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Nuova Venezia – Il Mose entrera’ in funzione tra due anni

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25

apr

2015

Summit a Roma tra il ministro Delrio, il presidente Anac Cantone e i commissari del Venezia Nuova

VENEZIA – Primo incontro sullo stato di avanzamento del Mose ieri mattina al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti tra il ministro Graziano Delrio, il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, il prefetto di Roma Franco Gabrielli e i commissari del Consorzio Venezia Nuova, Luigi Magistro e Francesco Ossola.

L’incontro si è tenuto con l’obiettivo di fare il punto sullo stato di attuazione del Mose e sulle misure necessarie per riavviare i lavori a pieno ritmo. Il ministro ha garantito che le risorse già previste consentiranno il raggiungimento degli obiettivi. Nuovi incontri si terranno nelle prossime fasi di lavoro.

Il Mose di Venezia si avvicina alla conclusione, che però slitta ancora rispetto al cronoprogramma iniziale: la messa in esercizio del sistema di dighe mobili, che salveranno Venezia dalle acque alte, non vi sarà prima del giugno 2017. Lo aveva certificato anche la riunione del Cipe a Palazzo Chigi, che aveva dato il via libera all’ultima tranche di lavori contrattualizzati, per un importo di oltre 1,2 miliardi di euro. L’opera ha ormai con uno stato dei lavori avanzato per oltre l’85 per cento.

L’impegno preso ieri a Roma è relativo anche all’effettiva messa a disposizione dei fondi stanziati, perché una parte del rallentamento subìto dai lavori sarebbe dovuto anche all’iter burocratico – e a eventuali storni di fondi – che precede la loro effettiva messa a disposizione. Altri 221 milioni sono stanziati più di recente per il Mose.

Il Def (Documento economico finanziario) prevede la somma residua necessaria al Consorzio Venezia Nuova per completare la grande opera. Adesso il Consorzio ha disponibili in teoria tutte le risorse necessarie a completare le dighe mobili, i cui lavori dovrebbero concludersi entro il 2017. Cinque miliardi e 400 milioni di euro, che potrebbero ridursi di un po’ se andrà in porto la spending review annunciata dal direttore Hermes Redi, succeduto due anni fa a Giovanni Mazzacurati.

I lavori del Mose proseguono alle tre bocche di porto. Quasi completata la schiera delle 39 paratoie che saranno installate alla bocca di Lido, dove sono state anche fatte le prime prove di sollevamento. In corso quelle per la bocca di Malamocco (20), dove è prevista una conca di navigazione – già insufficiente a far entrare le navi di ultima generazione – e di Chioggia (18).

(e.t.)

 

INCHIESTA MOSE: DECISIONE il 26 MAGGIO

Il medico di famiglia: dopo la morte del figlio Carlo, l’ingegnere si è aggravato Perciò il magistrato ha chiesto al giudice di non procedere con l’incidente probatorio

VENEZIA – Durante l’ennesima udienza per stabilire se e come interrogare l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha prodotto un verbale di assunzione di informazioni del medico della famiglia Mazzacurati.

La padovana Maria Teresa Sanna spiega che da una decina d’anni cura sia Giovanni Mazzacurati sia la moglie e, incalzata dalle domande del rappresentante della Procura lagunare, spiega che prima dell’arresto e immediatamente dopo le sue dimissioni dal Consorzio, nel giugno 2013, era stanco ma presente a se stesso, preciso e orientato e «con ragionamenti caratterizzati da forte rigore logico».

La medico padovana lo ha visitato in due occasioni anche dopo che era finito agli arresti domiciliari: «Dopo il 12 luglio 2013», spiega la professionista, «era fortemente stressato a causa di quanto occorsogli e delle sempre peggiori condizioni di salute del figlio Carlo, appariva stanco, ma presente a se stesso…Verso la fine di gennaio 2014, quando il figlio Carlo morì, ho notato un deciso peggioramento dello stato di salute mentale e fisica, un declino che ho notato direttamente sino al marzo 2014».

Infine, la medico è andata in un’occasione anche a San Diego a visitare Mazzacurati e signora: «Nell’ottobre-novembre dello stesso anno ho potuto riscontrare un ulteriore aggravamento dello stato di confusione spazio-temporale dell’ingegnere».

Sulla base di questa testimonianza il pm ha chiesto al giudice Alberto Scaramuzza di non procedere con l’incidente probatorio viste le condizione di salute del grande accusatore e di acquisire i verbali resi dall’ingegnere durante le indagini preliminari, quando è stato interrogato più volte alla presenza del difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli.

