Segui @OpzioneZero Gli aggiornamenti principali anche su Facebook e Twitter. Clicca su "Mi piace" o "Segui".

Questo sito utilizza cookie di profilazione, propri o di terze parti per rendere migliore l'esperienza d'uso degli utenti. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie. Per maggiori informazioni cliccare qui



Sostieni la battaglia contro l'inceneritore di Fusina, contribuisci alle spese legali per il ricorso al Consiglio di Stato. Versamento su cc intestato a Opzione Zero IBAN IT12C0501812101000017280280 causale "Sottoscrizione per ricorso Consiglio di Stato contro inceneritore Fusina" Per maggiori informazioni cliccare qui

Nuova Venezia – Mose, lo Stato recupera gia’ 2,5 milioni

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

ago

2014

Restituiscono i soldi i Boscolo, Cuccioletta, ………. e Morbiolo. Maria Brotto torna al lavoro e i colleghi in mensa si alzano

VENEZIA – Moneta sonante nelle casse dell’Erario.Sono2,5 i milioni di euro già assicurati alle casse del ministero, versati sul Fondo Unico Giustizia presso Equitalia da sei indagati dell’inchiesta “Tangenti Mose”, come precondizione posta dai pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini per concedere il nullaosta al patteggiamento della loro pena. Tra i soldi messi in cassa allo Stato dagli accusati di concorso in corruzione – euro più, euro meno – ci sono i 676 mila euro versati Stefano e Mario Boscolo “Bacheto”, i 700 mila euro di Piergiorgio Boscolo “Contadin” (imprenditori chioggiotti che hanno partecipato al sistema di false fatturazioni che foraggiava i fondi neri del Consorzio, in cambio di appalti), gli 800 mila euro pagati da Patrizio Cuccioletta (l’ex Magistrato alle Acque che ha confessato di essere a libro paga di Giovanni Mazzacurati e del Consorzio per agevolare pratiche e collaudi), i 100 mila euro pagati da ………….., consulente svizzero di Piergiorgio Baita e della Mantovani e accusato di aver ideato un sistema per evadere le imposte attraverso sovrafatturazioni di una società canadese. Poi le “briciole” dei 19 mila euro versati da Franco Morbiolo, presidente del Consorzio Coveco. Si tratta del corrispettivo delle “mazzette” contestate, con relativa imposta evasa, a saldo del danno provocato all’Erario, dal momento che erano pagate con i soldi pubblici, che il Consorzio Venezia Nuova incassava dallo Stato a fronte di spese in realtà mai sostenute. A questi milioni – una volta che le sentenze di patteggiamento (sulle quali dovrà esprimersi il giudice Vicinanza) saranno definitive – la Procura conta di aggiungere i proventi delle confische, come 600 mila euro dell’ingegnere del Consorzio Venezia Nuova Maria Brotto (che tangenti non ne ha pagate, ma era addentro al sistema: nei giorni scorsi è tornata al lavoro, contestata da alcuni dipendenti che si sono alzati quando lei si è presentata a pranzo in mensa) o i 150 mila euro di finanziamento illecito ai partiti per l’ex consigliere regionale pd Giampietro Marchese. Soldi insieme a pene, variabili tra gli 11 mesi (Marchese) e i 2 anni (Boscolo e Brotto). Era già avvenuto con Mantovani che ha già versato all’erario 3 milioni di euro di imposte evase dal suo ex presidente Piergiorgio Baita, con i fondi neri. La Procura ha, invece, al momento respinto altre richieste di patteggiamento, ritenute non congrue – anche in relazione ai “danari” da restituire – come quella avanzata dai legali dell’imprenditore Stefano Tomarelli, già nella “cupola” del Consorzio Venezia Nuova. In questi giorni, i legali di un altro uomo forte del Cvn – […………………….] – stanno cercando di ottenere dalla Procura il nullaosta per permettere a un notaio di incontrare l’imprenditore in carcere e cedere per 5 anni le quote societarie a una persona di fiducia: bisognerà vedere se questo sarà sufficiente a garantirgli la disponibilità dei pm al patteggiamento perché [……] – uomo vicino a Gianni Letta – è con l’ex assessore Renato Chisso e l’ex governatore Giancarlo Galan, tra quanti negano qualsiasi accusa escono ancora in carcere. Proprio Galan è descritto dai suoi legali come «furioso» per il mancato accoglimento dell’istanza di revoca del carcere e la «fandonia» dell’accusa che gli muove Mazzacurati di avergli versato uno stipendio annuale di un milione di euro circa: pronto il ricorso per Cassazione.

Roberta De Rossi

 

GRANDI OPERE – Mose, il Cipe non decide sui 400 milioni di euro

Sicuramente è stata una iniziale “doccia fredda” per il Consorzio Venezia Nuova. Ma è bastato notare che dalla riunione odierna del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, non ci fosse all’ordine del giorno lo stanziamento degli attesi 401 milioni di euro per il completamento del sistema Mose, che più di qualcuno nella sede dell’Arsenale non ha nascosto più di qualche preoccupazione. Già, perchè questo finanziamento dovrebbe servire per il completamento delle opere del sistema e quindi risultano quanto mai indispensabili per un progetto che sembra completato all’85-87 per cento. Una situazione delicata per il Consorzio Venezia Nuova che in queste settimane ha annunciato il completamento o l’avvio al completamento di alcune fasi importanti come la posa dei cassoni alle bocche di porto e l’avvio della sistemazione delle paratoie. Ora, sia pure in piena estate, pare sia calato il gelo almeno nel rinvio nell’ordine del giorno previsto nella seduta di oggi del Cipe. L’assenza di questo finanziamento, almeno fino a questo momento – come ha rilevato più volte lo stesso presidente del Cvn, Mauro Fabris pregiudicherebbe la conclusione dell’opera nel 2016.

 

Gazzettino – Con i patteggiamenti recuperati 4 milioni

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

ago

2014

Mantenuta la promessa di sette indagati dopo aver concordato la pena con i magistrati. Restano sequestrati beni per circa ottanta milioni

Con i patteggiamenti recuperati 4 milioni

L’inchiesta sul “sistema Mose” ha già fatto incassare allo Stato oltre 4 milioni di euro. A tanto ammontano le somme che i primi indagati si sono impegnati a versare contestualmente al patteggiamento della pena detentiva concordata tra i rappresentanti della difesa e i magistrati della Procura. Il calcolo è ovviamente provvisorio: negli ultimi giorni molti altri indagati hanno preso contatti con la pubblica accusa, per tramite dei rispettivi legali, con l’obiettivo di verificare la possibilità di uscire dall’inchiesta con un patteggiamento, e sono in corso febbrili trattative. Il nodo principale da sciogliere non è tanto quello della pena detentiva – in gran parte dei casi contenuta entro i limiti della sospensione condizionale – quanto l’ammontare delle somme che ciascun indagato dovrà versare al Fondo unico della giustizia, a titolo di restituzione della quota di sua competenza delle “mazzette” o delle false fatturazioni che gli vengono contestate. Senza restituzione del cosiddetto “prezzo” del delitto, la Procura non è disponibile, infatti, a scendere a patti.
Finora hanno concordato il patteggiamento gli imprenditori Mario e Stefano Boscolo Bacheto della Cooperativa San Martino (a due anni di reclusione ciascuno), i quali hanno già versato quasi 700mila euro; e Gianfranco Boscolo Condadin della Nuova Coedmar (due anni e 700 mila euro). L’ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta, si è detto disponibile a patteggiare 2 anni (e a pagare 800mila euro); stessa pena concordata dalla coordinatrice della progettazione del Mose per il Consorzio Venezia Nuova, Maria Teresa Brotto, per la quale il “prezzo” del reato è stato quantificato dai pm in 600mila euro, somma che potrebbe esserle confiscata quando la sentenza diventerà definitiva (anche se l’ingegnere non ha materialmente mai incassato alcuna tangente: gli viene contestato “solo” il concorso con le corruzioni commesse dall’allora presidente del Cvn, Giovanni Mazzacurati). E ancora: l’imprenditore svizzero ….., accusato di essere l’ideatore del meccanismo delle false fatturazioni della Mantovani – ha concordato un patteggiamento di 1 anno e 3 mesi (e 100mila euro da restituire); l’imprenditore di Cavarzere delle coop rosse, Franco Morbiolo, ex presidente del Coveco, 1 anno (e 19 mila euro, ciò che aveva nel conto corrente al momento dell’arresto); mentre per l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese la pena è stata definita in 11 mesi (e possibile successiva confisca di una somma pari ai finanziamenti illeciti chi gli vengono contestati).
Per altri indagati le somme che la Procura chiede loro di versare sono superiori al milione di euro: è per questo motivo che le trattative per alcuni patteggiamenti proposti dalla difesa si sono fermate, o quantomeno hanno rallentato i tempi di definizione.
Al momento degli arresti, lo scorso giugno, la Procura ha ottenuto sequestri per un ammontare complessivo fino ad 80 milioni di euro e i beni “congelati” ai vari indagati serviranno a garantire che, in caso di condanna, lo Stato possa incassare almeno una parte delle somme che dovranno essere restituite a titolo di “prezzo” del reato.

 

CAMERA – Galan, stop ai rimborsi

ROMA – L’ufficio di presidenza della Camera ha sospeso l’erogazione di tutte le somme dovute a titolo di rimborso, nessuna esclusa, legate all’esercizio del mandato parlamentare, nei confronti di Giancarlo Galan (FI) da quando l’Assemblea ne ha concesso l’arresto.

 

CIPE – Niente 400 milioni. A rischio i lavori

Niente stanziamento di 400 milioni all’ordine del giorno della seduta del Cipe, ieri. Ed è stato gelo al Consorzio Venezia Nuova. L’«assenza» di questo punto rischia di mettere in crisi il completamento del sistema Mose entro il 2016.

 

Adria Infrastrutture, la cassa di Galan e Chisso

La cassa di Chisso e Galan era Adria Infrastrutture

Scatola vuota, intestata quasi a «loro insaputa» a ex governatore e a ex assessore

la società è proponente delle maggiori opere inserite nello Sblocca Italia di Renzi

ROMEA COMMERCIALE – L’ex doge e Vasco Errani firmarono l’accordo per la nuova autostrada

PIATTAFORMA DI FUSINA – lavori per 174 milioni per piazzale fs, parcheggi, logistica e due darsene

VIA DELMARE – Superstrada a pedaggio di 19 chilometri per collegare l’A4 con i lidi di Jesolo e Cavallino

AUTOSTRADA NOGARA-MARE – Lunghezza 150 km, lavori in 4 fasi, concessione 40 anni, importo 2 miliardi.

