Nuova Venezia – Dalla villa ai giornali: ecco l’impero dei Galan
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
7
giu
2014
ROTTAMIAMO ANCHE L’ITALIA DEL MALAFFARE
Avevano carta bianca. L’hanno barattata con la carta igienica. Letteralmente. Non bastavano i soldi, un mare come quello che avrebbero dovuto prosciugare nella laguna di Venezia. Hanno estorto persino dieci piani di morbidezza per i loro serenissimi deretani. E il caso-secondo l’accusa – dell’ente Magistrato delle acque, al quale il Consorzio Venezia Nuova, quello del mitico Mose, avrebbe comprato «anche la carta igienica, è vero,non e una battuta», come si legge nelle carte dell’inchiesta. Corruzione smodata. Arroganza miserevole. Nel cuore del Lombardo-Veneto, prima con l’Expo di Milano, ora con le dighe lagunari. Tutti erano sul libro paga della cricca riunita intorno al consorzio appaltante del Mose, ha raccontato alla “Nuova Venezia” Piergiorgio Baita, già manager di punta di una delle principali imprese coinvolte nello scandalo. Parla con cognizione di causa: ha patteggiato una pena di un anno e dieci mesi ed è fuori dall’attuale indagine. Rivela una cifra impressionante, cento milioni all’anno, da distribuire in consulenze, viaggi, sponsorizzazioni, prebende varie. Un potere fuori controllo capace di condizionare e di comperare esponenti politici di ogni colore. Non è la prima volta, nell’Italia delle consorterie, che ciò accade. Ma l’uno-due Milano-Venezia mette a dura prova la tenuta del Paese, nonostante la voglia di stabilità espressa con il voto di quindici giorni fa. Il senso stesso della nostra democrazia finisce imbrattato sotto il peso della sconcia carta igienica veneziana. C’è un problema di codice penale, ma c’è anche un codice etico da ricostruire nei comportamenti sia privati che pubblici. Il codice penale e stato sbeffeggiato con il ridimensionamento del reato di falso in bilancio. Eredità avvelenata del ventennio berlusconiano. Grazie alla manomissione dei bilanci vengono accumulati i fondi neri necessari per corrompere ciascuno in base al suo prezzo. La prescrizione poi e lo strumento per farla franca: la condanna deve arrivare entro sei anni dal compimento- non dalla scoperta, si badi bene – del reato di corruzione. Una passeggiata per chi può disporre di bravi avvocati. Un monito per procure, uffici gip e tribunali “malati” sì di superlavoro, ma in più di un caso di inefficienze organizzative non imputabili che a loro stessi. Leggi più giuste, dunque. Non più aspre, altrimenti la discussione finisce subito nel solito rissoso derby tra garantisti pelosi e manettari gaudenti. Leggi chiare, facilmente e rapidamente applicabili. Così come va sfrondata la burocrazia degli appalti, con le sue pratiche oscure. Ma non basta. C’è una questione etica – persino estetica – che riguarda la vita interna dei partiti e delle grandi organizzazioni sociali. Finché il Pd – si è scoperto solo dopo il recente arresto- bis – non si fa scrupolo di tesserare Primo Greganti e Forza Italia continua a coprire Marcello D’Utri, Claudio Scajola, Giancarlo Galan, di che cosa stiamo parlando? L’Italia differisce dalle altre grandi democrazie occidentali perché non conosce la sanzione reputazionale. Oggi è di moda dire: ci metto la faccia. Ma la faccia non la perde mai nessuno. Chi sbaglia non paga. Fuori dunque dai partiti mascalzoni, profittatori, facilitatori, faccendieri, inquisiti per reati ai danni della collettività. Da Berlusconi, pregiudicato impenitente, non c’è da aspettarsi nulla. Da Renzi sì. Ma non basta sostenere, come fanno i suoi, che il fango travolge solo esponenti del “vecchio” partito. Dopo la rottamazione occorre avviare un processo di bonifica ambientale. Senza distinzioni. Ha il consenso dalla sua. Lo usi con spietata saggezza. Il premier sicuramente conoscerà, essendo di formazione cattolica, una celebre massima di Sant’Agostino: «Quid sunt imperia, detracta iustitia, nisi magna latrocinia? ». Che poi, tradotto in maniera maccheronica, suona più o meno così: senza giustizia che cosa è il potere, se non un grande magna magna?
Luigi Vicinanza
BERLINGUER L’ULTIMO GRANDE POLITICO
Trent’anni fa moriva a Padova il segretario del Pci Enrico Berlinguer, figura importantissima per la sinistra italiana, per la storia del Pci, per i rapporti fra Italia e Nato, Italia ed URSS. Berlinguer è l’inventore dell’enorme trasformazione del Comunismo in Eurocomunismo. Che cosa fu il Comunismo? La più grande rivoluzione sociale e politica del Novecento, che si proponeva di riscattare la classe più povera, il proletariato, portarla al potere, e realizzare sulla Terra una nuova storia, depurata dei valori della borghesia. Una classe unica al potere voleva dire dittatura. E questo era il Comunismo: il potere di una sola classe, un solo partito, un solo gruppo dirigente. E, all’acme dell’impero sovietico, di un solo uomo. Fu una storia grandiosa e fosca, eroica e tragica. Per lunghi decenni parve che su tutta la Terra il riscatto della povertà fosse possibile solo applicando il modello sovietico. Berlinguer fu tra i primi a capire che in Occidente il Comunismo era inapplicabile, doveva adattarsi alla storia, alla cultura, alla religione, alle classi locali. Noi italiani interveniamo sulle grandi rivoluzioni del mondo importandole ma mitigandole: il nostro Romanticismo non è il Romanticismo tedesco, noi non possiamo essere nichilisti e disperati, perché noi ospitiamo il Cattolicesimo, e dove il Romanticismo europeo dice “con la morte non c’è più nulla”, il nostro Romanticismo, Manzoni in testa ma escluso il solitario Leopardi, dice “la morte è la porta verso la vera vita”. L’eurocomunismo è la stessa attenuazione del Comunismo: niente via rivoluzionaria per il potere, niente dittatura del proletariato, niente partito unico, addirittura niente rottura dell’alleanza con la Nato. Questo fu Berlinguer. Voleva addirittura un’alleanza con la Democrazia Cristiana, una specie di Larghe Intese anticipate, perché o si governa così o non si governa. Uomo pericolosissimo, per l’Unione Sovietica. Era in un paese dell’est, su una limousine, quando i servizi segreti tentarono di farlo fuori, speronandolo. Ma sopravvisse e morirà molto più tardi, trent’anni fa, a Padova, mentre teneva un discorso in Piazza della Frutta. I suoi discorsi erano monotoni, interminabili, molto populismo e poche idee. Difficilissimo prendere appunti, era come bloccare l’aria. Lo ascoltavo al Congresso Nazionale del partito a Roma, mi mettevo tra la Inge Feltrinelli e Paolo Volponi, e sentivo Volponi sbuffare:«Ma son discorsi che ammazzano!». Il discorso di Padova, l’ultimo della sua vita, non faceva eccezione. Quando si sentì male, voleva chiudere ma non ci riusciva, voleva dire: «Lavorate per la pace», ma Elio Armano si allarmò perché s’accorse che diceva «laorate», non riusciva più ad articolare la lingua. Il popolo supplicava: «Basta, va a riposare », ma lui volle concludere. Scese dal palco sorretto a braccio. Lo portarono in albergo. Un crocchio di amici aspettava davanti alla stanza, e quando una cameriera uscì dicendo: «S’è addormentato», il dottor Giuliano Lenci si spaventò: «Non deve farlo», ed entrò di corsa. Era l’ictus, il sangue usciva bagnando dolcemente il cervello. La notizia piombò a Roma, in Italia, nel mondo. Scesero nuvole di cronisti e fotoreporter. Ma quando arrivò la moglie di Berlinguer, un funzionario del partito ordinò: «Non fotografate la signora!», e non scattò nessun lampo. C’era il presidente della repubblica, Sandro Pertini, a Padova, e quando Berlinguer morì, volle portare la salma a Roma col suo aereo presidenziale. Perché la salma non viaggiasse da sola da Padova all’aeroporto di Venezia, il partito, e cioè Pietro Folena, chiamò tutti gli amici dotati di auto, preoccupandosi che l’auto non fosse bianca. M’infilai nel corteo di vetture, per la strada statale, e quando penso a un funerale accompagnato dall’amore del popolo, penso a quello: si avanzava con l’auto lentissimamente, tra due ali immense di folla, uomini donne bambini, che premevano da destra e da sinistra, tutti in lacrime, uomini e donne col pugno chiuso e bambini col pugnetto teso verso le vetture, e le donne lanciavano continuamente fiori. La mia vettura ne era coperta. Da Padova all’aeroporto di Venezia le ruote della mia auto non hanno mai toccato l’asfalto, ma sempre e soltanto petali di fiori. Un popolo dovrebbe salutare così tutti i suoi politici. Ma Berlinguer fu l’ultimo e fu l’unico.
Ferdinando Camon
LE REAZIONI «Una grande opera senza garanzie sul fronte sicurezza»
LA COMMISSIONE – Anni di controlli mancati ora indaga la Corte dei Conti
Sequestrati 200 mila euro sotterrati da Spaziante
Banconote in possesso del generale della Finanza. «Elevatissimo tenore di vita»
Sigilli a tre Canaletto e a un Tintoretto […..]
VENEZIA – Tre Canaletto e un Tintoretto, pittori veneziani, del 18° secolo il primo e del 1500 il secondo. Sono quattro dipinti che i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia hanno sequestrato nella casa, di [………………….]. L’imprenditore, [………] d’origine ma da anni trapiantato [………….], presidente della «Grandi Lavori Fincosit spa» e vicepresidente del Consorzio Venezia Nuova, è finito in manette per corruzione e altri reati. Le «fiamme gialle», che hanno suonato alla porta del lussuoso alloggio dell’imprenditore all’alba di mercoledì per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, hanno anche compiuto una perquisizione e hanno scovato quattro quadri di notevoli dimensioni, ai quali mancava del tutto la certificazione da parte della Soprintendenza ai Beni artistici e storici: proprio per questo i finanzieri se li sono portati via. Il loro valore si aggira sui trenta- quaranta milioni di euro; il sospetto è che non abbiano alcuna certificazione perché acquistati al mercato nero degli oggetti d’arte. All’ex numero due della Guardia di Finanza, il generale Emilio Spaziante, anche lui finito dietro le sbarre e come [……] residente a Roma, le «fiamme gialle» veneziane hanno sequestrato ben 200 mila euro in contanti, che evidentemente l’alto ufficiale solo da qualche mese in pensione, a causa delle indagini veneziane aveva dissotterrato dal suo giardino da poco perché le banconote erano ancora umide e sporche di terra. Mentre il veronese [….] è accusato di averle consegnate, assieme agli altri imprenditori del Consorzio, Spaziante deve rispondere di averle percepite: per la sua attività di copertura e di controinformazione, Baita gli aveva promesso poco più di due milioni di euro. Ne aveva già versati 500 mila e non è escluso che quei 200 mila fossero una parte della mazzetta ricevuta. Per alcuni indagati (uno di questi è il generale) i pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini hanno chiesto agli investigatori di compiere accertamenti patrimoniali. Nei documenti si legge che «il nucleo familiare di Spaziante si riduce alla giovane convivente Carmela Clima; hanno complessivamente dichiarato dal 2000 al 2011 entrate per euro 2.029.473,70 e sono state rilevate uscite per 3.791.886,37 euro, manifestando una sproporzione di 1.762.412,67 1. Appare significativo come allo Spaziante non siano ricondotte, anche per evidenti incompatibilità d’istituto, altre situazioni societarie e partecipative. In tale contesto emerge inequivocabile l’elevatissimo tenore di vita rilevabile sia dalla scheda patrimoniale (auto sportive, barche di lusso, villa con piscina, altri prestigiosi immobili) che dalle attività tecniche. In tale ultimo contesto emergono il possesso di orologi, quadri e arredi di prestigio, nonché la frequentazione di costosissimi alberghi per i suoi spostamenti in Italia (viaggi a Milano con costi del pernotto di circa 1.000 euro a notte) e all’estero (nella fattispecie Dubai, con volo in business class e trasferimento in limousine da e per l’aeroporto)». Intanto, sono arrivati i primi ricorsi al Tribunale del riesame, quelli di Andrea Rismondo (avvocato Andrea Franco), Luciano Neri (Tommaso Bortoluzzi), Stefano Tomarelli (Angelo Andreatta), Federico Sutto (Paolo De Girolami). L’udienza probabilmente sarà fissata dal Tribunale tra una decina di giorni.
