Nuova Venezia – Baita, Buson e Minutillo: pene bis lievi ai “pentiti”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
14
feb
2015
scandalo MOSE » Il dibattimento
I tre testi in aula contro una decina di imputati tra cui Orsoni, Brentan e Sartori
Rischiano di più Mazzacurati e Savioli, non ancora colpiti dalla prima condanna
VENEZIA – I nomi di chi ha permesso con le sue dichiarazioni che questa indagine arrivasse ai vertici di alcune istituzioni e di importanti aziende non ci sono tra i dieci per i quali la Procura veneziana si appresa a chiedere il rinvio a giudizio, dopo che i difensori avranno preso visione degli atti.
Per Giovanni Mazzacurati, ancora negli Stati Uniti, Piergiorgio Baita, che con il figlio ha ripreso a svolgere lo stesso lavoro di prima, per Claudia Minutillo, Nicolò Buson e Pio Savioli, per ora, nessuno chiederà il processo: naturalmente, sono indagati anche per corruzione per le tangenti che hanno distribuito e che hanno confessato di aver consegnato; i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini si aspettano che i cinque, quando sarà il momento, quelle dichiarazioni rese ai rappresentanti della Procura, alla presenza dei soli difensori, le ripetano in aula, le sbattano in faccia ai dieci imputati.
Soltanto dopo e anche sulla base del comportamento che avranno tenuto durante il processo i loro difensori prenderanno gli accordi per patteggiare le peneper corruzione.
Se tutto andrà liscio per Baita, Buson e Minutillo si tratterà di pene particolarmente lievi da sommare a quelle che già hanno accumulato per la vicenda della «Mantovani», mentre per Mazzacurati e Savioli saranno più pesanti perché saranno le prime condanne, visto che anche il procedimento per turbativa d’asta, quello per l’escavo del canale portuale, non è ancora giunto davanti al giudice.
Nei prossimi giorni ai dieci indagati che non hanno patteggiato arriveranno le notifiche della chiusura delle indagini firmate dal procuratore aggiunto Carlo Nordio e dai tre pm che hanno coordinato l’inchiesta Mose.
Sono l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni , il dirigente regionale Giovanni Artico, l’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova Lino Brentan, l’avvocato romano Corrado Crialese, l’imprenditore veneziano Nicola Falconi, l’ex giudice della Corte dei conti Vittorio Giuseppone, l’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, l’ex funzionario regionale Giancarlo Ruscitti, l’ex parlamentare europea di Forza Italia Amalia Sartori e l’architetto padovano Danilo Turato.
È probabile che a questi dieci nomi si aggiunga quello dell’ex ministro Altero Matteoli, anche lui di Forza Italia, per il quale il Senato deve ancora dare il via libera (lo ha fatto solo la Giunta per le autorizzazioni a procedere). Mentre per Mario Milanese, il braccio destro dell’ex ministro Giulio Tremoni ed ex parlamentare anche lui, il processo è già in corso davanti al Tribunale di Milano perché è in quella città che avrebbe commesso il reato di corruzione.
Per quanto riguarda i tempi. è facile prevedere che l’udienza preliminare davanti al giudice Andrea Comez sarà celebrata in piena estate, nei mesi di giugno o luglio, o appena terminata la sospensione feriale e, quindi, in settembre. Infine, il processo di primo grado davanti al Tribunale potrebbe iniziare prima della fine dell’anno e proseguirà per la prima metà del 2016.
Giorgio Cecchetti
REGIONE,dopo il patteggiamento
Casarin: avviata procedura di sospensione La Regione Veneto ha avviato la procedura di sospensione dal servizio di Enzo Casarin, braccio destro dell’ex assessore Renato Chisso e suo segretario all’assessorato alle Infrastrutture.
La pratica è stata istruita a seguito del ricevimento da parte dell’Avvocatura Regionale, in data 11 febbraio, della documentazione relativa sentenza di applicazione della pena su richiesta.
Casarin, coinvolto nell’inchiesta sul Mose, è stato in carcere dal 4 giugno al 28 novembre 2014: ha patteggiato un anno e otto mesi, più la confisca di 115 mila euro. La documentazione è stata trasmessa all’ufficio del Personale. Il vaglio della posizione di Casarin è affidata all’ufficio per i Procedimenti disciplinari presso il direttore delle Risorse umane: poi saranno valutate le misure di natura disciplinare.
Gazzettino – Mose, per Casarin scatta la sospensione
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
14
feb
2015
VENETO – Dopo il patteggiamento la Regione avvia la procedura per l’ex braccio destro di Chisso
VENEZIA – Ora che la sentenza di patteggiamento di Enzo Casarin – ex braccio destro di Renato Chisso e suo segretario quand’era assessore alle Infrastrutture – è stata notificata alla Regione, per il funzionario convolto nell’inchiesta del Mose è scattata la procedura che porterà alla sospensione dal lavoro.
La giunta regionale del Veneto ieri ha comunicato che, a seguito della documentazione arrivata presso l’Avvocatura regionale lo scorso 11 febbraio relativa alla “sentenza di applicazione della pena su richiesta” – Casarin ha patteggiato un anno e 8 mesi – e trasmessa all’ufficio del personale, «si è dato corso alla procedura per la sospensione dal servizio del signor Enzo Casarin». Si darà quindi corso – recita la nota diffusa da Palazzo Balbi – anche alle conseguenti valutazioni di natura disciplinare che potranno portare all’applicazione di tutte le sanzioni previste dalla normativa vigente, dopo valutazione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari presso il direttore delle Risorse umane.
Casarin era stato sospeso obbligatoriamente dal servizio a decorrere dal 4 giugno 2014, data di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare adottata dal gip del tribunale di Venezia. Successivamente la misura restrittiva della libertà personale aveva cessato i propri effetti per decorrenza dei termini dal 3 ottobre 2014. Il 28 novembre era stata convocata l’udienza per la convalida dell’applicazione della pena su richiesta. La Regione ha specificato che Casarin non ha più ripreso servizio, in quanto si era messo in ferie. Adesso, con le carte arrivate dal tribunale, scatta la procedura per la sospensione obbligatoria e il procedimento disciplinare che può arrivare sino alla sanzione del licenziamento.
