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Nuova Venezia – Mazzacurati citato in aula: non arrivera’

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

21

mar

2015

Mose, la difesa: è malato, non può lasciare gli Usa. Caso Matteoli: il 1. aprile il Senato vota sulle indagini

VENEZIA – Per il giudice veneziano Alberto Scaramuzza, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova ha un ruolo fondamentale nell’ipotesi d’accusa nei confronti dell’ex sindaco lagunare Giorgio Orsoni; dunque, la richiesta dei difensori di quest’ultimo, quella di poter contro interrogare l’ingegnere, va accolta.

Così, nei giorni scorsi, il magistrato ha avvertito agli avvocati Francesco Arata e Carlo Tremolada di aver convocato nell’aula bunker di Mestre per mercoledì alle 16 Mazzacurati perché risponda alle loro domande e a quelle dei pmi.

L’ex presidente del Consorzio avrebbe già dovuto presentarsi il 9 marzo scorso per rispondere alle domande poste dai legali dell’ex europarlamentare Lia Sartori ma il difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ha presentato una consulenza medico legale nella quale si sostiene che negli ultimi mesi l’84enne ingegnere ha subito un decadimento psicofisico e cognitivo notevole e che, soprattutto dopo la morte del figlio Carlo, è caduto in depressione e soffre di deficit di memoria, confonde i ricordi. Il medico legale di Modena Ivan Galliani sostiene addirittura che ora è «inattendibile come testimone».

Insomma: non può spostarsi dalla California, dove si trova ora con la moglie, a causa di una grave patologia cardiaca che sconsiglia il viaggio in Italia. Il giudice Scaramuzza si era preso del tempo per decidere e aveva riconvocato le parti alle 15 del 25 marzo in aula bunker, quel giorno comunicherà la sua decisione, se cioè accoglie le tesi del difensore dell’ex presidente del Consorzio e chiude definitivamente la pratica Mazzacurati (in questo modo pm e avvocati delle parti discuteranno se i verbali degli interrogatori resi ai rappresentanti della Procura dovranno o meno finire nel fascicolo del giudice) o disporrà una perizia medico-legale sulle sue condizioni.

La presidenza del Senato, intanto, ha fissato la data del 1. aprile per il voto in aula dell’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro delle Infrastrutture e attuale parlamentare di Forza Italia Altero Matteoli. È indagato per corruzione, anche lui avrebbe ricevuto centinaia di migliaia di euro da Mazzacurati e la Giunta delle autorizzazioni a procedere ha già dato il suo via libera ora tocca all’aula. Se, come si prevede, la decisione sarà positiva, la Procura di Venezia potrà proseguire le indagini sul suo conto.

Giorgio Cecchetti

 

Zitelli: «Ha spinto il progetto dello scavo sui binari della Legge Obiettivo. Renzi dia un segnale»

Claut: «Ipotesi naufragata e ora il Porto propone terminal a San Nicolò e sublagunare: assurdo»

Ercole Incalza deus ex machina del ministero delle Infrastrutture e delle grandi opere in laguna. Con il governo Berlusconi, il governo Monti, poi Letta e adesso Renzi. Incalza ha seguito da vicino la vicenda del Mose. Ma anche quella delle grandi opere e delle grandi navi.

«Ha fatto il bello e il cattivo tempo al ministero», accusa Andreina Zitelli, docente Iuav ed esperta di Valutazioni di impatto ambientale, «deformando a piacimento l’interpretazione delle norme».

Parole pesanti, che secondo Zitelli sono ampiamente documentabili. «L’ultimo esempio», scrive la docente, «il caso dello scavo del nuovo canale Contorta.

Contro ogni evidenza e gli stessi verbali della Conferenza Stato-Regioni», continua, «è stato Incalza a sostenere che l’Autorità portuale e il suo presidente Paolo Costa potevano presentare il progetto con le procedure speciali e accelerate della Legge Obiettivo».

«Sempre attraverso Incalza», dice ancora la Zitelli, «l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta sosteneva la preminenza del progetto Contorta e l’urgenza di passare subito alla sua realizzazione».

Rispondendo a una richiesta del direttore dell’Ufficio Via del ministero per l’Ambiente Mariano Grillo, Incalza precisa con una lettera inviata il 9 ottobre scorso che «l’intervento di adeguamento del canale Contorta rientra nel programma delle infrastrutture strategiche, come da richiesta della Regione Veneto, nell’ambito degli interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella laguna di Venezia» e che «il soggetto attuatore per quel progetto è l’Autorità portuale».

