Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

Nuova Venezia – Mose, per Chisso confisca di 2 milioni

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

29

nov

2014

Tangenti, l’ex assessore dovrà pagare due milioni che però non ha

Chisso e Casarin patteggiano

Scandalo Mose, patteggiano Renato Chisso (2 anni e 6 mesi), Federico Sutto (2 anni) ed Enzo Casarin (1 anno e 8 mesi). A Chisso saranno sequestrati 2 milioni di euro se, però, saranno trovati. Per ora ha solo 1500 euro.

Ok al patteggiamento: pena pecuniaria se si troveranno i soldi delle ipotizzate tangenti. Sutto e  Casarin, sì all’accordo accusa-difesa

Mose, per Chisso confisca di 2 milioni

VENEZIA – Quella di ieri è stata la giornata dei patteggiamenti degli ex socialisti poi passati a Forza Italia e, per di più, legati tra loro da una solida amicizia, tanto che hanno ritenuto di non riferire agli inquirenti nulla uno dell’altro. Bocca chiusa e solidarietà. I

l giudice dell’udienza preliminare di Venezia Massimo Vicinanza, lo stesso che aveva detto di no all’accordo tra difesa e accusa per i 4 mesi nei confronti dell’ex sindaco Giorgio Orsoni, ha ritenuta congrua la pena di due anni e sei mesi di reclusione nei confronti dell’ex assessore regionale alle Infrastrutture delle giunte Galan e Zaia Renato Chisso. Il magistrato ha però disposto, sulla scorta delle indagini della Guardia di finanza che aveva ricostruito pagamenti a suo favore di mazzette per sei milioni di euro (alcuni finiti nelle sue tasche, altri in quelle di Galan), l’eventuale confisca per il valore di due milioni qualora anche in futuro venissero rinvenuti somme di denaro o proprietà che a lui possano far riferimento.

L’accordo presentato al giudice era stato sottoscritto dall’avvocato difensore Antonio Forza e dai pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Ieri, era presente anche il procuratore aggiunto Carlo Nordio.

Oltre a Chisso, il giudice Vicinanza ha letto le sentenze di patteggiamento che riguardano anche il segretario dell’ex assessore, il veneziano Enzo Casarin, e il braccio destro dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, il trevigiano Federico Sutto, entrambi un tempo quando militavano nel Psi sindaci di due piccoli centri veneti, il primo di Martellago, il secondo di Zero Branco. Casarin, difeso dall’avvocato Carmela Parziale, ha raggiunto l’accordo per un anno e otto mesi e la confisca di 115 mila euro, mentre Sutto, difeso dall’avvocato Gianni Morrone, per due anni e 125 mila euro.

Chisso è l’unico dei numerosi indagati nell’inchiesta per la corruzione per il Mose al quale le «fiamme gialle» non hanno potuto sequestrare granchè (1500 euro dal conto corrente in banca), visto che la villetta di Favaro dove abita non possono portargliela via.

Gli inquirenti sono convinti che in qualche modo l’assessore buona parte dei soldi intascati con le tangenti li abbia nascosti all’estero, così i pubblici ministeri hanno chiesto alle autorità svizzere, austriache, moldave, ucraine, croate e slovene di cercare nelle rispettive banche conti intestati a lui o ai parenti.

Per ora, nessuna risposta è arrivata e così il giudice ha confiscato comunque, senza ancora sapere quello e soprattutto se qualcosa verrà trovato.

Dopo la lettura della sentenza, soddisfazione è stata espressa dal procuratore aggiunto Carlo Nordio . In particolare è stato ricordato che con questa fase si chiude solo una parte del «notevole lavoro fatto», perché «ora si avvia la fase della chiusura delle indagini per andare ai processi di quanti non hanno patteggiato o hanno visto il loro patteggiamento respinto». Il riferimento è all’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (finito per un periodo ai domiciliari) indagato per finanziamento illecito dei partiti per una dazione del Consorzio per la campagna elettorale del 2010.

La Procura ha espresso anche soddisfazione «perché proprio ieri la Corte di Cassazione, alla luce di un ricorso presentato da uno dei difensori degli imputati, non solo lo ha respinto ma ha allargato il proprio giudizio sull’indagine riconoscendo al 100% il lavoro svolto dal pool e respingendo quella minima parte che il Tribunale del riesame non aveva accolto». In pratica i giudici veneziani avevano fatto scattare la prescrizione per i reati commessi prima del 2008 anche se i fatti delittuosi erano proseguiti anche negli anni seguenti .

Giorgio Cecchetti

 

La Cassazione: scarcerare subito Milanese

Marco Milanese, l’ ex consigliere politico di Giulio Tremonti ed ex parlamentare di Forza Italia oltre che ex ufficiale della Guardia di finanza, deve essere immediatamente scarcerato nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti per il Mose. Lo ha deciso ieri la Cassazione riqualificando a carico di Milanese, difeso dagli avvocati Bruno Larosa e Franco Coppi, l’accusa di corruzione in quella meno grave di traffico di influenze illecite. In particolare, la Sesta sezione penale della Cassazione – presidente Antonio Agrò, relatore Tito Garribba – nei confronti di Milanese, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), ha «riqualificato il fatto come reato previsto dall’articolo 346 bis codice penale e annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata nonchè quella del 20 luglio scorso del gip del tribunale di Milano e ordina l’immediata scarcerazione del Milanese se non detenuto per altra causa». L’ordinanza impugnata – era stata emessa lo scorso quattro agosto dal tribunale della libertà di Milano a conferma di quella del gip. Il filone di inchiesta è quello veneziano relativo alle tangenti per il Mose e la competenza, per Milanese, era passata a Milano perchè Giovanni Mazzacurati aveva riferito di aver consegnato al’ex parlamentare azzurro 500 mila euro per influire sul ministro Tremonti in modo che il Cipe sbloccasse i fondi a favore del Consorzio per i lavori del Mose, circostanza poi verificatasi. La tangente era stata consegnata a Milano.

