era già calata tre chili e mezzo e per una persona che pesa poco più di cinquanta chili sono tantissimi», racconta l’avvocato Carlo Augenti. Il legale padovano assiste Claudia Minutillo da tre anni, da quando la donna ha interrotto la relazione con il faccendiere Wiliam Colombelli, il titolare della “BMC Broker”, la società cartiera accusata di aver fatto fatture false con le quali la Mantovani e un’altra ventina di società hanno creato fondi neri. Una relazione, quella tra Colombelli e la Minutillo, terminata a dir poco in maniera burrascosa. Infatti l’uomo oltre a sequestrare in casa l’ex compagna e più volte l’ha minacciata, con lettere pesanti, per indurla a convincere Piergiorgio Baita ad acquistare la “cartiera” delle fatture false per 3 milioni di euro. Ieri la prima visita del legale alla donna. «L’ho trovata decisamente meglio rispetto all’interrogatorio di lunedì. L’ho vista più serena e già pensa su come deve organizzarsi la vita mentre rimane agli arresti domiciliari. Le ho spiegato che la durata di questo periodo non sarà breve. Prima di chiedere una misura cautelare, diversa da quanto disposto dal giudice, bisogna attendere le verifiche della Procura». La prossima importante tappa dell’inchiesta sarà l’udienza davanti al Tribunale del Riesame, alla quale si è rivolto il difensore di Baita, Paola Rubini, che ha chiesto di spostare a Padova il procedimento. Udienza in programma per venerdì prossimo. È evidente che l’interrogatorio di Claudia Minutillo è stato ritenuto molto positivo da parte della Procura, se nel giro di pochi giorni è arrivato il parere favorevole del pm Stefano Ancillotto titolare delle indagini, affinché l’imputata venga messa agli arresti domiciliari. Del resto ha parlato per sei ore. E non ha solo ammesso le proprie colpe su quanto già avevano ampiamente dimostrato, con prove, gli investigatori del Gico della Guardia di Finanza di Mestre. Ed è certo che in molti temono cosa possa aver raccontato Claudia Minutillo. E quell’interrogatorio da parte del pm Ancillotto, ha fatto perdere il sonno a qualcuno. «La signora Minutillo ha voluto copia dei dischetti che contengono gli elementi raccolti a suo carico dalla Guardia di finanza. Ha già letto la gran parte dei giornali che hanno parlato della vicenda ed è rimasta molto seccata dai toni della lettera che ha scritto ai quotidiani Mirco Voltazza (altro indagato nella vicenda e latitante in seguito ad una condanna, per altri reati, passata in giudicato), che promette di rientrare in Italia e sistemare lui le cose», conclude l’avvocato Augenti.

Carlo Mion

 

Una confessione chiave di sei ore

Il pm cerca riscontri dopo la deposizione della manager di Adria Infrastrutture

VENEZIA – Mentre la Guardia di finanza di Venezia e Padova prosegue l’analisi della documentazione sequestrata negli uffici e nelle case non solo dei quattro arrestati, ma anche di una decina di imprenditori dei quali ancora nessuno è indagato, il pubblico ministero lagunare Stefano Ancilotto ha avviato i riscontri sulle dichiarazioni rese da Claudia Minutillo, l’ex segretaria dell’allora governatore del Veneto Giancarlo Galan trasformatasi in manager sotto l’ala protettrice di Piergiorgio Baita e della «Mantovani spa». Lunedì scorso, la donna ha risposto per ore alle domande del rappresentante della Procura e ha fornito informazioni che non riguardano solamente la vicenda dei dieci milioni di fatture false della «Bmc Broker» di San Marino. Grazie alla sua collaborazione ha ottenuto gli arresti domiciliari ed è uscita dal carcere femminile della Giudecca giovedì scorso. Gli altri tre, invece, sono ancora in carcere: Baita in quello di Belluno, William Colombelli a Genova e Nicolò Buson a Treviso. I primi due sperano nel Tribunale del riesame presieduto dal giudice Angelo Risi, che venerdì 15 affronterà i ricorsi presentati dai loro difensori, gli avvocati Paola Rubini, Piero Longo e Renzo Fogliata. Puntano almeno ad ottenere gli arresti domiciliari, una scelta che non metterebbe in discussione l’impianto accusatorio, ma che permetterebbe ai due di tornare a casa e lasciare la cella dove sono ormai da dieci giorni. I difensori di Baita puntano anche alla dichiarazione di incompetenza territoriale da parte dell’autorità giudiziaria veneziana: stando a loro, tocca a quella di Padova portare avanti le indagini, visto che la sede amministrativa della «Mantovani spa», dove è avvenuta la verifica fiscale dello scorso anno, si trova nella città del Santo. I quattro devono rispondere di associazione a delinquere, il reato più grave, e di frode fiscale. Baita in qualità di presidente della Mantovani e Minutillo di amministratore delegato di «Adria Infrastrutture» avrebbero utilizzato fatture fasulle per dieci milioni di euro emesse dalla «Bmc Broker» di San Marino di cui è presidente William Colombelli. Mentre Buson rimasto implicato in qualità di responsabile amministrativo della «Mantovani» è accusato di aver predisposto i pagamenti per le fatture fasulle, grazie alle quali l’impresa veneziana avrebbe accumulato «fondi neri» per circa 8 milioni (i due che mancano li avrebbe intascati Colombelli).

 

Era seduto su 43 poltrone tutti gli incarichi di Baita

Il numero 1 della Mantovani nei cda di una galassia di società pubbliche e private

La Guardia di finanza sta passando al setaccio la contabilità di tutte le aziende

PADOVA – L’attività professionale dell’ingegnere Piergiorgio Baita è un ginepraio di incarichi declinati in decine di società diverse. Tutte, inevitabilmente legate agli appalti milionari, spesso in project financing per la realizzazione di opere pubbliche. Secondo i dati della Camera di commercio di Padova, l’ormai ex presidente della Mantovani Costruzioni Spa, compare almeno in 43 società diverse, altri dieci incarichi sono cessati in tempi più o meno recenti. In questi giorni, poi, i legali dell’ingegnere stanno revocando tutte le sue posizioni: scelta attuata, così hanno spiegato i suoi avvocati, per proseguire più liberamente la sua battaglia per dimostrare la sua innocenza rispetto alle accuse di frode fiscale. In provincia di Padova le società in cui Baita compare sono 13: risulta presidente del consiglio di amministrazione di Consortile Venezia Lavori, S.P.V. Società Consortile, Consorzio Lepanto, Consorzio Litorali Venezia, Talea e Talea 2, Fama, Consorzio C.D.P., S.I.N. Est, Consortile per l’Expo 2015. È consigliere e membro del comitato esecutivo di Veneto City, consigliere delegato di Mose-Treporti e presidente del consiglio direttivo di Serenissima Consorzio Stabile. Ben 22 le poltrone di Baita in laguna: le società veneziane in cui presiede il consiglio di amministrazione sono Palomar, Mantovani, Nuova Romea Spa, Mose-Treporti, S.I.F.A Società consortile, Consorzio V.D.M.– Vie del Mare, Alfa Società consortile, Consorzio Nog.Ma, Arsenale Nuovo, Consorzio Veneti Nuova Romea e La Strada del Mare. È vice presidente di Società delle Autostrade Serenissima, Veneta Sanitaria Finanza di Progetto, Gra di Padova, Adria Infrastrutture, di cui è presidente Claudia Minutillo, e di Venice Ro-Port Mos. Baita è poi consigliere del Consorzio Venezia Nuova, (che sta realizzando il Mose) della società Alles presieduta da Claudia Minutillo, consigliere delegato di Costruzioni Mose Arsenale, consigliere di Intecno Società Consortile. Per la Costruzioni Arsenale Nuovo di Venezia è amministratore delegato, per il Consorzio Si.Tre è presidente del consiglio direttivo e consigliere per la Intecno, di cui è presidente Claudia Minutillo. Le altre società nel cui organigramma di management compare il nome di Piergiorgio Baita sono La Giubileo Messidoro Società consortile di Argenta (Fe), I.L.I.A Or-Me di Genova, La Quado di MilanoMazara Società consortile di Mazara (Tp), Summano Sanità a Vicenza. Tre le società veronesi: la Confederazione Autostrade, Consorzio Pedemontana Veneta, Autostrada Nogara Mare Adriatico. Le dieci società cessate da Baita prima che scoppiasse la bufera sulle false fatture e la frode fiscale in combutta con Claudia Minutillo, Nicolò Buson e William Colombelli, sono Laguna Dragaggi Spa di Ravenna e Campagna Lupia (Ve), Nuova Domina e T.S.I di Sesto San Giovanni (Mi), Metroveneta Città e Gra di Padova, Nuova Romea a Venezia. Tutte le società in cui Baita risulta coinvolto sono nel mirino della Guardia di finanza: alcune sono state già perquisite, altre lo saranno. Così come al vaglio degli uomini dei nuclei di polizia tributaria di Padova e Venezia sono le società sospettate di aver prodotto fatture false, oltre alla Bmc Broker di San Marino di William Colombelli. Si tratta di società che hanno pagato fatture risultate false, ma anche loro stesse promotrici di falsi documenti, ingrossando le fila delle società “cartiere” sul modello della Bmc. Le Fiamme gialle sono in azione a Roma, Bologna, Mestre, Padova, Casalecchio sul Reno. Ventitré le sedi perquisite sinora, ma ce ne sarebbero almeno una settantina in elenco. Sono stati raccolti centinaia di faldoni pieni di documenti: perlopiù dimostrerebbero l’esistenza di fatture false, create per pagare lavori in realtà già svolti da altri. Lo stesso meccanismo della Bmc Broker. Secondo gli investigatori Baita & soci creavano così fondi neri. Ora si tratta di capirne la destinazione. Oltre alle banche di San Marino sono state trovate tracce di trasferimenti in paradisi fiscali come Panama.

Elena Livieri

 

I GRILLINI E LA COMMISSIONE D’INCHIESTA REGIONALE

«Zaia deve coinvolgere anche il M5S»

PADOVA – Finanza di progetto nel mirino del Movimento 5 Stelle, ma non solo. Gli eletti nelle liste di Grillo ieri hanno dedicato al tema una conferenza stampa a Padova dove si è parlato anche del caso Baita e dell’inchiesta avviata dalla procura di Venezia. Dopo aver ricordato che a dicembre, cioè «in tempi non sospetti» il movimento di Grillo aveva inviato una lettera al governatore Luca Zaia chiedendo di approfondire le scelte fatte in tema di partnerariato pubblico-privato, il neosenatore Enrico Cappelletti ha commentato l’operato della commissione di inchiesta avviata dalla regione Veneto. «È un fatto positivo che vogliano entrare in commissione per verificare quello che non hanno verificato fino ad ora. Per fortuna è maturato un accordo bipartisan, inizialmente si era pensato a una composizione politica di maggioranza , poi si sono state coinvolte le opposizioni. Noi proponiamo un’ulteriore integrazione con altre personalità. E vogliamo trasparenza, con tutti i documenti sulla finanza di progetto on-line, anche con i piani economici finanziari e le convenzioni già sottoscritte. Se non c’è nulla da nascondere bene, d’altra parte Zaia ha detto che la Regione sarà un palazzo di cristallo. E anche il M5S deve poter verificare cos’ha fatto la Mantovani in Veneto». (v.v.)

 

Venerdì sostituito il presidente arrestato

la famiglia chiarotto in azione

Romeo Chiarotto non ha intenzione di perdere tempo. Il patron della Mantovani Costruzioni Spa, tramite Serennisima Holding, ha annunciato per venerdì prossimo, 15 marzo, il rinnovo del consiglio di amministrazione. Passaggio necessario dopo le dimissioni dalla presidenza di Piergiorgio Baita. Quest’ultimo detiene il 5% della società di costruzioni, (il restante 95% è della famiglia Chiarotto), anche se la Guardia di finanza di Venezia e Padova che conduce le indagini sta per sequestrare le quote detenute dall’ingegnere arrestato. Prima dello scoppio del terremoto giudiziario quel 5% della Mantovani valeva almeno 20 milioni di euro sul mercato, dal momento che, nonostante il capitale dell’azienda sia di 50 milioni, il volume di affari è di almeno 450. La Finanza conta di garantire con quel patrimonio, che va per altro ad aggiungersi ai conti correnti e agli appartamenti già posti sotto sequestro preventivo, gli eventuali danni che Baita sarà chiamato a risarcire nel momento in cui la sua vicenda giudiziaria si concluda con una condanna. Del resto la famiglia Chiarotto ha già dato mandato ai suoi legali per avviare, qualora se ne ravvisassero gli estremi, un’azione di responsabilità. Venerdì, intanto, verrà nominato il nuovo cda della Mantovani: in pole position per la presidenza c’è il figlio di Romeo Chiarotto, Giampaolo, già nel cda insieme a Piergiorgio Baita e Paolo Dalla Via. (e.l.)

 

Nuova Venezia – Sequestro per le azioni Mantovani di Baita

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

9

mar

2013

Valevano venti milioni prima dell’inchiesta.

Zaia primo firmatario per l’istituzione della commissione d’inchiesta

PADOVA – La Guardia di finanza sta per sequestrare il 5% di azioni di proprietà di Piergiorgio Baita della Mantovani Costruzioni Spa. Dopo il sequestro dei conti correnti e degli appartamenti intestati all’ormai ex presidente del colosso delle costruzioni, i finanzieri hanno messo gli occhi sul patrimonio azionario dell’ingegnere sessantaquattrenne, in carcere da giovedì scorso a Belluno. Con lui, con l’accusa di frode fiscale, sono stati arrestati il responsabile amministrativo della Mantovani Nicolò Buson, la presidente di Adria Infrastrutture Claudia Minutillo e l’imprenditore di San Marino William Colombelli. Ieri, intanto, la Regione ha dato il via libera alla commissione di inchiesta che dovrà valutare le procedure seguite per i vari project financing. Baita, che ha rimesso nei giorni scorsi i suoi incarichi, detiene il 5% di quote della Mantovani, mentre il 95% è in capo a Serenissima Holding della famiglia Chiarotto. Il capitale sociale della società di costruzioni è di 50 milioni di euro, ma il volume di affari è di almeno 450 milioni. Le quote valgono nominalmente due milioni e mezzo, ma, almeno prima della bufera giudiziaria che si è scatenata, avevano nel mercato un valore dieci volte superiore, arrivando a venti milioni. I nuclei di polizia tributaria della guardia di finanza di Padova e Venezia hanno deciso di congelare questo “tesoretto” di Baita. Lo scopo è di garantire una fonte per l’eventuale risarcimento danni cui l’ingegnere potrebbe essere condannato qualora le accuse a suo carico venissero confermate in giudizio. La Finanza, come registrato nell’ordinanza di custodia in carcere del gip Alberto Scaramuzza, ha disposto nei confronti di Baita il sequestro preventivo di due conti correnti e cinque appartamenti (uno a Mogliano Veneto, uno a Treviso, due a Lignano Sabbiadoro e uno a Venezia). Evidentemente non bastano più. Le indagini sul giro di false fatture, infatti, stanno allargando il raggio di azione del sodalizio di Baita & soci e conseguentemente lievita anche l’entità delle somme illecitamente “distratte” dalle varie società tramite le false fatture. Nei giorni scorsi la stessa famiglia Chiarotto ha dichiarato di aver dato mandato ai propri legali di verificare se vi sono gli estremi per avviare un’azione di responsabilità, finalizzata al risarcimento dei danni. Ieri la Regione ha ufficializzato l’istituzione di una commissione speciale d’inchiesta: primo firmatario della proposta depositata in consiglio regionale dal Pd è il governatore Luca Zaia. Il documento è sottoscritto dai capigruppo Lucio Tiozzo del Pd, Stefano Valdegamberi dell’Udc, Antonino Pipitone dell’IdV, Diego Bottacin, del gruppo misto, Pietrangelo Pettenò di Sinistra veneta, Carlo Alberto Tesserin per il Pdl. La commissione avrà una durata di sei mesi (prorogabili a 12), sarà composta da nove consiglieri nominati dall’Ufficio di Presidenza (cinque di maggioranza e quattro di opposizione) e sarà presieduta da un esponente dell’opposizione. Lo scopo è di «verificare procedure, costi e tempi di affidamento, aggiudicazione e realizzazione dei lavori pubblici di competenza regionale, con particolare riguardo a quelli eseguiti con il project financing».

