Nuova Venezia – Villa di Galan, svelati tutti i lavori
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6
lug
2014
Villa Galan, svelati i segreti
Ecco tutti i lavori realizzati
Impianti nuovi, marmorini, stucchi e affreschi: l’edificio completamente rifatto
L’architetto Zanaica, che fu il direttore del cantiere, già sentito dalla Finanza
VENEZIA «Lui è amico di Gesù che moltiplicava i pani e i pesci. Gli ha insegnato il trucco anche con gli euro». La mordace battuta dell’imprenditore Paolo Sinigaglia, che per trascorsi politici conosce bene il laico Giancarlo Galan, dice tutto il disincanto con il quale è stata accolta la spiegazione pubblica che l’ex presidente del Veneto ha dato delle sue ricchezze. Quella trecentesca villa sui Colli Euganei, per esempio, dove è andato ad abitare. Per anni era stata il cruccio del precedente proprietario, Salvatore Romano, medico condotto e dentista di Lozzo Atestino, che si è svenato per rimetterla in sesto. Senza riuscirci. Dopo il restauro della struttura grezza, il consolidamento dei pavimenti e il rifacimento del terrazzo nella forma originale, cominciavano a scarseggiare i soldi. Per il tetto si era arrangiato alla bell’e meglio. Per l’impianto elettrico aveva provato a fare tutto da solo, passando i fili di notte, attaccando e staccando differenziali. Ne aveva fatto una malattia. Quando Giancarlo Galan acquista il complesso (il rogito dal notaio Franco Cardarelli di Abano è per 750 mila euro) deve rimettere mano a tutto. Non solo rifare l’impianto elettrico, perché manca la certificazione di conformità. Attraverso la Galatea snc, una società poi sciolta tra lui e la moglie Sandra Persegato, commissiona i lavori a un’impresa di Mestrino, la Tecnostudio dell’architetto Danilo Turato. Il quale è uno degli arrestati del 4 giugno. Motivo: sarebbe stato pagato con incarichi affidatigli dalla Mantovani Costruzioni all’epoca dell’ingegner Baita e liquidato con sovrafatturazioni. Secondo la Guardia di Finanza, tra questi incarichi c’era anche il nuovo mercato ortofrutticolo di Mestre e la sistemazione dell’area di via Torino. La Mantovani non tirava fuori il conquibus dai propri utili, bensì dalle opere pubbliche finanziate con i soldi delle tasse. Saranno contenti i mestrini del contributo dato. A seguire giorno per giorno i lavori nella villa Pasqualigo- Rodella-Galan, l’architetto Turato aveva delegato il collega Diego Zanaica, con studio a Lozzo Atestino. Un nome che finora non era circolato. Figurava solo quello di Turato. È Zanaica l’uomo che può elencare al centesimo i costi del restauro per le varie parti della villa: il corpo padronale, la barchessa e la chiesetta. Ed è quello che ha fatto alla Guardia di Finanza di Mestre. Zanaica è l’ultimo testimone ascoltato sulla vicenda della villa di Galan. «Sono stato chiamato e ho detto tutto», taglia corto al telefono. E se ne va in vacanza con la famiglia. A quanto risulta il professionista ha confermato che tutti gli interni di Villa Rodella sono stati radicalmente rifatti. I lavori sono durati quattro anni, non uno solo. Nel 2006 è stato completato il corpo padronale, 800 metri quadrati. Poi è stata rifatta la barchessa, completata nel 2008.Che è un’altra villa, con 750 metri quadrati coperti. Infine la chiesetta. In totale si arriva a 1700 metri. Non è stato un restauro normale. Il precedente proprietario aveva lasciato le pareti intonacate e bianche. Galan ha voluto in tutte le stanze del piano terra della villa le decorazioni in stile di fabbricato veneziano: balzorilievi tirati a stucco e decorati a mano, con marmorino e poi lucidati. Per dare un’idea, decorare con marmorino una parete dritta e non in rilievo, costa 40 euro a metro quadrato. Per una parete affrescata la stima a metro quadrato è almeno dieci volte superiore. Si aggiunga che le stanze di Villa Rodella, come tutti gli edifici storici, hanno altezze di quattro metri e mezzo, non di due e settanta. Poi c’è l’arredamento. I coniugi Galan hanno buon gusto e chiunque al posto loro, potendolo fare, avrebbe scelto il meglio. Lo studio dell’ex presidente per esempio è tutto in boiserie, coperto di pannelli in legno intarsiato. I lampadari delle stanze sono in vetro di Murano, si viaggia a decine di migliaia di euro. I mobili sono di antiquariato vero. I tappeti persiani hanno dimensioni e costi proporzionati, non vorremo mica sfigurare. La barchessa è stata rifatta totalmente. Sono stati tolti i pavimenti e i divisori precedenti, pensati per una clinica odontoiatrica dal dottor Romano. Galan e consorte l’hanno attrezzata a camere per un Bed and Breakfast agrituristico Poi c’è il giardino, la corte incassata con i marmi, un tappeto erboso di non meno di 6000 metri quadrati, piante e fiori. La vulgata per una gestione economica del parco, ha messo in giro che sarebbe affidato a due giardinieri pensionati. Mah, pèzo el tacon del sbrego. Finisce che qualcuno s’inventa che vengono pagati in nero. In realtà la villa ha un personale fisso: sono due filippini e una governante. Ovviamente in regola. Ma anche al netto di eventuale vitto e alloggio, questo personale ha un costo. Insomma, non è bastato ristrutturare la villa, bisogna anche mantenerla. Aggiungiamo l’impianto esterno di videosorveglianza, posizionato sull’intero perimetro della villa, da fare invidia ad una banca. È dotato di telecamere a raggi infrarossi, che percepiscono la presenza, ruotano nella direzione richiesta e inquadrano: scatta lo zoom con la messa a fuoco e la registrazione nella centrale interna di comando del sistema. Quanto è costato tutto questo? L’architetto Zanaica ha parlato per le opere edili di un milione e mezzo di euro, cifra che corrisponde al restauro di un’abitazione normale, indicato mediamente dai professionisti in 1000 euro a metro quadrato. Ma per Villa Pasqualigo- Rodella-Galan ci sono le finiture e tutto il resto. Una stima prudenziale non può andare sotto il 2000 euro a metro quadrato. Il che significa raggiungere i tre milioni e mezzo di euro, nei quali non ci stanno i costi delle altre case e proprietà immobiliari: dall’Appennino Emiliano a Rovigno e a Mali Lussini. Ma per le case in Croazia non c’è ancora un architetto Zanaica chiamato a testimoniare.
Renzo Mazzaro
l’interrogatorio dell’ex deputato che risponde ma nega tutto
Milanese: «Mai preso denaro»
Il contrattacco: Mazzacurati usò i soldi per comprare casa a Roma
VENEZIA – Ha scelto di rispondere e di controbattere alle accuse. E soprattutto ha sollevato la questione dell’illegittimità dell’ordinanza che lo ha portato in carcere, in quanto non emessa dal giudice naturale. Marco Milanese, ex deputato del Pdl e braccio destro dell’ex ministro Giulio Tremonti, arrestato venerdì scorso nell’inchiesta Mose, con l’accusa di aver intascato da Giovanni Mazzacurati una mazzetta da mezzo milione di euro, è stato sentito dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’interrogatorio di garanzia. Milanese ha risposto per circa due ore alle domande del giudice. L’interrogatorio è avvenuto nel carcere della cittadina in provincia di Caserta. Secondo quanto riferito dal suo difensore, l’avvocato Bruno La rosa, Milanese ha risposto alle domande, anche se ritiene l’ordinanza di custodia cautelare in carcere illegittima. Secondo Milanese, tra le altre cose ex ufficiale della Guardia di Finanza, e il suo legale hanno fatto presente che l’ordinanza di custodia è stata emessa da un giudice incompetente. Infatti secondo l’accusa la mazzetta a Milanese, sarebbe stata consegnata da Mazzacurati all’ex parlamentare, a Milano. Di conseguenza la competenza spetta alla Procura e al Tribunale del capoluogo lombardo. Questa “obiezione” può essere facilmente superata nel momento in cui la Procura meneghina chiede e ottiene un’ordinanza per lo stesso reato nei confronti di Milanese. E in vista di questo il sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancillotto, titolare con i colleghi Paola Tonini e Stefano Buccini dell’inchiesta, domani si recherà a Milano per consegnare il fascicolo relativo a Milanese. Durante l’interrogatorio di ieri l’imputato ha chiesto di poter ascoltare le registrazioni delle intercettazioni che lo coinvolgono e su cui si basano le esigenze cautelari sostenute dal gip veneziano che lo ha fatto arrestare. Ma ieri, il giudice campano, non ha potuto esaudire la richiesta in quanto non in possesso delle registrazioni. Milanese ha negato di aver ricevuto tangenti sostenendo tra l’altro di non aver potuto interferire su un finanziamento di 400 milioni di euro e di non aver avuto alcun ruolo nelle procedure relative al Mose. Inevitabile, a quel punto, la domanda del giudice su perché Giovanni Mazzacurati, allora, lo avrebbe coinvolto in questo modo pesante nella vicenda Mose. All’inizio Milanese ha spiegato di non sapere e di capire per quale motivo l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, lo ha tirato in ballo, pur non negando di conoscere bene Mazzacurati. Successivamente l’ex parlamentare ha dato una spiegazione, anche se poco dettagliata e fumosa. Ha ricordato che da alcune notizie di stampa emergerebbero intercettazioni in cui Mazzacurati si riferisce all’acquisto di un appartamento in piazza di Spagna a Roma di 250 metri quadri affermando che sapeva «come far uscire fuori i soldi dal consorzio». L’ipotesi prospettata da Milanese è che Mazzacurati avrebbe sostenuto falsamente di aver versato tangenti a Milanese, per mezzo milione di euro, per giustificare i soldi presi dai conti del consorzio per acquistare l’appartamento. Al termine dell’interrogatorio il suo legale ha chiesto la scarce- Marco Milanese, ex deputato di pdl razione di Milanese.
Carlo Mion
Sartori si aggrappa al salvagente deposita una memoria e tace
VICENZA L’interrogatorio è durato un amen. Lia Sartori è arrivata a palazzo di giustizia, a Vicenza, subito dopo mezzogiorno. Si è seduta davanti al giudice Stefano Furlani, che doveva sentirla per rogatoria. Ha depositato una memoria di alcune pagine e cinque minuti dopo si è allontanata sul Suv con cui era giunta a borgo Berga. Formalmente, si è avvalsa della facoltà di non rispondere: «Parlerò con i pubblici ministeri lagunari quando sarò una libera cittadina ». Sartori ha infatti chiesto l’immediata scarcerazione, con la revoca dei domiciliari. Due i motivi. «Il primo è che il giudice ha firmato il provvedimento nell’ipotesi della reiterazione del reato. In realtà, Sartori non solo non è più parlamentare europea, ma si è dimessa da ogni incarico pubblico che ricopriva». Il secondo è il decreto legge numero 92, entrato in vigore il 28 giugno scorso, ha cambiato le carte in tavola. Il provvedimento, chiamato anche “Salva Galan” dalle opposizioni al governo, esclude la misura cautelare se il giudice ritiene che all’indagato, quando ci sarà la sentenza, sarà disposta una pena che possa essere sospesa. Secondo i suoi legali, Sartori rientrerebbe a pieno titolo tra i beneficiari del provvedimento. Poi spiegherà.
Assicurazioni sanità
La Corte dei Conti apre un’inchiesta
Nel mirino il brokeraggio di Assidoge ad affidamento diretto
Garantiva 8-10 milioni all’anno: l’ipotesi è danno erariale
A destare sospetti le ricche provvigioni dal 10 fino al 14% ora scese tra 0,7 e 1%
La procura contabile si chiede perché si sia ricorso in esclusiva all’agente di Mirano
PADOVA Si alza il sipario su un altro capitolo della gestione della res publica da parte di Giancarlo Galan finché è stato governatore del Veneto. Stavolta è la Corte dei Conti veneziana a illuminare una delle tante zone grigie del quindicinale regno dell’ex Doge padovano. La Procura generale contabile ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di danno erariale. Nel mirino il mondo delle assicurazioni e la Sanità veneta. In particolare l’azione di Assidoge, la società di broker di Mirano (riconducibile a Giuliano Benetti, morto nel 2012 e ora venduta alla Cervit spa e trasferita a Roma) utilizzata da Galan in affidamento diretto per scegliere le compagnie di assicurazioni che successivamente partecipavano alle gare d’appalto «per la gestione stragiudiziale dei sinistri di Rct delle Aziende Usl ed ospedaliere del servizio sanitario regionale ». Consulenze costate in più di un decennio un fiume di denaro “carsico” (tra premi assicurativi e costi), perché tutt’ora impossibile da quantificare per poca trasparenza e collaborazione da parte dell’ente regionale. Tuttavia, il calcolo è semplice. Il monte assicurativo annuale della Sanità Veneta era (all’epoca) di circa 80 milioni di euro. Assidoge operava (quasi in regime di monopolio) con una provvigionedel10- 14% per cento. Tanto per dare un ordine di grandezza Assidoge nel 2006 era broker di 18 su 22 Usl e 1 su 2 aziende ospedaliere (quella di Padova). Facile ipotizzare che la società di Benetti intascasse per il servizio dagli 8 ai 10 milioni di euro all’anno. La Corte dei Conti veneziana ha chiesto alla Guardia di Finanza di fare chiarezza. Soprattutto dopo che il nuovo Governatore Luca Zaia ha bandito (nel marzo scorso) un concorso anche per la scelta del broker, vinto dall’americana Willis (in cordata con Arena) che offre le stesse prestazioni di Assidoge a un costo stupefacente: solo l’1% del monte assicurativo. L’altra concorrente, Marsh (provvigione dell’ 0,7%) ha ricorso al Tar, che si pronuncerà domani. Ma questa è un’altra storia. Tornando ad Assidoge, la domanda della Procura è: perché la Regione ha usato il broker di Mirano quasi in via esclusiva senza mai affidarsi al mercato? Detto che il Consiglio di Stato ha sentenziato più volte (su questioni simili) che l’affidamento diretto da parte di un ente pubblico per incarichi di brokeraggio è lecito (o, per lo meno, non è vietato), è evidente che le percentuali chieste da Assidoge per il servizio appaiano fuori mercato. Una cosa è certa: semmai la Procura contabile dovesse accertare il danno erariale non potrebbe chiedere alla Regione (che poi si dovrebbe rivalere sull’ex governatore) un risarcimento retroattivo per più di 7 anni. Causa prescrizione. Ma chi era Giuliano Benetti? Assidoge nasce nel 1994. Anno anche della discesa in campo in politica di Galan. Capitale sociale 20 milioni di vecchie lire. Benetti inizia come agente per la Ras, lavorando successivamente anche per i Lloyd’s. Poi il grande salto grazie all’amico Galan. Benetti si avvale di alcuni collaboratori. Tra questi Gianni Pesce, padovano, 70 anni, titolare della Pesce and Partners Insurance di Piazzetta Pedrocchi. Pesce, persona discreta e capace, è conosciuto anche come uno degli organizzatori delle feste annuali in Croazia, dove si ritrovava il gotha della sanità veneta. Appuntamenti che servivano per cementare amicizie e pianificare gli affari. Scriveva Mariano Maugeri sul Sole24Ore solo un mese fa. «La cordata celebrava la sua festa annuale in luglio nel parco nazionale di Brioni, in Croazia, isolotti selvaggi e mare cristallino a un tiro di schioppo da Rovigno, il buen retiro di Galan e molti veneti. Con tanto di organizzatori e sponsor, dalla banca Antonveneta alla valigeria Roncato, e la benedizione di monsignor Liberio Andreatta, amministratore delegato dell’opera romana pellegrinaggi ». Benetti e Pesce fanno prosperare Assidoge che oltre alla Sanità veneta mette le mani anche sui Comuni di Padova e Venezia e su società partecipata dalla Regione. Gli affari vanno a gonfie vele. Nulla e nessuno riesce a scalfire il dominio quasi assoluto. L’incarico è annualmente garantito. Così come il guadagno. Lo spartiacque è l’elezione di Luca Zaia a governatore. Altre agenzie di broker si fanno avanti. Tra queste anche la Hill Insurance riconducibile a broker napoletani e con sede a Gibilterra che fa una proposta a Adriano Cestrone (dg dell’Asl di Padova) e Fortunato Rao (dg dell’Usl 16). Il sospetto è dietro l’angolo: la Hill Insurance recede pur non emergendo nulla di significativo. Assidoge tiene stretto il patto. Fino a marzo scorso. Nel frattempo Giuliano Benetti non c’è più. Assidoge è stata venduta. E la compagna di Pesce, Maria grazia Clede, padovana, ha fondato Assibest srl, società di brokeraggio di Padova, si dice con l’obiettivo di sostituirsi ad Assidoge. Intanto si sono accesi i fari della Corte dei Conti. Non propriamente luci della ribalta.
Paolo Baron
Le palancole in ferro rilasciano inquinanti
Sono state infisse dal Magistrato alle Acque con il Consorzio. Lo rivela uno studio ambientale
VENEZIA In laguna sono aumentate le percentuali di metalli pesanti presenti nell’acqua. In particolare nelle aree vicine alla Zona industriale di Marghera. Lo rivela uno studio dell’Ufficio antinquinamento del Magistrato alle Acque. Concluso qualche anno fa con una serie di rilievi e studi, ma mai reso noto. Nel frattempo l’Ufficio è stato depotenziato, e il suo dirigente, Giorgio Ferrari, emigrato a Milano in un’azienda privata. Cosa diceva lo studio? Che se la laguna ha migliorato negli ultimi anni la sua qualità ambientale, anche per i depuratori e la diminuzione delle industrie chimiche, aumenta invece la concentrazione dei metalli pesanti a Marghera. Quale la causa? «Le palancole in ferro», scrivono gli esperti. Per i «marginamenti » dell’area inquinata delle fabbriche chimiche il Magistrato alle Acque con il Consorzio Venezia Nuova ne ha infisse decine di migliaia sui fondali della laguna. Dovevano essere provvisorie, in attesa degli interventi di disinquinamento. Ma si sono trasformate in protezione definitiva. Nel frattempo il ferro è arrugginito, i materiali sono stati aggrediti dalla salsedine e rilasciano inquinanti che vanno a depositarsi sul fondo. Decine di chilometri di «protezione» che in realtà andrebbero protetti dal degrado. Un fenomeno che invece passa abbastanza sotto silenzio. Ma che ha conseguenze disastrose per la qualità delle acque di gronda. Se è vero che il rilascio delle sostanze chimiche pericolose presenti nei terreni è stato bloccato, è anche vero che non si tratta di un sistema a costo zero. Eppure l’intervento era stato definitivo prioritario, e affidato dal Magistrato alle Acque e dal ministero per l’Ambiente con il suo direttore Mascazzini direttamente al Consorzio a partire dalla fine degli anni Novanta. Adesso le palancole invece di fermare l’inquinamento lo producono.