 

Sequestrati negli uffici del Consorzio Venezia Nuova gli elenchi delle imprese coinvolte nei lavori

Bonifiche di Marano, appalti al setaccio

MARANO LAGUNARE – Chi e come si è aggiudicato gli appalti per la progettazione e la realizzazione delle opere di bonifica nella laguna di Marano e Grado e in quella di Venezia? È quanto intende chiarire la Procura di Roma, ora che gli interrogatori di tutti o quasi i 26 indagati nell’ambito della maxi-inchiesta sulla finta emergenza ambientale e sull’attività dei Commissari delegati sono terminati e che gli accertamenti per fare luce sull’utilizzo di decine di milioni di euro di finanziamenti pubblici sono riprese con rinnovato smalto. Per farlo, mercoledì il pm capitolino Alberto Galanti ha mandato i carabinieri della Compagnia di Cividale nella sede del Consorzio Venezia Nuova. Sotto sequestro, per ora, gli elenchi delle società che hanno partecipato alla “spartizione” delle opere. Carabinieri friulani all’Arsenale. L’ordine di scuderia è evidente: fare incetta di tutta la documentazione utile a ricostruire il giro d’affari che per anni ha sorretto quello che si ritiene essere stato un vero e proprio sistema clientelare. Una “cricca” centrata sulla figura dominante di Gianfranco Mascazzini, allora direttore centrale del ministero dell’Ambiente, basata su una fitta rete di collusioni e alimentata dai fiumi di denaro erogati dal governo per far fronte a uno stato di inquinamento inventato a bella posta. Il Consorzio Venezia Nuova e il nome del suo ex presidente, Giovanni Mazzacurati, erano entrati ufficialmente nell’inchiesta dopo il trasferimento dei faldoni dalla Procura di Udine a quella di Roma, in marzo (gli atti erano stati trasmessi per competenza territoriale, sulla principale ipotesi di reato dell’associazione a delinquere in ambienti ministeriali). Ed è proprio lì, negli uffici all’interno dell’area dell’Arsenale, che gli inquirenti contano adesso di trovare traccia delle operazioni che permisero a Mascazzini e alla sua cerchia di “amici” di dirottare a proprio piacimento i fondi statali (oltre cento milioni di euro per la sola parte friulana). Una catena di sospetti. La perquisizione è stata ordinata all’esito degli interrogatori. Il che la dice lunga sugli ulteriori elementi raccolti dagli investigatori nei faccia a faccia con alcuni degli attuali indagati. Ammissioni o, più semplicemente, indicazioni preziose, per estendere il raggio d’azione delle indagini e puntare il faro su possibili altri indagati. Negli elenchi, sono già stati trovati i nominativi di società finora estranee all’indagine, oltre alla “Thetis srl” di Venezia, alla cooperativa “Nautilus” di Vibo Valentia, allo studio “Altieri spa” di Thiene e alla “Sogesid” di Roma (srl in house del ministero all’Ambiente), i cui presidenti o rappresentanti legali figurano già sotto inchiesta. La settimana prossima, intanto, davanti al capitano Pasquale Starace compariranno volti nuovi, in parte friulani e in parte veneti, in qualità di persone informate sui fatti. Molto dipenderà anche dalle carte poste sotto sequestro cautelare. Tra gli aspetti da chiarire, spiccano gli appalti relativi alla realizzazione delle due casse di colmata di Marano – una sorta di discariche per fanghi di dragaggio, progettate e costruite a peso d’oro – e il trucchetto delle “transazioni ambientali”, ossia di uno strumento per rastrellare fondi dalle imprese che intendevano costruire sulle aree comprese nel Sin di Porto Marghera. Le accuse. Oltre a Mascazzini e Mazzacurati, nell’inchiesta sono indagati tra gli altri i tre ex commissari delegati Paolo Ciani (2002-2006) e Gianfranco Moretton (2006-2009), entrambi ex vice presidenti della Regione rispettivamente di centrodestra e centrosinistra, e il tecnico Gianni Menchini (2009-2012). Per tutti, l’ipotesi è l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa e, a vario titolo, in alcuni casi all’abuso d’ufficio e alla concussione.

Luana De Francisco

MOSE – Sì al patteggiamento: due anni e mezzo

Caccia al tesoro di Chisso, il gip confisca due milioni

La vicenda giudiziaria di Renato Chiso, ex assessore regionale alle Infrastrutture, si conclude con il patteggiamento. Ieri il gip ha accolto la proposta della difesa ifliggendo due anni, sei mesi e venti giorni. Il giudice ha anche deciso la confisca di due milioni di euro ma per ora si tratta di un’ipotesi perchè l’uomo politico di Forza Italia, che si trova agli arresti domiciliari, si è sempre dichiarato nullatenente.

 

A MILANO – Milanese torna libero: l’accusa diventa “traffico di influenze”

MOSE L’ex assessore veneto patteggia due anni e 6 mesi. I soldi però non si trovano

Chisso, la pena ora è certa, i 2 milioni da confiscare no

Si chiude con un patteggiamento anche la vicenda giudiziaria dell’ex assessore regionale Renato Chisso. Ieri mattina il gip Vicinanza ha accolto il patteggiamento di due anni sei mesi e 20 giorni, proposto dagli avvocati Antonio Forza e Luigi Stortoni, nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione per i lavori del Mose. Il gip, inoltre, ha fissato una confisca di due milioni di euro per Chisso con l’obiettivo di recuperare le somme illecitamente percepite. Al momento si tratta di un’ipotesi teorica visto che il politico di Forza Italia, che è agli arresti domiciliari, si è sempre dichiarato quasi nullatenente.