Elena Livieri

 

La ragnatela, settanta le società sospette  

La Guardia di Finanza ha sequestrato migliaia di faldoni con accessi fiscali senza bisogno di mandato

MESTRE – Oltre all’elenco di tredici aziende già reso pubblico la scorsa settimana, ce ne sono altre otto che sono state perquisite e che sono emerse durante l’analisi dei conti correnti trovati a San Marino e riconducibili alla “BMC Broker” di William Colombelli. Società che hanno versato denaro per delle fatture false, ma anche loro stesse hanno prodotto documenti falsi diventando, a loro volta, delle “società cartiera”. Le altre aziende perquisite sono: “Egg Srl”, di Roma; “Linktobe” di Sestola (Modena); “Italia Service”, di Mestre; “Italia Service” di Rovigo; “Centro Elaborazione Dati di Zuffi”, di Bologna; “Linea 5 Srl”, di Casalecchio sul Reno; “Eracle Scarl”, di Bologna; e “A4 Holding”, di Padova. Durante le perquisizioni sono stati sequestrati migliaia e migliaia di documenti relativi anche ad altre società, alcune decisamente delle “cartiere”. Individuate, fino a ora, una settantina di società sospette. Le perquisizioni hanno riguardato 23 siti. Diversi documenti sono stati trovati in luoghi diversi da quelli indicati nei mandati di perquisizione. A quel punto i finanzieri hanno compiuto degli “accessi fiscali”, che non hanno bisogno dell’autorizzazione del pm per essere svolti. I corridoi della caserma del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria di Venezia, a Mestre, sono pieni di scatoloni e di faldoni (diverse centinaia), pieni zeppi di documenti. Molti sono relativi a fatture false di operazioni pagate due volte. Sempre questi documenti portano ad altre società create ad arte da amici della “cricca”, capeggiata, secondo gli investigatori coordinati dal pm Stefano Ancillotto, da Piergiorgio Baita, con lo scopo di produrre fatture false. Per ora sono state analizzate le fatture relative ai lavori realizzati per le dighe mobili del Mose. In base ai documenti fin qui sequestrati, quelle riconducibili ad altri lavori, ammontano se non superano i 10 milioni di euro di “nero”, attribuiti alla “cricca” di Baita. Piergiorgio Baita è ancora nel carcere di Belluno e attende venerdì quando il Tribunale del Riesame, deciderà sulla richiesta, del suo difensore Paola Rubini, di portare il procedimento a Padova. Nel frattempo trascorre le giornate leggendo. Legge molti giornali e libri.

Carlo Mion

 

Scarcerata Minutillo, gip e pm: ok ai domiciliari  

Mirco Voltazza annuncia: «Qualcuno mi ha consigliato di espatriare, ma sono pronto a rientrare in Italia»  

VENEZIA – Claudia Minutillo, grazie alla sua collaborazione iniziata con il lungo interrogatorio di lunedì davanti al pubblico ministero di Venezia Stefano Anciotto, ha ottenuto gli arresti domiciliari. Nel primo pomeriggio di ieri è uscita dal carcere femminile della Giudecca ed è potuta rientrare nella sua casa di via Gatta a Mestre, dalla quale però non potrà uscire se non autorizzata, pena l’accusa di evasione. Lo stesso rappresentante dell’accusa ha dato parere favorevole al provvedimento firmato dal giudice Alberto Scaramuzza, lo stesso che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare per lei, Piergiorgio Baita e gli altri due indagati. Evidentemente, nei suoi confronti, sono cadute le esigenze cautelari, visto che non solo avrebbe ammesso le sue responsabilità, ma avrebbe anche completato con alcune rivelazioni il quadro accusatorio in mano agli inquirenti. Esigenze cautelari che, invece, non sono scemate per gli altri, tanto che i difensori di Baita e William Colombelli hanno presentato ricorso al Tribunale del riesame, che ha fissato l’udienza per il 15 marzo. Intanto, dall’estero dove si trova, l’imprenditore padovano Mirco Voltazza, ricercato perché sul suo capo pende un ordine di carcerazione, ha inviato un comunicato dal titolo «Sono pronto a rientrare in Italia». Il geometra di Polverara deve scontare un anno e mezzo di reclusione dopo una condanna per peculato, ricettazione e calunnia. Non è indagato nell’inchiesta sulla Mantovani, così come non lo è il suo socio Luigi Dal Borgo, anche se quest’ultimo è stato un assiduo frequentatore di Baita. I due hanno una serie di società con sede in via Fratelli Bandiera, dove ha la sua società anche una vecchia conoscenza della cronaca giudiziaria, l’ex segretario dell’allora ministro Carlo Bernini, Franco Ferlin, arrestato e poi condannato per corruzione. Società sulle quali la Guardia di finanza sta compiendo controlli accurati per accertare se anche in questo caso siano state emessi fatture per operazioni inesistenti a favore della «Mantovani». Voltazza scrive ai giornali: «Dopo le falsità dichiarate sul mio conto con riferimento al caso Mantovani, una cosa è certa: ho una condanna da scontare passata in giudicato. Alla quale il sottoscritto non ha mai avuto nessuna intenzione di sottrarsi. Ma mi è stato consigliato vivamente di andare fuori, onde evitare altre problematiche». Naturalmente non dice chi gli avrebbe dato il consiglio. Dopo una serie di elucubrazioni sull’indagine e su «finti collaboratori o pentiti dell’ultimo momento, Voltazza conclude sostenendo che vuole rientrare in Italia: «Ho intenzione di disattendere quei consigli», scrive, «e questo anche a costo della mia personale incolumità per fare piena luce su questa vicenda».

Giorgio Cecchetti

 

Minutillo vuota il sacco il giudice le dà i domiciliari

Arresti domiciliari per Claudia Minutillo, coinvolta nell’inchiesta delle false fatturazioni del gruppo Mantovani. La presidente di Adria Infrastrutture avrebbe ricostruito il meccanismo di truffa. Si fa vivo il ragionier Voltazza “latitante” e si dice pronto a tornare e spiegare tutto.

Secretati i verbali e qualcuno adesso trema

Parere favorevole del pm Ancilotto e il gip ha firmato la scarcerazione

RICORSO AL RIESAME – Nuove deposizioni sono state allegate dai pubblici ministeri

L’ex segretaria di Galan ha ricostruito il sistema delle false fatturazioni della Mantovani e dato indicazioni sulla destinazione dei milioni di euro “in nero” rientrati da San Marino

Minutillo vuota il sacco e ottiene i “domiciliari”

ATTESI SVILUPPI – Dopo una settimana prime rilevanti crepenel muro di silenzio

Arresti domiciliari per Claudia Minutillo. La presidente di Adria Infrastrutture è uscita dal carcere femminile della Giudecca ieri pomeriggio, dopo che il Gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, ha accolto l’istanza presentata dal suo difensore, l’avvocato Carlo Augenti. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto ha dato parere favorevole alla concessione della misura cautelare meno afflittiva spiegando che l’ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan, ha chiarito la sua posizione. Ma, evidentemente, c’è molto di più: nel lungo interrogatorio di lunedì l’indagata deve aver davvero “vuotato il sacco”, come si usa dire, non limitandosi soltanto a fornire conferme in merito alle false fatturazioni emesse della Bmc Broker di San Marino a favore della sua società e della Mantovani spa di Piergiorgio Baita, per le quali gli inquirenti ritengono, peraltro, di avere già suffienti elementi di prova documentali. Il verbale con le sue dichiarazioni è stato secretato e, quindi, è immaginabile che contenga particolari nuovi e forieri di ulteriori sviluppi dell’inchiesta; forse proprio nella direzione auspicata dagli investigatori, che stanno cercando di scoprire a cosa siano servite e a chi siano finite le provviste in “nero” realizzate grazie alle numerose fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti.
Le dichiarazioni della Minutillo sono state trasmesse al Tribunale del Riesame di Venezia che, venerdì prossimo, nell’udienza presieduta da Angelo Risi, dovrà effettuare un primo vaglio in merito alla fondatezza delle accusa formulate dal sostituto procuratore Stefano Ancilotto. I difensori di Baita, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, hanno anche sollevato un’eccezione di incompetenza dei giudici veneziani, sostenendo che l’indagine spetta alla magistratura di Padova dove si trovano gli uffici amministrativi della Mantovani (che a Venezia ha invece la sede legale). Davanti al Riesame la Procura avrebbe depositato anche i verbali di un paio di altri testimoni che, secondo indiscrezioni, hanno rilasciato dichiarazioni ritenute importanti per riscontrare gli elementi probatori già contestati nell’ordinanza di custodia cautelare.
Altre novità nell’inchiesta potrebbero arrivare dalla copiosa documentazione sequestrata contestualmente ai quattro arresti della scorsa settimana. La Guardia di Finanza ha già messo mano su una serie di documenti, alcuni dei quali rinvenuti in abitazioni private, che proverebbero l’esistenza di altre “cartiere”, ovvero di altre società del tipo della Bmc Broker, il cui principale compito sarebbe stato quello di produrre fatture fittizie.
Il meccanismo contestato alla Bmc Broker di William Alfonso Colombelli è piuttosto semplice e ha funzionato a lungo, probabilmente perché tutti confidavano sul fatto che la Repubblica di San Marino è uno dei “paradisi fiscali” inespugnabili. Invece le rogatorie del pm Ancilotto hanno consentito alle Fiamme Gialle a ottenere le informazioni che cercavano e di scoprire che, sulla base di una serie di contratti per la realizzazione di studi e progetti (che in realtà non sarebbero mai stati prodotti), Mantovani e Adria Infrastrutture hanno versato nel corso degli anni svariati milioni di euro alla società sanmarinese. Colombelli avrebbe trattenuto una percentuale del 15-20 per cento, per poi prelevare il rimanente in contanti e restituirlo a Baita e Minutillo. Nel corso degli anni in questo modo sarebbero state create riserve in “nero” per somme consistenti che potrebbero essere state utilizzate in svariati modi.

Gianluca Amadori

 

IL RETROSCENA   «Mi fu consigliato di andarmene via»

Si cercano altre “cartiere” di documenti taroccati

VENEZIA – Arriva in redazione una mail con le generalità del ragioniere padovano “latitante”

Voltazza: «Pronto a rientrare»

«Sono pronto a rientrare in Italia». Con un messaggio spedito via e-mail ieri, attorno a mezzogiorno, firmato Mirco Voltazza, il ragioniere padovano consulente della mantovani per l’Expo 2015 avrebbe annunciato l’intenzione di tornare «per fare piena luce su questa vicenda». Il condizionale è d’obbligo in quando non è stato possibile contattare Voltazza per avere conferma dell’autenticità del messaggio, inviato da un indirizzo di posta elettronica nel quale figurano il suo nome e cognome.
In questa e-mail, inviata alle redazioni dei principali mezzi d’informazione, il ragioniere conferma di avere una condanna passata in giudicato da scontare e spiega che gli «è stato consigliato vivamente di andare fuori onde evitare altre problematiche». Nel messaggio a firma Voltazza non si precisa chi gli avrebbe consigliato di andarsene, né quali sarebbero le altre problematiche da evitare. In compenso il ragioniere aggiunge che ha deciso «di disattendere i “consigli” e questo anche a costo della mia personale incolumità (spero che non si arrabbieranno in molti) per fare luce su questa vicenda».
Nella mail si parla di «falsità» riferite sul suo conto in relazione al caso Mantovani: «Penso all’ing. Baita e al rag. Buson che sono in carcere e stanno pagando colpe che bisognerà dimostrare, e invece “finti collaboratori o pentiti” dell’ultimo momento che magari sono i reali artefici di certe operazioni poco chiare e poi per salvarsi incolpano gli altri? Non è che dietro ci possono essere altri interessi?» scrive il ragioniere chiedendosi quali saranno gli scenari futuri per la Mantovani e per i suoi concorrenti.

REGIONE VENETO – Luca Zaia il primo firmatario

Commissione d’inchiesta, depositata la proposta

VENEZIA – Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, è il primo firmatario della proposta depositata ieri in Consiglio regionale dal Pd per istituire una commissione speciale d’inchiesta sulle vicende di presunta frode fiscale e fondi neri che sta coinvolgendo la maggiore impresa veneta di costruzioni e ha messo sotto la lente della magistratura la realizzazione delle più importanti opere pubbliche regionali. La proposta, avanzata dal Pd due giorni, è sottoscritta dai capigruppo Lucio Tiozzo (Pd), Stefano Valdegamberi (Udc), Antonino Pipitone (IdV), Diego Bottacin (gruppo misto) e Pietrangelo Pettenò (Sinistra veneta). Per il Pdl la proposta è firmata da Carlo Alberto Tesserin. La commissione avrà una durata di sei mesi (prorogabili a 12), sarà composta da 9 consiglieri nominati dall’Ufficio di Presidenza (5 di maggioranza e 4 di opposizione) e sarà presieduta da un esponente dell’opposizione. Il compito? «Verificare procedure, costi e tempi di affidamento, aggiudicazione e realizzazione dei lavori pubblici di competenza regionale, con particolare riguardo a quelli eseguiti con il project financing». E verificare, dal 2005, i rapporti «tra società partecipate dalla Regione e soggetti aventi sede all’estero».

 

VALDOBBIADENE – La trappola al ristorante Riva de Milan

Finanziere vestito da cameriere al pranzo “con le ossa del maiale”

L’invito dell’imprenditore Dal Borgo aveva indotto le Fiamme Gialle a piazzare telecamere e cimici per ascoltare i discorsi dei commensali

Hanno passato un intero pomeriggio a installare telecamere. A trasformare l’agriturismo ai piedi delle colline del Prosecco in una sorta di Grande Fratello. Un piano e un’organizzazione da far invidia a Csi, con tanto, parrebbe, di finanziere vestito da cameriere a servire ai tavoli. L’obiettivo delle Fiamme Gialle? Filmare il pranzo “attorno alle ossa del maiale”. L’appuntamento, su invito del bellunese Luigi Dal Borgo, coinvolto nell’inchiesta sul gruppo Mantovani, era nella vecchia casa colonica Riva de Milan, azienda vinicola, con ristorante e locanda, gestita dai fratelli Bernardi.
Tutta la struttura domina una collina alle porte di Valdobbiadene: due chilometri prima del centro, sulla sinistra, si imbocca un viale tra i filari di vite, annunciati d’estate dalla fioritura dei roseti. Si abbandona la strada principale e ci si ritrova in un’altra dimensione. Quella appunto della famiglia Bernardi. Da decenni, dopo aver riscattato l’azienda da un’antica mezzadria, sono un punto fisso attorno al quale ruotano le realtà più diverse. Tra le valli e i clinali del Prosecco di Valdobbiadene Riva de Milan è un’istituzione. Punto di ritrovo di politici, amministratori ma anche di cultori del buon bere. Ci arriva gente da ogni parte della regione. E di ogni livello. Loro, i fratelli Bernardi, conoscono tutti e tutto. Eppure del famoso convivio dicono di non saper nulla. «Quale pranzo? Io non so nulla». Così liquida la faccenda uno dei fratelli, intenzionato a non rispondere a qualsivoglia domanda. Ma qualcosa dovrebbe ricordare visto che quel giorno il ristorante e’ stato aperto solo per l’allegra compagnia di Dal Borgo, un habitue’ del luogo alla pari dei suoi soci e amici Franco Ferlin e Mirco Voltazza. L’agriturismo infatti fa servizio solo da marzo a settembre. Pure ieri era chiuso. Praticamente non c’era nessuno: piazzale vuoto, luci spente, nessuno intorno. Nei mesi invernali il ristorante apre le porte solo per occasioni speciali o iniziative particolari. Come quella dello scorso 2 febbraio: il famoso pranzo tutto dedicato al maiale. E alle Fiamme Gialle. «Finanza? Non so nulla», sorride Bernardi mentre torna a ribadire ciò che ripeterà per una decina di volte: «Non so nulla».
Sulla sfondo bucolico di Riva de Milan resta così il mistero di chi abbia informato quel giorno il ragioniere Mirco Voltazza degli “sgraditi”( per lui) ospiti. Arrivato nel piazzale dell’agriturismo, il consulente di Baita oggi rifugiatosi all’estero, ha fatto infatti retromarcia e se n’è andato. Sembra pero’ che a salvarlo non sia stato il suo intuito, quanto un provvidenziale messaggino che lo avvisava della trappola che era stata tesa dalla Gdf. Per lui niente prelibatezze suine e prosecchino, ma un bel viaggetto in Croazia. È qui che i finanzieri hanno perso le sue tracce. Di tutti gli altri commensali (amici di Dal Borgo ma anche amministratori pubblici) le tracce, invece, sono note e pure filmate. Che dire, è proprio vero che del maiale non si butta via niente.
La replica di Bond: «Io a quel pranzo non sono andato»

Dario Bond, capogruppo del Partito delle Libertà nel Consiglio regionale del Veneto ha diffuso ieri una nota in merito alla notizia (apparsa ieri su “Il Gazzettino”) del pranzo filmato dalla Finanza a Valdobbiadene, lo scorso 2 febbraio. Nelle perquisizioni la Finanza avrebbe acquisito documenti da cui risulta l’invio degli inviti al pranzo da parte dell’imprenditore Luigi Dal Borgo, i cui uffici a Marghera sono stati perquisiti.
«Non so quale sia la fonte e non so da dove provenga. Io non ho partecipato a nessun pranzo chiamato “Intorno alle ossa del maiale” all’agriturismo “Riva de Milan”. Il mio amico Michele Noal mi aveva accennato a questo appuntamento enogastronomico, ma non ero presente anche perchè solitamente al sabato faccio attività politica sul territorio». Dario Bond, poi, ricorda: «Quel giorno, per esempio, ero stato in ospedale a Feltre per la festa di San Biagio. Per questo non voglio che il mio nome venga utilizzato in maniera maldestra e strumentale».