I difensori dell’ex sindaco Giorgio Orsoni e dell’ex europarlamentare del Pdl Lia Sartori, che avevano chiesto l’interrogatorio di Mazzacurati, hanno insistito nel chiedere l’incidente probatorio. Il giudice si è riservato di decidere e ha rinviato tutti all’udienza del 26 maggio prossimo, quel giorno dirà se intende procedere con l’incidente probatorio o meno e, nel caso decida per il no, se acquisire i verbali degli interrogatori resi a partire dal luglio 2013.

La volta scorsa gli avvocati avevano chiesto e ottenuto il video dell’interrogatorio reso per rogatoria in California, davanti ad un giudice americano, da Mazzacurati. Interrogatorio che era stato richiesto dal Tribunale dei ministri del Veneto, che procedeva nei confronti dell’ex ministro Altero Matteoli, per il quale il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere: in Procura è già arrivata tutta la documentazione inviata da Palazzo Madama.

Giorgio Cecchetti

 

MOSE – Il Pm deposita un verbale d’interrogatorio all’udienza riguardante Orsoni e Lia Sartori

La deposizione del medico di famiglia accredita la genuinità delle confessioni e delle accuse dell’ingegnere

L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, era lucido nel periodo in cui, dopo l’arresto, nel luglio del 2013, riempì centinaia di pagine di verbale ricostruendo ai magistrati della Procura il “sistema Mose”. Lo ha raccontato agli inquirenti la dottoressa padovana Maria Sanna, il medico di famiglia che per una decina di anni ha curato Mazzacurati e la moglie.

Il verbale con le sue dichiarazioni è stato depositato a sorpresa, ieri pomeriggio, dal pm Stefano Ancilotto nel corso dell’udienza celebrata di fronte al giudice Alberto Scaramuzza, nella quale i difensori di due indagati, l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni e Lia Sartori, ex presidente del Consiglio regionale e poi eurodeputata di Forza Italia, chiedono di poter interrogare Mazzacurati per poter contestare le accuse di finanziamento illecito formulate nei loro confronti.

Dall’aprile 2014 Mazzacurati si trova in California, nella villa della moglie, e il suo difensore, l’avvocato Giovanni Muscari Tomaioli, ha prodotto ampia documentazione medica dalla quale risulta che non è più in grado di deporre, a causa delle peggiorate condizioni di mente. Peggioramento che la dottoressa Sanna fa coincidere con la morte del figlio, il regista Carlo, e dunque con il gennaio 2014: da quel momento, secondo il medico, Giovanni Mazzacurati si è fatto prendere dallo sconforto ed è iniziata una fase di decadimento psichico.

La dottoressa ha riferito di aver visitato Mazzacurati anche in California, nel novembre scorso, trovandolo notevolmente peggiorato. Nella testimonianza resa al pm Ancilotto e alla Guardia di Finanza la dottoressa Sanna racconta di aver visitato Mazzacurati anche durante il periodo trascorso ai domiciliari e nei mesi successivi, mentre erano in corso gli interrogatori con la Procura, riferendo che era perfettamente lucido e deciso a chiarire con i magistrati la sua posizione.

«Nel luglio del 2013 non ho notato nessun segnale di disorientamento: era fortemente stressato (…), appariva stanco ma presente a se stesso (…) era preciso, a differenza di quando l’ho trovato nel mese di ottobre/novembre 2014 quando mi sono recata negli Stati Uniti a San Diego: lì l’ho effettivamente trovato confuso e disorientato. Verso la fine di gennaio 2014, quando il figlio Carlo morì, ho notato un deciso peggioramento dello stato di salute mentale e fisico…».

Per il pm Ancilotto, il racconto del medico padovano è un “colpo da novanta”: si tratta della testimonianza di una specialista (peraltro esperta di psichiatria) che “smonta” l’ipotesi della difesa di Orsoni e Sartori, tesa a dimostrare che il decadimento di Mazzacurati era già iniziato durante gli interrogatori del 2013, e che dunque quelle sue confessioni non sono credibili.

In chiusura di udienza, il pm Ancilotto ha chiesto al gip di acquisire definitivamente verbali d’interrogatorio di Mazzacurati al fine di far acqusire loro valore di prova. La difesa di Orsoni e Sartori ha invece insistito per poter interrogare l’ex presidente del Cvn. Il gup ha rinviato per la decisione al prossimo 26 maggio.