Hanno patteggiato la pena anche il suo segretario Enzo Casarin che presto rientrerà in servizio in Regione (un anno e otto mesi e sequestro di 115mila euro, avvocati Forza e Carmela Parziale) e Federico Sutto (due anni e 125mila euro, avvocato Gianni Morrone) braccio destro dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati.

L’avvocato Forza, nel ribadire che il suo assistito è molto provato per questa lunga e delicata vicenda, ha ricordato che all’inizio l’accusa per Chisso era di aver intascato sei milioni e che ora la cifra contestata è decisamente calata. «Si tratta della somma indicata da Claudia Minutillo – ha detto Forza riferendosi alla vicenda di Adria Infrastrutture – dovrebbero chiederla a lei». A luglio il legale si diceva certo che l’ex segretaria di Giancarlo Galan si fosse tenuta 1 milione e 750mila euro. Si tratta della somma che secondo Claudia Minutillo faceva parte della quota di Adria Infrastrutture che Baita (ex presidente della Mantovani) avrebbe deciso di liquidare a Chisso. Operazione che non andò mai in porto e i quattrini restarono nella disponibilità della Minutillo.

In aula ieri c’era anche il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio. «Questi patteggiamenti finali confermano le nostre ipotesi accusatorie. A parte qualche altra vicenda processuale che resta da definire, possiamo dire che l’inchiesta è arrivata proprio alla conclusione. E la Corte di Cassazione ci ha dato ragione su tutta la linea». Il riferimento è alla recente sentenza secondo cui nessuno degli episodi di corruzione del “sistema Mose” è da ritenersi prescritto, trattandosi di un reato permanente messo a segno dai vari indagati.

Per la Procura di Venezia, dunque, la Corte di Cassazione non solo ha respinto un ricorso presentato da un avvocato, ma ha anche allargato il proprio giudizio su tutta l’indagine riconoscendo completamente il lavoro svolto dai magistrati e respingendo quella minima parte che il Riesame aveva invece accolto.

E proprio ieri sempre la Cassazione ha deciso che Marco Milanese, ex consigliere dell’allora ministro Giulio Tremonti, deve essere scarcerato. In questo caso è stata riqualificata l’accusa di corruzione in quella più “leggera” di «traffico di influenze». A Milanese era contestato di aver preso soldi dal Consorzio Venezia Nuova per far sbloccare dei fondi del Cipe.

 

Gazzettino – Mose. Per i corrotti niente prescrizione.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

28

nov

2014

PROCESSO MOSE – La Corte di Cassazione ha depositato la sentenza che conferma il carcere

I reati di Galan e Chisso considerati non episodici ma collegati fra loro

Nessuno degli episodi di corruzione contestati nell’inchiesta sul “sistema Mose” è prescritto. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza, depositate ieri, con cui lo scorso 25 settembre rigettò il ricorso dell’ex assessore regionale Renato Chisso, confermando per lui la misura cautelare in carcere.

Secondo la sesta sezione penale, presieduta da Antonio Agrò, non siamo di fronte a singoli atti di corruzione, ma ad un reato permanente: dall’inchiesta è emerso, infatti, che Chisso – e con lui l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan – erano al soldo del Consorzio Venezia nuova e della società Mantovani, cioè si erano messi a loro disposizione.

Di conseguenza, il termine di prescrizione non va calcolato su ciascuna singola “mazzetta”, bensì partendo dall’ultimo pagamento illecito in ordine di tempo. Ovvero, per l’ex assessore di Forza Italia, dal febbraio del 2013.

Questa sentenza smentisce radicalmente la decisione del Tribunale del Riesame di Venezia, che dichiarò prescritti tutti gli episodi precedenti al 31 maggio del 2008, provocando uno “scossone” all’inchiesta e, con molte probabilità, contribuendo alla scelta dei pm di percorrere al più presto la strada dei patteggiamenti a pene contenute, pur di non correre il rischio di trovarsi con un pugno di mosche in mano. La Cassazione parla di «doppio errore di diritto» da parte dei giudici lagunari.

La sentenza della Suprema Corte è stata depositata alla vigilia dell’udienza nel corso della quale, questa mattina, davanti al gup Massimo Vicinanza, saranno discusse le istanze di patteggiamento presentate da Chisso (2 anni e 6 mesi) e dal suo segretario, Enzo Casarin (1 anno e 8 mesi), nonché dall’ex collaboratore di Giovanni Mazzacurati, Federico Sutto (2 anni).

Dal punto di vista della pena non dovrebbe cambiare nulla, considerato che accusa e difesa hanno già raggiunto un accordo complessivo e che i pm non sembrano intenzionati a chiedere aumenti. Ma l’ammontare delle somme sottoposte a confisca potrebbe lievitare sensibilmente in quanto il prezzo del reato va calcolato anche sui contestati episodi di corruzione precedenti al maggio del 2008.

Galan ha già patteggiato a metà ottobre (2 anni e 10 mesi con la confisca di 2.6 milioni) considerando soltanto i reati successivi al 22 luglio del 2008: cosa succederà per quelli precedenti che, secondo la Suprema Corte non sono prescritti?

Questa mattina il difensore di Chisso, l’avvocato Antonio Forza, contestualmente alla richiesta di patteggiamento (con l’accordo della Procura), chiederà al giudice di valutare preliminarmente la possibilità di assolvere l’ex assessore ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, ovvero per evidente insussistenza dell’accusa. Eventualità che appare piuttosto improbabile, tanto più alla luce della sentenza della Cassazione che riconosce la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Chisso per tutte le accuse che gli vengono rivolte. Anche per quelle più datate.

 

Nuova Venezia – Mose, ultimi patteggiamenti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

28

nov

2014

Oggi atteso il verdetto per l’ex assessore Chisso, Sutto e Casarin

Oggi, davanti al giudice di Venezia Massimo Vicinanza, si chiuderà il capitolo patteggiamenti nell’inchiesta Mose. Sarà il giorno decisivo per l’ex assessore regionale Renato Chisso, Enzo Casarin e Federico Sutto.