LA PROCURA – Si vuole far luce su alcuni documenti

L’INDAGINE – Tra gli accertamenti spunta anche la “Pannorica srl”

GUARDIA DI FINANZA – Si cercano gli intrecci con Franco Ferlin

Mantovani, a S. Marco lo snodo dell’impero delle società “cartiera”

C’è anche una società del centro storico tra quelle finite, indirettamente, nel mirino dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte false fatture della Mantovani spa e delle “cartiere” che sarebbero state utilizzate per realizzarle. Si tratta della società Pannorica srl con sede a San Marco 2065 a pochi passi da San Moisè.
L’indagine in questione è condotta dal pubblico ministero Stefano Ancilotto, titolare dell’inchiesta.
Da quanto è stato accertato dagli inquirenti questa società è spuntata fuori dopo gli accertamenti su Franco Ferlin, a suo tempo segretario dell’ex Ministero ed ex presidente del Veneto, Carlo Bernini. Secondo la Guardia di finanza Franco Ferlin risulta amministratore della Ipros-Agri Bio Energy con sede in via Einaudi 74 a Mestre e con sede operativa in via Fratelli Bandiera 45. Dalle verifiche delle Fiamme Gialle di Padova e Venezia emerge che la maggior parte delle quote di Ipros appartiene a Finard srl e l’oggetto di questa entità è l’attività amministrativa societaria logistica nei confronti delle società partecipate (i soci sono Franco Ferlin e Luigi Dal Borgo).
La maggior parte delle quote appartengono alla Pannorica srl specializzata in amministrazione di beni per conto terzi che ha sede, appunto, a San Moisè. Il presidente del consiglio di amministrazione risulta Renato Murer, commercialista molto conosciuto e stimato a San Donà di Piave sia per la sua attività professionale (ha realizzato diverse pubblicazioni in tema di diritto civile e collabora con Ca’ Foscari) sia per essere stato anche presidente di Atvo. E la Pannorica, tra le varie attività di consulenza, figurava anche nel pacchetto azionario del Vicenza calcio. Ora la Guardia di finanza sta cercando di fare piena luce su questi collegamenti per accertare se, nell’intreccio societario e soprattutto nell’attività di queste imprese, siano state commesse eventuali irregolarità.
Al momento, quindi, si tratta solo di accertamenti sulle documentazioni.

 

Armando Mannino, ingegnere ex consulente del Magistrato alle acque

Ha lanciato pesanti accuse sulla gestione dei lavori del Mose

Il Consorzio: «Mammino dimostri se e come le imprese gonfiavano i costi»

«La congerie di supposizioni, accuse e denunce emerse a ben più di tre anni dai fatti contestati, e forse strumentalmente uscite dal cappello solo in questi giorni, fa di tutt’erba un fascio».
È piccata la replica del Consorzio Venezia Nuova all’indomani delle dichiarazioni rilasciate dall’ingegner Armando Mammino, uno dei consulenti del Magistrato alle Acque che ha raccontato di aver ricevuto la lettera di revoca dell’incarico dopo aver sollevato critiche ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova in sede di approvazione, nonostante la disponibilità a trovare dei correttivi di cui il Consorzio non avrebbe approfittato.
«Si mette insieme – ribatte il Consorzio – il supposto rigonfiamento dei costi dell’opera da parte delle imprese, l’invio a Bologna dell’ingegner Piva da parte del Ministero delle Infrastrutture; il mancato reincarico dell’ingegner Armando Mammino da parte del Magistrato alle Acque di Venezia, interpretato come rappresaglia per aver espresso suggerimenti non accolti su progetti del Consorzio Venezia Nuova per altro poi approvati dall’intero Comitato tecnico di Magistratura e le dimissioni dallo stesso consesso del professor Fellin, che comunque afferma che la normativa dava ragione al Consorzio».
«A queste contestazioni di livello e contenuto diversi, risponderà l’Amministrazione nei luoghi deputati e con le modalità e i tempi che riterrà più opportuni – prosegue il Consorzio Venezia nuova – Quanto alla perentoria affermazione che “il Mose con gli Olandesi sarebbe costato un terzo” seguita dalla considerazione che “come in altre opere pubbliche, tutti calcavano la mano”, il Consorzio Venezia Nuova, che è sottoposto in quanto concessionario all’alta sorveglianza sia tecnica che amministrativa del Magistrato alle Acque di Venezia, si riserva autonomamente di difendersi, naturalmente quando il professor Mammino, oltre che contrapporre genericamente gli Olandesi agli Italiani per il costo delle opere, indicherà dove e quando e per che importo si sia verificato questo fenomeno in rapporto alla costruzione del Mose».

 

I PROGETTI DEL LIDO

«La decisione della Giunta di attendere la sentenza del giudice è stata anticipata ben quattro volte dalla decisione del Fondo in tal senso, poi sospesa su richiesta dell´amministrazione comunale. È stato sempre il Comune che, anche l´ultima volta, ha formulato una proposta, a cui il Fondo aveva aderito e ha disatteso ancora una volta». Est Capital, in qualità di gestore del fondo Real Venice 2, replica alle dichiarazioni alle dichiarazioni del consigliere comunale Maurizio Baratello sulla transazione sfumata in merito alla compravendita dell’ex ospedale al mare. Tra Ca’ Farsetti e privati, in attesa della sentenza del giudice Manuela Bano, è ormai muro contro muro. «Se fosse vero che la decisione di non sottoscrivere l´accordo – dice Est Capital – fosse stata presa la sera prima della giunta, ciò renderebbe ancor più fondata la richiesta di danni nei confronti del Comune che ha continuato attraverso i suoi funzionari a dichiarare sostanzialmente valido l´accordo fino alla mattina della delibera di giunta». Arriva anche un chiarimento dei rapporti tra il fondo e la Mantovani. «La società Mantovani – prosegue Est Capital – è proprietaria di circa il 19% di RealVenice 2 ed è solo uno dei sei quotisti, quindi anche se i meccanismi decisionali dei fondi fossero analoghi a quelli di una società per azioni, la Mantovani non avrebbe neanche la maggioranza relativa. Non vi è pertanto alcuna connessione tra l´operatività del Fondo e quella della Mantovani”. Anche il sindaco Giorgio Orsoni è tornato sulla vicenda.

«Non abbiamo rinunciato a nulla – ha ribadito Orsoni – abbiamo detto no a una transazione di cui, se ci andava bene, avremmo comunque visto i risultati forse fra 5 anni. Sulla scelta della Giunta ha pesato l’impossibilità di dare comunque una soluzione a breve termine».

Il sindaco esclude un legame con il caso Baita.

«Posso capire – ha ripreso – che dall’esterno la vicenda possa avere avuto un suo peso psicologico. In realtà, la scelta è il frutto di valutazioni interne serene. Solo interne».

Lorenzo Mayer

 

EX OSPEDALE Maurizio Baratello (Pd) annuncia: «Sarà convocato presto»

Est Capital, Consiglio al Lido

Il retroscena: «Accordo con il Comune saltato in seguito agli arresti»

«Entro un mese verrà convocato un consiglio comunale al Lido per fare il punto a 360 gradi sulle problematiche dell’isola. L’accordo sulla compravendita dell’ex ospedale al mare è stato stoppato dalle vicende, ben note, di questi giorni sulla Mantovani. Un’intesa avrebbe potuto dare adito a sospetti».

A parlare è il consigliere comunale del Pd, Maurizio Baratello, che offre una visione inedita della riunione tra sindaco e maggioranza di lunedì scorso. Baratello plaude alla decisione della giunta di attendere la sentenza del giudice.

«Un’intesa si era anche trovata – riprende Baratello – era giusta la volontà di cercare una transazione, ma poi, gli ultimi fatti, e sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, ci hanno imposto un cambio di rotta. Non si poteva scendere a patti in una situazione del genere, così ci siamo svincolati. Siamo ad un punto di svolta, e il momento del Lido va analizzato complessivamente. Sono del parere che la gente debba essere ascoltata».

Per Baratello, il coordinamento ha proposte interessanti da valutare.

«Oggi il Lido è una zona depressa della città – aggiunge – con diverse aziende in crisi economica. Va rilanciata e anche per questo il Consiglio comunale deve far sentire la sua presenza».

Parole che mettono una luce nuova sulla riunione di maggioranza.

«La decisione di non firmare con Est Capital – conclude Baratello – è stata presa, in piena condivisione tra sindaco e maggioranza, la sera prima della giunta». Intanto non si è ancora spenta la eco della decisione in municipalità. Il capogruppo della Lega Nord in municipalità, Nicola Gervasutti, ha preso le distanze dalle osservazioni di Andrea Bodi, vicepresidente del Pdl. «Parole lontane dal nostro pensiero»

– ha aggiunto il presidente Giorgio Vianello. Gianluca Sabbadini del Pdl, invece, ci è associato a Bodi.

«Una vittoria di Pirro – ha detto – e dei comitati del no».

 

 

Gazzettino – Bufera sulla Mantovani

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8

mar

2013

Tante aziende ma un unico indirizzo: via Fratelli Bandiera

I “GESTORI” – L’imprenditore bellunese, il ragioniere padovano e l’ex esponente dc

Secondo gli inquirenti a Venezia c’era un polo per la produzione di fatture false legato alla Mantovani. A gestirlo un terzetto, in cui spicca l’ex segretario di Carlo Bernini

Dal Borgo e i legami con il consulente di Baita con manager e politici

IL PM – Stefano Ancilotto è titolare dell’inchiesta che sta facendo tremare il Nord Est degli appalti e degli affari

Le “cartiere” di Marghera e il ritorno di Franco Ferlin

L’INCHIESTA – Le società perquisite ufficialmente si occupano di consulenze ambientali

Marghera, via Fratelli Bandiera 45/a. Qui, secondo gli inquirenti, avrebbero sede alcune “cartiere” che opererebbero da tempo a stretto contatto con il Gruppo Mantovani. Sulla carta si tratterebbe di società di consulenze tecnico ambientali. In realtà la loro specializzazione sarebbe un’altra: la produzione di fatture false. A guidare questo presunto polo del “nero” su scala industriale sarebbero tre personaggi. Al primo posto, nella lista degli investigatori, c’è il ragioniere Mirco Voltazza, padovano, ex impiegato di banca e promotore finanziario, con precedenti per ricettazione, peculato e calunnia, fuggito all’estero da più di un mese. Voltazza che gli investigatori sospettano essere il coordinatore delle “cartiere”, ha un contratto con il Gruppo Mantovani per la costruzione e la successiva demolizione della piattaforma su cui sorgerà l’Expo 2015. Voltazza ha un ufficio in via Fratelli Bandiera 45/a. Accanto al suo c’è quello di un altro dei presunto protagonisti di questa vicenda: Luigi Dal Borgo, imprenditore bellunese e, secondo gli inquirenti, socio dello stesso Voltazza. Dal Borgo anzi è sospettato di “nascondere” il ragioniere padovano quando dall’estero rientra furtivamente nel Veneto. Ma a completare il terzetto c’è un personaggio il cui nome finora non era mai emerso. Ed è un nome noto, non solo agli inquirenti ma anche alle cronache politiche della Prima Repubblica: si tratta di Franco Ferlin, padovano, personaggio della Tangentopoli veneta 1992, all’epoca segretario del potente senatore democristiano e ministro dei Trasporti, Carlo Bernini. Anche Ferlin ha uffici in via Fratelli Bandiera 45/A a Marghera ed è socio di Dal Borgo.
I tre sarebbero a capo di una rete di società, tutte con sede nel Veneziano, sospettate appunto di fungere da “cartiere” di fatture false. Franco Ferlin è amministratore unico della Ipros – Agri Bio Energy srl, con sede legale in via Einaudi 74 a Mestre e sede operativa in via Fratelli Bandiera 45/a a Marghera. La società ha per oggetto l’esercizio in via diretta o attraverso società e enti di partecipazione di attività nel campo della ricerca.
La maggior parte delle quote della Ipros appartiene alla Finard srl, che ha pure sede in via Einaudi 74 a Mestre. L’oggetto di questa società è l’attività amministrativa, societaria, logistica, di consulenza e di direzione strategica e finanziaria nei confronti delle società partecipate. Soci della Finard srl sono Franco Ferlin e Luigi Dal Borgo. Ma la maggior parte delle quote appartengono alla Pannorica srl, che ha sede a Venezia, San Marco 2065. La Pannorica srl ha come oggetto l’amministrazione di beni per conto di terzi.
Tutte queste presunte “cartiere” veneziane sono state perquisite nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza che sta indagando sulle società che fanno capo al terzetto Dal Borgo-Ferlin-Voltazza e sui loro soci.

Lino Lava

 

L’INVITO – Manager pubblici «Intorno alle ossa del maiale»

IL CASO – IL 2 febbraio il ragioniere doveva essere al Riva de Milan a Valdobbiadene. Ma all’ultimo cambiò programma.

E Voltazza sfuggì alla Gdf che filmava il pranzo

A tavola anche Pieralessandro Mazzoni, Mariano Carraro e Bond

PADOVA – L’appuntamento era invitante: “Intorno alle ossa del maiale”. No, non si trattava di un convegno gastronomico. Ma di un pranzo tutto dedicato al suino: sabato 02 febbraio 2013, ore 13.00, all’agriturismo “Riva de Milan” di Valdobbiadene, provincia di Treviso. Presenti intorno al desco alcune decine di persone tra cui alcuni manager pubblici come Mariano Carraro, Fabrio Fior, Roberto Morandi o l’ammnistratore delegato di Veneto Acque Pieralessandro Mazzoni. Ma anche politici come il capogruppo Pdl in regione Veneto Dario Bond. Tutti invitati dal bellunese Luigi Dal Borgo, imprenditore ambientalista con attività a Marghera, coinvolto nell’inchiesta Mantovani e su cui si appuntano sospetti per la fabbricazione di fatture false. Con lui avrebbero dovuto esserci anche due altri personaggi noti alle cronache giudiziarie e molto legati a Dal Borgo: il suo socio ed ex segretario di Bernini, Franco Ferlin,(il recapito telefonico sull’invito per il pranzo era quello della sua società di Marghera, la Ipros-Agro Bio Energy, recentemente perquisita dalla Gdf) e l’amico Mirco Voltazza, il pluripregiudicato consulente di Baita, scomparso all’estero e anch’egli coinvolto nell’inchiesta sul gruppo Mantovani. Ma l’uno e l’altro quel 2 febbraio non si sono presentati ai tavoli del Riva de Milan a gustare prelibatezze suine. Entrambi hanno preferito girare alla larga. Voltazza in realtà all’agriturismo di Valdobbiadene ci sarebbe pure arrivato, ma poi all’ultimo momento avrebbe fatto retromarcia: sarebbe risalito rapidamente sul suo potente Suv e se ne sarebbe andato. Pare in direzione della Croazia, raggiunta dopo una sosta in provincia di Udine. Come si spiega questo improvviso cambio di programma del ragioniere padovano chiamato da Baita ad occuparsi dell’Expo 2015? Voltazza potrebbe essere stato avvertito o quantomeno sicuramente aver intuito che all’agriturismo quel giorno c’era qualcosa di anomalo. E in effetti c’era. Il pranzo prevedeva infatti una presenza, assai discreta e ovviamente ignota ai più, quantomeno inconsueta: quella delle telecamere degli uomini delle Fiamme Gialle che infatti hanno lungamente filmato quel pranzo invernale a base di maiale sui colli di Valdobbiadene. E gli uomini delle Fiamme Gialle erano lì anche in attesa del ragioniere Voltazza, il quale, secondo gli investigatori, avrebbe molto da raccontare sull’inchiesta che coinvolge il gruppo Mantovani.