Alberto Vitucci
«Renzi sciolga il Consorzio»
Il premier oggi aVenezia. Manifestazione all’Arsenale
«Stop al Mose e a nuovi canali in laguna»
Una lettera aperta per fermare le grandi opere in laguna. Italia Nostra: adesso bisogna revocare la concessione unica
«Renzi fermi il Mose e le grandi opere che la città non vuole. Sospenda i finanziamenti del Cipe al Consorzio Venezia Nuova e istituisca una commissione di esperti indipendenti che dia risposte alle tante domande irrisolte sulle criticità del sistema Mose». Il premier arriva in laguna e comitati e associazioni sono pronti ad accoglierlo per rilanciare la loro richiesta, inascoltata da anni. Una «lettera aperta» al Presidente del Consiglio sarà consegnata dai comitati «Ambiente Venezia e No-Mose », che manifesteranno anche davanti all’ingresso dell’Arsenale dalle 10,30. «Chiediamo di votare subito, per affrontare con un nuovo governo della città tutti i problemi sul tappeto», dice il portavoce Armando Danella, «se Renzi vuole può farlo con un decreto. Nel frattempo vanno sospesi i finanziamenti e i lavori della grande opera e nel frattempo non vanno prese decisioni». Sulla stessa linea anche Italia Nostra, che ieri ha inviato a Renzi una lettera aperta firmata dalla presidente veneziana Lidia Fersuoch. «Quanto è successo a Venezia non ci meraviglia», scrive la presidente a Renzi, «perché da anni ci battiamo contro la concessione unica che ha permesso allo stesso soggetto di progettare, studiare e realizzare le opere. Nel frattempo stando all’inchiesta della Procura il Consorzio Venezia Nuova ha comprato il silenzio di molti, e in particolare di chi doveva controllare come il Magistrato alle Acque, tentando di far tacere gli irriducibili. Adesso occorre finalmente ascoltare i tecnici indipendenti che hanno sempre criticato l’opera. E dar vita a un nuovo Magistrato alle Acque, non più legato alle Infrastrutture ». Stop al Mose, dunque. Perché dopo le rivelazioni dell’inchiesta tutto va rivisto sottouna nuova luce. «Chiediamo rispetto per Venezia», continua la lettera di Italia Nostra, «anche per quanto riguarda la questione grandi navi». «Caro presidente », scrive ancora la Fersuoch, «le chiediamo anche di non imporre alla nostra città una nuova grande opera contro il parere della comunità scientifica e dei cittadini veneziani, come lo scavo di un canale in mezzo alla laguna per farci passare le grandi navi. Non sarebbe compatibile con la tutela della laguna prevista dalla legge». No al Contorta, dunque, grande opera voluta dal Porto per far passare le navi dirette in Marittima senza attraversare San Marco e il canale della Giudecca. Ipotesi che però non va bene neanche ai comitati Ambiente Venezia e “No Grandi Navi”. «Chiediamo di prendere in considerazione», dice Danella, «progetti più economici e compatibili, come il nuovo terminal a San Nicolò, fuori dalla laguna. Così si tutela la laguna e anche l’attività delle crociere». Ipotesi che il Comitato Cruise Venice però non condivide. E il suo presidente Davide Calderan consegnerà a sua volta una lettera al premier Renzi. Chiedendo la «tutela del lavoro e scelte coraggiose che possano difendere il comparto e i posti di lavoro». «Troppe incertezze e troppo tempo perso», scrive, «hanno causato alle nostre attività soltanto danni». Non ultimala scelta della Costa crociere di dirottare alcune grandi navi su Trieste. «La responsabilità», replica Silvio Testa, ex portavoce del Comitato, «è di chi invece di trovare alternative praticabili ha insistito in questi anni con ipotesi distruttive come lo scavo di nuovi canali. Noi non siamo contro le crociere, ma contro le navi incompatibili».
Alberto Vitucci
Premier all’Arsenale dalle 10,30. Fuori manifestazione anti-Consorzio
Sarà una toccata e fuga quella di oggi a Venezia del presidente del Consiglio Matteo Renzi in occasione della Digital Venice Week, la manifestazione in programma in laguna fino al 12 luglio che è la prima del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea. Renzi prenderà parte dalle 10.30 alle 12.30 all’Arsenale a una riunione con il vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroes a cui prenderanno parte altri rappresentanti di governi europei, in cui verrà discussa la “Carta di Venezia”, un memorandum sui punti chiave per le strategie sulle politiche digitali in Europa. Ma è probabile che nell’occasione Renzi anticipi anche, a margine, alcuni dei programmi per il semestre italiano di presidenza europea. Ma già nella tarda mattinata o al più tardi nel primo pomeriggio Renzi, dovrebbe lasciare Venezia per tornare subito a Roma. Presenti per la Digital Venice Weekanche i ministri Beatrice Lorenzin, Federica Guida e Marianna Madia. I comitati, riuniti in campo all’Arsenale, manifesteranno invece chiedendo al premier di sciogliere il Consorzio Venezia Nuova e bloccare il Mose.
Mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin
Il Fai “espone” il problema grandi navi
Anche il Canale della Giudecca proposto tra i Luoghi del Cuore italiani da tutelare
Il Fai – il Fondo per l’Ambiente Italiano – prende decisamente a cuore il problema del passaggio delle Grandi Navi per il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. Venerdì alle 12 infatti a Villa Necchi Campiglio, a Milano, verrà inaugurata la mostra fotografica «Mostri a Venezia», dedicata proprio alle immagini delle grandi navi da crociera che passano di fronte a Piazza San Marco scattate dal grande fotografo veneziano Gianni Berengo Gardin. Le ventisette fotografie di Berengo Gardin che saranno esposte in mostra ritraggono appunto il quotidiano passaggio delle mastodontiche navi da crociera nel Canale della Giudecca. Un segno forte che il Fai intende lanciare in un momento cruciale per le decisioni del Governo sul problema del passaggio delle Grandi Navi all’interno di Venezia e che coincide anche con l’avvio della nuova campagna del Fondo per la scelta dei Luoghi del Cuore, quelli che cioè gli Italiani amano maggiormente e che sono invitati a votare, proprio per garantirne la tutela. E proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del passaggio delle Grandi Navi da San Marco, il Fai avrebbe già inserito tra i nuovi Luoghi del Cuore che potranno essere indicati dai cittadini anche il canale della Giudecca, per sottolineare così la necessità di difendere – attraverso la principale arteria acquea a fianco del Bacino di San Marco – l’integrità dell’intera Venezia e la sua immagine, messa a repentaglio per molti proprio dal passaggio delle grandi navi da crociera. Un tema caro anche a Ilaria Borletti Buitoni, già presidente del Fai e ora sottosegretario ai Beni Culturali.
L’OPINIONE – Silvio Testa- Autore dei libri “E le chiamano navi” e “Invertire la rotta”
Grandi navi, soluzioni devastanti a Venezia
Se Costa Crociere va a Trieste la colpa non è di chi a Venezia si è opposto a un crocierismo incompatibile proponendo da subito soluzioni alternative ambientalmente sostenibili, rapide da realizzare, che garantirebbero lavoro, indotto, il futuro della Marittima, ma di chi come i ministri Clini (arrestato), Passera, Lupi, la Regione col presidente Zaia e l’assessore Chisso (arrestato), il sindaco Orsoni (arrestato), i presidenti dell’Autorità Portuale, Costa, e della Venezia Terminal Passeggeri, Trevisanato, si sono ostinati per tre anni a sostenere l’indifendibile avanzando “soluzioni” devastanti per la laguna e per la città. Senza dimenticare i sindacati. Paolo Costa è uno dei padrini del Mose,mala sua storica predilezione per il progetto non dovrebbe impedirgli di vedere quanto l’odierno frusciare di tangenti e tintinnare di manette sia frutto anche di una procedura totalmente anomala e costellata di forzature politiche come quella di cui fu protagonista egli stesso il 4 aprile del 2003 quando, in Comitatone, guidò la trasformazione del no del consiglio comunale al Mose in un sì subordinato a undici condizioni “impossibili” che avrebbero imposto una radicale revisione del progetto. Infatti gli undici punti caddero nel dimenticatoio già a partire dal giorno dopo, senza che nessuno in città ritenesse di trarne qualche conseguenza. Vogliamo imparare qualcosa dalla lezione? Continuare con le forzature ambientalmente insostenibili e maturate nel clima e nelle logiche che oggi tutti dicono di voler cancellare? Vogliamo scavare il Contorta Sant’Angelo o, peggio, il folle canale dietro la Giudecca, dato che altre soluzioni, come dice Lupi in un’intervista,sono impraticabili perché così sostiene l’Autorità portuale, cioè Costa stesso? Non sarà il caso, invece, di avviare finalmente un percorso aperto, trasparente, partecipato che eviti le forzature e rimetta le scelte in una carreggiata corretta? Se le cose stanno così, è possibile tenere un Comitatone al quale non partecipi il sindaco della città ma un commissario che dovrebbe limitarsi alle scelte di ordinaria amministrazione? È possibile decidere il futuro della città e della laguna fondandosi su quei progetti che incidentalmente e verrebbe da dire quasi per caso sono sul tavolo senza fare un bando che inviti le migliori intelligenze a risolvere il problema delle grandi navi in laguna prendendo in considerazione anche l’estromissione di quelle incompatibili e incardinando le soluzioni nelle procedure ordinarie? È possibile disegnare il futuro della portualità veneziana senza redigere un nuovo Piano regolatore portuale da sottoporre a Valutazione ambientale strategica e a Valutazione di impatto ambientale? Renzi dovrebbe andarci con i piedi di piombo, se non altro perché, fin che Costa non presenta alla città le carte anziché limitarsi alle dichiarazioni, il progetto di scavo del Contorta vede coinvolti nella sua progettazione gli stessi soggetti al centro dello scandalo del Mose: Magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova(e studi professionali vicini), Mantovani. La delibera regionale che chiede di incardinare il progetto nella legge obiettivo è dell’assessore Chisso, ancora agli arresti. Tutto ciò non vorrà dire nulla, ma sul fatto che anche quel progetto sia figlio appunto di quel clima e di quelle logiche che ora vanno respinte non ci piove. Non si tratta di togliere dal cesto qualche mela marcia e poi continuare tutto come prima: bisogna cambiare cesto. Voltare pagina. Ripristinare il buon senso, finora asservito al potere delle lobby.
l’intervento
di Gianfranco Bettin – Assessore alla Cittadinanza digitale 2010/2014 Comune di Venezia
Renzi e il summit europeo Venezia capitale digitale
‘‘Il ruolo della nostra città è stato conquistato negli anni dall’azienda “Venis” con forti investimenti
Lo scandalo Mose non può cancellare certi risultati
La banda del Mose e la banda larga a fibre ottiche, una cricca di corruttori e corrotti e l’infrastruttura più innovativa sviluppata dalla città in questi anni, si fronteggiano mentre si apre il “Digital Venice 2014”, che vedrà oggi all’Arsenale la presenza di Matteo Renzi. Non è certo per caso che l’importante summit europeo si tiene a Venezia. La città l’ha ottenuto per il suo ruolo d’eccellenza nel contesto digitale italiano ed europeo. Un ruolo conquistato sul campo, insieme alla propria azienda “Venis”, con fortissimi investimenti (circa 14 milioni di euro in pochi anni) che hanno seminato 126 kmdi cavo a 144 fibre ottiche, altri 60 km di cavo a 12/14 fibre per rilegamenti di sedi pubbliche, centinaia di hotspot sia outdoor (oltre 200) che indoor (oltre 70, in biblioteche, sedi civiche, musei, uffici giudiziari ecc.), che hanno consentito la formazione di una eccezionale “comunità civica digitale” (circa 40 mila cittadini residenti e oltre 11 mila city users, coloro che vengono in città per studio o lavoro), centri di alfabetizzazione digitale presenti in tutta la città perché superare il “digital divide” significa sia investire nell’infrastruttura sia promuovere, anche presso i non “nativi digitali” l’uso degli strumenti informatici e della Rete. A questo investimento strutturale, quasi unico nel suo genere in Italia da parte di una amministrazione pubblica, si affianca la più solenne dichiarazione d’impegno, nello stesso Statuto del Comune, a considerare “Internet un’infrastruttura essenziale per il diritto di cittadinanza” e quindi a garantirne l’accesso “in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che lo impediscono, ad adottare “procedure atte a favorire la partecipazione dei cittadini all’azione politica e amministrativa tramite internet” favorendo “la crescita della cultura digitale con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione”. In coerenza, il Comune, in collaborazione con attivisti digitali e gruppi di partecipazione molto attivi in città (come il gruppo #opendatavenezia e la Consulta delle cittadine) ha approvato un Regolamento sulla pubblicazione, l’accessibilità telematica e il riutilizzo dei dati pubblici (open data) fra i più avanzati d’Italia, che dispone la pubblicazione dei dati presenti nelle banche dati comunali e ne consente il libero utilizzo, oltre a essere socio fondatore di “Free Italia WiFi” la rete nazionale di amministrazioni che – insieme a una rivista come “Wired” e a innumerevoli realtà di base impegnate per la cittadinanza digitale – chiedono una svolta nell’insufficiente politica dei governi nazionali in questo campo, in cui l’Italia è ancora molto indietro in Europa e nel mondo, come ha ricordato qui Claudio Giua. Per questi motivi e con questi titoli Venezia ha chiesto e ottenuto di ospitare l’evento europeo. Matteo Renzi è bene che lo sappia, attento com’è alle potenzialità della Rete, strumento vitale di formazione, comunicazione, trasparenza e democrazia nonché infrastruttura decisiva di sviluppo socio-economico e culturale. Lo scandalo – finalmente scoppiato – e l’indagine della Procura – finalmente giunta a scoperchiare il marcio, in città come, anzi soprattutto, in Regione e nei Ministeri romani – non possono offuscare tutto questo. Se Renzi vuol farci un augurio, nel difficilissimo momento attuale, ci dica non tanto “state sereni” (ironici scongiuri a parte) quanto “state serenissimi”, cioè siate all’altezza delle vostra storia, tra attenzione agli elementi basici dell’ecosistema lagunare (il contrario del Mose) e investimento lungimirante sulle nuove tecnologie. Lo stesso che ci aspettiamo dal governo nazionale.
Gazzettino – Baita: volevano che mi operassi per rinviare l’interrogatorio
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6
lug
2014
IL RETROSCENA – Baita e quella strana richiesta degli avvocati «Fatti operare»
Piergiorgio Baita rivela: «Gli avvocati mi consigliarono un intervento chirurgico all’aorta e così avrei rinviato l’interrogatorio. Ma io volevo parlare e uscire al più presto di prigione».
MESSAGGINO «C’è la norma per il Mose. Avverti il nostro amico». E’ il testo di un sms inviato da Marco Milanese al manager di Palladio Finanziaria Roberto Meneguzzo.
INDAGINI – L’ex consigliere del ministro Tremonti, arrestato l’altro ieri, comparirà domani davanti ai giudici. Si cerca di fare chiarezza sulla tangente che gli sarebbe stata pagata da Mazzacurati.
I DIFENSORI – Dissi che non mi sarei ricoverato, loro rinunciarono all’incarico per incompatibilità
LA VISITA – I cardiologi mi misurarono solo la pressione. La parcella? 15mila euro
Baita: volevano che mi operassi per rinviare l’interrogatorio
Gli avvocati Longo e Rubini erano preoccupati per la salute del manager della Mantovani
Ma lui rifiutò: «Sono iperteso ma non sto così male, voglio parlare e uscire presto di prigione»
Lui voleva vuotare il sacco, i suoi avvocati invece volevano che il sacco restasse ben chiuso. Per il suo bene, ovviamente. Per studiare le carte e decidere il da farsi. Ma siccome c’era in ballo un interrogatorio e Piergiorgio Baita era deciso a parlare, i suoi legali gli hanno proposto un ricovero in clinica per un intervento all’aorta. Subito dopo Baita ha cambiato avvocati. Si scopre anche questo leggendo le carte della maxi inchiesta sul Mose e cioè che il principale accusatore, l’uomo che ha inventato il sistema delle tangenti e lo ha smantellato, il genio della “retrocessione” e della “sovrafatturazione”, una volta arrestato non aveva alcuna intenzione di marcire in carcere. E, dunque, Piergiorgio Baita dice ai suoi difensori, Piero Longo e Paola Rubini che ha intenzione di parlare. I due legali lo sconsigliano e gli propongono una operazione al cuore se vuole evitare l’interrogatorio. Ma lui, Baita, non aveva nessuna intenzione di operarsi. «Ma assolutamente! Io strutturalmente sono un iperteso, però ho una pressione che è controllata dai farmaci, e ho rifiutato» – spiega Baita ai pm Stefano Ancillotto e Stefano Buccini. Peccato perché, stando sempre al racconto di Baita, i due legali avevano già in testa il posto giusto per l’intervento, la clinica Gallucci di Padova ovvero uno dei migliori centri cardiologi d’Europa. Volevano trattarlo con i guanti, si preoccupavano della sua salute e lui equivoca «è stato quello che io ho preso paura» – dice ai magistrati. Peraltro i legali si erano anche preoccupati di controllare il suo stato di salute mandandogli in carcere un paio di cardiologi, proprio per preparare il ricovero. Ma Baita, poco riconoscente, li liquida così: «I cardiologi che sono venuti mi hanno misurato la pressione, non mi hanno visitato, eh. Mi hanno misurato solo la pressione, che l’hanno trovata, tra l’altro, regolare».
I pm con sottile perfidia chiedono: «Quindi tutta la visita che poi avrebbe portato a un’operazione chirurgica sarebbe da considerare una misurazione di una pressione?».
La risposta di Baita: «Sì. E anche con una parcella importante: di 15mila euro».
DOMANDA – «Per misurarle la pressione?»
RISPOSTA – «Sì».
DOMANDA – «Dopodiché questi cardiologi o comunque i suoi difensori cosa le hanno proposto?»
RISPOSTA – «No, quando… sono stato io che gli ho detto che non mi sarei mai fatto ricoverare. Se per non rendere un interrogatorio dovevo farmi operare, io rendo l’interrogatorio, perché non avevo nessun tipo di remora nel… E a quel punto hanno rinunciato, quindi spiegandomi che c’erano delle incompatibilità con delle persone».
L’avvocato Piero Longo divide infatti lo studio con Niccolò Ghedini (assieme al quale è legale di Silvio Berlusconi) di cui è stato maestro. Secondo gli avvocati Longo e Rubini – che smentiscono decisamente la ricostruzione fatta da Baita e parlano di “enfasi accusatoria” da parte dell’ex amministratore delegato di Mantovani – la rinuncia al mandato da parte loro avvenne nello stesso momento in cui Baita li avvertì che aveva intenzione di collaborare con la magistratura veneziana. «L’incompatibilità, a termini di codice deontologico, era determinata dal fatto che l’ing. Baita, nostro storico cliente, era perfettamente a conoscenza che, nostro cliente da molti anni, era anche il Consorzio Venezia Nuova e l’ing. Mazzacurati. Tutto il resto è pura fantasia». Resta il fatto che Baita, proprio di Ghedini ha parlato in uno dei suoi interrogatori. Di Ghedini e della sua irritazione per il fatto che a Forza Italia non arrivano contributi sufficienti dal Consorzio.
LO SCANDALO – Quell’sms a Meneguzzo (Palladio): «C’è la norma sul Mose. Tranquillizza il nostro amico»
I misteri dell’ex consigliere di Tremonti
I pm vogliono capire che fine abbia fatto la mazzetta da mezzo milione che Mazzacurati avrebbe pagato a Milanese
La tangente doveva servire per sbloccare i fondi del Cipe destinati alle dighe mobili
IL VICENTINO – Il manager teneva i contatti per conto del capo del Cvn
L’avviso a Meneguzzo: «C’è la norma Mose, tranquillizza l’amico». E al Consorzio si preparava la mazzetta
Un sms incastra Milanese
DOMANI – Tangente di 500mila euro, l’ex consigliere di Tremonti davanti al giudice di Napoli
IL FASCICOLO – I nodi per i pm di Milano: la destinazione dei soldi e il ruolo dell’ex ministro
MARCO MILANESE – Nato a Milano nel 1959, avvocato, già ufficiale della Finanza. Nel 2001 entra a far parte dello staff del ministro dell’economia Giulio Tremonti. Aderisce poi a Forza Italia
Sarà interrogato domani mattina dal gip di Napoli, Marco Milanese, consigliere politico fino al 2011 dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, arrestato con l’accusa di corruzione in relazione ad una presunta “mazzetta” di 500mila euro che il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, sostiene di avergli versato a Milano, il 14 giugno del 2010, nella sede della Palladio Finanziaria, in cambio del suo aiuto per sbloccare i fondi del Cipe destinati alla prosecuzione del Mose.
Milanese potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, riservandosi di parlare di fronte ai pm di Milano, Roberto Pellicano e Luigi Orsi, ai quali i colleghi veneziani Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, hanno già trasmesso gli atti per competenza territoriale. Il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, ha disposto l’arresto dell’ex onorevole del Pdl in via d’urgenza per evitare «un intenso pericolo di reiterazione» di reati dello stesso tipo. Ma, entro 20 giorni, il provvedimento dovrà essere rinnovato dal gip di Milano, al quale spetterà anche il compito di confermare il sequestro dei suoi beni fino all’ammontare di 500mila euro.