VENEZIA Una delle accuse a carico di Giancarlo Galan è di aver chiesto a Piergiorgio Baita di rientrare nei guadagni di Adria Infrastrutture, la società creata dal manager per gestire gli utili dei lavori in project financing della Mantovani Costruzioni. L’ex presidente del Veneto non nega di possedere una quota di Adria, anche se per trovare il suo nome bisogna smontare il castello di società costruito a sbarramento dal suo commercialista Paolo Venuti (in carcere pure lui). L’operazione incrociando le visure camerali alla fine è semplice. Che bisogno ci fosse di metterla in piedi, visto che è stato come nascondersi dietro undito, lo sa solo Venuti. Nel suo memoriale Galan sostiene che questa partecipazione vale un fico secco per due motivi: Adria è una società rimasta inattiva e i grandi lavori in project nel portafoglio della società non sono mai partiti. Il reato, pretendono i suoi avvocati, non è mai stato compiuto. Vada come vada la vicenda processuale, non può sfuggire che tutto pare predisposto perché Giancarlo Galan incassasse come socio privato di Adria Infrastrutture parte degli utili derivanti dai grandi lavori pubblici che lui stesso approvava come presidente del Veneto. Lui e il fedele assessore Renato Chisso, che istruiva l’iter procedurale per la parte regionale. Anche Chisso aveva voluto una quota in Adria, mascherandola con Claudia Minutillo prestanome. Manovra più subdola, tant’è che adesso che i due non vanno più d’accordo come prima, ha buon gioco a dire che i soldi della quota liquidata li ha incassati lei e non lui. E la Minutillo avrà qualche problema a dimostrare che non è vero. La quota di Chisso era pari al 5%. Non è chiaro quanti soldi siano stati liquidati (a parte a chi)masi sa che l’ex assessore voleva 2 milioni e mezzo. Baita tirava indietro e fece fare una valutazione allo studio Cortellazzo-Soatto. Ne venne fuori un valore massimo 1 milione e 800mila euro. Galan ha ancora il 7% di Adria, ergo sotto 2 milioni non va. Sarà una valutazione sulla carta, ma suona bene. I grandi lavori nel portafoglio di Adria suonano ancora meglio. Basta leggere la relazione delCdadel 31 dicembre 2012, quando le inchieste che stanno terremotando la classe dirigente veneta viaggiavano ancora sotto quota periscopica (Baita e la Minutillo vengono arrestati il 28 febbraio 2013). Ecco come si presentava il programma grandi lavori. Piattaforma di Fusina. Committente Porto di Venezia, lavori per 174 milioni di euro per realizzare piazzale ferroviario, parcheggi, fabbricati di logistica, due darsene e 1250 metri di banchine. Durata della concessione 40 anni. A fine 2012 le aree erano state consegnate alla società di progetto in cui Adria ha il 10% ed era in corso la realizzazione delle banchine. Via del Mare. Superstrada a pedaggio di 19 chilometri per collegare l’A4 con il litorale di Jesolo e Cavallino. Committente Regione Veneto, costo complessivo 210 milioni, nessun contributo pubblico, durata della concessione 40 anni. Adria ha il 20% nella società proponente. A fine 2012 il progetto era già approvato dal Cipe e la Regione si apprestava a pubblicare il bando di gara. Gra di Padova. Grande raccordo anulare, lunghezza 65 chilometri, committente Regione Veneto, durata della concessione 40 anni, costo 600 milioni di euro da privati e 120 da contributo regionale (più Iva). A fine 2012 la situazione era definita «in stallo per problematiche sollevate da Comuni limitrofi a Padova» ma il progetto era stato consegnato al Cipe. Autostrada Nogara-Mare. Promotore un consorzio misto pubblico-privato, in cui Adria ha il 3%. Lunghezza circa 150 chilometri, lavori suddivisi in 4 fasi, durata della concessione 40 anni, importo superiore a 2 miliardi. A fine 2012 la concessione risultava provvisoriamente assegnata con avvio lavori previsto nel 2014. Passante Alpe Adria. Autostrada di prosecuzione da Pian di Vedoia a Pieve di Cadore, lunghezza23 chilometri, di cui 3,5 in ponti e viadotti e 11,5 in gallerie. Investimento 1 miliardo e 100 milioni, durata della concessione 40 anni, parere favore della commissione Via nazionale. A fine 2012 si attendeva il parere del Cipe. Adria Infrastruttureha il 25%. Romea Commerciale. Collegamento autostradale Mestre- Orte-Civitavecchia, committente ministero delle infrastrutture. Maxi opera da 8 miliardi e 700 milioni, lunga 400 chilometri. A fine 2012 la durata dei lavori era prevista in 5 anni. Adria puntava ad acquisire il 2% nel cartello dei proponenti. Tangenziali venete. Sistema stradale a pedaggio che affianca l’A4 da Padova a Verona per una lunghezza di 107 chilometri. Committente Regione Veneto, investimento di 2 miliardi e 700 milioni, durata della concessione 46 anni. A fine 2012 la commissione Via regionale aveva dato parere favorevole e il progetto era all’attenzione del Cipe. Adria detiene l’esclusiva per lo studio, lo sviluppo e la messa in opera del sistema di esazione del pedaggio. Nuova Valsugana. Superstrada a pedaggio, lunga 18 chilometri, di cui il 75% in galleria, da Marostica a San Nazario. Anche qui Adria ha l’esclusiva per riscuotere il pedaggio. Committente Regione Veneto, investimento per i privati di 731,5 milioni di euro più 180 di oneri passivi, contributo pubblico di 350 milioni. Durata della concessione 44 anni. A fine 2012 il progetto aveva ottenuto l’ok dalla commissione Via regionale. Tutto questo va oggi aggiornato con le recenti decisioni del governo Renzi, che ha inserito molte di queste opere nello Sblocca Italia, il quale nel Veneto prevede di spendere 6 miliardi di euro: che valga in più a questo punto Adria Infrastrutture è facile capirlo.

Renzo Mazzaro

 

I VERDETTI DEL RIESAME

Scarcerato Giuseppone. Meneguzzo resta ai domiciliari

VENEZIA – Tangenti Mose, il Tribunale del Riesame di Venezia ha scarcerato l’ex giudice della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, mentre ha rigettato l’appello dell’imprenditore Andrea Rismondi, per la revoca della misura dell’obbligo di dimora. Il primo nega di essere stato sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova, mentre il secondo ammette di aver sovraffatturato consulenze per lo stesso Consorzio, ma di non sapere a chi erano diretti i soldi che restituiva. In realtà l’accusa non è caduta per entrambi. Il primo avrebbe preso soli per aggiustare indagini, il secondo sarebbe stato il tramite per corrompere i tecnici del Magistrato alle Acque e per versare soldi al rappresentante del Pd Giampiero Marchese. Il Tribunale del Riesame mette fuori il primo, si trovava agli arresti domiciliari, perché già in pensione e perché i fatti di cui è accusato risalgono a sei anni fa. Per l’imprenditore, residente a Preganziol, la misura dell’obbligo di dimora resta. Intanto il Tribunale del Riesame di Milano ha respinto l’istanza di liberazione dei legali di Roberto Meneguzzo che resta così agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Vicenza. Gli stessi giudici si sono invece riservati sul ricorso contro la misura di custodia cautelare in carcere presentato dalla difesa di Marco Milanese, l’ex deputato Pdl arrestato lo scorso 4 luglio, la cui posizione per competenza territoriale è stata trasmessa ai magistrati milanesi. La decisione dei giudici è prevista entro giovedì. Milanese attualmente è detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Durante l’udienza il suo legale, l’avvocato Bruno La Rosa, ha depositato una memoria di 70 pagine nella quale «vengono confutate le ragioni dell’esigenza della misura cautelare e la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza». Milanese «non poteva in alcun modo interferire» a favore della concessione di finanziamenti per il Mose, in quanto «chi aveva un ruolo effettivo nella gestione amministrativo-normativa sul piano politico» dell’iter per lo sblocco dei fondi erano l’ex ministro Giulio Tremonti e l’ex sottosegretario Gianni Letta, scrive il legale.

(c.m.)

 

Gazzettino – Mose, 80 milioni da recuperare

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

5

ago

2014

L’INCHIESTA – La Procura sulle proprietà degli indagati, ma solo 10 milioni sono “aggredibili”

Mose, 80 milioni da recuperare

In caso di condanna Galan rischia di perdere villa Rodella. Al [……] bloccati 18 milioni (le mazzette contestate)

A tre giorni dalla conferma del carcere per Giancarlo Galan, i riflettori dell’inchiesta sul “sistema Mose” sono ancora tutti puntati sulle misure cautelari personali e sulla “battaglia” della difesa per far tornare in libertà i propri assistiti, o almeno per far concedere loro gli arresti domiciliari. Ma, più a lungo respiro, la partita che di più preoccupa i principali indagati è quella patrimoniale. In caso di condanna – ma anche di patteggiamento – c’è il concreto rischio (quasi la certezza) della conseguente confisca dei beni per un importo pari al cosiddetto prezzo o profitto del reato. E in alcuni casi si tratta di somme a sei zeri.
Per garantire allo Stato la certezza di poter incassare quei soldi dopo l’eventuale sentenza di condanna, la Procura di Venezia ha ottenuto dal gip Alberto Scaramuzza, contestualmente alla richiesta di arresto, il sequestro di beni fino ad un ammontare complessivo di oltre 80 milioni di euro. In concreto, però, gli uomini della Guardia di Finanza hanno individuato beni “aggredibili” per un importo più contenuto, pari a poco più di 10 milioni: immobili, terreni, quote azionarie e conti correnti bancari, da allora “congelati”.
Il sequestro più consistente riguarda […………………..], socio e consigliere d’amministrazione del Consorzio Venezia Nuova: per lui il prezzo o profitto del reato è stato calcolato in circa 18 milioni di euro, pari alla somma delle varie “mazzette” e delle false fatture che gli vengono contestate in concorso con altri. Nel corso delle perquisizioni del 4 giugno scorso, la Finanza gli ha sequestrato anche preziosi dipinti, tra cui due Canaletto.
Per l’ex Governatore del Veneto, Giancarlo Galan il prezzo o profitto del reato è stato calcolato in 4.8 milioni, (con sequestri effettivi di beni per circa 2 milioni); per l’ex assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, in oltre 8 milioni, ma non gli è stato trovato alcun bene a disposizione, salvo poche migliaia di euro su un conto corrente. A Galan, invece, sono stati “bloccati” la lussuosa abitazione, villa Rodella e terreni a Cinto Euganeo, una casa a Padova, terreni a Rovolon le quote della società Margherita srl e Ihfl, nonché poco più di 180mila euro depositati in tre diversi conti correnti bancari.
Sia […….], che Galan e Chisso respingono ogni accusa e si difenderanno con determinazione al processo per dimostrare la loro innocenza e scansare innanzitutto una pesante pena detentiva; ma anche e soprattutto per evitare di vedersi portare via una parte dei rispettivi patrimoni: eventualità che si potrebbe concretizzare anche nel caso in cui, per il troppo tempo trascorso, dopo la sentenza di primo grado il processo si dovesse concludere con una dichiarazione di prescrizione.
L’ex assessore Chisso dopo l’arresto ha fatto notare che dopo tanti anni di politica non possiede alcun bene mobile o immobile, ma il Tribunale del riesame, confermando per lui la misura cautelare, ha ipotizzato l’esistenza di conti esteri. Quanto a Galan, oltre a negare di aver mai preso “mazzette” da Piergiogio Baita o Giovanni Mazzacurati (rispettivamente presidente della Mantovani e del Consorzio Venezia Nuova) sostiene che tutti i beni a lui intestati sono stati acquistati con proventi leciti. Non ha ancora spiegato, però, da dove provenisse il milione di euro con il quale nel 2005 saldò la quota “in nero” dell’acquisto di villa Rodella, circostanza recentemente rivelata dai venditori, i quali hanno raccontato ai magistrati che il prezzo dichiarato al rogito – 700 mila euro – era falso. E che il Governatore versò in più rate un milione e 100mila euro, soldi materialmente consegnati in contanti dalla moglie, Sandra Persegato. La battaglia giudiziaria è soltanto all’inizio.