L.L.

 

IL PERSONAGGIO – L’ “ombra” del senatore e i guai con Tangentopoli

Franco Ferlin era il segretario di Carlo Bernini, all’epoca ministro democristiano, poi precipitato nelle inchieste di Tangentopoli. Ferlin era l’ombra del potente doroteo trevigiano scomparso due anni fa. Il portaborse finì in carcere, fu condannato e la condanna alla pena detentiva finì in giudicato. Il 26 aprile 2000 si presentò al carcere Due Palazzi di Padova dicendo: «Mi chiamo Franco Ferlin. Devo scontare un residuo di pena. Ci deve essere un ordine di carcerazione a mio carico. Mi sto costituendo». E ha scontato fino in fondo il suo conto con la giustizia. Una volta uscito passò un periodo in affido ai servizi sociali.
I guai per lui erano venuti dall’inchiesta veneziana avviata dei pubblici ministeri Ivano Nelson Salvarani e Carlo Nordio (per corruzione, concussione e finanziamento illecito dei partiti) riguardanti la spartizione di appalti da parte delle aziende che pagavano la Dc di Carlo Bernini e il Psi di Gianni De Michelis. Ferlin venne condannato a quattro anni e mezzo dal Tribunale di Venezia, in appello aveva patteggiato una pena di un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione con la sospensione condizionale.

 

VENEZIA – La denuncia dell’ing. Mammino

«Il Mose? Con gli olandesi sarebbe costato un terzo»

Il consulente (poi rimosso) del Magistrato alle Acque: «Come in altre opere pubbliche, tutti calcavano la mano»

In tre se ne sono andati dal Comitato tecnico del Magistrato alle Acque di Venezia per colpa del Mose. O sono stati costretti a farlo. La prima a mettere frequentemente i bastoni tra le ruote in alcuni progetti era stato il Magistrato alle Acque di Venezia Maria Giovanna Piva, “rimossa” in anticipo rispetto alla scadenza del suo contratto. Aveva chiesto approfondimenti sulle cerniere delle paratoie mobili che dovevano essere montate: il progetto prevedeva fossero realizzate con la tecnica della fusione, mentre si optò per la tecnica della saldatura dei componenti, realizzata da Fip Mantovani, come più avanzata tecnologicamente, nonostante una perizia contraria. Piva fu trasferita a Bologna, facendole intendere che se non se ne fosse andata avrebbe rischiato una destinazione molto più lontana. «Se nella fusione il rapporto percentuale era 80 di costi e 20 di utili, la proporzione nel caso della saldatura era l’opposto, con 80 di utili a fronte di 20 di spesa». Parola dell’ingegner Armando Mammino, dal 2002 al 2009 consulente del Magistrato alle Acque incaricato di controllare e migliorare i progetti presentati al Comitato tecnico di Magistratura.
«Controllavo quelli della Mantovani con lo stesso zelo che impiegavo negli altri, ma mi consideravano un rompiscatole – prosegue Mammino – Anche perchè era prassi consolidata, nel Mose come nelle altre opere pubbliche, calcare la mano alla grande nelle fatture sui quantitativi dei materiali e sulle altre spese. Non ho scrupoli a dire che se il Mose fosse stato subappaltato agli olandesi si sarebbe concluso in un terzo del tempo e sarebbe costato un terzo dei soldi».
Mammino si mise di traverso ai progetti del Consorzio Venezia Nuova. In proposito, spiega ancora l’ex consulente: «Spesso capitava di chiedere dei correttivi. Nel 2009 c’erano in discussione alcuni progetti del Consorzio. Avevo chiesto di parlare con i tecnici per rivedere alcune cose, avevo dato ben quattro date per incontrarci senza risposta. Furono presentati per l’approvazione in Comitato tecnico di Magistratura quegli stessi progetti che avevo contestato senza alcuna modifica. Mi opposi, suscitando una pittoresca reazione dell’ingegner Patrizio Cuccioletta, il Magistrato alle Acque che aveva sostituito Piva. Mi fu comunicato per lettera che il mio ruolo di consulente era concluso».
Mammino, esperienza quarantennale nel campo delle costruzioni, fu sostituito con il prof. Renato Vitaliani dell’Università di Padova, che ha fornito la propria esperienza anche alla ditta Cignoni, incaricata della progettazione esecutiva del ponte di Calatrava a Venezia. Qualche mese più tardi un altro professore prese le distanze dal Comitato tecnico di Magistratura delle Acque: Lorenzo Fellin, già ordinario di sistemi elettrici e direttore del dipartimento di ingegneria elettrica dell’Università di Padova si dimise per non avvallare scelte che non condivideva: «Anche se la normativa dava ragione al Consorzio Venezia Nuova – dichiara – ragioni di opportunità suggerivano un bando di gara internazionale sulla tecnica da utilizzare per le cerniere del Mose».
Nel frattempo Mantovani afferma in un comunicato di essere “estranea agli illeciti contestati ai propri esponenti” e la propria intenzione a portare a termine regolarmente i lavori anche senza l’apporto delle persone indagate.

 

L’IMPRESA   «Siamo estranei ad ogni contestazione e porteremo a termine tutti i lavori»

L’impresa Mantovani proseguirà l’attività anche senza l’apporto delle persone attualmente indagate nell’indagine della Procura veneziana. Lo ribadisce la società, tranquillizzando i lavoratori diretti e dell’indotto che da giorni vivono in ambasce nel timore che si blocchino tutti i cantieri in cui la Mantovani è impegnata.
«La società – si legge in una nota aziendale – desidera assicurare che sono in corso di adozione i provvedimenti più opportuni per assicurare alla società una governance autorevole, estranea ai fatti sui quali la magistratura sta indagando, ma anche in grado di garantire continuità nell’operatività e negli indirizzi tecnici e gestionali».
Dopo aver ribadito che gli interessati dai provvedimenti cautelari hanno rassegnato le dimissioni dalle cariche ricoperte, la Mantovani Spa “desidera in ogni caso ribadire l’estraneità della società rispetto ad ogni illecito contestato a propri esponenti, riservandosi ogni valutazione a tutela degli interessi della società”.
Infine, un ringraziamento alle proprie maestranze, che mai come in questi giorni sono state preoccupate per il futuro.
«La società è fortemente impegnata, in ciò sostenuta dai propri azionisti – conclude il comunicato aziendale – a portare avanti gli importanti progetti e lavori ad essa affidati e desidera ringraziare le proprie maestranze per l’unitarietà e la dedizione dell’azienda in più occasioni manifestate in questi giorni».

 

BUFERA SULLA MANTOVANI

INCHIESTA MANTOVANI – L’ex consulente: «Mose, tutte le aziende gonfiavano le spese»

LA CONSULENZA  «Il Consorzio trascurò le mie osservazioni. E fui allontanato»

L’ATTO DI ACCUSA – Armando Mammino, ex tecnico del Magistrato alle acque  «Se l’avessero fatto in Olanda sarebbe costato un terzo»

«Mose, tutti gonfiavano le spese»

«In tutte le opere pubbliche le aziende fornitrici calcano la mano sui materiali e sulle fatture»

INGEGNERE – Armando Mammino, l’ingegnere che per sette anni fu consulente del Magistrato alle acque sui lavori per il Mose

«Se il Mose l’avessero fatto in Olanda ci avrebbero messo un terzo del tempo e sarebbe costato un terzo di quello che verrà a costare. Del resto quando si ha a che fare con le opere pubbliche tutti hanno il vizio di calcare la mano sulle fatture, come è avvenuto con il Mose, aumentando i volumi dei materiali impiegati e non solo quelli». Non ha peli sulla lingua Armando Mammino, l’ingegnere che dal 2002 al 2009 fu consulente del Magistrato alle Acque con l’incarico di controllare e proporre miglioramenti sulle componenti strutturali di tutti i progetti relativi alle opere interne ed esterne della laguna in costante connessione operativa con il concessionario per l’esecuzione “Consorzio Venezia Nuova”.
Un’attività di consulenza che riguardò notevoli e numerosi lavori di costruzioni marittime, che ha avuto il suo peso nella taratura della sicurezza, della qualità, dell’ottimizzazione di tutti i grandi manufatti ora in fase di ultimazione.
«La Mantovani aveva degli standard di progettazione non malvagi – racconta Mammino – e i rapporti erano apparentemente buoni. Sapevo però che alle spalle mi detestavano perchè nel Comitato tecnico di magistratura facevo la parte del rompiscatole, chiedevo spesso aggiustamenti sui loro progetti, come pure facevo con qualsiasi altra ditta, come mi suggerisce la mia esperienza quarantennale nel campo delle costruzioni».
Alla fine del 2009 arriva la lettera in cui il Magistrato alle Acque solleva Mammino dall’incarico, sostituendolo con un altro esperto, l’ing. Renato Vitaliani dell’Università di Padova, che ha messo le proprie conoscenze anche al servizio anche della ditta Cignoni, incaricata della progettazione esecutiva del ponte della Costituzione.
«Sapevo di essere diventato antipatico anche al Magistrato alle Acque, l’ing. Patrizio Cuccioletta, che aveva preso il posto di Maria Giovanna Piva. Con lei avevo lavorato con ottima sintonia professionale, ma era stata trasferita a Bologna per la vicenda delle cerniere delle paratoie, prodotte mediante saldatura e non per fusione come previsto dal progetto definitivo. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu la mia obiezione ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova sui quali avevo richiesto dei correttivi. Avevo dato quattro date disponibili per parlare con i progettisti ma non fui interpellato. Alla successiva riunione del Comitato tecnico di Magistratura i progetti furono presentati tali e quali, senza alcuna modifica e io mi opposi. Cuccioletta si arrabbiò molto in quella riunione e poco tempo dopo arrivò la lettera in cui mi si rimuoveva dall’incarico».
Dopo alcuni mesi anche Lorenzo Fellin, professore ordinario di Sistemi elettrici e direttore del direttore del Dipartimento di ingegneria elettrica dell’Università di Padova ed esperto del Comitato tecnico di Magistratura se ne andò sbattendo la porta perchè non se la sentiva di avvallare le scelte del Magistrato alle Acque, che “pretendeva l’unanimità”.

Raffaella Vittadello

 

LE REPLICHE – L’ex Magistrato e il Consorzio: «Noi non c’entriamo»

«Non voglio fare alcuno sgarbo istituzionale all’attuale Magistrato alle acque, io sono in pensione da un anno e mezzo ormai, non ho più alcun ruolo istituzionale. Non ho motivo di commentare l’arresto del presidente della Mantovani Piergiorgio Baita. Bisogna chiedere all’attuale Magistrato».
Così risponde Patrizio Cuccioletta, romano, Magistrato alle Acque di Venezia per alcuni anni in sostituzione di Maria Giovanna Piva, che aveva chiesto ulteriori approfondimenti sulle cerniere del Mose realizzate con la tecnica della saldatura anzichè della fusione dalla Fip Mantovani, contrariamente a quanto previsto dal progetto definitivo.
Ciriaco D’Alessio, magistrato alle acque attuale, ha detto nei giorni scorsi di non aver mai avuto rapporti diretti con la Mantovani, ma solo con il Consorzio Venezia Nuova di cui l’azienda di Baita fa parte. «Il Magistrato alle Acque – ha spiegato D’Alessio – paga le fatture al Consorzio, che a sua volta si avvale anche di ditte in subaffidamento».
E sulla vicenda dell’ing. Armando Mammino, il consulente del Comitato tecnico di Magistratura liquidato “per essersi messo di traverso ad alcuni progetti del Consorzio Venezia Nuova”, il Consorzio fa sapere di non essere l’interlocutore giusto. «Al di là del fatto che sono passati diversi anni e bisognerebbe essere più precisi sul tipo di progetti di cui stiamo parlando, il rapporto dell’ingegnere non era direttamente con noi ma con il Magistrato, dunque se c’erano delle contestazioni da fare era a Palazzo X Savi che andavano fatte».

R.V.

 

No Mose – Nuova memoria a Bruxelles

L’Assemblea permanente No Mose chiede alla Commissione per le petizioni del Parlamento europeo di non archiviare due denunce presentate tra il 2005 e il 2005 e corredate da oltre 12mila firme. I promotori, Luciano Mazzolin e Tiziana Turatello, lo scorso febbraio avevano presentato opposizione all’archiviazione e chiesto un termine di 30 giorni per la presentazione di ulteriori memorie.
«Riteniamo – si legge nel dossier inviato a Bruxelles – che non si siano esaminate in maniera approfondita le memorie supplementari presentate durante l’audizione del 2007. Nel documento sono citate pagine e pagine di atti pubblici tra i quali spiccano valutazioni della Corte dei conti e del Ministero dell’Ambiente. Del 2008 è una perizia di danni ambientali che la bocca di porto di Malamocco avrebbe patito e che il Comune avrebbe allora quantificato in circa 120 milioni.

 

MARGHERA – L’imprenditore perquisito opera tra via Fratelli Bandiera e Quarto d’Altino

Dal Borgo, il fedelissimo del presidente Baita

L’ingegner Luigi Dal Borgo è considerato un grande esperto di infrastrutture, persona seria e molto preparata. Ed è anche stato, almeno fino ad un paio di anni fa, amico e collaboratore di Piergiorgio Baita, il loro legame risale ai tempi dell’Università. Poi i rapporti professionali si sono un po’ raffreddati ma solo perché la Mantovani Costruzioni era diventata un’impresa troppo grossa e difficile da seguire per un singolo imprenditore.
Il suo nome è venuto alla ribalta dopo le perquisizioni che la Guardia di Finanza ha effettuate venerdì scorso a Quarto D’Altino dove c’è la Crea Technology srl, di cui l’ingegnere è presidente, e a Marghera nello stabile di via Fratelli Bandiera 45/A a poca distanza dal centro sociale Rivolta. È la palazzina dell’impero dei Furlanis e oggi, oltre alla sede della società francese Citelium che gestisce l’illuminazione pubblica del Comune, ospita varie ditte riconducibili a Dal Borgo, in primis la Nsa Srl, Non Solo Ambiente, nonché le attività di Mirco Voltazza, il consulente tecnico ambientale per l’Expo 2015 scomparso all’estero da più di un mese, pregiudicato per ricettazione, peculato e calunnia che, secondo gli inquirenti, sarebbe amico di Dal Borgo e anche socio.
Nella palazzina di Marghera Luigi Dal Borgo occupa tutto il terzo piano e la parte sinistra del piano terra con varie società dato che, operativamente, ogni volta che apre un settore di intervento, crea una ditta apposita.
Residente a Pieve d’Alpago, Dal Borgo dopo la laurea ha fatto la sua gavetta in grandi cantieri per dighe, autostrade e quant’altro, dopodiché si è messo in proprio.
I rapporti con Baita sono cominciati abbastanza presto ed evidentemente suscitava in lui grande fiducia visto che nei primi anni Novanta, quando Piergiorgio Baita finì inquisito e in carcere, e non poteva sedere nei vari consigli di amministrazione in cui era stato nominato, era proprio Luigi Dal Borgo che lo sostituiva. Fino a qualche anno fa appariva anche nel cda della stessa Mantovani.
Dal Borgo si recò pure in Russia per acquistare le navi utilizzate per portare in laguna i masegni utilizzati per costruire le dighe del Mose. E anche con il Consorzio Venezia Nuova ha rapporti di lavoro, essendo il fornitore dei geotessuti utilizzati per rifare le rive dei canali e consolidare le barene.
Tra le ultime intraprese di Dal Borgo, assieme a Baita, c’è l’”autostrada” che Veneto Acque sta realizzando tra l’alto Portogruarese e Rovigo: la società della Regione, cui partecipa anche Mantovani, sta costruendo un enorme collettore che raccoglie l’acqua alla base delle risorgive e la porta appunto fino nel Rodigino. Quando la grande opera sarà finita tutti gli acquedotti del nostro territorio saranno riforniti da questa conduttura. (e.t.)

 

L’INCHIESTA – Colombelli e le fatture false. Nel mirino da oltre 2 anni

La Procura seguiva da tempo l’attività del broker.