Assieme a Milanese risulta indagato per corruzione anche il vicentino Roberto Meneguzzo (agli arresti domiciliari): Mazzacurati ha raccontato, infatti, che fu il manager della Palladio Finanziaria a metterlo in contatto con il collaboratore di Tremonti, spiegandogli che bisognava pagare. E, pochi giorni fa, Stefano Tomarelli della società Condotte, ha confermato ai pm veneziani che Mazzacurati gli disse di aver «dato del denaro a Milanese… per Mazzacurati era un problema fondamentale riuscire ad arrivare a convincere il ministro Tremonti che le cose, i finanziamenti potessero andare avanti…»
L’allora ministro dell’Economia non risulta indagato: spetterà alla Procura di Milano approfondire la sua posizione. Se risultasse confermato che Milanese ha davvero intascato quei soldi, bisognerà capire se li ha tenuti per sé o se siano finiti (in parte o integralmente) ad altri. E soprattutto a chi.
Mazzacurati nei suoi interrogatori dichiara di aver parlato di soldi soltanto con Milanese. Ma racconta di aver incontrato anche Tremonti, nella sede del ministero dell’Economia, a Roma. A condurlo dal ministro sarebbe stato proprio Milanese.
I contatti telefonici tra Milanese e Meneguzzo furono numerosi in quel periodo, così come quelli tra Meneguzzo e Mazzacurati. «Al Consiglio di domani c’è la norma per il Mose. Avverti il ns amico e tranquillizzalo!», scrive Milanese il 24 maggio 2010 via sms all’ad di Palladio, il quale inoltra il messaggio a Mazzacurati. Il 25 maggio il Cipe approva il finanziamento per il Mose e lo stesso giorno al Cvn si svolge una riunione per raccogliere i soldi da versare a Milanese.
Alcuni colloqui telefonici intercettati dalla Finanza nei giorni successivi confermano, secondo gli inquirenti, la dinamica dei fatti contestati. Il 28 maggio Meneguzzo telefona al presidente del Cvn per sapere «… come stava procedendo questa cosa». E Mazzacurati gli risponde che «…sembra tutto a posto …non ho ben capito sui tempi». Nello stesso colloquio il presidente del Cvn conferma di aver parlato con Tremonti: «… quel giorno del mio colloquio… col ministro… ho detto esplicitamente che c’erano parecchi lavori finanziati che non partivano… che erano in ritardo di tre anni…»
Gianluca Amadori
A proposito di…
LO STATO DI SALUTE DI RENATO CHISSO
Vorrei rispondere agli amici di Renato Chisso in merito alla loro preoccupazione per la salute di Renato. Che non stia bene è normalissimo, si è mai visto un politico in carcere che goda di ottima salute? Ma questi signori si sono mai preoccupati della salute di quei piccoli imprenditori che si sono suicidati per aver perso tutto, oltre alla salute anche la propria dignità, grazie alla cosidetta crisi economica? Secondo me se i politici incriminati fossero sati persone oneste, non saremmo in queste condizioni disastrose e molti dei colleghi suicidatisi a causa loro sarebbero ancora in vita a dar lavoro a onesti cittadini. Concludo con un augurio a Renato: tieni duro e pensa alla salute che un pò di carcere fa bene a te e a tutti noi onesti cittadini.
Vincenzo Battaiotto – Cavallino Treporti
La precisazione
NESSUN CONTRIBUTO DAL CONSORZIO
In relazione alle notizie apparse nel Gazzettino, che affermano che il Consorzio Venezia Nuova avrebbe finanziato in più occasioni “Regata Storica” e “Redentore” mi sento di poter escludere che negli anni (2010, 2011, 2012, 2013) in cui ho personalmente seguito tali eventi, da assessore al turismo e alle tradizioni, il mio assessorato abbia ricevuto alcun contributo dal Consorzio. Sarebbe gradito, per il rispetto della verità, che venissero precisate le edizioni che sarebbero state oggetto di eventuale contributo.
Roberto Panciera – già assessore Comune di Venezia
«Sciogliere il Consorzio. E diciamo no al Mose»
ALL’ARSENALE – Presidio dei Comitati per l’arrivo di Renzi
VENEZIA – Un presidio davanti all’ingresso dell’Arsenale e un corteo contro le grandi navi e i lavori del Mose, alla luce dell’inchiesta della procura di Venezia, è stato deciso da alcuni comitati ed associazioni in occasione martedì dell’inaugurazione di ‘Digital Venice’, con la prevista presenza del premier Matteo Renzi.
Al premier saranno avanzate cinque proposte: scioglimento della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova; moratoria dei lavori alle bocche di porto; ispezione tecnica sui lavori del sistema Mose affidata a una Authority indipendente che studi la possibilità di riconversione del sistema; no ad altri scavi in laguna; grandi navi fuori della laguna in un avamposto alla bocca di porto del Lido. Oltre alla richiesta di elezioni comunali a ottobre, i firmatari indicano che intendono essere ricevuti da Renzi.
VENEZIA – I centri sociali “aspettano” il premier Renzi
L’appello è alla mobilitazione generale. Tutti contro il Mose, contro il Consorzio Venezia Nuova e contro le grandi opere nel Veneto approfittando della “grande vetrina” del Digital Week 2014, il grande incontro che inizia domani alle Tese dell’Arsenale organizzato dall’Unione Europea e dal governo italiano che da pochi giorni è alla guida del semestre europeo alla Presideza di Bruxelles.
Così, proprio in queste ore, le associazioni dell’arcipelago ambientalista e della sinistra antagonista e no global hanno lanciato un vero e proprio appello internazionale affinchè ci sia una “accoglienza” di protesta, All’incontro internazionale, oltre ad esperti ed economisti, sarà presente anche la vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroes. Infatti il tam tam degli antagonisti, e che sarà enfatizzato anche nelle prossime ore, sarà quello di invitare più gente possibile ad un presidio allestito per martedì 8, alle 10, in campo dell’Arsenale davanti alla Porta dei Leoni per poi raggiungere l’ingresso dell’Arsenale (dove vi è l’entrata dei padiglioni della Biennale) e da lì raggiungere l’area delle Gaggiandre di fronte alla Torre di Porta Nuova (comunque al di qua dell’acqua) di fronte alle Tese dove vi saranno Renzi e Kroes, per una manifestazione di protesta. E sul piatto della bilancia, la manifestazione metterà praticamente tutti i temi legati a queste ultime settimane dallo scandalo Mose fino alle grandi opere.
«Abbiamo cinque obiettivi imprescindibili da imporre a Matteo Renzi – si dice in una nota delle associazioni ambientaliste e no global – Noi puntiamo e rivendichiamo lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova; la moratoria sui lavori alle bocche di porto; l’ispezione tecnica sul sistema Mose affidata ad una authority indipendente che studi le possibilità di riconversione mediante una variante in corso d’opera; il no deciso allo scavo del canale Sant’Angelo Contorta e a qualsiasi altra via d’acqua, e lo stazionamento delle grandi navi fuori dalla laguna all’altezza della bocca di porto di Lido. Infine chiediamo che una delegazione venga ricevuta dal premier Renzi». L’appello alla mobilitazione è stato finora sottoscritto da Comitato No Grandi Navi-Laguna Bene Comune, Associazione Ambiente Venezia e Rete Veneta contro le Grandi opere. «Ribadiamo la nostra posizione anche sulle vicende che riguardano il comune di Venezia – dicono le associazioni – Per noi si deve andare al voto al più presto, già nel prossimo autunno».
8 luglio 2014 ore 10 – Tutti da Renzi
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5
lug
2014
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Nuova Venezia – Mose, arrestato l’uomo di Tremonti
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5
lug
2014
Mose, arrestato l’uomo di Tremonti
In cella l’ex deputato Marco Milanese, sequestrati beni per500mila euro
Arrestato Milanese, dirottò i fondi del Cipe
L’ex braccio destro di Tremonti accusato di aver incassato mezzo milione
Il giudice ha chiesto anche il «sequestro per equivalente» di 500 mila euro
L’ex ufficiale della Gdf continua a intessere rapporti con militari politici e faccendieri
VENEZIA – Il trentacinquesimo arresto è scattato ieri, a un mese dagli altri, in un ristorante romano all’ora del pranzo. È quello di Marco Milanese, accusato di corruzione. I finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia lo hanno cercato per l’intera mattinata e alla fine lo hanno rintracciato nel locale della capitale e poi trasferito nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: in realtà, la richiesta di arresto per Marco Milanese, ex ufficiale della Guardia di finanza, ex consigliere dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti ed ex parlamentare di Forza Italia, era stata avanzata già nel dicembre dello scorso anno, assieme a tutte le altre, ma poi i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini avevano revocato la richiesta perché c’erano alcune telefonate intercettate sui cellulari di Giovanni Mazzacurati e di Roberto Meneguzzo in cui spuntava la voce di Milanese, all’epoca parlamentare, che non poteva essere intercettato neppure indirettamente. Il 10 giugno scorso hanno riproposto al giudice veneziano Alberto Scaramuzza l’arresto, evitando di utilizzare quelle intercettazione e usando i nuovi interrogatori degli arrestati, come quello dell’amministratore della «Palladio Finanziaria», il vicentino Roberto Meneguzzo, e quello dell’imprenditore romano Stefano Tomarelli di «Condotte». Il Tribunale del riesame, però, la settimana scorsa aveva spiegato che proprio la tangente di 500 mila euro a Milanese il presidente del Consorzio Venezia Nuova aveva raccontato di averla consegnata a Milano, nella sede nel capoluogo lombardo della «Palladio» di Meneguzzo. Dunque a indagare dovevano essere i pubblici ministeri di Milano e per questo i giudici veneziani avevano spedito per competenza territoriale a Milano il fascicolo che riguarda Milanese, Meneguzzo e il generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante. Così, il giudice veneziano Scaramuzza, nella sua ordinanza di custodia cautelare, ha dovuto spiegare che c’era «l’urgenza a provvedere, nonostante la dichiarazione di incompetenza territoriale ». «Nonostante Milanese fosse ormai perfettamente a conoscenza dell’indagine a suo carico », scrive il magistrato lagunare, «stando all’ultima integrazione della Procura del 2 luglio, ha continuato anche di recente in comportamenti analoghi a quelli del passato: contattando un elevatissimo ufficiale della Guardia di finanza per influire su dinamiche interne ai corsi dell’Accademia, ottenendo quanto richiesto; continuando a contattare utenze del Comando generale della Guardia di finanza a Roma; venendo contatto da appartenente al Nucleo di Polizia tributaria di Roma, che gli chiede come favore di intervenire su una questione relativa alla sospensione da parte del ministero della Salute di un decreto autorizzativo per imbottigliare e commercializzare un’acqua minerale, organizzando per questo motivo incontri riservati». Per il giudice «tutto ciò conferma che Milanese è ancora in grado adesso di contare su elevatissime relazioni che gli permettono di interloquire e soprattutto di interferire nell’esercizio di pubblici poteri per interessi privati, nonostante i precedenti e le pendenze giudiziarie. Questo rende indispensabile emettere subito la misura richiesta contestualmente alla dichiarazione di incompetenza ». A Milanese, per cui c’è la richiesta di sequestro di beni per 500 mila euro, nell’ordinanza veneziana, viene contestato di aver agito con «atti contrari ai doveri d’ufficio nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera del Cipe numero 31 del 2010 e nei decreti collegati anche la somma relativa ai lavori gestiti dal Consorzio, inizialmente esclusi dal ministro dell’Economia Tremonti, in cambio del pagamento di 500 mila euro dallo stesso Milanese sollecitato: somma che gli veniva consegnata personalmente da Mazzacurati. Tutto questo grazie all’intermediazione di Meneguzzo che si attivava per mettere in contatto i due». A riferire con dovizia di particolari, ad esempio che i 500 mila euro erano dentro una scatola, sono stati Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita. Meneguzzo, oltre a presentare Milanese al presidente del Consorzio era anche riuscito a organizzare gli incontri di Mazzacurati con Gianni Letta, allora sottosegretario a Palazzo Chigi, e soprattutto con Tremonti, prima della riunione del Cipe che poi aveva dato via libera ai finanziamenti per il Mose, in precedenza bloccati, perché destinati ad altre opere in Italia. Al Consorzio arrivarono così 420 milioni dei 1424 complessivi.
Giorgio Cecchetti
il giudice del riesame
«Un fiume di denaro per politici e funzionari»
La complessità del sistema ha portato il Consorzio a instaurare «rapporti particolari»
Mazzacurati telefonò a Gianni Letta per finanziare un film del figlio Carlo
VENEZIA Il giudice di Milano avrà venti giorni di tempo, in base alla legge, per rinnovare l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal collega di Venezia e che ieri ha portato in carcere per corruzione l’ex parlamentare del Pdl Marco Milanese. Ad occuparsi dell’inchiesta stralcio sul Mose proveniente dalla laguna sono i pubblici ministeri Roberto Pellicano e Luigi Orsi, in base alla decisione del procuratore Edmondo Bruti Liberati: i due pm hanno già ricevuto la scorsa settimana la prima documentazione. Ieri, intanto, il presidente del Tribunale del riesame Angelo Risi ha depositato le motivazioni a causa delle quali è stato respinto il ricorso dell’imprenditore della «Grandi Lavori Fincosit» di Roma […………………….], che è rimasto in carcere. Nel documento il magistrato riassume l’intera vicenda a partire dalla Legge speciale del 1984 e dalla Legge obiettivo del 2001. «La complessità dell’intera procedura e la continua necessità di finanziamenti da parte del potere politico e amministrativo», si legge, «hanno portato i dirigenti del Consorzio ad instaurare uno stretto legame con i pubblici ufficiali da cui dipendeva la sopravvivenza del Consorzio… Sono maturate elargizioni del denaro aventi due direzioni: da una parte in favore del potere politico, allo scopo dei evitare interruzioni nell’attività di finanziamento, dall’altro lato nei confronti dei singoli funzionari preposti al rilascio delle autorizzazioni e ai controlli, al fine di accelerare qualunque atto e comunque a non ostacolare l’attività». Per il Tribunale, grazie alle dichiarazioni di Mazzacurati, Baita, Savioli e Tomarelli, il presidente del Consorzio «convocava regolarmente i consorziati aventi perso decisionale maggiore per numero di quote, vale a dire […………], Baita e Tomarelli allo scopo di comunicare le decisioni assunte e chiedere il loro assenso, Stando ai conti del magistrati, il fondo nero costituito per pagare tangenti e contributi elettorali sarebbe stato di 15 milioni e 700 mila euro in pochi anni. Nel documento si ricostruisce con esattezza la vicenda della tangente di 500 mila euro versata il 14 giugno 2010 a Milanese, dopo che il Cipe il 13 maggio precedente aveva dato il via libera ai finanziamenti del Mose, grazie all’intervento del ministro Tremonti, di cui Milanese era uno strettissimo collaboratore. Oltre a Mazzacurati, della mazzetta per l’ex ufficiale della Guardia di finanza parlano Baita e Claudia Minutillo. E poi c’è l’incrocio dei tabulati dei cellulari di Mazzacurati, Milanese e Meneguzzo. Infine, nel documento, si fa anche riferimento a una telefonata che Giovanni Mazzacurati avrebbe fatto al sottosegretario Gianni Letta per finanziare attraverso il ministero dei Beni culturali un film del figlio Carlo. Giorgio Cecchetti
L’APPELLO DEI DOCENTI IUAV STEFANO BOATO E CARLO GIACOMINI
«La concessione unica al Cvn è illegittima e va revocata»
C’è una legge dello Stato, la 139, che da vent’anni ha abolito la concessione unica. Ma non è mai stata applicata. E ci sono altre due leggi – tra cui la 537 del 1995 – che non sono mai state prese in considerazione. Dunque, la concessione unica è «illegittima». Un appello al premier Renzi, annunciato in visita in laguna martedì prossimo e ai parlamentari veneziani viene da un gruppo di urbanisti veneziani. Stefano Boato e Carlo Giacomini, entrambi docenti Iuav noti per la loro decennale battaglia anti Mose, hanno messo a punto un dossier, studiando leggi e direttive comunitarie, che sarà adesso consegnato al presidente del consiglio. Chiedono di sospendere gli «atti aggiuntivi», convenzioni successive alla grande Convenzione quadro del 1991 che definiscono «artifici per aggirare la legge che abolisce la concessione unica». «Bisogna fare una pausa e sospendere l’erogazione dei fondi», dicono Boato e Giacomini, «affidare i controlli dei lavori e del progetto a un ente scientifico terzo, autorevole e indipendente, per vedere cosa si può fare». Difficile a questo punto rimuovere dai fondali i cassoni di calcestruzzo e tornare indietro. «Anche questi sono interventi contro la Legge Speciale, che parlava di gradualità, reversibilità e sperimentalità», dice Giacomini. Che propone al governo di mettere in piedi «una nuova struttura pubblica efficiente per il controllo», affidata al ministero dell’Ambiente. «Anche per toglierla dalle mani», dice, «di chi da trent’anni governa il Mose e la laguna come fosse un’infrastruttura». Sospensione dei cantieri, dunque. E una verifica su quello che si può ancora fare, a cominciare dai controlli sulle cerniere e sulle profondità dei fondali, sui rischi di rottura e la manutenzione». Togliere la concessione, dicono i due docenti. E intanto ridurre gli «oneri del concessionario» dal 12 al6 per cento. E impedire in futuro che lo stesso soggetto che progetta i lavori sia quello che li esegue. (a.v.)
Galan, tour de force per la Giunta della Camera
La Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera tornerà a discutere, la prossima settimana, della richiesta di arresto per Giancarlo Galan, chiamato in causa per l’inchiesta sul Mose. La Giunta è stata convocata per mercoledì 9 alle ore 13 e per giovedì 10 alle 13.15.A seguire ci sarà l’ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi. Secondo il calendario previsto la votazione in Giunta sulla richiesta di arresto dovrà arrivare entro l’11 luglio.
La resistibile ascesa dell’ombra di Tremonti
Vita e carriera politica dell’ex parlamentare del Popolo delle libertà
Nell’inchiesta le auto, i viaggi e gli orologi pagati perché vicino al ministro
VENEZIA – Per almeno dieci anni è stato l’ombra di Giulio Tremonti. Ed ora il prossimo obiettivo dell’inchiesta veneziana potrebbe essere proprio l’ex potente ministro dell’Economia dei governi Berlusconi. Ma per lui, Marco Milanese, la definizione più azzeccata è probabilmente quella dell’assicuratore Paolo Viscione che, ascoltato da un magistrato napoletano, lo definisce «uno scapocchione», un fancazzista, spinto a pedate dal padre negli ambienti che contano. Con ottimi risultati. Cinquantacinque anni, ufficiale della Guardia di Finanza (arriva al grado di generale), Milanese è lo stesso che da deputato del Pdl offre ospitalità in un appartamento di via Campo Marzio a Roma al suo ministro, facendosi pagare in nero l’affitto (Tremonti ha patteggiato per questo quattro mesi di reclusione). In un paese normale dopo tre inchieste, due richieste d’arresto e un rinvio a giudizio, sarebbe stato cacciato persino da un caffé di periferia. E invece Milanese, non più deputato, è oggi professore della Scuola superiore dell’Economia e delle Finanze – la scuola del Ministero dell’Economia, oggi guidato da Pier Carlo Padoan –: un incarico da 194 mila euro l’anno (ridotto della metà dallo scorso dicembre). Del resto, il suo curriculum parla da solo: laurea in Giurisprudenza a Salerno, laurea in Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria a Roma Tor Vergata, master in Diritto Tributario dell’Impresa «cum laude» alla Bocconi, corso di perfezionamento alla Luiss su «elusione ed evasione fiscale internazionale ». Dal 2001 ufficiale Aiutante di campo del ministro Tremonti, poi consigliere politico e infine deputato del Pdl, a muoversi nel mondo romano deve aver imparato molto bene e molto in fretta: tranquillizzava gli imprenditori preoccupati di qualche verifica fiscale con un rassicurante «ci penso io». Amante dei viaggi all’estero, delle barche, delle belle auto e degli orologi di prestigio, i suoi accusatori hanno ammesso di avergli concesso la disponibilità di una Bentley nera, di avergli regalato una Ferrari 612 Scaglietti e di avergli pagato diversi orologi Patek Philippe. L’assicuratore napoletano che lo accusa ha riferito di avergli pagato anche il Capodanno 2010 a New York, prenotato in un’agenzia di viaggi romana il cui nome calza a pennello: «Liberi tutti, srl». A Venezia è accusato di aver intascato mezzo milione di euro da Giovanni Mazzacurati, consegnati negli uffici milanesi di Palladio finanziaria per agevolare lo sblocco dei fondi Cipe per il Mose. Dietro a quei soldi persino una storia curiosa: il contante fu recuperato con il meccanismo della «retrocessione» dal contabile del Consorzio Venezia Nuova Luciano Neri, giusto nel giorno in cui la Guardia di Finanza iniziava la verifica fiscale negli uffici del Mose. Neri, che teneva i soldi nel cassetto, li nasconde dietro l’armadio e poi torna a recuperarli la sera, a uffici chiusi. Il giorno dopo Mazzacurati li porta a Milano. E pure si vanta al telefono dell’impresa.