 

Mose, entro settembre completate le paratoie al Lido

I lavori alla bocca di porto di Lido-Treporti sono praticamente completati. Mancano solo un paio di paratoie e poi il primo tassello (almeno nella parte nord) può dirsi conclusa. Tutto avverrà entro settembre. A San Nicolò, tutti i cassoni sono stati messi sul fondo. E poi c’è la bocca di porto di Chioggia. Il lavoro verrà terminato entro agosto con tutti i cassoni posizionati al loro posto. Poi si procederà con la posa delle paratoie. E Malamocco, la posa dei cassoni si concluderà entro ottobre e poi anche qui si procederà alla fase due, quella delle paratoie.
É questo il quadro dei lavori che riguarderanno il Mose nei prossimi fatidici mesi. «Non posso dire se siamo ancora all’85 per cento dei lavori o se abbiamo raggiunto l’86-87 per cento – sintetizza il direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, Hermes Redi – Di certo stiamo procedendo senza intoppi. Potrei dire mai come in quest’ultimo anno si sta andando avanti con una certa velocità». Di certo, un lavoro senza sosta che è culminato ieri anche con la prosecuzione dei lavori di posa alla bocca di porto di Malamocco che hanno interrotto il traffico marittimo per poche ore, dalle 15.30 alle 18.30. Il cassone aveva iniziato ad essere spostato martedì 29 luglio, alla velocità di un centimetro al minuto, e solo ieri è stato “affondato”. Sono quindi scattate le operazioni di ancoraggio in più punti tanto che la Capitaneria di Porto ha deciso di limitare il transito fino alle 15.30 del 7 agosto prossimo solo ai mezzi autorizzati.
Nel frattempo, proprio in questi giorni, è scattata anche la proroga nel bando di alcuni servizi legati al sistema Mose. A questo proposito, infatti, il Consorzio Venezia Nuova ha dato il via alle procedure per individuare l’affidamento dell’appalto misto (forniture e sistemi di controllo) del sistema Mose. «In sostanza – spiega il direttore Redi – diamo il via all’iter relativo all’installazione, controllo e sistema anti-intrusione delle bocche di porto. Un sistema che verrà constantemente tenuto sotto osservazione dalla nostra “controll room” all’Arsenale che in tempo reale sarà in grado di tenere sotto controllo il sistema di dighe mobili».

 

I verbali degli interrogatori di pierluigi alessandri

«A Chisso 30 mila euro e Sacaim vinse un appalto»

I soldi consegnati nel febbraio 2010 all’hotel Laguna Palace di Mestre, l’assessore prese il denaro come fosse una cosa dovuta Poi mi fu assegnato un lavoro con il Coveco

VENEZIA – Renato Chisso ha festeggiato in carcere i 60 anni, ma sulla sua testa stanno per piovere nuove accuse, che gettano pesanti ombre sui rapporti tra politica e affari, ben oltre l’inchiesta Mose: «Nel febbraio del 2010 ho consegnato a Renato Chisso 30 mila euro, all’hotel Laguna Palace di Mestre… Dopo quel pagamento, acquisimmo un lavoro con la Sistemi Territoriali, società della Regione Veneto, e vinsi in Ati con il Coveco». A parlare è Pierluigi Alessandri, titolare della Sacaim, l’azienda edile di Venezia che ha realizzato la Fenice e le Gallerie dell’Accademia, poi rilevata dalla Rizzani De Eccher dopo una crisi che l’aveva portata nell’anticamera del fallimento. Alessandri, interrogato il 30 luglio scorso dai pm Stefano Ancilotto e Paola Tonini, ha aperto un nuovo capitolo di accuse nei confronti di Giancarlo Galan, al punto che i giudici del Tribunale del Riesame hanno giudicato fondamentale la testimonianza e negato gli arresti domiciliari al deputato di Forza Italia che resta in carcere a Opera di Milano, anche se l’80% delle accuse contestategli dal gip Alberto Scaramuzza sono prescritte. Sotto il profilo penale, vale solo quanto accertato dopo il 22 luglio 2008. I tre pagamenti. Cosa dice Pierluigi Alessandri? Racconta nei dettagli di aver versato a Galan 115 mila euro in tre tranche. «Accuse del tutto infondate», replica l’avvocato Antonio Franchini, difensore dell’ex ministro, «si tratta di vicende completamente prescritte. Galan ha conosciuto Alessandri solo nel 2010». Ecco quanto emerge dai verbali degli interrogatori: «Ho consegnato a Giancarlo Galan in tutto 150 mila euro… Una prima tranche di 50 mila euro nel maggio-giugno 2006, poi 15 mila nel dicembre e 50 mila nei primi mesi 2007…. I soldi sono stati consegnati in luoghi diversi: a casa sua a Cinto Euganeo e una parte a casa di mia figlia che abitava a Monticelli di Monselice. Non ho consegnato io i soldi, ma mia figlia con una busta chiusa, lei non sapeva il contenuto, e Galan mi ha poi ringraziato delle somme ricevute…. Ho pagato per entrare nella schiera di imprenditori amici che poteva fruiredi trattamenti particolari nell’assegnazione dei lavori». I lavori nella villa di Cinto. «Ho eseguito gratuitamente lavori nella villa di Galan a Cinto Euganeo: opere di decoro, stuccatura, affrescatura con il mio personale. Ho emesso una modesta fattura di 25 mila euro che non mi è stata pagata, per giustificare la presenza del personale, ma l’entità dei lavori era di almeno 100 mila euro… Danilo Turato era perfettamente al corrente dell’accordo tra me e Galan». Chisso e le imprese. «La Sacaim non ha mai avuto un riferimento in Regione e siamo stati estromessi da lavori importanti, io ne ho parlato con Galan e mi disse che eravamo una delle imprese di riferimento dei Ds. A me interessava solo lavorare e lui rispose che avrebbe valutato il caso a patto che io fossi stato disponibile a far parte della cerchia di imprenditori a lui vicini, cioè quelli disponibili a elargire somme di denaro… Dissi poi a Galan che con Chisso non riuscivo a instaurare un rapporto, io chiedevo di far parte di alcune cordate ma l’assessore mi fece capire che Baita osteggiava la mia impresa. Galan mi suggerì di corrispondere delle somme a Chisso e dopo che mi “accreditai” ho incontrato l’assessore molte volte…. Per questo motivo quando mi presentai al Laguna Palace di Mestre, Chisso prese il denaro come fosse una cosa dovuta, senza minimamente stupirsi. Dopo questa vicenda, che risale al febbraio 2010, abbiamo acquisito un lavoro con a Sistemi Territoriali, una delle società della Regione: vinsi l’appalto in Ati con il Coveco».

(r.r.)

 

Mevorach: «Mi sono sempre rifiutato di pagare i politici»

«La mia verità? Galan mi ha chiesto di pagare per lavorare, ma io ho rifiutato». Andrea Mevorach, 52 anni, imprenditore veneziano, è un testimone chiave per la Procura e ha raccontato la sua verità che ha pesato sulla decisione dei giudici di tenere in carcere il parlamentare padovano di Forza Italia. Galan nel suo memoriale indica Mevorach come uno dei suoi finanziatori occulti: 10 gli imprenditori che lo hanno aiutato nella campagna elettorale del 2005,male smentite sono state immediate. Mario Polegato, mister Geox, e Mevorach sono due big che hanno negato di aver mai versato fondi a Galan. L’imprenditore veneziano avrebbe pagato 300 mila euro in nero a Claudia Minutillo, la quale se li tenne per sé. A diffondere questa versione dei fatti è ovviamente Galan nel suo memoriale depositato alla Procura qualche giorno fa. Ma la mossa è diventata un boomerang perché Andrea Mevorach è diventato un teste chiave per i pm Ancilotto, Buccini e Tonini. L’imprenditore veneziano ha in ballo la costruzione del mercato ortofrutticolo di Mestre, progetto bloccato dal commissario straordinario Zappalorto. «Credo sia davvero una beffa che un imprenditore onesto debba ancora pagare pesantemente per aver collaborato con la giustizia. Sarebbe bellissimo poter lavorare in questo Paese senza dover pagare e senza mai essere sottoposti a richieste di pagamento», conclude Mevorach ai microfoni del Tg3 Veneto. La sua testimonianza, assieme a quella del medico Salvatore Romano, sono state decisive per confermare la detenzione in carcere a Galan. Romano ha detto di aver veduto la villa all’ex ministro per 1 milione 800mila euro: 700 mila nel rogito notarile, gli altri in nero.

 

Gazzettino – Un sistema di “collette” per Galan

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

4

ago

2014

MAREMOTO sul Mose

METODO La confessione di Alessandri, apre un nuovo scenario per l’inchiesta sul Mose. Molte altre imprese potrebbero finire nei fascicoli giudiziari

LA PROCURA – Verso il rito immediato per gli indagati ancora detenuti o ai domiciliari

MESTRE – Un sistema di “collette” per Galan

Dal memoriale del governatore e dal verbale della moglie spuntano almeno tre cordate di finanziatori

Non sapremo mai quanti furono gli imprenditori che hanno finanziato Giancarlo Galan impegnato nella campagna elettorale del 2005 per restare inquilino nel piano nobile di Palazzo Balbi. Ma di certo furono alcune decine, molti più di quelli che egli stesso ha indicato nel memoriale depositato nell’inchiesta per corruzione che lo vede implicato. In almeno tre casi, infatti, ci si trova di fronte a una “colletta” di imprenditori. Una persona di riferimento, in un determinato territorio, si faceva carico della raccolta, quindi faceva confluire la somma a Venezia, per le spese elettorali di Galan (manifesti, volantinaggio, viaggi, affitti di sale per dibattiti e comizi).
All’inizio del memoriale Galan si era detto dispiaciuto per avere accettato finanziamenti in nero, ma ne aveva addossato la responsabilità agli stessi generosi sostenitori, che temevano di schierarsi pubblicamente. L’ex governatore ha anche spiegato che l’impegno economico era davvero notevole, sostenendo che tutti i presidenti delle Regioni, in Italia, hanno simili scheletri nell’armadio.
Dalle ammissioni di Galan emergeva solo in parte l’esistenza di un sistema di finanziamento diffuso sul territorio. Ma la testimonianza della moglie Sandra Persegato, nell’interrogatroio di garanzia davanti ai difensori del marito, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, allarga l’orizzonte sul lavorio che avveniva dietro le quinte per raccogliere soldi.
Nel memoriale Galan ha dichiarato che Giacomo Archiutti detto “Carlo”, senatore trevigiano di Forza Italia, gli aveva versato 200 mila euro, frutto dei «contributi di vari suoi amici». L’interessato smentisce, ma la moglie inserisce anche il nome di un parlamentare di centrodestra, il senatore bellunese Walter De Rigo, deceduto nel 2009, titolare di un gruppo imprenditoriale che si occupa di refrigerazione, di una occhialeria, di costruzioni.
La signora Sandra ha poi sostenuto che anche il contributo di 5-10 mila euro (la cifra l’aveva fatta Galan) arrivato da Ermanno Angonese era frutto di una raccolta tra imprenditori. Angonese è l’ex sindaco di Mason Vicentino (dal 1975 al 1991), attuale direttore generale dell’Ulss 6 di Vicenza (ha avuto incarichi nelle Usl o aziende sanitarie di Bassano, Verona, Belluno, Alto Vicentino). È quindi perfettamente inserito nell’ambiente sanitario per il quale Galan, da presidente della Regione, ha avuto sempre un occhio di riguardo, visto che assorbe buona parte del bilancio dell’ente.
Non è finita qui. Dal verbale della moglie di Galan emerge una terza colletta. Si tratterebbe dei 200 mila euro che Piero Zannoni (che smentisce) avrebbe consegnato a Claudia Minutillo e non sarebbero mai arrivati al presidente. La moglie dice che Galan si aspettava qualcosa da lui (ma anche da Andrea Mevorach che alla Minutillo avrebbe dato 300 mila euro). Èpossibile che in altre occasioni da quei canali fossero arrivati altri soldi? Non si spiega altrimenti «l’amarezza di Giancarlo» quando non vide nulla. Ma non lo sapremo mai, perchè eventuali reati sono ormai prescritti.