Nuova Venezia – Mose, Orsoni e Sartori verso il processo
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
13
feb
2015
Finanziamento illecito dei partiti, pronta la richiesta di giudizio. Deposito atti anche per Piva, Artico, Brentan e altri cinque
VENEZIA – Mose, l’indagine principale, quella per corruzione, è chiusa. Dopo gli oltre venti patteggiamenti, tra i quali quelli di Giancarlo Galan, Renato Chisso, nei giorni scorsi i pubblici ministeri veneziani hanno depositato gli atti per dieci imputati e si avviano a chiederne il rinvio a giudizio. Si tratta dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’ex parlamentare europea di Forza Italia Amalia «Lia» Sartori, dell’ex presidente del Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva, dell’ex amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova Lino Brentan, del dirigente regionale Giovanni Artico, dell’avvocato romano Corrado Crialese, del giudice presso la Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, dell’imprenditore veneziano Nicola Falconi, dell’ex dirigente regionale Giancarlo Ruscitti e dell’architetto padovano Danilo Turato.
Ieri, lo stesso procuratore aggiunto Carlo Nordio ha incontrato i difensori di Orsoni, confermando che nei prossimi giorni riceveranno l’avviso del deposito degli atti. Dopo la richiesta del rinvio a giudizio che, oltre a Nordio, firmeranno anche i pubblici ministeri che hanno condotto le indagini, Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, la parola passerà al giudice – presumibilmente toccherà ad Andrea Comez – che dovrà fissare l’udienza preliminare.
Le accuse di cui devono rispondere i dieci sono quelle già contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che il 4 giugno ha fatto scattare le manette per molti di loro.
Orsoni e Sartori devono rispondere di un reato meno grave degli altri, finanziamento illecito dei rispettivi partiti per le campagna elettorale delle amministrative del 2010 per il primo (110 mila euro in bianco, 450 mila in nero), 225 mila euro per la seconda tra il 2006 e il 2012.
Ad eccezione di Crialese, indagato per millantato credito, e di Ruscitti, concorso in fatturazione per operazioni inesistenti, tutto gli altri devono rispondere di corruzione per numerosi episodi.
Piva avrebbe ricevuto addirittura uno stipendio annuale di 400 mila euro per omettere di compiere la dovuta vigilanza sulle opere del Mose; Giuseppone non meno di 600 mila euro per accelerare la registrazione delle convenzioni presso la Corte dei Conti da cui dipendeva l’erogazione dei fondi del governo al Consorzio Venezia Nuova; Artico faceva ottenere all’amico avvocato (tra l’altro suo difensore in questo stesso processo) incarichi di consulenza dalla «Mantovani» e a sua figlia l’assunzione in cambio della sua collaborazione nelle opere di salvaguardia previste dal programma «Moranzani»; Falconi avrebbe partecipato assieme agli altri imprenditori del Consorzio al pagamento delle tangenti a Patrizio Cuccioletta; Brentan 65 mila euro per un appalto della terza corsia della Tangenziale di Mestre.
Alcuni degli indagati non sono tra coloro che hanno patteggiato e neppure tra i dieci che dovrebbero finire a giudizio, ad esempio il dirigente regionale Giuseppe Fasiol o l’architetto veneziano Dario Lugato o quelli iscritti nel registro degli indagati per ultimi, come i parlamentari del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato.
Posizioni per le quali i pubblici ministeri dovranno approfondire le indagini e che potrebbero anche finire con un’archiviazione delle accuse. Infine, all’appello mancano i corruttori che hanno collaborato, Giuseppe Mazzacurati, Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e Nicolò Buson.
Giorgio Cecchetti
Nuova Venezia – E’ caccia aperta ai soldi di Galan
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
11
feb
2015
Sotto la lente le società della famiglia Persegato, in attesa della lista Falciani
E’ caccia aperta ai soldi di Galan
L’INTRECCIO – Il sospetto è che la Quarry Trade abbia fatturato a prezzi maggiorati le pietre. Ma si cerca di far luce anche su Frasseneto, Edil Pan e Co. se.co
PADOVA – Follow the money, segui il denaro. Questo il mantra degli investigatori che stanno ancora dipanando la matassa del Mose. Guardia di Finanza e Procura veneziana sono convinti che ci sia ancora molto da scoperchiare, soprattutto per quanto riguarda i soldi che hanno rimpinguato conti bancari di imprenditori, faccendieri e politici nostrani.
L’accordo tra Italia e Svizzera, che tra un mese toglierà definitivamente il segreto sui nomi degli intestatari dei conti correnti delle banche elvetiche e la pubblicazione a giorni dell’elenco della cosiddetta “lista Falciani” (una sfilza di 7 mila nomi – tutti italiani – di titolari di un conti correnti alla Hsbc Private Bank), potrebbe facilitare gli inquirenti a percorrere all’incontrario i rivoli (o fiumi) di denaro che hanno impoverito le aziende e arricchito il malaffare.
Una partita ancora tutta da giocare. Soprattutto sul fronte del presunto tesoretto di Giancarlo Galan (per gli investigatori manca all’appello qualche milione di euro), che, o non si trova, oppure veramente non esiste. Sotto la lente, oltre alle aziende riconducibili all’ex Governatore del Veneto, sarebbero finite anche quelle attribuibili alla moglie Sandra Persegato, che, oltre a Margherita srl e alla Società agricola Frasseneto (entrambe con sede legale in passaggio Corner Piscopia 10, nello studio del commercialista Paolo Venuti arrestato nel giugno dello scorso anno insieme a Galan), è socia anche di Edil Pan srl, impresa edile con sede a Lozzo Atestino in via Segrede 12 (capitale sociale 75 mila euro). Che può essere considerata a buon diritto l’azienda della famiglia Persegato (il papà di Sandra, Ugo, detiene l’1%, mentre i quattro figli il 17,5 per cento ciascuno).
Amministratore unico di Edil Pan è proprio Ugo Persegato, mentre nel collegio dei sindaci ci sono i padovani Luciano Cioetto, 51 anni di Montagnana e Francesco Marchesini, 72 anni di Este ( presidente della Bcc di Sant’Elena dal 2006) e il vicentino Antonio Giacomuzzi, tre professionisti finiti nei guai nel 2013 (Giacomuzzi come amministratore unico di Italfiduciaria srl, gli altri due come membri del collegio sindacale) nell’inchiesta portata avanti dal pm vicentino Alessandro Severi per presunti «mancati controlli su operazioni finanziarie per 180 milioni di euro, registrate in maniera irregolare, venendo meno alla normativa antiricigliaggio», come scriveva il Giornale di Vicenza nel febbraio di due anni fa.