Il Gup Vicinanza deve approvare l’accordo per le pene concordato con la Procura

La Cassazione: no al ricorso contro l’arresto dell’ex assessore. E Giordano patteggia

Chisso, Sutto e Casarin oggi all’esame del giudice

VENEZIA – Stamane, davanti al giudice di Venezia Massimo Vicinanza, naturalmente solo se il magistrato riterrà la pena congrua, si chiude il capitolo patteggiamenti per i personaggi eccellenti per la corruzione per il Mose: comparirà infatti in udienza l’ex potente assessore alle Infrastutture della Regione Renato Chisso, che con i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stafano Buccini ha raggiunto l’accordo per chiudere la vicenda con due anni e mezzo di reclusione (arrestato il 4 giugno è ora agli arresti domiciliari: per lui, sarà il giudice a dover stabilire l’ammontare del risarcimento dal momento che la difesa sostiene non abbia beni personali).

Accanto a lui ci saranno il suo braccio destro a palazzo Balbi, Enzo Casarin, ex socialista e come lui passato poi nelle fila del partito di Berlusconi: con la Procura ha raggiunto un accordo per un anno e otto mesi di reclusione e 115 mila euro di risarcimento; infine il braccio destro di Giovanni Mazzacurati al Consorzio Venezia Nuova Federico Sutto, pure lui ex socialista, con un accordo per due anni e 150 mila euro.

Le accuse nei loro confronti sono quelle di essere stato a libro paga del Cvn e della Mantovani per facilitarne le opere (per Chisso) e aver partecipato al sistema corruttivo trasportando e consegnando mazzette (Casarin e Sutto).

All’ultimo si è aggiuto, tra coloro che vogliono chiudere la vicenda con un patteggiamento, il consulente fiscale del Consorzio, il veneziano Francesco Giordano, per il quale i rappresentanti dell’accusa hanno firmato un accordo per un anno di reclusione e 40 mila euro di risarcimento.

Anche Giordano era stato arrestato il 4 giugno dalla Guardia di finanza con l’accusa di aver ideato il sistema per far evadere le imposte al Coveco e al Consorzio per quanto riguarda una consulenza da 185 mila euro. L’udienza per Giordano sarà fissata prossimamente.

Nelle prossime settimane i pubblici ministeri dovrebbero depositare gli atti di conclusione dell’indagine prima di chiederne il processo per un’altra decisa di indagati, tra cui ci sono l’ex sindaco Giorgio Orsoni, l’ex europarlamentare vicentina Lia Sartori e l’ex presidente del Magistrati alle acque Giovanna Piva. Intanto, la Corte di cassazione ha depositato le motivazione con le quali aveva respinto due mesi fa il ricorso del difensore di Chisso contro l’ordinanza del Tribunale del riesame lagunare a causa della quale l’ex assessore aveva dovuto restare in carcere.

I giudici romani scrivono che tra i rappresentanti del Consorzio e i vertici dell’amministrazione regionale c’era un patto corruttivo con il quale i pubblici amministratori si impegnavano a far passare in favore del Consorzio tutti i provvedimenti previsti per la realizzazione del Mose.

La Cassazione conferma l’impianto accusatorio della Procura veneziana secondo il quale Chisso era nel libro paga del Consorzio dal quale riceveva 200 mila euro l’anno. La Cassazione ritiene attendibili le dichiarazioni di Mazzacurati, di Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo e ritiene che le accuse non possano essere smentite dal fatto che non è stato trovato il patrimonio personale di Chisso, visto che le somme potrebbero essere all’estero.

Infine, i giudici romani, per quanto riguarda la prescrizione, ritengono che debba scattare dall’ultimo pagamento incassato trattandosi di illeciti intervenuti nel tempo in un unico reato permanente di corruzione. E l’ultimo risale al primi mesi del 2013.

Giorgio Cecchetti

 

Gazzettino – Mose. Consorzio avanti con due commissari

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

20

nov

2014

MOSE – Si attende la decisione dell’Anac e del prefetto di Roma. Potrebbero essere due tecnici

L’ipotesi è ancora allo studio. Ma sul tavolo del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro pare che ormai il progetto stia piano piano prendendo piede. Con ogni probabilità, non ci sarà un solo commissario, ma due. Pare questa l’ipotesi più accreditata per il “trasferimento di poteri” dall’attuale governance del Consorzio Venezia Nuova a quella nuova sorta dopo il diktat di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. La scelta di due commissari anzichè uno solo, ma neanche fino ad un massimo di tre, come prevede il decreto 90, sarebbe dovuta alla volontà di Cantone e Pecoraro di distinguere le attività del Consorzio Venezia Nuova che, proprio per la loro ampiezza e diversità di argomenti, rischierebbe di ingolfare l’attività di un solo commissario. Quindi, proprio nell’ambito delle numerose competenze, ma anche dell’ampiezza delle opere e delle sfaccettature (amministrative, burocratiche, operative ed ingegneristiche) con le relative competenze necessarie, si sarebbe giunti alla decisione di scegliere una sorta di “coppia al comando”, dove ognuno dei rappresentanti possa avere competenze specifiche e adeguate.

L’identikit potrebbe essere più o meno questo: da una parte, un tecnico di area per le questioni idrauliche (un esperto di settore, ma anche un professore universitario con competenze specifiche); e dall’altra, un funzionario statale che in qualche modo possa (e debba) destreggiarsi nei meandri della pubblica amministrazione ma anche nei rapporti con le numerose imprese della galassia del Consorzio Venezia Nuova e dell’indotto. Insomma, una sorta di “prefetto” in grado di gestire la parte pubblica e/o politica, un po’ sulla falsariga di quello che sta accadendo a Ca’ Farsetti con il commissario prefettizio.