Daniele Ferrazza
Quelli rovinati dal Mose
Il diritto di critica processato nei tribunali
L’ultimo caso riguarda gli ingegneri Di Tella, Vielmo e Sebastiani che presentarono a Cacciari il progetto “Paratoie e gravità”
VENEZIA – I danneggiati del Mose. Non c’è soltanto chi ha preso soldi (tangenti, contributi, studi) dal Consorzio Venezia Nuova. Ma anche chi avendo criticato la grande opera si è ritrovato in tribunale con richieste danni. L’ultimo caso è quello di Vincenzo Di Tella, ingegnere esperto in tecnologie sottomarine. Suo, insieme agli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani, il progetto delle «Paratoie a gravità», alternativa al Mose – «meno costosa e più affidabile », garantivano gli ingegneri – presentata in Comune nel 2006 dal sindaco Massimo Cacciari. Il governo non l’aveva nemmeno considerata. E il Consorzio aveva citato in tribunale Di Tella, chiedendogli mezzo milione di euro di danni. Alla fine l’ingegnere era stato assolto. «Diritto di critica», aveva sentenziato il giudice. «Non avevo offeso nessuno», ricorda, «solo messo in dubbio il funzionamento della struttura, perché il sistema con cui avevano fatto le prove era quello dei modelli matematici, senza prove in vasca. Li ho sfidati pubblicamente, ma non hanno mai accettato il confronto. Nemmeno quando la società di ingegneria Principia aveva messo nero su bianco le «criticità » del sistema Mose e la tenuta delle paratoie in caso di mare agitato. Altra querela milionaria quella presentata nel 2005 dal Consorzio ai danni di Carlo Ripa di Meana, ex commissario europeo all’Ambiente ed ex presidente della Biennale che da candidato sindaco aveva condotto allora una campagna molto forte contro i danni ambientali della grande opera. «Mi avevano chiesto tre milioni di euro», ricorda, «poi la querela era stata ritirata davanti al Tribunale di Perugia. Adesso la storia ci dà ragione». Un plotone di avvocati di peso – a Venezia Alfredo Bianchini e Alfredo Biagini, a Milano lo studio Vanzetti. Cause e risarcimenti che in qualche caso hanno prodotto l’uscita degli interessati dalla battaglia contro il Mose. Come nel caso di Riccardo Rabagliati, ex direttore dell’Accademia di Belle Arti e presidente della sezione veneziana di Italia Nostra. Alla fine degli anni Ottanta aveva affisso in città decine di locandine del settimanale «Il Mondo» con la foto del Mose davanti a San Marco e lo slogan «Le idiozie che costano miliardi». Querela ritirata dopo molti anni. Ma Italia Nostra nel frattempo era stata «azzoppata» dalle richieste di danni. Denunce qualche anno più tardi anche per i dimostranti del Morion che avevano occupato i cantieri e la sede del Consorzio in campo Santo Stefano. Una delle cause più note era stata quella intentata ai due fratelli Spagnuolo, geometri padovani che avevano lavorato per la diga del Vajont. Per anni avevano esposto manifesti e distribuito volantini e dossier in campo San Salvador, denunciando la «pericolosità» del Mose. La vicenda penale si era conclusa per la morte di entrambi. «Non solo richieste danni, molti di noi hanno pagato per la loro opera di tecnici indipendenti», ricorda Andreina Zitelli, docente Iuav e componente della commissione Via (Valutazione di Impatto ambientale) che nel 1998 aveva bocciato il Mose. «Io, Zitelli e Vittadini fummo oggetto di una campagna denigratoria», ricorda Carlo Giacomini, anche lui docente Iuav, «solo perché avevamo fatto il nostro dovere. All’epoca c’erano i tecnici inossidabili e quelli ossidabili. Noi facevamo parte della prima categoria». Difficoltà al Cnr anche per Georg Umgiesser, che aveva dimostrato l’efficacia delle opere alternative al Mose per ridurre le acque alte, per l’ingegnere idraulico Luigi D’Alpaos («Il Mose aggrava lo squilibrio della laguna») e per Paolo Pirazzoli, del Cnr francese. Polemiche e vicende che dopo l’inchiesta vanno rilette sotto un’altra luce.
Alberto Vitucci
‘‘LAVORI TERZA CORSIA A4
La prefettura di Udine emette una interdittiva antimafia
UDINE – La Prefettura di Udine ha emesso un’interdittiva antimafia nei confronti dell’impresa di costruzione Rizzani De Eccher, su segnalazione della Direzione investigativa antimafia. L’impresa sta realizzando, insieme ad altre, i lavori per la terzia corsia dell’A4 Mestre-Trieste. In una nota diffusa, l’azienda friulana esprime «stupore e sconcerto» assicurando la massima collaborazione e minacciando azioni legali a tutela della propria immagine. «Il Presidente del Consiglio di Amministrazione Marco de Eccher – recita la nota dell’impresa – manifesta il proprio stupore e personale sconcerto per un provvedimento che, ove effettivamente adottato, sarebbe senza alcun dubbio privo di qualsivoglia fondamento, del tutto ingiustificato e gravemente lesivo dell’immagine del Gruppo». Il provvedimento di interdittiva riguarda la società Tilliaventun – società di progetto costituita al 50% da Rizzani DeEccher spa e Pizzarotti&C. Il commissario della terza corsia conferma di aver ricevuto l’interdittiva e di aver interpellato l’Avvocatura generale dello Stato per conoscere le procedure del caso. La Tilliaventum risulta aggiudicataria, in via provvisoria con la formula del general contractor (che comprende la progettazione definitiva e la realizzazione di un’opera) del terzo lotto della terza corsia della A4 da Ponte Tagliamento a Gonars. La comunicazione di interdittiva serve per scongiurare il pericolo che nei lavori gestiti dall’impresa vi possano essere delle infiltrazioni della criminalità organizzata. De Eccher si è aggiudicata i lavori insieme a Pizzarotti (con un ribasso del 46%) ma i lavori non sono ancora cominciati perché è in fase di completamento la progettazione esecutiva. L’importo del cantiere è di 299,7 milioni di euro. Quanto ai lavori tra Quarto d’Altino e San Donà, in corso di ultimazione, le imprese che si sono aggiudicate (ribasso del 28%) il lavoro sono Impregilo, Mantovani, Consorzio veneto cooperativo, Cosostramo e Carro, per un valore di 224,6 milioni di euro. La società di costruzioni, pur non potendo allo stato «esprimere alcuna considerazione sul contenuto del citato provvedimento che non è stato in alcun modo e forma comunicato alla Società, si dichiara certa che lo stesso sia frutto di scarsa conoscenza dell’operatività del Gruppo e sia stato adottato su presupposti del tutto errati e fuorvianti. A tal proposito ricorda che il Gruppo ha sempre operato nel pieno rispetto di tutte le disposizioni di legge e misure atte a prevenire qualsiasi rischio di illegalità nei propri cantieri ed in particolare, nel caso della Terza Corsia della A4, ha sottoscritto con la Committente e la Prefettura competente uno specifico Protocollo di Legalità ». Rizzani De Eccher è attiva nel settore infrastrutture e grandi lavori in oltre 20 paesi del mondo con 2.800 dipendenti.
Daniele Ferrazza
L’AZIENDA: «STUPORE E SCONCERTO»
La De Eccher nel mirino Dia
Scandalo soprattutto veneto e romano
Un mese fa, grazie alla formidabile indagine della magistratura veneziana, scoppiava lo “scandalo Mose”che in realtà è lo “scandalo Consorzio Venezia Nuova”. Sene parla come di una vicenda “veneziana” ma Venezia, in questa pessima storia, è solo la scena del crimine. I veri luoghi in cui siè ordito e perpetrato il malaffare sono gli uffici di comando del Consorzio Venezia Nuova e, istituzionalmente, sono soprattutto la Regione Veneto e i ministeri romani, con le loro propaggini locali,come il Magistrato alle Acque, e i servitori dello Stato infedeli presenti nelle Finanza e nella Corte dei Conti e altrove, insieme ai loro complici, a volte sedotti a volte corrotti. Lo scandalo, quindi, è anche veneziano ma soprattutto veneto e romano. A Ca’ Farsetti, sede del Comune, la corruzione legata al Consorzio non è mai entrata,anche se le accuse a Orsoni, da candidato sindaco, ne hanno causato lo scioglimento (di cui rischiano di giovarsi soprattutto i poteri locali e romani alleati da sempre proprio al Consorzio).È importante ribadirlo, per non offrire alibi e nascondigli ai veri responsabili e ai veri covi del malaffare. Un mese dopo, i materiali della cruciale indagine della Procura veneziana lo confermano: occorre tagliare non solo la testa ma rimuovere tutte le membra del sistema corruttivo che hainquinato e distorto la democrazia e l’economia e pesantemente condizionato la stessa opinione pubblica.
Gianfranco Bettin – Associazione “In Comune”, Venezia
Gazzettino – Tangenti Mose, in manette Milanese
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5
lug
2014
L’INCHIESTA – La mazzetta pagata nella sede di Palladio. Durissimo il gip: persona di eccezionale pericolosità sociale
Tangenti Mose, in manette Milanese
L’ex consigliere di Tremonti avrebbe incassato mezzo milione per sbloccare alcuni finanziamenti al Cipe
Atti trasmessi alla Procura di Milano per competenza
La mazzetta versata nella sede lombarda della Palladio Finanziaria
CORRUZIONE – Mezzo milione di euro pagato da Mazzacurati per “oliare” il Cipe
Tangenti in laguna arrestato Milanese ex uomo di Tremonti
IL PERSONAGGIO – Da Mani Pulite a Montecitorio ascesa e caduta di un finanziere
L’ex tenente colonnello delle Fiamme gialle ed ex deputato Pdl, oggi 55enne ha avuto come sponsor il “superministro economico” dei governi Berlusconi
MILANO – E pensare che si era messo in luce, giovane e brillante ufficiale della Guardia di finanza, lavorando con Antonio Di Pietro e con il pool investigativo della Procura di Milano che aveva scoperchiato il pozzo nero dello scandalo di Tangentopoli vent’anni fa. Era il 1994.
Da allora Marco Milanese, nato a Milano 55 anni fa da genitori venuti dall’Irpinia – il padre era il direttore dell’ufficio delle imposte del capoluogo lombardo – di carriera ne ha fatta parecchia. Nelle Fiamme gialle è arrivato al grado di tenente colonnello, partendo da un diploma di ragioniere e dall’arruolamento in Accademia. Prima di congedarsi dall’Arma nel 2004 ha collezionato una decina di encomi. Ma è stata la politica, grazie al legame con Tremonti, a dare a Milanese la spinta propulsiva.
Nel 2001 viene nominato addetto nel rinnovato dicastero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giulio Tremonti che Berlusconi ha appena nominato “superministro” per gli affari economici nel suo secondo governo. Tremonti è colpito dalle qualità di Milanese e lo vuole al suo fianco come consigliere politico. Gli dà l’incarico delicatissimo della scelta dei dirigenti degli enti pubblici; incarico mantenuto dal 2002 al 2006 e poi ripreso dal 2008 al 2011 quando Tremonti torna ministro nel quarto governo Berlusconi. Milanese nel frattempo si laurea in giurisprudenza a Salerno, diventa avvocato e tributarista e apre un proprio studio professionale a Milano ottenendo importanti consulenze: da Alitalia alle Ferrovie. Sponsorizzato in Forza Italia dal suo padrino politico, Tremonti, Milanese si candida deputato nel 2008 e viene eletto in Campania. Diventa vice del coordinatore regionale Pdl Nicola Cosentino – il deputato di Casal di Principe in seguito arrestato con l’accusa di collusione col clan camorristico dei casalesi – e nel frattempo continua a fare il consigliere a fianco del ministro Tremonti. Nel luglio del 2011 però il vento cambia: Marco Milanese entra nel mirino della magistratura inquirente che ne chiede l’arresto per corruzione. A parlarne è un avvocato con grossi interessi economici, che avrebbe dato un milione di euro, e “benefit” vari a Milanese per evitare guai con le Fiamme gialle. Un’altra vicenda vede Milanese nell’inchiesta degli appalti Enav e Finmeccanica. Nel 2012 – due anni prima di finire nell’inchiesta Mose – Milanese è indagato dalla Procura di Milano, accusato di aver favorito grazie a una legge ad hoc, una società del gioco d’azzardo.
Intercettazioni rivelate e intromissioni nelle indagini
L’ex deputato già condannato: «Attività criminose sistematiche»
EX UFFICIALE – Intermediario tra la “cricca” e il generale Spaziante
Ancora un clamoroso arresto nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Nella tarda mattinata di ieri, la Guardia di Finanza ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere all’ex onorevole Marco Milanese, consigliere politico dell’allora ministro all’Economia, Giulio Tremonti: l’accusa formulata dalla Procura di Venezia nei suoi confronti è di corruzione, in relazione a 500mila euro che l’ex presidente del Consorzio venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, sostiene di avergli versato nella primavera del 2010, al fine di sbloccare una serie di finanziamenti del Cipe per la realizzazione del Mose. Mazzacurati ha raccontato di aver versato la somma a Milano, nella sede della Palladio Finanziaria: è per questo motivo che la posizione di Milanese sarà trasmessa per competenza territoriale, subito dopo l’interrogatorio di garanzia, alla Procura di Milano, dove nei giorni scorsi è già stato trasferito il fascicolo che riguarda anche il presidente della Palladio, il vicentino Roberto Meneguzzo, accusato di aver fatto da tramite tra Mazzacurati e Milanese. Il manager è attualmente agli arresti domiciliari: ammette di aver favorito i contatti tra i due, ma nega di aver saputo nulla della “mazzetta”.
I pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini avevano già chiesto una prima volta l’arresto di Milanese nel 2013, per poi revocare l’istanza. La nuova richiesta è stata presentata lo scorso 10 giugno (dopo la prima ondata di arresti, avvenuti il 4 giugno), sulla base di una serie di nuovi elementi emersi a carico dell’ex parlamentare Pdl. Il gip Alberto Scaramuzza ha disposto il carcere per Milanese, nonostante non più competente per territorio, ritenendo urgente il provvedimento. Dall’ordinanza si apprende che l’ex stretto collaboratore di Tremonti, malgrado fosse a conoscenza dell’inchiesta a suo carico ha «continuato anche di recente in comportamenti analoghi», scrive il giudice, facendo riferimento a contatti con alti esponenti della Guardia di Finanza «per influire su dinamiche interne ai Corsi dell’Accademia della Gdf» e per «intervenire su una questione relativa alla sospensione da parte del ministero della Salute di un decreto di autorizzazione a imbottigliamento e commercializzazione di un’acqua minerale».
Dopo l’arresto, Milanese è stato trasferito nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Lo scorso mese, dopo aver appreso di essere iscritto nel registro degli indagati per questa vicenda, il legale dell’ex deputato, Bruno Larosa, aveva dichiarato la «sua assoluta estraneità ai fatti per come riportati dalla stampa» e aveva spiegato che il suo assistito era «come sempre, a disposizione dell’Autorità giudiziaria per i chiarimenti che dovessero essere necessari, non avendo al momento mai potuto interloquire con la stessa a causa della mancata conoscenza dell’indagine». Ora Milanese avrà la possibilità di fornire la propria versione dei fatti agli inquirenti.
Mazzacurati ha raccontato che fu Meneguzzo a dirgli che era necessario pagare. E ha aggiunto che, oltre a Milanese, incontrò a Roma, al ministero dell’Economia, anche l’allora ministro Giulio Tremonti: è probabile che la Procura di Milano vorrà approfondire anche la posizione di quest’ultimo, attualmente non indagato.
Gianluca Amadori
L’ORDINANZA «Le sue conoscenze consentono interferenze nei pubblici poteri»
GUARDIA DI FINANZA – Il generale Spaziante ritenuto uno degli uomini “comprati” dal Consorzio Venezia Nuova
«Asservito all’interesse privato»
Durissimo il gip con l’ex deputato del Pdl: «Pericolosità sociale eccezionalmente elevata»
VENEZIA – La condotta contestata all’ex onorevole Pdl, Marco Milanese, è «molto grave, dimostrativa di un totale asservimento della propria funzione all’interesse privato in luogo dell’interesse pubblico… una totale subordinazione ad un gruppo privato…»
Lo scrive il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza notificata ieri al consulente politico dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il giudice giustifica l’arresto di Milanese sulla base di «una pericolosità sociale eccezionalmente elevata ed un intenso pericolo di reiterazione, dimostrato dalla capacità di condizionamento dei pubblici poteri al di la del ruolo di volta in volta ricoperto, essendo stato in grado diagire all’interno delle pubbliche istituzioni al massimo livello per anni, al fine di pilotare e modificare delibere di finanziamento nell’esclusivo interesse di gruppo economico privato, dietro pagamento di somma consistente proveniente da fondi neri formati mediante frodi fiscali».
ALTE CONOSCENZE – Milanese, si legge nell’ordinanza «è ancora in grado di contare su elevatissime relazioni che gli permettono di interloquire e soprattutto di interferire nell’esercizio dei pubblici poteri».
Nel motivare le esigenze cautelari, il gip Scaramuzza elenca anche i precedenti di Milanese, «condannato il 28 marzo 2013 dal Tribunale monocratico di Roma per finanziamento illecito ai partiti politici» e rinviato a giudizio a Napoli «per fatti di corruzione, addirittura in forma associata», circostanze che «dimostrano una sistematicità in attività criminose».
500 MILA EURO – A ricostruire nei dettagli la vicenda relativa alla presunta tangente da 500mila euro è stato Mazzacurati, il quale ha raccontato che inizialmente doveva essere versata a Vicenza. L’appuntamento, però, fu improvvisamente spostato a Milano, negli uffici della Paladio Finanziaria, in quanto la Finanza iniziò una verifica fiscale al Cvn. Mazzacurati ha spiegato che era stato proprio Roberto Meneguzzo, l’ad della Palladio, a dirgli «che bisognava dare dei soldi per “avere queste cose” dicendogli anche che il “cip” di apertura doveva essere nell’ordine di 500mila euro». A sua volta l’onorevole Milanese avrebbe poi precisato a Mazzacurati che «sarebbe riuscito a “combinare queste cose”», ovvero far approvare la delibera Cipe numero 31 del 2010, all’interno della quale rientrarono i finanziamenti per il Mose.
LA RIUNIONE – L’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha aggiunto che, subito dopo l’approvazione della delibera Cipe, il 25 maggio 2010, fu convocata una riunione urgente al Cvn per reperire i soldi da versare a Milanese; riunione alla quale seguì il giorno successivo una telefonata tra Meneguzzo a Mazzacurati «per aver riscontro sulla bontà del risultato conseguito, garantendo la prosecuzione dell’intervento del Milanese anche per la fase successiva, che si concluderà il 18 novembre 2010». Infine, il 28 maggio Mazzacurati rassicurò che si sarebbe personalmente occupato di versare i soldi, visto l’esito positivo della vicenda.