Antonio Giacomuzzi, 70 anni, vicentino di Villaga, è anche socio dal 1994 della Delta Erre Spa – società fiduciaria, di organizzazione aziendale e di servizi di trust con sede a Padova in via Trieste 49/53 (detiene l’1,4% delle quote), nonché sindaco di alcuni prestigiosi alberghi di Abano Terme e sindaco della Cofima srl di Padova, società che detiene il 100% di Ceam Cavi, società di Monselice in cui il trevigiano residente in Svizzera Domenico Piovesana, il quinto indagato per i sassi di annegamento del Mose, ricopre il ruolo di consigliere nel consiglio di amministrazione. Piovesana, domiciliato a Padova, è considerato dalla procura veneziana, il co-amministratore della Quarry Trade Limited canadese che ha acquistato i sassi da affondamento in Croazia per rivenderli a prezzo maggiorato alla Mantovani.
Chi siano le persone che hanno messo in contatto Piovesana con Baita (amministratore della Mantovani) è tutt’ora oggetto di indagine.
Tornando alla Edil Pan, uno dei soci Luigi, 46 anni, fratello di Sandra è il titolare della Co.se.co. srl , società per il riutilizzo di materiali derivati da scarti di estrazioni, bonifiche e demolizioni e recuperi ambientali (materiali inerti) con sede a Lozzo Atestino in via Segrede 14, finita nel mirino della procura nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta presenza di materiali inquinanti nel sottofondo dell’A31 Valdastico Sud. Luigi Persegato, in quanto amministratore unico della Co.se.co., nel luglio del 2013 è stato raggiunto da uno dei 27 avvisi di garanzia, insieme a Attilio Schneck, ex presidente della Brescia-Padova e all’epoca commissario straordinario della Provincia di Vicenza. Co.se.co. srl, è di proprietà di Milus Trust, il cui rappresentante legale è Maurizio Cecchinato, un commercialista. Trust che nel 2013 ha incamerato redditi per 15 mila euro dalla Co.se.co. Tuttavia, il 19 gennaio scorso, Ugo Persegato ha stipulato un contratto di comodato (delle azioni) con la Milus Trust di cui sia Ugo che Luigi figurano come amministratori non soci. Un’operazione inconsueta per uno strumento che ha lo scopo di garanzia nei confronti delle aziende che detiene.
(p.bar.)
Evasione fiscale sui sassi croati, pronto il conto per la Mantovani
Mose, multa di dieci milioni
Chiusa con cinque indagati per emissione di fatture false l’indagine sui sassi arrivati dalla Croazia a Venezia per il Mose, l’Agenzia delle entrate ha pronto il conto da presentare alla Mantovani: dieci milioni.
Dieci milioni di multa per i sassi del Mose
PADOVA – Dieci milioni di euro di multa, cinque indagati e una storia ancora tutta da scrivere. Nuovi guai in arrivo per Piergiorgio Baita e la Mantovani. La Guardia di Finanza, a fine dicembre scorso, ha chiuso anche l’indagine sui “sassi di affondamento”, troncone dell’inchiesta sul Mose, che ha portato a cinque nuove denunce, di cui quattro a carico di persone già note.
Oltre a Piergiorgio Baita, amministratore delegato dell’azienda padovana, dovranno rispondere del reato di concorso in emissione di fatture false per operazioni inesistenti Nicolò Buson, ex direttore amministrativo di Mantovani, […] e i professionisti svizzeri ……………. e Domenico Piovesana. Il nome di quest’ultimo, un trevigiano residente a Breganzona in Svizzera dal 1990, non era mai stato accostato alla vicenda dei sassi, pur essendo stato indagato a giugno quando scoppiò lo scandalo.
Piovesana, 56 anni, domiciliato a Padova in piazzetta Bussolin, è considerato dagli inquirenti il co-amministratore (insieme a ………..) della Quarry Trade Limited di New Brunswick, la società canadese che ha acquistato i sassi di affondamento dalla Croazia, rivendendoli successivamente alla Mantovani e facendoseli pagare su un conto della Phoenix Fiduciaria con sede in Svizzera.
«Baita e Buson avevano creato una serie di società estere su consiglio e indicazione […] di ……………, professionista svizzero e co-amministratore di fatto e fiduciario della canadese Quarry Trade Limited» scriveva Cristina Genesin su questo giornale il 31 luglio scorso.
«Quest’ultima, che non ha nessun dipendente, ha emesso a favore di Mantovani ben 1.253 fatture per un totale di 7 milioni e 990 mila euro. Acquistando sassi da annegamento dalla società Kamen con sede a Pazin in Croazia (a un prezzo maggiorato del 10 – 17% rispetto a quello che sarebbe stato pagato da Mantovani nella forma dell’acquisto diretto dallo stesso fornitore), l’impresa di Baita “produceva” il contante invisibile al fisco e ad altri controlli».
Gli investigatori delle fiamme gialle, tuttavia, hanno accertato che il rincaro è stato anche del 20% e che solo nel biennio 2006-2007 Mantovani ha nascosto al fisco 15 milioni di euro di imponibile. Da qui il conto – salato – che l’Agenzia delle entrate chiederà (la notifica è pronta) alla Mantovani: 5 milioni di euro (di mancate entrate da parte dell’Erario) più altri 5 milioni di euro di multa. Soldi che probabilmente Mantovani pagherà nell’immediato anche perché le posizioni degli indagati (alcuni di loro hanno già chiesto di patteggiare) sono subordinate all’estinzione del debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
L’inchiesta continua _ nonostante il filone dei sassi abbia già contorni ben definiti _. Gli inquirenti stanno, infatti valutando il peso della figura di Domenico Piovesana. L’uomo, iscritto all’Aire da 24 anni (è l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) ha ancora interessi economici in Italia e anche in Veneto. Per esempio, risulta essere, o essere stato, in questi anni, socio del Setificio Piovesana & C snc di Gaiarine, presidente del consiglio di amministrazione del Calzaturificio Skandia spa a San Biagio di Callalta, socio della Eredi Arturo Piovesana, società semplice agricola di Gaiarine, consigliere delegato della Te.Pa. Spa di Treviso, consigliere della Fil Man Made Group srl di Signoressa di Trevignano e consigliere della Ceam Cavi Speciali spa di Monselice in provincia di Padova. Attività che poco o nulla hanno a che fare con i sassi d’annegamento, la Croazia o il Canada. Per gli inquirenti il nodo da sciogliere di questa vicenda è principalmente uno: chi ha messo in contatto Piovesana e ………… con i manager della Mantovani? […] E quale quello di Galan?