Intanto, proprio la complessità dell’operazione – sostanzialmente la prima nel suo genere – trova la completa disponibilità dell’attuale staff del Cvn che, già nelle scorse settimane, aveva fatto capire che, puntando sul fattore discontinuità rispetto alla gestione Mazzacurati, aveva dimostrato fin da subito la massima collaborazione.

 

SCANDALO MOSE, IL “COMUNE SENTIRE”

Non sono un avvocato e quindi la domanda che pongo può essere ingenua. Ho letto le motivazioni della sentenza a carico di Giancarlo Galan (“Galan, corruzione provata e pena giusta”, così il Gazzettino di martedì 18) e apprendo che la congruità della pena deriva dall’”incensuratezza dell’imputato e l’aver atteso in Italia l’autorizzazione della Camera dei Deputati anziché riparare all’estero”.

Quindi, se ho capito bene, se una persona compie un reato di questa portata ma è la prima volta che lo compie e non scappa, può contare su almeno due opportunità: prima volta che delinque e mancata fuga, senza contare, come terza opportunità, la possibile prescrizione grazie all’elasticità della nostra giustizia.

Mi domando: ma il reato lo ha commesso o no? E se l’ha commesso perché non viene perseguito anche se non scappa?

Evidentemente non è così perché, secondo la dottoressa Galasso “l’adeguatezza della pena va stimata non certo in base a quello che potrebbe essere il comune sentire”.

Sarà anche giusto così, ma soprattutto per reati di questa portata non riesco a liberarmi dal “comune sentire”.

Renato Pestriniero – Venezia

 

Dal 3 giugno il deputato forzista non presiede la commissione Cultura

Se metterà insieme 2,6 milioni, potrà salvare anche villa Rodella a Cinto

VENEZIA – Era martedì 3 giugno 2014 quando l’onorevole Giancarlo Galan, esponente di Forza Italia, presiedeva per l’ultima volta la seduta della settima commissione di Montecitorio (Cultura, scienza e istruzione). All’ordine del giorno l’audizione di tre esperti chiamati a relazionare sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica. L’indomani si sarebbe scatenato il ciclone Mose e da allora il presidente della commissione Cultura avrebbe dovuto disertare le austere aule dei Palazzi della Politica. «Nel dichiararmi totalmente estraneo alle accuse che mi sono mosse», disse a caldo l’esponente forzista, «accuse che si appalesano del tutto generiche e inverosimili, mi riprometto di difendermi a tutto campo nelle sedi opportune, con la serenità ed il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita».

Come poi sia andata, è noto. Il 16 ottobre la presidente della sezione Gup di Venezia ha accolto la richiesta di patteggiamento dell’ex ministro delle Politiche agricole e dei Beni culturali, applicando due anni e dieci mesi di reclusione.

«L’adeguatezza della pena», ha scritto il giudice Giuliana Galasso, «va stimata non certo in base a quello che potrebbe essere il comune sentire, ma in relazione alle scelte legislative che, nel determinare il minomo e il massimo della pena edittale per ogni fattispecie criminosa, ha delimitato il campo in cui il giudice deve esercitare la propria discrezionalità».

Il ricorso per Cassazione annunciato dagli avvocati di Galan, Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, consentirà però di dilazionare il passaggio in giudicato della sentenza e, di conseguenza la sua esecuzione. Pertanto l’ex governatore veneto potrà conservare il suo posto di parlamentare (e la presidenza della commissione Cultura, giacché, come ha spiegato la presidente della Camera, Laura Boldrini, non è previsto il voto di sfiducia) e la lauta indennità di deputato.

Non potrà essere confiscata neppure villa Rodella a Cinto Euganeo, dove Galan è autorizzato a soggiornare insieme con i suoi familiari. L’esponente forzista potrà conservare la villa di Cinto se, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, riuscirà a versare al Fondo Unico di Giustizia l’importo di 2,6 milioni di euro.

Infine va ricordato che nella dichiarazione dei redditi 2013 l’onorevole Galan ha attestato un reddito imponibile pari a 111. 223 euro: cifra sulla quale ha pagato un’imposta lorda di 41.042 euro.

Claudio Baccarin

 

Gazzettino – Galan, Una Repubblica di banane.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

19

nov

2014

UNA REPUBBLICA DELLE BANANE

Leggendo la notizia sul Gazzettino ho fatto un sobbalzo sulla sedia. A Giancarlo Galan non verrà espropriata la villa e conserverà il posto in Parlamento! Egli dovrà, in base al patteggiamento, recuperare la somma di 2.6 milioni di euro entro 90 giorni e poi tutto verrà messo a tacere? Dove recupererà tale cifra? Ammesso che ci riesca, che soldi sono: il frutto del malaffare? Ma in quale Paese viviamo, dove un corruttore, reo confesso, patteggia la misera condanna a 2 anni e 10 mesi ai domiciliari o al massimo ai servizi sociali?

Il secondo argomento, non peggiore del primo, riguarda la sua permanenza in Parlamento. È mai possibile che per cacciare un ladro dal Parlamento si debba ricorrere al parere dei deputati o dei senatori? Un ladro viene sbattuto fuori a calci, poi se verrà riconosciuta la sua innocenza verrà reintegrato con tutte le scuse. Solo così potremo insegnare a figli e nipoti come ci si comporta quando si assumono cariche pubbliche, altrimenti saremo una repubblica delle banane, un Paese corrotto e deriso da tutto il mondo.