IL GENERALE – Nell’ordinanza si fa riferimento anche al ruolo di Milanese come intermediario per mettere in contatto Consorzio Venezia Nuova e Gruppo Mantovani con il generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, a sua volta accusato di corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio per aver fornito a Mazzacurati e Baita informazioni in merito alle inchieste che li riguardavano. Anche la posizione di Spaziante è stata trasmessa a Milano per competenza territoriale, in quanto la presunta mazzetta (anche questa di 500mila euro) sarebbe stata versata sempre nella sede della Palladio Finanziaria, l’8 settembre del 2010.
LA “TALPA” – Dagli atti di queste filone, emergono telefonate fatte da Spaziante all’allora comandante provinciale della Finanza di Venezia, Walter Manzon, il quale a sua volta avrebbe chiesto al suo gruppo investigativo di relazionarlo in merito alle persone oggetto di intercettazione. Pochi giorni più tardi Mazzacurati, conversando all’interno del proprio ufficio, riferì di essere a conoscenza dell’attività di intercettazione da parte delle Fiamme Gialle. Secondo la Procura è più di una semplice coincidenza. Così come viene ritenuto singolare l’improvviso trasferimento del colonnello che si è occupato di quasi tutta l’inchiesta sul “sistema Mose”, Renzo Nisi, spostato in altra sede prima che le indagini si fossero concluse.
Gianluca Amadori
VENEZIA NUOVA – Carlo Giacomini illustra le norme che rendono irregolari gli affidamenti al Consorzio
«La concessione unica illegittima da vent’anni»
Impossibile sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, che è un soggetto privato. Qualcuno ipotizza di revocare la concessione unica rilasciata nel 1984 – la prima pietra del Mose è del 2003 – dimenticando che questo meccanismo, illegittimo in Europa, lo è anche in Italia da vent’anni.
Carlo Giacomini, per decenni al Ministero dell’Ambiente, fa una lucida disamina normativa di tre provvedimenti che si sono succeduti e che basterebbe far rispettare per bloccare i cantieri di un’opera che non ha mai superato la valutazione di impatto ambientale.
«Nel 1995 con la legge 206 il Parlamento ha abrogato i commi di legge con i quali per l’attuazione delle opere statali di riequilibrio e salvaguardia della laguna era stata autorizzato il ricorso a una concessione a trattativa privata – spiega Giacomini – dove trattativa privata non equivale a senza gara. Ma dal 1995 non esiste più alcuna norma che consenta atti e disposizioni attuative di concessione a privati, e quindi, quella concessione del 1984 è ormai priva di ogni legittimazione. Sarebbero fatti salvi solo gli impegni già oggetto di atto di convenzione operativa già dotata di copertura finanziaria, ratificata e perfezionata entro il 31 maggio 1995 per un valore di poco meno di un miliardo di euro». Nel mirino anche la riduzione dei corrispettivi dal 12 al 6 per cento nelle spese generali del Consorzio stabilito per legge nel ’94, “che invece – conclude Giacomini – continua ad essere applicato al 12 per cento con sovraccosto per l’Erario”.
(r.v.)
LA REPLICA – I soldi del Mose tra libri, strenne e incarichi
Caro direttore,
“Welcome to Venice. Cento volte imitata, copiata, sognata”, il libro che ideai e curai nel 2007 per il Consorzio Venezia Nuova, era un volume a più firme: oltre alla mia (fui curatore e autore), quelle delle scrittrici americane Judith Stiles e Rita Ciresi, dello scrittore argentino Enrique Butti, della giornalista brasiliana Elza Fraga, dello scrittore Alessandro Carrera e del giornalista Carlo Benucci. Era un libro corredato di tante immagini, molte delle quali acquistate negli Usa. Il mio compenso personale fu di 7.000 euro, e tasse relative, su un costo complessivo di 39.000 euro, che il Gazzettino (“Una laguna di soldi”) attribuisce interamente a me. Il volume fu il diciannovesimo di una serie iniziata nel 1989, con le “Fondamenta degli incurabili” di Iosif Brodskij. Dopo lo scrittore russo-americano figurano autori come André Chastel, Giuseppe Sinopoli, Harold Brodkey, Acheng, Gianni Riotta, Pedrag Matvejevic, Paolo Barbaro, Vittorio Gregotti, Antonio Alberto Semi, Valerio Massimo Manfredi, Lorenzo Finocchi Ghersi, Derek Walcott, Sergio Bettini. Nel 2007, appunto, il mio “Welcome to Venice”. Di questa folta schiera di autori di alto rango, il Gazzettino cita me, oltre a Irene Bignardi, Valerio Massimo Manfredi e Lorenzo Mattotti. Immagino che mi abbia messo in luce non tanto per il lustro della mia firma, ma perché il libro che ideai e curai fu accolto molto bene (al Consorzio, anche in tempi recenti, ne chiedevano copie) ed ebbe numerose e lusinghiere recensioni, in Italia e all’estero, tra le quali ricordo con piacere quella a tutta pagina del Gazzettino. Alla sua presentazione, in un salone di palazzo Cavalli-Franchetti, c’era tantissima gente, tanto che fu utilizzata una sala adiacente collegata con uno schermo. Venne anche il sindaco di allora, Massimo Cacciari. Oggi non più, perché sono tempi di sobrietà, ma fino a poco tempo fa era “normale” che aziende pubbliche e private, grandi e piccole, banche, fondazioni, cooperative dedicassero somme anche considerevoli alle pubbliche relazioni e, in particolare, alle strenne natalizie (regali, agende, calendari, libri e molto altro), e i giornalisti ne erano tra i principali beneficiari (io che ho sempre lavorato in piccoli giornali di sicuro non ero tra questi). Credo che sia improprio e sia fuorviante equiparare e confondere questo tipo di spese – alla luce del sole e del fisco fin dall’inizio, da 25 anni a questa parte – come quelle destinate ai libri-strenna, con soldi elargiti, sia pure a fin di bene, a soggetti ed enti, in modo discrezionale, arbitrario e opaco, che nulla avevano a che fare con la “missione” del Cvn.
Guido Moltedo
—
Caro Moltedo, pubblichiamo volentieri la tua lettera e la precisazione che il tuo compenso fu di 7mila euro e ci scusiamo per l’errore. Quanto al resto, ci dispiace ma non abbiamo confuso proprio nulla. Abbiamo dato conto correttamente dei contributi e dei finanziamenti erogati dal Consorzio. O meglio, di quelli che siamo riusciti a ricostruire, considerata la difficoltà ad avere un quadro completo di ciò che nel corso degli anni è stato speso. Sul fatto poi che la “missione” del Consorzio Venezia Nuova prevedesse anche la pubblicazione di strenne natalizie su Venezia, ognuno può pensarla come vuole. Un fatto è certo: noi siamo stati forse beneficiari di qualche volume natalizio del Cvn. Ma mai di incarichi professionali.
PRECISAZIONE LA BIENNALE E IL MOSE
Con riferimento all’articolo “Una laguna di soldi” a firma di Paolo Navarro Dina, si tiene a precisare che, come già detto in altre sedi e contrariamente a quanto ivi scritto, la Biennale non ha mai ricevuto “liberalità” o “sostegni liberali” dal Consorzio Venezia Nuova. Con il Consorzio sono stati stipulati due contratti di sponsorizzazione (dove quindi il corrispettivo viene erogato a fronte di pubblicità) di 100mila euro ciascuno per gli anni 2010 e 2011, come chiunque potè allora, e può oggi, rilevare dalla presenza dei loghi del Consorzio stesso nei cataloghi delle rispettive mostre di Architettura e d’Arte.
Ufficio Stampa – la Biennale di Venezia
A MALAMOCCO – Mose, i lavori non si fermano due ore di blocco alla navigazione
Non si fermano i lavori alle tre bocche di porto. Oggi inizia il varo del primo cassone di “soglia” della barriera del Mose alla bocca di porto di Malamocco. Nel pomeriggio il cassone verrà calato in acqua tramite il syncrolift e verrà agganciato al mezzo speciale che lo trainerà e lo affonderà nello scavo predisposto lungo il canale di Malamocco. Il provvedimento di interdizione totale della navigazione è dalle 16.30 alle 19. Mentre per tutto il tempo necessario ai lavori di posa, in ottemperanza all’ordinanza della Capitaneria di Porto di Venezia, il transito sarà autorizzato attraverso la conca di navigazione.
Prosegue poi l’installazione delle paratoie alla bocca di Lido nella barriera di Treporti (Lido Nord). Nove sono già installate e la decima sarà agganciata domani. La barriera prevede in totale 21 paratoie. Ogni paratoia misura 20 metri di larghezza, 18,50 di lunghezza e 3,60 di altezza. Per l’installazione viene utilizzata un’apposita impalcatura metallica ancorata ai cassoni di soglia nel fondale. Mentre vengono calate le paratoie sono progressivamente riempite d’acqua.
Infine alla bocca di porto di Chioggia si è conclusa ieri la fase di varo del terzo cassone (secondo di “soglia”).
Nuova Venezia – Politici e supertecnici insieme per dividersi un miliardo di euro
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4
lug
2014
Mose, il governo parte civile
Un mese fa gli arresti. Il pm Nordio critica le norme del decreto svuotacarceri
Il governo Renzi si costituirà parte civile nel processo per lo scandalo Mose. Potrà così chiedere i danni al Consorzio Venezia Nuova per i fondi neri e le tangenti. Il pm Carlo Nordio critica il decreto svuotacarceri, che nel caso di Giancarlo Galan, però, non potrà essere preso in considerazione della Giunta della Camera.
La concessione unica all’origine del malaffare
Il meccanismo lanciato nel 1984 per “salvare Venezia” dall’acqua alta si è trasformato nel grimaldello per azzerare i controlli e tacitare le critiche
‘‘L’ITER DEL PROGETTO Un’opera “spinta” anche quando i pareri tecnici risultavano negativi. Già stanziati quattro miliardi di euro.
VENEZIA – La madre di tutte le tangenti ha compiuto trent’anni. Si chiama concessione unica, meccanismo inventato nel 1984, in piena Prima Repubblica, per riconoscere «l’unicità del progetto Mose». Si doveva salvare Venezia. Parola d’ordine lanciata dopo l’alluvione del 4 novembre 1966. Messaggio piuttosto facile da far passare in Italia e nel mondo: chi non è favorevole a salvare Venezia? Il sistema ideato dal Consorzio prevede di cementare i fondali della laguna e innestare sui cassoni 78 paratoie in metallo che si riempiono d’aria e si sollevano legate l’una all’altra in caso di acqua alta. Sistema complesso e pensato tutto sott’acqua, dalla manutenzione costosa e complicata. Ma il governo ha scelto. È del 1984 la seconda legge Speciale per Venezia. Approvata all’unanimità dal Parlamento, ricalca in buona sostanza la prima, quella del 1973. Undici anni dopo si sceglie di puntare tutto sulla grande opera. Affidandone lo studio, la progettazione e la realizzazione a un unico soggetto, il Consorzio Venezia Nuova. Raccoglie le più importanti imprese edili del Paese, capofila è l’Impregilo di Romiti (poi sostituita dalla Mantovani), ma ci sono anche Lodigiani, Iri-Italstat, Condotte, le Cooperative. Concessione unica. Significa che il concessionario dello Stato non ha alcun bisogno di indire gare d’appalto. Lavora in regime di monopolio e decide i prezzi che vuole, può accantonare per legge il 12 per cento del costo dei lavori. 5 miliardi e mezzo di euro – era uno e mezzo alla fine degli anni Ottanta – gestione e manutenzione escluse. A volte è lo stesso soggetto attuatore a scegliersi i controllori. A pagarli, anche senza tangenti, in quanto «concessionario dello Stato». Piano piano il Consorzio diventa una macchina potente, capace di coagulare intorno a sè interessi e attenzioni della politica. Il progetto di massima «Mose» (acronimo di Modello sperimentale elettromeccanico ») viene approvato nel 1988. La prima paratoia fotografata davanti a San Marco, inaugurazione con il ministro Prandini e il vicepresidente del Consiglio, il «doge» Gianni De Michelis. Il progetto muove i primi passi. Il Consiglio superiore dei Lavori pubblici lo ferma nel 1991 per alcuni dubbi di natura tecnica. Ma il governo decide di andare avanti lo stesso. Un film che si rivedrà più avanti. Nei passaggi decisivi, il progetto Mose viene «spinto» anche quando i pareri tecnici sono negativi. Così è nel 1998: Valutazione di Impatto ambientale negativa. Mai più rifatta. Il governo (D’Alema prima, Amato poi) va avanti. Nel 2001 torna Berlusconi. Il Mose entra a far parte delle «grandi opere strategiche». Cambia il modo di finanziarlo, i soldi arrivano direttamente dal Cipe. La nuova Legge Obiettivo toglie i poteri decisionali agli enti locali. Il 5 maggio del 2003 Berlusconi getta in laguna la prima pietra del Mose. Ad applaudire ci sono il governatore Giancarlo Galan, la presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, l’allora sindaco Paolo Costa, il patriarca Angelo Scola. I lavori cominciano. E i finanziamenti arrivano copiosi, sottratti tra le proteste del Comune alla manutenzione della città. Il flusso di denaro che arriva in laguna diventa sostanzioso. Raggiungerà in dieci anni i 4 miliardi di euro. Il Mose scivola senza danni tra le tante obiezioni. Anche quando il Comune, nel 2006 (sindaco Cacciari), presenta al governo le alternative. «Prodi non ci ha nemmeno ricevuto », ricorda l’ex sindaco. Il governo (ministro dei Lavori pubblici era Antonio Di Pietro, presidente del Consiglio superiore Antonio Balducci) si fa forte di un parere positivo firmato dai suoi esperti ingegneri e dal Comitato tecnico di magistratura, formato da tecnici nominati dal Magistrato alle Acque. Nel frattempo anche la commissione di Salvaguardia presieduta da Galan aveva dato a maggioranza il suo parere favorevole. Senza nemmeno consultare i 63 volumi di carte e di critiche all’opera. Nel 2009 è la società di ingegneri franco-canadese Principia a sollevare dubbi di natura tecnica sulla tenuta delle paratoie in caso di mare agitato. «Sciocchezze», le definisce il nuovo presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta. Avanti tutta. Senza ascoltare critiche né prendere in considerazione proposte di modifica. Il Mose non trova ostacoli e adesso è arrivato – almeno per la parte delle strutture in calcestruzzo – quasi al punto di non ritorno, oltre l’80 per cento dei lavori. Mancano le paratoie e le cerniere, il punto più delicato. Ma qualcuno adesso si chiede: visto quello che è successo, siamo sicuri che la sicurezza di strutture e materiali sia garantita?
Alberto Vitucci
Fondi neri e tangenti
Burattinai e marionette del grande scandalo
Politici e supertecnici insieme per dividersi un miliardo di euro
Alleanza ferrea fra Consorzio Venezia Nuova e giunta veneta
E il centrosinistra si opponeva? No, gestiva il lato B del potere
Il patto tra Baita, Mazzacurati e Chiarotto: dagli appalti stradali ai lavori in laguna
Assordante il “silenzio degli innocenti” di quanti a suo tempo erano pronti a pagare
VENEZIA- Per «far fuori» un miliardo di euro in una decina d’anni – questa è la stima della Procura di Venezia sulle dimensioni della corruzione nell’inchiesta Mose – non basta essere voraci. Bisogna sentirsi onnipotenti. E due onnipotenze gestivano il grande affare del nuovo secolo, finanziato con i soldi delle tasse: quella tecnica del concessionario unico Venezia Nuova e quella politica imperniata sulla giunta regionale del Veneto. Saldandosi insieme, hanno industrializzato il sistema delle tangenti, rispetto alla Tangentopoli del 1992. I costi del Mose sono stati sparati verso quote astronomiche per contenere gli appetiti dei singoli, non più dei partiti. Su circa quattro miliardi e mezzo di euro finora erogati dallo Stato per il Mose (ma bisognerà superare quota sei), un miliardo rappresenta quasi un quarto: siamo passati dal 2-3% delle tangenti di Mani Pulite al 25% del Consorzio Venezia Nuova. Percentuale da capogiro. Di Pietro è un lampo giallo al parabrise, come cantava Paolo Conte: sono i pm veneziani Tonini, Ancilotto e Buccini i nuovi protagonisti positivi. Non parliamo di eroi. E la Guardia di Finanza che ha trovato i riscontri. Il Consorzio. L’onnipotenza tecnica non era imperniata solo sul «grande burattinaio» Giovanni Mazzacurati e su Piergiorgio Baita, che ha quantificato il «fabbisogno sistemico» in un centinaio di milioni l’anno. C’era mezzo mondo a libro paga: tutti consapevoli e consenzienti. Mazzacurati, ingegnere idraulico, «fluidificava» gli snodi amministrativi e di controllo del Mose, ma condizionava anche le imprese che lavoravano fuori dal Mose. Troviamo lui a trattare del nuovo ospedale di Padova con il sindaco Flavio Zanonato. È Mazzacurati che decide i collaudatori nelle ferrovie, se dobbiamo credere al direttore generale del ministero dei Trasporti. Per questo è assordante il silenzio di quelli che ieri si lamentavano di essere esclusi. Si direbbe “il silenzio degli innocenti”, se lo fossero davvero. Invece gli operatori sapevano. Tutti, è da credere. Solo per stare a Chioggia, le cronache riferiscono di piccole imprese che erano disposte a pagare come le altre, pur di rientrare nei lavori del Mose. Inutilmente. Neanche con la tangente alla mano, quelli dentro aprivano la porta. La giunta regionale. L’onnipotenza politica non vuol dire solo l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan e il suo braccio destro Renato Chisso, che mettevano al vento gli uffici regionali e li obbligavano a manovrare come chiedeva Mazzacurati. Dopo la pericolante legislatura 1995-2000, il patto Bossi-Berlusconi aveva tolto a Galan l’opposizione della Lega. All’alba del 2000 il presidente non ha più oppositori né controllo nel centrodestra. Fa il vuoto in Forza Italia, promuove e defenestra chi gli pare, governa il partito solo con Lia Sartori. A rompergli le scatole resta solo il centrosinistra, ma ci mette poco a renderlo inoffensivo. Il consociativismo. L’intesa di Galan con gli ex Pci business oriented, come all’epoca li aveva ribattezzati il nostro giornale, non ha bisogno del coinvolgimento di Piero Marchese, come politico che attinge al Consorzio per finanziare la campagna elettorale, con l’epilogo di Orsoni e di altri, se emergeranno. L’opposizione di facciata, a coprire scelte consociative, è nel ruolo del Coveco, che retrocede denaro al Consorzio ben sapendo, attraverso Pio Savioli, che servirà a Piergiorgio Baita per pagare Giancarlo Galan. Come rivela Mazzacurati negli interrogatori. Ma prima ancora è scritta nei grandi appalti di opere pubbliche dell’ultimo decennio, dalle autostrade agli ospedali costruiti in project financing: la presenza delle cooperative rosse in associazione d’impresa con Mantovani, Gemmo Impianti, Studio Altieri e pochi altri, è sistematica e non casuale. La scalata alla Save. Il centrosinistra si accontenta di gestire «il lato B» del potere. Do ut des. Anzi, non do ut des, probabilmente. Qualcuno dovrebbe spiegare per esempio perché improvvisamente, dopo il 2000, frana l’opposizione, che fino ad allora aveva retto, alla scalata in Save di Enrico Marchi. In Consiglio regionale arrivano persone diverse, il veneziano Valter Vanni è pensionato, nuovo capogruppo dei Ds diventa il padovano Flavio Zanonato. Sostenuto dalle quote della Regione manovrate da Giancarlo Galan, Marchi arriva alla presidenza di Save e si impadronisce dell’aeroporto. In concessione, naturalmente, ma senza concorrenti e fino al 2030.Unaliberalizzazione che è stata archiviata da tutti come una privatizzazione per gli amici, con quel che significa. La scalata al Mose. Piergiorgio Baita aveva già conosciuto il carcere nella Tangentopoli del 1992 (patteggiamento rifiutato, assolto nel 1995 per non aver commesso il fatto). La sua “assicurazione” per non tornarci, si capisce oggi, era pagare tutti. Non è bastato, benché solo in operazioni di controspionaggio se ne siano andati 6 milioni di euro. Quando si rimette in pista, Baita trova Mazzacurati, con il quale aveva lavorato nell’impresa Furlanis. E Romeo Chiarotto, titolare della Mantovani, anche lui reduce dal carcere, per tangenti su appalti stradali. Il terzetto capisce che in terraferma è finita l’epoca dei partiti, con i quali mungere lo Stato. Lasciano gli appalti stradali e si buttano negli interventi lagunari del Mose, in fase di avvio. Mazzacurati è direttore generale del Consorzio, concessionario unico di tutto. Ha il coltello dalla parte del manico. Baita ha la tecnologia e una piccola società, Laguna Dragaggi, con la quale entra in Mantovani spa. Diventa prima amministratore delegato e poi presidente. Oggi è ancora titolare del5%della società. La Mantovani si fa largo nel Consorzio rilevando la quota di Fincosit per 70 milioni di euro. Lì Baita apprende da Mazzacurati del patto non scritto: per ogni lavoro preso bisogna retrocedere al Consorzio una quota necessaria al «fabbisogno sistemico ». Deve sovrafatturare a manetta e inventarsi fatture false. Tra i due comincia a non correre più buon sangue.