 

Non funzionerà. Punto. Sintetizzare l’opinione che Tommaso Cacciari (nipote di Massimo, ndr) ha del Mose è fin troppo semplice. Lui, da sempre attivista contro l’opera, l’aveva già bocciata nel 2006 ed era stato querelato dal Consorzio Venezia Nuova con una richiesta danni di 250 mila euro. Ha vinto.

“Non serviva la magistratura per capire i problemi del Mose, bastava usare la logica: la laguna non è un bidet che puoi isolare con un tappo”.

Andiamo con ordine. Hanno sbagliato tutto. L’intero progetto? Ancora prima: l’idea. Sa quando si è cominciato a parlare di Mose? Con l’alluvione del ‘66. Venezia ha alle spalle un territorio manomesso, cementi- ficato che non è più in grado di raccogliere le piogge e l’acqua defluisce da 100 comuni in mare. I geni hanno pensato di chiudere la laguna.

Con le paratie le acque non defluirebbero?  Esattamente. Quando Padova è finita sotto acqua noi qui a Venezia non abbiamo messo gli stivali perché defluiva dalle bocche di porte, ci fosse stato il Mose avremo fatto la fine dei topi.

La differenza tra fogna e laguna è il ricambio di acqua pulita con il mare, se impediscono questo ricambio noi diventiamo una fogna velenosa. Esistono alternative? Certo: stringere le bocche di porto, cioè i tre punti in cui la laguna comunica con il mare, e alzare i fondali, così eviteremmo almeno 80 dei 100 giorni annui di acqua alta.

Perché non è stato scelto? Rendeva impossibile il transito in laguna delle grandi navi. Il Mose non è pensato per tutelare la città ma per tutelare il gigantismo navale. Ora sappiamo che è stato il sistema corruttivo a decidere di farlo. Sarà operativo nel 2017 Iniziano altri problemi. Aldilà del lato psichiatrico di chi pensa di poter fermare il mare con un pannello, queste 78 paratie le hanno dovute distanziare tra loro di 80 centimetri.

Insomma: sono inutili? Una presa in giro. Ogni paratoia è fissata a una cerniera sul fondale. Alcuni studi sostengono che quella cerniera non regge. E andranno pulite ogni anno perché il “fooling”, cioè la vita che un corpo immerso nell’acqua si trova attaccato addosso, sarà di 24 centimetri l’anno. 78 relitti che si riempiono di alghe, conchiglie, sabbia. Che fai? Mandi il sommozzatore con una spazzola?

Quindi? Va ripensato tutto. Da anni sia come comitati di cittadini sia come movimenti No Mose e No Grandi Navi contestiamo questo scempio. Domani sa- remo in 15 piazze di Venezia a spiegare le nostre motivazioni e il 9 maggio di sarà una manifestazione in laguna.

 

Nuova Venezia – Minutillo mette all’asta 20 borse Hermes

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17

apr

2015

E poi scarpe e tailleur: l’ex segretaria di Galan (attesa da due processi per corruzione ed evasione) deve pagare gli avvocati

VENEZIA. Per sopravvivere e per pagare le parcelle dei suoi difensori (deve ancora affrontare il processo per corruzione a Venezia e quello per evasione fiscale a San Marino, dopo aver patteggiato in laguna per frode fiscale) sta svendendo il suo tesoro. Un tesoro fatto soprattutto di borse, scarpe e vestiti.

Chi ha frequentato la sua villa, in una delle zone più esclusive della terraferma veneziana a due passi dal Terraglio, racconta di aver visto nella sua cabina-armadio decine di borse Hermès, Gucci, Prada, Chanel, poi file infinite di scarpe e tanti, tanti completi e tailleur.

Qualche commessa chiacchierona delle boutique alla moda di piazza Ferretto ha riferito alle amiche che Claudia Minutillo, l’ex segretaria dell’allora presidente della giunta regionale Giancarlo Galan poi trasformatasi in manager grazie all’aiutino di Piergiorgio Baita, quando rimaneva stregata da un vestito, ne acquistava due o tre, di colore diverso.

E in questi giorni alle amiche, attraverso il suo Iphone, ha inviato le fotografie delle borse che vuole vendere, insomma quasi un asta che, c’è da scommetterci, non andrà di certo deserta. Ha inviato le istantanee di almeno una ventina di borse Hermès, modello «Birkin», ispirate alla maison francese dall’omonima attrice diventata famosa per la più erotica canzone degli anni Settanta. Una borsa che è necessario prenotare e attendere per mesi prima di avere: stando, al messaggio da lei inviato alle amiche, ne avrebbe una ventina di svariati colori da piazzare.