VENEZIA – Da due anni Procura e Finanza tenevano Colombelli sotto tiro

Da almeno due anni la Procura stava seguendo da molto vicino l’attività di William Colombelli (in particolare le fatture) ma la svolta dell’inchiesta è arrivata solo la settimana scorsa. Stesso discorso per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche nei confronti degli altri arrestati. Contatti costanti, ma a quanto pare incentrati sempre sugli stessi argomenti, dove emerge un Piergiorgio Baita molto preparato sulle problematiche tecniche. E poi altri riscontri sui progetti.
Gli investigatori stanno analizzando la documentazione di circa ottanta faldoni, carte molto delicate che potrebbero dar vita a nuovi scenari per quando concerne la maxi inchiesta sulla società Mantovani. La mole di lavoro è così consistente che in queste ore sono diversi gli investigatori che stanno vagliando i documenti recentemente sequestrati, in particolare le false fatturazioni che sono la base portante del lavoro della Procura. Anche la verifica sulle nuove “cartiere” deve essere realizzata comparando il materiale di alcuni progetti con le documentazioni sequestrate. E spesso emergono singolari analogie.

 

L’avvocato Fogliata: «Non sapevo nulla dei filmini “a luci rosse” che gli hanno sequestrato»

Anche il pubblico ministero Stefano Ancilotto, titolare dell’inchiesta, sta valutando con il collega Stefano Buccini come proseguire la verifica incrociata dei progetti finiti nel mirino della Guardia di finanza. Al momento pare certo, salvo sorprese, che la svolta dovrebbe arrivare solamente nel corso dell’udienza del Tribunale del riesame fissata per il 15 marzo, ma il fatto che le difese abbiano già annunciato che punteranno parecchio sull’incompetenza territoriale fa ritenere alla Procura di Venezia che su alcuni aspetti dell’inchiesta non si voglia più di tanto entrare nel merito.
Tra i legali degli arrestati va segnalata la presa di posizione di Renzo Fogliata, difensore di William Colombelli, il presidente della Bmc Broker di San Marino al quale sono stati recentemente sequestrati diversi filmini “a luci rosse”. In alcuni di questi filmati Colombelli sarebbe anche il protagonista. «Ignoravo del tutto questo materiale e ho scoperto della sua esistenza solo leggendo il giornale – ha precisato ieri mattina l’avvocato Fogliata – in ogni caso penso che queste cose rappresentino vicende del tutto personali che non hanno nulla a che vedere con l’inchiesta. A tal proposito siamo invece in attesa della discussione davanti al Tribunale del riesame».

 

In municipio la relazione tecnica degli uffici per la Valutazione ambientale

Nel mirino rumori, traffico dei camion, inquinamento e possibili danni alla pesca

Dubbi e certezze sull’investimento da due miliardi e mezzo

Terminale off shore sotto i riflettori dell’Impatto ambientale. Mentre infuria la polemica sulle grandi opere e gli incarichi alla Mantovani, l’impresa padovana il cui amministratore delegato Piergiorgio Baita è stato arrestato con l’accusa di fatture false, in Comune parte la procedura per l’esame del grande progetto di porto d’altura. Proposta non ancora approvata, ma già finanziata dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. Che secondo i suoi proponenti – l’Autorità portuale e la Regione e il Magistrato alle Acque – dovrebbe essere realizzata con fondi privati – della Mantovani – e soldi pubblici della Legge Speciale per le dighe di protezione e il terminale petrolifero, previsto dalla Legge del 1973 e mai realizzato. Nel frattempo è cambiato il mondo, e il traffico petrolifero segna il passo. Ma il nuovo terminale, 8 miglia al largo delle coste chioggiotte, dovrebbe ora ospitare secondo i progetti del Porto i grandi portacontainer oceanici. Ecco allora il progetto di «Terminal plurimodale off shore». Sono quattro progetti insieme (il terminal petrolifero e il terminal dei container in mare, la diga di protezione di 4 chilometri, il nuovo parcheggio per i container in area ex Syndial a Marghera. Che adesso dovranno andare all’esame della commissione di Impatto ambientale Via nazionale. Ieri in commissione a Ca’ Loredan sono state presentate le Osservazioni degli uffici tecnici del Comune (assessorato Ambiente). Una relazione tecnico istruttoria coordinata dal dirigente dell’Ambiente Andrea Costantini, distribuita ieri ai consiglieri comunali. Il rapporto prende in esame i vari impatti delle strutture che dovrebbero sorgere in mare, ma anche i riflessi sul traffico automobilistico (camion) e ferroviario per l’allestimento di un nuovo terminal container a terra. Nella struttura da costruire al largo, in mare aperto (dove il fondale è di 22 metri), è prevista una diga di 4 chilometri per proteggere le navi e i moli dal vento e dalle onde. Il terminal dei petroli con le banchine di duemila metri quadrati capaci di ospitare contemporaneamente 3 superpetroliere più un piazzale di 60 metri per 60. Il greggio sarebbe portato a terra con un oleodotto di 27 chilometri, 15 in mare e i restanti 12 in laguna. Poi il terminal commerciale, con i contenitori che sarebbero trasbordati su navi più piccole inviati a Marghera. Numerose le criticità segnalate dai tecnici dell’Ambiente, che chiedono adesso «maggiori approfondimenti progettuali». Prima di tutto gli impatti sulla pesca, settore già in crisi e sulla qualità delle acque. Durante i lavori è previsto di realizzare anche una grande isola artificiale di fronte a Malamocco. Da valutare gli impatti sul traffico stradale e ferroviario (Bivi), i rumori, l’inquinamento luminoso, il possibile danneggiamento di habitat particolari e pregiati come le Tegnue, distanti in linea d’aria meno di un paio di chilometri dal nuovo terminal. Secondo i proponenti gli impatti saranno «trascurabili», anche se uno studio commissionato all’Università di Padova parla di «maggiori criticità» per la nuova mole di trasporti nell’area intorno a Mestre e Marghera. Dibattito ancora all’inizio. «Occorre verificare bene gli impatti sull’ambiente di questa opera», dice il consigliere di «In Comune» beppe Caccia. Nella relazione depositata ieri si propone anche di valutare l’opportunità di utilizzare il futuro terminal per altri usi, a cominciare dalla croceristica.

Alberto Vitucci

 

GRANDI OPERE» RIFLETTORI PUNTATI SUL TERMINAL PORTUALE

Una grande opera da due miliardi e mezzo di euro. Il terminal off shore è la priorità inserita nel Piano triennale dell’Autorità portuale. Porto d’altura unica soluzione, secondo il presidente del Porto Paolo Costa, capace di contrastare la crisi internazionale e rilanciare alla grande lo scalo veneziano. «In questo modo potremo intercettare traffici altrimenti destinati al Tirreno e ad altri porti», dice Costa. Idea sostenuta anche da Magistrato alle Acque, Regione e Comune. Ma non mancano i dubbi: quali saranno i costi della rottura di carico, cioè del trasbordo dei container in mare aperto su chiatte che li porteranno a Marghera? Quali gli impatti ambientali? Domande a cui adesso dovrà dare risposta lo studio sugli effetti dell’opera su mare e laguna, con la Valutazione di Impatto ambientale. L’iter è appena cominciato.(a.v.)

 

Nuova Venezia – Chiarotto scarica Baita

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8

mar

2013

Pronta la richiesta di risarcimento danni

Il manager della Mantovani dal carcere di Belluno annuncia le dimissioni da tutti gli incarichi: è nominato in 42 Cda

PADOVA – Un’azione di responsabilità. Tanto annuncia il patron della Mantovani Spa Romeo Chiarotto nei confronti dell’ingegnere Piergiorgio Baita. Il proprietario dell’asso “pigliatutto” degli appalti veneti, tramite la cassaforte di famiglia Serenissima Holding, darà mandato a un legale al fine di studiare il caso per vedere se si ravvisino gli estremi per avviare un’azione di responsabilità. E se così sarà, scatterà la richiesta di risarcimento danni. Romeo Chiarotto, del resto, lo ha ripetuto più volte davanti al sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto mercoledì mattina quando lo ha interrogato: la famiglia non ha nulla a che vedere con le fatture false, di cui era totalmente all’oscuro. L’inchiesta della guardia di finanza di Venezia e Padova che ha portato in carcere oltre a Baita anche il direttore amministrativo della Mantovani Nicolò Buson, l’imprenditore di San Marino William Colombelli e l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, presidente di Adria Infrastrutture, ha squarciato come un fulmine il ciel sereno sotto cui era convinto di riparare i suoi affari l’ottantatreenne Chiarotto. Tanto più che era stato proprio lui, negli anni Novanta, a volere Baita alla guida della Mantovani, dopo che un’inchiesta nell’ambito di Tangentopoli che lo coinvolse, restituì l’ingegnere del tutto “pulito”. «Sono in corso di adozione i provvedimenti più opportuni per assicurare alla società una governance autorevole, estranea ai fatti sui quali la magistratura sta indagando» si legge nella nota diffusa ieri dalla società per azioni, «ma anche in grado di garantire continuità nell’operatività e negli indirizzi tecnici e gestionali». Ecco perché all’orizzonte si profila la causa per danni della famiglia Chiarotto contro Baita, perché il granitico colosso delle costruzioni rischia di crollare come un castello di sabbia investito dall’onda lunga della scandalo per frode fiscale. Finalizzata, secondo gli inquirenti, alla costituzione di fondi neri. Ma questo è il filone ancora aperto dell’inchiesta. Quello a cui potrebbe imprimere un’accelerata la decisione venerdì prossimo del tribunale del Riesame, che dovrà decidere sulla scarcerazione di Baita e Colombelli. Perché se dovranno rimanere in carcere, le probabilità che decidano di collaborare con gli investigatori si fanno più concrete. Intanto i legali dell’ingegnere sessantaquattrenne, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, hanno annunciato che Baita, attualmente nel carcere di Belluno, ha firmato le dimissioni da tutti i suoi incarichi. Ben 42, secondo la Camera di commercio. Oltre che presidente del cda della Mantovani, Baita figura vice presidente di Adria Infrastrutture, presidente di Talea e Palomar (tutte e tre società finite nell’inchiesta per false fatture), Expo 2015 e Nogara Mare. Risulta anche vice presidente di Autostrada Serenissima, Gra di Padova e Veneta sanitaria finanza di progetto, consigliere di Veneto City, Consorzio Venezia Nuova e Thesis. Sullo sfondo restano i destini della Mantovani: «La società» conclude la nota di ieri, «è fortemente impegnata, sostenuta dai propri azionisti, a portare avanti gli importanti progetti e lavori a essa affidati e ringrazia le maestranze per l’unitarietà e la dedizione in più occasioni manifestate in questi giorni».

Elena Livieri

 

Zanoni: «Zaia deve mettere fine al cumulo di cariche di Vernizzi»

L’eurodeputato Andrea Zanoni invita il governatore del Veneto a porre fine al cumulo di incarichi di Silvano Vernizzi: «Inaccettabile che la stessa persona presenti progetti con la mano destra e li approvi con quella sinistra» dice Zanoni, «invito la magistratura ad andare fino in fondo nelle indagini sul terremoto che sta scuotendo il Veneto. Zaia risolva una volta per tutte la gravissima situazione di conflitto d’interessi rappresentata da Vernizzi, ad esempio al tempo stesso amministratore delegato di Veneto Strade e presidente della commissione regionale incaricata di concedere la Valutazione ambientale strategica (Vas), nonché collezionista di svariati altri incarichi». Tra le reazioni politiche anche quella di Barbara Degani, presidente della Provincia di Padova, dopo l’annuncio da parte del Pd di una interrogazione sulla vendita delle quote dell’Autostrada Padova Brescia: «Noi abbiamo adottato da subito procedure di evidenza pubblica anche per trattative private» ha detto Degani, «le illazioni sul prezzo delle quote sono dimostrazione di malafede. Il primo prezzo di 740 euro del 2009 era dipeso da trattative con altri enti, quello di 518 del 2011 dalla stessa società per la ricapitalizzazione. E il consiglio provinciale approvò all’unanimità la vendita». (e.l.)

 

I SINDACATI SI AFFIDANO ALLA PROPRIETA’

«Il colosso tiene si giri pagina»

PADOVA «Il nostro obiettivo è la salvaguardia dei livelli di occupazione, la Mantovani è un colosso internazionale che può superare questa bufera. Noi ci auguriamo che Piergiorgio Baita esca di scena e siamo convinti che la famiglia Chiarotto saprà trovare un nuovo manager cui affidare la gestione dell’azienda». Francesco Andrisani, della Fillea Cgil di Venezia, non ha dubbi: «I 900 dipendenti della Mantovani non hanno alcun motivo per temere contraccolpi all’occupazione dall’inchiesta avviata dalla procura di Venezia. Nutriamo la massima fiducia nei confronti della magistratura e siamo convinti che saprà far emergere le esatte responsabilità degli imputati coinvolti nell’inchiesta. Quando si parla di evasione fiscale c’è da sperare che si possa andare fino in fondo, ma il portafoglio ordini della Mantovani ci lascia tranquilli», spiega Andrisani. Il colosso delle costruzioni, asso pigliatutto con il project financing, ha due supercommesse che vale la pena citare: il Mose di Venezia (da consegnare al consorzio Venezia Nuova entro il 31 dicembre 2016) e la piastra dell’Expo 2015 di Milano: si tratta di un contratto da 165 milioni di euro, la cui importanza è stata sottolineata, mesi fa, dal premier Mario Monti: «Non c’è missione all’estero in cui non sottolineiamo l’importanza dell’adesione ad Expo 2015». Se questo è il quadro, quali ripercussioni ci possono essere per il futuro? «La Mantovani è controllata al 95% dalla famiglia Chiarotto e noi siamo convinti che l’amministratore delegato Baita dovrà rispondere delle sue azioni. Per quanto riguarda il Mose, il Consorzio Venezia Nuova si trasferirà da Campo Santo Stefano all’Arsenale e i 130 dipendenti verranno assegnati ai nuovi uffici», conclude Andrisani. Omero Cazzaro, della Uil padovana, aggiunge che i sindacati hanno chiesto un incontro con la Mantovani per fare il punto della situazione occupazionale: «Non ci sono segnali preoccupanti, vogliamo solo sapere quali provvedimenti verranno adottati nei confronti di Baita nel caso in cui le accuse venissero confermate». Assai diversa la riflessione di Andrea Castagna, segretario della Cgil di Padova, che esprime profonda preoccupazione per un’inchiesta che «dimostra quanto profondo sia il legame tra politica e appalti pubblici. Un paio di settimane fa è esplodo lo scandalo delle commesse degli elicotteri di Finmeccanica in India, e ora anche il Veneto si interroga su una colossale presunta evasione fiscale. Ho sempre espresso contrarietà al projet financing perché, come il nuovo ospedale di Mestre dimostra, si finisce per pagare due-tre volte il costo dell’opera e mi permetto di sollevare forti perplessità sul sottopasso delle Torricelle di Verona: si tratta di un traforo lungo 13 chilometri che verrà a costare 8-900 milioni di euro. Il sindaco di Verona Tosi è stato costretto a rinviare la firma della convenzione del projet con la Mantovani, ma io credo che quell’opera sia dannosa all’ambiente e troppo onerosa. Infine una battuta che gira a Padova: i più soddisfatti dell’inchiesta sono i costruttori edili dell’Ance, che vedono un barlume di speranza per la fine di un monopolio» conclude Castagna.