Paolo Baron
Gazzettino – I pensieri “segreti” di Piergiorgio Baita: io, Mazzacurati e le coop
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
8
feb
2015
Che fine ha fatto e che progetti ha l’ex presidente di Mantovani travolto dalla Retata Storica?
Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo
Che fine ha fatto Piergiorgio Baita, il genio del male, deus ex machina del Sistema Mose? È vero che è tornato in campo con una sua società? E cosa pensa della conclusione dell’inchiesta sulle dighe mobili veneziane? Il Gazzettino ha cercato di scoprirlo. Non è stato facile: benché la vicenda giudiziaria sia in larga parte conclusa e la gran parte dei protagonisti abbia patteggiato una pena con la Procura, Baita non rilascia interviste e non ama parlare con i giornalisti. La vicenda Mose occupa però ancora molte delle sue riflessioni. E da esse scaturiscono opinioni, domande e persino l’idea di scrivere un libro. Come raccontiamo in queste pagine.
LAVORO – Richieste di consulenza ma nega di aver creato nuove società
IL POTERE – In laguna pochi non hanno ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova
PERSONAGGIO – Non rilascia interviste ma il regista del Sistema Mose non è in pensione
AUTORE – Ha un’ambizione: scrivere un manuale anti-corruzione
TEMPO LIBERO – Coltiva pomodori e riflette sugli esiti dell’inchiesta veneziana
IL PRECEDENTE – Piergiorgio Baita in aula nel 1994 per il processo della prima Tangentopoli veneta
Il “diavolo” coltiva pomodori. E pensa. E si arrabbia perché quel che è stato raccontato è, a suo dire, solo una parte del sistema Mose. I giornali si sono fatti fuorviare dallo specchietto per le allodole della politica, dice. Certo che il nome di Galan “tira”, ovvio che quando si parla di ministri e sottosegretari, la gente legge con voracità, ma è sfuggita all’attenzione dell’opinione pubblica una parte importante. Anzi, la parte più importante, che è quella che riguarda i grand commis di Stato. E cioè i funzionari, i grandi burocrati, quelli che erano parte integrante e indispensabile, loro sì, del sistema corruttivo del Mose.
Altro che i politici. I politici sono una variabile ininfluente e avranno incassato sì e no un quarto delle mazzette che sono state pagate, il resto è finito nella tasche di chi decide sul serio. E cioè di chi è a capo di un ministero o di un assessorato regionale e resta sempre lì, fisso, mentre i ministri e gli assessori cambiano.
Piergiorgio Baita, il “diavolo” dello scandalo Mose, non smette di pensare al fatto che lo hanno dipinto come il genio del male, il corruttore dei corruttori, mentre tira un filo a piombo tra una “gombina” e l’altra, toglie le erbacce e guarda crescere i cavoli e i carciofi, mentre consulta il calendario di Frate Indovino per vedere quando seminare i pomodori. Cirio e ciliegino, piccadilly e cuore di bue. Li pianta ad una settimana di distanza uno dall’altro, così l’orto non viene invaso dalla “buttata” improvvisa di pomodori che maturano tutti nello stesso periodo. Centellina i suoi interventi, scruta il tempo, parla con le piante. E ragiona. Solo i suoi amici più cari sanno che Baita è uno che ha le mani d’oro – ironie a parte – e che ha passato i domiciliari a pitturare casa e a rifare l’orto, che è la sua grande passione. Gli piace lavorare in casa e ancor di più nell’orto, si rilassa e pensa.
Non parla con i giornali, rifiuta tutte le interviste, ma risponde volentieri a chi lo ferma al bar o davanti all’edicola. E poi si confessa con quella ristretta cerchia di amici che gli sono rimasti amici, si confida su quel che vorrebbe fare e siccome un suo amico, senza tradire il mandato, pensa che sia utile far uscire allo scoperto il Baita-pensiero, utile a chiarire quel che resta da chiarire, ecco un riassunto di quel che ha pensato e detto Baita in questi mesi passati in silenzio dopo il patteggiamento per reati fiscali.
Intanto Baita dice a tutti di essere in pensione, racconta l’amico, ma non credo che abbia intenzione di starsene con le mani in mano per molto tempo ancora. Non è vero che ha messo in piedi una società con moglie e figlio, la Studio Impresa srl, che si occupa di pannelli fonoassorbenti. Le voci nascono da una banale visura camerale. La società esiste, è intestata a moglie e figlio, ma non opera e comunque lui non c’entra niente. Quel che nessuno sa, invece, è che qualcuno ancora lo cerca per consulenze sul project financing.
E dunque, consulenze a parte, che cosa sta facendo esattamente in questo momento Piergiorgio Baita?
IL MANUALE ANTI-CORRUZIONE
Sta scrivendo il manuale dell’appalto perfetto, cioè dell’appalto anti-corruzione. Sul serio?
Certo, se non sa lui come fare… Fossimo in America, uno così, che è stato il più abile di tutti – nel male – lo assumerebbero al ministero della lotta alla corruzione, gli darebbero una cattedra all’università o gli farebbero fare corsi per finanzieri e funzionari pubblici. Perché lui i trucchi li conosce tutti. Alcuni li ha imparati, molti li ha inventati. E dunque Baita sa perfettamente come si pilota un appalto e come un appaltino diventa un appaltone. Il punto nodale – secondo Baita – è che la repressione non serve a niente, inasprire le pene non porta ad alcun risultato, bisogna cambiare il meccanismo degli appalti. L’ha spiegata così ad una cena tra amici. Ha detto che l’errore sta nel focalizzare l’attenzione sulla questione del controllo pubblico dell’opera. Invece il metodo giusto è il controllo pubblico sul servizio che viene offerto grazie a quell’opera.
Allo Stato non deve interessare che siringa utilizzo per fare l’iniezione – ha sintetizzato Baita – Deve interessargli quante persone vaccino contro l’influenza e mi deve pagare per quante ne vaccino. Nel caso del Mose, per capirci, secondo Baita lo Stato non doveva mettersi nell’ordine di idee di andare a vedere come veniva costruita l’opera. Una volta scelto il progetto, doveva dire: ti pago solo se l’opera funziona. Baita ha raccontato ai magistrati di essersi scontrato con Mazzacurati sulla questione della gestione, infatti. Secondo lui bisognava fare, contemporaneamente all’appalto per i cantieri, anche quello per la gestione del Mose. Il gestore dell’opera deve poter discutere con il costruttore, altrimenti poi succede – succederà, secondo Baita – che il gestore arriva e inizia a dire che le lampadine che sono state messe non sono quelle giuste, che il cavo da 3 pollici doveva essere da 5 pollici. E siccome il gestore si trova l’opera già pronta, dirà che è in grado di gestire lo stesso l’impianto, ma che, certo, costa di più.