Per ora, i prezzi dell’asta non si conoscono, ma quello medio per una «Birkin» Hermès è noto: novemila euro, c’è poi quella più cara perché di pelle esotiche, 44 mila euro. Tra le sue borse c’è anche un modello più a buon mercato, il «Kelly», ispirato dalla grande Grace, perché l’appoggiava sulla pancia per nascondere ai giornalisti che era incinta del marito Ranieri, principe di Monaco. Per la «Kelly» bastano 3800 euro.

Per mantenere il livello di vita precedente, che era davvero alto visto quello che si poteva permettere di acquistare, Claudia Minutillo si trova dunque costretta a svendere il suo lussuoso guardaroba. A differenza di altri personaggi il suo futuro professionale si è dissolto, difficilmente potrà trovarsi altre sistemazioni con prebende simili a quelle precedenti.

Imprenditori e manager arrestati e scarcerati, dopo il patteggiamento o comunque la condanna, possiedono professionalità che qualcuno può utilizzare ancora e quello che sta accadendo a Baita, che è tornato ad operare, anche se non direttamente, per i lavori del Mose è un esempio.

Minutillo, invece, è arrivata ai vertici grazie alle conoscenze, alle capacità di mettere in relazione manager e politici, ora la sua scelta processuale, quella di collaborare (è stata la prima a raccontare ai pubblici ministeri chi e come pagava l’ex ministro Galan, l’ex assessore regionale Renato Chisso, l’ex magistrato alle acque Cuccioletta) difficilmente le permetterà di rientrare in quel mondo.

Giorgio Cecchetti

 

Baita parla per massime tipo questa: «Puoi fare molta più strada con una parola gentile e una pistola che con una parola gentile e basta»

Il 4 giugno dello scorso anno, quando finirono in galera i potenti del Veneto, in molti finsero stupore. Un’ipocrisia dovuta al fatto che la “retata storica” in realtà aveva rivelato poco di nuovo: quasi tutto era infatti già presente nelle cronache di Renzo Mazzaro su questo giornale.

Un esempio? Nel marzo del 2006 scrisse di tale William Ambrogio Colombelli e della misteriosa Bmc Broker di San Marino. Un’inchiesta giornalistica che rivelava come da diversi enti pubblici continuassero a piovere soldi su questa società, nella quale lavorava anche Claudia Minutillo, ex assistente di Giancarlo Galan. In molti finsero di non capire.

Il motivo di tanta generosità (false fatturazioni per alimentare fondi neri all’estero) si scoprirà solo sette anni dopo, il 28 febbraio 2013, quando insieme a Colombelli e Minutillo venne arrestato anche Piergiorgio Baita.

A catena venne il turno di Giovanni Mazzacurati, “capo supremo” del Consorzio Venezia Nuova, e del doge Galan. Era la fine di un’epoca. Dunque, dopo aver raccontato in presa diretta i vizi dei padroni del Veneto (per usare il titolo di un suo precedente libro), Mazzaro torna con “Veneto anno zero”, da domani nelle librerie. È l’analisi, con retroscena inediti, del crollo del sistema che ha regnato “credendosi onnipotente” e delle prospettive future di una regione che si è trovata decapitata della sua classe dirigente.

In primo piano ci sono tutti i protagonisti: Galan e il suo arresto, che da tragedia si trasforma in farsa con l’ex governatore asserragliato a villa Rodella che non ne vuol sapere di andare in prigione, Baita e le sue massime da gangster movie («puoi fare molta più strada con una parola gentile e una pistola, che con una parola gentile e basta»), il vecchio Mazzacurati e il suo falso pudore («c’è una parola che non pronuncia mai: corruzione», scrive Mazzaro, «per indicare il pagamento di tangenti, usa parafrasi tipo velocizzare le decisioni. Oppure fluidificare, che per un ingegnere idraulico è perfino professionale»).

E poi i finanzieri onesti e quelli venduti, i servizi segreti e le barbe finte, i burocrati a pagamento, i giudici corrotti e i magistrati coraggiosi che hanno rovesciato il sistema. I loro nomi sono Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Per portare a termine le inchieste hanno dovuto superare difficoltà di ogni genere.

«La procura di Venezia», scrive Mazzaro, «è messa sotto assedio, mezzo mondo tenta di carpire informazioni». I pm non si fidano e sono costretti a non lasciare nulla negli uffici. «Ancilotto si porta dietro tutto, in borsa o nel pc, dovunque vada. A casa lo separa, nascondendo carte e chiavette tra i giocattoli della bambina. “Come si fa con una pistola”, dice. “La smonti e nascondi il caricatore da una parte e la canna da un’altra, così la rendi inservibile se te la trovano in caso di furto, sempre possibile”». Soprattutto, viene da aggiungere, quando al lavoro ci sono anche i servizi segreti.