«Il premier Renzi deve cogliere l’occasione per distinguersi: Lupi e Galletti sono ministri la cui immagine è compromessa».

Affare Contorta per cui proprio nei giorni scorsi il Porto ha inviato a Roma le risposte alle 27 pagine di Osservazioni della commissione Via. Ma l’ipotesi sembra piuttosto difficile da realizzare.

«Per questo a Miami il presidente Costa ha presentato il suo piano B», dice Luciano Claut, assessore grillino a Mira e autore di una proposta alternativa per un terminal galleggiante a San Nicolò, «propone di realizzare un nuovo porto davanti alla spiaggia di San Nicolò con collegamento sublagunare a Tessera.

«Un piano iperbolico nei costi, nei tempi e negli impatti, con dragaggi immensi e trasformazioni ciclopiche. Che non risolverebbe il problema della portualità».

Intanto la stagione croceristica si avvicina e le soluzioni non si trovano. Oltre al Contorta e al Lido è in pista anche Marghera. Si dovrà attendere adesso la nuova amministrazione comunale.

Alberto Vitucci

 

Ieri a Torino è stato consegnato il dossier dall’associazione Ambiente Venezia

«Lesi i diritti dei cittadini, ignorate le critiche». «Grandi navi, fuori le osservazioni»

VENEZIA – Un esposto sul Mose al Tribunale permanente dei popoli. Si riaccendono i riflettori sulla grande opera. Ieri a Torino una delegazione dell’associazione «Ambiente Venezia» ha consegnato al presidente del Tribunale Franco Ippolito un esposto che chiede l’apertura di un procedimento.

«Per accertare», si legge nel documento firmato da Armando Danella, Luciano Mazzolin, Stefano Micheletti e Stefano Fiorin, «se nell’iter del progetto Mose siano stati rispettati i diritti dei cittadini».

Il Tribunale dei popoli – di cui fanno parte i giudici Mireille Fanon Mendes France (Francia), Antoni Pigrau (Spagna), Roberto Schiattarella e Vladimiro Zagrebelsky (Italia) – ha aperto ieri i lavori della sessione dedicata a «Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità e grandi opere». Conferenza deedicata alla Tav e alle grandi opere, tra cui il Mose.

«Riteniamo che il progetto Mose, in corso di realizzazione», dice Danella, «contenga in sè profili di violazione dei diritti fondamentali che oggi permangono».

Tra queste azioni, il comitato include «il contrasto dei movimenti di opposizione e e della comunità scientifica non asservita agli interessi di parte».

E le «mancate risposte alle critiche anche circostanziate della pubblica opinione. Soprattutto dopo che la magistratura ha rivelato quel clima malavitoso di corruzione, concussione e finanziamento illecito del Consorzio Venezia Nuova».

Infine una «manipolazione e omissione di dati e informazioni per alimentare la continuità dell’errore».

I comitati, già autori di altri esposti alla Procura, alla Corte dei Conti e all’Unione europea, chiedono ora che sia il Tribunale internazionale a pronunciarsi. Battaglia che continua, quella sul Mose e sulle garanzie che la collettività chiede per la sua realizzazione e la gestione e manutenzione, che costerà almeno 50 milioni di euro l’anno.

Comitati sul piede di guerra anche per quanto riguarda il canale Contorta, altra «grande opera» proposta dall’Autorità portuale per far entrare le grandi navi in laguna e farle arrivare alla Stazione Marittima dalla bocca di porto di Malamocco. In questi giorni l’Autorità portuale ha inviato al ministero per l’Ambiente le risposte alle 27 pagine di osservazioni della commissione Via.

«Risposte esaurienti», secondo il presidente Costa, «per un’opera che si dovrà fare comunque, essendo di pubblico interesse».

«L’unica cosa di pubblico interesse è che il governo rimuova il predente Costa», attacca Marco Zanetti di VeneziaCambia2015.

Andreina Zitelli ribadisce la richiesta che «vengano pubblicati i 300 file di integrazioni prodotti dal Porto». «È dovere del ministro Galletti, che deve tutelare la laguna e non la crocieristica».

Alberto Vitucci

 

Finanziamento illecito del partito: autorizzata l’estrazione di copia del fascicolo sul parlamentare e sul collega Mognato. I pm avevano chiesto l’archiviazione

VENEZIA – Un’istanza al giorno per gli avvocati di Giorgio Orsoni. Dopo quella presentata al giudice per l’autorizzazione ad essere presenti all’incidente probatorio con l’interrogatorio di Giovanni Mazzacurati o comunque ottenere la documentazione sanitaria in cui si spiega che non può sostenere l’interrogatorio, ieri in Procura è arrivata una seconda richiesta. Quella di poter prendere visione degli atti del procedimento nei confronti dei parlamentari del Pd Davide Zoggia e Michele Mognato, per i quali i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno chiesto l’archiviazione dell’accusa in concorso nel finanziamento illecito del loro partito. Nel primo pomeriggio, comunque, il pm Ancilotto ha immediatamente autorizzato l’avvocato milanese Francesco Arata ad estrarre copia del fascicolo intestato ai due esponenti politici veneziani.

«È di tutta evidenza», scrive il difensore dell’ex sindaco lagunare, «l’interesse per la difesa Orsoni a conoscere l’intero fascicolo processuale relativo alle investigazioni a carico di Zoggia e Mognato, sol che si ponga attenzione al fatto che i predetti risultano essere sottoposti ad indagine proprio in veste di possibili concorrenti nell’ipotesi di illecito finanziamento ai partiti contestata a Giorgio Orsoni».

Nella richiesta firmata dai pubblici ministeri per quanto riguarda i due parlamentari del Pd si legge tra l’altro dalle indagini «è emerso un quadro di diffusa illegalità nel quale gli esponenti di vertice dei locali partiti politici erano soliti farsi finanziare le campagne elettorali con contributi illecitamente corrisposti dal Consorzio e dalle società a quello aderenti. Quadro aggravato dalla circostanza che la scelta del presidente Mazzacurati di finanziare sistematicamente tutti i partiti indifferentemente dalla loro collocazione politica – sia che occupassero posizioni di maggioranza che di opposizione, sia a livello locale che nazionale – fosse strategica e finalizzata all’acquisizione e al consolidamento di un consenso politico trasversale».

«Questo affresco», conclude il documento dei pm, «è sintomatico di una sprezzante indifferenza non solo per la legalità, ma anche per la corretta destinazione di beni comuni ed è solo in parte vulnerato dalla difficoltà di individuare con precisione gli ulteriori percettori finali delle somme illecitamente corrisposte; difficoltà che comporta l’impossibilità di iniziare un’azione penale ispirata ai principi della personalità della responsabilità e al ripudio dell’assioma della oggettiva responsabilità».

Ai difensori di Orsoni, comunque, interessa leggere i verbali degli interrogatori resi da indagati e testimoni.

Giorgio Cecchetti

 

Gazzettino – Scandalo Mose. Dibattito al Rotary.

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14

mar

2015

Scandalo Mose, era evitabile che tutto accadesse di nuovo 20 anni dopo Tangentopoli? Una domanda questa a cui si è cercato di dare risposta con una vivace discussione nell’ultima conviviale del Rotary Venezia-Mestre che ha ospitato il giornalista Maurizio Dianese autore, assieme ai colleghi del Gazzettino Monica Andolfatto e Gianluca Amadori, del libro «Mose. La retata storica».

Ospite della serata anche il direttore del Gazzettino Roberto Papetti che per primo, sollecitato dalle domande del presidente del Rotary Mario Berengo e dei soci, ha offerto un’analisi del messaggio che cerca di lasciare al lettore il libro dei suoi tre giornalisti.

«Il valore di questo lavoro sta proprio nel suscitare alcune domande sui perché tutto questo è avvenuto – ha detto Papetti – Siamo distanti anni luce da quello che fu lo scandalo Enimont in fatto di cifre. Ma il punto focale da capire è perché sia successo in questo territorio e perché Venezia e Mestre in questi due decenni, ma forse anche prima, abbiamo accettato una logica redistributiva insita nella Legge Speciale. Tanto denaro che è andato a premiare non i migliori ma i più bravi redistributori di denaro, con la complicità, purtroppo, anche di buona parte della classe dirigente politica».

«Il Mose è un esempio di società che si lascia corrompere e che si concretizza con il cambio ai vertici della Procura di Venezia e con l’affidamento delle indagini a dei magistrati che prima si erano occupati di criminalità organizzata – ha aggiunto Dianese – Se qualcosa, però, non cambierà a livello legislativo, le finissime menti criminali che hanno agito ieri e anche oggi, agiranno di nuovo allo stesso modo anche fra 10 anni. E di libri e di pagine sui giornali ne scriveremo di nuovo e, di fatto, sarà come se non fosse mai successo nulla».

(r.ros.)

 

SCANDALO MOSE – La replica nella causa civile alla richiesta di 37 milioni di euro per danni

La Mantovani spa pretende da lui un risarcimento record di 37 milioni di euro, ma Piergiorgio Baita ribatte dichiarando di non aver provocato alcun danno alla società padovana che ha amministrato per oltre un decennio. Anzi, il manager residente a Mogliano Veneto sostiene di aver fatto soltanto il bene dell’azienda, moltiplicando il giro d’affari e riuscendo ad accumulare dal 1988 al 2011 un margine positivo, ante imposte, di ben 188 milioni di euro.

Si sta combattendo a suon di cifre a sei zeri la battaglia giudiziaria avviata lo scorso anno dalla Mantovani, la quale ha citato Baita davanti al Tribunale civile di Venezia chiedendogli di restituire di tasca propria un danno di circa 21 milioni per esborsi finanziari e tributari e di altri 16 per il danno all’immagine provocato alla società a seguito del coinvolgimento nell’inchiesta penale sul “sistema Mose”.

Il difensore del manager ha replicato alle richieste della società (che fa riferimento alla famiglia padovana Chiarotto) spiegando che l’ingegner Baita ha sempre agito nell’interesse della Mantovani, senza mettersi in tasca mai un soldo, e di essere rimasto stritolato, suo malgrado, nel “sistema Mose”: la società si era fortemente indebitata nel 2003 per entrare nel Consorzio Venezia Nuova, acquistando le quote di Impregilo, e non poteva fare altrimenti. Al suo ingresso al vertice, la Mantovani aveva un patrimonio netto di 6 miliardi di vecchie lire, lievitato a 107 milioni di euro nel 2011 – evidenzia l’avvocato Sonino – Il fatturato 1998 ammontava a 108 miliardi di lire, moltiplicatosi in 404 milioni di euro 13 anni più tardi. E, al momento dell’uscita, Baita lasciò in eredità un portafoglio ordini di 3 miliardi di euro. Di fronte a numeri come questi, dove starebbe il danno, si chiede l’ingegner Baita?

La “battaglia” davanti al Tribunale proseguirà il 17 giugno: l’avvocato Sonino ha citato a giudizio la compagnia con la quale tutti i manager della società erano assicurati per gli eventuali danni commessi nello svolgimento dell’attività.

Nel frattempo sta per iniziare la causa civile che Baita ha promosso nei confronti di Claudia Minutillo (ex segretaria dell’allora Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, ed ex amminsitratrice di Adria Infrastrutture), del direttore finanziario di Mantovani, Nicolò Buson e del broker di San Marino, William Colombelli: il manager chiede che il giudice li condanni a versargli le quote di competenza dei 400mila euro che l’ingegnere ha già versato nel dicembre del 2013, quando patteggò, assieme a loro, in relazione alle false fatturazioni emessa dalla Mantovani. Quella somma deve essere divisa per quattro e ora Baita vuole che gli altri tre tirino fuori la loro parte. L’udienza è fissata per l’8 maggio.

 

Il filosofo polemizza nuovamente sul via libera «contro la volontà del Comune»

Ma l’ex premier replica seccamente: «Mai arrivati progetti alternativi»

VENEZIA «Prodi, Berlusconi: sul Mose tutti hanno avuto le mie carte, i documenti, i progetti alternativi, i dubbi. Niente. I burocrati dello Stato, la Corte dei Conti: io denunciavo e loro mi ascoltavano appena. Preferivano guardarsi i filmini promozionali di Mazzacurati».

Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, attacca gli ex presidenti del Consiglio e il Magistrato ale Acque.

«Le decisioni sul Mose», dice, «sono state prese ai livelli più alti dello Stato».

Polemica che non è nuova. L’ex sindaco ha sempre denunciato la contrarietà della città alla grande opera.

«Il Comune di Venezia aveva presentato a Roma», ricorda, «molti progetti alternativi, meno impattanti e meno costosi del Mose. Non sono mai stati presi in considerazione».

Prodi ha risposto ieri con una nota.

«Singolare», scrive, «che invece di prendersela con chi si è lasciato corrompere e ha speculato sui lavori del Mose ci si ostini a prendersela con chi ha consentito che un’opera fondamentale per la salvezza di Venezia andasse avanti».

L’ex premier ricorda che il progetto del Consorzio Venezia Nuova «fu esaminato in numerosissime riunioni del Comitatone e infine approvato da una larghissima maggioranza. Non pervennero mai progetti alternativi a questo».

Proprio quest’ultima affermazione viene definita come «non veritiera» da Cacciari e dai suoi collaboratori dell’epoca.

«Ricordo benissimo», dice Armando Danella, allora dirigente dell’Ufficio Legge Speciale del Comune, «che andammo a Roma con il sindaco a presentare i progetti alternativi al Mose. Nel novembre del 2006, quando si doveva decidere in via definitiva, fummo ricevuti dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta, poi dal ministro dei Lavori pubblici Di Pietro e anche dallo stesso Prodi. Il 22 novembre il Comitato presieduto da Prodi approvò i lavori del Mose con il parere contrario del Comune di Venezia. Allora il sindaco Cacciari pronunciò un discorso in cui chiedeva ai posteri l’ardua sentenza».

Insomma Venezia il Mose non lo voleva, ma il governo tirò dritto. Una denuncia alla Procura e alla Corte dei Conti su queste vicende è stata presentata qualche anno fa dai comitati «No Mose».

Alberto Vitucci

 

Nuova Venezia – Mose, e’ guerra su Mazzacurati

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10

mar

2015

VENEZIA – L’ex presidente del Consorzio non si presenta all’incidente probatorio chiesto dall’ex eurodeputata

I difensori di Lia Sartori insistono: «Vogliamo interrogare negli Stati Uniti l’ingegnere smemorato»

La difesa di Lia Sartori insiste: vuole sentire Giovanni Mazzacurati; vuole poter interrogare l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova in relazione alle accuse che ha rivolto all’ex presidente del Consiglio regionale e poi eurodeputata di Forza Italia, raccontando ai pm di Venezia, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, di averle versato contributi illeciti in relazione a più di una campagna elettorale, dal 2006 al 2012. Accuse formulate nel luglio del 2013, dopo essere stato arrestato con l’accusa di turbativa d’asta in relazione ad un appalto per lavori di scavo di un canale portuale.

Ieri mattina, nell’aula bunker di Mestre, Mazzacurati non si è presentato all’incidente probatorio fissato dal giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza. Il suo legale, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, come anticipato nei giorni scorsi, ha depositato una consulenza medico-legale dalla quale risulta che l’ex presidente del Cvn non si può muovere dalla California (dove risiede dallo scorso anno, nella villa della moglie) a causa delle condizioni di salute, peggiorate dopo la morte del figlio, il regista Carlo, scomparso nel gennaio del 2014, dopo una lunga malattia. Mazzacurati soffre, a detta dei medici che l’hanno visitato, di un grave deficit mnemonico che renderebbe in ogni caso inutile la sua audizione.

Lia Sartori ha sempre respinto ogni accusa e, ieri mattina, gli avvocati Franco Coppi e Pierantonio Zanettin, hanno ribadito la richiesta di audizione dell’ex presidente del Cvn. L’udienza è durata meno di mezz’ora: il gip Scaramuzza ha aggiornato l’incidente probatorio al prossimo 25 marzo, data in cui deciderà se disporre una perizia medica per verificare le effettive condizioni di salute di Mazzacurati. Nell’impossibilità di far arrivare l’ex presidente del Cvn a Venezia, il giudice potrebbe anche optare per una rogatoria internazionale, ovvero chiedere all’autorità giudiziaria statunitense di interrogarlo per suo conto. Ma, se la sua incapacità a deporre fosse confermata, l’audizione non risulterebbe di alcuna utilità.

Attorno ai verbali d’interrogatorio con cui Mazzacurati ha accusato Lia Sartori, ma anche numerose altre persone, tutte poi finite nel mirino dell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”, ruoterà una parte consistente del processo che si dovrebbe aprire tra qualche mese e che riguarda tutti gli indagati che, finora, non hanno chiesto il patteggiamento. Dieci in tutto. La difesa, infatti, contesterà l’utilizzabilità di quelle dichiarazioni accusatorie: innanzitutto sotto il profilo della loro attendibilità e precisione. Quasi certamente i legali cercheranno di dimostrare che Mazzacurati era già malato e che la sua memoria non funzionava bene fin da quando ha riempito i verbali davanti agli inquirenti. Inoltre, in mancanza di un contraddittorio, quelle accuse non hanno valore. Contestazioni di fronte alle quali la Procura si prepara a ribattere sostenendo che i verbali di Mazzacurati sono pienamente utilizzabili, oltre che attendibili e riscontrati da altre deposizioni e prove raccolte nel corso delle indagini.

 

Non hanno patteggiato, sono pronti al processo

LA PROCURA – L’inchiesta è chiusa, ecco tutte le accuse per gli ultimi nove

VENEZIA – La notifica dell’avviso di conclusione indagini è iniziata ieri per i dieci indagati che, finora, non hanno chiesto di patteggiare. Gli avvisi, in realtà, sono due: la posizione dell’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, sotto accusa per un presunto finanziamento illecito ricevuto da Mazzacurati nella campagna elettorale del 2010, figura infatti in un fascicolo a parte rispetto agli altri. Le imputazioni contestate ai dieci sono le stesse che comparivano nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita nel giugno del 2014. Oltre a Lia Sartori, di cui scriviamo a fianco, questi sono i nomi e le accuse.

Maria Giovanna Piva, ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia: corruzione per un presunto stipendio annuale di circa 400mila euro da Mazzacurati e Baita e un incarico di collaudo di opere dell’ospedale di Mestre per 327mila euro.

Vittorio Giuseppone, ex magistrato della Corte dei Conti: corruzione per un presunto stipendio annuale di 300-400mila euro dal 2000 al 2008, oltre a 600mila euro tra 2005 e 2006.

Nicola Falconi, direttore generale Stimar sub e Bos.Ca srl: corruzione in relazione alle somme illecite elargite all’ex presidente del Magistrato alle acque, Fabrizio Cuccioletta; finanziamento illecito in relazione ad uno dei presunti contributi elettorali ad Orsoni.

Lino Brentan, ex amministratore delegato della Austrade Padova- Venezia: induzione indebita a dare o promettere utilità in relazione a 65mila euro che avrebbe chiesto ad un imprenditore per partecipare ad alcuni lavori.

Danilo Turato, architetto: corruzione in relazione ai lavori di restauro della villa dell’allora Governatore del Veneto, Giancarlo Galan.

Giovanni Artico, funzionario della Regione Veneto: corruzione in relazione al presunto aiuto a Piergiorgio Baita in cambio di alcuni favori.

Giancarlo Ruscitti, ex dirigente regionale: gli viene contestato un presunto contratto di collaborazione er operazioni inesistenti.

Corrado Crialese: millantato credito per essersi fatto consegnare soldi da Baita sostenendo di poter influire sulle decisioni presso magistrati amministrativi.

Dal momento della notifica, gli indagati avranno tempo 20 giorni per presentare memorie difensive o per chiedere di essere interrogati. Poi spetterà alla Procura il compito di decidere se vi siano elementi per chiedere il processo nei confronti di tutti.

 

Scandalo Mose: l’ingegnere convocato oggi in Tribunale ma non ci sarà, condizioni di salute precarie

Avrebbe dovuto tornare oggi dalla California, dove si è rifugiato poco dopo essere stato scarcerato, ma Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e grande corruttore, non ci sarà. Davanti al giudice veneziano Alberto Scaramuzza ci sarà il suo difensore, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, con una consulenza medico legale, la quale sostiene che l’ingegnere non ricorda più nulla. Inoltre, non può affrontare il viaggio aereo dagli Usa in Italia. Non dovrà, dunque, subire alcun terzo grado, al quale indubbiamente lo avrebbero sottoposto, come è loro diritto, gli avvocati difensori in particolare dell’ex sindaco Giorgio Orsoni e dell’ex europarlamentare di Forza Italia Lia Sartori.

Mazzacurati ha raccontato di aver consegnato 400-450 mila euro per la campagna elettorale del primo e 250 mila alla seconda. Diritto degli indagati interrogare il loro accusatore, ma in questo caso non si farà e probabilmente nel fascicolo finiranno i verbali d’interrogatorio resi dall’ex presidente durante le indagini preliminari.

Per ora, almeno per coloro che hanno presentato ricorso in Cassazione, non è scattata la confisca dei beni disposti dal giudice.

Sono ben nove tra coloro che hanno patteggiato la pena nell’ambito dell’indagine sulla corruzione per il Mose coloro che hanno compiuto questa scelta. I difensori non l’avrebbero fatto perché contestano la pena, che del resto hanno sottoscritto con un accordo con i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, ma per allontanare nel tempo il più possibile il momento in cui scatterà la confisca di ville, conti bancari e altri beni.

Solo quando la pena sarà definitiva, infatti, lo Stato potrà appropriarsi definitivamente dei loro beni e, nel frattempo, potrebbero riuscire a vendere e magari a tenersi qualcosa.

(g.c.)

 

I commissari dimezzano la spesa e pensano al trasferimento

Cemento e guard rail in mezzo alla laguna per i jack up del Mose

Centodieci milioni di euro per due piccole navi che devono sollevare le paratoie e portarle in Arsenale. E una banchina con cemento e guard rail, degna di un parcheggio di periferia, in mezzo alla laguna sotto le mura dell’Arsenale. Il Mose è anche questo.

Spese collaterali e aree occupate per la manutenzione di un sistema che richiederà energìe e lavoro per l’eternità. Prima del ciclone che ha portato in carcere 35 persone, il 4 giugno scorso, il Magistrato alle Acque magnificava le sorti dei due «jack-up», navi specializzate per estrarre le paratoie dal fondo del mare e trasportarle in Arsenale per la manutenzione. Gioielli della tecnica navale che costano 55 milioni di euro l’uno. Soldi sufficienti per risanare e rilanciare il bilancio del Comune per i prossimi anni. Una delle due navi è già quasi pronta, si possono vedere nel Bacino grande dell’Arsenale Nord i piloni gialli della grande macchina idraulica che dovrebbe «svitare» le cerniere e portare in superficie le paratoie.

Secondo il progetto si dovrà estrarne dal fondo del mare una ogni 20-30 giorni. Completando il giro delle 78 paratoie mobili in circa 5 anni, imprevisti esclusi.

Uno dei primi atti dei due nuovi commissari nominati da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, è stato quello di dimezzare le spese per i jack up. Ne arriverà soltanto uno, con un risparmio di 55 milioni di euro. Secondo alcuni ingegneri sarebbe stato sufficiente molto meno per il trasporto delle paratoie. Smontate in loco, potevano essere benissimo trascinate da un rimorchiatore noleggiato.

Per ospitare i jack-up il Consorzio Venezia Nuova con il Magistrato alle Acque guidato da Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta – entrambi arrestati per lo scandalo Mose – aveva costruito una banchina degna del porto di Rotterdam. Piloni e barriere in cemento, guard rail poco adatti al paesaggio lagunare.

«Servono per la sicurezza dei movimenti di camion e gru», aveva spiegato l’allora presidente di Mantovani e factotum del Mose Piergiorgio Baita, «al termine di questa fase di lavori saranno rimossi».

Ma sono passati quattro anni e il cemento insieme al ferro dei guard rail è sempre là. Anche in questo caso, hanno osservato inascoltati alcuni tecnici, sarebbe stato sufficiente uno scivolo, come quelli in uso nei cantieri navali, per garantire il passaggio della paratoia dall’acqua ai Bacini e all’area di manutenzione.

Una questione all’esame dei commissari. Che dovranno decidere a breve su un’altra questione strategica fondamentale: dove si farà la manutenzione del Mose? E chi gestirà quello che si annuncia il business senza fine dei prossimi decenni?

Un’ipotesi allo studio è quella di trasferire l’area della manutenzione a Marghera, in un’area attrezzata cghe potrebbe essere proprio l’area ex Pagnan, bonificata e restaurata dalla Mantovani per farci arrivare i cassoni. In questo modo si libererebbe l’Arsenale e con esso i Bacini di carenaggio, da restituire alla cantieristica tradizionale. Nell’Arsenale Nord potrebbe restare la centrale operativa della manutenzione e della gestione.

Temi all’ordine del giorno delle prossime riunioni. Intanto il cemento e i guard -rail autostradali restano al loro posto.

Alberto Vitucci

 

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