IL MOSE? ALTRI DUE ANNI
E a chi gli chiede quanto manchi alla fine del Mose, Baita conteggia che ci vogliono altri due anni, due anni e mezzo perché è stata completata solamente la bocca di porto del Lido, ma solo nella parte strutturale, mentre mancano ancora le infrastrutture vere e proprie e cioè tutti i comandi e gli apparati che servono a far funzionare le paratoie. Vuol dire che del Mose è stato montato l’hardware e neanche tutto, mentre manca ancora il software. Da qui in poi par di capire che ci dovrebbe essere un controllo serrato sul software proprio per non trovarsi nelle condizioni di avere in mano un’opera che funziona perfettamente, su questo Baita non ha alcun dubbio, ma che è costosissima.
Piergiorgio Baita la spiega così: io posso costruire una macchina che oggi costa tanto e domani consuma poco, oppure posso costruire un’opera che costa tanto oggi e che consuma tanto domani, chiaro? L’interesse pubblico dovrebbe essere quello di avere in mano una macchina che magari costa di più oggi, ma è risparmiosa domani, sull’utilizzo e la manutenzione. Mazzacurati aveva tutto l’interesse, proprio perché contava di tenersi la gestione del Mose, a costruire invece un’opera che costasse tanto anche nella fase dell’esercizio e della manutenzione. Ecco perché ha bloccato Baita quando il presidente di Mantovani ha proposto di fare la gara di gestione subito, mentre si costruiva. Qui doveva intervenire la politica, a chiarire i ruoli e le competenze. E invece il caso Mose dimostra – secondo Baita – come siano le imprese a comandare. Anche sulla politica. Le imprese che possono comandare a bacchetta l’assessore o il ministro perché lo tengono per la borsa, ma che devono fare i conti con i funzionari pubblici. Che sono i “casellanti” degli appalti, quelli che alzano o abbassano la sbarra mentre stai lavorando e che ti bloccano i finanziamenti, intervengono in corso d’opera. Ai funzionari non interessa chi vince l’appalto, interessa il “mentre” si realizza l’opera. Son lì che iniziano a mettere i bastoni fra le ruote. Ed è a quel punto che ti tocca dargli consulenze e che ti tocca nominarli collaudatori.
Tanto per dirne una, che c’entra un Magistrato alle acque come Maria Giovanna Piva con il collaudo dell’ospedale nuovo di Mestre? E un altro Magistrato alle acque, quel Patrizio Cuccioletta che era sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova, che ci faceva nel Comitato tecnico scientifico che ha approvato la Pedemontana?
IL RUOLO DELLA MINUTILLO
Grand commis a parte, Baita ha spiegato più volte agli amici che, secondo lui, la Procura ha creduto troppo a Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan. La Minutillo, spiega, non era stata scelta per la sua genialità. Era stata assunta al Consorzio su richiesta di Lia Sartori, l’europarlamentare oggi in attesa di processo per finanziamento illecito ai partiti. Mazzacurati aveva piazzato la Minutillo alla Thetis solo per fare un piacere alla Sartori, e cioè a Galan il quale temeva che l’ex segretaria, licenziata in tronco, rivelasse cose inopportune. Ma siccome a Thetis guadagnava troppo poco e voleva 250 mila euro netti all’anno, Chisso aveva chiesto a Baita di assumerla come amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Ma non era operativa, non faceva niente e non capiva molto bene quel che succedeva. Ad esempio sui project avrebbe detto una cosa che non aveva senso e cioè che Baita aveva messo a disposizione 600 mila euro per “incoraggiare” i project. Stando alle spiegazioni fornite anche ai magistrati da Baita, la Minutillo non ha capito che quei 600mila euro erano l’equity e cioè una specie di caparra che bisogna versare se si vuole concorrere al project. Ma, argomenta Baita, siccome Claudia Minutillo ha il merito di aver aiutato la Procura ad arrivare ai politici, viene premiata con una credibilità su tutto il fronte.
E non c’è solo questo. Baita continua a stupirsi che la società veneziana abbia fatto finta di niente di fronte al fiume di denaro pubblico che Mazzacurati ha convogliato verso tanti privati che nulla c’entravano con il Mose. Secondo Baita quel che non è stato ancora capito fino in fondo è che il sistema Mose era una macchina del consenso, prima di tutto, non un sistema corruttivo sic et simpliciter. Mazzacurati pagava tutti: pochi soldi ai politici, tanti ai funzionari “controllori”, tantissimi alla città. E le anime belle che fanno finta di niente, secondo Baita dovrebbero spiegare prima di tutto a se stesse che cosa centri il Mose con il restauro di un convento o di un seminario o con una squadra di calcio. Quel che Baita si lascia sfuggire negli sfoghi che ha con gli amici è che a Venezia sono ben pochi quelli che possono dire di non aver avuto a che fare con i soldi del Consorzio. Mazzacurati era considerato alla stregua di una istituzione pubblica e c’era la processione alla sua porta. E se si chiede a Baita come sia stato messo in piedi un meccanismo così sofisticato, Baita risponde che il meccanismo è stato messo in piedi un po’ alla volta, anno dopo anno e che non era possibile rompere questo meccanismo perchè voleva dire tagliarsi fuori e non lavorare più. E lui aveva la responsabilità di 700 famiglie che lavoravano per Mantovani. Perché era chiaro che il sistema Mose andava bene a tutti e tutti facevano finta di nulla. Nessuno si è mai preoccupato che lo stipendio medio al Consorzio fosse di gran lunga superiore ai 100mila euro l’anno, nessuno ha mai avuto da ridire su studi e consulenze, su libri e partecipazioni al Festival del cinema del Lido. Come è possibile? A tutti è parso normale che il Consorzio, che pure viveva esclusivamente di soldi pubblici, facesse l’editore e il produttore cinematografico, si occupasse di convegni e di far fare giri in elicottero sui cantieri. E a tutti andava bene che di tutto questo si occupasse solo Mazzacurati. Il quale non ha mai voluto cedere un grammo del suo potere.
QUELLE COOP ROSSE
Baita racconta anche che la Mantovani era entrata nel Consorzio Venezia Nuova staccando un assegno da 72 milioni di euro, mentre il Consorzio Cooperative Costruttori di Bologna – 240 imprese associate e 20 mila dipendenti – invece era entrato a far parte del Consorzio senza versare un centesimo. Ma bisogna rileggere i suoi verbali di interrogatorio per capirne di più. In uno racconta, con un tocco di ironia, di non aver capito bene che cosa fosse successo dal momento che le coop rosse c’erano già dentro il Consorzio, con la Coveco. “Il Coveco è storicamente un associato del Consorzio Venezia Nuova, mentre il Ccc è entrato più recentemente e cioè quando Antonio Bargone era sottosegretario ai Lavori pubblici”, mette a verbale Baita. Bargone è stato al Governo dal 1996 al 2001 con Prodi, D’Alema e Amato, poi è diventato presidente della Società Austrada Tirrenica. Secondo Baita “dopo il suo intervento all’interno del Consorzio non si capiva chi dovesse rappresentare le cooperative, se il Ccc e cioè Omer Degli Esposti o il Coveco di Savioli. La mediazione fu favorita da Mazzacurati il quale decise di lasciare un veneto e cioè Pio Savioli a rappresentare le coop rosse nel Consorzio perché in grado di fare da equilibrio tra i due consorzi e le varie parti politiche che rappresentano, perché il Coveco fa riferimento ad una certa sfera della sinistra e il Ccc ad un’altra”. Ma il Coveco di Pio Savioli è finito dritto nell’inchiesta veneziana sul Mose mentre il Ccc di Esposti no. Ma chi è Degli Esposti? Il suo nome salta fuori nell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto di Filippo Penati, ex braccio destro di Pierluigi Bersani, nonché ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano. Penati è l’uomo che giura di non voler approfittare della prescrizione che gli porterà in dote la legge anticorruzione del ministro Severino. Salvo ripensarci un attimo dopo. Ebbene, con lui nell’inchiesta sulla Falck era finito anche il vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruttori. E, con degli Esposti l’inchiesta aveva toccato pure Roberto De Santis, primo socio di D’Alema nell’acquisto della barca a vela Ikarus. Baita era convinto che la Ccc di Bologna avrebbe portato gli investigatori a Roma, invece non è andata così. Almeno per ora.
Gazzettino – Rinfresco da 60mila euro bufera su Veneto Acque
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
28
gen
2015
LA REGIONE CONTRO LA SUA PARTECIPATA
VENEZIA – Gli ex amministratori di Veneto Acque rischiano di dover restituire di tasca propria i 60mila euro spesi nel 2006 per un buffet. Trattasi del rinfresco organizzato il 25 febbraio 2006 a Fusina, presenti i ministri Pietro Lunardi e Altero Matteoli, il governatore Giancarlo Galan più altre 600 persone.
Dell’organizzazione dell’evento era stata incaricata la Bmc Brokers, società di San Marino presieduta da William Colombelli che sette anni dopo sarebbe finita al centro dell’operazione “Chalet” che portò in galera Piergiorgio Baita, lo stesso Colombelli e l’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, che lavorava con Colombelli. Quell’inchiesta ha avuto uno strascico con la Corte dei conti: i magistrati contabili si sono chiesti come mai Veneto Acque – che è una società partecipata al 100% dalla Regione e che si occupa di acquedotti – ha contributo con 60mila euro per quel buffet, senza contare che la Regione ne aveva messi altri 25mila.
In Regione nei mesi scorsi è arrivata una richiesta di chiarimenti da parte della Corte dei Conti: spiegateci – hanno chiesto i magistrati – perché una vostra società ha pagato il rinfresco di un evento con cui non ha niente a che fare.
La Regione ha girato la domanda al collegio dei revisori dei conti di Veneto Acque. I cui vertici, revisori compresi, nel frattempo sono cambiati. Pier Alessandro Mazzoni, che era amministratore delegato e poi direttore generale, è andato in pensione, ma è a lui e agli altri componenti del Cda che sono stati chiesti lumi.
La spiegazione fornita è che l’allora assessore competente, Renato Chisso, aveva scritto a Veneto Acque chiedendo di attivarsi per questa iniziativa. E la spa ha provveduto. Ma il parere che i revisori dei conti di Veneto Acque hanno ora fornito a Palazzo Balbi è che la società dovrebbe partire con una azione di responsabilità nei confronti dei suoi ex amministratori.
E sarà questo il mandato che la Regione – stando alla delibera portata ieri in giunta dall’assessore alle società partecipate, Roberto Ciambetti – presenterà all’assemblea dei soci (cioè se stessa) venerdì. Alternative – è stato spiegato – non ce ne sono, visto quel che hanno detto i revisori dei conti. A Mazzoni & C. sarà dunque chiesto di restituire a Veneto Acque i 60mila euro del buffet.
(al.va.)
Nuova Venezia – Mose, il Consorzio licenzia Brotto e l’avvocato Biagini
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
28
gen
2015
I primi provvedimenti dei commissari
VENEZIA – Lettera di licenziamento. Il Consorzio Venezia Nuova dà il benservito a Maria Teresa Brotto, per anni direttore tecnico e di fatto numero due del pool di imprese che sta costruendo il Mose.
Primi effetti della «cura» avviata dai due commissari Luigi Magistro e Francesco Ossola, nominati dal prefetto di Roma su disposizione del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.
Cancellata la struttura societaria del Consorzio, adesso le decisioni devono essere prese dai due commissari straordinari.
Magistro, ex ufficiale della Finanza e già direttore dell’Agenzia delle Entrate e della lotta all’evasione, sta spulciando in questi giorni migliaia di documenti.
L’indicazione è quella di interrompere i contratti con le persone che a vario titolo risultino coinvolte nell’inchiesta. Ma anche di «risparmiare» sulle spese legali e di rappresentanza.
Di questa seconda fattispecie fa parte il contratto di consulenza di Alfredo Biagini, avvocato del Consorzio, che ha seguito fin dall’inizio le vicende legate al Mose. Suoi i ricorsi e le memorie difensive – quasi sempre vincenti – presentate al Tar e al Consiglio di Stato. Ma la collaborazione tra Biagini e la nuova dirigenza del Cvn si è interrotta. Il tempo di concludere le cause aperte e poi Biagini tornerà al suo lavoro di libero professionista.
Scricchiola anche la consulenza con la società di Enrico Cisnetto. Contratto da oltre duecentomila euro rinnovato nel settembre scorso. Ma Magistro ha annunciato ai suoi collaboratori che «gli eventi saranno tagliati». Dunque il futuro per la società di Cisnetto si fa difficile. Spese ridotte – una strada per la verità imboccata già dal presidente Mauro Fabris prima di essere commissariato – ma soprattutto «trasparenza».
Sul sito del Consorzio saranno messi in tempo reale documenti e attività. Una volontà di «girare pagina» rispetto all’inchiesta e al recente passato. Intanto se ne va la Brotto, ingegnere padovano che aveva assunto nell’era Mazzacurati-Baita una posizione di rilievo. Presidente anche della Tethis e coordinatore del gruppo tecnico. Ha patteggiato la pena e adesso è stata licenziata. Le spetterà la liquidazione di legge, ma alla fine una cifra molto più bassa di quella ottenuta come buonuscita dall’ex presidente direttore Mazzacurati (sette milioni di euro).
La linea che Magistro ha illustrato nei giorni scorsi ai suoi collaboratori è molto chiara: «Chi ha patteggiato se ne deve andare, è un’ammissione di responsabilità». Per gli altri si dovrà attendere il processo.
Spese consulenze intanto sono al setaccio del nuovo amministratore, che si occupa della parte gestionale e finanziaria. Si sta preparando il bilancio, dopo la «cura dimagrante» degli ultimi mmesi. Ci sono da accantonare i 27 milioni di euro dovuti al fisco per chiudere le partite dopo gli accertamenti della Finanza. Sono accesi i riflettori del mondo dopo lo scandalo che aveva portato in carcere nel giugno scorso 35 persone. E c’è la partita della manutenzione e della gestione delle paratoie. «Dovrà essere gestita dallo Stato in modo trasparente», hanno annunciato i commissari.
Alberto Vitucci
Nuova Venezia – Stop all’indennita’ di Galan: bocciata la proposta M5S
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
24
gen
2015
Rostellato all’attacco: «Inaccettabile che continui a presiedere la commissione»
Businarolo: «Ha patteggiato ma l’ex governatore prende ancora in giro i veneti»
PADOVA – Novantacinque voti favorevoli, trecentoquarantadue contrari, otto astenuti. La Camera dei deputati ha bocciato ieri, in sede di votazione sulla riforma costituzionale, l’emendamento del Movimento Cinque Stelle (primo firmatario il trevigiano Riccardo Fraccaro, eletto in Trentino-Alto Adige) che chiedeva la «sospensione dell’indennità al membro della Camera del deputato arrestato, privato della libertà personale o mantenuto in detenzione».
A più riprese i deputati pentastellati (tra loro anche Alessandro Di Battista, componente del direttorio grillino, hanno puntato il dito, in particolare, sul caso del deputato Giancarlo Galan, che dallo scorso giugno è impossibilitato a partecipare ai lavori della Camera (per effetto del suo coinvolgimento nella vicenda Mose) ma continua a presiedere la commissione Cultura e, soprattutto, a riscuotere una lauta indennità.
«Tra gli articoli trattati in aula», sottolinea la deputata padovana Gessica Rostellato, «c’era l’articolo 69 della Costituzione: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Ebbene, noi abbiamo richiesto che i deputati condannati e detenuti non percepiscano l’indennità. È inaccettabile che vi siano soggetti come Giancarlo Galan che, pur avendo patteggiato e quindi ammesso la colpa, siano ancora deputati».
Lancia in resta anche l’onorevole Francesca Businarolo, di Pescantina: « Questo principio è importantissimo per noi veneti. Galan ci ha preso in giro per quindici anni. Vive in una villa bellissima nel Padovano. Ha patteggiato; adesso è a casa e continua a riscuotere l’indennità da parlamentare. È presidente della commissione Cultura in questo asse destra-sinistra, che non si è ancora capito dove vuole andare».
È stato respinto anche l’emendamento grillino all’articolo 57 (primo firmatario Riccardo Nuti): «Non possono ricoprire la carica di senatore coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo». «In Parlamento ormai», annota il bellunese Federico D’Incà, «siamo rimasti l’unica forza di opposizione. Con il beneplacito del Patto del Nazareno Galan continua a mantenere la posizione e a riscuotere la sua indennità».
Non a caso i pentastellati, capeggiati dal candidato governatore Jacopo Berti stasera, dalle 17, manifesteranno a Cinto Euganeo nell’ambito della «Notte dell’onestà contro la corruzione e le mafie».
Claudio Baccarin
Nuova Venezia – I comitati anti-Mose protestano: “Verificare le autorizzazioni”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
21
gen
2015
Dopo i commissari, nominato l’organo consultivo di 5 membri
C’è Romeo Chiarotto nel Comitato imprese di Venezia Nuova
Dopo i commissari, il Comitato consultivo delle imprese. Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha firmato il decreto di nomina del nuovo organismo che dovrà “assistere” il nuovo governo straordinario del Consorzio Venezia Nuova dopo lo scandalo Mose e lo scioglimento degli organi societari deciso dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone.
I componenti del Comitato sono cinque, quattro in rappresentanza degli azionisti maggiori (che detengono almeno il 10 per cento delle quote consortili), uno per le imprese minori e locali. Si tratta di Salvatore Sampero (Mazzi costruzioni), Romeo Chiarotto, titolare della Mantovani, primo azionista del Consorzio, per il raggruppamento di imprese Venezia Lavori Covela-Mantovani; Luigi Chiappini (Consorzio San Marco), Americo Giovarruscio (ItalVenezia-Condotte) e Laura Lippi, ingegnere nominata dagli azionisti minori.
Il Comitato potrà segnalare ai due commissari che da un mese governano il Consorzio, Luigi Magistro e Francesco Ossola, le esigenze delle imprese e problematiche che dovessero sorgere nel corso dell’attività.
Il decreto del presidente Cantone, poi ripreso dal prefetto che ha decisio le nomine, del resto è molto chiaro: il commissariamento previsto dalla legge anticorruzione non deve mettere in discussione l’opera. Ma garantire al contrario che questa venga portata a compimento al riparo dai rischi di corruzione. Dunque ad avere il benservito, il mese scorso, è stato soltanto il presidente Mauro Fabris, subentrato a Giovanni Mazzacurati arrestato con l’accusa di corruzione.