Se non fosse la cronaca della realtà, il racconto di Mazzaro potrebbe essere la sceneggiatura di un film. Una storia di guardie e ladri che si contendono il tesoro, i miliardi di euro del Mose. Purtroppo in questa pellicola non c’è spazio per il lieto fine. Il sistema Consorzio, «chi è dentro è dentro, chi è fuori resta fuori», ha strangolato le imprese sane, favorendo quelle più abili nell’arte della corruzione e della spartizione delle tangenti.

«Il tessuto imprenditoriale veneto, dopato da trent’anni di Consorzio, non si riprenderà facilmente. Avrà bisogno del metadone per non schiattare», scrive Mazzaro.

Leggendo il testo emerge anche un dato inquietante, che costringe tutti i veneti a guardarsi allo specchio. «L’arresto di Galan è politicamente in linea con quello del suo predecessore Franco Cremonese, processato e condannato per tangenti», scrive l’autore, «ed è in linea con il predecessore di Cremonese, Carlo Bernini, che riuscì a scansare il carcere, ma non il processo e la condanna anche lui per corruzione».

Dunque, fatta eccezione per i presidenti di transizione post Tangentopoli, dal 1980 al 2010 la Regione è stata governata da presidenti corrotti, eletti e rieletti. Un record che fa impallidire anche le tanto criticate regioni del sud. Ma è evidente che un sistema del genere non può prosperare per trent’anni senza il concorso di tutti, anche di chi (impresa, finanza, categorie economiche, cittadini) poi finge stupore e sdegno quando il malaffare viene a galla.

E in questo senso è esemplare la ricostruzione di Mazzaro della breve vita del quotidiano “La Cronaca” di Verona. Nato nel ’92 per spezzare il monopolio dell’Arena durante Tangentopoli, chiuse in pochi anni anche perché osteggiato dai poteri forti della città che non gradivano una voce fuori dal coro.

«Mi domando per quanto tempo ancora accetteranno di essere governati come sudditi», è il commento, riportato da Mazzaro, dell’allora direttore Paolo Pagliaro. Si riferisce ai veronesi, ma è un’analisi che può essere allargata a tutti i veneti. Il testo di Mazzaro ha ora il merito di arrivare nelle librerie a poco più di un mese dalle prime elezioni regionali del post terremoto giudiziario. Con la discesa in campo di Flavio Tosi la partita sembra aperta ed è ora nelle mani degli elettori: per Luca Zaia e Alessandra Moretti ogni singolo voto è decisivo. Nessuno potrà più far finta di non sapere. Per il Veneto, come scrive Mazzaro, è arrivato “l’anno zero”.

Giorgio Barbieri

 

Indennità e vitalizi, Galan non ci rinuncia

Caro direttore,
leggo sul Gazzettino che dopo le elezioni regionali di fine maggio, bisognerà provvedere a rinnovare le Presidenze delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato. Fra queste c’è anche la Commissione Cultura di Giancarlo Galan.

Quindi deduco che l’onorevole Galan, dopo tutte le vicende che lo hanno visto coinvolto nello scandalo del Mose di Venezia e per il quale ha già patteggiato, in tutti questi mesi ha continuato regolarmente ad incassare il suo stipendio di parlamentare.

Allora io mi chiedo: se l’onorevole Galan (come la maggior parte dei parlamentari coinvolti in casi di corruzione, tangenti, mazzette e quant’altro) non ha la decenza di rassegnare le dimissioni dal suo incarico, non esiste un sistema che li faccia decadere automaticamente?

Probabilmente no. Ma noi in Italia siamo capaci di tutto, anche di candidare alle primarie un condannato in primo grado. Verrebbe da dire: questa è l’Italia, bellezza!

Giuseppe Macchini –  Padova

 

Caro lettore,
lei deduce benissimo: nonostante abbia patteggiato per lo scandalo Mose una pena di 2 anni e 10 mesi e una sanzione di 2,6 milioni di euro, Giancarlo Galan è tuttora membro del Parlamento italiano nonchè presidente (ovviamente sempre assente visto che è detenuto ai domiciliari) della Commissione Cultura della Camera.

Galan infatti, dopo aver patteggiato, ha poi deciso di ricorrere in Cassazione e questo gli ha consentito di dilazionare l’esecuzione della sentenza e quindi di conservare anche il posto di deputato e la relativa indennità.

Ma non solo: Galan, per la legge, è anche un legittimo titolare di un cospicuo vitalizio in quanto ex consigliere regionale del Veneto.