Renzo Mazzaro
I PERSONAGGI IN ROSA
Abili e spregiudicate: le donne dell’inchiesta
Nelle intercettazioni Claudia Minutillo che ordina a Chisso: «Alza il culo e vieni qui»
VENEZIA – La segretaria dal cappottino d’oro, il politico garante del sistema, il pigro funzionario del Magistrato delle acque, l’ingegnere del Consorzio capace di tutto. L’inchiesta sul Mose è anche un grande affresco del mondo femminile e dei suoi rapporti con l’altra fetta dell’universo di genere. Abili, convincenti, spregiudicate, le donne del Mose non sono meno protagoniste. Accanto a loro le mogli: di Mazzacurati («Caro, mi compri questa casa a Roma?), di Galan («Mio marito è una persona perbene»), di Cuccioletta (viaggi e vacanze a Cortina). Capaci di dare ordini agli uomini come Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan; autorevoli come Amalia Sartori, autentica dispensatrice di pratica politica verso l’ex governatore; competenti in materia come Maria Teresa Brotto, ingegnere numero due del Consorzio Venezia Nuova, persona di cui Mazzacurati si fida ciecamente, capace di affidare al marito gli incarichi più diversi in campo idraulico; pigramente oberate di lavoro come Maria Giovanna Piva, Magistrato delle Acque, che si faceva scrivere i propri atti direttamente dagli uffici del Consorzio. Su tutte, naturalmente, l’intraprendente ed avvenente Claudia Minutillo, 51 anni, l’ex segretaria di Giancarlo Galan dal cappottino da sedicimila euro, che inchioda l’ex assessore regionale Renato Chisso con una frase che rimane scolpita nelle intercettazioni: «Scusa vai sempre a mangiare da Ugo, alza il culo e vieniqua» gli ordina il 5 dicembre 2012. C’era da sbloccare una pratica e lei, la Claudia, non aveva tempo da perdere: un caterpillar in gonnella e tacchi a spillo. Paciosa e regale, la «matrona » vicentina di Valdastico Amalia Sartori, 67 anni, da due giorni agli arresti domiciliari dopo aver mancato la riconferma all’europarlamento. Socialista di lunga data, oracolo di Galan, prima donna assessore regionale e poi presidente del consiglio regionale, è vedova di un altro ingegnere, Vittorio Altieri, tra i grandi studi del Veneto. Mazzacurati l’accusa di averle pagato fino a 200 mila euro per le campagne elettorali, mai registrati. Lei nega, ma non ha fatto una piega. Poi Maria Teresa Brotto, 51 anni, vicentina di Rosà, ingegnere responsabile del servizio progettazione del sistema Mose del Consorzio Venezia Nuova, ma anche amministratore delegato del braccio progettuale Thetis. Dodici ore in ufficio, una macchina da guerra, in costante contatto con Mazzacurati che la chiama a tutte le ore per ogni dettaglio. Troppo intelligente per non sapere qual era il sistema.
Daniele Ferrazza
«Decreto svuotacarceri? Dilettantismo legislativo»
Il procuratore aggiunto Carlo Nordio: la nostra inchiesta regge molto bene
«Galan non è stato interrogato perché la sua memoria difensiva scritta è più utile»
«Le reazioni sono le stesse di 20 anni fa: la gente è esasperata»
«Per sconfiggere i corrotti regole chiare e pene ridotte ma certe»
VENEZIA «Da un punto di vista giuridico la nostra inchiesta regge molto bene: il Tribunale del Riesame ha riconosciuto la gravità degli indizi per tutti gli indagati, anche in relazione a persone attualmente non sottoposte a misura cautelare. Da garantista non sono mai soddisfatto per le persone in carcere, ma da un punto di vista investigativo la nostra attività è stata riconosciuta con successo». Il procuratore aggiunto Carlo Nordio è il responsabile del pool per i reati contro la Pubblica amministrazione . Il Riesame ha confermato che il Consorzio Venezia Nuova ha creato fondi neri con soldi pubblici, destinandoli a tangenti e finanziamento illecito. Emergenza sociale? «Le reazioni sono le stesse di 20 anni fa: l’opinione pubblica è esasperata, le persone ci fermano chiedendo pene esemplari, c’è la necessità di controllare l’ira popolare, perché qui non c’è solo la colpa dei singoli, ma di un sistema. Da parte nostra, registro una sorta di frustrazione nel verificare che la dura lezione che Tangentopoli ha dato 20 anni fa non è servita: esiste il pericolo che un’opera che è l’orgoglio della tecnologia italiana possa essere rallentata dalle indagini e c’è il rammarico perché è stata macchiata dalla malattia mortale della corruzione». Mazzette per quanti milioni di fondi pubblici? «Il danno globale è in via di quantificazione. C’è il prezzo del reato, tangenti o prebende pagate con soldi pubblici attraverso le sovraffatturazioni, e c’è il danno fiscale legato ai fondi neri: decine di milioni, almeno 50. Ma ancora più grave è il pretium sceleratum dello spreco: per raggiungere consensi si sono anche sprecate risorse in 100 mila attività che con la salvaguardia non c’entravano nulla. Somme ancora maggiori. In tutto il mondo si pagano tangenti sulle opere, ma in Italia si costruisce la corruzione sull’opera pubblica». C’è il rischio che la prescrizione lasci colpevoli impuniti? «Con il sistema attuale giudiziario, il rischio esiste. Per alcuni reati, come il finanziamento illecito, i termini sono più brevi rispetto alla corruzione. Faremo di tutto per evitarlo, stralciando le posizioni a rischio». È normale che Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, al vertice del sistema nero, sia nella sua villa in California? «Non mi pronuncio sui singoli casi e una persona fa della sua libertà l’uso che crede. Certo se proveremo che le ricchezze sono frutto di attività illecite si può cercare di recuperarle, anche se in effetti è operazione complessa talvolta». Il sindaco Orsoni arrestato per finanziamento illecito ai partiti: la Procura aveva accettato una pena patteggiata a 4 mesi, che il gip ha rigettato come troppo bassa: non è sproporzionato arrestare un sindaco per 4 mesi di pena? «La Procura ha accolto il patteggiamento proposto da Orsoni perché c’era stata una collaborazione convincente, una partecipazione esigua al fatto ed era una pena certa per un reato a forte rischio prescrizione. Una soluzione pragmatica. Il finanziamento illecito ai partiti deruba il cittadino due volte, come civis economicus e come civis politicus: sottrae risorse pubbliche e le destina a partiti diversi da quelli per cui un cittadino voterebbe». L’ex ministro Galan ha chiesto alla commissione per le autorizzazioni a procedere di negare il sì al suo arresto, appellandosi anche al decreto governativo che negava la carcerazione preventiva se l’ipotesi di pena è inferiore ai 3 anni. Il testo è stato corretto in corsa dal ministro Orlando dopo le critiche, lasciando la discrezionalità ai giudici. «Il Parlamento è sovrano, sul caso Galan dico solo che non è stato interrogato perché abbiamo ritenuto che una sua memoria scritta articolata fosse più utile a noi e alla difesa. Chiuso sul caso specifico, uno spunto polemico generale c’è: il governo vuole che i processi funzionino e siano rapidi? Eppure agisce in senso contrario. Manda in pensione i magistrati tra i 70 e i 75 anni, decapitando tutti gli uffici giudiziari: senza 500 magistrati ci sarà la paralisi della giustizia, alla faccia del processo veloce. C’è poi una schizofrenia legislativa: da una parte leggi che impongono l’arresto per reati come lo stalking e subito dopo norme che vietano la carcerazione preventiva in ipotesi fino a 3 anni di pena minima, come lo stesso stalking per incensurati. Anche il cambiamento repentino delle ultime ore è riprova del dilettantismo assoluto della politica nell’affrontare i problemi della giustizia». Come se ne esce? «Da 20 anni dico e scrivo che la corruzione si sconfigge con poche regole certe e pochi controlli sicuri, perché ogni livello in più di verifica è una porta da aprire che può essere oliata. E servono pene, magari anche ridotte, ma certe: guai a quello Stato che minaccia pene epocali e poi non le applica. Così, invece, si fa del sistema penale una barzelletta: ci si fa belli introducendo reati – come l’inutile autoriciclaggio – poi sfasciano la giustizia togliendole i magistrati».
Roberta De Rossi
il deputato di fi chiarelli
«Non c’è il salva-Galan ma va evitato l’arresto»
Il dietrofront del ministro della Giustizia Andrea Orlando, ha impedito a Giancarlo Galan di utilizzare la norma che non prevedeva il carcere per i reati la cui pena è inferiore ai tre anni. Quella norma non esiste più: il Parlamento aveva approvato un testo «garantista» che metteva al riparo deputati e senatori dal rischio delle manette,mail ministro Orlando ha imposto lo stop e tutto resta come prima. «Sarà il giudice a esprimere in concreto una prognosi sulla pena concretamente applicabile all’esito del processo, al solo scopo di evitare che l’imputato subisca una limitazione della propria libertà in via cautelare rispetto a una pena che non dovrà essere eseguita all’esito della condanna», scrive il ministro Orlando. E che non esista una norma salva-Galan lo conferma Giancarlo Chiarelli (Fi) relatore di minoranza per la richiesta di arresto dell’ex ministro veneto. «Nessuna norma salva-Galan ,ma solo l’analisi complessiva di una situazione che suscita molte perplessità sulla richiesta di arresto; per questo, e per analizzare le carte depositate il primo luglio ho chiesto un aggiornamento alla prossima settimana. La richiesta di arresto è sbagliata perché «Non c’è il pericolo di fuga, nè di inquinamento delle prove e il rischio di reiterazione del reato. Si è accertato che ci sono delle firme false: penso che il magistrato abbia molti modi per salvare e tutelare la sua inchiesta senza che Galan sia arrestato. Ora rischia 5 anni al massimo, è vero,matra attenuanti generiche, speciali e di rito, come il patteggiamento, è molto probabile che si arrivi a scendere sotto i tre anni. Di questo si deve tener conto valutando quegli elementi che ci possono far trovare altre forme di tutela della inchiesta diverse dall’arresto. Ci sono molte strategie difensive e sarebbe facile per i difensori di Galan scendere sotto quella soglia che non porta in galera in caso di condanna. Non serve quindi un salva-Galanmauna norma attualmente in vigore di cui si deve tener conto». Chi non ha dubbi sull’esito della vicenda è Ignazio Messina, segretario Idv. «No alla norma salva Galan. Con tutti gli scandali di corruzione che l’Italia ha alle spalle, non possiamo sottrarre corrotti e corruttori alla giustizia, ancor più se si tratta di politici».
Arresti e accuse-choc, il Veneto terremotato
Il governo parte civile: chiederà i danni al Consorzio Venezia Nuova
La Procura vuole chiudere la prima fase per evitare il rischio prescrizione
Il 4 giugno 32 arresti per un colossale giro di tangenti
Sei indagati ancora in carcere, ai domiciliari altri diciotto
VENEZIA – Il governo ha deciso di costituirsi parte civile contro gli indagati nell’ambito del processo per lo scandalo del Mose: l’avvocatura dello Stato di Venezia si è già attivata per fare le copie dell’intero procedimento. Ad essere interessati sono in particolare i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente, quelli che fin dall’inizio si sono occupati delle opere per proteggere la laguna dalle maree. I soldi che il presidente del Consorzio Venezia Nuova distribuiva a destra e a manca provenivano infatti dai finanziamenti che l’amministrazione statale via via stanziava per le opere di salvaguardia della laguna di Venezia ed in particolare del Mose. Soldi che Giovanni Mazzacurati gestiva come se fossero suoi e che sono finiti nelle tasche di politici accusati di corruzione o finanziamento illecito al partito, a servitori infedeli dello Stato di varie amministrazioni. Per formalizzare la costituzione di parte civile gli avvocati dovranno attendere che il procedimento finisca davanti ad un giudice, per l’udienza preliminare o in aula in seguito al rito immediato, per ora comunque possono inserirsi in qualità di parte offesa. Oggi, intanto, è trascorso un mese dal giorno in cui sono scattate le manette ai polsi di 32 persone: il 4 giugno scorso 22 erano finite in carcere e altre dieci agli arresti domiciliari, uno era ed è latitante e due in quel momento erano coperti dall’immunità parlamentare. Da quel giorno il tempo trascorso e soprattutto i giudici del Tribunale del riesame con il loro intervento hanno trasformato la situazione: adesso in carcere sono rimasti soltanto sei indagati, mentre ben 18 sono agli arresti domiciliari, due sono sottoposti ad alcuni obblighi (quello di dimora nel Comune di residenza o quello si stare fuori dal territorio regionale), sette hanno ottenuto la scarcerazione e soltanto uno attende che il Parlamento decisa la sua sorte. Per Venezia e non solo è stato un vero terremoto: sindaco e giunta comunale hanno dovuto dimettersi e due giorni fa è arrivato il commissario del governo per gestire l’amministrazione nei mesi che mancano per le nuove elezioni. Ma soprattutto la città ha avuto la certezza che le grandi imprese del Consorzio hanno utilizzato la legge Speciale (1984) prima e la legge obiettivo poi (2001) per procedere spedite con i lavori, per rimuovere qualsiasi possibile ostacolo al progetto, per addomesticare i controlli tecnici e di legge ha pagato e finanziato politici, funzionati pubblici, un generale, un giudice amministrativo e altri ancora. E non solo nei palazzi del potere a Venezia, ma anche a Roma, penetrando in alcuni ministeri, quelli chiave per i finanziamenti al Mose, e addirittura a Palazzo Chigi. Schizzi di fango hanno raggiunto la Destra e la Sinistra, macchiando sia il partito di Silvio Berlusconi sia il Pd, seppur con accuse molto più pesanti per gli esponenti di Forza Italia. L’inchiesta è partita da una verifica fiscale alla Cooperativa San Martino di Chioggia nel 2008 e poi da un altro controllo fiscale, due anni dopo, agli uffici della Mantovani a Padova. I finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria hanno lavorato duro e soprattutto in gran segreto per anni, un segreto che però è stato svelato agli interessati da un generale infedele, ma i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno proseguito egualmente, affrontando maggiori difficoltà e anche tentativi di boicottaggio. Nonostante l’apparato di sicurezza organizzato da Piergiorgio Baita a suon di milioni di euro e le talpe nelle forze dell’ordine gli accertamenti sono proseguiti, anche perché chi era controllato riteneva di avere solo il telefono intercettato mentre c’erano microspie nelle automobili e addirittura piccole telecamere negli uffici. Quando, nel febbraio 2013 Piergiorgio Baita è finito in manette per una colossale evasione fiscale, e così pure nel luglio dello stesso anno Giovanni Mazzacurati per aver truccato una gara d’appalto dell’Autorità portuale, da almeno due anni gli inquirenti avevano raccolto importante materiale probarotio sulla corruzione in alcune amministrazioni dello Stato. E c’era da tempo la documentazione sull’esistenza dei fondi neri delle imprese del Consorzio grazie alla falsa fatturazione e alla retrocessione del denaro. La prima a «crollare», di fronte alle intercettazioni e alla documentazione, è stata l’ex segretaria di Giancarlo Galan, Claudia Minutillo, quindi l’ha seguita Baita che non si è militato a indicare i grandi sistemi come aveva fatto nel 1992-93,maha fatto nomi e cognomi. Infine, ha cominciato a «vuotare il sacco » il principale artefice della grande corruzione all’ombra del Mose, l’ingegner Giovanni Mazzacurati. Dopo gli arresti del 4 giugno si sono aggiunti altri (Patrizio Cuccioletta, i Boscolo, Tomarelli), tanto da far pensare che non sia finita qui. Per ora la Procura vuole chiudere questa fase velocemente, e arrivare alle condanne prima della metà del prossimo anno, in modo da evitare la prescrizione.
Giorgio Cecchetti
Nuovi interrogatori su Matteoli
Sequestrato anche l’aereo del commercialista […], latitante a Dubai
VENEZIA – Dopo aver ascoltato la difesa dell’ex ministro Altero Matteoli, indagato per corruzione, il Tribunale dei ministri del Veneto si è messo al lavoro e mercoledì i giudici Monica Sarti, Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi hanno interrogato due coindagati: mercoledì il costruttore romano Erasmo Cinque e ieri l’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva. A tirare in ballo sia Matteoli sia Cinque sono stati Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e anche Nicolò Buson, ragioniere della «Mantovani». Stando alle accuse, l’ex ministro ora senatore di Forza Italia, aveva fatto pressioni perché la società dell’imprenditore romano, la «Socostramo », venisse inserita nell’appalto per la bonifica di Porto Marghera, che aveva vinto anche la «Mantovani». Cinque è sospettato di essere il collettore delle tangenti per Matteoli anche perché, come lui, è uno dei fondatori di Alleanza nazionale ed è stato negli organi dirigenti di quel partito. L’imprenditore ha negato di aver mai parlato con Matteoli di appalti e lavori edili e di conoscerlo da anni perché avevano fatto parte dello stesso partito. Ha sostenuto di non aver mai raccolto mazzette da altre imprese per consegnarle a Matteoli. Dopo aver sequestrato a La Spezia lo yacht del commercialista milanese […], l’unico latitante dell’indagine Mose (c’è il sospetto che grazie ai suoi appoggi si trovi a Dubai) la Guardia di Finanza di Venezia ha individuato presso un’avio superficie a Ozzano dell’Emilia – totalmente estranea ai fatti – anche un aereo privato da quattro posti appartenente al professionista milanese del valore commerciale di oltre 300 mila euro. Grazie alla collaborazione dei carabinieri del paese le Fiamme Gialle hanno assestato un altro colpo al commercialista latitante, sul quale il cerchio degli inquirenti nazionali e internazionali si sta stringendo sempre di più, nella parte che fa più male: il portafoglio. L’aereo è registrato negli Stati Uniti, dove è più facile ottenere il brevetto di pilota privato, ed è per tali motivi intestato ad un trust del Delaware. Ricorrendo a una società maltese quale “schermo”, […] risulta però essere il vero proprietario e utilizzatore dell’aereo, da lui acquistato nel 2012 a Miami. Dai piani di volo registrati nel computer di bordo risultano tutti i suoi spostamenti,che coprono l’Europa.
(g.c.)