L’opera di rinnovamento e di risparmi portata avanti da Fabris non è stata ritenuta sufficiente, e Cantone ha deciso di procedere con il commissariamento. Hermes Redi, direttore nominato dal Cda al posto di Mazzacurati – che ricopriva entrambi gli incarichi di presidente e responsabile tecnico – è invece rimasto al suo posto.
Adesso l’attività del Mose può proseguire.Tra le proteste dei comitati, che hanno chiesto qualche mese fa alla nuova dirigenza di verificare con attenzione tutti i passaggi autorizzativi della grande opera che sono risultati poi viziati dalla corruzione. Un sistema diffuso che è stato in buona parte scoperto dalla Finanza e dalla Procura veneziana, portando nel giugno scorso all’arresto di 36 persone, tra cui l’ex presidente della Regione Giancarlo Galan e l’ex assessore Renato Chisso, funzionari dello Stato e tecnici.
Una grande opera da cinque miliardi con fondi garantiti dallo Stato e un sistema, quello della concessione unica, che ha portato negli anni in laguna un fiume di denaro. Finito poi in buona parte nelle tasche di corrotti e corruttori.
Adesso con la nomina dei commissari – e del comitato a garanzia delle imprese – il governo intende voltare pagina. E portare a compimento il Mose al più presto – anche se la data promessa del 2017 non sarà rispettata – al riparo dalla grande onda della corruzione e del malaffare.
Nuova Venezia – “Regione obbligata a chiedere i danni”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
15
gen
2015
Proposta di legge di Fi per impedire che corrotti e concussori se la cavino con poco
VENEZIA – Cento milioni all’anno per almeno dieci anni. Un miliardo di euro è la voragine che si lascia dietro il Consorzio Venezia Nuova nella gestione dell’ingegner Giovanni Mazzacurati. Tanto serviva per tenere in piedi la grande giostra delle tangenti ai burosauri di Stato, ai politici, ai tecnici, ai militari per addomesticare ogni tipo di controllo, accertamento o collaudo, per pagare consulenze inutili, fare beneficenze ingiustificate ma graditissime (c’era mezzo mondo nell’indirizzario), per praticare rialzi assurdi di prezzo in modo da creare il nero con le triangolazioni, per tenere in piedi il baraccone delle retrocessioni alle aziende e consentire che a sborsare il conquibus fosse alla fine sempre e solo lo Stato. Cioè il contribuente.
Questi sono i danni veri del Mose, il «fabbisogno sistemico» come lo chiamava Piergiorgio Baita. La stima dei 100 milioni all’anno è sua e la procura l’ha trovata verosimile. Poi ci sono i danni patiti dagli enti. I danni subìti dalle imprese private ingiustamente escluse. I danni ambientali per il ritardo delle opere. I danni di immagine, non meno reali, che valgono per l’intera collettività veneta: chi ripaga dell’onore sbeffeggiato?
«Noi ci costituiremo sempre come parte civile nei processi, per verificare fino in fondo le responsabilità», aveva promesso Luca Zaia il 10 giugno scorso in consiglio regionale. Molti altri avevano fatto anticipazioni analoghe. A che punto siamo oggi?
Consiglio regionale. L’occasione di fare il punto viene dalla presentazione fatta ieri di una proposta di legge («Norme a tutela della personalità giuridica e del patrimonio della Regione Veneto») per obbligare la giunta regionale a costituirsi parte civile nei processi per corruzione a carico dei propri amministratori o dipendenti. Finora la decisione era discrezionale. In futuro, se la legge verrà approvata, la giunta dovrà rendere conto all’aula. Firmatari con piglio molto diverso Moreno Teso (determinatissimo: occorre discontinuità rispetto al passato), Leo Padrin (nessun collegamento con situazioni attuali, varrà solo per il futuro), Renzo Marangon (associato).
Giunta regionale. La delibera che autorizza Ezio Zanon capo dell’avvocatura regionale a costituirsi nei provvedimenti che riguardano tutti gli arrestati della vicenda Mose, non solo quelli del 4 giugno, inclusi i due parlamentari che allora erano coperti da immunità Giancarlo Galan e Lia Sartori, è stata firmata il 17 giugno 2014. Se lo scopo del terzetto del Pdl era spingere Zaia, difficile farlo con uno partito mesi prima. Nell’elenco sono inclusi i politici Sartori, Orsoni, Marchese, i dipendenti regionali Fasiol e Artico, l’ex segretario alla sanità Ruscitti, tutti gli imprenditori dai Boscolo a Mazzi, a Tomarelli, Morbiolo, Astaldi, e poi i dipendenti del Consorzio tra cui Neri e la Brotto, gli ex capi del magistrato alle acque Neri, Cuccioletta, Piva, i commercialisti Venuti e Giordano, il generale Spaziante e il finanziere vicentino Meneguzzo, e naturalmente Mazzacurati, Baita, la Minutillo e Buson.
L’accettazione dei patteggiamenti ha impedito la costituzione di parte offesa e bisognerà avviare una causa civile. Grosso problema, dati i tempi della giustizia italiana, ma inevitabile. L’elenco comprendeva anche l’ex sottosegretario Milanese, che non ha patteggiato ed è a processo a Milano. La costituzione di parte civile era possibile ma non fondata e non è stata accettata.
Consorzio Venezia Nuova. Contro Milanese si è costituito invece il Consorzio Venezia Nuova, costituzione accolta l’8 gennaio assieme a quella del ministero dell’economia. Lo scorso ottobre il Consorzio, ancora presieduto da Mauro Fabris aveva incaricato i suoi legali di acquisire le sentenze dei patteggiamenti con l’intenzione di avviare una causa civile. Il Consorzio contro se stesso. Bisognerà vedere cosa decideranno i commissari.
Porto di Venezia. Contro il Consorzio si sono attivati nella primavera scorsa l’Autorità Portuale presieduta da Paolo Costa e Venice Terminal Passeggeri, presieduta da Sandro Trevisanato, chiedendo i danni per aver dovuto «interrompere l’attività a causa dei lavori del Mose». Una richiesta milionaria, calcolata al centesimo e spedita in copia anche al ministro Lupi. Si ignora che fine abbia fatto, ma si tratterebbe di una partita di giro: lo Stato contro se stesso. Kramer contro Kramer. Class Action. È proposta da Adiconsum, con una raccolta di firme (finora sono 300) che verranno depositate appena verrà conclusa la fase istruttoria dei processi.
Renzo Mazzaro
Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero
Per leggere la Privacy policy cliccare qui