Del resto non c’è nessuna norma che imponga a Galan di fare passi indietro o di rinunciare all’indennità di parlamentare.

E lui sinora si è ben guardato dal farlo.

 

Nuova Venezia – Una letteratura sul Mose ma nulla cambia

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15

apr

2015

L’INTERVENTO

Stefano Micheletti – Associazione Ambiente Venezia

A soli dieci mesi da quel 4 giugno 2014, sulla corruzione legata al Mose esiste già una vera e propria letteratura. Pubblicato da nuovadimensione nel dicembre 2014 “La grande Retata”, il libro dei giornalisti del Gazzettino Gianluca Amadori, Monica Andolfatto e Maurizio Dianese, che ha fatto seguito a “Corruzione a norma di legge” di Giorgio Barbieri, giornalista dei quotidiani veneti del gruppo l’Espresso, e di Francesco Giavazzi, economista della Bocconi ed editorialista del Corriere della Sera, pubblicato da Rizzoli.

Ora sempre Rizzoli pubblica “Il male italiano. Liberarsi dalla corruzione per cambiare il Paese”, libro intervista di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, con Gianluca Di Feo, giornalista dell’Espresso, recensito da Giorgio Barbieri sulla “Nuova Venezia” di mercoledì 8 aprile.

A parte la considerazione che i libri bisognerebbe scriverli prima, non quando “i buoi sono già scappati dalla stalla” e i libri potevano essere intere enciclopedia se solo qualche case editrice “mainstream” avesse tenuto da conto i materiali autoprodotti dalle associazioni ambientaliste, dai tecnici indipendenti e dal movimento No Mose, che da trent’anni denunciavano lo scandalo della grande opera inutile, dannosa e foriera di corruzione, mi sembra che non stia cambiando niente, all’insegna dell’italico gattopardesco motto: che tutto cambi perché nulla cambi.

Nel libro di Cantone è posto l’esempio di Venezia nella lotta al malaffare dei colletti bianchi: L’Anticorruzione ha infatti chiesto e ottenuto dalla Prefettura di Roma, nell’ottobre scorso, il Commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dei lavori per la salvaguardia della Laguna.

Ma quali sono i risultati di questo commissariamento? Il provvedimento è stato preso per finire l’opera, ma dalle risultanze dell’inchiesta emerge con chiarezza che il CVN, la cupola del Mose, non aveva alcun bisogno di pagare tangenti per vincere gli appalti dei lavori, avendone – per legge – la concessione unica, cioè il monopolio degli studi, delle sperimentazioni, delle opere e persino dei controlli sulle opere.

I fondi neri, le mazzette, le retrocessioni di fatture false, le sponsorizzazioni e regalie, servivano in realtà per pagare i preposti al rilascio di pareri ed autorizzazioni (i vari via libera delle Commissioni regionali VIA e di Salvaguardia, i silenzi del Magistrato alle Acque, i vari passaggi tecnici ai ministeri e i via libera ai pagamenti del Cipe), nonché comprarsi il consenso in città. Lo scandalo del Mose non è, o almeno non è solo, una storia di ordinaria corruzione.

Il progetto Mose è stato scelto dal monopolista non perché il migliore, a confronto con altri, ma perché è il più costoso, nonché il più impattante sull’ambiente, e perché richiede una manutenzione la più costosa.

Numerose sono le criticità sul suo funzionamento che non sono state accertate: dalle cerniere al fenomeno della risonanza delle paratie, alla manutenzione stessa, segnalate da studi indipendenti e prestigiosi (la società francese Principia ad esempio).

Cosa stanno facendo i due commissari del Mose?

Stanno accertando queste criticità? Hanno letto le migliaia di pagine dell’inchiesta della Magistratura (o solo le pagine della “Grande Retata”, con gli interrogatori dei costruttori che, per pagare la cupola del CVN, “giocavano” sul ferro e sul cemento dei cassoni e sui sassi dall’Istria per le scogliere e le lunate, travolte dalla prima mareggiata?

Stanno accertando che i lavori siano stati realizzati a regola d’arte? Faranno un resoconto trasparente di quanto hanno trovato al CVN?

Vige tuttora il 12% di oneri del concessionario riservati al CVN sul prezzo di ogni lavoro, una vera e propria tangente legalizzata per la cupola del Mose?

Oppure i commissari chiederanno al Governo che almeno sia ridotto al 6%? Nomineranno un’Authority indipendente costituita da tecnici e scienziati super partes per un ispezione su quanto hanno fatto e sulla possibilità di eventuali varianti in corso d’opera che evitino le criticità sul funzionamento delle paratie?