SACCHEGGIO DI SOLDI PUBBLICI
di FRANCESCO JORI
LA REAZIONE – Occorre far sentire che in alternativa ai predoni esiste e pesa la contro società degli onesti
Guasto prima ancora di entrare in funzione. In attesa di verificare se riuscirà a salvare Venezia dalle acque alte dell’Adriatico, il Mose ha già fatto cilecca di fronte a quelle del mare grande della corruzione: lungi dal fare barriera, le sue paratie sono rimaste abbassate come un ponte levatoio su cui far transitare ingenti carichi di regalie a favore dei signorotti e loro vassalli saldamente insediati a palazzo. E se nel primo caso è in gioco il destino di una città, sia pure tra le più belle al mondo, nel secondo ne esce sommersa un’intera regione. Il Veneto virtuoso di tante narrazioni ha ceduto il passo a uno squallido racconto di saccheggio delle pubbliche risorse, e non solo in casa propria: tra le voci dell’export in cui primeggia ha incluso pure il malaffare, come insegnano le vicende giudiziarie dell’Expo milanese. Che vedono protagonista il venetissimo imprenditore Maltauro, alla faccia del codice etico decantato nel sito internet della sua impresa. Se a oltre vent’anni da tangentopoli l’Italia rimane un Paese a illegalità diffusa, il Veneto ne rappresenta oggi come allora una sua deteriore vetrina. L’accordo spartitorio denunciato dalla magistratura veneziana nelle sentenze di condanna dei grandi e piccoli mariuoli dei primi anni Novanta, risulta ancor più rafforzato dalle 160 mila pagine della meticolosa inchiesta condotta da giudici di comprovata professionalità. Grandi beneficiari e accattoni della prebenda uniti nella riscossione; politici e imprenditori, militari e funzionari, controllori e controllati, associati in una per nulla santa alleanza della malversazione di cui dovremo pagare il conto a lungo. Tranne loro, magari, e sarebbe davvero una beffa: l’obiettivo che li accomuna è tirarla per le lunghe fino a beneficiare della prescrizione. E intanto proclamano la totale estraneità alle accuse: i soldi sono circolati a vagonate, su questo non ci piove; ma nessuno li ha intascati. Che siano finiti in mance ai camerieri, nelle varie colazioni di lavoro della confraternita? O qualcuno facendo le pulizie di casa non ha ancora trovato una busta gonfia di euro lasciata lì per caso da qualche discreto benefattore? La giustizia farà il suo corso. Ma quali che siano i verdetti finali, sulla sostanza non si gioca. Se uno ha intascato, è un ladro; se in anni di incarico non si è accorto di chi intascava intorno a lui, è un incapace. E l’incapacità non si prescrive: rimane a vita. In entrambi i casi, le persone coinvolte vanno tenute rigorosamente lontane dai beni della comunità,e dev’essere loro precluso qualsiasi ruolo: dai più impegnativi ai minori, fosse anche un comunello di cento anime. Tuttavia, la bonifica non può fermarsi qui. Corruttori e corrotti sono due facce di un’identica categoria trasversale, in cui rientrano figure pubbliche ma pure personaggi privati. Perciò è indispensabile che categorie economiche e ordini professionali adottino a loro volta misure severe ed esemplari nei confronti dei loro associati coinvolti nel malaffare, senza ambiguità e zone franche. Ma tocca anche a ciascuno di noi non lasciarsi anestetizzare dal cloroformio del disimpegno: «Disinteresse e rassegnazione dei cittadini sono il terreno più fertile per il ricorso o l’adattamento alla pratica della corruzione», avverte Piercamillo Davigo, uno dei protagonisti di Mani Pulite. Occorre far sentire che in alternativa ai predoni delle pubbliche risorse, esiste e pesa quella contro società degli onesti di cui parlava Italo Calvino nel 1980, in un celebre apologo su “Repubblica”: che non vuole rassegnarsi all’estinzione, che non valuta tutto in denaro, che «a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti ». Facendo sapere, con la sua sola presenza, che l’impegno civile non cade mai in prescrizione.
Gazzettino – Cosi’ il Mose foraggiava Venezia 32 milioni a enti e associazioni.
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4
lug
2014
L’INCHIESTA – Contributi per tutti: dalla Coppa America a Emergency
Così il Mose foraggiava Venezia 32 milioni a enti e associazioni
Finanziamenti a pioggia a enti, associazioni, amici, società sportive, iniziative varie, progetti editoriali, culturali e umanitari. Per 18 anni il Consorzio Venezia Nuova presieduto da Giovanni Mazzacurati ha tenuto aperti i rubinetti delle elargizioni: oltre 32 milioni, ecco le cifre che risultano dai bilanci. Dalla chiesa alla Coppa America, dalle feste veneziane ad Emergency, dal calcio alla Venice Marathon.
Offerte in serie alla chiesa: dai 250mila euro per il Marcianum ai 100mila per due anni alla Conferenza episcopale triveneta. Senza dimenticare la Mensa dei poveri
SCRITTORI E GIORNALISTI – Da Irene Bignardi a Manfredi, gli autori pagati per le strenne stampate da Marsilio
2.900 – L’ISCRIZIONE AL FAI
5.000.000 – COPPA AMERICA
200.000 – AL CALCIO VENEZIA
17.000 – ARCHEOLOGO-SCRITTORE
ISTITUZIONI – Ateneo Veneto: 20mila euro all’anno e 5mila per la Fondazione Pellicani
I CONTI Sostegno alla cultura, dalla Fenice alla Biennale, e al mondo delle regate.
Maxi elargizione (5 milioni) per le formula 1 del mare
“Liberalità” e “informazione”: ecco dove finivano i fondi del Consorzio Venezia Nuova
DAL 1995 AL 2013 – Enti, associazioni e amici tutti in fila per i contributi del padre delle dighe mobili
IN PROPRIO – Ma il denaro sarebbe stato usato anche per la villa californiana della moglie
Una laguna di soldi: da Emergency alla Coppa America
VENEZIA – Non c’era solo La Fenice, ma una vera e propria galassia con tanti satelliti, grandi e piccoli. E tutti – goccia a goccia nel mare dei 5 miliardi spesi per il Mose – hanno ottenuto dal Cvn, ognuno per proprio conto, finanziamenti o sostegni. Grandi, medi o infinitesimali. Anche per questo, quei 32 milioni di euro ufficialmente usciti tra liberalità e pubbliche informazioni, potrebbero essere solo una parte delle erogazioni effettuate. Ma, come diceva Pirandello: così è, se vi pare. E allora, detto dei soldi concessi nell’arco degli anni all’ente lirico veneziano, e noto il “contributo” dato nel tempo alla Fondazione Marcianum (almeno 250 mila euro all’anno dal 2008 al 2013), cerchiamo di capire come nel corso degli anni il dinamismo del Consorzio Venezia Nuova gestione Mazzacurati ha innervato la realtà sociale veneziana. Denari, è bene sottolinearlo, usciti dalle casse del Cvn in modo legale e spesso importanti per l’attività di realtà sociali o culturali di indubbio valore. È il caso, oltreché de La Fenice, della Biennale di Venezia che ottiene un sostegno “liberale” di 100 mila euro all’anno almeno fino al 2013, indipendentemente dall’inizio della gestione Fabris. Tra i beneficiari c’è poi anche la prestigiosa Fondazione Banca degli Occhi di Mestre che negli anni, a partire dal 2006, vede oscillare il proprio finanziamento da parte del Cvn tra i 300 ai 500mila euro. Un po’ come butta il “convento”. Parola, che non vuole essere una battuta perché il mondo ecclesiastico o della Chiesa è sicuramente ben rappresentato negli elenchi dei contributi offerti dal Consorzio Venezia Nuova. E in questo senso si va dai 10mila euro nel 2012 a sostegno della Diocesi di Venezia per transitare agli assegni da 100 mila euro ciascuno per gli anni 2011 e 2012 alla Conferenza episcopale Triveneta sotto la presidenza dell’allora Patriarca, cardinale Angelo Scola. E poi addirittura i 220mila euro per l’Istituto di Santa Maria della Carità come ente beneficiario in previsione dell’organizzazione della visita di papa Ratzinger a Venezia nel 2011 fino a raggiungere quote di beneficenza vera e propria rivolta ad alcune parrocchie del centro storico per lavori e riassetti di piccole e medie dimensioni senza dimenticare un sostegno alla Mensa dei poveri di Mestre.
Ma quello che più emerge è soprattutto la ramificazione dei finanziamenti “liberali” che il Consorzio Venezia Nuova mette in atto negli anni. E c’è veramente di tutto. Innanzitutto l’”aiutino” dato al Comune in alcune occasioni. Si è già detto dei 5 milioni offerti per l’allestimento, gestione e organizzazione delle gare di Coppa America 2012, ma vanno segnalati anche gli “oboli” offerti per altri eventi veneziani come la compartecipazione all’organizzazione delle feste tradizionali come quelle del Redentore, terzo sabato di luglio con barche e fuochi pirotecnici, o della Regata Storica alla prima domenica di settembre. Nella maggior parte dei casi, secondo la nuova dirigenza del Consorzio Venezia Nuova che sta studiando la documentazione, il Cvn offriva cifre che andavano tra i 25mila e i 30mila euro alla bisogna, e per più anni a seguire. Ma si tratta solo di alcuni esempi. Anche perché l’erogazione di denaro “stornato” dalle necessità istituzionali (si intende) ha riguardato non solo le grandi istituzionali culturali della città, ma anche altri organismi vedi l’Ateneo Veneto (con cifre all’incirca attorno ai 20mila euro per sei/sette anni) e la Fondazione Querini Stampalia (sempre per più anni e con cifre analoghe di 20mila euro) e pure la dinamica Fondazione Pellicani, di Mestre, che si occupa di politica, con erogazioni però sensibilmente minori (5mila euro per alcuni anni).
Ma non solo. Mazzacurati ci teneva anche ad essere socio sostenitore del Fai, il Fondo Ambiente Italiano, sborsando a titolo di adesione una somma d’iscrizione attorno ai tremila euro (2900) per alcuni anni. E poi c’è anche Emergency, la creatura di Gino Strada che ottiene un finanziamento, di qualche migliaio di euro, per la fornitura di alcuni servizi e organizzazione di convegni. E non è finita. Non mancano le “erogazioni liberali” ai teatri veneziani. Ci sono denari (comunque cifre modeste) al Teatro a l’Avogaria di Venezia; al Teatro Fondamente Nuove, mentre per il prestigioso Teatro Goldoni, il Cvn gestione Mazzacurati per sostenere l’ente acquista una decina di abbonamenti. E soldi, ancora in fase di quantificazione, sono serviti a sostenere attività, corsi ad hoc e seminari dell’università di Ca’ Foscari oppure dell’Istituto di architettura (Iuav). E finanziamenti vanno a raggiungere anche la società Dante Alighieri di Venezia per le “Letture dantesche” (3mila euro) oppure per partecipare alla gara di solidarietà di Telethon (settemila euro), ma qualche spicciolo va anche al circolo scacchistico di Venezia “Ernesto Canal”. Tra gli enti locali non mancano sostegni alla Municipalità del Lido per iniziative culturali, e pure al Comune di Cavallino-Treporti.
E infine lo sport. Anche qui il Cvn di Mazzacurati non badava a spese: si contano 20 mila euro per la Compagnia della Vela (2011); per il Calcio Venezia 1907 della vecchia gestione della famiglia Marinese (200 mila euro) fino al Cus Venezia (15 mila euro) nel 2009. E poi ancora la Venice Marathon con fondi che oscillano tra i 5mila/8mila euro fino ai diecimila per la realizzazione della gara podistica.
A completare il quadro c’era poi l’attività editoriale, concentrata essenzialmente nella pubblicazione di strenne natalizie. Ogni anno il Consorzio proponeva a un giornalista di vaglia o a un personaggio famoso la realizzazione di un libro con tema Venezia. Il tomo veniva poi regalato, in occasione delle festività di fine anno, a migliaia di persone in tutta Italia. Dal 2002 la stampa dei libri viene affidata in esclusiva alla casa editrice veneziana Marsilio. Gli autori sono invece in larga parte “foresti”. Come il giornalista, ex Manifesto, Guido Moltedo, autore di “Welcome to Venezia. Cento volte imitata, copiata, sognata” (39mila euro di compenso più 31mila a Marsilio per la stampa) o la critica cinematografica Irene Bignardi che nel 2011 riceve dal Cvn 37mila euro per realizzare il libro “Storie di cinema a Venezia”. Ma c’è anche spazio per il disegnatore Lorenzo Mattotti che per il suo “Scavando nell’Acqua” incassa 49mila euro mentre 57mila vanno a Marsilio per la stampa e per il celebre archeologo-scrittore Valerio Massimo Manfredi che per la sua “Isola dei Morti” si deve però accontentare di 17mila euro.
Paolo Navarro Dina
Gli oboli di Mazzacurati oltre 32 milioni a pioggia
I concetti base erano due: liberalità e pubblica informazione. Due facce della stessa medaglia. Una sorta di “cassa continua” con la quale il sistema Mazzacurati erogava fondi, contribuiva alle cause più disparate o soltanto puntava a sostenere iniziative, incontri, dibattiti o riunioni sportive o parasportivi. Insomma di tutto un po’. E a batter cassa erano veramente tutti. Un sistema che erogava a chiunque e dovunque, senza tralasciare nessuno. In qualche modo, visto che i soldi erano tanti, il denaro affluiva ad enti, associazioni, sodalizi sportivi e non, gruppi di volontariato e fondazioni private. Tutti pronti a fare una richiesta con il Consorzio Venezia Nuova pronto ad esaudire senza discriminazione.
E così, secondo i primi calcoli, dal 1995 al 2013 (ma in alcuni casi gli impegni finanziari giungono anche in questo burrascoso 2014) il Consorzio Venezia Nuova pare abbia speso oltre 32 milioni di euro per impegnarli nelle due fonti di spesa indicate. Attenzione però: non è affatto detto che questa cifra sia comprensiva di tutti i soldi usciti a vario titolo dalla casse del Cvn nel corso degli anni. Infatti secondo un rapido calcolo pare che solo per le liberalità siano stati spesi dal 1995 al 2013 circa 13 milioni e qualche ulteriore spicciolo. Discorso non molto diverso per l’altra “voce”, quella della pubblica informazione. In questo settore, sempre dal 1995 al 2013, i soldi versati per iniziative promozionali (editoria, libri, visite guidate ai cantieri, convegni, dibattiti, merchandising, sito internet etc etc.) si aggirerebbero sui 19 milioni di euro che conterrebbero tra l’altro anche il milione che il Consorzio mise a disposizione della società Argonauti del figlio di Mazzacurati, Carlo, il regista recentemente scomparso. E qui rientrerebbero anche i soldini per la famosa villa in California a La Jolla, usata ancor oggi da Mazzacurati. In ogni modo il “sistema” di erogazioni liberali e di pubblica informazione è ora allo studio della nuova governance del Consorzio Venezia Nuova che, con il nuovo presidente Mauro Fabris, ha di fatto “staccato la spina” ad ogni forma di contribuzione o “obolo” concesso limitandosi a rispettare gli impegni come nel caso del sostegno al Teatro La Fenice che dura da tempo, per un valore che oscilla tra i 250mila e i 350mila euro all’anno.
Ed è proprio con il contributo dato al teatro veneziano che Mazzacurati, in qualche modo, negli anni scorsi, prese atto che le erogazioni liberali non solo davano lustro al Consorzio, ma potevano essere importanti come strumento di raccolta del consenso nel tessuto cittadino. Così per esempio nel 2006 investe 450mila euro per l’allestimento de “Il Flauto Magico” di Mozart, raccogliendo in qualche modo l’appello dell’ente lirico che aveva invitato gli enti e gli imprenditori veneziani a sostenere le spese di allestimento degli spettacoli. Un’operazione di grande marketing che lo stesso Mazzacurati rivendicherà, vergando la prefazione di un libro “Forma di Venezia” scritto da Sergio Bellini.
Ma è solo l’inizio. E sarà da allora in poi un vero e proprio “crescendo rossiniano”, tanto che secondo l’attuale Cvn, nel corso degli anni, c’è un aumento esponenziale dei fondi per le cosiddette “liberalità” che passano dai 60mila euro del 1995 al milione e 750mila euro del 2012. Un incremento che parallelamente riguarda anche la voce “pubbliche informazioni” che aumenta vertiginosamente dai 173mila euro del 1995 al 1 milione 779mila del 2011, per scendere poi al 2012 a 973mila. Insomma, cifre importanti in un ginepraio di stanziamenti e finanziamenti a pioggia. Che vanno valutati considerando però anche l’altra “faccia della medaglia”. Se è vero infatti che il Consorzio non diceva – praticamente – mai di no a nessuno – dall’altra erano la stessa società civile (!), il mondo dell’associazionismo e l’arcipelago di enti e sodalizi a bussare alla porta di Giovanni Mazzacurati & Co. sapendo di poter ottenere un robusto finanziamento o almeno qualche spicciolo. E qui si apre veramente un mondo. Perchè nel corso degli anni, come raccontiamo nell’altro articolo in queste pagine, l’intera Venezia, dalla grande alla piccola organizzazione, ha chiesto, ottenuto e utilizzato i fondi concessi dal Consorzio Venezia Nuova.
Paolo Navarro Dina
CAMBIO DI ROTTA – Il nuovo vertice ha sospeso gran parte dei finanziamenti
UN MESE DOPO IL BLITZ – Resta aperto il caso-Galan Forza Italia: no al carcere
MESTRE – (m.d.) È passato un mese esatto dalla maxi retata del Mose. All’alba del 4 giugno, come annunciò per primo il Gazzettino.it, i finanzieri avevano bussato alla porta di 35 persone e le avevano portate in caserma. Dopo l’identificazione e le foto segnaletiche, 25 erano state smistate nelle carceri di tutta Italia mentre alcune erano finite ai domiciliari. Nel giro di poche ore l’inchiesta aveva fatto il giro del mondo anche perché agli arresti domiciliari era finito pure il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Ebbene, trenta giorni dopo il blitz, all’appello manca l’ex ministro Giancarlo Galan, 57 anni. E’stato chiesto dai giudici veneziani l’arresto e per Galan bisogna attendere il voto del Parlamento, atteso per fine mese. Proprio ieri la Guardia di finanza ha trovato e sequestrato in un’aviosuperficie in provincia di Bologna un aereo privato a quattro posti appartenente al commercialista che aveva inventato il nuovo sistema della fatture false – utilizzando alcune società canadesi – dopo che era saltato quello messo in piedi a San Marino da William Colombelli. Il valore commerciale dell’aereo – che si aggiunge allo yacht da 3 milioni di euro sequestrato a La Spezia – è di 300mila euro: immatricolato con la sigla N, che indica la provenienza statunitense, è di proprietà di un trust del Delaware.
Intanto, è polemica sulla richiesta di Galan, nella memoria depositata alla Giunta per le autorizzazioni, di considerare il suo caso alla luce del recente decreto che evita la custodia cautelare a chi viene accusato di un reato che comunque non sarebbe punito con una pena superiore ai tre anni. Secondo il relatore di minoranza Gianfranco Chiarelli (Forza Italia) «non si propone alcuna norma “salva-Galan”, ma solo l’analisi di una situazione che suscita molte perplessità sulla richiesta di arresto». Ecco le ragioni del rinvio dopo la seduta dell’altro ieri: «Galan ora rischia cinque anni – conviene Chiarelli – ma tra attenuanti generiche, speciali e di rito, come il patteggiamento, è molto probabile che si scenda sotto i tre anni».
MOSE GALAN COME NICCOLAI
Comunardo Niccolai, arcigno difensore del Cagliari scudettato, è passato alla storia suo malgrado per le splendide autoreti con cui sovente faceva disperare il proprio portiere e i suoi tifosi. Giancarlo Galan me l’ha fatto ritornare alla mente quando ho ascoltato la conferenza-stampa di “autodifesa” trasformatasi in un’incredibile, stupefacente autogol. Alla Niccolai, appunto. Nelle quasi due ore di appassionato e urlato show, infatti, la palla di dati, foto, nomi e cognomi l’ex ministro non l’ha tirata affatto nella rete di chi aveva sollevato le contestazioni ma direttamente nella propria, per un grave errore iniziale d’impostazione: l’aver voluto calciare protetto dallo scudo dell’immunità parlamentare. Trincerarsi dietro questa barriera, aspettando le decisioni dei propri pari – leggi Giunta per le autorizzazioni a procedere – invece di dimettersi affrontando l’eventuale processo ha reso, ai nostri occhi di cittadini, tutto il resto stucchevole. Solo in Italia siamo riusciti a rendere odioso questo cardine democratico, nato per consentire una serena attività politica, trasformandolo in paravento per ogni sorta di malaffare. I nostri cuginetti d’Oltralpe stanno per processare, proprio in questi giorni, l’ex presidente Sarkozy ” un cittadino come tutti gli altri”, parola del premier Hollande. Vien da dire, a malincuore, “vive la France!” e, purtroppo ancora una volta ” tiens les Italiens! “.