Alessandro Dittadi – Mogliano Veneto (Tv)

 

NON CAPISCO LA SENTENZA

Alla fine sembrerebbe quasi “virtuoso” l’ex governatore Giancarlo Galan, naufragato nelle acque torbide del Mose veneto. Nonostante la mia buona volontà, alle volte non li capisco certi giudici. Spesso le “sofferte” motivazioni delle sentenze deludono e lasciano passare dei messaggi poco “esemplari” per la coscienza collettiva. O il crimine é crimine e le pene adeguate oppure non é tale e quindi la misura di qualsiasi pena diventa “adeguata” sebbene molto spesso al ribasso. Corrotto ma non fuggitivo. Questo sembra essere il riconoscimento “del merito” nei confronti dell’ex governatore. Non é fuggito… e come poteva con una gamba rotta? Deve ritornare dei soldi… ma quanti altri se ne trattiene? Che amarezza!

Natalino Daniele – Rubano (Pd)

 

 

Gazzettino – “Galan, corruzione provata e pena giusta”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

18

nov

2014

MOSE – Intanto col ricorso in Cassazione l’ex governatore rinvia la confisca della villa e mantiene il posto in Parlamento

«Galan, ecco perché la pena è giusta»

I giudici: «Le accuse hanno trovato riscontri significativi, ma è incensurato e non è fuggito all’estero»

MOSE – Le motivazioni del patteggiamento di 2 anni e 10 mesi: «Sentenza congrua, è incensurato e non è fuggito all’estero»

«Galan, corruzione provata e pena giusta»

Il giudice Galasso: «Il governatore teneva nascosti alla moglie gli investimenti con soldi proventi da illeciti»

Sono adeguatamente provate le accuse di corruzione formulate nei confronti dell’ex Governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan. E, nonostante la gravità degli episodi contestati, la pena concordata tra accusa e difesa è congrua, valutata «l’incensuratezza dell’imputato e l’aver atteso in Italia l’autorizzazione della Camera dei Deputati, anziché riparare all’estero».

La presidente della sezione gup di Venezia, Giuliana Galasso, ha motivato così la sentenza di patteggiamento con la quale, lo scorso 16 ottobre, ha applicato due anni e 10 mesi di reclusione al deputato di Forza Italia, presidente della Commissione Cultura della Camera.

«Le accuse hanno trovato significativi riscontri in acquisizioni documentali (il conto aperto a San Marino) e, soprattutto nelle conversazioni intercettate a carico di Paolo Venuti che hanno confermato il suo ruolo non solo di commercialista ma anche di prestanome di Galan anche in alcuni investimenti finanziari di cui la moglie di quest’ultimo nulla doveva sapere – si legge nella sentenza – Pare giustificata la deduzione che doveva trattarsi di somme diverse da quelle legittimamente percepite, di cui certo la signora Galan era a conoscenza e non potevano essere investite a sua insaputa».

Nel riscostruire gli episodi di corruzione non prescritti (ovvero quelli successivi al luglio 2008) il giudice fa riferimento anche al memoriale difensivo depositato da Galan, sottolineando come l’ex Governatore «non riesce a trovare un solo motivo per cui Baita e Mazzacurati (rispettivamente presidenti di Mantovani e Consorzio Venezia Nuova, i suoi principali accusatori, ndr) debbano calunniarlo ed è comunque costretto ad ammettere di essersi intestato le quote delle società Adria Infrastrutture spa e Nordest media srl». Tali società erano quelli con cui Baita operava nel settore del project financing proponendo di realizzare opere di interesse pubblico per conto della Regione di cui Galan era presidente.

Prove solide, insomma, in presenza delle quali «non ricorrono le condizioni per un proscioglimento dell’imputato con formula ampia ai sensi dell’art 129 cpp…», scrive ancora il giudice Galasso. Su questo aspetto i difensori di Galan, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, hanno però già annunciato ricorso per Cassazione: un modo anche per ritardare il passaggio in giudicato della sentenza e dunque la sua esecuzione, con la perdita del posto in Parlamento sulla base della legge Severino e la confisca della lussuosa villa di Cinto Euganeo, per un valore di 2.6 milioni di euro.

Quanto alla congruità dei due anni e 10 mesi di reclusione, ritenuti da molti troppo pochi, la dottoressa Galasso scrive nella sentenza che «l’adeguatezza della pena va stimata non certo in base a quello che potrebbe essere il comune sentire, ma in relazione alle scelte legislative che, nel determinare il minimo e il massimo della pena edittale per ogni fattispecie criminosa, ha delimitato il campo in cui il giudice deve esercitare la propria discrezionalità».

Quanto alla confisca, si legge che i 2.6 milioni sono il controvalore «corrispondente al prezzo del reato, limitatamente ai fatti non prescritti».

 

In cinque mesi la triste caduta di un politico ricco e potente

La brutta storia giudiziaria di Giancarlo Galan è cominciata il 4 giugno scorso, quando venne effettuato il blitz con decine di arresti per le mazzette che ruotavano attorno al Consorzio Venezia Nuova. Per lui una serie di accuse di corruzione. L’ordinanza, con l’arresto in carcere, non venne eseguita perché serviva l’autorizzazione della Camera, di cui Galan è ancor oggi membro. La decisione però fu piuttosto rapida, nonostante una serie di ricoveri in ospedale avessero cercato di motivare una dilazione del provvedimento di arresto. Il 22 luglio, poche ore dopo il voto favorevole dell’aula di Montecitorio, l’ex presidente della giunta regionale del veneto fu portato nel carcere di opera dove è rimasto fino all’inizio di ottobre nella sezione sanitaria del carcere di massima sicurezza.
Galan si è sempre dichiarato innocente. Ma dopo quasi tre mesi di detenzioni ha preferito scendere a patti con la Procura e ha raggiunto un accordo. Pena detentiva e risarcimento del danno, per evitare di tornare in galera. Infatti, è ai domiciliari che sta scontando al pena.
Le mazzette contestate a Galan sono numerose. Una parte delle accuse sono però finite in prescrizione.