Albino Salmaso

 

La Minutillo chiede gli arresti domiciliari

L’ex segretaria di Galan ha ammesso che alcune fatture dalla Bmc di Colombelli erano false

VENEZIA – In attesa del riscontro alle dichiarazioni dell’ex segretaria di Giancarlo Galan divenuta manager – dichiarazioni secretate dopo 6 ore di interrogatorio, premessa per un prossimo ampliamento degli indagati – l’avvocato Augenti ha presentato ieri mattina istanza per trasformare la custodia cautelare in carcere in arresti domiciliari. Dei quattro arrestati, Claudia Minutillo è l’unica ad aver ammesso con il pm Stefano Ancillotto che – sì – si era accorta che alcune delle fatture emesse dalla società sanmarinese Bmc del compagno William Colombelli fossero false. «Si sta consumando, è molto depressa, non mangia da giorni, mai avrebbe sospettato di finire in questa situazione», spiega l’avvocato Augenti, «d’altra parte non ho mai visto nessuno finire in carcere per false fatturazioni, neppure con importi molto maggiori e null’altro le è stato contestato in quest’indagine». Con tutti gli appalti pubblici gestiti dalla Mantovani, c’è tensione nell’aria per possibili nuovi sviluppi investigativi, legati all’utilizzo dei fondi neri per milioni di euro (20 quelli contestati sinora, 10 però prescritti) creati con le false fatturazioni. Piergiorgio Baita – accusato di essere a capo dell’associazione per delinquere finalizzata alla fabbricazione di false fatture e che potrebbe dunque restare agli arresti cautelari per 6 mesi, contro i 3 dei compagni di carcere – punta a trasferire l’inchiesta a Padova e questo chiederanno gli avvocati Longo e Rubini al Riesame. Ma il manager potrebbe non contestare nel merito tutte le accuse. «Stiamo studiando la mole immensa degli incartamenti», spiega l’avvocata Paola Rubini, «certe intercettazioni sono suggestive: Baita è una persona intelligente e si rende conto che ci sono delle problematiche, ma finché non avremo contezza di tutti gli atti non avrebbe senso rispondere alle domande del pm». Suggestiva, ma fuori dalle indagini, la notizia dei video hard dei propri incontri trovati sul computer di Colombelli. «Sono molto stupito che elementi attinenti alla sfera personale più privata siano stati divulgati», commenta l’avvocato Fogliata, «dal momento che non hanno nulla che fare con le indagini». La Procura conferma: nessun legame tra i video e l’inchiesta. Intanto, il pm Stefano Buccini sta approfondendo i controlli sulle false fatturazioni intestate a consulenze e lavori relativi al Mose.

Roberta De Rossi

 

SALVAGUARDIA

A Bruxelles il dossier dei comitati sul Mose

Ci sono anche le registrazioni di Report (Rai3) e molti articoli della Nuova nel dossier inviato ieri alla Commissione petizioni del Parlamento europeo dall’associazione Ambiente Venezia. Luciano Mazzolin e Tiziana Turatello hanno raccolto un voluminoso dossier di documenti e studi. E hanno chiesto al Parlamento europeo di riaprire il dibattito sulla grande opera. Nel dicembre scorso la presidente Erminia Mazzoni aveva comunicato alle associazioni – che hanno raccolto 12.500 firme contro il Mose, depositando la petizione a Bruxelles – che la loro domanda non era stata archiviata. Pratica riaperta, dunque, anche se dall’esposto sono ormai passati più di sei anni. «Ma è l’occasione per valutare quello che è stato fatto», dice Mazzolin. Nel dossier inviato al Parlamento anche la relazione della Corte dei Conti, voluminoso rapporto firmato dal magistrato Mezzera che metteva in luce le anomalie della gestione della salvaguardia negli ultimi vent’anni. Concessione unica, prezzo lievitato (da 1 miliardo e mezzo a 5 miliardi e mezzo, escluse le opere di mitigazione, la gestione e la manutenzione dell’opera), controlli scarsi, conseguenze ambientali. A cominciare dai cantieri di Santa Maria del Mare, aperti in area tutelata e per questo sanzionati dall’Europa. E poi i progetti alternativi non esaminati, le previsioni del rialzo del livello dei mari firmate da Paolo Pirazzoli ignorate. Fino ai dubbi tecnici sul funzionamento delle paratoie in condizioni particolari, contenuti nel rapporto della società di ingegneria francese «Principia», commissionato dal Comune cinque anni fa. «Siamo pronti a rispondere alle domande», dice Mazzolin, «e abbiamo fiducia nell’Europa».(a.v.)

 

Gazzettino – Mantovani, Si scoprono altre cartiere

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7

mar

2013

L’imprenditore padovano nel 1987 comprò l’azienda da un bolognese

Claudia Minutillo è l’unica ad aver svelato in parte i sistemi usati da Baita presidente Mantovani

RICORSI AL RIESAME –  Il 15 marzo l’udienza in Tribunale contro le ordinanze di custodia

PERQUISIZIONI –  Nelle casa di Colombelli video hard: in alcuni il protagonista è lui stesso

Si scoprono altre cartiere e spuntano film “a luci rosse”

Non solo documentazione fiscale, contratti e fatture: tra il materiale rinvenuto nella disponibilità del presidente di Bmc Broker, William Alfonso Colombelli, la Guardia di Finanza ha sequestrato anche un consistente quantitativo video a “luci rosse”, in parte dei quali lo stesso risulta protagonista assieme ad una o più donne. Alcuni filmati sembrano girati nella sua abitazione, altri in un non meglio precisato ufficio e vi comparirebbero anche altri uomini: le riprese, assicurano gli investigatori, lasciano poco all’immaginazione. Non vi è conferma che tra le persone riprese vi siano altri indagati.
Con l’inchiesta sulle presunte false fatturazioni questo materiale non ha alcuna attinenza o utilità, ma le Fiamme Gialle lo stanno ugualmente analizzando per capire se i video rispondano unicamente alla necessità di soddisfare fantasie a sfondo sessuale o se, almeno una parte di essi, non sia stato realizzato per acquisire “documentazione” da utilizzare in casi estremi contro qualcuno. Così come le registrazioni che il presidente di Bmc Broker fece nel corso di alcuni colloqui con il presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, dopo che questi aveva deciso di interrompere i rapporti con la società di San Marino.
Sul fronte delle indagini le principali novità emergono dalle prime analisi della montagna di documenti posti sotto sequestro nella sede della Mantovani e nelle numerose abitazioni private perquisite dai finanzieri. Gli inquirenti avrebbero trovato la prova dell’esistenza di altre “cartiere”, ovvero di società con la quale la Mantovani teneva rapporti fittizi, finalizzati alla creazione di fondi “neri”. Ovviamente siamo all’inizio degli accertamenti e sarà necessario un lungo lavoro di approfondimento alla ricerca di conferme e riscontri. Ma se così fosse, lo scandalo della false fatture sarebbe destinato ad estendersi. Finora il sostituto procuratore Stefano Ancilotto, al quale da alcuni giorni si è affiancato il pm Stefano Buccini, ritiene di aver trovato elementi per sostenere la falsità di fatture per una ventina di milioni, oltre metà delle quali sono però ormai prescritte per il troppo tempo trascorso. Il Gip Alberto Scaramuzza ha ritenuto che l’inchiesta possa procedere in relazione alle fatture più recenti, per un ammontare complessivo di circa 8 milioni. Per questo motivo ha disposto il sequestro preventivo dei beni dei principali quattro indagati: oltre a quelli di Baita e Colombelli, anche un immobile di proprietà di Nicolò Buson, responsabile amministrativo della Mantovani, e due appartamenti dell’amministratrice di Adria Infrastrutture, Claudia Minutillo, già segretaria dell’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan, che con Colombelli ha avuto una relazione sentimentale.
Nel frattempo il Tribunale del riesame di Venezia ha fissato per il 15 marzo l’udienza per esaminare il ricorso dei difensori di Baita, gli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, i quali chiedono la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare e sollevano un’eccezione di incompetenza territoriale, sostenendo che titolare dell’inchiesta dovrebbe essere la procura di Padova, dove si trovano gli uffici amministrativi della Mantovani (che a Venezia ha la sede legale). Anche l’avvocatessa Fulvia Fois ha annunciato che presenterà ricorso al Riesame per Buson.
Finora solo Claudia Minutillo, difesa dall’avvocato Carlo Augenti, ha accettato di rispondere alle domande del pm, svelando in parte i meccanismi utilizzati, ma addebitando la responsabilità principale a Baita. Non è escluso che anche Colombelli possa decidere di farsi ascoltare dal pm: il suo legale, l’avvocato Renzo Fogliata, ha chiesto che il suo assistito, detenuto a Genova, possa essere trasferito in un carcere più vicino per garantirgli una piena possibilità di difesa.

Gianluca Amadori

 

È all’estero il consulente perquisito e scomparso

PADOVA – Il “consulente tecnico ambientale” del Gruppo Mantovani, ragioniere Mirco Voltazza, si nasconderebbe all’estero. In un paese dell’Est Europa. Dopo la perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Polverara di Voltazza del ragioniere, scomparso da più di un mese, gli investigatori del Nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza hanno perquisito anche gli uffici e l’abitazione di un amico di Voltazza, e pare anche suo socio. Si tratta di Luigi Dal Borgo, sessantacinquenne imprenditore, amministratore di una società di Marghera e di un’altra che ha sede a Quarto d’Altino, in provincia di Venezia. Le perquisizioni di Voltazza e di Dal Borgo (che risiede in provincia di Belluno) sono avvenute entrambi venerdì scorso. Mentre gli investigatori controllavano il restauratissimo rustico del Settecento di Voltazza, che adesso ha sulle spalle anche una condanna passata in giudicato, altri finanzieri perquisivano la casa di Dal Borgo, in via Roma 58 a Pieve D’Alpago. Per quanto riguarda le sedi di lavoro dei due indagati gli investigatori non hanno fatto molta strada. Perché sia Voltazza che Dal Borgo lavorano nello stesso stabile, in via Fratelli Bandiera 45 a Marghera.

 

VENEZIA – Romeo Chiarotto per due ore davanti al Pm Ancilotto, in qualità di persona informata sui fatti.

Il proprietario di Mantovani: «Mai saputo nulla di false fatture»

E Vanessa, segretaria Bmc Broker: «I contratti erano sempre firmati da Baita»

VENEZIA – (gla) Di “cartiere” e false fatture ha raccontato di non sapere nulla; di non non aver mai sospettato nulla. Romeo Chiarotto, 83 anni, proprietario della Mantovani spa attraverso la cassaforte di famiglia, Serenissima Holding, di cui è presidente, è stato ascoltato ieri mattina dal sostituto procuratore Stefano Ancilotto in qualità di persona informata sui fatti e di probabile parte lesa nel futuro processo sul vorticoso “giro” milionario di fatture a fronte di operazioni inesistenti.
L’imprenditore è rimasto per un paio di ore nell’ufficio del magistrato rilasciando una serie di dichiarazioni che ora le Fiamme Gialle dovranno verificare. In precedenza gli inquirenti avevano chiesto di lui anche alla segretaria della Bmc Broker, Vanessa Renzi, per capire se il suo titolare, William Colombelli, avesse intrattenuto rapporti con Chiarotto oltre che con il presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita. Ma la segretaria rispose: «Non ho mai sentito parlare di alcun Chiarotto. Per quanto riguarda la Mantovani i contratti erano firmati sempre da Baita».
A chiamare Baita al vertice di Mantovani fu lo stesso Chiarotto, negli anni Novanta, dopo la sentenza di assoluzione con la quale il manager uscì perfettamente “pulito” dal processo sulla Tangentopoli veneta. Un manager ritenuto capace e preparato tanto da ricevere, per occuparsi della gestione della società di costruzioni, un compenso di circa 800mila euro all’anno.
La Mantovani spa, impresa fondata nel 1949 da un bolognese, l’ingegnere Enzo Mantovani, è di proprietà di Chiarotto dal 1987 ed è specializzata nella costruzione e manutenzione di infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, ma anche nel settore del dragaggio e dell’ingegneria idraulica, tanto da far parte del Consorzio Venezia Nuova, impegnato nei lavori per la Salvaguardia di Venezia.
Chiarotto è personaggio molto conosciuto a Padova e nel Veneto, anche grazie ai molti contatti con il mondo politico e finanziario: è stato a lungo nel cda di Antonveneta, di cui fu anche vicepresidente. Negli anni Novanta fu coinvolto nella prima Tangentopoli, nell’inchiesta su Autovie Venete. Fu arrestato, ma solo per poche ore, poi tutto finì con un patteggiamento.
In questi giorni la Guardia di Finanza è impegnata da un lato ad analizzare l’ingente mole di documenti sequestrati, dall’altro ad ascoltare in qualità di persone informate sui fatti tutte le persone che potrebbero riferire in merito all’attività della Mantovani, e in particolare agli studi e alle progettazioni di cui fu incaricata la Bmc Broker, tutti ritenuti inesistenti. Per provarlo il pm Ancilotto ha fatto già interrogare numerosi dipendenti di Mantovani, i quali hanno fornito indicazioni ritenute interessanti, alcune delle quali valorizzate anche dal Gip Scaramuzza nell’ordinanza di custodia cautelare.

 

Il caso è scoppiato il 28 febbraio

Per il manager finito in galera compenso annuo di 800 mila euro

Il “caso Mantovani” è scoppiato il 28 febbraio con 4 arresti (Baita, Buson, Minutillo, Colombelli) per frode fiscale finalizzata a costituire un «fondo nero» da otto milioni di euro. L’indagine è condotta dalla Guardia diFinanza di Venezia. Minutillo avrebbe parlato a lungo svelando molti retroscena.

 

IL GOVERNATORE – Luca Zaia: «Dobbiamo assicurare la trasparenza, il palazzo sia di cristallo»

Commissione d’inchiesta sui lavori pubblici dal 2005

Consiglieri d’accordo ma manca l’intesa sul testo presentato dal Pd

Pdl e Lega: «Non intralci la magistratura». L’ok atteso per oggi

Il Consiglio regionale si avvia ad istituire una commissione d’inchiesta sui lavori pubblici svolti in Veneto dal 2005. Le preoccupazioni legate alla presunta frode fiscale nella quale è coinvolto, tra gli altri, Piergiorgio Baita, ad di Mantovani, sono emerse ieri durante il Consiglio regionale del Veneto, convocato per la discussione del Bilancio. Tra i primi ad intervenire Luca Zaia: «Non posso iniziare a parlare di bilancio – ha detto il governatore – senza aver prima parlato di chiarezza e trasparenza, temi verso cui abbiamo tutti lo stesso colore politico, volendo che il palazzo sia un palazzo di cristallo. Io dico no alle generalizzazioni di piazza per cui tutti sono già condannati, ma è doveroso interrogarsi».
La disponibilità di Zaia è stata subito raccolta da Lucio Tiozzo (da poco subentrato come capogruppo del Pd a Laura Puppato), che ha proposto al presidente di sottoscrivere la proposta di legge messa a punto dai consiglieri democratici per istituire una commissione con il compito di verificare procedure di affidamento, costi e tempistiche, aggiudicazione e realizzazione di lavori pubblici con particolare riferimento a quelli eseguiti attraverso la finanza di progetto. Il presidente della Regione ha dato la sua disponibilità di massima, anche perché la Giunta ha già approvato all’unanimità la creazione di un Nucleo investigativo interno.
Se però Tiozzo auspicava una convergenza sul testo del Pd – che è stato subito sottoscritto da tutti i consiglieri di opposizione – si è scontrato contro le resistenze del Pdl e l’attendismo della Lega Nord. «Non vorrei che la commissione finisse per essere d’intralcio alla magistratura, nella quale ho la massima fiducia – ha sottolineato Bond – Il testo così come presentato dal Pd non va bene, ma se adottiamo il modello già sperimentato in quinta commissione – dove un anno fa abbiamo preso in esame i progetti sulla base della remunerazione di capitale, delle tempistiche, delle ricadute sul bilancio – allora se ne può parlare». A frenare il Pdl sarebbero alcuni passaggi della relazione che introduce il progetto di legge, dove si parla del coinvolgimento “dell’ex segretaria del presidente Galan” e di “fondi neri generati attraverso società di comodo”. Passaggi giudicati troppo politici. «Siamo favorevoli ad una commissione d’inchiesta con poteri ben precisi – ha dichiarato il capogruppo leghista Federico Caner – che non si sostituisca alla magistratura. Per questo abbiamo chiesto la modifica del testo». Le limature dovrebbero essere apportate stamani in Consiglio, anche se il Pd preferirebbe tenere la proposta così com’è: «La relazione non è che la fotografia di come stanno le cose in questo momento – spiega Tiozzo – che è il motivo per cui è necessaria una commissione. Noi non siamo un tribunale, ognuno farà il proprio mestiere. Ad ogni modo per raggiungere l’obiettivo – la sua istituzione – siamo disposti a modificare il testo, purché i contenuti siano rispettati».
Il consigliere democratico Franco Bonfante si spinge oltre: «L’inchiesta in corso potrebbe fare emergere prove tali che ci sarebbero gli estremi per l’annullamento dei progetti da avviare o di quelli in itinere, ovvero portare alla revisione delle condizioni di contratto di opere realizzate con la finanza di progetto. Per esempio i canoni dei servizi». Il consigliere fa un esempio per tutti: «L’ospedale dell’Angelo di Mestre».