Giuseppe Pietrobelli

 

Mazzette per lavorare, altre imprese nel mirino

La confessione di Pierluigi Alessandri potrebbe essere la prima di una lunga serie. L’ex presidente dell’impresa di costruzioni Sacaim ha tratteggiato, infatti, l’esistenza di un “sistema” basato sul pagamento di “mazzette” che non riguarda soltanto il Consorzio Venezia Nuova e le imprese impegnate nella realizzazione del Mose, oggetto della misura cautelare dello scorso 4 giugno. Un “sistema” in base al quale, per ottenere l’assegnazione di lavori finanziati dalla Regione Veneto, era necessario pagare i referenti politici, entrando così nella cerchia degli “imprenditori amici”: pagare l’allora presidente, Giancarlo Galan e l’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso.
Se la versione di Alessandri risulterà confermata dalle indagini della Guardia di Finanza, non è da escludere che sotto inchiesta possano finire presto numerose altre imprese che, nel corso degli anni, hanno lavorato a ripetizione per la Regione. Nell’interrogatorio dello scorso 30 luglio, Alessandri ha fatto i nomi delle società che erano solite aggiudicarsi gli appalti e sono in molti a non dormire sonni tranquilli. I contatti con gli studi legali sono frenetici ed è probabile che qualche imprenditore decida di presentarsi spontaneamente in Procura prima che siano le Fiamme Gialle a suonare al suo campanello.
I pm Stefano Ancilotto e Paola Tonini nel frattempo sono al lavoro per tirare le fila della prima tranche dell’inchiesta: l’intenzione è di chiedere il rito immediato per tutti gli indagati detenuti, in modo da poter arrivare a processo al più presto: gli episodi non ancora prescritti risalgono al 2010 e, dunque, si prescriveranno entro il 2017 o l’inizio del 2018. Insomma, sarà una corsa contro il tempo. La richiesta di rito immediato potrebbe riguardare Galan e il suo commercialista e prestanome, Paolo Venuti; Chisso e il suo segretario, Enzo Casarin; l’ex presidente del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva, […………………..], l’ex eurodeputata Lia Sartori e i due ex collabratori di Giovanni Mazzacurati (all’epoca presidente del Cvn), Luciano Neri e Federico Sutto.
La conferma della misura cautelare in carcere per Galan, seppure per una limitata parte degli episodi contestati (quelli precedenti al 22 luglio 2008 sono stati dichiarati coperti da prescrizione dal Tribunale del riesame) è considerata dalla Procura un passaggio decisivo, un primo importante riscontro della fondatezza dell’impianto accusatorio. Il secondo riscontro giunge dai molti che chiedono di patteggiare, accettando di versare somme di denaro consistenti: la coordinatrice del Mose, Maria Teresa Brotto (2 anni), il presidente del Coveco, Franco Morbiolo (1 anno), l’ideatore del meccanismo delle false fatturazioni della Mantovani, …………. (1 anno e 3 mesi), l’ex consigliere regionale del Pd, Giampietro Marchese (11 mesi), gli imprenditori Mario e Stefano Boscolo Bacheto della Cooperativa San Martino e Gianfranco Boscolo Condadin della Nuova Coedmar (2 anni) e l’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta. Dopo il parere favorevole della Procura spetterà al gip, il prossimo settembre, decidere se la pena da applicare sia congrua. Il patteggiamento concordato dall’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni per finanziamento illecito – 4 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa – è stato respinto lo scorso 28 giugno dal giudice perché la pena è stata ritenuta troppo mite.

 

Da Stra il presidente di “Difesa Civica” prepara un ricorso contro l’ex numero uno del Consorzio Venezia Nuova

Il nuovo collegio di formazione sociale «Difesa Civica», nato lo scorso 8 maggio 2014 in Riviera del Brenta, sta predisponendo un ricorso contro l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, per presentarlo alla Procura Regionale della Corte dei Conti.
«La scandalosa liquidazione di sette milioni di euro prevista a favore di Mazzacurati è uno scandalo. La “buona-uscita” che il Consorzio Venezia Nuova intende pagare al suo ex presidente, già indagato per delitti funzionali commessi nella veste di presidente, fanno nascere l’insopprimibile esigenza di “fare qualcosa”», afferma il portavoce di “Difesa civica”, Adone Doni. Per la neonata associazione, composta da persone che da anni combattono nel territorio a difesa delle ingiustizie sociali e a favore dell’Ambiente, la denuncia alla Corte dei Conti è d’obbligo. La sede legale di “Difesa Civica” è ubicata a Stra presso lo studio dell’avvocato Ivone Cacciavillani, decano degli avvocati amministrativisti del Veneto e presidente onorario dello stesso Consiglio direttivo dell’associazione veneta. Cacciavillani ha assunto il ruolo di presidente dell’associazione. Al suo fianco siedono Vincenzo D’Agostino, Cristina Borgato, Francesco Pancin e Adone Doni.
«Il nostro è un ricorso civico di azione popolare erariale – ha detto il presidente di “Difesa Civica”, Ivone Cacciavillani. Se venissero effettivamente pagati sette milioni di euro di buona-uscita all’ex presidente Giovanni Mazzacurati, sarebbe evidente il malgoverno del pubblico danaro da parte del Consorzio Venezia Nuova e un grosso danno erariale con l’uso di denaro pubblico, contrastante con le regole di buona amministrazione imposte dall’articolo 97 della Costituzione italiana. Chiediamo sia avviata una precisa indagine istruttoria sull’episodio».

 

Gazzettino – Galan deve restare in carcere

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

3

ago

2014

CASO MOSE L’ex padrone della villa di Cinto: «I soldi in nero li portava la moglie». Alessandri: «Diedi 30mila euro a Chisso»

Galan deve restare in carcere

Il Tribunale del riesame respinge anche la richiesta di arresti domiciliari. Prescritti i reati precedenti al 2008

DECISIONE – Respinto il ricorso dei difensori di Giancarlo Galan. Il tribunale della libertà: l’ex governatore del Veneto deve restare in carcere.

RIVELAZIONI – L’ex proprietario della villa di Cinto Euganeo: «Mi fu pagata in parte in nero, i soldi li portava la moglie di Galan». Nuova accusa dal costruttore Alessandri: «Tangente da 30mila euro a Chisso».

Il venditore: «Il costo reale fu di un milione e 800mila euro»

DIFENSORE – Franchini: «Sono sparite l’80 per cento delle accuse. Ora ci concentriamo sulle ipotesi rimanenti»

I GIUDICI DEL RIESAME – Confermata l’ordinanza di arresto per corruzione a carico dell’ex governatore

LA PRESCRIZIONE – Non più perseguibili tutti i reati che risalgono a prima del luglio 2008

Galan resta in carcere negati anche i domiciliari

Sarà una lunga estate in carcere per Giancarlo Galan. Il Tribunale del riesame di Venezia ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Alberto Scaramuzza, ritenendo che vi siano gravi indizi di colpevolezza a suo carico e che sussista il rischio di reiterazione di reati dello stesso tipo.
Il dispositivo dell’ordinanza è stato depositato poco dopo le 13 di ieri e subito notificato ai difensori dell’ex Doge del Veneto, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini: quest’ultimo era a Milano, nel carcere di Opera, a far visita al suo assistito.
Il collegio presieduto da Angelo Risi (a latere Daniela Defazio e Sonia Bello) ha rilevato l’avvenuta prescrizione di tutti gli episodi precedenti al 22 luglio 2008, per i quali a quella data (giorni di esecuzione della misura cautelare) era già trascorso il termine massimo di sei anni, oltre al quale non è più possibile perseguire i reati. Dunque l’ordinanza è stata annullata in relazione a tutte le dazioni antecedenti il 22 luglio 2008, e cioè i finanziamenti elettorali consegnati da Baita, i 200mila euro che sarebbero stati versati all’hotel Santa Chiara di Venezia, una parte dei finanziamenti per la ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, il versamento di 50mila euro avvenuto nel 2005 presso un conto corrente in una banca di San Marino.
L’ordinanza è stata invece confermata in relazione a tutte le altre accuse per le quali il tempo a dispsizione per definire l’eventuale processo sarà di 7 anni e mezzo (l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare costituisce, infatti, atto interruttivo e, di conseguenza, la prescrizione si allunga di un terzo). Le motivazioni saranno depositate verso la metà della prossima settimana.
Il Tribunale ha rigettato le altre eccezioni preliminari proposte dalla difesa e ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità Costituzionale avanzata con riferimento all’articolo 111 della Costituzione (il “giusto processo”) e all’articolo 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo, ovvero l’asserita incompatibilità di uno dei giudici che, in sede di Riesame, si è già pronunciato nelle scorse settimane sulle posizioni degli altri coindagati.
Di ritorno da Milano l’avvocato Franchini ha riferito di aver incontrato Galan e di averlo trovato «tranquillo, sereno e battagliero». Quanto all’ordinanza del Tribunale, il legale ha dichiarato che si sarebbe aspettato qualcosa di più, almeno la concessione dei domiciliari, ma per la difesa ci sono anche lati positivi: «Il processo viene molto ridimensionato attraverso la dichiarazione di prescrizione dell’80 per cento delle accuse: ora ci concentreremo sul rimanente», ha spiegato Franchini, domandandosi come il gip abbia potuto emettere un’ordinanza di custodia cautelare su episodi non più giudicabili. «Faremo ricorso per Cassazione: a nostro avviso tutti gli episodi contestati dall’aprile 2010 sono di competenza del Tribunale per i ministri; è lo stesso Mazzacurati a dichiarare che Galan fu pagato in qualità di ministro».
In merito ai reati non prescritti (gli “stipendi” di Mazzacurati della seconda metà 2008, del 2009 e 2010 e le quote della società Adria Infrastrutture), Franchini sostiene che nel merito Galan dimostrerà l’infondatezza delle accuse: «È lo stesso Baita a smentire Mazzacurati quando dichiara che non ci furono pagamenti sistematici, ma soltanto occasionali».
Il Riesame ha rigettato ieri anche il ricorso dell’imprenditore Andrea Rismondo, confermando per lui l’obbligo di dimora a Preganziol, e ha disposto la remissione in libertà dell’ex giudice della Corte dei Conti, Vittorio Giuseppone, ai domiciliari dal 4 giugno con l’accusa di corruzione per somme di denaro incassate per sveltire l’iter dei contratti del Consorzio Venezia Nuova. Gli indizi sono gravi, ma i giudici ritengono che non sussistano le esigenze cautelari, anche perché l’indagato è in pensione da tempo.

 

Mevorach: «Dice il falso, forse vuole vendicarsi»

«Non ho mai finanziato l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: la sua sembra la reazione di una persona disperata, forse mal consigliata. Oppure è una vendetta dovuta al fatto che non ho mai voluto versargli alcun contributo».
Lo ha dichiarato l’imprenditore veneziano Andrea Mevorach, chiamato in causa nel memoriale di Galan e indicato come uno degli imprenditori che finanziarono nel 2005 la sua campagna elettorale. Galan ha sostenuto che i soldi versati da Mevorach e dal bellunese Giampietro Zannoni (Finest) sarebbero stati trattenuti dall’allora segretaria Claudia Minutillo. Circostanza negata da Mevorach, il quale racconta che fu Galan a chiedergli soldi (richiesta da lui respinta). E negata da Zannoni che, davanti ai pm ha dichiarato di «non conoscere la signora Claudia Minutillo, di non averla mai incontrata e di non averle mai consegnato somme di denaro». Zannoni ha annunciato di «valutare ogni azione legale nei confronti dell’onorevole Galan».

 

«A Galan 115mila euro in tre rate e altri 100mila con i lavori in villa»

Il professionista: «In quel cantiere hanno lavorato 60-70 persone»

RIVELAZIONI Gli interrogatori del proprietario della dimora di Cinto Euganeo acquistata da Galan e dell’architetto che ha visionato imponenti lavori di restauro su una superficie di circa 1700 metri quadrati

«Villa pagata con un milione e 100mila euro in nero. Li portava la moglie»

VENEZIA – Per acquistare villa Rodella, a Cinto Euganeo, l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, avrebbe dichiarato il falso nell’atto di rogito davanti al notaio, attestando nel 2005 un prezzo di 700mila euro, mentre la somma effettivamente concordata per la compravendita era di un milione e 800mila euro.
A raccontarlo alla Guardia di Finanza è stato il precedente proprietario, il medico siciliano Salvatore Romano, il quale ha spiegato che il rimanente, un milione e 100mila euro, fu «corrisposto in contanti prima del rogito in varie tranches. I contanti ci sono stati consegnati da familiari di Galan Giancarlo presso l’abitazione dove vivo tutt’ora. Lui ancora non era sposato ma veniva a portare i soldi la sua attuale moglie, Persegato Sandra. Mi pare sia venuta in cinque o sei occasioni…»
Versione confermata dalla moglie, Maria Nunzia Piccolo, la quale ricorda ancora il notevole «dispendio di forze» messe in campo successivamente per i lavori di ristrutturazione.
In relazione ai lavori di ristrutturazione della villa, gli inquirenti hanno ascoltato numerosi testimoni. Diego Zanaica, socio di minoranza della società che si occupò dei lavori, la Archigest (di proprietà per il 60 per cento della Tecnostudio dell’architetto Danilo Turato), parla di lavori per 7-800mila euro. «Al momento della vendita l’immobile non era del tutto abitabile», ha precisato il dottor Romano, ricordando che davanti al notaio si presentò anche il commercialista di fiducia di Galan, Paolo Venuti, tutt’ora in carcere per concorso in corruzione. L’architetto Luca Ruffin, il professionista che per il medico siciliano aveva curato alcuni lavori prima della vendita, ha confermato che erano necessari molti lavori di restauro, per un importo considerevole, superiore a quello indicata da Zanaica: «Villa Rodella è un immobile di 1700 metri quadrati, con oltre 14mila metri di parco: il restauro più blando non poteva costare meno di 1000 euro al metro, anche perché l’immobile è stato venduto al grezzo».
Ruffin ha raccontato di aver visitato la villa nel 2006 a lavori conclusi e racconta di un impianto di videosorveglianza con telecamere a domotica del costo di almeno 30mila euro, nonché di una serie di finiture di grande pregio: bassorilievi con stucchi alla veneziana e lo studio di Galan rivestito totalmente in radica di noce «Per quanto ne so gli stuccatori che hanno lavorato a villa Rodella sono gli stessi che hanno lavorato a palazzo Ferro-Fini a Venezia (la sede del Consiglio regionale, ndr). Lo stesso anche per quanto attiene i tendaggi. E ancora «tappeti persiani per importi rilevanti e mobili di antiquariato». Degli impianti elettrici si occupò la Gemmo Impianti di Arcugnano. Nel cantiere di Cinto, ricorda l’architetto Ruffin, operarono per un anno «60-70 persone che per mesi hanno lavorato solo in quel cantiere. Tutti in paese ricordano la fila delle macchine degli operai parcheggiate lungo le strade…»
L’architetto ricorda anche la faraonica festa di matrimonio per i 50 anni del Doge del Veneto, il 10 settembre del 2006, nella villa appena restaurata. «Tra i regali vi era un trattore Carraro da 30mila euro ed una serie di oggetti da svariate migliaia di euro: ogni presente per partecipare doveva scegliere un regalo. Io personalmente ho preso uno dei meno costosi, spendendo 350 euro…». (gla)

Galan «aveva un peso incredibile, insomma non si muoveva foglia…». Stefano Tomarelli, manager nel direttivo del Cvn per conto della società Condotte, ha parlato del ruolo e degli interventi dell’allora presidente della Regione in alcune pratiche relative al Mose. In particolare per quanto riguarda l’iter autorizzativo dei “cassoni” di alloggiamento delle paratoie. Nell’interrogatorio sostenuto il 25 giugno, Tomarelli parla di un rapporto privilegiato di Galan con Mazzacurati e Baita. E ha ricordato una cerimonia all’Arsenale in cui Galan «fece uno sproloquio della bravura dell’ingegner Baita… che ci rimase a bocca aperta».

 

Tomarelli: «Quell’elogio per Baita…»

PROVE D’ACCUSA – Le dichiarazioni inedite del costruttore veneziano entrate nell’istruttoria

I VERBALI Pierluigi Alessandri, ex presidente Sacaim «Diedi 30mila euro a Chisso li prese come cosa dovuta»

«Mi fu detto dal governatore di essere “generoso” come ero stato con lui per avere appalti, ma poi dalla Regione ho ricevuto solo poche briciole»

VENEZIA – (gla) Pagare il presidente della Regione non fu sufficiente per poter essere ammesso nella “cerchia degli imprenditori amici”. L’ex presidente della Sacaim, Pierluigi Alessandri, ha raccontato di essere stato costretto a versare una “mazzetta” anche a Renato Chisso: 30mila euro, a lui consegnati personalmente nel febbraio del 2010, all’hotel Laguna Palace di Mestre, dopo una serie di incontri nel corso dei quali l’assessore alle Infrastrutture aveva sollecitato i pagamenti.
Il nuovo episodio di presunta corruzione – recente e non coperto da prescrizione – è stato messo a verbale mercoledì mattina dall’imprenditore, originario di Padova, ora residente a Venezia, nel corso di un interrogatorio avvenuto in Procura, di fronte al sostituto procuratore Stefano Ancilotto. «Chisso prese il denaro come fosse una cosa dovuta», ha dichiarato l’ex presidente di Sacaim, precisando che l’accreditamento presso Galan era condizione necessaria per poter lavorare, ma non sempre sufficiente, in quanto nei settori di stretta competenza dell’assessore Chisso era comunque necessario “accreditarsi” ulteriormente con dazioni di denaro a quest’ultimo».
Alessandri ha spiegato che fu Galan a metterlo in contatto con Chisso, consigliandolo «di tenere condotta analoga a quella avuta con lui, cioè di mostrarmi “generoso” nelle elargizioni al fine di poter godere di un trattamento di favore nell’assegnazione dei lavori pubblici».
Alessandri ha raccontato che, fino a quel momento, aveva avuto difficoltà con l’assessore alle Infrastrutture che «tirava sempre fuori delle scuse…», facendogli capire che «Baita osteggiava la mia impresa… e Chisso era molto sensibile alle indicazioni di Baita».
Dopo il pagamento della “mazzetta”, comunque, le cose non sarebbero cambiate di molto: «Alla fine a Sacaim sono arrivate solo le “briciole” degli appalti finanziati dalla Regione», ha dichiarato Alessandri, ricordando che, ad esempio, Sacaim fu esclusa dal primo lotto dell’autostrada Venezia-Trieste. Con lui Chisso «tentennò e temporreggiò, ma mi fece capire che non c’erano spazi di manovra…». L’associazione temporanea di imprese che si aggiudicò i lavori «era composta da Impregilo, Carron, Coveco e Mantovani».
Quanto a Galan, Alessandri ha dichiarato di avergli versato 115mila euro in più rate: 50mila nel maggio-giugno del 2006, 15mila nel dicembre 2006, 50mila all’inizio del 2007. Soldi consegnati nella villa di Cinto Euganeo e in parte a casa della figlia di Alessandri, a Monticelli di Monselice, «dove Galan passava ogni tanto a salutare». Ad effettuare le consegne sarebbe stata l’ignara figlia di Alessandri, all’interno di buste chiuse: «Il Galan poi mi ringraziò delle somme ricevute».
Successivamente si occupò di alcuni lavori di restauro della villa di Cinto Euganeo dell’ex Governatore, per circa 100mila euro: «A fronte di tali lavori, solo formalmente, è stata emessa una modesta fattura per 25mila euro, che ovviamente non è stata pagata», ha spiegato l’ex presidente della Sacaim, precisando che successivamente, quando la società finì in amministrazione straordinaria, fu mandato un «generico sollecito il cui unico scopo era quello di cautelarsi nei confronti dei commissari».
I lavori terminarono nel 2009 e la fattura fittizia fu emessa nel 2010 dalla Sacaim alla società Archigest dell’architetto Danilo Turato, il professionista che si occupò dei restauri per conto di Galan. Quella fattura serviva a «giustificare la presenza del personale e i costi di materiale e trasporto in caso di controlli», ha precisato Alessandri.
«Tali somme e tali favori sono stati da me corrisposti a Galan in virtù del suo ruolo di Governatore della Regione Veneto e per avere la possibilità di entrare nella schiera di imprenditori “amici” che potevano fruire di trattamenti particolari nell’assegnazione dei lavori».

 

SCANDALO MOSE – L’ex governatore sosteneva che nel 2005 il costruttore versò 300mila euro, trattenuti dalla Minutillo

«Galan mi disse: devi pagare»

Parla l’imprenditore mestrino Mevorach: «Chiedevo di lavorare per la Regione, ma non ho dato un centesimo»

VENDETTA «Prese male il mio rifiuto, “non finisce qui” mi disse»

IL SISTEMA «C’erano voci su come funzionava ma la mia sorpresa fu enorme»

«Non c’entro. Perchè Galan dice che gli ho dato soldi in nero? Forse si sta vendicando proprio perchè gli ho detto di no e non gli ho dato un centesimo.» L’imprenditore veneziano Andrea Mevorach rompe il silenzio. I magistrati che indagano sul “sistema Mose” lo hanno ascoltato in qualità di persona informata sui fatti lo scorso 29 luglio, tre giorni dopo l’avvenuto deposito del memoriale nel quale Galan ha sostenuto di aver ricevuto da lui 300mila euro nel 2005 (e cospicui finanziamenti elettorali da altri imprenditori nello stesso periodo), ma che quei soldi se li era trattenuti la segretaria di allora, Claudia Minutillo. Dopo l’audizione avvenuta in Procura, a Mevorach era stato imposto il silenzio fino all’udienza davanti al Tribunale del riesame: ora finalmente può replicare, negando di aver mai finanziato Galan.

 

IL COINVOLGIMENTO – L’imprenditore è stato citato nel memoriale dell’ex governatore

IL RUOLO – Secondo l’ex ministro avrebbe pagato 300mila euro nel 2005

L’INCONTRO A ROVIGNO «Mi apostrofò proprio perchè mi ero rifiutato di versargli il denaro»

IMPRENDITORE – Andrea Mevorach, imprenditore veneziano, citato da Galan nel suo memoriale difensiovo come uno dei grandi finanziatori dell’ex governatore

Mevorach: «Io, vittima di Galan»

«Gli chiesi se potevo lavorare per la Regione, mi rispose che dovevo pagare. E mi chiuse le porte»

«Non c’entro davvero nulla, come ha accertato la stessa Procura. Non ho mai finanziato l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: la sua sembra la reazione di una persona disperata, forse mal consigliata. Oppure è una vendetta dovuta al fatto che non ho mai voluto versargli alcun contributo».
L’imprenditore veneziano Andrea Mevorach può finalmente parlare. I magistrati che indagano sul cosidetto “sistema Mose” lo hanno ascoltato in qualità di persona informata sui fatti lo scorso 29 luglio, tre giorni dopo l’avvenuto deposito del memoriale nel quale Galan ha sostenuto di aver ricevuto da lui 300mila euro nel 2005 (e cospicui finanziamenti elettorali da altri imprenditori nello stesso periodo), ma che quei soldi se li era trattenuti la segretaria di allora, Claudia Minutillo, cercando in tal modo di screditare le dichiarazioni accusatorie della donna. Dopo l’audizione avvenuta in Procura, a Mevorach era stato imposto il silenzio fino all’udienza davanti al Tribunale del riesame: ora finalmente può replicare, negando di aver mai finanziato Galan, così come hanno fatto anche gli altri imprenditori citati dall’ex Governatore del Veneto.
Si aspettava queste dichiarazioni di Galan?
«Non me lo sarei mai aspettato di essere tirato in ballo in questo modo – spiega Mevorach – Galan lo conosco bene e per un certo periodo abbiamo avuto rapporti di cordialità, che si sono rotti tra il 2006 e il 2007: in occasione di un incontro conviviale gli avevo chiesto se potessi lavorare anche per la Regione e lui mi rispose che avrei dovuto pagare, mettendomi d’accordo con l’assessore Chisso. Io rifiutai e da allora non ho più avuto rapporti con lui. Alla fine di quell’incontro Galan mi disse che non si sarebbe dimenticato del mio rifiuto: “Non finisce qui”, mi annunciò…»
Fino a quel momento non le era mai stato chiesto di pagare per lavorare?
«Nell’ambiente veneziano c’erano da sempre voci sul “sistema Mose”, ma di fronte alla richiesta di Galan la mia sorpresa fu enorme. Ne seguì un forte scontro e abbiamo rotto i rapporti: per la Regione non ho mai lavorato. Le porte mi si sono chiuse definitivamente».
Perché non ha denunciato il fatto?
«Non sono un baruffante, e poi sono una semplice briciola in un sistema ben più grande… Dunque ho lasciato stare».
La difesa di Galan sostiene di avere testimoni in grado di confermare che Lei ha finanziato Galan versando i soldi alla Minutillo.
«Impossibile! Non ci sono testimoni, a meno che non trovino qualcuno del suo enturage, testimoni artificiosi, come è accaduto con le “olgettine”…»
Ha intenzione di denunciare Galan per calunnia?
«Come dicevo non sono un baruffante… Non ho intenzione di fare denunce, anche se questa storia per me è stata una tegola spaventosa: spero soltanto di uscirne il prima possibile».

«Non ho mai versato a Galan o alla sua segretaria o ad altre persone a lui riconducibili contributi per campagne elettorali o somme ad altro titolo. Preciso anzi che il Galan mi aveva chiesto in più occasioni di corrispondergli somme di denaro, ma io non ho aderito a tali richieste e, in ragione di ciò, il Galan in più occasioni mi ha apostrofato in modo poco simpatico».
Si apre così il verbale sottoscritto da Andrea Mevorach, di fronte al pm Stefano Ancilotto e due militari della Guardia di Finanza. L’mprenditore veneziano definisce «assolutamente falsa e fantasiosa» la versione fornita da Galan nel memoriale depositato agli inquirenti, secondo la quale Mevorach si era lamentato con lui sostenendo di non essere stato ringraziato per un contributo di 300mila euro versato alla Minutillo nel 2005: «Ribadisco che non ho mai consegnato somme di denaro a Claudia Minutillo e non ho mai raccontato al Galan di averglieli consegnati – ha precisato l’imprenditore – Non ho mai corrisposto finanziamenti, nemmeno leciti, ad alcun partito politico o a suoi esponenti».
Mevorach ha riferito, al contrario, che sarebbe stato Galan a chiedergli di pagare, nel corso di un incontro avvenuto a Rovigno, in Croazia, all’inizio dell’estate del 2006 o 2007. L’imprenditore racconta che, in quell’occasione gli aveva proposto di sviluppare un immobile di importanza strategia per la Regione: «Galan mi rispose affermatvamente, ma precisandomi che prima avrei dovuto “mettermi d’accordo” con l’assessore Renato Chisso. Gli chiesi cosa intendesse con quella frase e lui mi rispose: “Non fare il furbo, sai bene di cosa parlo, la politica va aiutata”. A distanza di molti anni non posso ancora dimenticare le sue esatte parole: gli risposi che non era il mio modo di concepire e fare l’imprenditore, mandandolo a quel paese».

(gla)

 

IL BLITZ – Il 4 giugno alle 4 34 persone agli arresti tra queste il sindaco

LE CONSEGUENZE Cade la Giunta e viene nominato un commissario

CHISSO – Assessore regionale, presto destituito, è ancora in carcere

Quella retata storica che ha decapitato Venezia

MOSE – Le indagini della magistratura veneziana colpiscono sia tra gli uomini di destra che di sinistra

DUE MESI FA – La grande retata che decapitò Venezia

ORSONI – Per lui arrivano i domiciliari e subito dopo la perdita della carica

di Monica Andolfatto e Maurizio Dianese

Sono passati due mesi da quel 4 giugno che ha cambiato la storia recente di Venezia portando alla luce un fiume in piena di denaro pubblico che è stato utilizzato per corrompere mezzo Veneto. Così il Mose dal 4 giugno non è più sinonimo di dighe mobili che salvano Venezia dall’acqua alta e diventa invece il nome-simbolo del malaffare e della corruzione. Alle 4 del mattino scatta il blitz della Guardia di Finanza che ammanetta 34 persone. Fra gli arrestati il nome che fa il giro del mondo è quello del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Sono solo arresti domiciliari e solo per finanziamento illecito ai partiti, ma si tratta di un terremoto per la vita della città. L’arresto di Orsoni infatti porterà in pochissimo tempo alla caduta della Giunta e alla nomina di un Commissario straordinario.

LA CADUTA DEGLI DEI

Anche in Regione succede il finimondo perché la Procura veneziana chiede l’arresto di Giancarlo Galan, deputato ed ex Ministro della Repubblica dopo essere stato per 15 anni Governatore del Veneto. E’ uno degli uomini più potenti del Nord Est ed è accusato di aver percepito dal Consorzio Venezia Nuova uno stipendio annuale di un milione di euro, più benefit di ogni tipo, dalla ristrutturazione di Villa Rodella alla partecipazione societaria occulta in una ditta della Mantovani. Per non finire dietro le sbarre Galan si giocherà tutte le carte possibili e immaginabili, soprattutto a colpi di certificati medici, ma non c’è niente da fare, il 22 luglio, dopo che il Parlamento ha detto sì al suo arresto, anche per lui si aprono le porte del carcere di Opera, a Milano. Il 4 giugno invece erano già finiti in carcere l’assessore alle Infrastrutture Renato Chisso e il suo segretario Enzo Casarin. Anche il Consorzio Venezia Nuova viene decapitato con l’arresto di Maria Brotto che con Giovanni Mazzacurati dentro il Consorzio decideva di tutto e di più. In manette anche Federico Sutto e Luciano Neri che per anni hanno fatto da “postini” portando le mazzette una volta al Presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta (arrestato), un’altra al Consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese (arrestato).

DESTRA E SINISTRA

Sì perché questo scandalo è ecumenico e comprende tutti, destra e sinistra, a cominciare dalle cooperative rosse che per anni hanno sgomitato per sedere al tavolo del Consorzio. Nell’ordinanza del Giudice Alberto Scaramuzza, che dà il via agli arresti, c’è anche il nome di Marco Milanese, braccio destro dell’ex Ministro Giulio Tremonti. Tremonti non è l’unico ministro della Repubblica che compare nelle carte della Procura, ci sono anche Altero Matteoli e Pietro Lunardi. Ma della tranche romana la Procura veneziana si disferà rapidamente – così come dello “scampolo” milanese legato all’Expo 2015 – anche perché quel che resta a Venezia basta e avanza per dar lavoro ad un esercito di avvocati e a mezza Procura veneziana.

LA “CRICCA”

Pensare che tutto era iniziato da una “inchiestina” grazie alla quale si era accertato che gli appalti gestiti dalla Provincia di Venezia erano “pilotati”. Un paio di dirigenti dell’Ufficio tecnico della Provincia erano finiti in manette. Niente di che. L’inchiesta poteva finire lì e invece uno dei p.m. dell’inchiesta Mose, Stefano Ancilotto – che sarà poi affiancato da Paola Tonini e Stefano Buccini – trova il filo rosso che collega la cosiddetta “cricca” in Provincia, ovvero la banda degli appalti, con Lino Brentan, l’amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova. Lino Brentan e i suoi appalti autostradali portano alla Mantovani e a Piergiorgio Baita e Baita porta al Consorzio Venezia Nuova e al mega scandalo Mose. Con contorno di funzionari statali corrotti, a cominciare da un generale della Finanza per finire con poliziotti, agenti dei servizi segreti, presidenti del magistrato alle acque, giudici di Corte dei conti e di Tribunale.

LEGGE CRIMINOGENA

Il saccheggio di soldi pubblici è durato anni, utilizzando vari sistemi. Il primo, legale: il Consorzio Venezia Nuova ha diritto al 12 per cento sull’ammontare dell’opera. Si chiamano “oneri di concessione”. Finora per il Mose lo Stato ha speso 6 miliardi di euro, il 12 per cento di quei 6 miliardi è del Consorzio. Sono quattrini garantiti dalla Legge speciale per Venezia, che il presidente dell’autorità per la lotta alla corruzione, Raffaele Cantone, chiama “legge criminogena” perché affida a privati la gestione dei soldi pubblici. Da questa legge criminogena nasce anche il sistema delle tangenti. Ma non ci sono solo le mazzette, ci sono anche le “liberalità”, che sono un modo per “comprarsi” comunque chi conta, anche se non lo si corrompe. Le mazzette, secondo i conti fatti da Piergiorgio Baita ammontano ad una decina di milioni di euro l’anno, le liberalità e cioè le sponsorizzazioni a squadre di calcio e conventi, a registi e fondazioni più o meno benefiche, ammontano a 80 milioni di euro l’anno. Il totale è 100 milioni all’anno per 10 anni. Un miliardo. Un Mississippi di denaro che affonda Venezia nella vergogna della “corruzione sistemica” come l’ha chiamata Piergiorgio Baita. E adesso, dopo 2 mesi dal blitz del 4 giugno? La stragrande maggioranza degli arrestati ha ammesso e sta patteggiando la pena. In carcere restano solo Renato Chisso, Giancarlo Galan, Enzo Casarin, il generale della Finanza Emilio Spaziante, Marco Milanese, [……………….], Paolo Venuti e Gino Chiarini. Ma non finisce qui.

Monica Andolfatto – Maurizio Dianese

 

EX CONSIGLIERI COMUNALI . Renzo Scarpa: «Assordante silenzio degli ex assessori»

Caccia e Bettin: «Soldi dal Consorzio»

«Ci sarebbero 75 milioni recuperabili per le casse del Comune dai “superguadgni” del Consorzio Venezia Nuova». È quanto affermano Gianfranco Bettin e Beppe Caccia (In Comune) nella lettera inviata ieri al commissario Vittorio Zappalorto e al premier Matteo Renzi. Bettin e Caccia sottolineano che, nonostante quanto emerso dalle inchieste della Magistratura, «il Consorzio Venezia Nuova continua a vedersi riconosciuta una quota del 12 per cento per “spese generali di gestione” su ogni cifra stanziata dallo Stato per le opere di salvaguardia della Laguna. E questo quando ad analoghe figure di “general contractor” lo Stato concede abitualmente percentuali, già discutibili e discusse, non superiori al 6».
«In questo momento – scrivono – ci sono in ballo oltre 1.250 milioni di euro, stanziati dal Cipe per il completamento delle dighe mobili alle bocche di porto. Con un “semplice e immediato provvedimento del Governo si potrebbe ridimensionare il compenso del Consorzio e ottenere la disponibilità di almeno 75 milioni di euro, utili per sanare il bilancio comunale per l’anno corrente e per accantonare un avanzo positivo per affrontare le spese del 2015».
Ma c’è anche un altro ex consigliere comunale che interviene sulla situazione del Comune. Renzo Scarpa parla infatti di «assordante e sconvolgente silenzio dei partiti e degli uomini della coalizione che (non) ha “amministrato” il Comune di Venezia in questi ultimi quattro anni».
«Perché – si chiede Scarpa – non parlano i vari Orsoni, Simionato, Bergamo, Agostini, Filippini, Maggioni, Bettin, Ferrazzi, Farinea, Ghetti, Vettese, Panciera, Rey? Dove sono andati a finire PD, UDC, PSI, Movimento Federalisti e Riformisti, Federazione della Sinistra, In Comune? Quelli che dicevano “state sereni”. Quelli che giuravano che la situazione era sotto controllo e che non c’era da preoccuparsi? Quelli che erano sempre sulle prime pagine dei giornali a rivendicare ruoli e meriti e a dire che erano gli altri a sbagliare con le loro continue richieste di moralità e contenimento delle spese?».
«Assumersi le proprie responsabilità, comunque ed in ogni caso, dovrebbe far parte dell’etica della politica e dell’onestà intellettuale doverosa nei confronti della propria città», conclude Scarpa.

 

chisso_galan

Nella foto Giancarlo Galan (ex governatore Veneto) e Renato Chisso (ex assessore nella giunta Zaia): due dei principali fautori dell’autostrada Orte-Mestre (Romea Commerciale), un mostro mangia-soldi e devastante per l’ambiente e i territori. Entrambi sono attualmente in carcere.

 

Comunicato Stampa Opzione Zero 02/08/2014

La Corte dei Conti blocca la Orte-Mestre: soddisfazione da Opzione Zero e dalla rete Nazionale Stop Or-Me, ma è presto per cantare vittoria.

Il decreto Sblocca Italia voluto dal Governo delle losche intese guidato da Renzi continua a spingere sulle “grandi opere” compresa la Orte-Mestre.

Le inchieste MOSE e EXPO dimostrano come le “grandi opere” costituiscano la vera linfa vitale per le cricche del cemento e per le mafie di tutto il Paese. I Partiti che governano e che vogliono le grandi opere sono coinvolti in pieno.

I Comitati della rete Nazionale Stop Orte-Mestre si danno appuntamento al 20-21 settembre per una giornata di mobilitazione in contemporanea su tutti i territori attraversati: obiettivo lo stralcio definitivo dell’intero progetto.

———————————————

Opzione Zero, il comitato rivierasco che da più di dieci anni si batte contro la famigerata “Romea Commerciale”, esprime grande soddisfazione per l’ennesima battuta d’arresto subita dal progetto Orte-Mestre, ma non canta vittoria.

Il rilievo della Corte dei Conti riguarda in particolare l’impossibilità, stante la normativa attuale, di utilizzare gli 1,8 miliardi di euro di defiscalizzazioni previste nel Piano Finanziario della Orte-Mestre. Inoltre nel medesimo Piano Finanziario si fa riferimento all’utilizzo indebito di un surplus aggiuntivo di remunerazione del capitale investito da parte dei privati. Tanto basta per bloccare la Delibera CIPE di approvazione del progetto preliminare e quindi anche la gara per la progettazione definitiva e l’assegnazione di appalti e concessione. I tempi dunque si allungano e questo è un bel vantaggio un vantaggio per i comitati e le associazioni che osteggiano l’opera.

Ma per Opzione Zero preoccupanti sono due aspetti: prima di tutto la disinvoltura con la quale il CIPE ha varato la delibera senza che ci fossero i presupposti necessari, la dimostrazione di come la “politica”, non curante di quanto sta emergendo dalle inchieste su MOSE e su EXPO, continui a forzare perfino le normative nazionali pur di agevolare i “grandi affari”.

In secondo luogo il fatto che la stessa Corte dei Conti, dopo aver denunciato pubblicamente i rischi legati al Project Financing, si sia limitata ad una pura analisi formale e procedurale della documentazione senza mettere in evidenza il vero problema e cioè l’insostenibilità dell’intero Piano Finanziario. Infatti i flussi di traffico previsti dagli stessi proponenti sono talmente bassi che le tariffe proposte andrebbero a superare di gran lunga quelle del Passante, già oggi le più care in Europa. Ed è chiaro che più care sono le tariffe e più cittadini e trasportatori si riverseranno sulle strade normali rendendo impossibile il rientro del capitale investito. A quel punto, con il solito sistema truffa del project financing, sarà lo Stato ad dover intervenire con ulteriori risorse. Esattamente quello che sta accadendo oggi per il Passante, un’opera dai costi e dalle dimensioni nemmeno paragonabili con la Orte-Mestre.

Il dato vero è che questa nuova autostrada, oltre che anacronistica, risulta del tutto insostenibile e distruttiva da qualsiasi punto di vista. La Orte-Mestre è stata pensata e voluta perché è una macchina mangia soldi come e più del MOSE. Del resto proprio dalle indagini sul MOSE, (dichiarazioni di Claudia Minutillo), emerge in modo inequivocabile come la nuova autostrada Orte-Mestre, del costo di almeno 10 miliardi di euro, fosse in cima agli interessi della cricca veneta del cemento così come di quella genovese legata a Bonsignore e di quella legata alle Coop Emiliane. Se a questo si aggiunge che la banca finanziatrice della cordata proponente, è la CARIGE ora da pochi mesi al centro di un pesante scandalo per truffa, allora nessuno dovrebbe avere più alcun dubbio sulle insidie che si nascondono dietro a questa mega opera.

Eppure il Presidente Renzi continua a sponsorizzare la Orte-Mestre come una delle grandi opere strategiche, tanto da inserirla nel decreto Sblocca Italia; ad unirsi uniscono al coro ci sono pure i Presidenti delle regioni interessate, Luca Zaia in testa. E’ solo un caso? Oppure l’evidenza che la politica della larghe intese non ha nessuna intenzione di sradicare quei meccanismi che stanno alla base di tutto il marciume messo in luce dalle inchieste della magistratura?

Quello che emerge in Veneto, come in Lombardia, come in tante altre parti d’Italia, è che proprio le “Grandi Opere” pubbliche, gestite attraverso la Legge Obiettivo, i Commissari straordinari, il project financing, l’affidamento in concessione, sono state il mezzo, il terreno di coltura per costruire e alimentare vere e proprie cricche malavitose che coinvolgono in pieno anche i partiti.

Ed è chiaro dunque che visti gli interessi in gioco non basteranno la Procure o le Corti dei Conti per abbattere né la Orte-Mestre, nè le altre decine di grandi opere inutili e dannose. E’ necessario uno scatto da parte dei comitati e dei cittadini per porre definitivamente fine a questo sistema.

Dunque per Opzione Zero e per tutto il variegato arcipelago di organizzazioni che costituisce la Rete Nazionale Stop Orte-Mestre, la mobilitazione per chiedere lo stralcio del progetto continua più forte di prima. L’appuntamento è per il 20 e 21 settembre prossimi per due giornate di mobilitazione in contemporanea su tutti i territori attraversati dalla nuova autostrada.

 

Nuova Venezia – “Io ho pagato Galan per poter lavorare”

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

2

ago

2014

Mose, altre accuse per Galan

Alessandri (Sacaim): «Ho pagato il Governatore per lavorare»

Nuove accuse per Giancarlo Galan. I pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto hanno depositato davanti al Riesame la testimonianza

Pierluigi Alessandri (Sacaim): «Ho pagato Galan per poter lavorare».

«Io ho pagato Galan per poter lavorare»

Alessandri già titolare di Sacaim smonta la difesa dell’ex governatore

E villa Rodella costò un milione e 800mila euro, metà dei quali in nero

VENEZIA – Aveva in azienda la Guardia di finanza per una verifica fiscale e si è deciso a parlare l’imprenditore veneziano Pierluigi Alessandri, anche perché le «fiamme gialle » c’erano arrivate e gli chiedevano insistentemente di quei 215 mila euro. Alessandri, allora, era ancora l’amministratore delegato della Sacaim, una delle maggiori imprese edili veneziane ora acquisita dalla friulana De Eccher dopo una crisi che l’aveva portata sull’orlo del fallimento, evitato grazie all’amministrazione straordinaria. Ieri, davanti ai giudici del Tribunale del riesame presieduti da Angelo Risi i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Paola Tonini hanno depositato lo stralcio di un verbale di Alessandri in cui racconta di aver consegnato 115 mila euro in contanti a Giancarlo Galan su sua richiesta e di aver compiuto lavori nella sua villa di Cinto Euganeo per altri 100 mila senza essere mai stato pagato. Nulla a che fare con il Mose e con il Consorzio Venezia Nuova e in apparenza con questa inchiesta, ma una conferma che il parlamentare di Forza Italia rinchiuso nel carcere milanese di Opera era solito richiedere mazzette e contributi, anche se per ora ha ammesso soltanto quelli elettorali. Per quei 215 mila euro anche Alessandri è finito nel guai, è infatti indagato per corruzione. Del resto Baita aveva già parlato della Sacaim in uno dei suoi interrogatori, affermando che in più di un’occasione Galan aveva chiesto a lui di inserire l’impresa veneziana in alcuni appalti. Alessandri ha riferito ai pubblici ministeri che era andato da Galan proprio per questo, per chiedere di lavorare perché l’impresa era in crisi e gli appalti concessi dal Comune non bastavano. Ha ripetuto che allora Galan gli disse che doveva entrare nella cerchia degli amici e gli fece capire che il sistema era quello di pagare. I fatti sarebbero avvenuti prima del 2009. I rappresentanti della Procura, per supportare la loro tesi, quella che Galan debba restare in carcere perché c’è il rischio che possa inquinare le prove, del resto è ancora ben inserito nel suo partito ed è ancora un membro della Camera dei deputati, hanno depositato anche alcuni stralci dell’interrogatorio di un altro imprenditore veneziano, Andrea Mevorach, un nome che non era ancora entrato nell’inchiesta sul Mose ma che prepotentemente si è affacciato proprio grazie al memoriale scritto di suo pugno da Galan. L’ex presidente della giunta veneta ha sostenuto, per inficiare la testimonianza della sua ex segretaria Claudia Minutillo, che quest’ultima si sarebbe trattenuto ben 300 mila euro che Mevorach, durante la campagna elettorale per le Regionali del 2005, aveva versato a suo favore. La prima domanda che i pubblici ministeri hanno avanzato nei giorni scorsi all’imprenditore veneziano è stata se mai aveva contribuito in qualche modo alle campagne elettorali di Galan. La risposta non solo è stata negativa, ma ha anche spiegato che non aveva motivo di foraggiare il governatore veneto, visto che lui non aveva alcun interesse in Regione, non aveva lavori da svolgere o da chiedere in cambio. Però, ha raccontato che almeno in un’occasione era stato avvicinato da Galan che lo aveva apostrofato malamente, utilizzando il luogo comune che indica gli ebrei come avari, chiedendogli contributi, visto che non ne aveva mai versati a suo favore. La terza testimonianza importate consegnata ieri ai giudici del Riesame è quella del medico di origine siciliana che da anni vive nel Padovano, il quale ha svelato finalmente quanto è costata villa Rodella a Galan. Il professionista l’aveva acquistata durante un’asta fallimentare, l’ennesima dopo che altre erano andate deserte, e l’ex ministro dell’Agricoltura e dei Beni culturali ha sempre sostenuto di averla pagata poco meno di un milione di euro. Ora il medico di origine siciliana riferisce di aver incassato ben un milione e ottocentomila euro complessivamente, di cui 700 mila dichiarate e, dunque, in bianco, un altro milione e 100 mila in contanti e in nero dalle mani di Galan. Anche questa circostanza non ha a che fare direttamente con le tangenti per il Mose, ma dimostra che l’indagato aveva grande disponibilità di danaro liquido che, presumibilmente, gli veniva da conti correnti in banche estere. Soldi che nel suo memoriale nega di aver mai posseduto, ma che Mazzacurati sostiene di avergli consegnato in contanti. I rappresentanti dell’accusa hanno depositato anche un’intercettazione di un colloquio tra Giovanni Mazzacurati e la sua segretaria, durante la quale l’anziano ingegnere spiega alla collaboratrice più stretta che il Consorzio dovrà sponsorizzare un convegno organizzato dalla Banca degli occhi di Mestre, di cui Mazzacurati allora era presidente, organizzato da Alessandro Galan, fratello di Giancarlo e primario oculista all’ospedale Sant’Antonio di Padova, lo stesso nosocomio dove l’indagato si è fatto visitare per la frattura al malleolo prima di finire a Este. Mazzacurati spiega alla segretaria che il Consorzio, sostenuto da finanziamenti pubblici, avrebbe dovuto impegnare 20 mila euro per il convegno medico, il doppio dei 10 mila consegnato l’anno precedente per la stessa iniziativa. E, rimanendo su Mazzacurati, i pubblici ministeri hanno depositato anche uno stralcio di un suo interrogatorio, durante il quale racconta di aver partecipato alla festa di nozze di Galan e di aver regalato un servizio di bicchieri di Murano, spendendo 12 mila 500 euro, naturalmente non di tasca sua, ma provenienti dai fondi del Consorzio Venezia Nuova. Infine, ci sono le affermazione di Stefano Tomarelli, imprenditore romano e uno degli amministratori dell’impresa «Condotte d’acqua ». Ai pubblici ministeri ha riferito che durante un colloquio con Mazzacurati, che riguardava i cassoni da affondare alle bocche di porto della laguna per il Mose, l’ingegnere gli avrebbe riferito di aver consegnato una notevole somma di danaro a Galan poco prima.

Giorgio Cecchetti

 

Chi ancora in carcere, chi pronto al patteggiamento

VENEZIA – Nel carcere di Opera c’è l’ex ministro Giancarlo Galan, in quello di Pisa l’ex assessore Renato Chisso. Al Marassi di Genova c’è il commercialista padovano Paolo Venuti, nel carcere di Pistoia il capo della segreteria particolare di Chisso Enzo Casarin, a Santa Maria Capua a Vetere il generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, a Milano l’ex parlamentare Marco Mario Milanese. A due mesi dalla grande retata con cui è stato decapitato il sistema Mose le posizioni dei diversi indagati sono differenziate. A chi è rimasto in carcere sono andati male i ricorsi al Tribunale del Riesame (per Galan la decisione è attesa per oggi). Alcuni degli imputati invece hanno preferito uscire dall’inchiesta patteggiando una pena. Tra questi i principali sono: Maria Teresa Brotto, direttore tecnico del Consorzio Venezia Nuova, che ha stabilito un patteggiamento pari a due anni e alla restituzione di 600 mila euro. L’ex consigliere regionale del Partito Democratico Giampiero Marchese (accusato di illecito finanziamento) ha concordato una pena pari a 11 mesi di reclusione. L’imprenditore chioggiotto Stefano Boscolo Bacheto, titolare della «San Martino», ha patteggiato due anni e 700 mila euro di restituzione all’Erario. L’imprenditore Gianfranco Boscolo Contadin, titolare della «Co. Ed.Mar.», due anni e 800 mila (entrambi sono accusati di corruzione e reati fiscali). Franco Morbiolo, presidente del Consorzio Coveco, ha concordato un patteggiamento di un anno e la restituzione di 19 mila euro. Patteggiamento in vista anche per l’imprenditore svizzero: un anno. Aveva concordato con la Procura un patteggiamento a 4 mesi di reclusione e 15 mila euro di multa anche l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Mail Gup, lo scorso 28 giugno, ha respinto l’accordo giudicando troppo mite la pena. Molti gli indagati agli arresti domiciliari: da Roberto Meneguzzo a Lia Sartori. Mentre sono in stato di libertà i dirigenti regionali Giuseppe Fasiol e Giovanni Artico: il Riesame ha annullato il loro arresto.

Daniele Ferrazz

 

Incompetenza e nuove accuse ma il verdetto slitta a oggi

Ghedini e Franchini contestano la territoralità e i presupposti per la detenzione

La procura porta però altre testimonianze e segna alcuni punti a suo favore

VENEZIA – Per Giancarlo Galan un’altra notte di attesa nella sua camera- cella del carcere ospedale di Opera: ieri, infatti, i giudici del Tribunale del riesame hanno rinviato la decisione che lo riguarda – se scarcerarlo o comunque concedergli gli arresti domiciliari – a questa mattina. Quella di ieri è stata una giornata convulsa, i giudici presieduti da Angelo Risi hanno prima affrontato la posizione di altri due indagati, quella del giudice della Corte dei conti ora in pensione Vittorio Giuseppone, che si trova agli arresti domiciliari, e quella dell’imprenditore veneziano Andrea Rismondo, che ha l’obbligo di non uscire dopo le 20. Poco prima delle 13 sono finalmente entrati i difensori di Galan, l’indagato ha preferito non presentarsi probabilmente per le sue condizioni di salute, gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini. Ad attenderli in aula c’erano già i pubblici ministeri Paola Tonini e Stefano Ancilotto. Con una breve pausa per un panino, la difesa è intervenuta fino alle 16,30, puntando soprattutto sull’incompetenza del Tribunale di Venezia a indagare e giudicare, visto che le contestazioni elevate dopo il 2010 lo sono state quando ormai era ministro, prima dell’Agricoltura poi dei Beni Culturali, e dunque dovrebbe toccare al Tribunale per i ministri prendere in esame le accuse. Per quanto riguarda le accuse precedenti, stando sempre ai difensori, si tratta di reati già caduti in prescrizione. I due legali, sono anche entrati nel merito, affermando che non ci sarebbero i gravi e sufficienti indizi per tenere in carcere l’indagato, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Hanno poi preso la parola, per poco più di un’ora, i pubblici ministeri, prima Paola Tonini quindi Stefano Ancilotto, che hanno depositato stralci di verbali d’interrogatorio e di intercettazioni non ancora agli atti del Tribunale. A questo punto, gli avvocati Franchini e Ghedini hanno chiesto almeno mezz’ora di tempo per esaminare la documentazione e il Tribunale l’ha concessa. Quindi, l’udienza è ricominciata per permettere ai difensori di dire la loro sul nuovi documenti depositati dalla Procura. Alle 19 l’udienza è finita ed è iniziata la camera di consiglio per il presidente Angelo Risi e per i giudici a latere Daniela Defazio e Sonia Bello. Presumibilmente, hanno preso in esame subito le posizioni di Giuseppone e Rismondo, così che in serata hanno deciso e si sono riservati invece di prendere in esame la posizione di Galan questa mattina. Probabile, dunque, che nella tarda mattinata sarà nota la loro decisione.

(g.c.)

 

LA CURIOSITÁ – Regalo di nozze degli assessori pagato da Mantovani

Il trattore da giardino voluto dai compagni di giunta di Forza Italia fu liquidato da Buson

VENEZIA «Ma che cosa ne potevo sapere io?» Giancarlo Galan, pochi giorni prima di venire condotto in carcere, si arrabbiava così dopo aver letto le intercettazioni nelle quali Renato Buson, il braccio destro di Piergiorgio Baita, raccontava ai magistrati di Venezia la storia del trattorino. Regalo per il suo matrimonio da parte degli assessori regionali, pensava Galan; regalo della Mantovani secondo la ricostruzione di Buson e Baita. Questa è la piccola storia del trattore di casa Galan, sul quale si faceva immortalare poche settimane dopo il suo matrimonio. Interrogato per cinque volte (4, 10 e 29 aprile, 16 maggio e 11 luglio 2013), Buson racconta ai magistrati l’episodio minore nella saga di Galan. Domanda il magistrato: lei ha mai fatto consegne all’ex presidente Giancarlo Galan? Risponde Buson: personalmente somme di denaro mai. Ne ho consegnate a Baita e dalle lamentele di quest’ultimo presumo che fossero per Galan. Ho sentito spesso Baita lamentarsi dei costi che doveva sopportare per Galan. Domanda: e consegne di altri generi di bene? Risposta: mi ricordo un piccolo trattore agricolo per la sua casa di campagna. Mi fu fatta la fattura e pagai (circa 5000 euro). Domanda: quindi lui se lo andò a comprare e lei pagò la fattura? Risposta: Sì. Quando Galan ha letto la trascrizione dell’interrogatorio è sbottato: «Ma che ne sapevo io che non l’hanno pagato loro?» riferendosi ai suoi assessori regionali. Che, siamo nel 2010, erano: Giancarlo Conta, Renato Chisso, Marialuisa Coppola, Oscar De Bona, Fabio Gava, Renzo Marangon e Vendemiano Sartor. Difficile ricostruire l’accaduto, a distanza di così molti anni. Rimane il ricordo delle grandi feste di Galan, che usava ad ogni compleanno (il 10 settembre) riunire i suoi sodali e far presente che c’era una lista da sottoscrivere, su base volontaria, per essere accolti in pompa magna in villa o nelle osterie dei Colli Euganei che ancora ricordano la sua ospitalità.

 

 

Copyrights © 2012-2015 by Opzione Zero

Per leggere la Privacy policy cliccare qui