 

IL MAGISTRATO «Può restare ancora nella villa fino alla sentenza definitiva»

In attesa della confisca di villa Rodella, Giancarlo Galan «è autorizzato a domiciliare, con la sua famiglia, nell’immobile confiscato a condizione che paghi, quale corrispettivo per l’uso, tutte le spese correnti, ivi compresa la tassa sui rifiuti, nonché quelle necessarie per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati e dei terreni, con divieto di modificare lo stato dei luoghi». Lo scrive il gip nella sentenza di patteggiamento, ricordando che Galan avrà la possibilità, entro 90 giorni dal passaggio in giudicato, di tenere la villa se riuscirà a versare al Fondo Unico Giustizia, l’importo di 2.6 milioni di euro.

 

L’ex ministro all’Ambiente indagato per corruzione si dice estraneo alle accuse

Audizione di 40 minuti, il parlamentare presenta una memoria di 50 pagine

ROMA – La Giunta per le Immunità del Senato ha ascoltato oggi l’ex ministro delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ora senatore di Forza Italia, Altero Matteoli, coinvolto nell’inchiesta sul Mose di Venezia. Il parlamentare, nei confronti del quale i magistrati veneziani hanno chiesto al Senato che gli venisse concessa l’autorizzazione a procedere, aveva domandato di essere audito dalla Giunta per spiegare la sua estraneità ai fatti che gli sono stati contestati.

Matteoli è stato ascoltato per circa 40 minuti e ha depositato una memoria di una cinquantina di pagine. Ha spiegato di essere totalmente «estraneo alla vicenda ed ha sostenuto come contro di lui ci sia un «fumus persecutionis evidente». Ha, infine, affermato che le dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuocva che lo ha accusato, siano del tutto «infondate».

Matteoli, all’uscita dall’aula dove si riunisce la Giunta, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione ai cronisti. Ora toccherà al relatore e presidente della Giunta, Dario Stefano (Sel) decidere la proposta da avanzare agli altri componenti dell’organismo parlamentare. La proposta dovrà poi essere sottoposta al voto della Giunta e quindi al vaglio dell’aula.

Matteoli è indagato per corruzione, dopo che il Tribunale per i ministri del Veneto ha dato il via libera all’inchiesta sul suo conto. «Le indagini eseguite hanno dimostrato l’asservimento del politico Matteoli Altero alle politiche del Consorzio Venezia Nuova, nella veste di ministro dell’Ambiente e di ministro delle Infrastrutture.

Il Tribunale dei ministri del Veneto dispone la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica per l’immediata trasmissione al presidente del Senato che ha la competenza». Queste sono le ultime righe dell’ordinanza di 200 pagine con la quale la presidente Monica Sarti e i giudici Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi avevano sciolto la riserva. Gli atti, oltre all’ordinanza contengono gli accertamenti svolti dai pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini.

C’è anche il verbale d’interrogatorio di Mazzacurati, quelli di alcune segretarie dell’anziano ingegnere, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, dell’imprenditore romano di «Condotte d’acqua» Stefano Tomarelli e dell’ex direttore vicario del Consorzio Roberto Pravatà. Inoltre, tutta la documentazione che la Guardia di finanza ha acquisito presso la sede della società romana «Socostramo» di Erasmo Cinque.

 

Ambiente Venezia scrive alla Ue: «Riaprire la pratica». Oggi assemblea sull’Arsenale

Zappalorto elogia il Mose: «Complimenti»

«Tecniche raffinate e altissima specializzazione. L’ingegneria italiana è una delle eccellenze del nostro Paese». Così il commissario Vittorio Zappalorto ha commentato ieri l’esperimento del Consorzio Venezia Nuova con il sollevamento delle 21 paratoie della schiera di Treporti. L’associazione Ambiente Venezia la pensa diversamente. «Abbiamo scritto alla commissione Petizioni del Parlamento europeo», dice il portavoce Luciano Mazzolin, «per chiedere che la pratica del Mose venga riaperta e vengano riesaminati i vari passaggi tecnici alla luce dell’inchiesta sul sistema Mose e la corruzione». C’è anche chi punta il dito sulle vernici e i costi della manutenzione. «Chiaro che si sono sollevate, è il principio di Archimede», dice la docente Iuav Andreina Zitelli, «aspettiamo». L’architetto Fernando De Simone chiede se la tolleranza di un centimetro tra i cassoni «abbia tenuto conto della dilatazione termica che può essere di qualche centimetro». Oggi intanto in sala San Leonardo (17) assemblea pubblica dei comitati per decidere sul futuro dell’Arsenale.

(a.v.)

 

ROMA – Il presidente Fabris incontra Cantone (Anticorruzione) e il prefetto Pecoraro: 30 giorni (forse meno) per la nomina

VENEZIA – L’incontro è stato cordiale. Ma i punti all’ordine del giorno erano senz’altro delicati. Primo tra tutti il “passaggio di consegne” tra l’attuale vertice del Consorzio Venezia Nuova guidato dal presidente Mauro Fabris e il futuro commissario dell’ente concessionario così come ha deciso in queste settimane il presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione, Raffaele Cantone.

Così, ieri pomeriggio, a Roma, lo stesso Fabris, accompagnato dal direttore del Cvn, Hermes Redi, si è incontrato con il “numero uno” dell’Anac e con il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro che sarà chiamato, come prevede la norma del decreto 90 sulla pubblica amministrazione, a scegliere il futuro commissario del Consorzio Venezia Nuova che avrà il compito di portare a termine le opere alle dighe mobili alle bocche di porto della laguna di Venezia.

«Ci è stata illustrata – sottolinea Fabris – la procedura di applicazione delle misure di gestione straordinaria e temporanea del Consorzio. Abbiamo voluto ribadire a Cantone che il nostro unico obiettivo è quello che si operi e si lavori per la conclusione del Mose. L’incontro è servito anche per favorire il maggiore coinvolgimento delle strutture del Consorzio in questo passaggio verso il commissariamento».