Vittore Trabucco – Treviso
NO MOSE – Protesta ieri a San Tomà per i gruppi ambientalisti
«Adesso Renzi rottami il Consorzio»
Appello al premier in visita in città per la Settimana digitale
Un “caldo benvenuto” attenderà il premier Matteo Renzi il prossimo 8 Luglio quando, in occasione della visita programmata all’Arsenale, ci saranno ad attenderlo anche gli attivisti della “Rete Veneta contro le Grandi Opere per la difesa del Territorio e dei Beni Comuni”. Ad annunciarlo è Tommaso Cacciari, che, nel corso di una conferenza pubblica contro le “Grandi Opere”, tenutasi ieri mattina a San Tomà, si è detto sicuro di riuscire ad incontrare il premier per fargli capire le necessità di Venezia: “Dalle 10 saremo davanti all’ingresso principale dell’Arsenale – afferma – dovrà incontrarci per dimostrare se davvero è il rottamatore che si dichiara. Del resto, non abbiamo rappresentanti politici in Comune, quindi chi meglio di lui sarà l’interlocutore ideale”.
È lo stesso Cacciari a formulare, a nome degli attivisti, le richieste, che sono lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e l’abolizione del Mose, definiti “mele marce da tranciare sin dalle radici”.
Infatti ieri si è parlato molto di Mose e impatto ambientale, con interventi bipartisan di chi ha a cuore il territorio come MariaRosa Vittadini, docente Iuav ed ex-presidente della Commissione tecnica che in passato ha bocciato il Mose: ”È un’opera devastante e senza garanzie. C’è la possibilità di modificarlo, andare avanti così non ha senso, è una macchina mangia soldi dove il business vero sta nella manutenzione, con 40 milioni di Euro annui necessari”. Oppure Don Albino Bizzotto che, con Gianluigi Salvador, consigliere del Wwf Veneto, si sono più volte spesi per la protezione della terra e dell’agricoltura. Patrimoni necessari da preservare ed aiutare a crescere in maniera rispettosa, visto l’alto impatto che i pesticidi hanno nei confronti della salute. Salute che è stato un tema molto sentito da parte di Carlo Costantini, dell’Associazione Altro Veneto, che ha rimarcato come gli ospedali di Mestre e Padova siano costati troppo rispetto ai preventivi.
Tomaso Borzomi
C.S.Rete veneta comitati 03/07/14 – Moratoria immediata sulle “Grandi opere” inutili e dannose
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3
lug
2014
COMUNICATO STAMPA RETE VENETA DEI COMITATI 3 LUGLIO 2014
MORATORIA IMMEDIATA SULLE “GRANDI OPERE” INUTILI E DANNOSE
“Grandi Opere” uguale malaffare: ora ci sono le prove inconfutabili di quanto denunciato in tutti questi anni dai comitati e dalle associazioni ambientaliste.
Va abbattuto il sistema perverso delle “Grandi Opere”, vera causa sistemica della corruzione nella quale sono coinvolti partiti di entrambi gli schieramenti, dal P.d.L. al P.D., dalla Lega all’UDC, a dimostrazione delle completa trasversalità del “Il Partito degli Affari”.
Per i comitati, le associazioni e i movimenti che da anni si battono in tutto il territorio del Veneto contro le decine di “Grandi Opere” inutili e dannose non c’è nessuna sorpresa rispetto a tutto il marciume che emerge dall’inchiesta veneziana, ma solo la conferma di quanto da anni denunciano con dossier, esposti, ricorsi e mobilitazioni. Il livello così pervasivo della corruzione, che ha coinvolto pezzi importanti della Giustizia (compresi T.A.R., Consiglio di Stato e Corte dei Conti), delle Forze dell’Ordine, degli apparati amministrativi pubblici, delle Università, degli organi di informazione, e prima di tutti, delle istituzioni politiche di governo della Regione e del Paese, spiega molto bene perché le istanze dei comitati non siano mai state prese in considerazione.
La Rete Veneta dei Comitati rifiuta la retorica delle “mele marce”: qui è l’intero albero, ad iniziare dal fusto e dalle radici, ad essere incancrenito! In molti, a cominciare dal Presidente Renzi, vorrebbero far credere che il problema sta solo nel malcostume di qualche individuo, e che invece le regole vanno bene così come sono e, soprattutto, che le opere devono andare avanti! Per i cittadini questo significherebbe una cosa sola: un enorme danno ambientale ed economico, oltre alla beffa di essere stati derubati da chi doveva rappresentarli e tutelarli.
Perché quello che emerge in Veneto, come in Lombardia, come in tante altre parti d’Italia, è che proprio le “Grandi Opere” pubbliche, gestite attraverso la Legge Obiettivo, i Commissari straordinari, il project financing, l’affidamento in concessione, sono state il mezzo, il terreno di coltura per costruire e alimentare vere e proprie cricche malavitose di stampo politico-affaristico; sodalizi che non si sono fatti il minimo scrupolo nel devastare interi territori pur di intascare miliardi di euro di denaro pubblico a proprio esclusivo vantaggio. La riprova di ciò sta nel fatto che nessuna delle “Grandi Opere” previste in Veneto risponde ai requisiti di sostenibilità ambientale ed economica, né di necessità rispetto agli effettivi bisogni delle popolazioni; tutte sono pensate in funzione di un unico scopo: massimizzare il profitto che se ne può ricavare.
E proprio su questo punto, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e a chi come il Presidente Luca Zaia ora finge di essere estraneo a tutto, va ricordato che oltre alle responsabilità penali esistono anche quelle politiche.
Ciò che conta veramente è quindi mettere la parola fine al sistema delle “Grandi Opere”, e a tutto quel complesso di norme ordinarie e straordinarie pensate ad arte per promuoverle e gestirle senza trasparenza e fuori dal controllo democratico delle comunità locali.
Per questo la Rete Veneta dei Comitati per la difesa dei territori e dei Beni Comuni lancia una Campagna pubblica per ottenere una moratoria immediata sui grandi progetti in corso di realizzazione e in progetto in Veneto. La campagna prevede l’avvio di una petizione popolare, azioni di mobilitazione, di informazione e di sensibilizzazione sui territori. Il tutto si concluderà con una grande manifestazione unitaria nel prossimo autunno.
Questa la piattaforma della Campagna:
Moratoria immediata su tutte le “Grandi Opere” in corso di realizzazione o in progetto in Veneto per potere svolgere una approfondita verifica della loro utilità, affidabilità tecnica e sostenibilità economica. Stop al MOSE, alle nuove autostrade, alle linee TAV, al carbone nella centrale di Porto Tolle, allo scavo nuovi canali per portare le grandi navi in laguna, agli inceneritori, ai prelievi indiscriminati d’acqua dai fiumi, agli Ospedali unici in finanza di progetto.
Scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e sequestro cautelativo dei cantieri, dei macchinari e dei beni delle imprese che hanno messo in atto azioni criminali ai danni della pubblica amministrazione, compreso il finanziamento illecito ai partiti;
Revoca e annullamento di ogni autorizzazione, concessione, contratto, affidamento di lavori che possa essere il frutto di corruzioni, favoreggiamenti o altro tipo di pressioni e attività illecite da parte di imprese, loro consorzi o altri mandatari;
Annullamento di tutte le leggi, i provvedimenti, i regolamenti che – a partire dalla “Legge Obiettivo” Lunardi-Berlusconi sulle “Grandi Opere” del 2001 – hanno “semplificato” le procedure in materia di “Grandi Opere” derogando alla normativa sugli appalti e attribuito poteri immensi ai “commissari straordinari”. In particolare, chiediamo il divieto di affidamento di lavori senza gara d’appalto e in mancanza dei progetti definitivi, così come di ricorso al sub-appalto.
Azzeramento del sistema della Finanza di Progetto (“Project Financing”) attraverso cui le banche e le grandi imprese riescono a scaricare sui cittadini e sul debito pubblico (tariffe, pedaggi, affitti, contratti di esercizio, ecc.) i costi delle opere.
Avvio delle procedure per il recupero del denaro pubblico che le imprese hanno “devoluto” ad altri scopi rigonfiando i costi realizzazione.
Immediata approvazione di una legge che vieti alle imprese che intrattengono rapporti economici con enti pubblici di devolvere denaro a qualsiasi titolo (finanziamenti, sponsorizzazioni, ecc.) a partiti, fondazioni, esponenti politici. “Liberiamo” così le imprese dal pizzo della politica.
Ricostruzione degli organismi di valutazione e controllo ambientale per renderli indipendenti dai poteri politici ed economici: eliminazione dei conflitti d’interesse, di competenze e la concentrazione dei poteri in una sola figura.
Garantire pubblicità, trasparenza e partecipazione piena dei cittadini sull’operato della pubblica amministrazione e su tutte le decisioni che riguardano le opere ed i beni pubblici.
Per firmare la petizione saranno allestiti vari presidi nei territori, ma le adesioni saranno raccolta anche on-line attraverso la piattaforma Firmiamo.it all’indirizzo http://firmiamo.it/no–grandi-opere–in-veneto–per-la-difesa-dei-territori . Obiettivo 50.000 firme.
Rete Veneta dei Comitati/Associazioni contro le Grandi Opere
per la Difesa dei Territori e dei Beni Comuni
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L’articolo di Eco-Magazine con alcune interviste
Firma e fai firmare queste due petizioni
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3
lug
2014
Cliccare sui link sotto per leggere e firmare le petizioni
– Petizione per difendere l’ospedale di Dolo e l’ULSS 13
Nuova Venezia – Ore 9, alla porta bussa la Finanza: Lia Sartori agli arresti domiciliari.
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3
lug
2014
Scaduta l’immunità per l’ex europarlamentare
Ore 9, alla porta bussa la Finanza: Lia Sartori agli arresti domiciliari
VICENZA – Arrestata. I finanzieri hanno suonato il campanello alle 9 in punto. Amalia Sartori, 66 anni, li stava aspettando all’interno del suo appartamento in centro città a Vicenza. Da quasi un mese si stava preparando: per questo aveva fatto anche un salto in libreria, nei giorni scorsi, per prendersi dei volumi da leggere durante quella che spera essere una breve permanenza obbligata in casa. I militari del nucleo di polizia tributaria di Venezia le hanno consegnato l’ordinanza di custodia cautelare firmata poco più di un mese fa dal giudice Alberto Scaramuzza, che ha disposto per lei gli arresti domiciliari. La misura cautelare era rimasta sospesa fino a ieri, quando è scaduta l’immunità per la vicentina. L’ex eurodeputata, una lunga militanza politica fra Forza Italia e Pdl, è accusata dal pool di magistrati che hanno coordinato l’inchiesta sulla Tangentopoli veneta collegata al Mose di finanziamento illecito: avrebbe incassato in totale 225 mila euro dal 2006 al 2012 per le sue campagne elettorali da Giovanni Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova, incaricato di realizzare il Mose. Lo avrebbe fatto per garantirsi una copertura politica, come del resto avveniva anche con l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e con Giampietro Marchese del Pd, accusati dello stesso reato. Sartori non avrebbe registrato quelle somme, che peraltro nega di aver mai ricevuto. Sartori, che all’indomani della retata si era dimessa da tutti gli incarichi, è certa di dimostrare la sua estraneità alle accuse. «Era tranquilla, ha offerto il caffè ai finanzieri ed ha seguito le varie fasi della perquisizione in casa, dopo aver consegnato telefono e pc», ha spiegato l’avvocato Moscatelli, che era con lei. Lia Sartori, che è stata anche candidato sindaco a Vicenza, è stata poi accompagnata al comando delle Fiamme gialle vicentine per essere foto segnalata. Quindi è stata scortata fino al suo appartamento a due passi da piazza dei Signori, dove è ristretta in attesa dell’interrogatorio. «Mi occuperò di riordinare tutte le mie carte personali, un lavoro che rimando ormai da tanto tempo – ha spiegato Sartori alle persone vicine – e mi leggerò qualche libro e soprattutto le carte dell’inchiesta, che non avevo avuto il tempo di approfondire». La posizione della politica vicentina è decisamente meno grave, secondo gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Carlo Nordio che per quattro anni hanno seguito l’indagine, rispetto a quella di altri politici coinvolti, a partire da Galan e da Renato Chisso, accusati di corruzione. Per gli inquirenti però quegli oltre 200 mila euro versati dal Consorzio a Sartori sono un reato. L’unico al momento contestato: da tempo si parla infatti di altri tronconi dell’indagine, in particolare sul fronte sanitario, che riguarderebbero Sartori. La quale, pur provata anche da un grave lutto che l’ha colta ad inizio anno, resta combattiva: «Mi difenderò».
Diego Neri
Mose, salvagente per Galan
La Camera valuta se applicare il decreto svuotacarceri
Un salvagente per Galan grazie allo svuota carceri
Un deputato di Fi solleva la questione e chiede un rinvio. La Russa: valuteremo
L’ex governatore veneto : «Non mi aggrappo a questo ma all’amore di verità»
VENEZIA – Potrebbe essere il decreto legge 92, pubblicato il 27 giugno scorso in Gazzetta ufficiale, a salvare Giancarlo Galan dal carcere. Si tratta di un decreto approvato dal consiglio dei ministri in coda allo «svuota carceri» che prevede sostanzialmente la non applicabilità della custodia in carcere nei casi in cui «il giudice ritenga che la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni». Una «presunzione » di pena che dovrebbe essere il magistrato giudicante a valutare, prima di aderire o meno alla richiesta di arresto per l’indagato. La norma, pur varata nell’ambito delle procedure per lo «svuota carceri » e del tutto indipendente dalla vicenda degli indagati del Mose, calza a pennello per il caso di Galan, nei confronti dei quali pende una richiesta di arresto per corruzione per fatti in gran parte destinati alla prescrizione e la cui pena effettivamente potrebbe essere calcolata in misura inferiore ai tre anni. Lui, tuttavia, fa spallucce: «Non mi aggrappo a questo,mi aggrappo alla verità» ha dichiarato l’ex ministro. Al penalista di fiducia dell’ex governatore, il parlamentare Niccolò Ghedini, non è parso vero scoprire tra gli ultimi decreti pubblicati in Gazzetta ufficiale la norma che potrebbe evitare il carcere al suo assistito e collega di partito. Puntuale ieri mattina, alla ripresa dei lavori della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, il deputato di Forza Italia Gianfranco Chiarelli ha sollevato la questione chiedendo il rinvio della discussione. Alla luce di questa nuova norma giuridica anche il Pd ha votato per il rinvio, mentre il Movimento 5 stelle ha votato contro, pur riconoscendo l’opportunità di una proroga precauzionale in attesa di approfondimenti. Il presidente della giunta, Ignazio La Russa, ha spiegato: «La richiesta di rinvio è stata avanzata per la necessità di una maggiore riflessione per la nuova memoria presentata da Galan e per una nuova norma introdotta che modifica le condizioni per la custodia cautelare in carcere. Il termine ultimo dell’11 luglio rimane invariato, ma dare un respiro di pochi giorni può essere utile sia ai commissari che che alla magistratura stessa». Il relatore del caso Galan, Mariano Rabino (Scelta civica) ha aggiunto: «abbiamo deciso di utilizzare la richiesta di proroga di una settimana che ci ha concesso la presidente Boldrini. Sarei stato pronto a dare il mio parere e secondo me nell’ulteriore memoria di Galan non ci sono novità siderali. C’è una novità che riguarda una nuova norma, ma francamente questa novità non ci aiuta a capire se c’è o meno fumus persecutionis e la Giunta deve esprimersi su questo». L’inaspettato regalo dal cielo potrebbe, secondo i difensori di Galan, salvarlo dall’eventualità che l’ex ministro teme e che tuttavia continua a giudicare come inevitabile. Anche perché il voto della giunta per le autorizzazioni, nonostante il rinvio deciso, è slittato alla settimana prossima e comunque non andrà oltre il prossimo 11 luglio. Ma proprio il diverso atteggiamento della magistratura veneziana nei prossimi giorni (potrebbe revocare la richiesta di arresto e accontentarsi dei domiciliari, oppure confermare la misura cautelare in carcere) potrebbe prestare il fianco alla delicata questione del «fumus persecutionis», in realtà l’unico aspetto cui la giunta per le autorizzazioni a procedere è chiamata a valutare. Se la magistratura di Venezia non dovesse mutare la propria richiesta motu proprio (perché la richiesta è scattata prima dell’entrata in vigore della norma) i parlamentari potrebbero effettivamente considerare il «fumus». E così anche se, sollecitati dalla difesa, decidessero che non sussistano le condizioni per applicare le nuove norme al caso concreto. Nell’uno e nell’altro caso, insomma, una scivolosa buccia di banana per i pm nel percorso giudiziario che attende il parlamentare Galan. E il governo ieri, alle prime avvisaglie della tempesta politica che rischia di abbattersi, è corso ai ripari con una nota ufficiale del dicastero della Giustizia: «Il governo ha corretto la norma, che inizialmente stabiliva il divieto di qualunque misura cautelare detentiva» nel caso di pene inferiori ai tre anni, stabilendo che sia il giudice ad esprimere in concreto una prognosi sulla pena. «Non è stato previsto alcun automatismo» ha precisato il ministro, lasciando aperta tuttavia la porta all’intervento in aula in sede di conversione del decreto.
Daniele Ferrazza
SCANDALO EXPO – Maltauro, spettro commissario. E l’azienda nomina un nuovo ad
VICENZA – Lo spettro del commissariamento per gli appalti Expo aggiudicati al gruppo vicentino Maltauro. L’ha prospettato lo stesso Raffaele Cantone, presidente dell’autorità nazionale anticorruzione. La questione Maltauro «entro la prossima settimana sarà oggetto di una mia richiesta al prefetto di Milano Paolo Francesco Tronca», ha detto il presidente dell’autorità anticorruzione. «Valuteremo, in base agli atti acquisiti, che richiesta fare» ha aggiunto Cantone ricordando la possibilità di commissariamento o di mutamento della governance dell’azienda finita nell’inchiesta sulla cosiddetta “cupola degli appalti”. In relazione all’Expo, la Maltauro è aggiudicatario degli appalti per le architetture di servizio del sito espositivo e quelle per le Vie d’acqua: proprio per queste gare Enrico Maltauro è stato arrestato. Cantone ha poi ribadito che sta studiando «una soluzione per chiarire le modalità di permanenza dell’impresa al servizio di Expo. Devo approfondire ancora, perché la norma è molto complicata e deve essere calata nella realtà». Intanto il gruppo Maltauro cerca di distinguere la propria posizione da quella dell’ex manager finito in carcere, ma anche di andare incontro alle mosse di Cantone per l’aspetto della governance aziendale. Così il cda dell’impresa vicentina, che ha già deliberato un’azione di responsabilità nei confronti del proprio ex manager, ieri ha reso nota la nomina di Alberto Liberatori come nuovo amministratore delegato. Liberatori succede proprio a Enrico Maltauro, a cui era stato revocato l’incarico lo scorso 8 maggio dopo il suo arresto per l’inchiesta sugli appalti Expo della procura di Milano. In una nota il cda della Maltauro ha annunciato poi di avere «posto in essere una revisione della propria governance societaria, ritenendola azione di garanzia al fine indiscutibilmente di ribadire la propria assoluta estraneità ai fatti collegati alla persona del proprio ex amministratore». Sull’eventuale commissariamento degli appalti Maltauro, ieri è intervenuto il governatore della Lombardia Roberto Maroni. «Se devono prendere una decisione, la prendano in fretta: ogni giorno che passa è un giorno perso », ha detto Maroni.
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