Oppure dobbiamo solo incrociare le dita e sperare che funzioni, dimostrando che sono stati sostituiti i vertici del malaffare, ma nulla ancora una volta cambia?

O quando scopriremo che il Mose era un bidone ed avevano ragione gli ambientalisti dovremmo consolarci con un altro libro?

 

Nuova Venezia – Mose, altri 221 milioni in arrivo dal Governo

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12

apr

2015

CHIUSURA DEI LAVORI

Dal Governo 221 milioni per il Mose

Le dighe costeranno alla fine 5.200 milioni di euro, 200 in meno del previsto

Il Consorzio rinuncia a una nave jack up. Cerniere e paratoie in Arsenale

Altri 221 milioni per il Mose. Il Def (Documento Economico finanziario) prevede la somma residua necessaria al Consorzio Venezia Nuova per completare la grande opera. Rimasta nelle priorità del governo a differenze dell’autostrada Roma-Orte.

Adesso il Consorzio ha disponibili in teoria tutte le risorse necessarie a completare le dighe mobili, i cui lavori dovrebbero concludersi entro il 2017. Cinque miliardi e 400 milioni di euro, che potrebbero ridursi di un po’ se andrà in porto la spending review annunciata dal direttore Hermes Redi, succeduto due anni fa a Giovanni Mazzacurati.

Le due navi “jack up”, ordinate durante la gestione Cuccioletta del Magistrato alle Acque sono state ridotte a una. Solo qui si risparmieranno 55 milioni di euro. Per trasportare le paratoie dalla bocca di porto al centro della manutenzione, in Arsenale, basterà un solo mezzo attrezzato. Qualcuno aveva proposto di trainare le paratoie con un rimorchiatore, si sarebbe risparmiato un po’. Ma si era scelto di ordinare le due navi.

Altri risparmi all’orizzonte potrebbero portare il costo finale della grande opera a 5 miliardi e 200 milioni. Duecento in meno del totale previsto. Ultima tranche a cui il Consorzio ha annunciato di voler rinunciare. Pur sempre un incremento notevole di costi rispetto alle previsioni degli anni Novanta, quando il progetto Mose doveva costare poco più di un miliardo di euro, 3200 miliardi di lire.

Cifra da cui restano escluse la gestione e la manutenzione, un capitolo di cui adesso dovranno occuparsi i due commissari che gestiscono il pool di imprese Luigi Magistro e Francesco Ossola, nominati dopo gli arresti del giugno scorso dal presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone.

I lavori del Mose intanto proseguono alle tre bocche di porto. Quasi completata la schiera delle 39 paratoie che saranno installate alla bocca di Lido, dove sono state anche fatte le prime prove di sollevamento. In corso quelle per la bocca di Malamocco (20), dove è stata prevista una conca di navigazione – già insufficiente a far entrare le navi di ultima generazione – e di Chioggia (18). Intanto una paratoia sarà esposta al pubblico il 25 aprile in Arsenale, durante le giornate per l’Arsenale aperto. Un pezzo di 20 metri per 18,5 alto tre metri e mezzo e pesante 168 tonnellate. Si potranno vedere da vicino anche le famose cerniere e i gruppi connettori che tengono ancorate le paratoie ai cassoni in calcestruzzo. Sono alti 3 metri e pesano 10 tonnellate.

Alberto Vitucci

 

Gazzettino – Grandi opere dimezzate

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10

apr

2015

A NORDEST – Mose verso il traguardo, ok alla Pedemontana e stop alla Orte-Mestre

Quelle prioritarie calano da 51 a 25. Operazione trasparenza sui cantieri

DOPO LO SCANDALO – Delrio parla con Cantone: collaborazione anticorruzione

INFRASTRUTTURE – L’obiettivo è finire tutti i lavori nel 2021 senza incompiute

Cura dimagrante per le infrastrutture strategiche. Con una sforbiciata, o meglio una focalizzazione, che porta da 51 a 25 le opere prioritarie. Una selezione durissima, decisa ieri dal premier Matteo Renzi, per concentrare le risorse – molto scarse – su pochi obiettivi prioritari. Provando così a mettere fine alla lunghissima lista di opere annunciate ma incompiute (circa 700) dei passati governi. L’allegato “Infrastrutture” al Def, che fotografa lo stato dell’arte della legge obiettivo, è stato quindi dimezzato: solo 25 opere – strade, ferrovie, metropolitane e reti idriche – con costi e tempi di realizzazione. E con i soldi da stanziare e i fondi già disponibili.