Non è escluso che proprio dopo questo incontro, ma è possibile che ce ne possano essere altri vista la complessità dell’opera, si avvii la seconda fase dell’operazione con la facoltà del prefetto di scegliere il nuovo commissario nell’arco di trenta giorni. Ma l’impressione è quella che tutti i soggetti coinvolti puntino a dimezzare, e anche abbondantemente, i tempi delle decisioni.

P.N.D.

 

CURIA DI VENEZIA «Alla Fondazione dovevamo dare 100mila euro l’anno»

«Così finanziavamo Pd e Marcianum»

Morbiolo: «Veniva da me Savioli e mi diceva chi sponsorizzare: Marchese, Zoggia ma anche la Sartori»

DAZIONI TRASVERSALI «Fui sorpreso quando mi chiese di dar soldi all’esponente di Fi»

«Quando c’erano le campagne elettorali per l’area che si andava a appartenere, Savioli ogni tanto veniva e mi diceva: “Sarebbe bene sponsorizzare il Marchese, è bene sponsorizzare Zoggia”…»
Franco Morbiolo, presidente del Coveco dal 2007, ha giustificato così parte dei soldi che dal Consorzio delle coop “rosse” usciva per finanziare esponenti politici di tutti i colori; denaro che finì perfino al Marcianum, la Fondazione culturale della Curia, voluta dall’allora Patriarca Angelo Scola (100mila euro all’anno). «Il Marcianum… era una sponsorizzazione che Savioli chiedeva ogni anno che ci fosse. Poi abbiamo capito… Savioli diceva: “È necessario fare questa sponsorizzazione. Non la faccio? Allora mi metti in difficoltà con Cvn. Te non ti devi preoccupare, fai la sponsorizzazione”…»

Secondo Morbiolo a gestire il flusso di finanziamenti e contributi era l’allora consulente (ed ex presidente) Pio Savioli, l’uomo che per il Coveco si occupava dei rapporti con il Consorzio Venezia Nuova. Morbiolo ha spiegato al pm Paola Tonini che i contributi ai politici “rossi”, vicini al Coveco, erano nella norma: capitava di finanziare le feste dell’Unità o altre iniziative del Pd. Ha invece ammesso di essere rimasto sorpreso ricevendo la richiesta di finanziare Lia Sartori, esponente di spicco di Forza Italia, ex presidente del Consiglio regionale del Veneto e poi eurodeputato: «È venuto Savioli, ha detto: “È necessario fare un finanziamento per la campagna elettorale della Sartori… Ho portato in Consiglio, perché non è che decido io… ci sono tutti, si chiede perché, per come… e si è fatto il finanziamento per la Sartori…»
Nel lungo interrogatorio sostenuto lo scorso 16 luglio, Morbiolo si è dipinto come un presidente che firmava in gran parte senza sapere cosa stesse firmando: ha assicurato che era Savioli a gestire i rapporti con Mazzacurati e i flussi di denaro del “sistema Mose”, aggiungendo che all’interno del Coveco tutto passava attraverso il responsabile amministrativo, Enrico Provenzano. «Io non ero a conoscenza di tutto il meccanismo che c’era dietro», ha spergiurato Morbiolo, uscito dall’inchiesta con il patteggiamento di un anno e sei mesi di reclusione per false fatturazioni e per finanziamento illecito all’ex sindaco Giorgio Orsoni e all’ex responsabile amministrativo del Pd, Gianpietro Marchese (che ha già pattegiato 11 mesi).

Più volte l’ex presidente del Coveco ha ribadito di non aver saputo del meccanismo delle false fatture e delle retrocessioni utilizzato dal Cvn per realizzare fondi neri, poi utilizzati per mazzette e finanziamenti illeciti: «Quando mi portavano i contratti li firmavo lungo il corridoio velocemente e neanche li leggevo… Provenzano aveva parecchia autonomia…», ha dichiarato al pm Tonini. Per poi spiegare che iniziò a sospettare qualcosa soltanto nel 2011, senza però fare nulla, o quasi, in quanto era materia di cui si occupava Savioli. Di conseguenza continuava a firmare i documenti che Provenzano gli portava: «Però ho cominciato ad essere più attento… ho detto no all’America’s Cup, e quando è venuto fuori il discorso della Finanza ho voluto andare a vedere i contratti…»
Nel corso dell’interrogatorio il pm Tonini ha chiesto conto a Morbiolo dell’appunto rinvenuto a casa di una dipendente del Coveco, con nomi e cifre annotati a fianco, ricevendo risposte poco precise: «Vedo delle annotazioni che sono state fatte: “Marcianum”, “Davide Zoggia”… su cui io non mi sono neanche interessato e non ho neanche pensato a quel meccanismo che c’era, proprio non ci ho pensato…»

Morbiolo non ha fornito spiegazioni convincenti neppure in merito al colloquio intercettato nel quale suggerisce a Provenzano di trascrivere su carta “mangiabile” e di nascondere in un luogo sicuro i documenti compromettenti relativi proprio ai rapporti tra Coveco e Cvn. «È una battuta che mi è rimasta dal 2002 – ha dichiarato al pm – Al Consorzio ravennate dove lavoravo è stato arrestato un mio collaboratore per turbativa d’asta, che dopo è venuto fuori innocente e ogni tanto mi diceva: “Franco, per qualsiasi cosa ricordati le tue annotazioni, fattele sempre su carta mangiabile”».
Risposte che non hanno mancato di indisporre il rappresentante della pubblica accusa, che a metà interrogatorio sbotta: «Lei sta venendo a raccontare la favola del lupo». Lo stesso Tribunale del riesame, quando trattò la posizione di Morbiolo, scrisse che il presidente Coveco era a conoscenza di tutto, come confermano sia Savioli che Provenzano.

Gianluca Amadori

 

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui