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Mirco Voltazza, di Polverara, doveva finire in carcere per una condanna definitiva Indagato per frode fiscale, gli inquirenti lo cercano ma ha fatto perdere le sue tracce

PADOVA – Adesso spunta il “terzo uomo” nell’inchiesta sui fondi neri del colosso delle costruzioni Mantovani spa. È un ragioniere – come il responsabile amministrativo del gruppo Nicolò Buson attualmente in carcere – ex bancario e promotore finanziario, oggi imprenditore-faccendiere con entrature importanti al punto da vantare la “protezione” di un magistrato. Si tratta di Mirco Voltazza, 52 anni con residenza a Polverara nel Piovese, in provincia di Padova, nome già noto alle cronache giudiziarie, titolare della Servizi e Tecnologie Ambientali con sede a Marghera in viale Fratelli Bandiera. È ricercato e indagato. L’accusa contestata? Concorso in frode fiscale, in quanto sospettato di aver emesso fatture destinate a coprire operazioni inesistenti grazie alle quali Mantovani spa avrebbe costituito milioni di euro in fondi neri nel paradiso Sanmarinese. Come? Attraverso una o più società di cui è proprietario. Non solo. Voltazza rischia di diventare un personaggio-chiave nell’indagine coordinata dal pm veneziano Stefano Ancilotto, ora coadiuvato dal collega Stefano Buccini, e affidata agli uomini nel Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia e di Padova. Venerdì scorso i finanzieri si sono presentati nella villa colonica di Polverara, in via Argine sinistro 6, con un mandato di perquisizione: è l’abitazione dove Mirco Voltazza risiede da alcuni anni con la famiglia. Di lui, però, nessuna traccia. È sparito, volatilizzato, anche se lo stanno cercando in tanti e per motivi diversi. A suo carico c’è un’ordine di carcerazione disposto in seguito a una condanna a un anno e mezzo di reclusione, diventata definitiva dopo i tre gradi di giudizio. Alle spalle, il ragioniere ha precedenti per ricettazione, calunnia e peculato registrati nel suo certificato penale. Di guai ne ha già avuti, dunque. Eppure l’ingegnere Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani spa, si fidava di Mirco Voltazza, ragioniere che aveva fiutato il business del settore ambientale. O almeno così sembrava tanto da nominarlo collaboratore del gruppo Mantovani spa per la costruzione e la successiva demolizione della piattaforma su cui sorgerà l’Expo 2015 di Milano: è quanto risulterebbe da un’informativa dell’Uepe, l’Ufficio esecuzione penale esterna del Ministero di Grazia e Giustizia al tribunale di Sorveglianza. Come mai un incarico di rilievo per un personaggio non certo lindo? Voltazza andava fiero di quella consulenza con il gruppo Mantovani. E lo raccontava. Ma, al di là dell’accusa di concorso in frode fiscale, una delle piste degli inquirenti è che Voltazza avesse la disponibilità di danaro per corrompere (o tentare di corrompere) uomini della Guardia di Finanza, funzionari dell’Agenzia delle Entrate e qualche magistrato. Insomma era l’uomo che avrebbe dovuto “sporcarsi” le mani per conto dei vertici del gruppo, molto agitato da mesi per essere nel mirino dell’autorità giudiziaria e fortemente preoccupato di essere informato sull’andamento dell’inchiesta che lo riguarda? Ed era davvero l’uomo con contatti importanti tanto da vantare la “protezione” di un magistrato? Aspetti non di poco conto visto che la fuga di notizie a vantaggio dei principali indagati (Baita e William Colombelli, titolare della Bmc Broker con sede a San Marino dove erano trasferiti i soldi grazie alle false fatturazioni) è frutto del lavoro di qualche “talpa”. Di sicuro erano stretti i rapporti fra il ragioniere Voltazza e Mantovani spa.

Cristina Genesin

 

Minutillo, verifiche sulla deposizione  

Dopo il lungo interrogatorio, la procura a caccia delle conferme documentali

VENEZIA – Sono stati avviati velocemente da parte dei finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova gli accertamenti sulle dichiarazioni rese nel lungo interrogatorio di martedì al pubblico ministero lagunare Stefano Ancilotto da Claudia Minutillo, arrestata per associazione a delinquere e frode fiscale in qualità di amministratore delegato di «Adria Infrastrutture» ma fino al 2005 segretaria dell’ex presidente della Regione Giancarlo Galan, ora deputato, e dell’assessore Renato Chisso. Quello che ha raccontato alla presenza del suo difensore, l’avvocato padovano Carlo Augenti, e registrato parola per parola è finito in un verbale secretato. Claudia Minutillo è in possesso di informazioni che ha accumulato nella sua lunga carriera di segretaria prima e di manager poi. A cambiar mestiere sarebbe stata costretta, otto anni fa, dall’intervento della compagna dell’allora presidente Galan. Un’esclusione che allora non deve aver digerito, ma era stata sistemata bene sotto il controllo di Piergiorgio Baita poi diventato presidente della «Mantovani spa», l’asso pigliatutto delle costruzioni venete. E in questa nuova veste ha accumulato altre informazioni: stando all’ordinanza di custodia cautelare, ad esempio, sarebbe stata spesso lei a ritirare i soldi accumulati a San Marino grazie alle fatture fasulle e a riportarli in Veneto.Circa otto milioni di euro, su 10, che sarebbero stati utilizzati per formare fondi neri all’estero. E Minutillo sa a chi è finito quel denaro, se siano state pagate tangenti o meno. Naturalmente, l’indagata potrebbe essersi limitata a riferire quello che sa della fatturazione fasulla, ma le oltre sei ore d’interrogatorio fanno ritenere che non si sia limitata semplicemente a confermare quello che gli inquirenti sanno già grazie alle prove raccolte con la verifica fiscale negli uffici della Mantovani a Padova, con le intercettazioni ambientali e telefoniche e grazie ai racconti di alcuni testimoni più disponibili di altri. Adesso, comunque, ai finanzieri tocca cercare i riscontri alle affermazioni dell’indagata. Intanto il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, ha inviato in procura l’elenco delle opere pubbliche realizzate in Comune dalla Mantovani, una mossa tesa a evitare ogni sospetto.

Giorgio Cecchetti

 

Oggi intervento del governatore in consiglio    

Il presidente della giunta regionale Luca Zaia sarà questa mattina in consiglio regionale per presentare il bilancio del 2013 ma anche per affrontare la bufera giudiziaria che si sta abbattendo sui vertici dell’impresa Mantovani e che sfiora anche Veneto strade. Il governatore parlerà in aula nella tarda mattinata e poi risponderà alle sollecitazioni delle opposizioni, contrarie alla commissione di indagine interna insediata ieri mattina dalla giunta regionale sull’inchiesta che sta facendo tremare i palazzi della politica veneta.

 

Zaia mobilita gli ispettori

Anche il Mose a rischio stop  

Un nucleo di tecnici esaminerà le fatture delle società partecipate dalla Regione

L’eventuale interdizione dalla PA bloccherebbe i cantieri del colosso costruzioni

VENEZIA «Se l’impianto accusatorio fosse confermato, non basterebbe l’indignazione, l’unica soluzione sarebbe il lanciafiamme. Io ho completa fiducia nei magistrati ma sento il dovere di agire»: Luca Zaia prova a sintonizzarsi con l’opinione pubblica nauseata dagli scandali e nomina un “Nucleo ispettivo interno” incaricato di esaminare la correttezza dei conti delle società a partecipazione regionale, a cominciare da Veneto Strade e Veneto Acque, le spa coinvolte nell’inchiesta sulla frode fiscale e i fondi neri che ha condotto in cella l’amministratore delegato della Mantovani, Piergiorgio Baita. In proposito, il segretario della giunta, Mario Caramel, avverte: «La facoltà di contrattare con la pubblica amministrazione prevede requisiti di moralità, qualora l’autorità giudiziaria, come avvenuto in inchieste analoghe, applicasse un provvedimento di interdizione alla Mantovani, quest’ultima non potrebbe più essere interlocutore dell’ente Regione». Un’ipotesi – quella dell’interruzione dei rapporti – che avrebbe conseguenze pesanti, sia sul piano operativo (il colosso delle costruzioni è impegnato, ad esempio, nel completamento del Mose a Venezia) che sul fronte occupazionale. L’avvocato Caramel presiede il Nucleo costituito (con voto unanime) dall’esecutivo: gli altri “investigatori” sono i dirigenti di Palazzo Balbi Maurizio Gasparin, Daniela Palumbo, Maurizio Santone, Egidio Di Rienzo; a coordinare il pool sarà il segretario generale della programmazione Tiziano Baggio. Ma cosa dovrà accertare esattamente l’ispezione? «Ho chiesto un rapporto dettagliato sulle partecipate, con verifica documentale degli eventuali rapporti con soggetti che hanno sede all’estero, nonché sulla modalità di affidamento della fornitura di beni e servizi». Tradotto in lingua corrente: spulciare una montagna di fatture “sensibili” alla ricerca di documenti falsi. Compito oneroso – il Nucleo non dispone delle risorse e dei poteri propri della Guardia di Finanza – ma il governatore appare fiducioso: «Attendo risultati entro una decina di giorni al massimo». Si vedrà. Ulteriore zona d’ombra, i project financing, cioè il ricorso a capitali privati nelle opere pubbliche, con sospetti sulle cordate d’imprese pigliatutto… «La capacità d’indebitamento, pari a 4,3 miliardi, è stata esaurita dalle amministrazioni precedenti e ora il problema non si pone. Certo, alcuni project ereditati comportano interessi passivi fino al 12%, sono tassi assolutamente fuori mercato». C’è anche una lettera di Zaia agli uffici che invita a pubblicare sul web tutte le fatture saldate ma in tema di trasparenza l’opposizione obietta che un’indagine svolta da tecnici nominati dalla giunta non offre garanzie adeguate, perciò Pd e Idv sollecitano il consiglio a istituire una commissione “politica” d’inchiesta espressione di tutti i gruppi. «L’assemblea è sovrana, se emergerà questa esigenza sarò il primo ad aderire», conclude Zaia. Circostanza che rischia di complicare i rapporti con l’alleato Pdl: il partito di Giancarlo Galan vede la fatidica commissione come il fumo negli occhi.

Filippo Tosatto

 

L’ASSESSORE CHISSO UNICO A DIFENDERLO  

Vernizzi sul punto di lasciare: «Sono molto amareggiato»

VENEZIA – Più che amareggiato, deluso. Dopo trent’anni di carriera dentro agli uffici regionali fino alla poltrona di Segretario regionale alle infrastruture (e amministratore delegato di Veneto Strade), Silvano Vernizzi, rodigino di 59 anni, non se l’aspettava di essere lasciato completamente da solo. Ad eccezione di Renato Chisso, da sempre suo sodale, in questi giorni quasi tutti hanno dimenticato il suo numero di telefono. Qualcuno, come sempre succede in questi casi, dirà di non averlo mai conosciuto. Ingegnere, il presidente Zaia dice basta ai doppi incarichi: lei è contemporaneamente dirigente regionale delle Infrastrutture e amministratore di Veneto Strade. «È l’opinione del presidente. Faccia quel che vuole». Vi siete sentiti? «No». E con Chisso? «Con l’assessore sì, certo». Avvertiamo un filo di amarezza, nelle sue parole… «Non è esatto. Sono profondamente amareggiato». Pensava di ricevere un po’ di solidarietà? «La gratitudine non è di questo mondo, figuriamoci della politica». Sta pensando alle dimissioni? «Ancora non lo so, sto valutando cosa fare, ma non ho deciso nulla». A Palazzo Ferro Fini, nel pomeriggio, compare anche Renato Chisso, assessore ai traporti e alla mobilità. La faccia non è dei giorni migliori. Assessore, cosa pensa di questa inchiesta? «Lasciamo fare alla magistratura». Veneto Strade avrebbe pagato la Bmc di San Marino per alcune forniture di servizi. «Non ne so niente, Veneto Strade ha un suo consiglio di amministrazione. Ne fanno parte la Regione e le Province. Ho chiesto a Vernizzi e lui mi assicura che si tratta di servizi effettivamente resi. Non ho motivo di dubitarne». Perché Veneto Strade, società pubblica, partecipava a fiere di settore? «Era un problema di immagine e di presenza, il cda ha ritenuto di farlo e credo abbia fatto bene». Zaia dice basta ai doppi incarichi. «Vernizzi è l’uomo che ha fatto il Passante, quando abbiamo creato Veneto Strade abbiamo scelto il migliore. Il doppio incarico c’è per effetto di una legge regionale, approvata all’unanimità. Se qualcuno ha cambiato idea ne discuteremo». (d.f.)

 

Gazzettino – Venezia, Salta l’accordo sull’ex ospedale

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6

mar

2013

LIDO – Ca’ Farsetti ha deciso di non firmare la transazione in atto con il gruppo padovano

Svolta dopo la riunione della giunta. Il sindaco: «Ora attendiamo la risposta del giudice»

La decisione è stata presa durante una riunione di giunta. Ed è stato un provvedimento difficile, delicato e ricco di conseguenze: ad un passo da un possibile accordo, così come ventilato nelle scorse settimane e anche nelle ultime 48 ore, Ca’ Farsetti ha deciso di non firmare nessun accordo di transazione con Est Capital per risolvere in modo extragiudiziale il contenzioso in atto sulla riqualificazione del Lido con la trasformazione dell’ex Ospedale al Mare e l’intervento per il Palacinema.
Ma non si tratta di un fulmine a cielo, e anche se il sindaco Giorgio Orsoni smentisce di aver “ceduto” alle proteste del Coordinamento “Un altro Lido è possibile”, svoltesi anche l’altro ieri in maniera, anche burrascosa, in Municipio, l’idea di rigettare l’accordo si era fatta strada in questi giorni con pressioni anche da parte di alcuni esponenti della maggioranza (la lista In Comune, e parte del Pd), anche dopo il caso Baita. E così, anche partendo da questo, Orsoni ha fatto il “gesto”, avvisando anche il presidente Paolo Baratta della Biennale, rimettendo la palla al centro e dando, in pratica, l’ultima parola al giudice civile.
«Nonostante gli sforzi fatti – ha detto Orsoni – non siamo riusciti a raggiungere l’accordo. La soluzione scelta non offriva le garanzie che dovevamo avere come Comune per disporre in tempi rapidi un processo già stabilito nel biennio 2006/2007. Ci è risultato più opportuno soprassedere e attendere la parola del giudice. Nessun cedimento alla folla urlante, ma una riflessione serena».
Oltre alla decisione di non sottoscrivere l’accordo, Orsoni ha pesantemente contestato il periodo del “commissariamento” del Lido, e pur non citando mai Vincenzo Spaziante, ha rincarato la dose: «Le operazioni in questione – ha attaccato – sono frutto di gestioni commissariali, mai state sensibili alle esigenze del territorio. A lungo, Ca’ Farsetti è stata espropriata dalla gestione di questa operazione e ci riteniamo i primi ad essere danneggiati per quanto è accaduto. In questo senso ci riserveremo di fare le nostre valutazioni».

 

REAZIONI Vianello (Municipalità): «Il progetto non stava in piedi»

Gli ambientalisti esultano

Esultano i comitati e le associazioni del Lido che, per primi, avevano detto «no» a qualsiasi ipotesi di accordo tra Comune ed Est Capital sulla compravendita dell’ex ospedale al mare. «Siamo soddisfatti – scrive il Coordinamento “Un altro Lido è possibile” – La nostra mobilitazione e dei vari Comitati (tra cui quello del «Marinoni bene comune»), sostenuta da tanti abitanti, ha vinto su una scelta, quella dell’accordo, pericolosa, non trasparente, che svendeva il territorio, i suoi beni, la sua storia. Ora occorre continuare su questa strada, cancellando un passato fatto di assurdi commissariamenti, fallimenti e sprechi di soldi pubblici (vedi il buco in piazzale della Mostra del cinema oggi piazzale dei 40 milioni), con il massimo coinvolgimento di tutte le istituzioni e dei cittadini».
“Un altro Lido” ha poi riepilogato le sue proposte per il futuro sintetizzate in quattro punti: il monoblocco sanitario non si tocca mentre la Favorita deve essere messa a disposizione dei cittadini e delle associazioni. «Al Lido poi – prosegue la nota – non serve né un Palazzo né un Palazzetto del cinema ma occorre risistemare il piazzale con un adeguato arredo urbano, ristrutturare il Paladarsena, utilizzare l’ex Casinò con contenuti multidisciplinari ripristinando la scalinata, valorizzare i resti del forte austriaco e il verde residuale. Inoltre ci vuole un nuovo progetto condiviso per l’area dell’ex ospedale al Mare».
Anche il presidente della municipalità del Lido, Giorgio Vianello è soddisfatto. «Noi della Lega lo abbiamo sempre detto – dice il presidente – il progetto non stava in piedi fin dall’inizio, meglio azzerare tutto e ripartire». Preoccupati per il futuro gli albergatori. «Ci auguriamo che, presa questa decisione, il lungomare e quest’area dell’isola non rimangano bloccate per un decennio. Speriamo si trovi una soluzione c’è l’urgenza di intervenire sull’ex Casinò». Chiude la rassegna dei pareri l’avvocato Francesco Mario d’Elia di “Venezia Libera”. «Una decisione doverosa – rileva d’Elia – potremmo dire meglio tardi che mai».

Lorenzo Mayer

 

EST CAPITAL

«Il Comune cambia le carte in tavola. Danno grave, sarà scontro in tribunale»

Est Capital va all’attacco con una nota pesantissima contro Ca’ Farsetti. «A partire dal giugno del 2012 – sottolinea il gestore del fondo immobiliare Real Venice II – il Comune ha chiesto per ben quattro volte al giudice investito del provvedimento cautelare di cui dipende la restituzione dell’acconto di 31,6 milioni di euro depositato presso la Carive, un rinvio dell’udienza di discussione. Una decisione che, anche bonariamente, abbiamo sempre avallato. Va aggiunto, però, che ad ogni rinvio è altresì stata corrisposta, una nuova e differente proposta da parte del Comune, compresa l’ultima. Il Fondo ha sviluppato a proprie spese la struttura di una possibile transazione e ogni volta il Comune ha cambiato le carte in tavola per una ragione o un´altra all´ultimo momento».
Insomma un atto d’accusa bella e buona, ma Est Capital rincara la dose: «Il Fondo, – attacca ancora la nota – che ha già versato al Comune di Venezia in esecuzione del preliminare l´importo di 54,9 milioni di euro, di fronte alle inadempienze e alla incoerenza dell´Amministrazione comunale non può che insistere per la decisione relativa allo svincolo delle somme depositate presso il tesoriere del Comune e chiederà immediata pronuncia al Tribunale di Venezia affinché Ca’ Farsetti sia condannato alla restituzione degli ingenti acconti già versati e al risarcimento del gravissimo danno subito, in relazione agli investimenti già effettuati ed alle spese sostenute, previa risoluzione del contratto preliminare. In questo modo cercare di attirare investimenti nel nostro Paese non è difficile, è inutile».
Insomma, ancora una volta si preannuncia un muro contro muro tra Comune ed Est Capital sul futuro del Lido.

 

Fondi neri, deposizione-fiume dell’ex segretaria di Galan. Giallo a Padova: perquisita la casa di collaboratore del capo della Mantovani. Ma da un mese la famiglia non ha sue notizie

L’interrogatorio di Piergiorgio Baita si è svolto nei giorni scorsi in carcere a Belluno: si è avvalso della facoltà di non rispondere

MILIONI IN “NERO” – La manager potrebbe aver fornito dettagli sulla destinazione finale del denaro

LE PRESSIONI   « Mi consigliò di non dare una testimonianza completa»

TESTIMONE – Parla Vanessa Renzi, segreteria di Colombelli: fatture emesse a fronte di attività inesistenti«Qui non ho mai visto consulenti»

LA TESTIMONE – «In principio fu solo la Mantovani poi vennero le altre del gruppo»

(gla) «Il fatto che i consulenti non esistono non è una mia opinione: non sono mai in alcun modo passati per l’ufficio e l’unico a riferire di aver avuto contatti con loro è stato Colombelli il quale peraltro diceva di provvedere personalmente al loro pagamento, ma operava sempre e solo a mezzo di contanti che faceva prelevare dai conti della società».
È l’ex segretaria della Bmc Broker, Vanessa Renzi, a confermare alla Guardia di Finanza che le fatture emesse dalla società di San Marino erano tutte fasulle, emesse a fronte di attività inesistente. Dopo una prima audizione avvenuta il 24 maggio del 2012, la donna chiede di per essere nuovamente sentita per integrare le dichiarazioni e l’8 giugno e rivela di aver ricevuto pressioni dal presidente di Bmc Broker, William Colombelli il quale l’avrebbe pressata, consigliandola di «evitare di rendere una testimonianza piena ed esaustiva», per evitare di finire a sua volta indagata.
Ma Vanessa non si lascia intimidire. Anzi, riferisce alle Fiamme Gialle che Colombelli stava controllando tutti i personal computer per cancellare i dati della contabilità, e aveva chiamato a tal fine un tecnico informatico per il lunedì successivo. Ma non solo: «Ha dato ordine alla mia collega Margareth di distruggere i documenti delle annualità anteriori al quinto anno. So che questi documenti sono stati portati via dall’ufficio e non so dove siano stati buttati».
La Renzi racconta che gli unici fornitori della Bmc erano quelli che rifornivano materiali d’ufficio. Per il resto non ha mai visto traccia di fornitori, clienti, consulenti; mai una telefonata, né una mail. Mai un sollecito, né una richiesta. Gli unici versamenti che ricorda sono quelli effettuati al padre e alla moglie di Colombelli, ai quali avrebbe accreditato somme di denaro direttamente sui conti di William Colombelli.
Di un certo interesse per gli inquirenti è anche il racconto relativo al viaggio che Vanessa Renzi fece alla Hydrostudio di Rovigo per ritirare documentazione e dischetti che poi riportò a San Marino. La segretaria ha spiegato ai finanzieri che era stato Colombelli ad inviarla a Rovigo dopo aver chiesto alla Hydrostudio di provvedere a fornire la documentazione relativa ai rapporti e ai lavori che la Bmc aveva fatturato a favore della Mantovani. Documentazione che, secondo la Procura, sarebbe stata appositamente creata per essere consegnata agli inquirenti di San Marino i quali a loro volta avrebbe dovuto “girarli” alla Guardia di Finanza impegnata nella verifica fiscale alla società di costruzioni presieduta da Piergiorgio Baita. La Renzi ha raccontato che Colombelli era particolarmente preoccupato, tanto da chiederle di fotografare le tappe del suo viaggio verso Rovigo, nonché di registrare di nascosto l’incontro e il colloquio al momento della consegna della documentazione. Strategia finalizzata, evidentemente, ad acquisire materiale utile da utilizzare come “pressione” nei confronti di Baita il quale, dopo l’avvio della verifica fiscale, aveva manifestato l’intenzione di sospendere i rapporti con la Bmc.

 

DEPOSIZIONE – L’ex segretaria di Galan dal Pm per oltre 6 ore: così funzionava il sistema Bmc

SCOMPARSO – La Gdf a casa di Mirco Voltazza, collaboratore di Baita: ma lui non c’è

La Minutillo confessa Perquisizioni a Padova

E ora, dopo la confessione fiume di Claudia Minutillo, sono in molti a tremare in Veneto. L’amministratore delegato di Adria Infrastrutture, in carcere con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’emissione di false fatture milionarie, è rimasta davanti al sostituto procuratore di Venezia, Stefano Ancilotto, per oltre sei ore riempiendo un lungo verbale ricco di dichiarazioni alle quali la Guardia di Finanza sta cercando di riscontri e conferme.
È stata la stessa Minutillo, ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan, a chiedere di essere ascoltata al più presto dal magistrato che coordina le indagini: di conseguenza è immaginabile che abbia deciso di raccontare tutto quello che è a sua conoscenza in merito al meccanismo di false fatturazioni contestato dagli inquirenti alla sua società e alla Mantovani spa di Piergiorgio Baita. Ma non è escluso che abbia fornito anche qualche particolare sulla destinazione delle ingenti somme di denaro in “nero” che le due società sarebbero riuscite a procurarsi attraverso le fatture emesse dalla Bmc Broker di San Marino a fronte di attività di studio e progettazione mai effettuate. In tal caso a preoccuparsi potrebbe essere più di qualcuno negli ambienti che contano.
Il verbale riempito dall’amministratrice di Adria Infrastrutture è coperto dal segreto investigativo: la Procura si trincera dietro un laconico “no comment”; sceglie la strada del riserbo anche l’avvocato Carlo Augenti, il difensore di Claudia Minutillo. Non è escluso che nei prossimi giorni l’ex segretaria di Galan venga nuovamente ascoltata dagli investigatori.
Nel frattempo le Fiamme gialle stanno cercando di rintracciare uno stretto collaboratore del presidente della Mantovani, Mirco Voltazza: la sua abitazione è stata perquisita la scorsa settimana assieme agli uffici delle società coinvolte nell’inchiesta e al domicilio degli indagati, ma il ragioniere non c’era. A quanto pare non fa rientro a casa da circa un mese. I finanzieri vorrebbero ascoltarlo in relazione all’attività svolta per la Mantovani, con la quale è legato da un contratto di collaborazione per la costruzione e la successiva demolizione della piattaforma su cui si svolgerà l’Expo 2015 a Milano. Ex impiegato di banca, ex gestore dell’Aci di Piove di Sacco, ex promotore finanziario, Voltazza risulterebbe avere un precedente penale per reati piuttosto seri e gli inquirenti si domandano come mai collabori con il gruppo Mantovani.
In attesa di capire se anche il presidente di Bmc Broker, William Ambrogio Colombelli, e il responsabile amministrativo della Mantovani, Nicolò Buson, decideranno di parlare con il pm Ancilotto, le Fiamme Gialle hanno iniziato ad analizzare le decine di faldoni di documenti sequestrati nella sede delle società e nelle abitazioni private perquisite giovedì mattina. I finanzieri cercano ulteriori conferme e riscontri in relazione alle false fatture milionarie emesse da Bmc Broker, ma anche qualche carta che possa fornire indicazioni sulla destinazione finale dei soldi che la società di San Marino, dopo aver ricevuto i bonifici di Mantovani e Adria Infrastrutture, provvedeva a restituire in contanti a Minutillo e Baita. Il pm Ancilotto sospetta che i presunti fondi “neri” possano essere serviti per pagare tangenti: sospetti che per il momento restano semplici ipotesi alla ricerca di conferme.
Oltre ai quattro arrestati, sulla base dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Alberto Scaramuzza, nell’inchiesta figurano indagate altre 15 persone per favoreggiamento, quasi tutti imprenditori, veneti ed emiliani. Il vicequestore aggiunto di Bologna, Giovanni Preziosa, è invece finito nei guai per abuso di accesso al sistema informatico, perché avrebbe fornito indicazioni sullo stato delle indagini.

 

Entro 10 giorni esaminati tutti gli atti degli ultimi 5-6 anni di Veneto Strade e Veneto Acque, nel mirino dei magistrati

«Inchiesta Mantovani, se l’impianto accusatorio sarà confermato, si dovrà usare il lanciafiamme»

IL GOVERNATORE «Vernizzi? Stop ai doppi incarichi»

Zaia: «Un Nucleo speciale indagherà sulle partecipate»

Di insonnia ne soffre ormai in modo quasi congenito. E la vicenda Mantovani, che ha scatenato sulla Regione Veneto un vero tsunami, non aggrava lo stato notturno del governatore Luca Zaia. Però, più di qualche problema, ora il leghista dovrà risolverlo. Sull’ipotizzato intreccio tra frode fiscale, sospetti di fondi neri, e chissà, addirittura tangenti sta indagando la magistratura, certo. Ma «io sono l’amministratore delegato della Regione» e quindi «è mio dovere, nei confronti del cittadino, fare qualcosa». Zaia non si cura della sollevazione da parte del Pd che vorrebbe una commissione d’inchiesta gestita dal Consiglio regionale. «Io – annuncia – ho proposto, ed ottenuto dalla Giunta, all’unanimità la costituzione di un Nucleo Investigativo Interno». Sovrapposizione con la proposta dei democratici? «Se il Consiglio – chiarisce il governatore – intende fare una commissione e riempire una stanza di carte, sarò il primo a firmare…».
Dalle parole di Zaia, si capisce che non ce ne sarà più per nessuno. E se alla fine, il combinato disposto tra l’azione della magistratura e della Regione, dovesse confermare le ipotesi allora «l’indignazione non basterà, imbraccerò il lanciafiamme» promette. Va bene il “Nucleo Investigativo” (composto dai responsabili regionali del controllo atti, della direzione affari legislativi, della direzione ragioneria, della direzione attività ispettive e vigilanza del settore socio-sanitario, del segretario generale alla programmazione e dal segretario di Giunta), ma il governatore ha in serbo un giro di vite.
NUCLEO ISPETTIVO – Dovrà “indagare” innanzitutto sulle società partecipate alla Regione, finite sotto la lente della magistratura: Veneto Acque e Veneto Strade. Entro 10 giorni, limite categorico, dovranno scartabellare tutta la loro attività (spese, fatture, appalti…). Il periodo preso in esame? «Gli ultimi 5-6 anni». L’ultima Giunta a guida Giancarlo Galan? «Sia chiaro – frena Zaia – non accuso nessuno. C’é la magistratura al lavoro…». E per essere super partes, «nel caso che venisse fuori qualcosa di poco chiaro su iniziative fatte nei tre anni di nostro governo, il mio comportamento non cambierà». La mannaia si abbatterà, comunque. Gli “ispettori” si faranno dire dagli amministratori delegati di Veneto Acque e Veneto Strade perché e come abbiano deciso e pagato le collaborazioni alla Bmc di San Marino.
CONTROLLATE – L’investigazione sarà a tappeto e sarà allargata a tutte le società partecipate e controllate dalla Regione. E ancora. Il presidente annuncia di avere spedito una lettera («avrei dovuto farlo prima») a tutte le società con l’obbligo di pubblicare on-line le fatture pagate («i veneti hanno diritto di sapere dove finiscono i loro soldi»). Altra novità: è in arrivo una delibera («era già pronta – confessa Zaia – ma abbiamo atteso dopo il voto per evitare critiche») per accelerare la revisione della società controllate e partecipate. Per «conoscerne puntualmente bilanci, costi, indennità degli amministratori». Zaia è convinto che in alcuni casi «i bilanci servono solo a pagare i gettoni ai cda».
INCARICHI – Verrà rimosso Silvano Vernizzi, ad di Veneto Strade? «Ripeto, nessuno è colpevole fino a prova contraria. Ricordo che, al mio arrivo alla presidenza, Veneto Strade aveva un monte-lavori di 4 miliardi: un bel pacchetto. Ma uscirà prossimamente dalla Giunta un provvedimento che, in generale, vieta i doppi incarichi». Vernizzi è anche segretario regionale alla Mobilità e Trasporti.
PROJECT FINANCING – «Funziona, ma dipende da come viene usato». Revisione? Zaia: «È una legge nazionale». Ma una lente di ingrandimento più grande è d’obbligo: «Basta pagare interessi del 10-11-12 per cento ormai fuori mercato. Il segretario generale alla programmazione sta preparando schede su tutti i project in atto».

Giorgio Gasco

 

«Non demonizzate il project financing»

Antonio Padoan: «L’ospedale di Mestre non si sarebbe mai costruito, e il margine per i privati è inferiore al 7%»

LA STOCCATA   «Polemiche strumentali. Zaia vuole colpire Galan»

«Se lo rifarei? Al quattrocento per cento. Non ho dubbi. Senza il project financing, Mestre non avrebbe mai avuto il suo ospedale e i cittadini sarebbero ora ospitati in stanze che cadono a pezzi invece che in camere a 4 stelle. E a chi mi dice che si poteva andare a chiedere i soldi in banca, dico che non sa nemmeno di che cosa parla. La domanda che bisogna farsi, se si vuol essere onesti, è la seguente: come mai si è iniziato a fare ricorso al project? Possibile che nei quarant’anni precedenti a nessuno sia venuto in mente di chiedere i finanziamenti in banca per costruire il nuovo ospedale di Mestre?»
Così Antonio Padoan, il direttore generale dell’Ulss 12 che in 4 anni è riuscito a costruire l’ospedale dell’Angelo.
«Che è ancora lì, ricordo a tutti, cinque anni dopo, più bello di prima. Voglio dire che non è capitato, come per altre strutture realizzate dal pubblico, che c’è bisogno di continua manutenzione, di martinetti di spinta e di perizie e sopraperizie per scoprire che si è speso il quadruplo di quel che si doveva spendere, mi sono spiegato?»
Il riferimento è al Ponte di Calatrava?
«Ma non solo. Qualsiasi intervento fatto dal pubblico è così o sbaglio? Che costa il doppio, il triplo, il quadruplo rispetto ai preventivi. E invece il project, se è fatto bene e lo ripeto, se è fatto bene, vincola i privati a dare il meglio perchè gestiscono le realizzazioni per un certo numero di anni. E poi sui costi, leggo solo attacchi strumentali. I costi del project sono stati analizzati dal Consiglio regionale che ha stabilito che i project debbano affidare ai privati un margine di guadagno dal 7 al 9 per cento. Mestre costa meno del 7 per cento. E funziona. Qualcun’altro costa molto di più del 9 per cento e funziona meno bene».
Insomma il project financing non è un dogma.
«Dipende da come si scrivono le convenzioni con i privati. E, comunque, il presidente della Regione Luca Zaia è per forza un grande sostenitore del project visto che ha appena fatto in project i lavori al Cà Foncello di Treviso e si appresta a dare il via all’ospedale di Padova dopo aver chiuso due project nel vicentino e uno ad Asolo.»
Insomma, nessun ripensamento nonostante le bordate che arrivano dalla Regione sul project.
«Sono polemiche strumentali, che non hanno come obiettivo il project financing, ma Giancarlo Galan, siamo seri. Ma io sfido chiunque ad affrontare un dibattito serio sul project. Conti alla mano. E ribadisco che, se c’è necessità di un’opera e se bisogna farla in fretta e bene non ci sono altri modi. Il privato alla fine ti dà garanzie in più se lo sai utilizzare bene. Mestre ha finalmente il suo ospedale da sogno, dopo quarant’anni di chiacchiere e possiamo lasciare che chiacchierino a vuoto per altri 40 anni, ma almeno lo fanno all’ombra di un ospedale che altrimenti non sarebbe mai nato.»

 

La segretaria della Bmc    

«Così costruivamo tutte quelle fatture false»

IN CARCERE – Piergiorgio Baita è sempre rinchiuso a Belluno

CONFERME – La società di San Marino non aveva alcuna struttura

Le pratiche venivano portate in ufficio dalla Minutillo. Colombelli si faceva dare i contanti e partiva per il Veneto

CASO BAITA – La segretaria di San Marino: «Fatture false, cominciò così»

«Voglio precisare che quanto ho detto con riferimento alla Mantovani e alla Adria Infrasttrutture vale anche per tutte le altre società che facevano parte del gruppo sopra indicato, ovvero Consorzio Venezia Nuova, Thetis, Palomar, Dolomiti Rocce, Veneto strade, Veneto acque, Passante di Mestre ecc… In pratica le fatture emesse nei confronti di ciascuna di queste società sono relative ad operazioni inesistenti ed a fittizie consulenze in realtà mai poste in essere».
A dichiararlo agli investigatori è stata l’ex segretaria della società Bmc Broker di San Marino, Vanessa Renzi, principale testimone d’accusa che, con le sue dichiarazioni, ha fornito riscontri ad un quadro indiziario già ricco di elementi documentali e di conferme che giungono da una lunga serie di intercettazioni telefoniche.
La Renzi ha spiegato ai finanzieri che «eravamo noi segretarie ad emettere le consulenze di consulenza alla Bmc»; ha spiegato che la società di San Marino non aveva sostanzialmente alcuna struttura; ha rivelato che in tanti anni di lavoro non ha mai visto o sentito alcun consulente, cliente o fornitore (salvo quelli che rifornivano il materiale di cancelleria).
La prima società a fornire “lavoro” a Bmc Broker fu la Mantovani spa, ha ricordato l’ex segretaria di San Marino; poi nel corso degli anni sono arrivate le altre. Tutte le loro pratiche, ha chiarito la Renzi, venivano portate in ufficio dall’amministratrice di Adria Infrastrutture, Claudia Minutillo, o dal presidente di Bmc. William Ambrogio Colombelli. Quest’ultimo non voleva operazioni tramite bonifico o giroconto, ma solo per contanti ha precisato la testimone, spiegando che nelle occasioni in cui riceveva i bonifici da Mantovani o Adria Infrastrutture a pagamento delle fittizie consulenze, Colombelli si faceva consegnare dalla segretaria i contanti e se ne andava da San Marino, recandosi per lo più in Veneto. A titolo esemplificativo, la Renzi ha illustrato alle Fiamme Gialle un’operazione del febbraio 2007 (annotata in un suo promemoria acquisito tramite rogatoria dall’autorità giudiziaria di San Marino) relative a bonifici effettuati dalle società Ide, Ctf e Veneto Strade: una percentuale delle somme, varianti dal 19 al 25 per cento, fu lasciata sui conti della Bmc. Il rimanente prelevato da Colombelli il quale si raccomandò con la segretaria di annotare sul pro- memoria il nome della società che aveva effettuato il bonifico o di un suo referente.
Ora il pm Ancilotto sta facendo verificare tutti i rapporti intrattenuti da varie società con Bmc per avere conferma della falsità delle fatture.

 

CASO MANTOVANI

Dossier alla Procura della Repubblica per chiarire la posizione del Comune

«Lo confermo abbiamo predisposto un intero dossier che invieremo alla Procura della Repubblica notificando tutti i rapporti, le delibere e gli atti che vedono coinvolto il Comune nelle imprese della Mantovani e delle altre ditte che hanno come riferimento l’imprenditore Piergiorgio Baita. Si tratta di un’operazione di trasparenza».

Così ha annunciato il sindaco Giorgio Orsoni in riferimento ai contatti e ai rapporti di lavoro e collaborazione del Comune con l’impresa di costruzione dopo i recenti episodi che hanno portato in carcere l’imprenditore veneziano.

 

Gazzettino – Caso Baita

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5

mar

2013

IN CARCERE – Baita e Buson non rispondono agli interrogatori

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere il presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, e il responsabile amministrativo della società, Nicolò Buson, arrestati nell’operazione per la colossale frode fiscale che coinvolge la società di costruzioni e una galassia di altre aziende.

«C’è la Finanza fai subito sparire quei documenti»

E’ l’ordine che Claudia Minutillo diede a un dipendente di Adria Infrastrutture Il Gip: in 6 anni lei e Colombelli hanno movimentato 18 milioni in contanti

Anche Buson si avvale della facoltà del silenzio

CASO MANTOVANI – Nuove circostanze: in 6 anni movimentati nelle banche di San Marino 18 milioni in contanti
«Documenti pericolosi, distruggili»

L’ordine fu dato da Minutillo a un dipendente di Adria Infrastrutture. Gli altri tentativi di sviare le indagini

Un documento da far «sparire» per evitare che finisca in mano alla Guardia di Finanza, impegnata nella verifica fiscale alla società di costruzioni Mantovani spa. Il 20 dicembre del 2011 Claudia Minutillo avrebbe affidato ad un dipendente di Adria Infrastrutture spa, Massimiliano B., l’incarico di sbarazzarsi di quel pezzo di carta «ritenuto pericoloso».
La circostanza emerge da un’intercettazione telefonica effettuata dalle Fiamme Gialle e viene citata dal sostituto procuratore Stefano Ancilotto nel provvedimento con cui è stata chiesta e ottenuta l’emissione di una misura cautelare a carico di Minutillo (che di Adria infrastrutture è amministratore delegato), del presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, del responsabile amministrativo Nicolò Buson, e del presidente della Bmc Broker di San Marino, William Ambrogio Colombelli.
Quello contestato all’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan, non è però l’unico episodio relativo a presunti tentativi di inquinamento delle prove, tant’è che il Gip Scaramuzza motiva la misura cautelare in carcere anche per questo pericolo. Il pm Ancilotto denuncia «tentativi di condizionare l’esito delle indagini di polizia giudiziaria e di influenzare i testimoni sentiti durante l’indagine». Agli atti vi sono decine di colloqui intercettati nei quali, secondo gli inquirenti, Colombelli e Baita avrebbero «tentato di concordare una giustificazione ai numerosi incarichi espletati» dalla Bmc Broker, nonché «di “influenzare” le deposizioni delle persone che potrebbero svelare la natura di cartiera» della società di San Marino. Colombelli, stando al racconto di una sua ex dipendente, avrebbe dato anche incarico di distruggere tutta la documentazione contabile anteriore a 5 anni dopo aver saputo della verifica fiscale della Finanza.
A Claudia Minutillo il pm Ancilotto attribuisce un ruolo centrale nell’organizzazione alla quale la Procura contesta false fatturazioni per almeno 10 milioni di euro, in quanto avrebbe svolto da tramite tra Baita e Colombelli. L’amministratrice di Adria Infrastrutture risulta intestataria di un paio di conti correnti a San Marino (ed era delegata ad operare su altri quattro) e il direttore di un istituto di credito, la Sa International bank, ha raccontato di averla vista spesso assieme a Colombelli in occasione di prelievi di denaro.
Il denaro movimentato per contanti da Bmc Brokers è di ammontare complessivo ingentissimo: 400 movimenti in sei anni per poco meno di 18 milioni di euro. «Vi è un eccessivo ricorso al denaro contante quale strumento privilegiato di pagamento», scrive il Gip Scaramuzza. Circostanza che contribuisce ad alimentare i sospetti degli inquirenti in relazione alla possibile destinazione finale di quel denaro: fondi “neri” che per ora non si sa che fine abbiano fatto.

 

CURIOSITÀ – Soltanto pagine dispari in quel progetto fasullo

VENEZIA – Uno dei progetti commissionati dalla Mantovani spa alla Bmc Broker (e lautamente pagato) ha soltanto le pagine dispari. E nessuno risulta aver mai protestato per il materiale incompleto (e inutilizzabile) che fu presentato. È soltanto uno dei casi – forse il più clamoroso – citato dal Gip Scaramuzza per dimostrare che la Bmc non ha effettuato alcuna reale attività, se non copiare studi e materiali prodotti da altri per giustificare le fatture milionarie. La documentazione consegnata alla Finanza durante la verifica fiscale sarebbe stata falsificata, come dimostrano numeri di protocollo non coincidenti e numerosi altri indizi.

 

REGIONE – Le opposizioni chiedono una Commissione d’inchiesta consigliare

«Zaia venga in aula a spiegare»

VENEZIA – «Prima di aprire la discussione sul bilancio della Regione Veneto, chiediamo che il presidente Zaia si presenti in aula per relazionare sulla situazione emersa dopo gli arresti eccellenti della scorsa settimana». Il capogruppo del Pd Lucio Tiozzo e Franco Bonfante, vicepresidente del Consiglio regionale, chiedono che il presidente della Regione intervenga oggi pomeriggio nella prima seduta della ‘maratona’ consiliare dedicata al bilancio 2013, per fare chiarezza sull’inchiesta su fondi neri e tangenti. I consiglieri del Pd annunciano un ordine del giorno per chiedere sospensione e verifica di tutte le opere in project financing non avviate. «Bisogna passare al setaccio ogni procedura e spazzare via ogni elemento di dubbio» spiegano. E ribadiscono la richiesta di una commissione d’inchiesta sulla vicenda, ma non della sola giunta, come vorrebbe Zaia.
Il capogruppo di Italia dei Valori, Antonino Pipitone, ha scritto al presidente del consiglio regionale chiedendo subito la discussione in aula per chiarire la situazione e il coinvolgimento di Veneto Strade. Con la presenza di Zaia.

 

BELLUNO – Baita non risponde e inizia la battaglia della competenza

(gla) Come prevedibile si sono avvalsi della facoltà di non rispondere il presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, 64 anni, residente a Mogliano Veneto, e il responsabile amministrativo della società, Nicolò Buson, 56 anni, di Padova. Entrambi, infatti, vogliono analizzare le carte della Procura prima di decidere la strategia difensiva. L’interrogatorio del primo si è svolto per rogatoria davanti al Gip di Belluno, città nella quale Baita è detenuto; quello di Buson, sempre per rogatoria, è avvenuto a Treviso.
Il difensore del presidente della Mantovani, l’avvocatessa Paola Rubini, ha annunciato di aver già proposto al Tribunale del riesame di Venezia un’istanza di scarcerazione per il suo assistito e di dissequestro dei beni “congelati” dal Gip: la data dell’udienza sarà fissata nei prossimi giorni. Secondo la difesa, rappresentata anche dall’avvocato Piero Longo (senatore del Pdl e difensore di Silvio Berlusconi) la sede naturale dell’inchiesta dovrebbe essere la Procura della Repubblica di Padova, dove hanno sede gli uffici amministrativi della Mantovani (“teatro” dei presunti illeciti) e non quella di Venezia dove c’è la sede legale della società: eccezione tesa a far trasferire il fascicolo e di fatto toglierlo al magistrato che se ne sta occupando da parecchi mesi, il pm Stefano Ancilotto.
Il difensore di Buson, l’avvocatessa Fulvia Fois, ha annunciato che il suo cliente ha dato le dimissioni da tutte le cariche sociali e ha rimesso le deleghe ricevute dalla Mantovani spa: «Non vi è più alcun pericolo di reiterazione di reati di inquinamento probatorio – ha spiegato il legale – Per questo ho chiesto al Gip la remissione in libertà immediata o in subordine la concessione dei domiciliari».

 

CASO BAITA / PARLA L’ASSESSORE

Thetis e gli anni di Minutillo. Paruzzolo: «Provo amarezza»

IL CAPITALE SOCIALE – Nell’azienda dell’Arsenale figura come socia la Adria Infrastrutture

BUFERA SULLA MANTOVANI L’ex segretaria di Galan, ora in carcere, era in consiglio di amministrazione

Thetis, gli anni di Claudia Minutillo

L’assessore Paruzzolo, ex Ad della società: «Provo tanta amarezza»

Per qualche anno, almeno tra 2008 e 2010, Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan, ha ricoperto il ruolo di consigliere, (e in alcuni casi anche come consigliere delegato) al vertice della società Thetis, prestigiosa società di ingegneria idraulica con sede all’Arsenale, nota per i propri progetti nel settore dell’ambiente e della salvaguardia del territorio nonchè dei “sistemi intelligenti” dei trasporti.
E che il “peso” della Minutillo fosse in qualche modo importante è dato anche dal bilancio della società, alla voce “capitale sociale”. Basta vedere il quadro delle aziende che compongono il “cuore” di Thetis per farsi un’idea alla data del 31.12.2011: Consorzio Venezia Nuova (51,1); Ing. E.Mantovani (8.3) di Piergiorgio Baita; Grandi Lavori Fincost spa (8.1); Società italiana Condotte spa (8.1); Adria Infrastrutture (6.0) ovvero la società che fa riferimento alla stessa Minutillo e a Piergiorgio Baita finita nel ciclone con la Mantovani; Actv spa (5.7); Co.Ve.Co spa (5.0); Ing. Mazzacurati sas (5.0); Vi Holding srl (1.8) e Palomar srl (0.5), un’altra delle aziende finite nel mirino della Procura di Venezia.
«Vedo tutto quello che sta accadendo con grande amarezza – ricorda l’assessore alle Attività produttive, Antonio Paruzzolo, che in quegli anni era amministratore delegato di Thetis – Posso solo dire che io da ormai tre anni non ci sono più. Lì ho passato vent’anni della mia vita dannandomi l’anima per trovare nel corso di tutto quel tempo progetti, lavori, sviluppare interventi a beneficio della società».
L’imbarazzo per le ultime vicende attraversate da Thetis e il caso Baita è palpabile. «Me ne sono venuto via nel 2011 – taglia corto Paruzzolo – Non c’è molto altro da dire. Ho cercato di lavorare per il bene della società». L’assessore se ne andò dall’Arsenale quando venne contestata dal centrodestra in consiglio comunale la sua “doppia” presenza: da una parte Thetis, dall’altra l’assessorato nella giunta Orsoni. Ma ritornando agli anni nei quali Claudia Minutillo era nel consiglio di amministrazione di Thetis, Paruzzolo non ha molto da dire ribadendo che in quegli anni di fronte allo sforzo di molti, la situazione iniziava a non essere così florida vista la congiuntura economica.
E non poteva che essere diversamente visto che in quegli anni, la società Thetis iniziava a risentire della crisi, ma soprattutto delle difficoltà strutturali che hanno caratterizzato soprattutto negli anni a seguire il sistema della salvaguardia ambientale, e della laguna in particolare. E ora il caso Baita ha delineato una situazione ancor più particolare. Anche all’interno della società ora non mancano le preoccupazioni che si sommano ai recenti tagli nell’occupazione con quasi 300 persone, tra dirigenti, dipendenti e anche lavoratori a contratto, che hanno risolto il loro contratto con la società negli scorsi mesi.
Di fronte all’assenza di una risposta dal management della società contattata dal Gazzettinoper comprendere il livello di preoccupazione dopo le vicende giudiziarie, interviene a questo proposito il Consorzio Venezia Nuova che, facendo le veci dello stato maggiore di Thetis, ribadisce che il lavoro e l’opera della società prosegue secondo una regolare tabella di marcia. «Gli interventi vanno avanti senza alcun problema – chiariscono dal Consorzio Venezia Nuova – Al di là dell’inchiesta giudiziaria ci sono migliaia di lavoratori impegnati nei nostri interventi. Per tutti questi dobbiamo offrire certezze».

 

LIDO Intervento del sindaco sulla vendita dell’ex ospedale nel movimentato incontro coi residenti

Orsoni: «Senza accordo si rischia il blocco»

Difesa la trattativa con Est Capital. Il consigliere Caccia: «No ai ricatti contrattuali»

IL CONTENZIOSO FISCALE – Versati 7 milioni   «E’ stata elusione non evasione»

IN DIFESA – La società: «Abbiamo rispettato la normativa»

(L.M.) «Est Capital ha sempre rispettato la normativa fiscale. Nessuna violazione di evasione di imposta, a conferma che la Sgr, che opera da anni nel mercato immobiliare, applica in modo rigoroso la normativa fiscale». Lo dice una nota della stessa Est Capital, al termine della verifica avviata, nel gennaio dello scorso anno, dalla Guardia di Finanza di Padova e che ha comportato il versamento da parte della stessa Est Capital di 7,5 milioni.
«Una verifica fiscale – fa sapere la cordata padovana presieduta dal professor Gianfranco Mossetto, che al Lido ha in corso diverse operazioni – programmata e quindi ordinaria. L’esito finale delle indagini una contestazione di abuso di diritto ed elusione di imposta per un ammontare complessivo di maggior imponibile pari a 12,7 milioni da assoggettare ad imposta». Elusione, dunque, non evasione fiscale, ed i legali della cordata ne rimarcano la differenza sostanziale. Due i punti fondamentali dell’inchiesta: 5,5 milioni di euro di imponibile (corrispondenti a 2,2 milioni di euro di maggiori imposte) riguardanti la società Garibaldi Sas, società proprietaria di immobili della famiglia Tabacchi, acquistata da un fondo immobiliare gestito da EstCapital Sgr. «Il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza è stato chiuso con un successivo atto dell’Agenzia delle Entrate quanto il destinatario non è stata la famiglia Tabacchi, ma il fondo immobiliare gestito da Est Capital. Per quanto riguarda la famiglia Tabacchi, non vi è stato alcun accertamento fiscale». Ci sono poi altri 2,2 milioni di euro che riguardano – secondo la ricostruzione dei privati – il disconoscimento di una minusvalenza a fronte di una cessione di una partecipazione da parte di una società detenuta da uno dei fondi immobiliari gestiti da EstCapital.
«L’Agenzia delle Entrate ha infine emesso un atto di accertamento – conclude la nota – di 2 milioni di euro riguardanti il mancato assoggettamento ad Iva di una compravendita immobiliare (che comunque era stata regolarmente assoggettata ad imposta di registro) da parte di uno dei fondi immobiliari gestiti da Est Capital. Nel novembre dello scorso anno, la vicenda si è chiusa con l’adesione all’istanza di accertamento, mediante il pagamento contestuale dell’importo. Per il fondo immobiliare coinvolto, tale adesione ha avuto esclusivamente un effetto finanziario e nessun aggravio di tipo economico per effetto della neutralità dell’Iva».

 

Il Coordinamento “Un altro Lido è posssibile” ha chiesto la rottura di qualsiasi accordo con Est Capital e un azzeramento completo della vicenda

«Senza un accordo con Est Capital il buco del nuovo Palacinema e qualsiasi altro progetto rimarrebbero fermi per altri 10 anni». Il sindaco Giorgio Orsoni l’ha detto chiaramente, facendo intendere di essere con le “spalle al muro” rispondendo ieri sera ai Comitati arrivati a Ca’Farsetti per capire come finirà la controversia tra il Comune ed Est Capital sulla compravendita dell’ex Ospedale al Mare. «Qualsiasi progetto rimarrebbe bloccato – ha proseguito Orsoni – sia nel caso di una decisione del giudice a noi favorevole, perchè dopo il ricorso d’urgenza siamo obbligati ad iniziare una causa di merito, sia anche nel caso in cui il giudice ci desse torto visto che ci troveremmo costretti a restituire 55 milioni che abbiamo già incassato trovandoci così senza soldi. Tutta l’area del Lungomare Marconi inoltre rimarrebbe bloccata per anni». Il Coordinamento “Un altro Lido è posssibile”, che ha ottenuto l’incontro con il sindaco, dal canto suo ha chiesto la rottura di qualsiasi accordo con Est Capital e un azzeramento completo della vicenda. «Questo non è più possibile – ha insistito il sindaco – per effetto di un contratto ed impegni presi precedentemente a questa amministrazione. Un conto sono le legittime aspirazioni che ciascuno può avere ben altro quello che si può concretamente fare arrivati a questo punto». Orsoni ha poi spiegato il motivo per il quale non è più sufficiente coprire il buco. «Nell’area del cantiere sono stati spesi 37 milioni di euro, di cui circa 15 per le bonifiche e altri 22 per opere e manufatti. Se coprissimo il buco senza farvi nulla qualcuno poi verrebbe a chiedere al Comune le motivazioni di una tale scelta ed il perché dello spreco del danaro pubblico». Orsoni ha poi aggiunto che l’obiettivo è quello di arrivare ad un accordo che impegni i privati che acquistano l’ex Ospedale al Mare ad intervenire nell’area della cittadella del cinema, secondo un piano di massima gia visionato dalla Biennale ma non ancora presentato. È stato poi confermato che il Monoblocco verrà abbattuto. «Non è praticabile nessun accordo extragiudiziale con Est Capital – ha tuonato il consigliere Beppe Caccia – Il Comune deve sottrarsi ai meccanismi di ricatto contrattuale e finanziario. In questo momento non si può procedere ad ulteriori trattative con Real Venice di cui Mantovani è socio. Il confronto trasparente deve avvenire in Consiglio comunale e nelle commissioni».
Anche William Pinarello a nome del Coordinamento ha ribadito che la decisione dovrebbe passare per il Consiglio comunale annunciando, in caso contrario, una raccolta di firme per ottenere le dimissioni del sindaco e della Giunta comunale. Fuori dalla sala, troppo piccola per accogliere tutti i manifestanti, sono rimasti a protestare una cinquantina di persone con striscioni ed urla.

 

Nuova Venezia – Inchiesta Baita

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5

mar

2013

Minutillo un fiume in piena parla per sei ore con il pm  

L’ex braccio destro del governatore Giancarlo Galan in Regione starebbe collaborando

Ha chiesto di vedere il magistrato, in procura da mezzogiorno al tardo pomeriggio

VENEZIA – Nuovo e lungo interrogatorio, ieri pomeriggio, per Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan e manager finita in manette per associazione a delinquere e frode fiscale. A sentirla, questa volta, è stato il pubblico ministero Stefano Ancillotto: un interrogatorio iniziato prima di mezzogiorno e finito soltanto nel tardo pomeriggio. Naturalmente c’era il suo difensore, l’avvocato Carlo Augenti: presumibilmente era stato lui a chiedere il colloquio con il magistrato che coordina le indagini e che, però, non è più l’unico. A lui, infatti, da qualche giorno, si è affiancato il collega Stefano Buccini, che ha invece partecipato all’interrogatorio, nel carcere di Treviso, di Nicolò Buson, il ragioniere della «Mantovani spa». Sia il rappresentante dell’accusa sia il difensore, ieri sera, non solo non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, ma nemmeno hanno voluto confermare la presenza della Minutillo in Procura, ma che l’amministratore delegato di «Adria Infrastrutture» sia arrivata negli uffici di Piazzale Roma nella tarda mattinata e ne sia uscita soltanto dopo le 18 è certo. Lo stesso è avvenuto per il suo avvocato. È probabile che, a questo punto, il lungo verbale sarà secretato e non sarà facile capire che cosa ha raccontato Claudia Minutillo. Certo che non deve aver scomodato il pubblico ministero, il difensore, gli agenti di custodia semplicemente per ripetere ciò che aveva già detto sabato al giudice Alberto Scaramuzza, colui che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. In quel primo interrogatorio, la manager si era difesa, confermando che aveva saputo dell’esistenza delle fatture fasulle emesse dalla «Bmc Broker di San Marino», ma aveva aggiunto che era Piergiorgio Baita ad essersene occupato, inoltre, ha sostenuto che William Colombelli, con cui aveva avuto una relazione, lo ha lasciato non appena ha capito che la stava usando. Insomma, ha cercato di sminuire il suo ruolo. Evidentemente, i quattro giorni di carcere – seppure quello femminile della Giudecca non sia sicuramente il peggiore d’Italia – l’hanno convinta ad aggiungere altro o, più probabilmente, a cambiare versione, visto che le prove e le testimonianze contro di lei sono schiaccianti. Ci sono le intercettazioni telefoniche chiarissime che la «incastrano» e ci sono i racconti della dipendente di Colombelli, degli impiegati dell’istituto di credito di San Marino e di altri, i quali hanno riferito agli investigatori della Guardia di finanza che era di casa a San Marino, sia nella sede della «Bmc Broker» sia nella banca, dove ritirava i soldi creati con le fatture fasulle per portarli in Veneto, circa 8 dei dieci milioni che sono andati a formare i fondi neri. E di quel deposito di denaro clandestino all’estero presumibilmente lei sa molto, come conosce numerosi particolari degli affari di Baita. Non solo. Per anni è stata depositaria dei segreti – in qualità di segretaria, anzi, di consigliera – dell’ex presidente della Regione Veneto, ora entrato in Parlamento, Giancarlo Galan, e prima dell’assessore regionale Renato Chisso, che anche ora siede nella giunta di Luca Zaia. Che cosa ha raccontato ieri al pubblico ministero veneziano Claudia Minutillo? Per ora, ma probabilmente ancora per qualche settimana, sarà difficile saperlo. Anche perché i finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova, ora coordinati non più da uno bensì da due pubblici ministeri, dovranno compiere accertamenti, cercare riscontri e prove sulla base di ciò che l’indagata ha riferito. E la conferma di tutto questo arriverà presto: probabile che nel giro di alcuni giorni, infatti, Claudia Minutillo possa tornare a casa sua, a Mestre, agli arresti domiciliari, ritenendo il rappresentante dell’accusa e il giudice delle indagini preliminari che non via siano più le esigenze cautelari che aveva convinto entrambi a farla rinchiudere in una cella, in particolare la possibilità che inquini le prove. Non è escluso che nei prossimi giorni anche il ragioniere della Mantovani Nicolò Buson, difeso dall’avvocato Flavia Fois, chieda di essere sentito dal pubblico ministero. Ma, pur avendo avuto un ruolo importante – almeno stando alle accuse – per quanto riguarda la formazione dei dieci milioni di fatture false, il suo ruolo è stato sicuramente meno centrale di quello di Minutillo, in particolare nei rapporti con esponenti politici e della pubblica amministrazione.

Giorgio Cecchetti

 

Baita e Buson fanno scena muta  

I legali degli arrestati sollevano la questione di competenza dei pm di Venezia     

VENEZIA – Sia il presidente della «Mantovani spa», il veneziano Piergiorgio Baita, sia il ragioniere della stessa società, il padovano Nicolò Buson, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Sono accusati di associazione a delinquere e frode fiscale per dieci milioni di euro. Ieri, interrogati per rogatoria il primo dal giudice di Belluno, il secondo da quello di Treviso, città nelle cui carceri sono rinchiusi da 5 giorni, hanno deciso di tacere, un diritto per tutti gli indagati. Difesi dagli avvocati Paola Rubini e Piero Longo il primo e dall’avvocato Fulvia Fois il secondo, presumibilmente chiederanno di essere sentiti dopo che i loro difensori avranno letto i venti faldoni di carte raccolti dal pubblico ministero Stefano Ancilotto con le indagini dei finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova. Nel frattempo, l’avvocato Fois ha chiesto che Buson esca dal carcere e venga messo agli arresti domiciliari: a decidere toccherà al giudice veneziano Alberto Scaramuzza. «Al giudice», ha detto, «mi sono rivolta dopo l’interrogatorio perché per noi è evidente che, anche se i fatti fossero confermati, il ruolo di Buson é marginale; inoltre non c’é il rischio di inquinamento delle prove o di fuga». Mentre l’avvocato Rubini, per conto di Baita, per il quale ha già presentato ricorso ai giudici del riesame chiedendo tra l’altro anche il dissequestro dei beni del presidente della Mantovani, solleverà pure la questione di competenza. Secondo il legale padovano, infatti, competente a indagare sarebbe la Procura di Padova, dove ha sede amministrativa la grande azienda di costruzioni. L’avvocato Rubini ha avuto un lungo colloquio con il proprio assistito: «È tranquillo» ha sostenuto, «sereno e molto determinato, pur sapendo che quella che lo attende non sarà una passeggiata». Baita «sta studiando l’ordinanza del giudice»,ha aggiunto, «per prepararsi ad un eventuale interrogatorio del pm». All’interrogatorio di Buson era presente anche il pubblico ministero veneziano Stefano Buccini, il quale a qualche giorno collabora con il collega Ancilotto, visto che l’inchiesta si sta estendendo. Già venerdì scorso, comunque, il nuovo pm ha partecipato ad una riunione alla quale c’erano, oltre ai due magistrati, gli investigatori della Guardia di finanza di Venezia e Padova.

Giorgio Cecchetti

 

Intercettazioni sulle talpe

«Vogliono ancora soldi»  

Pesanti sospetti nelle carte dell’inchiesta e nell’ordinanza degli arresti da appurare possibili azioni di favoreggiamento da parte di apparati pubblici     

VENEZIA – Un’inchiesta che può dimostrarsi devastante per il potere politico economico del Veneto. Se ne rende conto subito Piergiorgio Baita quando scopre che la Guardia di Finanza di Padova ha interrogato Vanessa Renzi, la segretaria della BMC Broker. E in quel momento, è la primavera dello scorso anno, inizia a mettere in campo tutte le sue amicizie per conoscere che cosa ha scoperto la Finanza e per inquinare l’indagine. Un aspetto inquietante che getta ombre su apparati dello Stato. Gli investigatori se ne rendono conto quando ritrovano, nel maggio 2012, i file delle registrazioni che William Colombelli ha fatto dei vari di incontri avvenuti tra lui e Baita e Claudia Minutillo. È il 27 aprile dello scorso anno e i due si trovano al Forte Agip di Marghera est, parlano del fatto che la segretaria Renzi dovrà essere sentita a breve dai finanzieri. Conoscono però il verbale del primo interrogatorio avvenuto in gennaio. Dice Baita: «…cosa vuoi che ti dica? L’hai letto anche tu il verbale». Agli investigatori della Guardia di Finanza appare strano che i due abbiano letto il verbale. Infatti si tratta di un verbale redatto in sole due copie: una depositata in Procura a Padova e l’altra trattenuta dalla Guardia di Finanza. In sostanza i finanzieri si rendono conto che qualcuno sta cercando di inquinare le prove e ci sono state fughe di notizie, talpe insomma. In Procura a Padova o alla Guardia di Finanza. Proseguendo nel dialogo, Baita e Colombelli discutono sia su verifiche fatte alla Mantovani che al Consorzio Venezia Nuova. Cercano di capire chi ha firmato i verbali di chiusura verifica. Vogliono capire se quella che è in corso alla Mantovani è una normale verifica. Infatti si sono insospettiti per un nuovo interrogatorio di Vanessa Renzi. Colombelli dice: «Se la tengono dentro altre quattro ore, come al solito?». Risponde Baita: «Vuol dire che c’è qualche cosa che non funziona e allora vuol dire che dovremmo… che chi ci sta seguendo l’operazione non ci dice le cose giuste». E ancora Baita che dice all’altro: «…in questo momento ho fatto delle verifiche e non ci sono delle posizioni aperte…il verbale lo hai visto anche tu, i miei amici dicono: ma guarda, lasciateli lavorare, ci sono delle procedure per chiudere le operazioni». E la risposta di Colombelli è eloquente: «Il mio problema era: cazzo capire chi ha firmato per dire se era uno dei tuoi, uno dei tuoi per dire che cazzo stai facendo… e il nostro uomo, oltrettutto, non c’è neanche di servizio». Successivamente, quando i due se ne vanno, durante il viaggio si messaggiano. Colombelli a Baita: «I nostri dicono: la signora, e BMC, nuova». Come dire c’è un nuovo interrogatorio di Renzi sulla Bmc. Colombelli quando Baita gli risponde che non sa cosa fare gli invia questo sms: «È strano che non t’abbia detto nulla, perché parte sempre da Padova». Nuovo incontro a Marghera tra Baita e Colombelli. I due parlano dell’interrogatorio dell’impiegata della BMC, Colombelli spiega al presidente di Mantovani che se non vi fosse stato il suo avvocato fuori dalla porta dell’ufficio Renzi «sarebbe stata rovesciata come un calzino». Secondo Baita la Finanza ha degli indizi ma non prove su dove sono finiti i soldi recuperati con le fatture false. E l’altro riferendosi al maresciallo che ha interrogato la donna sostiene: «…son contento su questa cosa, però il problema è, da come l’ha gestita lui, sembra il bambino che non ha ricevuto la fetta di torta…a me sembra il contrario delle notizie, magari qualcuno l’ha tenuto fuori perché è maresciallo…abbiamo visto che non c’era nessun movimento sul computerone, zero assoluto, poi questo mi ha chiamato da Milano e mi ha detto: chiamami da fisso e mi ha chiesto dei soldi… so delle cose…non si sa se un altro filone…io non posso permettermelo questo qua di Milano, dell’Agenzia delle Entrate di Milano che è un generale…è la terza volta che gli do dei soldi…mi ha chiesto ancora soldi per avere informazioni ancora da Padova».

Carlo Mion

 

Dolore per Chiarotto e i lavoratori 

L’ingegnere in carcere spera che non ci siano problemi per i 600 dipendenti    

BELLUNO – Prima dell’interrogatorio di ieri l’avvocato Paola Rubini ha incontrato il suo cliente Piergiorgio Baita, sabato quando gli ha fatto visita nel carcere di Belluno. Se ieri il presidente di Mantovani si è mostrato sereno, sabato si è commosso. Piergiorgio Baita non si è mostrato tanto preoccupato per se stesso ma per i famigliari e l’azienda. Nominando la moglie e la Mantovani si è pure commosso. Si è trattato di un breve colloquio che solitamente gli avvocati di fiducia fanno con i propri clienti, prima dell’interrogatorio di garanzia e che serve per verificare le condizioni di salute della persona carcerata e capire quale sia la linea difensiva più adeguata da tenere durante l’udienza di convalida dell’arresto. Quasi sempre l’imputato sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto la difesa conosce ben poco dei documenti dell’accusa che si trovano nel fascicolo d’indagine. Piergiorgio Baita il carcere lo ha conosciuto negli anni Novanta. Accusato di aver pagato tangenti venne poi assolto. Per uscire di carcere aveva collaborato con gli investigatori che cercavano i politici corrotti. Fece il nome di Mosole, l’imprenditore trevigiano re della ghiaia finito pure lui in galera. Al suo avvocato, sabato, ha chiesto come i giornali e la televisioni hanno trattato la notizia e se continuano a scrivere della vicenda. Non sembra preoccupato per se stesso e per quanto gli potrà succedere. Forse si rende conto che ha ben poche vie per evitare un’eventuale condanna. È preoccupato invece per l’azienda e sulle ripercussioni che potrà avere per i guai giudiziari che sta avendo. Si è mostrato dispiaciuto per la famiglia Chiarotto che controlla la “Mantovani Spa” di cui lui è presidente. E poi si è commosso parlando dei 600 dipendenti della società. Si augura che la vicenda non crei problemi per i posti di lavoro di queste persone. Un pensiero particolare anche per la moglie. Ha chiesto all’avvocato come sta e anche nominando la donna si è commosso. poi per il resto non ha detto altro. C’è da immaginare che abbia letto e riletto più volte l’ordinanza che lo ha portato in carcere. Ordinanza che riporta le intercettazioni fatte dal “socio” Colombelli. Un elemento che si può definire uno dei pilastri dell’accusa. Quindi l’interrogatorio di ieri e la speranza che il procedimento venga portato a Padova come chiede l’avvocato Rubini. Carlo Mion

Scontro sulla commissione d’inchiesta  

Il Pd si oppone all’iniziativa di Zaia («Non può essere nominata dalla giunta») e chiede la sospensione dei project in cantiere  

VENEZIA – Domani il consiglio regionale inizierà l’esame del bilancio e della legge finanziaria 2013 ma sui lavori dell’assemblea incombe, come un macigno, la bufera giudiziaria sugli appalti delle grandi opere del Veneto nell’ultimo decennio. Frode fiscale, fondi neri, sospetti di tangenti, ipotesi di collusioni politiche… «Prima di aprire la discussione, chiediamo che il presidente della Regione si presenti in aula per relazionare sulla situazione emersa dopo gli arresti della scorsa settimana», è l’invito che il Pd rivolge a Luca Zaia per voce del capogruppo Lucio Tiozzo e del vicepresidente del consiglio Franco Bonfante. Il governatore leghista, per parte sua, ha annunciato il varo di una commissione d’inchiesta “tecnico-amministrativa” da parte della giunta ma l’iniziativa non convince affatto i democratici: «È ridicolo, si tratterebbe di un organismo espressione di una sola parte, quella politicamente vicina al sistema degli appalti. Trasparenza impone che la commissione sia nominata dall’assemblea e rappresenti tutti i gruppi, la magistratura faccia il suo lavoro, noi non siamo un tribunale ma sul terreno amministrativo dobbiamo fare il nostro». La circostanza promette di innescare un duro scontro tra maggioranza e opposizione. Il partito di Giancarlo Galan, presidente del Veneto nel periodo al centro delle indagini – ha anticipato il “no” all’istituzione della commissione inquirente: «Mi fido della Procura di Venezia e della Guardia di Finanza», commenta lo speaker del Pdl Dario Bond «lasciamole lavorare senza cercare palcoscenici»; e lo stesso Zaia fa sapere che il suo intervento in aula riguarderà esclusivamente il bilancio «nel rispetto delle competenze della magistratura, cui offriamo la nostra totale collaborazione». Il partito democratico, però, non desiste. E rilancia su un tema cruciale, quello dei project financing, la finanza di progetto che combina capitali pubblici e privati, con prevalenza di questi ultimi, “ripagati” attraverso concessioni e servizi in esclusiva. Ecco, un ordine del giorno del gruppo proporrà la sospensione e la verifica di tutte le opere in project financing ancora non avviate: «Questo per passare al setaccio ogni procedura e spazzare via ogni elemento di dubbio che possa ricollegarsi all’inchiesta in corso», ribadiscono Tiozzo e Bonfante «siamo di fronte a fatti di enorme gravità che inevitabilmente hanno effetti a cascata sulla prosecuzione di opere pubbliche, sugli equilibri delle società partecipate e sugli assetti finanziari regionali». Il consigliere Stefano Fracasso rincara e attacca i criteri di adozione del project: «Non contestiamo lo strumento in sé ma l’uso che ne è stato fatto, rivelatosi fallimentare. Nessuna concorrenza, cordate precostituite, sempre le stesse, zero rischio d’impresa ma un utile garantito in partenza variante tra il 7 e il 15%, largamente superiore al mercato. L’impressione è che spesso sia stata capovolta l’ottica: i project non erano funzionali a realizzare di opere necessarie, viceversa lavori venivano ideati e appaltati per consentire alle cordate di arricchirsi». Corollario: indebitamenti di lungo periodo per le casse regionali, oneri ulteriori per il cittadino (tipico l’esempio delle superstrade a pedaggio che subentrano alle arterie gratuite precedenti) e utilità assai dubbia delle grandi opere viabilistiche alla luce della riduzione di traffico provocata dalla recessione. Infine, l’urgenza di prevenire conflitti d’interesse. Uno per tutti, il segretario generale dei Lavori pubblici, Silvano Vernizzi, tuttora amministratore delegato di Veneto Strade: «Non può più essere controllore e controllato», è la conclusione dei democratici.

Filippo Tosatto

 

FINANZA DI PROGETTO  – Nuovi appalti dalle grandi strade alla sanità

Tra le opere di viabilità in project financing in cantiere figurano la Nogara-Mare destinata ad affiancarsi alla Transpolesana; la superstrada Valsugana a quattro corsie che collegherà il Veneto a Trento; il circuito Tangenziali venete che unirà Padova, Vicenza e Verona costituendo una seconda autostrada parallela alla Serenissima; la strada regionale Monselice-Legnago. Sul fronte della sanità, invece, giacciono i progetti riguardanti Verona (reparto materno infantile di Borgo Trento e ristrutturazione di Borgo Roma) nonché il centro protonico di Mestre.

 

ASSESSORE e sindacati 

Chisso: ben venga l’indagine del pm

Mantovani: rischi per l’occupazione

VENEZIA «Mi pare ci sia un’inchiesta in corso, ben venga, attendiamo il suo iter. Sul piano amministrativo condivido in pieno l’idea della commissione d’indagine del presidente Zaia. Veneto Strade? È una società e risponderà del suo operato, come tutti: parole dell’assessore veneto alla mobilità e alle infrastrutture Renato Chisso, pidiellino e galaniano. Sul fronte politico, il capogruppo di Italia dei Valori, Antonino Pipitone, ha inviato al presidente dell’assemblea regionale, Clodovaldo Ruffato, una lettera dove definisce «Non solo auspicabile, ma obbligatoria, la presenza in aula dei i vertici della Regione, e in primis del governatore Zaia, per spiegare cosa sta succedendo». Un’interpellenza parlamentare sulla vicenda è annunciata dal neo-deputato di Sel Giulio Marcon: «Dal giro di fatture false finalizzare alla costituzione di fondi emerge l’esistenza di un sistema politico-affaristico». Nuova bordata, da Strasburgo, dell’europarlamentare vicentino del Pdl Sergio Berlato, nemico acerrimo di Galan e dei vertici veneti del partito che l’hanno accusato di falsi tesseramenti: «Sospetto che dietro la costruzione di grandi opere ci sia una perversa organizzazione malavitosa mirante a garantire proventi illeciti a soggetti privati e in particolare ad alcuni politici». Ma i guai del gruppo Mantovani, il maggiore nelle costruzioni in Veneto, preoccupa anche i sindacati degli edili, che ieri – nella sede della società di via Belgio, in zona industriale a Padova – hanno sollecitato un incontro all’azienda per fare chiarezza sul futuro occupazionale dei 600 dipendenti, che salgono a 1300 con l’indotto: «Ci sono contratti in essere, temiamo contraccolpi per i lavoratori, chiediamo garanzie precise alla proprietà», fanno sapere Giancarlo Tosatto e Marino Berto.

 

Comunicato stampa

Il malaffare veneto che ruota attorno alle infrastrutture e alla filiera asfalto-cemento, denunciato da anni di proteste, è sotto al naso di tutti. Date, nomi, composizioni societarie, scatole cinesi e intrecci saltano agli occhi anche dei profani. E il filo rosso che si sta dipanando porta alla galassia societaria che orbita attorno alla Regione.

2,1 milioni di euro è la cifra contestata a Veneto Strade Spa per fatture false emesse da BMC Brokers, nell’ambito dell’inchiesta “Chalet” che ha portato all’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani Spa.

2,1 milioni di euro che Veneto Strade (partecipata al 70% tra Regione e Province venete), per bocca del suo amministratore delegato Silvano Vernizzi, avrebbe speso per stand, fiere e affini. Un’uscita di cassa a dir poco vergognosa, sia per importo che per destinazione di spesa.

Parlare di Veneto Strade e di Vernizzi significa toccare il braccio operativo della Regione sul fronte delle infrastrutture stradali voluto dal tandem Galan-Chisso. Tanto più che i vertici di Veneto Strade ricoprono un doppio ruolo anche in Regione sui medesimi temi: Silvano Vernizzi è infatti anche segretario regionale per le Infrastrutture e commissario al Passante e alla Pedemontana.

Tutto questo mentre si continuano a “spremere” e vessare i cittadini; mentre la Regione, per mezzo di CAV, da mesi sta minacciando aumenti spropositati dei pedaggi autostradali sulla tratta Padova Mestre; mentre si dirottano i finanziamenti ai servizi e ai trasporti pubblici verso colossi privati che li utilizzano non solo per cementificare il territorio ma anche per corrompere e influenzare la politica.

Riteniamo che sia ora e tempo che questi figuri abbiano almeno la dignità e il tempismo di dimettersi, prima di essere travolti dalla mannaia della giustizia.

Parafrasando il titolo della nota canzone di Branduardi, chissà non sia davvero l’inizio della fine della fiera, dell’assurda ventennale orgia del malaffare veneto legato alle infrastrutture e all’urbanizzazione selvaggia…. in quel caso si partiva dal minuscolo topolino per finire, a catena, con un castigo divino. Chissà.

 

Gli attivisti chiedono che l’Ad dell’azienda pubblica, Silvano Vernizzi, rimetta il suo mandato: “Spremono i cittadini con i pedaggi, cementificano ovunque e fanno sparire soldi per le tangenti.

Ammonterebbe a “2,1 milioni di euro è la cifra contestata a Veneto Strade Spa per fatture false emesse da Bmc Brokers, nell’ambito dell’inchiesta Chalet che ha portato all’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani Spa. Soldi che Veneto Strade (partecipata al 70% tra Regione e Province venete), per bocca del suo amministratore delegato Silvano Vernizzi, avrebbe speso per stand, fiere e affini“. A far scendere il carico sulla vicenda Mantovani sono gli attivisti di Opzione Zero, l’associazione veneziana ex promotrice dei Cat-Comitati ambiente e territorio.

“Parlare di Veneto Strade e di Vernizzi – spiega una nota di Opzione Zero – significa toccare il braccio operativo della Regione sul fronte delle infrastrutture stradali voluto dal tandem Galan-Chisso. Tanto più che i vertici di Veneto Strade ricoprono un doppio ruolo anche in Regione sui medesimi temi: Silvano Vernizzi è infatti anche segretario regionale per le Infrastrutture e commissario al Passante e alla Pedemontana. Tutto questo mentre si continuano a ‘spremere’ e vessare i cittadini: mentre la Regione, per mezzo di Cav, da mesi sta minacciando aumenti spropositati dei pedaggi autostradali sulla tratta Padova Mestre; mentre si dirottano i finanziamenti ai servizi e ai trasporti pubblici verso colossi privati che li utilizzano non solo per cementificare il territorio ma anche per corrompere e influenzare la politica“.

Conclude Opzione Zero: “Riteniamo che sia ora e tempo che abbiano almeno la dignità e il tempismo di dimettersi, prima di essere travolti dalla mannaia della giustizia”.

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Il pm: «Bmc dal 2005 ha funzionato solo come cartiera per Serenissima Holding»

Vernizzi: «Macchè fatture fasulle, Bmc allestiva gli stand di Veneto strade»

«Pagate prestazioni realmente fornite. Da noi nessuno è stato indagato»

MESTRE – Non fotocopiavano solo documenti, nella più classica delle procedure usate in una “cartiera” degna di tal nome, ma riproducevano lo stesso meccanismo con società estranee alla galassia dell’Impresa Mantovani. Ovvero, fornivano fatture senza corrispettivo di servizi, con lo scopo di far risultare spese inesistenti e creare una disponibilità “in nero”, a una miriade di società, pubbliche e private, attive soprattutto nei settori stradale e delle infrastrutture. È da questo sospetto dei finanzieri che è scaturita la raffica di perquisizioni eseguite giovedì.
Tra gli altri uffici, le Fiamme Gialle hanno fatto visita, in via Baseggio a Mestre, alla sede di Veneto Strade, la società partecipata da Regione Veneto, Province del Veneto e società autostradali. Dalla rogatoria giunta dalla Repubblica di San Marino è infatti emerso che nell’elenco di soggetti economici che hanno eseguito bonifici alla Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli (arrestato) Veneto Strade ha versato complessivamente circa due milioni 100 mila euro. E siccome un’impiegata di Bmc ha messo a verbale che la società non faceva nulla, se non emettere “carte”, non solo nei confronti di Mantovani, ma anche di altre società, ecco che i finanzieri vogliono vederci chiaro. Per la verità la stessa impiegata aveva aggiunto che qualche evento pubblico o partecipazione fieristica la Bmc l’aveva organizzata.
A ricevere l’ordine dei finanzieri è stato Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade.
Di che provvedimento si trattava?
«Di una semplice acquisizione di documenti. Nessuno di Veneto Strade è indagato».
Quali fatture hanno preso?
«Si tratta delle fatture che documentano i rapporti con Bmc dal 2005 al 2010 per prestazioni di servizi che questa società ha fornito».
Di che cosa si trattava?
«Di assistenza ad eventi fieristici, ovvero la nostra partecipazione a esposizioni come Urbania Asphaltica».
Che si teneva a Padova.
«Esatto, ma altre presenze si sono registrate a Verona o Longarone. O per eventi legati alla sicurezza stradale che hanno interessato lezioni per studenti delle scuole medie o dimostrazioni del riflessometro per misurare i tempi di reazione alla guida».
Che cosa vi forniva Bmc?
«Predisponeva l’allestimento degli stands di Veneto Strade, con il personale, le hostess, le attrezzature».
Quindi il servizio fu fornito?
«Ci mancherebbe, le prestazioni ci furono».
E le fatture non erano fasulle?
«Erano fatturazioni di servizi forniti».
Lei è stato interrogato dagli inquirenti?
«A tutt’oggi no».

 

«Un unico progetto criminoso che coinvolgeva numerose società»

Ruolo centrale per la sanmarinese Finanziaria Infrastrutture

Oggi a Belluno il primo interrogatorio di Baita e a Treviso quello di Buson

«Bmc Broker non ha avuto dal 2005 in poi altro scopo se non quello di fungere da cartiera per le società del gruppo Serenissima Holding… Gli indagati hanno così potuto contare su una struttura organizzativa già esistente che ha consentito loro prima di utilizzare le false fatture emesse da Bmc e poi occultare con facilità gli illeciti commessi».
Il sostituto procuratore di Venezia, Stefano Ancilotto, descrive così il presunto meccanismo illecito finalizzato alla creazione di fondi “neri” per milioni di euro da lui contestato a Piergiorgio Baita, presidente della società di costruzioni Mantovani spa (capofila del gruppo Serenissima Holding); a Claudia Minutillo, amministratore delegato di Adria Infrastrutture ed ex assistente dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan; al presidente di Bmc Broker di San Marino, William Ambrogio Colombelli e al responsabile amministrativo della Mantovani, Nicolò Buson, tutti arrestati giovedì con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale attraverso false fatturazioni.
La struttura della presunta associazione criminale viene descritta nelle 60 pagine di cui è composta la richiesta di misura cautelare che il pm Ancilotto aveva depositato all’Ufficio Gip nell’autunno del 2012: richiesta accolta la scorsa settimana dal giudice Alberto Scaramuzza il quale ha firmato un’ordinanza lunga 223 pagine. Sotto accusa sono finite le presunte false fatturazioni emesse da Bmc Broker sia nei confronti della Mantovani sia della società Adria Infrastrutture. Secondo la Procura «si tratta di un unico programma criminoso di cui fanno parte anche altre società, tra cui Consorzio Venezia Nuova, Thetis spa, Palomar srl, Dolomiti rocce srl, Talea scarl, Veneto strade spa, Veneto acque spa, Passante di Mestre spa, gravitanti intorno al “Gruppo Mantovani” in un’unica strategia pianificata dal Baita».
Strumentale all’intero progetto sarebbe stata, secondo il pm Ancilotto, la costituzione all’estero, con sede nella Repubblica di San Marino, della società Finanziaria Infrastrutture che, seppure mai operativa, «risulta aver costituito la scusa o il mezzo per affidare rilevanti incarichi di consulenza a Bmc», mentre i suoi conti sarebbero serviti agli indagati «per riciclare una parte del denaro retrocesso alle società italiane». Il capitale sociale della Finanziaria è stato messo a disposizione da Adria Infrastrutture mentre le quote sociali risultano sin dall’inizio intestate a Minutillo e Colombelli.
La Procura attribuisce a Baita il ruolo di «dominus dell’intera vicenda, colui che dà le direttive, colui al quale gli altri due si rivolgono quando devono decidere il da farsi nei casi più complessi». Secondo il pm Ancilotto risulta evidente «come ognuno tragga dall’operazione il proprio personale diretto beneficio e come senza l’accordo di uno dei tre l’operazione nel suo complesso non avrebbe potuto essere posta in essere».
Baita avrà la possibilità di fornire la propria versione dei fatti nell’interrogatorio fissato per questa mattina davanti al Gip di Belluno, città nella quale si trova detenuto. Sempre questa mattina sarà interrogato anche Buson detenuto a Treviso il quale sarà ascoltato per rogatoria dal Gip del Tribunale di Treviso. Molto probabilmente entrambi si avvarranno della facoltà di non rispondere, almeno fino a quando i loro difensori non avranno studiato le carte in mano alla pubblica accusa.

Gianluca Amadori

 

FATTURE FALSE E FONDI NERI

Il giorno della verità di Baita. Oggi l’interrogatorio in carcere

I SOLDI – «Disponibilità bancarie nei conti»

LE RAGIONI DELLA RICHIESTA  «La situazione di Est Capital incrocia le vicende giudiziarie»

A TREVISO E BELLUNO  – Oggi gli interrogatori del presidente di Mantovani e di Buson

A TREVISO E BELLUNO – Oggi gli interrogatori del presidente di Mantovani e di Buson

LA COLLABORAZIONE – Inquirenti veneziani e sanmarinesi insieme per condurre le indagini

LA COLLABORAZIONE – Inquirenti veneziani e sanmarinesi insieme per condurre le indagini

Si svolgeranno questa mattina gli interrogatori degli ultimi due indagati nell’operazione della Guardia di Finanza. Il presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita (avvocati Piero Longo e Paola Rubini), sarà ascoltato per rogatoria dal Gip di Belluno, città nel cui carcere è detenuto. Il responsabile amministrativo della società di costruzioni, Nicolò Buson (avvocato Fulvia Fois) detenuto a Treviso, sarà interrogato dal Gip di Treviso. Con molte probabilità entrambi si avvarranno della facoltà di non rispondere in attesa di conoscere le carte in mano all’accusa.

L’INCHIESTA Sono state tre le rogatorie chieste dal magistrato per la Repubblica del Titano

San Marino, crocevia del “sistema Baita”

Il pm: «Lì il manager e la Minutillo potevano contare sull’appoggio di politici locali e su fondi»

È grazie alla collaborazione delle autorità della Repubblica di San Marino che la Procura di Venezia è riuscita a riscostruire il “giro” milionario di presunte false fatture emesse, dal 2005 in poi, dalla Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli a favore della società di costruzioni Mantovani spa, presieduta dal veneziano Piergiorgio Baita, 64 anni, e di Adria Infrastrutture, la società amministrata dalla mestrina Claudia Minutillo, 49 anni, ex assistente del presidente della Regione Giancarlo Galan. Sono tre le rogatorie avviate dagli inquirenti veneziani per fare luce sulle intricate operazioni finanziarie. E, nonostante San Marino sia uno dei cosiddetti “paradisi fiscali” inseriti nella black list internazionale, il pm Stefano Ancilotto è riuscito ad ottenere in pochi mesi le risposte che aspettava, sulla base delle quali ha formulato una lunga serie di accuse nei confronti di Baita, Minutillo, Colombelli e del responsabile amministrativo della Mantovani, il padovano Nicolò Buson.
Gli arresti sono scattati giovedì mattina in tutta fretta in quanto gli uomini della Guardia di Finanza hanno scoperto che Colombelli si stava recando in Costa Azzurra, in Francia, e temevano che potesse sottrarsi all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Alberto Scaramuzza. Il giudice ha disposto il carcere nei confronti dei quattro indagati anche per la sussistenza di un concreto pericolo di fuga, in particolare da parte di Colombelli che, già munito di passaporto diplomatico (in qualità di console onorario di San Marino), dopo aver subito le prime perquisizioni nell’ambito della verifica fiscale avviata due anni fa a carico della Mantovani, si era trasferito quasi esclusivamente a San Marino, dove prima trascorreva solo pochi giorni al mese. Ma, secondo il Gip, anche per Baita e Minutillo vi era il rischio di fuga: entrambi, si legge nell’ordinanza, «si sono recati più volte a San Marino dove possono contare dell’appoggio di politici locali e sulle disponibilità monetarie costituite presso conti correnti bancari ove hanno versato importi rilevanti».

 

DAL COMUNE – Locatelli (Pdl): «Condizioni mutate. Nuovo bando per l’ex Ospedale al mare»

«Serve un nuovo bando di gara per l’ex ospedale al Mare». La richiesta arriva da Marta Locatelli, consigliere comunale Pdl, che si aggiunge all’appello di altri colleghi di Ca’ Farsetti (Michele Zuin, Nicola Funari e Jacopo Molina) per una convocazione urgente del consiglio comunale sulla situazione dei progetti al Lido in relazione alla vicenda dekka Mantovani.
«Il bando – spiega Locatelli in una interrogazione inviata al sindaco Orsoni – va rifatto per inadempimento da parte del privato e per i gravi fatti giudiziari sopraggiunti. Le condizioni ci sono tutte: innanzitutto la grave situazione finanziaria e l’esposizione debitoria di Sgr Est Capital (ricordo che il fondo Real Venice 1, sempre di Est Capital, è indebitato con le banche per circa 120 milioni di euro e verso terzi per 300 milioni)».
«C’è poi – continua Locatelli – un accordo che prevede la restituzione dei 32 milioni ad Est Capital da parte del Comun , modificando totalmente il bando di gara senza alcun coinvolgimento del consiglio comunale. Il Fondo Real Venice 2 attraverso il quale Est Capital Sgr si è aggiudicata l’operazione “ex Ospedale al mare appartiene ad Est Capital solo per il 20% mentre il restante 8 è di Mantovani-Condotte, con il presidente della Mantovani arrestato per frode fiscale e fondi neri. Ad oggi nonostante numerose richieste da parte di vari consiglieri, nulla e’ stato condiviso con il consiglio comunale».

 

Nuova Venezia – “Dalla Bmc fatture false per tutti”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

4

mar

2013

La superteste svela il grande sistema. Le dichiarazioni della segretaria della Bmc. La società di San Marino “serviva” molte società venete: così creavano fondi neri. A chi servivano? Oggi Baita e Buson saranno interrogati dal pm.

VENEZIA – Oltre ad abbattere i ricavi per pagare meno tasse, a cosa serviva il giro di fatture false con connessi fondi neri portato alla luce dalla guardia di finanza? Difficilmente Piergiorgio Baita, difeso dagli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, nell’interrogatorio fissato per oggi risponderà alle domande del pubblico ministero veneziano Stefano Ancilotto, che ha coordinato l’indagine che ha portato all’arresto, oltre che dell’amministratore delegato 64enne della Mantovani, anche di Claudia Minutillo, 48 anni, già segretaria di Galan e amministratore delegato di Adria Infrastrutture, di Wiliam Colombelli, 49 anni, console di San Marino ora sospeso, e presidente della Bmc Broker di San Marino, sospettata di essere la società cartiera, e infine di Nicolò Buson, 56 anni, direttore amministrativo della Mantovani, tutti accusati di associazione per delinquere e frode fiscale. Anche Buson, come Baita, sarà interrogato oggi. È l’uomo su cui punta l’accusa per ottenere nuovi riscontri al meccanismo ricostruito dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia e Padova, e che vedeva la Bmc, dopo il pagamento della fattura, restituire alla società l’80% – tramite la Minutillo, che era intestataria di due conti correnti, ma poteva operare su quattro – per trattenere per sé, a titolo di provvigione, il 20%. Il Gip Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza di custodia cautelare, sottolinea «l’esistenza di un’attività sistematica di falsificazione della documentazione necessaria a far risultare una partecipazione della Broker alle attività di progettazione in realtà da parte della Broker inesistenti». Ma l’indagine della Guardia di Finanza sta cercando di fare chiarezza anche sui versamenti fatti da altre società alla Broker di San Marino, tra le quali Veneto Strade (2,1 milioni di euro in sette anni per eventi fieristici) la società pubblica braccio operativo dell’assessorato regionale alla Mobilità guidato da Renato Chisso, che già ha salutato con favore l’apertura,domani, di una commissione d’inchiesta regionale. In un passaggio dell’ordinanza, la teste principale dell’inchiesta, Vanessa Renzi, segretaria di Colombelli, spiega: «Voglio precisare che quanto ho detto con riferimento alla Mantovani e alla Adria infrastrutture vale anche per tutte le altre società ovvero Consorzio Venezia Nuova, Thetis, Palomar, Dolomiti rocce, Veneto strade, Veneto acque, Passante di Mestre. Il mio riferimento specifico alla Mantovani deriva dal fatto che è il maggior “cliente” di Bmc. In pratica le fatture emesse nei confronti di ciascuna di queste società sono relative ad operazioni inesistenti e a fittizie consulenze in realtà mai poste in essere». La Guardia di Finanza sta anche cercando di capire anche di quali protezioni godesse Baita, che come emerge dalle intercettazioni era a conoscenza di una verifica fiscale sui conti della società e stava lavorando per depistare i finanzieri, ad esempio ritoccando documenti fiscali.

Francesco Furlan

 

I NUMERI

4 Le persone arrestate per associazione a delinquere e frode fiscale. Sono Piergiorgio Baita, 64 anni, ad della Mantovani; Claudia Minutillo, 48, già segretaria di Galan e ad di Adria infrastrutture; Wiliam Colombelli, 49, presidente della Bmc Broker; Nicolò Buson, 56, direttore amministrativo della Mantovani.

10 L’ammontare, in milioni di euro, delle 50 fatture false emesse dalla Bmc Broker sui quali sta cercando di fare chiarezza la Finanza.

20 I faldoni di carte raccolti dall’accusa per provare il sistema di false fatturazioni che vedrebbe al vertice dell’organizzazione Piergiorgio Baita.

 

Vernizzi sotto la lente dei grillini

«Troppi conflitti di interesse»

Un conflitto di interessi grande come una casa. Può la stessa persona essere commissario straordinario per la realizzazione di un’opera stradale, ma anche amministratore delegato della società che realizza l’opera e la massima autorità regionale da cui dipendono permessi e autorizzazioni paesaggistiche? Il Movimento Cinquestelle va all’attacco di Silvano Vernizzi, potente direttore regionale delle Infrastrutture e della Direzione Ambiente e territorio dell’assessorato guidato da Renato Chisso, per ora soltanto sfiorato dall’inchiesta sulle fatture false che sarebbero state emesse dalla Mantovani e da Adria Infrastrutture. Una mozione da presentare in Consiglio comunale, un’interrogazione in Regione e un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti. Cinque fogli fitti di dati e riferimenti di legge, firmati dal consigliere comunale del Movimento dei Grillini, Gianluigi Placella, frutto del lavoro di équipe della “task force urbanistica” guidata da Davide Scano. Secondo i Cinquestelle non si tratta soltanto di una teoria. Ma il “conflitto di interessi”di Vernizzi avrebbe provocato negli ultimi anni effetti e conseguenze negative sulla città e sul suo territorio. I Cinquestelle contestano la nomina di Vernizzi (approvata dalla giunta regionale il 21 dicembre del 2010) ad Autorità competente per la Valutazione di Incidenza ambientale (Vinca) e coordinatore del Comitato tecnico per l’attuazione dell’intesa tra Regione e ministero dei Beni culturali in materia di paesaggio. Oltre che, prosegue l’esposto, “relativamente alla più estesa attribuzione delle competenze in materia tutela dell’ambiente e del paesaggio al segretario regionale per le infrastrutture. È sempre alla stessa persona, scrivono i grillini, che vengono affidate le valutazioni ambientali dei progetti spesso opera della struttura regionale che le ha progettate. Vernizzi, scrive il consigliere Placella, è stato nominato commissario per la realizzazione del Passante di Mestre e adesso della Pedemontana veneta – opere, come la gran parte di sottopassi e raccordi stradali, realizzate dalla Mantovani di Baita – ma è anche amministratore di una società per azioni “la cui operatività resta subordinata alle procedure autorizzatorie delle strutture regionali gerarchicamente subordinate al Segretario medesimo. Sempre a lui fanno capo tutte le strutture regionali per la gestione della tutela ambientale, del paesaggio e della pianificazione del territorio”. I Cinquestelle chiedono un controllo a tappeto su tutti gli atti firmati negli ultimi anni da Vernizzi. Chiedono anche al sindaco Giorgio Orsoni “di metter fine a questa situazione di conflitto di interessi che ha avuto riflessi negativi sulla gestione del territorio”.

Alberto Vitucci

 

Dal Libro “I padroni del Veneto”

Il partito degli affari per gli appalti

Miliardi di euro di lavori pubblici: in mano ai soliti noti

Dal recentissimo libro di Renzo Mazzaro “I padroni del Veneto”, edito da Laterza, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo parte del capitolo “Dove scorrono i soldi”. di Renzo Mazzaro C’è un partito degli affari che controlla gli appalti pubblici indirizzandoli verso i soliti noti? La questione tiene banco per tutto il decennio 2000-2010. Ci sono gli affari, questo è certo. E sono tanti. Un mare di soldi pubblici scorre nel Veneto: solo dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali valga 2,5 miliardi di euro. Escludendo il Mose, finanziato dallo Stato per oltre 4 miliardi di euro. Escludendo il Passante di Mestre, finanziato a metà fra Stato e Regione, partito con un costo di 650 milioni e arrivato al saldo con 986,4 più Iva. Escluse le Ferrovie, che spendono 2 miliardi per l’Alta Velocità tra Padova e Mestre, unico tratto realizzato; per i collegamenti Verona-Padova e Venezia-Friuli, di là da venire, saranno necessari altri 10 miliardi. Escludendo strade, autostrade, porti e aeroporti: solo Veneto Strade spa, che ha ereditato patrimonio e competenze dall’Anas, ha da spendere nei tre anni un miliardo di euro. In questo mare di soldi pubblici navigano pochi operatori privati. Tutti gli altri stanno sulle rive a guardare. I vincitori delle gare sono un numero ristretto di aziende che da sole o in associazione di impresa (Ati) si assicurano le commesse con una frequenza sistematica. Gli appalti variano ma i nomi si ripetono. Contano indubbiamente le capacità, bisognerà mettere nel conto le versioni denigratorie prodotte dall’invidia per il successo altrui. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: c’è un monopolio che non si spiega con assenza di concorrenza. Nasce da qui il sospetto che il vantaggio acquisito sia frutto non di merito ma di favore. Un privilegio di pochi costruito con i soldi di tutti. Chi parla per primo di un partito degli affari è Massimo Carraro che nel giugno del 2000, da parlamentare europeo dei Ds, pone la questione del finanziamento della campagna elettorale vinta dal presidente Giancarlo Galan contro Massimo Cacciari, candidato del centrosinistra. Andando alla ricerca di chi ha sborsato i soldi per la campagna elettorale di Galan, Massimo Carraro cita Enrico Marchi e Giuseppe Stefanel, imprenditori impegnati in una grossa operazione immobiliare a Padova Est, la cosiddetta lottizzazione Ikea. Chiede loro di chiarire pubblicamente «se siano stati, magari a mezzo di loro società, generosi finanziatori della campagna elettorale di Forza Italia». Si becca una querela, non dai due ma da Giancarlo Galan, benché il presidente abbia appena confidato in una cena con gli eletti di Forza Italia – sui colli Berici, ad Arcugnano, la settimana prima – di aver speso 3 miliardi di lire raccolti anche attraverso sostenitori. A corredo della denuncia, l’avvocato di Galan produce una montagna di documenti sulla base dei quali, sorpresa, il pm padovano Antonino Cappelleri non indaga Massimo Carraro bensì il sindaco di Padova Giustina Mistrello Destro e l’assessore Tommaso Riccoboni, entrambi di Forza Italia. Il contraccolpo è notevole, la procura si trova al centro di reazioni eccellenti. L’indagine prosegue ma non emergono elementi di rilevanza penale. Cappelleri passa all’ufficio di sorveglianza e il pm Matteo Stuccilli, che gli succede, finisce per archiviare. La lottizzazione non subisce rallentamenti. Nel mercato delle opere pubbliche venete si incontrano ad ogni piè sospinto lo studio di progettazione Altieri, la Mantovani Costruzioni e la Gemmo Impianti. «È un “giro stretto” che funziona a tenaglia e fa man bassa di lavori pubblici, garantendosi gli appalti perfino quando presenta offerte meno vantaggiose dei concorrenti. Questa rete è talmente fitta e potente che chi è fuori rischia di non lavorare più, perché gli appalti hanno scadenze fino a 9 anni, rinnovabili per altri 9. L’armata diventa invincibile adottando la formula del project financing, sperimentata per la prima volta con la costruzione del nuovo Ospedale all’Angelo di Mestre e della Banca degli Occhi, un affare da 254,7 milioni di euro Iva compresa, di cui 134,6 di contributo pubblico e 120,1 anticipati dai privati. Mestre è solo l’assaggio. Dal 2006 in poi il project dilaga. In una lettera al ministro Corrado Passera appena insediato, l’assessore Renato Chisso parla di «investimenti messi in campo per 11 miliardi e 800 milioni di euro di risorse private, a fronte di un intervento pubblico di 1 miliardo di euro, meno del 10 per cento del valore totale». Da notare che la documentazione per un project della dimensione di quelli che seguono ha un costo di centinaia di migliaia di euro. Presentarsi e non vincere, vuol dire subire un salasso. Presentarsi diverse volte senza mai vincere, vuol dire dissanguarsi. La galassia Galan. Questa diramazione tentacolare di cantieri, che asfaltano e cementificano per terra e per mare, è al comando di poche persone. L’ingegner Piergiorgio Baita guida la Mantovani Costruzioni, un’azienda che dà lavoro a 600 persone, 1.300 calcolando l’indotto. Baita è alla seconda vita, la prima è finita con Tangentopoli. Gemmo Impianti e lo Studio Altieri hanno una storia intrecciata. Livio Gemmo, capostipite e fondatore dell’azienda, originario di Asiago ma vissuto a Thiene con i figli Franco e Giorgio, era amico di famiglia dei Sartori. La Lia, nata a San Pietro Valdastico ma trasferitasi a Thiene, è considerata come una zia da Irene Gemmo, figlia di Franco. Lia Sartori va ad abitare a Thiene, sopra lo studio di ingegneria di Vittorio Altieri, che diventa il suo compagno. L’ingegnere, morto prematuramente nel 2003, ha un’attività avviata molto prima dell’arrivo sulla scena di Giancarlo Galan. È cresciuto con i primi presidenti della Regione, Angelo Tomelleri e Carlo Bernini, figure centrali del partito di governo, la Dc, anzi la corrente dorotea della Dc. Come accade ad un altro studio di ingegneria, la Net Engineering di Monselice, titolare Gian Battista Furlan. Tangentopoli impone una brusca frenata a Vittorio: le indagini lo lasciano indenne ma è costretto a cambiare aria per lavorare. Si trasferisce a Roma, estende l’attività anche all’estero. Darà la colpa ai giudici ma soprattutto ai giornalisti, specializzati secondo lui nel fare d’ogni erba un fascio. Finché l’elezione di Galan a presidente del Veneto e il ruolo di primo piano della Lia lo riportano nel Veneto. Nel 2005 Franco Gemmo cede lo stabilimento di Arcugnano ai figli Mauro e Irene, pur conservando la presidenza onoraria dell’azienda. Nel maggio 2006 Galan insedia Irene alla guida di Veneto Sviluppo con un annuncio dei suoi: «È arrivato il momento di fare cose brillanti, adeguate alle sfide dei nostri tempi». In realtà la sfida è al libero mercato, a causa del conflitto di interessi nel quale Irene Gemmo si trova immediatamente catapultata. Nascono screzi anche in azienda. Il programma di Irene nella Veneto Sviluppo – realizzare una multiutility regionale e unificare il sistema fieristico disperso tra le città – non è che la prosecuzione dei tentativi già falliti dal suo predecessore Paolo Sinigaglia. L’esito sarà scontato. In quel momento è già cominciata la parabola discendente di Sinigaglia, il Galan-boy più ruspante e verace. Galan ha puntato tutto sul suo amico-nemico per la pelle, Enrico Marchi, che è in piena metamorfosi professionale: Marchi passa a tutta velocità da finanziere a manager a imprenditore, anzi astro nascente degli aeroporti. Dopo la conquista della Save pensa di ripetere il colpo comprando Aeroporti di Roma. La scalata parte bene, seguendo lo stesso schema usato per la Save, ma sul traguardo Marchi si vede soffiare il pacchetto di maggioranza dai Benetton.

 

Lettera aperta del consigliere veneziano beppe caccia

Come vengono adoperati i soldi pubblici per il Mose?

VENEZIA – Beppe Caccia, consigliere comunale a Venezia per la lista “In comune” si chiede pubblicamente “come vengono spesi i miliardi di soldi dei cittadini destinati al Mo.s.e.? A che cosa sono serviti i fondi neri di Baita e Minutillo?”. Con un sospetto pressante: “A pagare tangenti? E chi le ha incassate?”. Ricorda il consigliere caccia: “Nell’ottobre scorso avevo pubblicamente chiesto all’ ingegner Piergiorgio Baita di fare chiarezza e di illustrare pubblicamente con grande trasparenza, visto che si tratta esclusivamente di risorse pubbliche, i conti del Consorzio Venezia Nuova e del suo azionista di maggioranza, la Mantovani SpA. L’ingegner Baita non aveva risposto e, dalle notizie che trapelano dall’inchiesta che ha portato al suo arresto, si inizia a capire perché il silenzio. Dal 1984 quando è partito il progetto Mo.S.E., cioè da quasi trent’anni, della marea di danaro che è andata e che va spesa per quel progetto, solo una parte va a finanziare le opere, mentre una gran parte va a finanziare qualcos’altro. Vediamo, ad esempio, come in tempi di austerity verranno spesi gli ultimi 1.250 milioni di euro stanziati per il Mo.S.E. dal Governo Monti . Innanzi tutto una quota del 12% va a pagare non i lavori o la loro progettazione, ma l’attività di management del Consorzio Venezia Nuova: ciò significa che questa attività verrà finanziata nei prossimi quattro anni con 250 milioni di euro, oltre sessanta milioni all’anno. Chiunque abbia una qualche competenza in materia sa che si tratta di cifre assurde e del tutto spropositate. Mettendo l’occhio nei bilanci passati si vede poi che questa cifra aumenta considerevolmente attraverso attività affidate dal Consorzio ad altri soggetti e rimborsate con cifre molto superiori a quanto effettivamente speso. Si può dunque pensare che i 250 milioni lieviteranno almeno fino a 300. I 950 milioni restanti verranno spesi per i lavori. Ma come? Attraverso l’affidamento diretto alle imprese del Consorzio – tra cui le indagate Mantovani SpA e le sue controllate come Palomar – e senza gara di appalto. Anche pensando che la forte etica di quelle imprese non le induca a gonfiare le voci di costo, qualora si facessero delle gare, come avviene in tutto il mondo civile, si otterrebbero dei ribassi medi sui lavori di circa il 30%. Ciò significa che se si facessero delle gare si risparmierebbero 285 milioni di euro, pur lasciando alle imprese la legittima remunerazione del proprio lavoro.Dunque, dei 1.250 milioni dati dallo Stato circa il 50%, cioè circa 600 milioni di euro non vanno a pagare le opere, ma vanno a un ristretto numero di persone che realizzano così assieme a degli impressionanti superprofitti”.

 

I progetti fantasma dal Mose alle strade

Le consulenze commissionate dalla Mantovani: dalle opere in laguna al Grande Raccordo Anulare di Padova

PADOVA – Sono dieci le grandi opere percui La Mantovani Spa di Piergiorgio Baita ha chiesto consulenze di varia natura alla Bmc Broker di San Marino. Consulenze fantasma, per cui la “cartiera” sanmarinese ha affastellato, da quando il sedicente console del “monte Titano” William Colombelli ha saputo che la guardia di finanza gli stava col fiato sul collo, una serie di operazioni di facciata al limite del grottesco. Tentativi di simulare l’effettiva esecuzione di progetti e consulenze per cui sono stati pagati dalla Mantovani dal 2005 al 2010 oltre otto milioni di euro e dalla Adria Infrastrutture altri due milioni, poco meno. Contratti di consulenza post datati rispetto alle consulenze ottenute, fatturazioni registrate di domenica, ricerca di fornitori a lavori conclusi: sono solo alcuni degli strafalcioni individuati dai finanzieri nel castello di “carta straccia” prodotto dalla Bmc. A Padova la Mantovani si interessa del Gra, il grande raccordo anulare: la finanza trova due fatture della società sanmarinese, entrambe da 150 mila euro per una “consulenza tecnica per la progettazione del piano del traffico conseguente alla modifica dello schema infrastrutturato Via Maestra-Gra di Padova”. La richiesta, coadiuvata da elaborati, documenti e planimetrie, è di fine dicembre. A inizio gennaio, in tempi incredibilmente brevi, la Bmc spedisce alla Mantovani il lavoro svolto. Gli elaborati che tornano da Sanmarino sono praticamente i medesimi partiti da Padova: la Bmc non ha svolto alcun lavoro. Di più: per lo stesso incarico spuntano altre fatture che la Mantovani ha pagato, per circa 80 mila euro, alle ditte Idroesse Infrastrutture Spa e Pro.Tec.co Scrl, di cui sono stati trovati i lavori. Sempre a Padova l’azienda della famiglia Chiarotto mette gli occhi sul sistema di complanari e tangenziali della A4 dal Garda (Vr) a Busa di Vigonza (Pd): 600 mila euro vengono pagati alla Bmc Broker per “elaborazione dati per la collaborazione nella realizzazione del progetto”. Ma anche in questo caso gli elaborati “firmati” dall’azienda sanmarinese non ci sono. Mentre ci sono quelli di altri studi, pure pagati dalla Mantovani. Tra il 2005 e il 2006 Mantovani paga alla Bmc Broker fatture per un milione 460 mila euro per “studio, progettazione e realizzazione di una campagna informativa e di comunicazione e promozione funzionale all’inserimento nel territorio dei cantieri aperti nell’ambito degli interventi per la salvaguardia di Venezia”, lavori affidati al Consorzio Venezia Nuova a Lido Treporti (poi esteso all’attività di risanamento dell’area industriale di Marghera. Negli stessi anni un altro milione viene pagato per la progettazione del terminal merci al largo della costa di Porto Levante in provincia di Rovigo. Un milione finisce a Sanmarino anche per “consulenze tecniche e di progettazione per la piattaforma logistica di Fusina (Ve). Nel 2007, ancora, 600 mila euro transitano dall’azienda di costruzioni padovana alla Bmc per un’elaborazione di dati, in realtà prodotta da altri, per il progetto di prolungamento di Pian di Vedoia a Pieve di Cadore (Bl), il tratto “A” del collegamento fra la A27 e la A23. Nel 2008 la Mantovani paga alla Bmc due fatture da 375 mila euro per il progetto di “valorizzazione del compendio immobiliare di via Torino a Mestre e il mercato ortofrutticolo”, poi 359 mila euro per la progettazione del “piano dei montaggi e installazione degli impianti di regolazione delle maree alle bocche di Treporti e Malamocco. Due anni dopo quasi 700 mila euro per la ricerca di fornitori per le “opere di sbarramento alla bocca di Treporti”. Nel 2009 la Mantovani paga alla Bmc mezzo milione di euro per lo “studio di delocalizzazione dei servizi logistici di Marghera”. Nelle intercettazioni a carico di Baita e Colombelli, disposte dopo che nel procedimento a carico della Società Autostrade Venezia Padova Spa che ha portato all’arresto dell’ad Lino Brentan, erano emersi stretti legami con le società del gruppo Mantovani, si definiscono i ruoli di quello che gli investigatori definiscono “disegno criminoso”. Ad un certo punto Baita manifesta a Colombelli la sua preoccupazione perché, dice, «quando vedono che lavori con San Marino, anche per importi bassi, fanno in controlli». Colombelli suggerisce a Baita di acquisire nel gruppo la Bmc, ma è un vicolo cieco: «Io non posso prendere come gruppo una società che produce solo carta» dice il manager padovano, «è pericoloso». E Colombelli, a riprova del ruolo della sua società, definisce la Bmc «la cartiera della Mantovani». Baita lo contesta: «Non penso che tu abbia fatto la Bmc per noi» «Avevamo anche un ramo commerciale» ribatte Colombelli, «ma è stato eliminato». In un altro colloquio i due cercano di trovare il modo di giustificare i pagamenti da Padova a San Marino: la Bmc non ha alcuna struttura di lavoro, non ha consulenti e tecnici nel suo organico. Colombelli si offre di eseguire lui, fittiziamente, i progetti. Ma Baita gli fa notare: «Un lavoro che tu, Willy Colombelli, fai direttamente, il valore di questo lavoro può essere elevato, ma non può essere qualche centinaio di migliaia di euro».

Elena Livieri

 

L’ad di Mantovani conosceva particolari riservati delle indagini, i pm vogliono sapere se vi furono contatti a livello ministeriale. Due testimoni collaborano. Undici fatture per 10 milioni di consulenze inesistenti.

Dagli interventi di Salvaguardia, alle “bocche” a Malamocco

I vertici della Mantovani tentarono l’aggancio di militari operanti all’interno delle Fiamme Gialle

L’INCHIESTA – Due nuovi testimoni forniscono elementi a sostegno dell’accusa

COLLUSIONI – Il capo della Mantovani era informato sulle mosse degli uomini della Gdf

L’ELENCO – Sarebbero undici, per complessivi 10 milioni di euro, gli studi fittizi realizzati dalla società
Marghera, Porto Levante, autostrade: ecco

Sono undici le principali fatture che, tra il 2005 e il 2010, sarebbero state emesse dalla società sammarinese Bmc Broker alla Mantovani spa a fronte di prestazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di circa 10 milioni di euro. Il gip ritiene che si tratti di fatture fasulle – finalizzate a creare del “nero” – sulla base di una lunga serie di elementi raccolti dagli inquirenti. Innanzitutto le dichiarazioni rese dalla segretaria di Colombelli, la quale ha riferito che non appena le somme venivano bonificate alla Bmc Broker, lei stessa provvedeva a prelevare l’80 per cento della somma e a ri-consegnarla a Baita e Minutillo. Ma è anche la struttura della Bmc Broker a destare perplessità: come ha potuto gestire consulenze e progetti di tale rilevanza senza personale e senza alcun collaboratore o consulente, senza neppure un fotocopiatore?
Cinque degli incarichi assegnati dalla Mantovani alla società di Colombelli riguardano progetti e studi in provincia di Venezia: un milione e 400 mila euro per progettare campagne di comunicazione necessarie a promuovere gli interventi di salvaguardia della laguna di Venezia; più di un milione per realizzare uno studio relativo alla progettazione del nuovo terminal Ro-Ro (containers) di Fusina; un altro milione di euro per progetto, piano di montaggi e ricerca fornitori per le opere alle bocche di porto di Treporti e Malamocco a Venezia; 750mila euro per la valorizzazione dell’immobile che ospita il mercato ortofrutticolo di Mestre; 500mila euro per uno studio di delocalizzazione della nuova sede della società Mantovani a Marghera; quasi un milione e 600mila euro per l’attività di mediazione necessaria a reperire un fornitore specializzato di palancole (fu indicato lo stesso che già riforniva Mantovani, peraltro ad un prezzo inferiore).
Alla Bmc furono affidati anche studio e progettazione del terminal merci al largo della costa di Porto Levante, nel Polesine (900mila euro); la progettazione del prolungamento dell’autostrada A27 da Pian di Vedoia a Pieve di Cadore (600mila euro); studio e progettazione di complanari alla A4 nel tratto peschiera del Garda-Busa di Vigonza (900mila euro); consulenza tecnica per il piano del traffico denominato via Maestra-Gra a Padova (300 mila euro).
Tutto falso, sostiene il pm Stefano Ancilotto. A fronte del pagamento di somme ingenti sarebbero stati prodotti materiali scopiazzati o studi realizzati contestualmente da altri soggetti (e a loro già pagati).
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Scaramuzza contesta le somme esorbitanti corrisposte alla Bmc Broker a fronte di servizi realmente resi che costavano «un decimo rispetto alla fattura per operazione inesistente emessa». E rileva «la falsificazione della documentazione»: alla Finanza, infatti, sono stati prodotti documenti fotocopiati. Solo successivamente sono emersi gli originali «redatti dai reali fornitori del servizio, dal contenuto identico a quello presentato negli elaborati della Bmc Broker».

 

Il gip di San Marino: somme esorbitanti, pari a dieci volte il valore reale

tutte le consulenze false di Bmc

I documenti erano progetti realizzati da altri e scopiazzati

MINUTILLO «Faceva tutto la Mantovani, mi limitavo ad eseguire gli ordini altrui»

Baita, adesso si cerca la talpa di alto livello

Altri due testimoni stanno collaborando con la Procura di Venezia fornendo elementi utili all’inchiesta sulle presunte false fatturazioni milionarie contestate al presidente della società di costruzioni Mantovani spa, Piergiorgio Baita, al responsabile amministrativo Nicolò Buson, all’amministratore delegato di Adria Infrastrutture (ed ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan), Claudia Minutillo, e al presidente di Bmc Broker di San Marino, William Ambrogio Colombelli.
Dopo gli arresti eseguiti giovedì mattina, ha preso il via una serie di interrogatori negli uffici della Guardia di Finanza di Mestre e almeno due di essi avrebbero avuto un esito definito interessante. Gli investigatori hanno anche iniziato ad analizzare l’enorme mole di documentazione sequestrata nel corso delle perquisizioni: tra le varie carte rinvenuta in alcune abitazioni vi sarebbe documentazione esterna alle contabilità aziendali dalla quale potrebbero arrivare importanti conferma alle ipotesi d’accusa.
LE ALTE “SFERE” – Nel frattempo la Procura sta proseguendo gli accertamenti sulle fughe di notizie che sembrano aver caratterizzato le indagini. La segretaria di Colombelli ha riferito di aver saputo che vi sarebbero stati tentativi da parte dei vertici della Mantovani di «agganciare militari che operavano all’interno della Guardia di Finanza» e, successivamente, da alcune intercettazioni è emerso che Baita era a conoscenza di alcuni particolari dell’inchiesta contenuti in un verbale di cui esistevano due sole copie, nelle mani di Procura e Fiamme Gialle. Il presidente della Mantovani vanta conoscenze ad altissimi livelli, probabilmente anche ministeriali, e gli inquirenti stanno cercando di capire se vi siano stati contatti nelle “alte sfere” per ottenere informazioni sullo stato delle indagini (iniziate più di un anno fa da una normale verifica fiscale di cui i vertici aziendali erano ovviamente a conoscenza) e magari per fare pressioni.
IL CAPO È BAITA – Nelle oltre duecento pagine di ordinanza di custodia cautelare, il gip Alberto Scaramuzza scrive che vi sarebbe stata una vera e propria associazione per delinquere con a capo Baita, definito ideatore di un sistema «smascherato solo grazie ad investigazioni tecniche approfondite e alle indagini svolte all’estero per rogatoria». Le misure cautelari in carcere vengono motivate con il pericolo di reiterazione di reati dello stesso tipo. Il giudice rileva, infatti, che nonostante gli indagati sapessero di essere sotto inchiesta, «il sistema posto in essere appare ancora pienamente operante come dimostra la conversazione tra Baita e Colombelli in cui si discute di come assegnare un nuovo ruolo alla Bmc Broker». Ma non solo: nella stessa conversazione Baita «afferma di possedere già altre società che per lui svolgerebbero il ruolo di cartiere».
«DISTRUGGI TUTTO» – Secondo il gip, inoltre, vi è anche il rischio concreto di inquinamento delle prove, come dimostrerebbero i numerosi colloqui dai quali risulta che Baita e Colombelli stavano concordando la versione da fornire alle Fiamme Gialle nell’ambito della verifica fiscale in corso alla Mantovani. «Gli indagati, in accordo tra loro, hanno fotocopiato centinaia di pagine, le hanno riprotocollate, le hanno fascicolate e presentate alla Gdf di Padova e all’autorità sammarinese» nel tentativo di occultare gli illeciti commessi, si legge nell’ordinanza. Colombelli, inoltre, avrebbe dato disposizione di distruggere tutta la possibile documentazione contabile della sua società.
Tra le prove raccolte dal pm Stefano Ancilotto vi sono una serie di e-mail rinvenute nel computer dell’ufficio di Baita, nonché alcune registrazioni effettuate di nascosto da Colombelli che si è auto-intercettato in alcuni colloqui con Baita e Minutillo, probabilmente per custodire materiale da utilizzare contro di loro nel caso di necessità. Quando Baita venne a sapere dell’esistenza di quelle registrazioni (sequestrate nel maggio del 2012 durante una perquisizione per acquisire documentazione della Bmc Broker) non riuscì a nascondere lo stupore e il disappunto: «Quel materiale non avrebbe dovuto esserci… questa non me la dovevi fare…»

Gianluca Amadori

 

Consigliere comunale scrive alla Bei e a Grilli «Aprite un’indagine»

VENEZIA – Il consigliere comunale di Venezia della lista “In Comune”, Beppe Caccia, ha deciso di scrivere al presidente della Banca Europea degli Investimenti (Bei); al suo Ispettore generale e per conoscenza al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e al magistrato Stefano Ancillotto, che sta conducendo l’indagine sulla frode fiscale che ha portato in carcere l’imprenditore Piergiorgio Baita. Caccia nella sua lettera segnala il caso a livello internazione prendendo spunto dalle erogazioni di denaro compiute negli anni dalla Bei al Consorzio Venezia Nuova per la realizzazione del Mose. «Ci sono procedure chiarissime per presunti casi di “corruzione e frode” ben chiariti dalla legislazione che regola i rapporti di finanziamento concessi dalla Bei – scrive Caccia alla Banca Europea – presento formale richiesta di apertura di un’inchiesta da parte del vostro Ispettorato Generale». Nel frattempo scende in campo anche il consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Antonio Pipitone, che chiede la convocazione per martedì prossimo, di un consiglio regionale ad hoc sulla vicenda Baita.

 

IN REGIONE VENETO

PRESA DI DISTANZE – Il presidente regionale scava un fossato con l’era Galan

Zaia: commissione d’inchiesta sui rapporti con la Mantovani

Il governatore: «Deve essere chiaro che le indagini riguardano solo fatti accaduti durante la precedente amministrazione»

Le reciproche prese di distanza, tra Zaia e Galan, non sono certo di questi giorni. Ma dopo l’esplodere dell’inchiesta sulla Mantovani Spa, che ha portato in galera il presidente del colosso delle costruzioni che nel Veneto del doge Giancarlo la faceva da padrone, tra se stesso e l’era Galan ormai Zaia sta scavando un fosso che pare il Grand Canyon.
Difficile dargli torto: l’inchiesta investirà in pieno anche la Regione, perché le presunte false consulenze pagate ad una società costituita ad hoc a San Marino potrebbero aver generato una provvista in nero il cui utilizzo, sospettano gli inquirenti, non poteva che essere illecito.
Sta di fatto che ieri il governatore Luca Zaia ha preso in mano la ramazza, come fece Maroni con gli scandali della vecchia Lega, e ha annunciato che l’attuale governo regionale non starà certo alla finestra: «Martedì costituiremo in Regione una commissione d’inchiesta sui fatti e le vicende relative all’inchiesta della magistratura sulla Mantovani», ha detto il presidente.
«La commissione d’inchiesta – ha proseguito Zaia – opererà in strettissima collaborazione con la magistratura inquirente». E la Regione è pronta, prontissima a costituirsi parte civile. Sulle indagini, Zaia ha precisato di non avere «notizie ufficiali» ma si è schierato a prescindere: «Ho la massima fiducia nella magistratura e ovviamente la mia amministrazione ha solo interesse che vi sia trasparenza fino in fondo». La scelta di Zaia e dell’attuale giunta regionale guarda lontano: anche in assenza di «notizie ufficiali» è chiaro a tutti che la tempesta sta arrivando e i veneti debbono sapere che la giunta Zaia non c’entra: «Deve essere chiaro che l’inchiesta non riguarda fatti accaduti durante l’attuale amministrazione – ha scandito ieri Zaia – bensì durante l’amministrazione precedente». Cioè durante il dogado di Galan.
Ma la presa di distanze di Zaia dal suo predecessore è radicale, e riguarda anche il “sistema Galan” cioè la scelta del project financing come mezzo privilegiato per finanziare le grandi opere in Veneto: quel project financing che – il grande pubblico lo ha appreso soltanto adesso – era stato “insegnato”, proposto, sollecitato a Galan dallo stesso presidente della Mantovani, che poi realizzava le opere.
E forse fa un po’ male a Galan che il Pdl sia allineato con Zaia: «Bisogna aprire tutti i cassetti: trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza, non possiamo permetterci il dubbio che in Regione siano finite tangenti» è la musica anche ieri intonata dal vice di Zaia, il pdl Marino Zorzato. Il quale fu fino al 2004 presidente di Veneto Strade, società controllata dalla Regione e perquisita dalla Finanza nell’ambito dell’inchiesta Mantovani. La presa di distanze dall’era Galan è oggi vitale per tutta la giunta Zaia, e il Gran Canyon resterà anche se alla fine la magistratura dovesse rilasciare tutti gli arrestati con tante scuse.

Alvise Fontanella

 

BUFERA SULLA MANTOVANI – Consulenze fittizie per 5 milioni su interventi a Mestre e Venezia

Baita, spuntano altri testimoni

Sulle false fatturazioni due persone stanno collaborando con la Procura. Zaia ordina un’inchiesta in Regione

SALVAGUARDIA

Foto e cose riciclate per la comunicazione

Anche uno studio per de localizzare a Marghera la sede della Mantovani

OPERAZIONE “CHALET”

In carcere Baita e l’ex segretaria di Galan

Frode fiscale milionaria, fondi neri e, sullo sfondo, l’ombra delle tangenti. Un uragano che ha sconvolto la laguna. Non si può definire altrimenti l’arresto di Piergiorgio Baita, 64 anni, patron del Gruppo Mantovani (Serenissima Holding), colosso delle costruzioni, con interessi diretti in una quarantina fra imprese e consorzi, capofila nei lavori di costruzione del Mose, capocordata nell’appalto da 160 milioni per la realizzazione della piastra espositiva di Expo Milano 2015, già impegnato nel Passante e nell’ospedale di Mestre. L’accusa è di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale, il reato contestato a fronte dell’accertamento di almeno 20 milioni di euro sottratti prima all’erario e poi all’economia legale, una somma enorme, ridotta a dieci per effetto della prescrizione. Con lui sono finiti in manette Claudia Minutillo, 49 anni, ex segretaria di Giancarlo Galan al tempo in cui era Governatore del Veneto, e ora Ad di Adria Infrastrutture spa (di cui Baita è vice presidente), William Colombelli, 49 anni, bergamasco, sedicente console onorario di San Marino dove ha sede la sua Bmc Broker srl, e il padovano Nicolò Buson, 56 anni, responsabile amministrativo della Mantovani spa.
A firmare le ordinanze di custodia cautelare, tutte eseguite, il gip Michele Scaramuzza che in 200 pagine ricostruisce la girandola di fatture fasulle che aveva un duplice scopo: abbattere l’utile su cui pagare le imposte e creare un deposito segreto di contanti.
Ci sarebbero altre 15 persone indagate per favoreggiamento, quasi tutti imprenditori, veneti ed emiliani, eccetto il vice questore aggiunto di Bologna, Giovanni Preziosa, finito nei guai per abuso di accesso al sistema informatico, perché avrebbe fornito indicazioni sullo stato delle indagini. Sequestri preventivi per 8 milioni di euro in totale.

 

“Patacche” da 5 milioni per interventi in città

Cinque incarichi fittizi per consulenze e studi fasulli o per campagne informative commissionati dalla Mantovani alla Bmc Broker per lavori su Mestre e Venezia

FUSINA – Alla società di Colombelli 1.050.000 euro per un progetto che fu in realtà realizzato da altri

Un milione e 400 mila euro per progettare campagne di comunicazione necessarie a promuovere gli interventi di salvaguardia della laguna di Venezia; più di un milione per realizzare uno studio relativo alla progettazione del nuovo terminal Ro-Ro (containers) di Fusina; un altro milione di euro per progetto, piano di montaggi e ricerca fornitori per le opere alle bocche di porto di Treporti e Malamocco; 750mila euro per la valorizzazione di un compendio immobiliare in via Torino; 500mila euro per uno studio di delocalizzazione della nuova sede della società Mantovani a Marghera.
Riguardano interventi da realizzare in provincia di Venezia 5 degli 11 incarichi che la Mantovani assegnò, tra il 2005 e il 2010, alla società Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli, con sede a San Marino. Incarichi che, secondo il pm Stefano Ancilotto sarebbero stati del tutto fittizi, finalizzati a creare un giro di false fatturazioni attraverso le quali la Mantovani avrebbe creato una consistente “provvista” di risorse in “nero”.
SALVAGUARDIA – A fronte del pagamento di 1.4 milioni di euro in due anni, la Bmc Broker avrebbe trasmesso alla Mantovani soltanto «qualche decina di fotografie e brevi spezzoni di cose pubblicate sul sito del Consorzio Venezia Nuova», scrive il pm Ancilotto nella richiesta di ordinanza di custodia cautelare per Colombelli, Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e Nicolò Buson. Il gip Alberto Scaramuzza si domanda per quale Motivo la Mantovani avrebbe dovuto incaricare la Bmc di occuparsi dell’attività di comunicazione se aveva già versato oltre 600mila euro al Consorzio Venezia nuova nello stesso biennio per contibuire alle spese pubblicitarie-informative sui lavori di salvaguardia. Finalità per la quale il Venezia Nuova ha stanziato quasi 1.2 milioni di euro nel 2005 e poco meno di 1.5 milioni nel 2006. L’architetto Faccili, incaricata di coordinare l’intera campagna informativa del Consorzio ha dichiarato alla Finanza di non aver mai incontrato nessuno della Bmc Broker.
FUSINA – La società sanmarinese di Colombelli ha fatturato un milione e 50mila euro in due anni (2005-2006) per realizzare un progetto per la piattaforma logistica di Fusina, nell’area ex Alumix. Gli inquirenti ritengono che in realtà tale progetto non sia stato realizzato da Bmc Broker: da un lato perché parte della documentazione risulterebbe essere stata inserita successivamente; in secondo luogo perché parte dell’attività fu svolta e fatturata da un altro soggetto, lo Studio Cortellazzo & Soatto, che in particolare si occupò del piano economico finanziario per poco più di 50mila euro. Il progetto per il terminal fu successivamente presentato dalla società Thetis (non dalla Mantovani) all’Autorità portuale, la quale lo individuò come il migliore. E a Thetis nessuno ha mai sentito parlare di Bmc Broker.

 

INTERROGATA – Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, è stata l’unica a parlare finora, scaricando tutto sulla Mantovani.

Gli incontri all’autogrill di Marghera

Era uno dei luoghi in cui Baita e il sammarinese Colombelli si vedevano per parlare dei loro affari

Tra i luoghi scelti per gli incontri c’è anche la rotonda di Marghera. È proprio all’autogrill che si trova nello snodo della tangenziale che Piergiorgio Baita e William Ambrogio Colombelli si davano appuntamento. Il primo giungeva dai suoi cantieri veneziani, l’altro da San Marino dove ha sede la Bmc Broker, la ditta al centro delle indagini. Cosa i due si scambiassero è al vaglio degli inquirenti che dopo pedinamenti e intercettazioni hanno riscontrato come l’autogrill della rotonda di Marghera fosse uno dei loro luoghi preferiti. Anche se non era il solo.
È appurato anche che Baita sapeva ormai di avere i militari della Guardia di Finanza addosso. «Lo si è capito dalla reazione che ha avuto quando ci siamo presentati alla sua abitazione – dice il colonnello Renzo Nisi che ha condotto l’indagine – non ha stentato a capire cosa stesse succedendo e sapeva cosa c’era in ballo». Certo forse non si aspettava di essere arrestato e condotto in carcere. Quindi c’era una talpa, qualcuno che teneva informato il presidente della Mantovani sull’indagine della Guardia di Finanza. «Sicuramente hanno avuto un uccellino – spiega il colonnello Nisi – poco conta se porti una divisa piuttosto che un’altra. Dal momento che hanno saputo che la verifica prendeva la piega di San Marino hanno iniziato a guardarsi attorno, ad essere più attenti». Non a caso tra gli indagati ci sarebbe anche un vice-questore di Bologna che aveva sbirciato l’inchiesta che le Fiamme Gialle stavano conducendo. Ma gli inquirenti sono anche convinti che si tratti di millantatori che sapevano poco. «Ci siamo resi conto di quanto stava succedendo – prosegue il comandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia – e proprio per questo abbiamo realizzato che dovevamo blindare ancora di più la cosa».
Ora è la volta degli interrogatori di garanzia, Claudia Minutillo ha già cercato di chiamarsi fuori, William Ambrogio Colombelli non ha parlato e domani toccherà a Piergiorgio Baita e Nicolò Buson. E anche se dagli interrogatori di garanzia non dovesse uscire nulla di interessante, cosa probabile, gli inquirenti sono convinti che dopo qualche giorno di stagnazione almeno uno dei quattro parli.

Raffaella Ianuale

 

LETTERA-DENUNCIA

Caccia scrive alla Banca europea

«Inchiesta sui fondi per il Mose»

Dossier alla Bei dopo il coinvolgimento del Consorzio Venezia Nuova nel caso Baita. Intanto Zaia annuncia una commissione d’inchiesta

Questa volta l’appello è rivolto direttamente all’Europa. E per farlo, il consigliere comunale della lista “In Comune”, Beppe Caccia, ha deciso di scrivere direttamente al presidente della Banca Europea degli Investimenti (Bei); al suo Ispettore generale e per conoscenza al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e al magistrato Stefano Ancillotto, lo stesso che sta conducendo l’indagine sulla frode fiscale che ha portato in carcere l’imprenditore Piergiorgio Baita. Caccia nella sua lettera non va tanto per il sottile segnalando il caso a livello internazione e soprattutto prendendo spunto dalle erogazioni di denaro compiute negli anni dalla Bei al Consorzio Venezia Nuova per la realizzazione del Mose. Cifre da capogiro basti pensare che solo il 12 febbraio scorso, la Banca europea ha staccato un assegno di 500 milioni di euro proprio per il Mose. «Ma così come ci sono chiare erogazioni di denaro – sottolinea nella sua lettera ai vertici della Bei – ci sono anche procedure chiarissime per presunti casi di “corruzione e frode” ben chiariti dalla legislazione che regola i rapporti di finanziamento concessi dalla Bei. Considerato quanto sta accadendo da noi in questi giorni, vi è il fondato sospetto che i fondi concessi possano essere poi destinati a finalità corruttive con la concreta possibilità che tra le risorse distratte e destinate ad attività illegali vi sia anche parte dei prestiti già deliberati ed erogati dalla Bei». Insomma, un attacco a 360 gradi. «In considerazione delle norme stabilite dalla stessa Bei in caso di corruzione o frode – scrive ancora Caccia alla Banca Europea – presento formale richiesta di apertura di un’inchiesta da parte del vostro Ispettorato Generale. Tutte le informazioni possono peraltro essere acquisite alla Procura della Repubblica di Venezia». E mentre Caccia lancia la sua battaglia a livello continentale, il governatore del Veneto, Luca Zaia ha annunciato ieri che martedì verrà costituita una commissione d’inchiesta sui fatti e le vicende relative al caso Baita e le sue ripercussioni su alcune società della Regione. Nel frattempo scende in campo anche il consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Antonio Pipitone che, sempre al governatore Zaia, chiede la convocazione per martedì prossimo, anche di un consiglio regionale ad hoc sulla vicenda Baita. «Vista la gravità della situazione – dice l’esponente Idv – appare non solo auspicabile, ma obbligatorio il confronto in aula. Vogliamo sapere subito che cosa sta succedendo».

 

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