Il governo, dopo la bufera giudiziaria sull’ex ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi e il supermanager Ercole Incalza, ha voluto dare una svolta rispetto al passato; il precedente piano comprendeva ben 400 interventi per 380 miliardi di spesa.

Ora, nelle intenzioni, l’obiettivo è di chiudere i cantieri nei tempi stabiliti. Con la massima trasparenza – ieri Delrio ha incontrato per più Raffaele Cantone, capo dell’Autorità nazionale anticorruzione, per avviare una stretta collaborazione – e col rigoroso rispetto del cronoprogramma. Questo non vuol dire che le altre opere già finanziate finiscano sul binario morto. Però è indicata per la prima volta una scala di priorità “forti” per il territorio. Spetterà al dicastero vigilare e mettere a fattor comune le risorse individuate e accendere i riflettori sui ritardi.

La scure ha dunque risparmiato l’Alta velocità Napoli-Bari (2,6 miliardi in tutto, di cui 1,6 disponibili), il Mose (5,4 miliardi) e la Metro C di Roma (2,6 miliardi).

Confermata la cancellazione della Orte-Mestre e di una serie di opere soprattutto al Nord.

Resta in pista la Pedemontana lombarda (4,1 mld) e quella veneta (2,5 mld), la tangenziale Est di Milano (1,6), l’A12 Roma-Latina (2,7) il completamento della ben nota Salerno-Reggio Calabria, la statale Jonica 106 (6,3) e il quadrilatero Marche- Umbria (2,1 mld).

Considerate strategiche, nella rete ferroviaria, l’alta velocità Napoli-Bari (2,6 mld secondo il progetto preliminare) e la Torino- Lione (2,6), il nuovo Brennero (4,4) e il Frejus.

Un capitolo a parte merita il Mose, il cui stato di avanzamento lavori è all’80% e che Delrio vuole ora terminare senza fallo. Nel documento è indicato un costo finale di 5,4 miliardi (5,2 disponibili) e la fine lavori nel 2017 con un fabbisogno triennale di 221 milioni, sempre per salvare dalle acque alte Venezia. Investimenti massicci anche ai porti: Civitavecchia (195 milioni), Taranto (219 mln), piattaforma logistica di Trieste (132), Ravenna (220) al costo globale di 820 milioni (disponibili 816). Per gli acquedotti (Sistema Menta, Caposele, Basento- Bradano) in ballo ci sono 438 milioni. Nel dettaglio, per la metro C di Roma il costo finale è valutato 2,6 miliardi (2,1 mld disponibili) con un fabbisogno triennale di circa 280 milioni.

L’obiettivo previsto dalla legge “Sblocca Italia” è chiudere tutte le opere nel 2021. Interventi anche per la metro di Napoli (2,4 mld di costo con 2,1 mld disponibili e fabbisogno triennale di 200 milioni). Infine l’edilizia scolastica: confermati stanziamenti per quasi 500 milioni di euro. Oggi, salvo sorprese, il varo a Palazzo Chigi col Documento di economia e finanza.

Umberto Mancini

 

VENEZIA – Mose, si chiude con un patteggiamento anche la vicenda giudiziaria di Andrea Rismondo. Il biologo veneziano, residente a Preganziol (Treviso), era finito nel ciclone dell’inchiesta per due distinte accuse di corruzione e finanziamento illecito dei partiti.

Ieri mattina, davanti al gip lagunare Vicinanza, ha patteggiato un anno, nove mesi e 20 giorni con confisca di 82mila euro.

Rismondo si era accordato con i magistrati della Procura di Venezia già nel gennaio scorso. Il suo nome era spuntato fuori dalle indagini della Guardia di finanza sul sistema Mose in seguito ad accertamenti sui soldi arrivati illecitamente al Magistrato alle acque.

Secondo l’accusa il professionista, quale legale rappresentante della “Selc sc” di Marghera, avrebbe versato direttamente al Magistrato alle acque fondi per evitare i controlli.

La seconda accusa era quella di aver illecitamente finanziato l’esponente del Partito democratico Giampietro Marchese nel 2010.

«Ci teniamo a ribadire – spiega l’avvocato Andrea Franco che ha seguito la vicenda in collaborazione con la collega Alessandra Stèfano – che il sistema era tale per cui più che di corruzione il mio assistito era un concusso».

L’avvocato Franco precisa inoltre che la somma confiscata, pari a 82 mila euro tecnicamente considerata come il prezzo del reato, è stata versata al fondo unico della giustizia.

G.P.B.

 

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