Marco Gasparin

 

GLI SVILUPPI –  L’inchiesta si allarga: presto nuovi indagati Trema anche il mondo della politica

CASO MANTOVANI La Finanza ha perquisito anche le aziende di Quarto d’Altino e Marghera di un imprenditore

Fondi neri e filmini a luci rosse

Fatture false, trovati video hard a casa Colombelli: in alcuni il broker è protagonista con una o più donne

MANTOVANI NELLA BUFERA

LE AZIENDE – A Quarto d’Altino e a Marghera

I DOCUMENTI – Isolate un centinaio di fatture sospette

INDAGINI IN CORSO – Si sospetta possa aver ospitato Mirco Voltazza, collaboratore di Baita

Consulente fuggito, perquisito l’amico  

La Guardia di Finanza nella casa e negli uffici veneziani dell’imprenditore Luigi Dal Borgo

NUOVI SVILUPPI – Si trema negli ambienti dell’imprenditoria e anche della politica. Sono in arrivo probabili nuove iscrizioni nel registro degli indagati sulla vicenda giudiziaria che sta travolgendo la Mantovani. Nuove iscrizioni di notizia di reato potrebbero essere consegnate in questi giorni. La Finanza ha anche perquisito le aziende di Quarto d’Altino e Marghera di un imprenditore.

RIVELAZIONI – Non solo documentazione fiscale, contratti e fatture: tra il materiale rinvenuto nella disponibilità del presidente di Bmc Broker, William Alfonso Colombelli, la Guardia di Finanza ha sequestrato anche un consistente quantitativo di video a luci rosse, in parte dei quali lo stesso broker risulta protagonista assieme ad una o più donne. Gli inquirenti intanto hanno trovato la prova dell’esistenza di altre “cartiere”.

L’INCHIESTA – Presunti fondi neri e frode fiscale. Agli arresti è finito Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani

In carcere anche altre tre persone

Il ragioniere Mirco Voltazza si nasconderebbe all’estero. In un paese dell’Est Europa. Dopo la perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Polverara (Padova) di Voltazza, il “consulente tecnico ambientale” per l’Expo 2015, scomparso da più di un mese, gli investigatori del Nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza hanno perquisito anche gli uffici e l’abitazione di un amico di Voltazza, e pare anche suo socio. Si tratta di Luigi Dal Borgo, sessantacinquenne imprenditore, amministratore di una società di Marghera e di un’altra che ha sede a Quarto d’Altino e residente in provincia di Belluno.
Le perquisizioni di Voltazza e di Dal Borgo sono avvenute entrambi venerdì scorso. Mentre gli investigatori controllavano il restauratissimo rustico del Settecento di Voltazza, che adesso ha sulle spalle anche una condanna passata in giudicato, altri finanzieri perquisivano la casa di Dal Borgo, in via Roma 58 a Pieve D’Alpago. Per quanto riguarda le sedi di lavoro dei due indagati gli investigatori non hanno fatto molta strada. Perchè sia Voltazza che Dal Borgo lavorano nello stesso stabile, in via Fratelli Bandiera 45 a Marghera. Lì ha sede la Nsa srl, Non solo ambiente, amministrata dal bellunese. E Luigi Dal Borgo è anche presidente della Crea Technology srl, che ha sede a Quarto D’Altino, in via Marconi 1.
Secondo gli inquirenti Luigi Dal Borgo e Mirco Voltazza sono molto amici. E c’è il sospetto che il ragioniere padovano rientri in italia periodicamente di nascosto. E ad ospitarlo sarebbe proprio Dal Borgo. Cosa ci faceva un pregiudicato per ricettazione, peculato e calunnia nel Gruppo Mantovani? In una nota dell’ottobre scorso l’Ufficio di esecuzione penale esterno del ministero della Giustizia si afferma che Voltazza collabora con il Gruppo Mantovani per la costruzione e la successiva demolizione della piattaforma su cui sorgerà l’Expo 2015 a Milano. Sempre secondo la nota Uepe, il ragioniere ha un contratto di collaborazione come libero professionista e lavora nel suo ufficio di Marghera con un orario preciso, dalle 8 alle 20. Voltazza è indagato per emissione di false fatture. Ma le fiamme gialle sospettano che possa aver messo in atto anche raggiri ai danni del presidente del Gruppo Mantovani, Piergiorgio Baita. Voltazza si sarebbe vantato pubblicamente di aver avuto delle “amicizie” nell’Agenzia delle entrate, nella Guardia di Finanza e nella magistratura. Anzi, avrebbe detto, addirittura, che era protetto da un magistrato. Ex impiegato di banca, ex socio della gestione dell’Aci di Piove di Sacco, ed ex promotore finanziario, negli ultimi anni il ragioniere Voltazza si considera un “consulente tecnico ambientale”. Questo gli deriva dal fatto di aver collaborato con un’azienda che si occupava di tecnologie ambientali. Ed è come esperto ambientale che ha ottenuto la collaborazione dal Gruppo Mantovani. Ora è all’estero perchè è anche ricercato per le sue condanne.

 

GLI SVILUPPI -Trema anche la politica. In arrivo nuovi indagati

Si trema negli ambienti dell’imprenditoria e anche della politica. Sono in arrivo probabili nuove iscrizioni nel registro degli indagati sulla vicenda giudiziaria che sta travolgendo la Mantovani. Oltre agli arresti di Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, William Ambrogio Colombelli e Nicolò Buson, a cui si sommano i quindici indagati e la cinquantina di perquisizioni, nuove iscrizioni di notizia di reato potrebbero essere consegnate in questi giorni.
Intanto proseguono le indagini della Guardia di Finanza della Tributaria condotte dal colonnello Renzo Nisi che hanno isolato in un centinaio le fatture significative che potrebbero svelare risvolti interessanti. Tutte fatture al vaglio delle fiamme gialle così come il materiale sequestrato al ragioniere padovano Mirco Voltazza che è sparito da un mese. Ma stando ai primi riscontri i documenti prelevati dalla sua abitazione e dal suo ufficio sono considerati importanti ed eloquenti per gli inquirenti. Non si esclude che sia proprio Voltazza, l’uomo con pesanti precedenti penali che vanno dalla ricettazione, alla calunnia fino al peculato, ad avere le chiavi del forziere con il denaro sporco. Un buco nero da dieci milioni di euro. A meno che gli inquirenti non trovino una montagna di banconote da qualche parte, cosa improbabile, il denaro dovrà sbucare dalla “lettura” delle fatture.
Così come novità potrebbero uscire dagli stessi arrestati. Claudia Minutillo ha iniziato a vuotare il sacco in tempi record. Tengono ancora William Ambrogio Colombelli e Nicolò Buson, forse in attesa dell’udienza del riesame in calendario il 15 marzo. Se usciranno dal carcere forse non parleranno più, ma se restano dentro non copriranno più nessuno e per loro non rimarrà che trattare. (r.ian)

 

Corriere del Veneto – Mantovani, Baita si è dimesso

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7

mar

2013

INCHIESTA MANTOVANI

nuove maxi consulenze sospette

False fatture, oltre a Bmc sotto la lente del pm altre due società «cartiere». Interrogato il patron Chiarotto. E spunta un nuovo imprenditore indagato

VENEZIA — Quarantadue incarichi (fonte Camera di Commercio) cancellati con un tratto di penna. Dopo averlo preannunciato qualche giorno fa, mercoledì è arrivata l’ufficializzazione: nel carcere di Belluno Piergiorgio Baita, il 64enne manager veneziano ha messo le firme necessarie sugli atti predisposti dai suoi legali Piero Longo e Paola Rubini per abbandonare non solo il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione di Mantovani, ma tutti gli altri ruoli a esso legati. Tanto per fare qualche esempio: presidente di Talea e Palomar (società finite nell’indagine delle false fatture), Expo 2015 e Nogara-Mare; vicepresidente di Adria Infrastrutture (idem come sopra), Autostrada Serenissima, Gra di Padova e Veneta sanitaria finanza di progetto (Ospedale di Mestre); consigliere di Veneto City e di altre due società nel mirino della procura, Consorzio Venezia Nuova e Thetis. «Ora serviranno le comunicazioni di rito per renderle operative – dice l’avvocato Rubini – la decisione è stata presa per una questione di opportunità, in modo da difendersi al meglio».

Baita, il manager che ha fatto moltiplicare in maniera esponenziale i cantieri (e i fatturati) di Mantovani, ha infatti deciso di dividere i suoi destini da quelli della società, che—secondo il pm Stefano Ancilotto e la Guardia di Finanza di Venezia e Padova —sotto la sua guida avrebbe goduto, in prima persona e tramite Adria Infrastrutture, di almeno 8 milioni di fatture false dalla sanmarinese Bmc Broker. Motivo per cui, giovedì scorso, è stato arrestato nella sua casa di Mogliano Veneto. Baita è pronto a dare battaglia, dunque, e proprio ieri è stata fissata anche la data dell’udienza del tribunale del riesame di Venezia, a cui i legali si sono rivolti per ottenere la scarcerazione: si terrà il 15 marzo, insieme a quello del manager della Bmc, William Ambrogio Colombelli, difeso dall’avvocato veneziano Renzo Fogliata. Ma proprio ieri sarebbe emerso un altro punto a suo sfavore. Le Fiamme Gialle che da una settimana sono al lavoro sull’enorme mole di documenti sequestrati nelle perquisizioni di giovedì scorso avrebbero infatti messo nel mirino altre società «sospette»: nella contabilità di Mantovani infatti spuntano all’improvviso almeno un paio di nomi di società del tutto «inedite» e con fatture di consulenza dall’importo elevato e dall’oggetto del tutto generico.

Per questo secondo gli inquirenti, che il pm ha incaricato di compiere tutte le verifiche del caso, potrebbero essere anch’esse delle «cartiere», cioè società produttrici di false fatture come Bmc. Il meccanismo era semplice: quest’ultima fatturava a Mantovani o Adria Infrastrutture servizi che in realtà non svolgeva (e che spesso erano duplicazioni di servizi svolti da altri) e dopo il pagamento erano lo stesso Colombelli o una delle sue collaboratrici a prelevare i soldi in contanti che, secondo l’accusa, sarebbero poi tornati a Baita sotto forma di fondi neri. Un nuovo spunto di indagine che si aggiunge ai filoni aperti sulla destinazione dei soldi (compresa la pista politica) e sulle «talpe» che avrebbero aggiornato Baita sulle indagini in corso. Spunti su cui elementi importanti potrebbero arrivare dagli interrogatori: dopo quello di lunedì di Claudia Minutillo, l’ad di Adria Infrastrutture, a breve dovrebbe esserci quello di Nicolò Buson, direttore finanziario di Mantovani, entrambi finiti in carcere con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione a delinquere.

«Siamo disponibili a chiarire la nostra posizione al pm», dice l’avvocato Fulvia Fois, difensore di Buson. Ieri mattina presto il pm Ancilotto ha anche sentito rapidamente a sommarie informazioni il patron di Mantovani Romeo Chiarotto, che però ha ribadito di non aver saputo nulla di eventuali false fatture, così come il figlio Giampaolo, e che, anzi, la sua società in questa vicenda è parte lesa… E intanto dalle indagini delle Fiamme Gialle padovane spunta un nuovo indagato per false fatture, dopo il ragioniere «latitante» Mirco Voltazza. I militari hanno perquisito anche l’abitazione di Pieve d’Alpago e gli uffici di Luigi Dal Borgo, 65enne amministratore della «Non solo ambiente » di Marghera. Voltazza e Dal Borgo lavorano nello stesso stabile, in via Fratelli Bandiera a Marghera e, secondo gli inquirenti, i due sarebbero amici e soci: quest’ultimo avrebbe offerto appoggio a Voltazza nelle occasioni in cui il ragioniere – collaboratore di Mantovani per l’Expo – rientrava in Italia.

Alberto Zorzi (hanno collaborato Roberta Polese e Nicola Munaro)

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Nuova Venezia – Mantovani, la Finanza trova altre cartiere

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7

mar

2013

Potrebbe raddoppiare l’importo delle false fatture che hanno consentito alla società presieduta da Baita di creare fondi neri

VENEZIA – Non c’è solo la “BMC Broker”, altre aziende “cartiere” sono state scoperte dalla Guardia di Finanza e dal pm Stefano Ancillotto. Tutte usate per produrre fatture false e creare “fondi neri”. Si allarga a macchia d’olio l’indagine che ha portato in carcere Piergiorgio Baita, presidente di “Mantovani Spa” e Claudia Minutillo ex segretaria di Giancarlo Galan, quando l’esponente del Pdl era presidente della Regione. Gli investigatori sono convinti che i soldi stornati dal bilancio, grazie alle fatture false e finiti ad ingrossare i “fondi neri”, siano molti di più di quelli che hanno scoperto nei passaggi su conti correnti di banche di San Marino e tutti intestati a William Colombelli, titolare della BMC, e a suoi parenti. Sia perché dalla documentazione recuperata hanno la prova che ci sono altre aziende che utilizzavano il sistema di “Baita e soci”, sia perché hanno elementi per dire che il presidente di Mantovani faceva questo anche con altre “cartiere”. Nel gergo della Guardia di Finanza una “società cartiera” è un’azienda che ha il solo compito di emettere fatture false a favore di altre imprese che saldandole creano “fondi neri”. «Soldi che solitamente vanno a finire in tangenti», come ha spiegato in più occasioni il colonnello Renzo Nisi, comandante del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia. Ebbene Baita e gli altri imprenditori della “cricca” si servivano anche di altre “società cartiere” con sede in Veneto e nel nord Italia. “Cartiere” che hanno fornito centinaia e centinaia di fatture false che hanno consentito alle società del gruppo Mantovani e ad altre imprese del giro, di far transitare alcune decine di milioni di euro su conti correnti all’estero. Soldi che per l’80 per cento rientravano in loro possesso e in contanti. Quanti siano veramente è difficile stabilirlo. Anche perché gli investigatori non hanno ancora avuto accesso ai conti correnti all’estero dove sono finiti i soldi pagati per le fatture false. Comunque si tratta di parecchio denaro. Il pm Stefano Ancillotto ha già inoltrato le richieste, per poter visionare i conti, alle autorità dei paesi stranieri dove si trovano i conti correnti. E ora attende gli esiti delle rogatorie. Dell’esistenza di altre “cartiere” era emerso anche dalle registrazioni fatte da William Colombelli, durante gli incontri tra lui e Piergiorgio Baita. In particolare Baita, mentre discute con Colombelli sull’acquisto della BMC Broker, fa capire dell’esistenza di altre “cartiere” che lavorano per lui. In quel momento entrambi vogliono chiudere la “cartiera” di San Marino, diventata troppo scomoda e dalla quale sono uscite, in sei anni, migliaia di fatture false per le società del Gruppo Mantovani e anche per altre aziende pubbliche e private del Veneto. I due non si trovano d’accordo sul prezzo perché Baita non intende inglobare nel suo gruppo una “cartiera”. Lui stesso usa questa parola. E spiega: «questi se ne accorgono subito che si tratta di una cartiera (si riferisce ai finanzieri, ndr)»; l’altro che vuole 3 milioni di euro, perché è evidente che «quando i finanzieri arrivano in un’azienda e vedono che ci sono tante fatture con una ditta di San Marino si insospettiscono, meglio chiuderla». Poi Colombelli spiega al presidente di aver lavorato, negli ultimi anni, quasi esclusivamente per lui. Mentre continua la caccia ai “fondi neri”, gli investigatori attendono il rientro in Italia di Mirco Voltazza, il factotum di Giorgio Baita. È l’uomo che conosce mille segreti della “cricca” e che qualche settimana prima dell’arresto del suo “titolare” è sparito dalla circolazione, quasi sapesse dell’imminente blitz della Guardia di Finanza. A Voltazza è stata perquisita la ditta di barriere marine in via Fratelli Bandiera a Marghera. Dicono che lui si trovi nell’est Europa. Di certo non lo hanno trovato gli investigatori. Non è escluso che usi anche delle “teste d’uovo” per dar vita lui stesso a “cartiere”. Parecchio materiale relativo a false fatture è stato trovato durante le venti perquisizioni compiute il giorno degli arresti. Una decina sono state eseguite tra Bologna e provincia. Le altre, tutte in Veneto, sono state eseguite a Mestre, Marghera, Mogliano, Verona, Rovigo, Pieve d’Alpago e Montegrotto. Si tratta di case e di sedi delle aziende di imprenditori che hanno effettuato versamenti sui conti di Colombelli.

Carlo Mion

 

Scarano: sorprese dai pubblici appalti

«Per esperienza penso che da lì potrebbe emergere qualcosa di più». La Corte dei Conti: corruzione umiliante fardello

VENEZIA «A 20 anni da Mani pulite la corruzione continua a pesare sull’Italia come un insopportabile ed umiliante fardello: questi fatti sono avvenuti, ma non sono inevitabili, si possono combattere», «il contrasto al malaffare pubblico costituisce una priorità assoluta ed una condizione essenziale per il permanere della piena democrazia nel nostro Paese, occorre evitare però ogni pericolosa e demagogica generalizzazione che attribuisca alla classe politica ogni sorta di malaffare. Occorre invece utilizzare tutti gli strumenti e le risorse a disposizione per individuare i singoli casi di deviazione dai propri doveri, colpendoli con inesorabile severità e contrastando l’incombente pericolo che diventino sistema», pur a fronte «di organici carenti del 30%». L’ammonimento arriva dal presidente della Corte dei Conti del Veneto, Angelo Buscema, nella cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario. Appuntamento sul quale ha aleggiato l’ultimo grande scandalo che – con l’arresto di Piergiorgio Baita – coinvolge la Mantovani: un’inchiesta per ora tutta fiscale, ma che pare destinata a ampliarsi. «Per esperienza», osserva però il procuratore Carmine Scarano, «penso che sicuramente ci sarà una ricaduta nei rapporti con gli appalti pubblici e da lì potrebbe emergere qualcosa in più». Ma di malaffare ce n’è ancora molto: 7,6 i milioni di euro contestati nel 2012 in danni erariali, contro i 2,2 del 2011, e 115 soggetti citati (erano stati 113), 9 mila le pratiche al vaglio della Corte, tra contestazioni erariali e cause pensionistiche. Pescando qua e là tra le sentenze: il responsabile dell’ufficio Anagrafe di Meolo che non aveva segnalato all’Inpdap la morte di un’anziana, con la figlia che ha continuato a percepire la pensione per 6 anni; sindaco e assessori del Comune di Jesolo condannati a pagare 10 mila euro per non aver arbitrariamente concesso un buono casa a una coppia mista, «con un atteggiamento costante di indifferenza e sfida rispetto alle norme di legge»; un appuntato dei carabinieri di Motta di Livenza che si era portato a casa 31 denunce; i 168 mila euro contestati a un dipendente dell’Ufficio Unep di Treviso che non aveva versato le imposte ricevute; un finanziere della Marca che si è fatto consegnare 10 mila euro per pilotare un controllo; un dentista dell’Asl di Vicenza che ha falsificato ricette per false prestazioni per 302 mila euro di rimborsi. Poi le inchieste sulle società che gestiscono servizi pubblici e dove i contenziosi sulla giurisdizione della Corte dei conti sono però aperti e la mancanza di una normativa chiara ferma molte indagini. «La tendenza a costituire società pubbliche si è moltiplicata a dismisura nell’ultimo decennio», osserva Buscema, «con dimensioni talmente vaste, che in moltissimi casi ne hanno completamente snaturato i benefici intendimenti. Le società pubbliche hanno infatti rappresentato un facile strumento per dinamiche clientelari, elusive dei vincoli di spesa, particolarmente utili per assunzioni senza concorso, per il superamento dei tetti di spesa, per la moltiplicazione di incarichi più o meno retribuiti, per la creazione di sistemi compartecipativi a scatole cinesi», «però c’è modo di entrarvi: la Cassazione ha chiarito che dev’essere preminente il servizio sulla proprietà, se il servizio è pubblico la competenza è nostra».

Roberta De Rossi

 

I LEGALI VERSO L’ECCEZIONE DI INCOMPETENZA TERRITORIALE

Venerdì prossimo il riesame degli arresti

VENEZIA – Passeranno il 15 marzo prossimo il vaglio del Tribunale del riesame di Venezia, presieduto dal giudice Angelo Risi, le ordinanze di custodia cautelare per la vicenda della frode fiscale da 10 milioni di euro della «Mantovani». Per ora, hanno ricorso soltanto due dei quattro arrestati, il presidente dell’asso pigliatutto delle costruzioni in Veneto Piergiorgio Baita, difeso dagli avvocati Paola Rubini e Piero Longo, e il presidente della società-cartiera di San Marino William Colmbelli, difeso dall’avvocato Renzo Fogliata. Per gli altri due, l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo e il responsabile amministrativo della Mantovani, il ragioniere padovano Nicolò Buson, i loro difensori, l’avvocato Carlo Augenti e l’avvocato Flavia Fois, non hanno presentato ancora il ricorso, se lo facessero, comunque, anche la posizione dei loro clienti verrebbe discussa nella stessa udienza, quella di venerdì prossimo. L’avvocato Rubini, oltre a battersi per far uscire dal carcere Baita, ha già anticipato che chiederà che l’indagine venga trasferita per competenza territoriale alla Procura di Padova, città dove hanno sede gli uffici amministrativi della ;Mantovani e dove è stata compiuta la verifica fiscale grazie alla quale sono state scoperte le fatture fasulle. Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere e frode fiscale e per quanto riguarda la competenza territoriale è il reato più grave a contare e cioè il primo. L’avvocato punterà a dimostrare che, se l’accusa ha ragione, l’accordo tra gli arrestati è stato messo in cantiere a Padova. È dato come probabile che in udienza si presenterà anche il pm Stefano Ancilotto con nuove carte dell’accusa, forse anche il verbale d’interrogatorio di Claudia Minutillo.

 

IL GOVERNATORE ADERISCE all’appello del CAPOGRUPPO PD

Zaia: sì alla commissione d’inchiesta sugli appalti

VENEZIA – Un coup de théâtre ad animare la prima seduta del Consiglio veneto dedicata all’esame del bilancio e della legge finanziaria. Dove il capogruppo del Pd, Lucio Tiozzo, si avvicina a Luca Zaia e con fare sornione gli porge un documento: «E’ la richiesta di istituire una commissione d’inchiesta sui lavori pubblici di competenza della Regione, vorrei che la prima firma fosse la tua». «Nessun problema, dobbiamo essere un palazzo di cristallo, ogni iniziativa di trasparenza avrà il mio sostegno ma serve un patto tra gentiluomini per fare chiarezza senza sostituirci al lavoro dei magistrati», la replica del governatore che conferma la volontà di sottoscrivere l’ordine del giorno; sostanziale consenso anche dal gruppo della Lega – Federico Caner sta concordando il testo definitivo con gli altri capigruppo – e dall’opposizione al completo; permangono invece le perplessità del Pdl anche se in mattinata l’assessore alle infrastrutture Renato Chisso ha tagliato corto: «Male non fare paura non avere, ben vengano gli accertamenti». Soddisfatti i democratici, fautori dell’indagine amministrativa che dovrà verificare la correttezza degli appalti a partire dal 2005 (l’arco temporale oggetto dell’inchiesta che ha condotto in carcere, tra gli altri, Piergiorgio Baita, ad del colosso costruzioni Mantovani) riesaminando procedure, costi e tempi, nonché l’aggiudicazione e la realizzazione delle opere, in particolare di quelle eseguite in project financing, il controverso mix di capitali pubblici e privati: «Galan ha delegato al mercato la programmazione delle grandi opere», commenta il consigliere Stefano Fracasso «e i poteri forti hanno avuto il sopravvento sulla politica, chiediamo discontinuità». Tornando al dibattito in aula, Zaia ha accusato di «rapina» il Governo: «In tre anni passiamo da un miliardo e 600 milioni di spese libere all’attuale miliardata e la capacità d’investimento è crollata dai 596 milioni del 2010 agli zero attuali. Le nostre imprese attuano già la secessione dall’Italia, al ritmo di 700 all’anno, ma nonostante la criticità del momento non rinunceremo a dare risposte ai veneti». Poi la relazione di maggioranza di Stefano Toniolo (Pdl) che ha illustrato i capisaldi del bilancio: «La manovra vale poco più di 12 miliardi, escluse le partite di giro, e il 70% delle risorse sono dedicate alla sanità che assorbe 8,35 miliardi. Quest’anno pesa in maniera evidente l’effetto dei minori trasferimenti statali, della contrazione delle entrate e dei vincoli del patto di stabilità»; «Le risorse a libera destinazione per la Regione nel 2013», ha spiegato «non arrivano al miliardo, per l’esattezza ammontano a 993 milioni, – 25% rispetto all’anno scorso». Piero Ruzzante (Pd) ha aperto la relazione di minoranza lamentando «l’ennesimo grave ritardo» nella presentazione della manovra e il suo gruppo ha presentato un pacchetto di emendamenti del valore di 48 milioni che prevede sostegno al credito d’impresa, fondo d’emergenza per le politiche sociali, trasporti ferroviari locali, edilizia scolastica e formazione primaria. Oggi il confronto entrerà nel vivo.

Filippo Tosatto

 

Scure sulle partecipazioni

Approvato il piano Ciambetti: tagli dal 30 al 50% alle società

VENEZIA – La Giunta del Veneto ha approvato il processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie della Regione proposto dall’assessore al bilancio Roberto Ciambetti: «L’obiettivo», afferma quest’ultimo «è migliorare l’efficienza gestionale e garantire l’equilibrio economico – finanziario che ci siamo prefissi». In sintesi, la Giunta ha stabilito che le società direttamente partecipate o controllate dalla Regione, a esclusione di quelle per cui è in atto un procedimento di cessione, dovranno presentare entro il 31 marzo un documento ricognitivo e una proposta di piano di razionalizzazione delle società dalle stesse partecipate, in base a criteri di opportunità strategica, a considerazioni sugli assetti del personale e al trend dei risultati economici. Le società strumentali che ricevono dalla Regione affidamenti “in house”, dovranno prevedere obbligatoriamente la dismissione di tutte le partecipazioni in società che non abbiano oggetto analogo a quello delle società partecipanti e che siano incompatibili con detti requisiti. Valutati i piani presentati, la Giunta approverà il programma di riorganizzazione delle società indirette con l’obiettivo di ridurre da un terzo alla metà le attuali 60 partecipazioni indirette. Nel frattempo procede il riassetto del sistema che porterà, tra l’altro, alla dismissione delle quote di 4 spa (College Valmarana Morosini, Rovigo Expò, Insula, Sis) e alla fusione di altre 4 immobiliari (Terme di Recoaro, Società Veneziana Edilizia Canalgrande, Immobiliare Marco Polo, Rocca di Monselice) in un’unica società di gestione.

 

Perquisita la sede della sua ditta a marghera dove si trova anche l’ufficio di Voltazza

Spunta Luigi Dal Borgo, l’amico del consulente sparito

PADOVA – Spunta il nominativo di un altro imprenditore nell’ambito dell’inchiesta sui fondi neri del gruppo Mantovani. È quello di Luigi Dal Borgo, 56 anni, residente in via Roma 58 a Pieve D’Alpago, nel Bellunese, titolare di una miriade di società. Tra cui, N.S.A. srl, acronimo di “Non Solo Ambiente”, impresa specializzata in tubi in ghisa con sede a Marghera in via Fratelli Bandiera 45/allo stesso indirizzo di Servizi e Tecnologie Ambientali, la società del consulente della Mantovani Mirco Voltazza, 52 anni di Polverara, alle spalle precedenti penali per peculato, calunnia e falso, sparito da diverse settimane e fuggito (sembra) in Croazia. Le forze dell’ordine lo stanno cercando: a suo carico da fine dicembre c’è un ordine di carcerazione in quanto deve scontare una condanna definitiva a un anno e sette mesi. A quel periodo risalirebbe la sua latitanza. Tuttavia periodicamente è tornato in Italia (a Polverara, nella villa in via Argine sinistro 52, vivono la moglie Paola Sartorato e i tre figli): pare che fosse atteso nei giorni delle elezioni, salvo all’ultimo evitare il rientro. Non a caso: giovedì 28 è deflagrata la notizia dell’inchiesta sulla Mantovani con gli arresti e le perquisizioni a tappeto che non hanno risparmiato le ditte di Voltazza e di Dal Borgo, perquisito anche a casa. Ditte che si sospetta siano “cartiere”, ovvero fabbriche di fatture emesse per coprire operazioni commerciali inesistenti ma funzionali a trasferire all’estero fiumi di soldi. Voltazza è indagato per frode fiscale; non ci sono conferme, per ora, sull’iscrizione nel registro degli indagati di Dal Borgo. Ma il nominativo di quest’ultimo ricorre in diverse carte dell’inchiesta. Secondo informative Voltazza, che oggi è latitante, avrebbe trovato rifugio in alcune abitazioni di proprietà di Dal Borgo, detto Gigi Babylon, nelle sue “incursioni” in territorio italiano. E tra i due i contatti non sarebbero mai venuti meno. Dal Borgo risulta consigliere di Adria Infrastrutture spa – la società amministrata da Claudia Minutillo (ex segretaria del governatore Pdl Galan), finita pure lei in manette con Piergiorgio Baita e William Colombelli – e di Società Autostrade Serenissima spa, oltre a un’altra decina di ditte. Serenissima Holding spa è proprietaria di Mantovani spa insieme (per una quota di minoranza) a Piergiorgio Baita, presidente e amministratore con i padovani Giampaolo Chiarotto e Paolo Dalla Via, insignito dell’onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica lo scorso ottobre dal capo dello Stato. Dalla Provincia di Venezia Serenissima Holding ha acquistato le quote di Autostrade Serenissima spa, nel cui consiglio di amministrazione siede Luigi Dal Borgo.

Cristina Genesin

 

Chiarotto sentito dal pm a Venezia

L’imprenditore provato e amareggiato si è detto ignaro, faceva tutto l’ingegnere

PADOVA Ieri mattina è toccato a Romeo Chiarotto comparire davanti al pm veneziano Stefano Ancilotto. Il patron della Mantovani, titolare della Serenissima Holding intorno a cui gravitano diverse aziende, non è indagato nella complessa inchiesta per frode fiscale che ha portato in carcere Piergiorgio Baita e soci. L’imprenditore di lungo corso, oggi ottantatreenne, è stato interrogato dalla Procura che sta cercando di capire se e in quale modo la famiglia Chiarotto sia coinvolta nel giro di false fatture. Ma anche dall’interrogatorio non è emerso alcun elemento che possa far ritenere agli investigatori che il proprietario della Mantovani fosse minimamente a conoscenza del disegno criminoso condotto da Baita con la “cartiera” di San Marino Bmc Broker e altre aziende fantasma nel Veneto e in altre regioni nate giusto per emettere le false fatture. Romeo Chiarotto, che non era assistito da alcun legale, in quanto appunto non indagato, ha nettamente preso le distanze da Baita. È parso provato. Ed è parso sincero al pm quando si è detto del tutto estraneo alla frode. Ciò potrebbe far pensare la famiglia Chiarotto come parte lesa nell’inchiesta: questo è il ruolo che più verosimilmente va profilandosi per Romeo Chiarotto. Ma sarà l’inchiesta a stabilirlo. La famiglia su Baita aveva piena fiducia. Gli aveva lasciato in mano la Mantovani, gli dava circa un milione di euro all’anno per quell’impiego. Gli affari andavano a gonfie vele. Ma il segreto del successo non era solo il talento di Piergiorgio Baita.

Elena Livieri

 

PROVINCIA DI PADOVA

Cessione della Brescia-Padova il Pd: «Bisogna fare chiarezza»

PADOVA – Il capogruppo Pd nel consiglio provinciale di Padova Fabio Rocco chiede che venga fatta luce sui rapporto tra la Mantovani e l’amministrazione provinciale. «Un anno fa» ricorda Rocco, «la Provincia di Padova vendeva la propria quota azionaria dell’autostrada Brescia Padova. Tutti ricordiamo la controversa vicenda che vide la Provincia guidata da Barbara Degani tergiversare per più di due anni sulla vendita, dimostrando molte incoerenze nel modo di procedere, al punto che la base d’asta iniziale per le azioni era di 740 euro l’una nel 2009 mentre si è finiti a venderle a 518 nel 2011. L’alienazione si è conclusa a trattativa privata, dopo tre aste pubbliche deserte. La Mantovani aveva presentato una manifestazione d’interesse all’acquisto e risultò essere l’acquirente delle azioni della Provincia. Mantovani è al centro di numerosi progetti del sistema autostradale veneto tra cui anche il Gra di Padova. Perciò auspichiamo che sia fatta rapidamente chiarezza sui rapporti con l’amministrazione provinciale: formalizzeremo a breve una interrogazione».(e.l.)

 

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