Giorgio Cecchetti
Dalla villa ai giornali ecco l’impero dei Galan
Per ipmla famiglia dell’ex governatore è un’autentica dinasty milionaria mai redditi dichiarati non bastano a spiegare com’è stata costruita
L’amico venuti Giancarlo è molto spaventato perché se ti fanno un accertamento fiscale devi avere i dati messi in fila e dimostrare come hai comprato casa
VENEZIA – Società agricole tra Ravenna e Bologna, case e imbarcazioni in Croazia, energia verde, gas in Indonesia, sanità. La villa con barchessa a Cinto euganeo. «I Galan» – come vengono definiti dai pubblici ministeri Ancillotto, Buccini e Tonini negli atti – sono una Dinasty dal patrimonio milionario, investito nei campi e nei paesi più diversi. Partecipazioni societarie dirette – osservano i magistrati – o tramite prestanome,come il commercialista, amico e sodale Paolo Venuti, che in un colloquio intercettato nella sua auto descrive il capofamiglia Giancarlo, «molto spaventato…», perché «se ti fanno un accertamento fiscale: dimostrami come hai comprato la casa, cioè tu devi avere i dati messi in fila…. ». Redditometro che i finanzieri hanno fatto per conto della Procura: l’intero nucleo familiare convivente – Giancarlo Galan, la moglie Sandra Persegato, due figli – ha dichiarato dal 2000 al 2011 entrate per 1,413 milioni. Non certo da capogiro considerando che negli anni Galan è stato presidente della Regione, ministro, senatore e deputato. Ma a fronte di uscite rilevate per 2,695, con una sproporzione di 1,281 milioni: ai Galan è così ricondotta una galassia di partecipazioni, detenute anche tramite prestanome (in particolare Paolo Venuti), che secondo i magistrati – anche se non è definibili nel dettaglio – testimonierebbe una disponibilità finanziaria enormemente maggiore rispetto a quanto accertato. Non tutte finiscono tra le accuse, ma ricostruiscono il mondo-Galan. L’holding di famiglia si chiama come la figlia più piccola, Margherita Srl, al 100% dei coniugi Galan. A questa società, fanno riferimento la tenuta agricola Frassineto Sas, tra Casola Valsenio e Castel del Rio, per la procura al 70% riconducibile ai Galan, per un valore di 920 mila euro; c’è poi la San Pieri Srl, con partecipazioni nel settore energetico: il 21% della quale, per i finanzieri riferibile ai Galan per un valore di 1,323 milioni; infine il 10% (tra partecipazioni diretti e indirette) di Energia Green Power, prossima alla quotazione in borsa. Poi una fitta rete di società a scatole. C’è la Ihlf Srl partecipata da Galan al 50% attraverso la fiduciaria milanese Sirefid, operante nel settore delle consulenze sanitarie, insieme a dirigenti sanitari veneti e lombardi. C’è quindi l’Amigdala Srl (capitale sociale 50 mila euro), partecipata per il 20%dallamoglie di Galan attraverso la Sirefid, operante nel settore dei servizi finanziari. Soci sono Pvp (studio commercialistico di Paolo Venuti) e Finpiave, la holding riconducibile alla famiglia Stefanel. E, ancora, Franica Doo, società per gestire – ipotizzano gli investigatori – un patrimonio di immobili, imbarcazioni e conti correnti in Croazia. Infine Thema Italia Spa, capitale sociale 3 milioni di euro, garantito dai coniugi Venuti tramite un prestito obbligazionario sempre attraverso la Sifred, per un milione di euro: la facciata italiana di un affare da oltre 50 milioni per commerciare gas proveniente dall’Indonesia, finita nei controlli dei finanzieri, che allarmano il gruppo e il prestito rientra. Dopo una cena tra i Venuti e i Galan, nel luglio 2008, Alessandra Farina (intercettata) chiede al marito: «Cosa dici di questi affari della Sandra che sembra stia diventando miliardaria?». Venuti spiega che il gas arriva al rigassificatore di Porto Tolle. «Possibile che faccia i miliardi come dice lei?». E il marito: «O fai il colpo gobbo o non è da loro». C’è poi ovviamente la villa con barchessa di Cinto Euganeo, restaurata – secondo l’accusa – con fondi di Mantovani, che paga l’impresa restauratrice sovrastimando interventi su altri lavori: Baita paga, ma tira sul prezzo, troppo caro. «La prima occasione che ho visto il presidente Galan gli ho detto che non potevo farmi carico di tutto (1,7 milioni di restauro, ndr)…e lui mi ha chiesto solo se posso almeno venire incontro alle parcelle di Turato». Baita dichiara di aver tirato fuori 6-700 mila euro per la villa e 400 mila euro, anni dopo, per il restauro della barchessa. Galan era già ministro, ma ottiene comunque l’aiuto. Società della galassia e altre, invece, finite sotto inchiesta. «Oltre alla corresponsione di somme di denaro, il Baita era solito utilizzare anche altri mezzi», racconta l’ex fedele segretaria Claudia Minutillo in un interrogatorio, «come intestare quote di società che avrebbero poi guadagnato ingenti somme dalla realizzazione dei project financing a prestanome dei politici: Adria infrastruttiure e Pvp del Veneuti erano riconducibili a Chisso e Galan. Il mio 5% era in realtà di Chisso , mentre il 7% della Pvp era di Galan». Pvp è anche proprietaria del 70% di Nordest media, che rilevò le testate di free press del gruppo E-Polis. Ricorda ancora Minutillo: «Baita disse a Galan: facciamo una cosa del genere, tu non hai problemi ad alzare il telefono e chiedere a tutti i tuoi amici imprenditori di fare pubblicità sul giornale, lo puoi utilizzare come veicolo di informazione, ti intesto il 70% della società».
Roberta De Rossi
Perquisizione per ex generale Gdf
Il presidente di Regione Lombardia, Roberto Maroni, ha respinto le dimissioni presentategli da Mario Forchetti, ex generale della Guardia di Finanza e presidente del Comitato regionale per la trasparenza sugli appalti in Lombardia, perquisito (ma non indagato) nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Forchetti, che con il suo comitato era stato chiamato nei giorni scorsi da Maroni a verificare gli appalti legati alla sanità finiti al centro dell’inchiesta sull’Expo, «mi ha inviato una lettera in cui, molto correttamente, rimette il suo mandato- ha detto il governatore a margine di un evento -. Ho respinto le sue dimissioni perchè è accusato di essere amico di… e non sapevo che questo fosse reato». Il riferimento è al fatto che le perquisizioni sarebbero scattate per via della sua vicinanza al generale della Gdf Emilio Spaziante, coinvolto nell’inchiesta sugli appalti del Mose.«Ho piena fiducia in lui – ha concluso Maroni – continuerà a fare quello che fa».
COSì E’ SPARITO IL RIFERIMENTO DANTESCO AI POLITICI
Finanzieri a caccia dei “traditori”
L’operazione doveva chiamarsi Antenora: poi ha prevalso la cautela
VENEZIA Immersi con tutto il corpo nel ghiaccio, solo il viso – livido – rivolto verso l’alto, dopo una vita terrena passata con il cuore duro e freddo: è questo il contrappasso che Dante immagina per i traditori relegati nell’Antenora, zona del nono cerchio infernale piena di loschi individui colpevoli di aver ingannato la fede della propria patria o della propria parte politica. Ed è al sommo poeta che il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia si è ispirato nel dare il nome in codice all’indagine sui fondi neri del Mose che ha portato ai clamorosi arresti di questi giorni. Operazione Antenora: sta scritto, così, nero su bianco, sui documenti circolati all’interno della Procura. E come tale avrebbe dovuto essere presentata anche alla stampa, se non ci fosse stato un ripensamento dell’ultim’ora, per ragioni di opportunità, ché forse l’immagine dei traditori sembrava troppo forte per essere offerta ai media di tutto il mondo. Evidentemente, chi ha suggerito maggiore prudenza nell’accostamento fra i politici veneti coinvolti nell’inchiesta e i personaggi del girone dantesco, non aveva fatto i conti con Matteo Renzi. La sua accusa di «alto tradimento», lanciata dal G7 di Bruxelles nei confronti dei politici che si rendono colpevoli di reati come la corruzione, deve aver suscitato un sorriso amaro nel gruppo degli investigatori veneziani, che a ragione potrebbero rivendicare il copyright della definizione. Del resto i primi a sentirsi traditi sono stati loro, gli uomini e le donne delle fiamme gialle, quando gli indizi, i riscontri e le testimonianze raccolte hanno fatto emergere il – presunto – coinvolgimento di uno dei loro alti ufficiali di punta, il comandante in seconda della Guardia di Finanza (oggi in pensione), generale Emilio Spaziante, che figura tra gli indagati. Traditi due volte, come cittadini e come uomini delle istituzioni che fanno il proprio dovere ogni giorno, portando a casa stipendi neanche lontanamente paragonabili al tenore di vita del sistema di affari e potere sul quale hanno indagato per mesi. Non dev’essere stato facile assistere a pranzi sontuosi nei ristoranti più rinomati della laguna, dove anche un aperitivo è fuori portata per le tasche dei comuni mortali ma dove alcuni dei protagonisti dell’inchiesta avevano il tavolo fisso riservato, per discutere –anche – di mazzette e favori. E quando invece capitava che l’incontro per lo scambio di contanti avvenisse in una anonima pizzeria della terraferma, quando l’imprenditore di turno si presentava con una busta gonfia di pezzi da 5 e 10 euro per raggiungere la somma pattuita (diverse decine di migliaia di euro), il malcapitato si vedeva anche sbeffeggiare e trattare da “pezzente” perché non si era presentato con banconote di taglio superiore, quei centoni a cui i signori delle tangenti erano a quanto pare molto più abituati. Non dormono da giorni, i finanzieri dell’operazione Antenora. E da mesi ormai la cosiddetta “nuova tangentopoli” ha stravolto le loro vite, perché i risultati ai quali sono arrivati, la mole di materiale raccolto che ha convinto il gip a emettere le ordinanze di custodia cautelare – tutto da verificare e riscontrare in sede processuale, è ovvio – non sono il frutto di soffiate o semplici intercettazioni: è stata un’indagine vecchio stile, fatta di appostamenti per la strada, pedinamenti all’autogrill per assistere a incontri riservati tra alcuni dei personaggi di spicco finiti agli arresti e il presidente del Consorzio Venezia Nuova Mazzacurati, registrazioni, analisi e incrocio dei dati. E sanno che non è finita qui, che – come si dice in gergo – ci saranno altri sviluppi. Perché la marea, come ben sa chi ha progettato il Mose, quando comincia a salire è difficile da fermare.
Andrea Iannuzzi
Infrastrutture venete
il potere Mantovani sull’assessore Chisso
Minutillo gestiva i rapporti con l’ex assessore dando ordini e ottenendo notizie sui project financing di tutta la regione
In un ufficio del Consiglio regionale l’ultima consegna di denaro del Consorzio
ALTI BUROCRATI «Incarichi a Fasiol per fidelizzarlo» dopo che alcune deleghe erano state sottratte a Vernizzi e destinate al suo vice e naturale successore
VENEZIA – L’ultima consegna porta la data del 7 febbraio 2013, appena due settimane prima dell’arresto di Piergiorgio Baita: l’incontro tra il factotum del Grande Corruttore Giovanni Mazzacurati e l’assessore regionale. L’incontro tra Federico Sutto e Renato Chisso avviene in un ufficio di Palazzo Ferro Fini a Venezia, la sede del consiglio regionale. Lo scopo, secondo le testimonianze raccolte dai magistrati, sarebbe stato quello di consegnare una tangente di 150 mila euro al politico. I soldi direttamente provenienti dall’ennesima «retrocessione » di una fattura della società Linktobe alla Mantovani. Due settimane più tardi scoppia il caso Mantovani e le consegne si interrompono. Persino il flusso di fondi neri che puntualmente l’azienda – oggi guidata dall’ex questore Carmine Damiano – accantonava si interrompe. Ma dalle oltre settecento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal magistrato Alberto Scaramuzza emerge un quadro inquietante nei rapporti che si sarebbero instaurati tra il mondo delle imprese che ruotavano attorno al Consorzio Venezia Nuova a l’ex assessore alle infrastrutture. Un ritratto che descrive «il totale asservimento » del politico alle esigenze del Consorzio e della Impresa Mantovani, la più importante del cartello. Non solo lo stipendio fisso che avrebbe percepito Chisso (dai 250 ai 300 mila l’anno alla fine degli Anni Novanta in poi) e l’ex governatore Giancarlo Galan (un milione l’anno). Ma un rapporto stabilimente subordinato ai voleri del Consorzio Venezia Nuova e della Mantovani, principale azionista del cartello che sta costruendo il Mose. Dal Passante di Mestre alla Superstrada Pedemontana, dall’Autostrada del mare alla Nuova Valsugana, dalla Nogara mare alla Romea commerciale sino al nuovo ospedale di Mestre. Un insieme di infrastrutture realizzate o in corso di realizzazione attraverso il sistema di copartecipazione del capitale privato all’opera pubblica. Procedure che facevano riferimento alla struttura tecnica regionale delle Infrastrutture controllatada Chisso. L’ordinanza rivela il rapporto molto stretto tra Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan diventata presidente di Adria Infrastrutture (società del gruppo Mantovani), e Renato Chisso. Ma dove sembra essere la donna a «dare ordini» al politico: «Sei sempre a mangiare da Ugo: alza il culo e vieni qua» sentono dire gli investigatori della Guardia di finanza che hanno sbobinato migliaia di telefonate. Negli uffici della società privata, l’8 gennaio 2013, l’assessore prende appunti: Claudia Minutillo lo rimprovera dicendo che sta perdendo consenso, perché «non dà più risposte». «Baita dice: io vorrei capire se Renato ha abdicato ad un certo ruolo» sibila la Minutillo, preoccupata della lentezza con cui vanno avanti le pratiche sulle infrastrutture. E fa l’elenco: accordo di programma, tangenziali venete, autostrada del mare, Strada regionale 10, Sisco». Chisso, puntuale, prende nota su un foglietto. Ma si capisce che non è più il Chisso di una volta, preoccupato e sempre più stretto nelle procedure da un ambiente politico circostante che stava cambiando rapidamente: Berlusconi non è più al governo, Galan fa il parlamentare, Zaia ha preso il posto del governatore e non c’è feeling. Appena un anno prima Chisso si vantava al telefono di concordare le procedure per una gara prima con Mantovani e poi di informare il presidente Zaia: «Chisso discuteva dei progetti della Regione preventivamente con la Mantovani, poi facendoli sviluppare dagli uffici regionali secondo i dettami della Mantovani ». La struttura regionale di controllo sarebbe stata asservita agli interessi della Mantovani e delle altre imprese amiche. Per fare questo, già a partire dal 2006 sarebbero state trasferite alcune delicate competenze dal settore ambiente a quello infrastrutture, direttamente sotto l’egida di Silvano Vernizzi e del suo braccio destro Giuseppe Fasiol. Proprio il ruolo di questo manager rodigino, erede naturale di Vernizzi, è uno dei punti nodali dell’inchiesta. I magistrati hanno ricostruito dalle testimonianze e dalle intercettazioni che «Fasiol andava ulteriormente fidelizzato» e per questo gli fanno avere incarichi di collaudo remunerativi, facendogli credere che siano avvenuti per intercessione di Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo, con l’avallo politico di Chisso e Galan.
Daniele Ferrazza
La Cgil: «Serve un patto per la legalità»
VENEZIA – Immersi con tutto il corpo nel ghiaccio, solo il viso – livido – rivolto verso l’alto, dopo una vita terrena passata con il cuore duro e freddo: è questo il contrappasso che Dante immagina per i traditori relegati nell’Antenora, zona del nono cerchio infernale piena di loschi individui colpevoli di aver ingannato la fede della propria patria o della propria parte politica. Ed è al sommo poeta che il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia si è ispirato nel dare il nome in codice all’indagine sui fondi neri del Mose che ha portato ai clamorosi arresti di questi giorni. Operazione Antenora: sta scritto, così, nero su bianco, sui documenti circolati all’interno della Procura. E come tale avrebbe dovuto essere presentata anche alla stampa, se non ci fosse stato un ripensamento dell’ultim’ora, per ragioni di opportunità, ché forse l’immagine dei traditori sembrava troppo forte per essere offerta ai media di tutto il mondo. Evidentemente, chi ha suggerito maggiore prudenza nell’accostamento fra i politici veneti coinvolti nell’inchiesta e i personaggi del girone dantesco, non aveva fatto i conti con Matteo Renzi. La sua accusa di «alto tradimento», lanciata dal G7 di Bruxelles nei confronti dei politici che si rendono colpevoli di reati come la corruzione, deve aver suscitato un sorriso amaro nel gruppo degli investigatori veneziani, che a ragione potrebbero rivendicare il copyright della definizione. Del resto i primi a sentirsi traditi sono stati loro, gli uomini e le donne delle fiamme gialle, quando gli indizi, i riscontri e le testimonianze raccolte hanno fatto emergere il – presunto – coinvolgimento di uno dei loro alti ufficiali di punta, il comandante in seconda della Guardia di Finanza (oggi in pensione), generale Emilio Spaziante, che figura tra gli indagati. Traditi due volte, come cittadini e come uomini delle istituzioni che fanno il proprio dovere ogni giorno, portando a casa stipendi neanche lontanamente paragonabili al tenore di vita del sistema di affari e potere sul quale hanno indagato per mesi. Non dev’essere stato facile assistere a pranzi sontuosi nei ristoranti più rinomati della laguna, dove anche un aperitivo è fuori portata per le tasche dei comuni mortali ma dove alcuni dei protagonisti dell’inchiesta avevano il tavolo fisso riservato, per discutere –anche – di mazzette e favori. E quando invece capitava che l’incontro per lo scambio di contanti avvenisse in una anonima pizzeria della terraferma, quando l’imprenditore di turno si presentava con una busta gonfia di pezzi da 5 e 10 euro per raggiungere la somma pattuita (diverse decine di migliaia di euro), il malcapitato si vedeva anche sbeffeggiare e trattare da “pezzente” perché non si era presentato con banconote di taglio superiore, quei centoni a cui i signori delle tangenti erano a quanto pare molto più abituati. Non dormono da giorni, i finanzieri dell’operazione Antenora. E da mesi ormai la cosiddetta “nuova tangentopoli” ha stravolto le loro vite, perché i risultati ai quali sono arrivati, la mole di materiale raccolto che ha convinto il gip a emettere le ordinanze di custodia cautelare – tutto da verificare e riscontrare in sede processuale, è ovvio – non sono il frutto di soffiate o semplici intercettazioni: è stata un’indagine vecchio stile, fatta di appostamenti per la strada, pedinamenti all’autogrill per assistere a incontri riservati tra alcuni dei personaggi di spicco finiti agli arresti e il presidente del Consorzio Venezia Nuova Mazzacurati, registrazioni, analisi e incrocio dei dati. E sanno che non è finita qui, che – come si dice in gergo – ci saranno altri sviluppi. Perché la marea, come ben sa chi ha progettato il Mose, quando comincia a salire è difficile da fermare. Chisso e Galan all’inaugurazione di un’opera a sotto Fasiol e Minutillo «Il vasto sistema di corruzione che si è sviluppato all’ombra del Mose e che vede coinvolti esponenti politici, imprenditori, alte cariche pubbliche a tutti i livelli deve indurre le forze sane del Veneto a stringere un Patto per la legalità improntato alla moralizzazione della politica e dell’economia». Lo afferma Elena Di Gregorio, segretario della Cgil veneta (nella foto operai del Mose al lavoro). La Cgil evidenzia «la necessità di un confronto con le istituzioni e le forze sociali per il superamento del sistema delle deroghe, dei regimi di eccezionalità delle opere, del facile ricorso a strumenti quali il project financing permeabili a pratiche di corruzione».
Andrea Iannuzzi
«La sicurezza del Mose non è garantita»
Fellin: costretto ad andarmene perché criticai le cerniere. Di Tella: paratoie testate solo in vasca, senza modelli matematici
VENEZIA «Che ci sia un problema di sicurezza per le paratie del Mose? È possibile. Perché ricordo bene che quei pareri positivi erano rilasciati con una certa leggerezza. Con qualche stranezza, cioè che erano i progettisti a pagare i consulenti che dovevano giudicare i loro progetti ». Un sistema che «oliava» i passaggi decisivi per far andare avanti l’opera. Pareri e valutazioni sempre positivi, anche quando i dubbi tecnici erano tanti. E chi osava criticare, veniva mandato via. «Io me ne sono andato», racconta l’ingegner Lorenzo Fellin, esperto di sistemi elettrici chiamato nel Comitato tecnico di magistratura, organo interno al Magistrato alle Acque che dava il via libera ai progetti della salvaguardia. «Meglio, ho dovuto andarmene perché non ero ascoltato e non era possibile il dibattito in quella sede. Quando sollevai la questione delle cerniere, il cuore tecnologico del sistema Mose, venni zittito in malo modo dal presidente Cuccioletta». E la proposta delle cerniere venne approvata senza dibattito». Eppure Fellin, insieme al suo collega trevigiano Armando Memmio, strutturista, aveva sollevato dubbi non da poco su quella parte delle dighe mobili. Strutture tecnologiche essenziali per il funzionamento delle dighe. Il Consorzio Venezia Nuova aveva proposto le cerniere saldate in due pezzi affidandole alla società padovana Fip, di proprietà della Mantovani e della famiglia Chiarotto. Fellin, unico esperto di impiantistica nella commissione, si era opposto. «La letteratura internazionale ci dice un’altra cosa », aveva obiettato. «Meglio le cerniere fuse in unico blocco, le altre sono più a rischio di rottura sott’acqua e hanno bisogno di maggiore manutenzione ». Nessuno lo aveva ascoltato. E anche Maria Giovanna Piva, la presidente che lo aveva nominato – anche lei adesso arrestata nell’inchiesta – era stata rimossa e trasferita a Bologna. Le cerniere – in parte già installate sul fondo della bocca di Lido – sono state poi affidate alla Fip. All’inaugurazione del prototipo nella fabbrica di Selvazzano erano presenti il ministro Matteoli, il presidente Cuccioletta, il presidente della Regione Galan. Ma chi ha certificato la sicurezza delle cerniere? «Tutto è stato risolto », aveva commentato allora il Consorzio, «il problema potrà essere forse una manutenzione più accurata». Non è l’unico dubbio nella sicurezza della grande opera. Nel 2009, penultimo anno dell’amministrazione Cacciari, il Comune aveva commissionato alla società internazionale di ingegneria Principia uno studio sulla sicurezza e il funzionamento delle paratoie in caso di maltempo e di eventi estremi. La società francese aveva sottolineato il rischio di «risonanza» della schiera di paratoie nei momenti di cattivo tempo. Un dubbio già evidenziato dai cinque esperti internazionali, che pure avevano promosso l’opera, nominati nel 1996 dall’allora ministro Paolo Baratta. Ma anche in questa occasione il presidente Cuccioletta aveva respinto al mittente ogni critica. Commissionando un nuovo parere a esperti di fiducia che aveva escluso ogni rischio. «Non hanno mai accettato», ricorda l’ex dirigente della Legge Speciale del Comune Armando Danella, «un confronto pubblico con i nostri scienziati». Dubbi rilanciati dall’ingegnere Vincenzo Di Tella, esperto di tecnologie marine autore di un progetto alternativo al Mose – le Paratoie a gravità – molto meno costoso e impattante, presentato da Cacciari al governo e mai preso in considerazione. «A parte il lievitare dei costi dei materiali rispetto al nostro progetto», dice Di Tella, «esiste un reale problema di sicurezza. Perché il progetto delle paratoie è basato solo sulle prove in vasca senza modelli matematici. E questo fa sorgere ragionevoli dubbi sulla tenuta delle cerniere». Anche qui il Consorzio rassicura. Ed è possibile che alla fine i problemi siano risolti. Ma adesso sono in tanti a chiedere una revisione di tutte le autorizzazioni rilasciate. Comprese le Valutazioni di impatto ambientale che ora si è scoperto provenire da uffici e dirigenti corrotti.
Alberto Vitucci
Fabris: prima finire i lavori poi decida il Parlamento
Il successore di Mazzacurati al Consorzio Venezia Nuova risponde alle accuse di Baita mentre crescono le pressioni per rivedere il sistema. Il M5s: «Troppe opacità»
VENEZIA «Il primo obiettivo è completare l’opera. Sul resto, compreso un eventuale commissariamento, decidano il governo e il Parlamento». Si limita a rispondere così, il presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris, agli attacchi che vengono da più parti e alle richieste di sciogliere la struttura. «Ci rimettiamo alle decisioni del governo», dice Fabris, «ma ricordiamoci che il Mose è una grande opera di ingegneria che tutto il mondo ci invidia ». Un tentativo di voltare pagina dopo gli arresti dei vertici del Consorzio che ora sembra di nuovo in alto mare. Gli azionisti avevano individuato in Fabris, politico di lungo corso di area centrista, la persona ideale per dare un’immagine diversa del gruppo finito nel mirino dei magistrati. Come direttore era stato nominato Hermes Redi, ingegnere padovano già consulente del Consorzio negli anni precedenti. Ma la nuova bufera ha travolto come un tifone i timidi tentativi di ricrearsi un’immagine avviati dalla nuova dirigenza. Ultima l’offerta di «restituire » alla città i bacini di carenaggio e l’area nord dell’Arsenale, affidata al Consorzio per la manutenzione del Mose dal Demanio nel 2005 con il benestare della commissione regionale di Salvaguardia presieduta da Giancarlo Galan. Adesso sono in tanti a chiedere una revisione completa di autorizzazioni e pareri che hanno consentito al Mose di andare avanti. Superando ogni momento critico per decisione politica o di organi tecnici del ministero dei Lavori pubblici, della Corte dei Conti e della Regione, oggi sotto inchiesta. «Vanno chiariti subito tutti gli aspetti opachi della vicenda », chiedono i parlamentari Cinquestelle Endrizzi e Da Villa, «in particolare la mancanza di una Via favorevole e di un progetto esecutivo generale, l’elusione della normativa in materia di gare e appalti, alla triplicazione dei costi e alle varianti in corso d’opera. per tacere della violazione sistematica della normativa di tutela ambientale e paesaggistica da parte degli uffici regionali che cumulavano le competenze in tema di trasporti ma anche di ambiente, paesaggio e valutazione ambientale».
Alberto Vitucci
La Corte dei conti ora indaga su anni di controlli mancati
Dopo l’arresto di un magistrato contabile, ora primo rapporto in due settimane
Renzi: Daspo agli imprenditori. Prodi: «Progetto concepito prima del mio governo»
ROMA – La Corte dei conti ha istituito una commissione di indagine sul Mose dopo che le indagini hanno contemplato anche l’arresto di un ex magistrato contabile al lavoro a Venezia, Vittorio Giuseppone. La decisione è stata presa dal presidente della Corte, Raffaele Squitieri, sentito il consiglio di presidenza, e d’intesa con il Procuratore generale. La commissione, informa una nota, avrà il compito di condurre accertamenti su «tutte le procedure di controllo effettuate negli anni in merito all’opera» oltre che di verificare «gli atti e le relative risultanze».A presiederla è stato nominato il Presidente di sezione Adolfo De Girolamo. Squitieri ha chiesto un primo rapporto entro quindici giorni. Ieri, inoltre, il Procuratore generale, Salvatore Nottola,ha aperto un fascicolo «atti relativi alla vicenda del Mose ed eventuali responsabilità di magistrati della Corte dei conti». Nella nota Squitieri ribadisce che «eventuali casi individuali di corruzione o comportamenti illeciti da parte di magistrati della Corte, di per sè gravissimi e lesivi dell’onorabilità dell’istituzione, vanno individuati e puniti con la massima sollecitudine e severità, e che la Corte assicura alla magistratura ordinaria tutto il supporto tecnico che si ritenga necessario da parte degli inquirenti». Prodi si difende. «Trovo singolare che invece di prendersela con chi si è lasciato corrompere e ha speculato sui lavori del Mose, sempre che la magistratura confermi quanto è emerso fino ad ora dalle indagini, ce la si voglia prendere con chi ha consentito che un’ opera fondamentale per la salvezza di Venezia andasse avanti ». Lo afferma l’ex premier Romano Prodi replicando alle critiche che gli sono state mosse ieri, sul nostro giornale, dall’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. «Il progetto del Mose, preesistente al governo da me presieduto», continua Prodi, «fu discusso e esaminato dal Comitato di coordinamento per la salvaguardia di Venezia e della laguna in numerosissime riunioni e fu approvato da una larghissima maggioranza dei componenti. Non procedere alla sua realizzazione sarebbe stato del tutto assurdo e irragionevole». Cantone: non mi occupo di Mose. «Sull’Expo può avere un senso perchè ci sono termini stretti, sul Mose i temi sono già da tempo superati». Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, intervistato da Radio 24, esclude l’ipotesi di potersi occupare dell’inchiesta del Mose. Renzi: Daspo per gli imprenditori. Dovrebbero arrivare venerdì prossimo sul tavolo del Consiglio dei ministri un decreto e un disegno di legge anticorruzione. Il decreto conterrà i poteri dell’autorità nazionale presieduta da Raffaele Cantone. Il disegno di legge potrebbe introdurre una sorta di “Daspo” da uffici e appalti pubblici non solo per i politici ma anche per gli imprenditori. Si tratterebbe, in particolare, di rafforzare le regole che già esistono. E intervenire anche sulle regole per gli appalti. Il Procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, chiede un intervento sulla prescrizione. Bersani: ore di avvilimento. «Sono ore di avvilimento. È chiaro che emergono dei comportamenti criminali che, se confermati, meritano una punizione molto severa e emergono anche dei meccanismi criminosi». Lo ha detto l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, a Cagliari per l’inaugurazione di una mostra dedicata a Enrico Berlinguer. «Bisogna che ci convinciamo che, se non si cambiano certi meccanismi, combattere la corruzione è come andare a cavare l’acqua dal mare con un secchio», ha aggiunto Bersani, «basta anche con queste legislazioni speciali. E intanto se ci sono dei ladri cerchiamo di punirli». Riferendosi poi alla «questione morale» affrontata, a suo tempo, da Berlinguer, l’onorevole Bersani ha ricordato che il leader comunista «diede un grande messaggio politico: se i sistemi politici non sono sbloccati e diventano paludosi, provocano corruzione ».
Expo, scontro sui contratti della Maltauro
«Non sono stati rilevati elementi sufficienti a motivare la risoluzione dei contratti. L’impresa Giuseppe Maltauro porterà avanti l’esecuzione dei contratti aggiudicati». Lo comunica la stessa Maltauro, che rende pubblica una nota di Expo 2015. Mentre il cda dell’azienda propone un’azione di responsabilità contro Enrico Maltauro, Roberto Maroni è stupito: «La responsabilità del sito è nelle mani del Governo; ne prendo atto».
Il senatore pd casson alla videochat del nostro giornale
«Zaia mandava Artico al Senato per concordare i lavori alle dighe»
«Io al posto del sindaco Orsoni? No, grazie. Sto bene al Senato a Roma e non mi piace la riforma Renzi»
PADOVA – Dopo l’arresto del sindaco Giorgio Orsoni che succederà a Venezia? C’è chi invoca il senatore Felice Casson per la poltrona di Ca’ Farsetti: l’ex magistrato ha il profilo giusto per salvare la città dai gorghi del Mose. Ma lui, prima di iniziare la videochat al nostro giornale molto seguita dai lettori, risponde con un sorriso e una battuta. «No, grazie, sto benea Roma,al Senato della Repubblica e farò di tutto per salvarlo dalla riforma Renzi. Siamo stati noi a bloccare la legge bavaglio sulla stampa che prevedeva anche l’arresto dei giornalisti. La Camera l’aveva licenziata: se fosse passata non avreste potuto raccontare l’inchiesta Expo di Milano e quella del Mose di Venezia: la libertà di informazione è sacra e inviolabile, come altri diritti inalienabili della persona garantiti dalla Costituzione. Tocca al Senato vigilare». Altra domanda fuori onda: cosa ne pensa di Massimo Bitonci, capogruppo al Senato della Lega, che vuole fare il sindaco di Padova? «Ma è un mio collega? Non conosco la sua voce al Senato ». Come si può sradicare il sistema di corruzione così diffuso? Serve il Daspo come dice Renzi? O va ripristinato il falso in bilancio con l’autoriciclaggio e l’inasprimento delle pene? Ecco la riposta di Casson: «Le leggi ci sono, vanno solo applicate. Credo sia fondamentale intervenire sui meccanismi di prescrizione che rischiano di vanificare l’azione penale della magistratura. Qui bisogna intervenire in fretta, altrimenti i processi con le condanne saranno inutili. I magistrati hanno fatto un lavoro eccezionale durato anni: le confessioni di Baita e Mazzacurati hanno trovato conferma con le rogatorie internazionali, i passaggi di denaro sono documentati. Lavoro egregio, lo dico da ex pm e giudice istruttore». Qual è il peccato originale del Mose: la concessione unica al Consorzio Venezia Nuova? «Certo, l’errore sta in quella scelta, che ha spalancato le porte alla degenerazione del sistema. I costi sono lievitati da 1 a 5,5 miliardi e la manutenzione delle paratoie costerà almeno 20-25 milioni l’anno. Ho sempre espresso perplessità su quest’opera e condiviso i dubbi e le critiche delle associazioni ambientaliste e dei comitati, e alle ultime primarie del centrosinistra nel 2010 ho sostenuto Bettin e non Orsoni», dice il senatore Casson. Se ilPdè rosso di vergogna, il Pdl invoca il garantismo mentre la Lega esulta perché nessuno dei suoi è finito in manette. Eppure Renato Chisso è assessore nella giunta Zaia e in Regione hanno fatto una retata di dirigenti, alcuni dei quali già arrestati nel 1992 e tornati al loro posto come Chisso:lei che ne pensa? «Luca Zaia non si può chiamare fuori, sapeva tutto del Mose tramite Chisso e Giovanni Artico, funzionario arrestato: era lui il supertecnico del Mose che il governatore veneto della Lega inviava al Senato per decidere i finanziamenti e l’ avanzamento dei lavori. La commissione Ambiente di Palazzo Madama ha provato a mettere dei paletti, ma alla fine Artico concordava tutto con Pdl e Lega. E ora abbiamo capito come funzionava il meccanismo. Altro capitolo: i controlli. L’Europa ha chiesto all’Italia che i controlli ambientali sui lavori del Mose fossero affidati ad un organo non coinvolto nei lavori ma, grazie all’intervento dell’assessore Renato Chisso, il monitoraggio è tornato sotto il controllo di quegli uomini che in Regione Veneto venivano regolarmente stipendiati dal Consorzio Venezia Nuova proprio perché non creassero problemi. La regia va cercata a Palazzo Balbi».
(al.sal.)
La città senza sindaco si cerca una via d’uscita
Senza un provvedimento ad hoc del governo non sarà possibile votare prima della primavera 2015. Lo spettro del commissario spaventa i partiti
MESTRE – Tutti i futuri scenari sono legati in Comune alle scelte del sindaco Giorgio Orsoni (dimettersi o resistere) e alla capacità della reggenza provvisoria, affidata a Sandro Simionato, di arrivare a votare il bilancio, entro il prossimo 31 luglio. Il vicesindaco ci prova, con l’appoggio dei partiti del centrosinistra, forte del fatto che «l’amministrazione non è coinvolta nelle vicende giudiziarie», dice da Ca’ Farsetti Simionato. La maggioranza di centrosinistra, per ora, mette da parte tentennamenti e opportunità per stare unita e portare in porto il bilancio. Poi tutti a casa, questa è una prima ipotesi o, se va bene, si resiste fino a scadenza naturale dell’amministrazione. «Ci prendiamo la responsabilità di portare in porto il Bilancio », dicono dai partiti, dal Pd all’Udc. La scadenza naturale della giunta Orsoni è quella della primavera 2015. La prima data utile per le elezioni coincide al momento con le prossime elezioni amministrative di aprile 2015. In tempi di spending review, le nuove norme elettorali concedono una sola “finestra”, quella primaverile. Un anticipo del voto? Possibile solo se interviene il Ministero con un decreto legge. Altra strada tutta da sondare sono le opportunità date dalla nascita della città metropolitana che non potrà certo decollare con un sindaco sospeso e indagato. Una delle alternative delle prossime ore potrebbero essere le dimissioni in blocco dei consiglieri di maggioranza se sarà evidente che non si riuscirà a chiudere il bilancio. Sempre in ballo è la possibilità che Orsoni si dimetta: allora giunta e Consiglio vanno a casa e arriva il commissario ad occuparsi del bilancio. Ipotesi, questa, che fa paura a taluni, che temono tagli con la mannaia del burocrate e il rischio di penalizzare welfare e servizi al cittadino ma non del tutto insensata per altri, che forse avrebbero preferito non aggiungere anche una cura «da lacrime e sangue» (almeno 40 milioni da reperire per il bilancio di previsione) alle note di demerito da parte dei cittadini nei confronti di un Comune rimasto senza sindaco per lo scandalo delle tangenti Mose. Un pensiero di opportunità: se tagli pesanti tocca fare, specie dopo il fermo alla vendita del casinò, allora che li faccia un commissario. Pensieri per ora rientrati dalla responsabilità di voler votare il bilancio. Infine l’ipotesi “limbo”, che è tutt’altro che facile. La sospensione di Orsoni e la reggenza provvisoria di Simionato potrebbe durare fino a quattro mesi (tre di custodia cautelare più uno in caso di proroga) e dopo questo periodo il sindaco potrebbe tornare a Ca’ Farsetti. Tutti si augurano che Orsoni riesca a dimostrare la sua innocenza ma se torna al suo ruolo di sindaco, il problema diventa anche di opportunità politica. Il centrosinistra resterà al suo fianco e come? Del resto, tutti lo ammettono tra le righe: questo tsunami giudiziario in laguna è stato davvero un duro colpo all’immagine dell’amministrazione. Il quesito di fondo è anche questo.
(m.ch.)
Gazzettino – Baita e Mazzacurati: milioni a Galan e Chisso e loro “risolvevano”
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6
giu
2014
A volte tornano: Baita, Casarin e Brentan riecco i “facilitatori”
Negli ultimi decenni Baita è apparso più volte nelle cronache giudiziarie, sempre per tangenti
LE CARTE – Sempre gli stessi i “facilitatori” del sistema tangentizio
Eccoli di nuovo. Sembra di tornare indietro di vent’anni. E di nuovo troviamo Piergiorgio Baita. E di nuovo Enzo Casarin. Uno allora vicino alla Dc e l’altro al Psi. E naturalmente nel mazzo c’è anche uno del Pci, Lino Brentan, che finisce agli arresti domiciliari per la seconda volta e nel giro di un paio di anni, mentre agli altri due ce ne sono voluti 20 per tornare dietro le sbarre. Ma è chiaro che è tutto come prima, solo più raffinato, più “oliato”, più perfetto. Vent’anni fa Baita & Co. erano apprendisti stregoni della mazzetta, adesso sono diventati professionisti. Adesso il “nero” si fa creando un giro vorticoso di società che fanno da cartiere nel senso che producono solo fatture senza alcun corrispettivo dal punto di vista del lavoro e alla fine su queste fatture si chiede pure il rimborso Iva, che non si sa mai. Partiamo da Piergiorgio Baita, che è un genio degli appalti, uno dei manager più abili e forse il più importante d’Italia, uno che da del tu al ministro di turno e che viaggia sul milione di euro di stipendio. Baita viene arrestato la prima volta nel luglio 1992, quando era un semplice direttore di un banale ente come il Consorzio Venezia Disinquinamento. Aveva 44 anni, allora, e grazie a lui i magistrati veneziani Carlo Nordio, Felice Casson e Ivano Nelson Salvarani avevano ricostruito la trama delle tangenti nel Veneto del presidente Dc della Regione, Franco Cremonese. Baita aveva spiegato che esisteva un accordo spartitorio tra il Psi di Gianni De Michelis e i dorotei della Dc – Bernini e Cremonese – accordo che coinvolgeva anche il Pci. Baita aveva spiegato che la Maltauro per lavorare si era scelta come referente la Dc, mentre Grassetto e Ccc erano sponsorizzate dal Psi e la Lega delle Cooperative era un tutt’uno con il Pci-Pds. Era il 1992. Vent’anni dopo Baita ri-spiega ai magistrati il meccanismo e pare di leggere in fotocopia quel che ha raccontato allora. Non è cambiato nulla. La politica ha bisogno di soldi per vivere e i soldi li hanno solo gli imprenditori, i quali, se vogliono lavorare, sono costretti a pagare la politica. Non se ne esce. Poi vai a vedere se è nata prima la gallina della concussione – cioè la richiesta di denaro da parte del politico – o l’uovo della corruzione – l’imprenditore che paga per lavorare, ma il succo non cambia.
Passiamo ad Enzo Casarin, 60 anni compiuti il 13 febbraio. Anche per lui è un ritorno alle origini, ma in sedicesimo rispetto a Baita. Per capirci è come fare un paragone tra il generale Patton e il maresciallo di una caserma dell’esercito. Casarin viene arrestato per mazzette, in Comune a Martellago – di cui è sindaco – la prima volta nel 1993 e se ne esce patteggiando due anni di galera. Viene ri-arrestato nel 1995 e ancora per mazzette, ma alla fine riesce a cavarsela con la prescrizione. In politica da quando aveva i calzoni corti – inizia come extraparlamentare nelle fila di Avanguardia Operaia – Casarin si avvicina al partito socialista area Umberto Carraro di cui diventerà segretario in Regione – quando Carraro era vicepresidente della Giunta. Poi nella segreteria di Chisso da sempre, Quello dell’altro ieri è il suo terzo ingresso in carcere. Infatti era il più tranquillo, il ritratto della seraficità. Più nervoso invece il terzo protagonista della saga “rieccoli!”. Parliamo di Lino Brentan, che torna agli arresti domiciliari dopo aver subito la stessa misura nel luglio 2012 ed essersi già beccato una condanna a 4 anni di galera per le mazzette incassate quando era l’amministratore delegato della Venezia-Padova. In quel caso l’inchiesta era partita da una precedente indagine sulle mazzette in Provincia. Dalla Provincia a Brentan e da Brentan alla Mantovani e al nuovo arresto legato ai lavori relativi alla mitigazione ambientale sulla terza corsia dell’autostrada. Secondo l’accusa Brentan “induceva Piergiorgio Baita della Mantovani e Mauro Scaramuzza della Fip Spa, che avevano presentato una offerta migliore a rinunciare ad un ricorso”. Non solo, Brentan avrebbe poi “indotto lo Scaramuzza ad eseguire le opere in subappalto da Sacaim ad un costo fuori mercato deciso dal Brentan medesimo”, infine Brentan si faceva pure consegnare da Scaramuzza 65 mila euro. Insomma Brentan fa e disfa come vuole e, in più si fa pagare, costringendo Baita a fare marcia indietro e a perdere l’appalto. Di solito era lui, Baita, ad averla vinta e questa forse è la prima volta che esce sconfitto dallo scontro con il potentissimo Lino Brentan, 66 anni, da sempre il numero uno del Pci-Pds,Ds,Pd dalle parti della Riviera del Brenta.
Maurizio Dianese
IL CONFORMISTA di Massimo Fini
Lo scandalo Mose è la rappresentazione dell’Italia di oggi
Due giugno, Festa della Repubblica. Il Presidente Napolitano ha fatto, tutto festante, un bagno di folla traendone i più beneauguranti auspici (bisognerebbe stare attenti ai bagni di folla, visto i precedenti). Il premier Renzi si è fermato ad accarezzare i bambini (bisognerebbe stare attenti a strumentalizzare i bambini ad uso di propaganda politica, visto i precedenti) e poi si è fermato a prendere un caffè in un bar dell’Ara Coeli, sotto i flash dei fotografi, per far vedere che lui è ‘uno come tutti gli altri’. A Parigi qualche anno fa ho visto Carla Bruni in un bistrot, insieme a dei suoi amici, era lì per divertirsi non per far vedere che anche una ‘Première dame’ può fare una vita normale. Sarebbe bene che i nostri uomini politici non facessero ‘bagni di folla’ o perlomeno che non li facessero tra gente che agita bandierine predisposta ad osannarli, come avviene nei regimi. A me basterebbe vederli, almeno una volta, in un cine nascosti fra il pubblico. Forse si renderebbero meglio conto degli umori dei cittadini.
Due giugno, Festa della Repubblica. Cosa c’è da festeggiare? Per almeno 35 dei suoi 68 anni, e quindi più della metà, la Repubblica italiana ha vissuto stagioni orribili. Quella delle stragi, da piazza Fontana (1969) a Brescia, a Bologna, a Ustica. Poi abbiamo avuto il ‘terrorismo rosso’, il più feroce e spietato dei terrorismi interni in Europa. La Democrazia Cristiana non l’affrontò sul campo, contando, come suo solito, che il fenomeno si esaurisse da solo, per il Pci erano ‘compagni che sbagliano’, parte del Psi, per snobismo intellettuale, ne era addirittura contiguo (Giampiero Mughini si vanterà, in un libro, che un comunicato di Morucci e Faranda fosse stato scritto nella sua cucina, con la sua Lettera 32). Così da noi il terrorismo, a differenza di quanto è successo in Germania o in Francia, è durato dieci anni, più o meno fino all’assassinio del mio fraterno amico Walter Tobagi, cui nessuna Festa della Repubblica ridarà la vita.
Poi sono venuti gli anni socialisti, gli anni della ‘Milano da bere’. Per la verità se la bevevano solo i socialisti. Perché Don Rodrigo stava a Roma ma molti suoi vassalli spadroneggiavano a Milano fino a ‘torre le donne altrui’ in cambio di una conduzione o di una comparsata a Rai Uno e Due di cui si erano nel frattempo impadroniti. Sono gli anni del voto di scambio, clientelare, delle ‘pensioni baby’, delle pensioni fasulle di vecchiaia, delle false pensioni di invalidità, delle ‘pensioni d’oro’ in cui abbiamo accumulato una parte di quel debito pubblico che oggi grava sui ceti più deboli. L’altra parte è venuta fuori con Mani Pulite: non c’era appalto, nella festosa Repubblica, che non fosse gravato da una tangente politica, 630mila miliardi di ruberie il cui costo è ricaduto sulla testa dei cittadini perché gli imprenditori rincaravano i prezzi in proporzione.
All’inizio della Repubblica c’era una sola mafia, cui peraltro il fascismo aveva tagliato le unghie. Oggi ce ne sono quattro: la mafia propriamente detta, la camorra, la Sacra Corona Unita e la mafia calabrese che, a differenza della vecchia, cara e mai troppo rimpianta ‘mala’ meneghina, non si vede, perché ha alzato il livello e fa affari con i politici e gli amministratori.
La principale responsabilità del ventennio berlusconiano è di aver tolto agli italiani quel poco di senso della legalità che gli era rimasto. Oggi, nella festosa Italia repubblicana, c’è gente, già miracolata perché occupa posti di prestigio e benissimo remunerati senza alcun merito, che si vende per un pranzo in un bel ristorante, per una mutanda chic. Una escort ha più dignità. Lo scandalo recentissimo del Consorzio Nuova Venezia, in cui sono coinvolti personaggi politici e amministratori, di alto e basso livello, ne è una rappresentazione plastica.
A noi ci ha rovinato il benessere. Nel 1960, sedicenne, entrai per la prima volta in un Supermarket. Mi pareva il Paese di Bengodi. Era invece il cavallo di Troia che entrava in città e ci avrebbe tolto, per sempre, l’innocenza.
I VERBALI – Le confessioni ai pm degli ex presidenti di Mantovani e di Consorzio Venezia Nuova
BOTTA E RISPOSTA – Lei pagava il politico oppure il partito? «Per il partito, poca roba»
«Per l’approvazione in Commissione Via delle dighe in sasso furono chiesti 900mila euro»
«E per l’ok al progetto definitivo in Salvaguardia, furono richiesti ulteriori 900mila euro»
Baita e Mazzacurati: milioni a Galan e Chisso e loro «risolvevano»
FINO ALLA FINE «L’ultima corresponsione l’ho fatta un mese prima dell’arresto di Baita»
IL SISTEMA «Cominciai a pagare Chisso alla fine degli anni Novanta»
L’UOMO MACCHINA Giovanni Mazzacurati ammette «di aver dato soldi ma mai direttamente a Galan»
Il romanzo delle tangenti veneziane ha un capitolo introduttivo fondamentale. È costituito da parole che scottano, accuse che vengono da persone inserite nel sistema, anzi cuore del sistema delle elargizioni. Ovvero, Piergiorgio Baita, presidente di Mantovani, e Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. È soprattutto con queste chiamate di correo che l’ex governatore Giancarlo Galan e l’assessore regionale Renato Chisso dovranno fare i conti davanti ai magistrati. I verbali sono stati riempiti quando i due erano ancora detenuti, completati una volta che sono tornati in libertà. Questo è il racconto dei milioni di euro asseritamente finiti a Palazzo Balbi.
INTERROGATORI-CHIAVE DI BAITA. Baita viene sentito per tre volte sui rapporti con Galan-Chisso. Il 28 maggio, il 17 settembre e il 30 ottobre 2013. La prima volta, a domanda, risponde: «L’altro importante episodio che ricordo è stata l’approvazione da parte della commissione VIA della Regione Veneto delle dighe in sasso per le quali Mazzacurati mi disse che gli era stato richiesto dall’assessore Chisso a nome del Presidente Galan il riconoscimento di 900 mila euro. Altro episodio specifico è stata l’approvazione in commissione di Salvaguardia del progetto definitivo del sistema Mose per il quale, sempre attraverso Chisso, ma a nome del Presidente Galan, fu richiesta la somma di ulteriori 900 mila euro».
LE RICHIESTE DI GALAN. È questo il punto di partenza, poi Baita prosegue: «Queste somme vengono chieste a me da Mazzacurati. Io ho personalmente dato al Consorzio un totale di 900 mila euro in questo modo: 600 mila euro le ho consegnate direttamente all’ing. Neri, 300 mila euro le ha consegnate all’assessore Chisso la dottoressa Minutillo dopo averla portata in Consorzio. Spiego meglio: è venuta in Consorzio con 600 mila euro, 300 li ha lasciati credo al signor Sutto e gli altri 300 ha detto: “Siccome sono quelli che avanza Chisso, glieli porto io”». Conferme? «Io poi ho avuto modo di parlare con Chisso, mi ha detto che era tutto a posto… Che aveva ricevuto».
I Pm insistono: «Per quanto riguarda la VIA, i primi 900 mila euro?». Risposta: «Li ho consegnati a Mazzacurati… sempre in quel periodo. Bisognerebbe far capo a quando è stato approvato in commissione VIA la diga di Malamocco, e un anno dopo il pagamento era stato completato, anche perché avevamo avuto molte sollecitazioni da Chisso dicendo che Galan lo pressava». Pagamento a rate? «Sì, sì, in più rate. Sono due da 900 mila, io ne pago 900». Domanda: «E dove li portava?». «In Consorzio».
MINUTILLO CONSEGNA. Il 17 settembre 2013 un ulteriore approfondimento. Domanda: «Nel precedente interrogatorio precisa che lei paga il singolo politico e non il partito». Risposta: «Sì, ho fatto anche qualcosa per i partiti, poca roba». D. «Queste somme tramite chi venivano consegnate a queste persone? R. «Per quanto riguarda Galan, fino al 2005 attraverso la signora Minutillo, esclusivamente… dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso; dopo il 2010 non c’é più stato sostegno politico a Galan, perché dopo il 2010 é andato a fare un altro mestiere, é rimasta una sorta di soggezione verso una persona importante ma non aveva più un ruolo politico. Per quanto riguarda Chisso, invece, fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente; dal 2005 al 2010 ha provveduto pure la dottoressa; dal 2010, quando noi abbiamo interrotto i rapporti con BMC, ho provveduto io».
IL CROLLO DEL PATRIARCA. Il 31 luglio 2013 è la data in cui Giovanni Mazzacurati decide che è venuto il momento di raccontare dei soldi pagati in Regione. Galan e Chisso, sempre loro.
D. Lei ha mai consegnato somme a qualche politico veneto?.
R. «Sì, é successo, sì».
D. A chi?
R. «È successo. Le ho date a Chisso… Importi nell’ordine tra i 50 e i 150, ecco, una roba del genere, questi sono gli importi che davo. Li davo generalmente un paio di volte l’anno».
D. Un totale di 2-300 mila l’anno?
R. «Sì, forse un po’ meno, ma insomma diciamo sui 200-250 all’anno».
D. Lei li dava personalmente a Renato Chisso?
R. «Li ho dati.. io penso di averglieli dati due volte… Personalmente due volte… penso una volta in Regione e una volta potrei averli consegnati all’Hotel Monaco».
D. Quando iniziano queste corresponsioni a Chisso?
R. «Io credo di aver cominciato alla fine degli anni ’90».
D. E l’ultima quando é avvenuta?
R. «Le ultime non le ho fatte io, perché penso di aver utilizzato o Sutto o.. sì, di aver utilizzato un’altra persona, insomma. L’ultima un mese o due prima dell’arresto di Baita». Agli inizi del 2013.
BAITA SAPEVA. Mazzacurati non si ferma. «Con Baita abbiamo parlato varie volte di queste cose… praticamente ogni volta che si faceva un pagamento o cosa, si concordava».
D. Quindi i pagamenti che Baita ha fatto avere a Galan erano concordati con lei?
R. «No, il rapporto con Galan era.. erano anche concordati con me, ma… Baita concordava alcune somme. Da quello che io ho potuto percepire, a parte che sapevo anche, ci sono… c’erano spese per questa casa che Galan si é costruita ad Arquà Petrarca, e poi altre somme, insomma. Niente, una parte di queste somme sono state corrisposte dal Baita».
D. Chi decideva le somme?
R. «Le decideva… generalmente, Baita aveva dei lavori sia dentro nel rapporto in cui c’entrava il Venezia Nuova e sia al di fuori. Per i lavori del Consorzio si decideva insieme».
D. Più o meno che cifra avete corrisposto, complessivamente o annualmente?
R. «La cosa era molto variabile però diciamo che si può considerare, per esempio, un milione l’anno, un milione di euro».
D. Di euro l’anno?
R. «L’anno. Quello che si finiva per…».
D. Per dare al Governatore?
R. «Per dare al Governatore oppure per dare a chi voleva il Governatore, nel senso che… per esempio poteva entrarci anche Chisso nella cosa».
D. Queste cifre chi gliele dava materialmente?
R. «Molte ce le dava Baita. Io mi trovavo con Baita e lui razionalizzava un pochino insieme quanto doveva arrivare a un uomo, quanto all’altro. Quindi quei soldi erano quasi sempre di Baita. Un’altra parte veniva dal Coveco, cioé da Savioli, però si tratta di cifre molto più modeste, un 10%…».
D. Lei ha mai fatto consegne personalmente a Galan?
R. «No. Le ho fatte a Chisso, ma non a Galan».
E GALAN RISOLVEVA. Ma cosa faceva in cambio dei soldi il Governatore? La domanda è ovvia. Mazzacurati. «Ci fu un’occasione in cui Galan é andato via, era partito, ed era nato un problema. Io chiamai Baita per vedere di fare rientrare Galan che potesse intervenire su una di queste opere che era fondamentale per poter continuare, il fermo di una di queste opere poteva avere un effetto a catena sulla costruzione. Ecco, Galan era fuori, rientrò e la cosa ebbe un effetto chiamiamolo positivo, nel senso che lui intervenne e riuscì a fare approvare queste scogliere, insomma. E’ stato uno di quei momenti importanti in cui il lavoro si poteva bloccare e invece ha continuato».
D. Quindi, viste anche le cifre versate, é esatto dire che il Galan fosse un vostro ferreo sostenitore, o quanto meno dell’opera?
R. «Sì, direi di sì, assolutamente».
D. Quando avevate qualche problema vi rivolgevate abitualmente al Governatore?
R. «Sì, io mi rivolgevo a lui, a Chisso, poi andavo.. o andavo dal dottor Letta, l’elenco che le ho fatto mi pare l’altra volta».
Qui il verbale è coperto da “omissis”. Letta è l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio nei governi Berlusconi.
Giuseppe Pietrobelli
IL SEGRETARIO BONELLI – I verdi aprono il fronte burocratico: «L’opera manca del timbro del Consiglio
superiore dei lavori pubblici»
ROMA – Il Mose è senza la Valutazione di impatto ambientale (Via) e anche senza la validazione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. È il leader dei Verdi Angelo Bonelli che apre uno squarcio ‘tecnico’, che si aggiunge a quello giudiziario, sul sistema che dovrebbe governare le maree in Laguna a Venezia. Bonelli parla di «un problema di vulnus» su cui «la corruzione ha fatto carne da macello. Noi ci troviamo di fronte a un’opera che alle sue basi è profondamente illegittima senza una validità tecnica né scientifica». Il leader dei Verdi ricorda che già nel 2006 presentarono un’interrogazione al ministro delle Infrastrutture (a quel tempo Antonio Di Pietro) chiedendo perché «il Mose non avesse ancora la Valutazione di impatto ambientale e perché mancasse la validazione scientifica del Consiglio superiore dei Lavori pubblici». Nella risposta data dal ministro – rileva Bonelli – si diceva che «il Consiglio superiore dei Lavori pubblici non era mai stato incaricato di validare il progetto del Mose e che i progetti definitivi ed esecutivi erano stati fatti dal Magistrato delle acque». Ma ora, osserva Bonelli, «la storia ci dà ragione: chi allora ci metteva nell’angolo adesso ci ha portato al disastro».
I LAVORI CONTINUANO – Da domani comincia la posa delle paratoie lungo la bocca di porto di Chioggia
VENEZIA – Da domani iniziano le operazioni di posa dei cassoni del Mose alla bocca di porto di Chioggia. «La movimentazione – fanno sapere dal Consorzio Venezia Nuova – avverrà nel periodo compreso tra giugno e settembre, in giorni stabiliti dalle Autorità preposte e comunicate volta per volta agli organi di informazione e attraverso i canali della Capitaneria di Porto di Chioggia. L’operazione obbliga alla chiusura totale della bocca di porto alla navigazione in entrata e in uscita per 48 ore consecutive, così da garantire la massima sicurezza durante le operazioni di varo e posa dei cassoni (saranno anche presenti operatori subacquei).
ALLA CAMERA Mercoledì la Giunta per le autorizzazioni
Rabino (Sc): termine fissato al 4 luglio
ROMA – È prevista per mercoledì prossimo la seduta della Giunta delle Autorizzazioni della Camera nella quale si discuterà della richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare nei confronti del deputato di Forza Italia e presidente della commissione Cultura Giancarlo Galan. Il relatore è Mario Rabino, deputato di Scelta Civica. «Passerò il week end a studiare le 738 pagine del provvedimento del giudice delle indagini preliminari – spiega – sempre che nel frattempo non arrivino altre carte o altre richieste. La volontà è di procedere con rigore, verificando se sarà necessario richiedere altra documentazione e dando la possibilità a Galan di essere ascoltato, senza intento dilatorio, per concludere entro i trenta giorni previsti, quindi entro il 4 luglio, l’esame del caso».
Il restauro milionario della barchessa
Baita ricostruisce l’iter dei lavori: Galan attraverso Venuti chiese un “aiutino” per le parcelle di Turato
LA SPESA – Un’operazione da 1,7 milioni
Una doppia ipotesi di parcella. La prima con i prezzi che l’architetto praticava abitualmente, con gli sconti, la seconda con un calcolo maggiorato dei soldi che avrebbe dovuto ricevere da Giancarlo Galan. È attorno a questi documenti che ruota una delle accuse di corruzione: aver goduto dei pagamenti della Mantovani per la ristrutturazione della propria villa (con barchessa) a Cinto Euganeo. La casa ospitò la festa per il matrimonio del presidente a cui partecipò Silvio Berlusconi, come testimone di nozze.
È Piergiorgio Baita a raccontare di aver saputo dall’architetto Danilo Turato, padovano, finito ora ai domiciliari, che Galan aveva acquistato la villa. Il progetto di ristrutturazione ammontava a un milione 700 mila euro. «Attraverso il suo addetto stampa, che era il dottor Miracco, che è mio amico, Galan mi dice se potevo contattare il dottor Paolo Venuti (ora in carcere, ndr), che è il suo commercialista». Baita si sente chiedere un aiuto per la spesa. Poi spiega a Galan che è in difficoltà. «E lui mi ha chiesto solo se posso almeno venire incontro alle parcelle di Turato. Ho detto: “Va bene”. Turato è venuto con i conti versione A, versione B: versione A le sue competenze, versione B quanto avrebbe potuto… la cosa va avanti fino al 2009».
Poi Galan vuole ristrutturare la barchessa. Baita spiega ai Pm: «Ho sostenuto i lavori accollandomi, attraverso una serie di incarichi, i costi di una società che si chiama Tecnostudio dell’architetto Turato». Scrive il gip: «Si è trattato di 4-5 incarichi (sede Mantovani e Ortofrutticolo di Mestre, ndr) che sono stati pagati al prezzo intero, senza chiedere alcuno sconto sulle tariffe, risultando in pratica una sovrafatturazione, poichè la differenza rispetto al prezzo ribassato di mercato costituiva il prezzo dei lavori presso la casa di Galan».
G. P.
La difesa di Orsoni «Mazzacurati mente»
MAZZACURATI «Abbiamo sostenuto la campagna elettorale»
BAITA «Per lui due forme diverse di pagamento»
L’AVVOCATO «Il sindaco non c’entra nulla con i corruttori»
SOLDI IN NERO Il primo cittadino fa sapere di essere addolorato dalle accuse
Mazzacurati si è inventato tutto. Si potrebbe sintetizzare così la linea difensiva che il sindaco (sospeso) di Venezia, Giorgio Orsoni, sosterrà questa mattina nell’aula bunker di Mestre, nel corso dell’interrogatorio fissato davanti al giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza che ha disposto nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari in relazione ad un presunto finanziamento illecito riferito alla campagna elettorale del 2010.
Il suo difensore, l’avvocato e presidente dell’Ordine, Daniele Grasso, riferisce che Orsoni è tranquillo e sereno, ma anche determinato e battagliero come suo carattere: «Ha studiato gli atti ed è pronto a difendersi – spiega il legale – È sicuro di poter dimostrare la sua non responsabilità negli episodi che gli vengono contestati».
Non è ancora chiaro se il sindaco accetterà di rispondere alle domande del giudice, o se si limiterà ad una dichiarazione spontanea. Di sicuro è deciso a lottare fino alla fine per cercare di cancellare l’infamante accusa che lo ha portato agli arresti e alla sospensione dalla carica pubblica.
Il suo difensore tiene a precisare che Orsoni «non c’entra nulla con le ipotesi che riguardano corruttori e millantatori. L’ipotesi di finanziamento illecito è reato di minore gravità e appartiene ad un contesto ben diverso».
Grasso evidenzia che il sindaco è totalmente estraneo alle presunte “mazzette” contestate ad altri, tra cui l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan e l’assessore Renato Chisso. L’accusa, infatti, si riferisce a denaro utilizzato per attività politica, non a soldi che l’avvocato diventato primo cittadino si sarebbe messo in tasca per favorire illecitamente il Consorzio Venezia Nuova: il Comune non ha alcuna competenza in merito ai lavori del Mose e dunque non può influire in alcun modo.
I capi d’imputazione formulati nei suoi confronti dai sostituti procuratore Paola Tonini, Stefano Ancilotto, Stefano Bucini sono due. Il primo fa riferimento ad un contributo elettorale di 110mila euro formalmente versato nel 2010 al mandatario del Comitato elettorale del candidato sindaco Orsoni dalle società San Martino Sc, Clea Scarl, Bosca srl e Cam Ricerche srl, e regolarmente registrato. Secondo la Procura, però, tale contributo è irregolare perché, in realtà, proveniva dal Consorzio Venezia Nuova, frutto di presunte fatture per operazioni inesistenti, mediate dal consorzio Coveco. E Orsoni, secondo i magistrati, era a conoscenza di questo “giro” illecito. Per il sindaco, invece, è tutto in regola. O quantomeno Orsoni era convinto che lo fosse. Assieme a lui risultano indagati anche l’ex presidente del CNV, Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente della Mantovani, Giorgio Baita e tutti gli imprenditori coinvolti nei presunti illeciti per procurare i soldi, tra cui il presidente dell’Istituzione gondola, Nicola Falconi.
La seconda contestazione riguarda un ulteriore versamento di circa 450 mila euro che sarebbero stati consegnati ad Orsoni in più rate, in contanti, da Mazzacurati e da Baita (50mila). Soldi versati quasi tutti in “nero”, senza alcuna ricevuta o registrazione. Ma Orsoni nega con decisione di aver mai ricevuto questi soldi, ed è addolorato nel aver appreso che a raccontare queste cose sia stato un uomo come Mazzacurati, al quale era legato da profonda amicizia.
Oltre alla confessione dell’ex presidente del Consorzio, contro di lui ci sono le deposizioni di Baita e nei verbali si fa riferimento anche a Sutto, il “cassiere” al cui normalmente venivano delegati molti pagamenti, come si è appreso dalle carte dell’inchiesta.
Nell’interrogatorio del 17 settembre 2013, Baita spiega che esistevano due forme parallele di finanziamento per Orsoni, una ufficiale e una in nero, e aggiunge di aver dato 50 mila euro a Orsoni consegnandoli a Federico Sutto. Non è chiaro se Sutto abbia confermato la circostanza.
Mazzacurati, nell’interrogatorio del 31 luglio 2013, precisa: «Ecco, noi abbiamo sostenuto Orsoni sulla campagna elettorale e abbiamo speso quella cifra… 400-500 mila euro. La parte regolare è una piccola parte rispetto al totale, che è stato rilevante».
Secondo Mazzacurati la parte “in bianco” era del 10 per cento della somma totale. Per quanto riguarda la parte “in nero”, oltre ai 50 mila euro che Baita ha dato a Sutto perché li portasse ad Orsoni, anche Mazzacurati assicura di aver dato quattrini a Federico Sutto: «una parte l’abbiamo fatta portare da Sutto» percé li facesse avere ad Orsoni. Una parte invece sarebbe stata consegnata direttamente dall’ex presidente del CVN: «A casa sua ho portato la differenza, ho portato in vari scaglioni, ogni volta gli portavo 100 mila euro, 150 mila euro, fino al completamento».
Tutto falso, tutto inventato secondo Orsoni. Ora spetterà alla difesa il compito di cercare di “smontare” le testimonianze di chi ha raccontato nei dettagli le modalità con cui fu finanziata la sua compagna elettorale. Impresa tutta in salita.
Gianluca Amadori
COMUNE DI VENEZIA – Il prefetto sospende Orsoni dalla carica di primo cittadino
Giorgio Orsoni, posto l’altro ieri agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, è stato sospeso dalla carica di sindaco di Venezia. Lo ha deciso il prefetto, Domenico Cuttaia, sulla base dell’ordinanza ricevuta dalla Procura. La sospensione, ricorda la Prefettura, è un atto dovuto in base alla cosiddetta ‘legge Severino’ nei confronti degli amministratori locali destinatari di misure coercitive in base agli artt.284, 285 e 286 del codice di procedura penale. Dopo il provvedimento di sospensione del sindaco di Venezia le funzioni attribuite al sindaco sono esercitate in via temporanea dal vicesindaco, Sandro Simionato.
E ieri due riunioni importanti. A tarda sera i partiti di maggioranza che reggono il governo della città si sono ritrovati alla ricerca di una soluzione all’empasse. Una riunione affollatissima, con quasi tutti i Consiglieri comunali, gli assessori e i segretari dei partiti. Il clima era preoccupato, teso, ma molto serio, volto a cercare di trovare una via d’uscita che non metta la città in ginocchio consegnandola al Commissario straordinario. La decisione, arrivata poco prima di mezzanotte, è stata quella di attendere l’interrogatorio di oggi di Orsoni e intanto cercare di anticipare la votazione del Bilancio, che è l’unico vero ostacolo allo scioglimento del Consiglio comunale. Se arrivasse il Commissario, temono i partiti che governano il Comune di Venezia, non ci sarebbe infatti argine ai tagli improvvisi e non ragionati al welfare. Dunque, si aspetterà la mossa di Orsoni che vuole andare rapidamente davanti al Tribunale del riesame per cercare di tornare in libertà.
Il generale a tre stelle usato come una talpa per sabotare le indagini
«Il mio telefonino sotto ascolto per sei mesi: me l’hanno detto»
L’ACCUSA – Spaziante, ex GdF rivelò a Mazzacurati le intercettazioni
“SPIA” L’ex generale della Finanza Emilio Spaziante, indicato come “talpa” per depistare le indagini
È stato arrestato all’Hotel Principe di Savoia a Milano, pare stupendosi del fatto che i finanzieri di Venezia sapessero che era lì. Proprio lui che aveva dato un duro colpo all’indagine svelando a Mazzacurati le utenze telefoniche intercettate dalla procura lagunare. Emilio Spaziante, il generale a tre stelle in pensione, che ha scalato la gerarchia del Corpo, fermandosi a un passo dal vertice, è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, accusato di corruzione nell’ambito della maxi inchiesta sulle tangenti del Mose.
A mettergli le manette ai polsi gli stessi sottoposti che solo a posteriori si sono resi conto che le richieste di informazioni sulla verifica fiscale in atto al Consorzio Venezia Nuova da parte dell’alto ufficiale erano tutt’altro che di carattere diciamo investigativo. Spaziante infatti, secondo quanto scrive il gip veneziano Alberto Scaramuzza nell’ordinanza di custodia cautelare, figurava nella lista degli stipendiati Cvn.
A dichiararlo ai magistrati Piergiorgio Baita, l’ex patron di Mantovani spa, arrestato il 28 febbraio del 2013, giorno che ha scattare il conto alla rovescia, come emerso l’altro ieri, dell’annientamento della cupola del malaffare, gestita da plenipotenziario da Giovanni Mazzacurati, presidente del Cvn, arrestato quattro mesi e mezzo dopo. I pagamenti a Spaziante, Baita li inserisce tra le cosiddette “emergenze”: ovvero l’uomo giusto al momento giusto alla bisogna. Soggetti cioè cui rivolgersi per risolvere particolari problemi. E non a caso Spaziante entra nel fascicolo aperto dal pm Paola Tonini, l’11 giugno 2010.
È il giorno in cui i militari del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia, allora guidati dal colonnello Renzo Nisi, fanno scattare la verifica fiscale nella sede del Cvn. Un imprevisto che impedisce il prelievo dei soldi raccolti da Luciano Neri, cassiere in nero del Cvn, da portare a Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria con sede a Vicenza, e destinatati a Marco Milanese, al tempo consigliere politico del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per aver sbloccato al Cipe 400 milioni di finanziamenti per il Mose. Nel pomeriggio Mazzacurati aveva fissato l’appuntamento nella città berica con Meneguzzo per la consegna della mazzetta. Incontro che non viene annullato.
Ed ecco che gli inquirenti stabiliscono un nesso tra la visita di Mazzacurati a Meneguzzo e nello stesso giorno la partenza immediata per Venezia da Roma del gen. Spaziante. All’indomani Mazzacurati inoltra via fax a Meneguzzo che si trova all’Hotel Excelsior del Lido dove ha a disposizione un alloggio, il verbale di ispezione della Finanza. Documento che mostrerà a Spaziante anche lui a Venezia. Il quale il 13 giugno telefonerà per due volte al diretto superiore dei verificatori, il generale Walter Manzon – ora comandante regionale in Puglia – sottoposto di Spaziante quando questo era comandante regionale in Lombardia. Il secondo aggiornamento, quello più dannoso, sulle indagini in corso Mazzacurati le avrà a novembre. Con Spaziante non parla mai direttamente al telefono ma sempre con la mediazione di Meneguzzo.
Il 25 novembre Spaziante chiama Manzon e quest’ultimo il 26 richiede al col. Nisi, come scrive il gip, “un prospetto riepilogativo delle persone oggetto di intercettazione e nel quale fosse specificato il numero di telefono e indicando altresì l’esistenza di eventuali intercettazioni ambientali e ovviamente il col Nisi non potendo avere in quel momento alcun tipo di sospetto trattandosi di dati richiesti dal suo diretto superiore gerarchico, gli fornisce tali dati”. Dati di cui Mazzacurati verrà a consocenza da Spaziante visto di persona sempre il 26 al residence Ripetta a Roma. È così che Mazzacurati apprenderà di essere intercettato.
Non saprà però delle cimici che sono nel suo ufficio. Il 3 dicembre la microspia registra la conversazione con Antonio Armellini, ex diplomatico: «Sei mesi di registrazioni… il mio telefonino… me l’hanno detto… è ancora sotto controllo fino alla fine dell’anno. Mi hanno detto di una telefonata che hanno registrato col dottor Letta… una con Matteoli… e col dottor Letta pensi… mi hanno raccontato ma io la ricordavo benissimo».
Il 10 dicembre parla con l’avvocato Stefano Sacchetto e gli dice di sapere che c’è anche un procedimento penale a suo carico: «Ci sono questi giudici… non è la Guardia di Finanza che sono venuti tante altre volte… sono dei pm, una è una signora che si chiama Tonini… La Guardia di Fianzna è lo strumento … è la magistratura che sta facendo». Informazioni che rischiano di mandare all’aria l’inchiesta e che secondo l’accusa Mazzacurati pagherà a Spaziante 500mila euro, avendone promessi 2 milioni e mezzo.
Monica Andolfatto
LO SNODO – Meneguzzo era il punto di contatto tra il capo del Consorzio e l’ufficiale
Spaziante è stato arrestato nello stesso albergo di Milano dov’era alloggiato, l’uno pare all’insaputa dell’altro, anche Roberto Meneguzzo, faccendiere vicentino e amministratore delegato (ad) di Palladio Finanziaria pure lui finito con le manette ai polsi. È stato quest’ultimo a mettere in contatto Mazzacurati con l’alto ufficiale che, come Meneguzzo, era un buon amico dell’ex tenente colonnello della GdF, avvocato ed ex deputato Pdl Marco Milanese, già consigliere del ministro Tremonti. Durante la perquisizione in una delle case nella disponibilità del generale delle Fiamme gialle in pensione, Spaziante, sono stati sequestrati 200mila euro in contanti.
NEUTRALIZZATE LE «INGERENZE»
Il procuratore capo di Venezia Delpino si complimenta con le Fiamme gialle
Il procuratore capo di Venezia Luigi Delpino (foto) si è complimentato con i finanzieri per aver saputo reagire e neutralizzare «pesanti ingerenze». Perché nell’inchiesta sulle tangenti del Mose, il nemico più pericoloso, ce l’avevano in casa. I militari del Nucleo di polizia tributaria, allora guidati dal col. Renzo Nisi, lo hanno scoperto alla fine del 2010, grazie alle ambientali nell’ufficio di Mazzacurati. Spaziante lo aveva avvertito sia di essere intercettato sia dell’indagine della Procura, coordinata dal sostituto procuratore Paola Tonini.
L’EX MINISTRO COIVOLTO – Altero Matteoli chiamato in causa per le bonifiche ambientali a Mestre
VENEZIA – È il settore delle bonifiche ambientali il filone che coinvolge l’ex ministro Altero Matteoli nell’inchiesta sugli appalti del Consorzio Venezia Nuova, che ha per opera simbolo il Mose. L’ipotesi è stata confermata dalla Procura di Venezia. Il nome di Matteoli girava da tempo nelle inchieste veneziane sulla nuova tangentopoli, ma il politico di centrodestra ha finora sempre smentito il proprio coinvolgimento. Matteoli non è tra i nomi degli arrestati; l’ex ministro è indagato ed il fascicolo è stato inviato dalla Procura veneziana al Tribunale dei ministri. L’ipotesi è che il politico abbia ricevuto denaro per una serie di bonifiche ambientali dei siti inquinati di Mestre. Circostanze che l’ex ministro ha smentito e ha a suo tempo anche chiesto di essere ascoltato.
L’accertamento di eventuali aspetti penali dovrà essere svolto quindi dal Tribunale dei ministri che, in questa situazione, si sostituirà di fatto ai tre Pm, Stefano Buccini, Stefano Ancillotto e Paola Tonini, titolari dell’inchiesta.
Matteoli – riferisce la Procura – è finito nell’indagine in relazione ad interventi di bonifica per il recupero di una serie di aree fortemente inquinate prospicienti la laguna di Venezia nella zona tra Marghera e Mestre. Si tratta, in buona sostanza, di una vasta area nella quale è stato realizzato una sorta di sarcofago per contenere lo sversamento in laguna per dilavazione delle sostanze tossiche depositatesi per anni, alla testa del ponte della Libertà che collega la terraferma al centro storico. Tutti lavori per i quali lo Stato aveva stanziato, all’epoca, oltre un miliardo di euro, poi gestito dal Consorzio Venezia Nuova, che aveva affidato le opere alle sue associate. La presunta dazione all’ex ministro – gli atti sono secretati – sarebbe legata al suo potere di controllo del Magistrato alle acque, che avrebbe favorito l’intervento del Consorzio Venezia Nuova.
Nell’ordinanza del Gip che ieri ha portato ai 35 arresti, Matteoli compare in un passaggio riguardante la realizzazione di un’opera accessoria del Mose, la «conca di navigazione».
CONSEGNE Claudia Minutillo stando all’indagine è stata testimone di un giro di bustarelle per centinaia di migliaia di euro «più volte all’anno»
Mezzo milione dietro l’armadio
Nei racconti della Minutillo il sistema delle mazzette. Come quella destinata a Milanese
CIBO E TANGENTI – Le riunioni riservate nella saletta “privata” del ristorante I Porteghi
LA “ZARINA” La segretaria di Galan che divenne asso pigliatutto degli appalti
BENEFICI – Maria Giovanna Piva l’ex Magistrato alle Acque che è stata tirata in ballo da Claudia Minutillo
VENEZIA – La “zarina” Claudia Minutillo – per l’aria dura che assumeva con i suoi interlocutori – vedeva tutto e sapeva tutto sul sistema della cricca degli appalti legati al Mose. Nelle carte dell’inchiesta delle tangenti pagate dalla “Mantovani” di Piergiorgio Baita (febbraio 2013), confluite ora nell’indagine sul Mose, ci sono pagine e pagine di interrogatori e intercettazioni dell’ex segretaria di Giancarlo Galan. Che dopo aver lasciato l’ufficio in Regione del “Doge” di Forza Italia, visti gli affari e i denari che giravano attorno agli appalti, aveva deciso di mettersi in proprio: imprenditrice, a capo della “Adria Infrastrutture”, società in realtà controllata dal gruppo Mantovani (lei aveva il 5%). E sarebbe stato proprio con questa società che Minutillo avrebbe fatto il salto di qualità, conquistando appalti regionali (l’organizzazione di eventi al Porto di Venezia, o il lancio del sistema metropolitano veneto) che le sarebbero arrivati grazie ai buoni uffici di Renato Chisso (Fi), braccio destro di Galan. Nell’inchiesta “Mantovani” Minutillo era stata arrestata con l’accusa di frode fiscale: il solito sistema – confermato anche nell’inchiesta Mose – delle false fatturazioni e delle “retrocessioni” di importi alle società collegate che permettevano di creare le provviste di soldi da consegnare a politici e funzionari pubblici. Un fiume di denaro, per non fermare le opere in laguna, il flusso di denaro verso Venezia. Un fiume di soldi. In una intercettazione ambientale di un colloquio tra Minutillo e Baita, l’11 settembre 2012, i magistrati acquisiscono la conferma della «falsità delle fatture di tutte le società»: «noi – dice Baita – di quelle prestazioni delle società di Mirco (Voltazza, imprenditore padovano, ndr) ne abbiamo bisogno esclusivamente strumentale. Non è che abbiamo bisogno di dare un incarico ad una società». Ma Minutillo farà anche da “fattorino” nelle consegne delle mazzette. È Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, ad affermare in un interrogatorio ai pm che nel 2005 consegna una busta alla segretaria di Galan, Minutillo, contenente 200mila euro, affinché li portasse al presidente all’hotel Santa Chiara di Venezia. Secondo la “dogaressa”, del resto, «lo sapevano tutti» che giravano bustarelle. La donna, in un passaggio di un interrogatorio, afferma che all’ex governatore forzista «costantemente versati centinaia di migliaia di euro più volte all’anno…a lui in persona…da Baita….era una cosa acquisita, si sapeva…». Lo fa, Minutillo, ricordando ad esempio le riunioni al ristorante “Ai porteghi” di Padova: «ci davano la saletta riservata – ha raccontato -, andavamo lì e discutevamo di tutte le cose che c’erano in ballo». In un successivo interrogatorio, la donna spiega ad esempio che «c’erano modi di remunerare», non solo le mazzette. E racconta ai magistrati, ad esempio, come l’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, grazie «ai buoni uffici del Cvn» fosse stata “beneficiata” con «il collaudo del Passante di Mestre». In realtà, appurano i magistrati, si trattò poi del collaudo del nuovo Ospedale di Mestre, costruito dalla “Mantovani”, per i quali Piva, che presiedeva il Mav, percepì un compenso lordo di 327mila euro. Infine la storia se si vuole più buffa: è sempre Claudia Minutillo a raccontare di una mazzetta di 500mila euro destinata buttata dietro un armadio in un ufficio del Consorzio Venezia Nuova poco prima di una ispezione della Gdf. Dice Minutillo: «Mi raccontarono “pensa che c’era Neri – uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato,ndr. – che aveva nel cassetto 500 mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio”. La Guardia di Finanza sigillò l’armadio e la sera andarono a recuperarli».
GLI “RI-ARRESTATI” Da vent’anni sulla scena, tessono le tele dei rapporti tra cartiere e fatture inesistenti
GLI INTERROGATORI Il sindaco di Venezia sarà ascoltato in aula bunker, Chisso a Pisa
Il manager Tomarelli (Consorzio) non risponde e oggi tocca a Orsoni
Gli arrestati saranno interrogati entro domani. Dai Pm oggi Falconi (Istituzione Gondola) e Brentan
VENEZIA Il sindaco Orsoni, oggi l’interrogatorio
Oggi gli interrogatori, per i legali degli imprenditori si profila il reato di concussione e non di corruzione
(gla) Primi interrogatori ieri mattina. Nel carcere di Pavia il romano Stefano Tomarelli, chiamato in causa in qualità di manager del Consorzio Venezia Nuova (avvocati Angelo Andreatta e Umberto Pauro) si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre a Padova l’imprenditore bellunese Luigi Dal Borgo, bellunese di Pieve d’Alpago (avvocati Guido Simonetti e Simone Zancani), ha respinto le accuse, chiedendo una serie di approfondimenti d’indagine per dimostrare di non aver nulla a che fare con le false fatture. Questa mattina, nell’aula bunker di Mestre, sarà la volta degli indagati che si trovano agli arresti domiciliari, tra cui Giorgio Orsoni (avvocato Daniele Grasso). Davanti al gip Alberto Scaramuzza saranno ascoltati anche Nicola Falconi, finito sotto inchiesta in qualità di titolare della Sitmar, società che operava per il CVN (avvocato Giorgio Bortolotto), accusato di corruzione; l’ex amministratore dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan (avvocato Lino Brentan) accusato di induzione indebita a dare o promettere utilità; e l’ex giudice della sezione controllo di Venezia, Vittorio Giuseppone, accusato di essere stato al soldo del Consozio per accelerare la registrazione delle convenzioni e garantire rapide erogazioni dei finanziamenti per i lavori del Mose.Tutti gli altri indagati finiti in carcere saranno ascoltati, tra oggi e domani, per rogatoria dai giudici dei tribunali vicini ai penitenziari nei quali sono reclusi: tra loro figurano l’assessore regionale ai Trasporti, dimissionario ieri, Renato Chisso (avvocato Antonio Forza) il suo segretario Enzo casarin (avvocato Carmela Parziale) e gli ex presidenti del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva (avvocato Emanuele Fragasso) e Patrizio Cuccioletta (avvocato Ciro Pellegrino).
«Chi non pagava era escluso dal sistema»
Altro che acqua alta. Non c’è Mose che possa contenere lo tsunami giudiziario che ha travolto Venezia.
Lo sanno bene gli imprenditori arrestati per essersi adeguati e aver fatto parte del sistema utilizzato dal Consorzio Venezia Nuova: o paghi, o vieni escluso dai lavori. Una prassi che pare far passare gli imprenditori consorziati quasi dalla parte delle vittime.
Tra questi c’è anche il trevigiano Andrea Rismondi, il biologo marino di Preganziol (è agli arresti domiciliari) che verrà interrogato stamattina. Difeso dall’avvocato Andrea Franco, si avvarrà della facoltà di non rispondere. Ma il legale ha sottolineato che nel caso in cui i versamenti di denaro alla CVN ci fossero realmente stati, è comunque necessario capire chi li ha fatti, quando, per quali importi e per quali finalità.
«Si potrebbe parlare di concussione e non di corruzione – dice – gli imprenditori coinvolti sarebbero in qualche modo stati indotti a pagare CVN per non essere esclusi dal sistema». Una sorta di costrizione insomma e non di volontà. La tangentopoli veneta ha coinvolto anche l’ex sindaco di Cessalto Giovanni Artico, ora funzionario della Regione Veneto e stretto collaboratore di Renato Chisso. «È stupefacente l’enorme differenza tra le varie posizioni degli indagati – afferma Rizzardo Del Giudice, legale di Artico – Le accuse a carico del mio assistito risultano generiche e infondate. Puntiamo a chiarire tutto nel più breve tempo possibile visto che non ha mai preso un euro».
Intanto ieri mattina il terzo trevigiano Federico Sutto, difeso dall’avvocato Gianni Morrone, è stato uno dei primi a essere interrogato, ma ha tenuto la bocca chiusa. È considerato il canale con cui Mazzacurati manovrava i flussi di denaro, arrivando a consegnare le mazzette a Renato Chisso fin dentro gli uffici della regione.
Rabbia e indignazione del popolo del web
Sul sito del Gazzettino migliaia di lettori commentano il caso Mose. Chiedono “politici a casa” e “pene esemplari”
Il popolo del web si scatena e si scalda per lo “scandalo Mose” sul sito internet e sul profilo Facebook del Gazzettino presi d’assalto anche ieri da decine di migliaia di lettori che, con toni più o meno marcati, ribadiscono un concetto: «Il sistema delle Grandi Opere è marcio e corrotto, deve essere estirpato: i politici a casa puniti e mandati a casa». Migliaia di utenti si sono sbizzarriti nel commentare via via gli aggiornamenti delle notizie con la sospensione del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Alcune associazioni – come Italia Nostra – segnalano “le denunce rimaste inascoltate, le nostre segnalazioni sulla scelta del progetto del Mose e sul metodo, ora si ripropone un sistema identico per le Grandi Navi”. C’è anche chi annuncia la propria costituzione di parte civile nel futuro processo come il presidente dell’associazione Adico Carlo Garofolini: “Si tratta di un’opera pubblica che ha cambiato per sempre il nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno lo sapremo presto”. I lettori – anche su Twitter – hanno apprezzato gli strali di Renzi (“I corrotti vanno processati per alto tradimento”) ma lo hanno subito invitato a far seguire i fatti alle parole: “Presto e bene, senza pietà”. C’è anche chi invoca “il rogo” o pene corporali violente. In serata ha colpito molto gli utenti web il video del passaggio di mazzette pubblicato in home page con i contatti e i commenti che sono aumentati nelle ore serali. E molti oggi si attendono nuovi sviluppi dagli interrogatori di Orsoni e Chisso.
LE CIFRE Il dettagliato elenco della corruzione stilato dagli inquirenti in base alle indagini
Tangenti per 14 milioni: ecco chi intasca
I profitti illeciti della “cricca serenissima”. I beneficiari sono politici, burocrati, portaborse
POLE POSITION – Per il solo Galan il calcolo del giudice supera i 4,8 milioni di euro
SECONDO E TERZO – L’assessore Chisso a quota 4,2 distanzia Cuccioletta che tocca i 2,1
MISURA CAUTELATIVA – Sequestrati beni agli indagati per quaranta milioni
L’IPOTESI D’ACCUSA – Un fiume di denaro sottratto all’Erario con false fatturazioni
Tredicimilioninovecentosessantanovemilacinquecentottantotto euro (13.969.588). E qualche cent. Una Laguna di denaro. Bigliettoni che galleggiano sull’acqua. Soldi che escono dalle capienti casse del Consorzio Venezia Nuova e finiscono a politici, portaborse, burocrati, funzionari pubblici, uomini dello Stato e della Regione Veneto. È questo quanto ha lucrato la “cricca serenissima”. E si limita al calcolo delle cifre contestate nei capi d’imputazione ai pubblici ufficiali o consulenti. A cui vanno aggiunti 6 milioni di euro pagati da Mantovani, Mazzacurati e soci per vari episodi di millantato credito. Il che fa 20 milioni di euro. Si devono aggiungere ancora alcune decine di milioni per le false fatturazioni, ovvero la sottrazione fiscale all’Erario. Il che giustifica ampiamente il sequestro di beni degli indagati per 40 milioni di euro.
L’elenco lo fa il gip Scaramuzza.
Per l’ex presidente del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta, il prezzo complessivo del reato è di 2.100.000 euro per effetto di uno “stipendio” annuale di 400 mila euro ricevuto dal Consorzio, dal 2008 al 2011 (totale di 1,6 milioni di euro) e di un bonifico su un conto svizzero di 500.000 euro.
Per Maria Giovanna Piva, ex magistrato alle Acque di Venezia il prezzo del reato è di 529.950,27 euro per uno “stipendio” annuale di 400.000 euro calcolato però solo per il 2008 e di 327.000 euro per l’incarico di collaudatrice dell’Ospedale di Mestre; il giudice calcola solo la quota parte del periodo di incarico di Magistrato e defalca le imposte pagate (98 mila euro).
Per Marco Mario Milanese, deputato di Forza Italia, già consulente del ministro Tremonti viene calcolato un prezzo del reato di 500.000 euro, somma ricevuta “in nero”.
Il generale della Finanza Emilio Spaziante si vede addebitare 500.000 euro pari ai soldi ricevuti dal Consorzio (su una richiesta di 2 milioni di euro).
Per l’ex governatore e ministro Giancarlo Galan il calcolo è più complesso. Per un primo capo d’imputazione viene calcolato un prezzo del reato di 4.000.000 euro, frutto della somma di 1.000.000 euro all’anno ricevuti dal Consorzio dal 2008 al 2011 come “stipendio”. Per un secondo capo d’accusa il prezzo del reato è di 831.200 euro composti da 400.000 euro pagati da Mantovani per la ristrutturazione della barchessa della villa di Cinto Euganeo, da 350.000 euro pari al 7% delle quote di Adria Infrastrutture e da 81.200 euro pari al 70% del capitale di Nordest Media. Così il totale di Galan raggiunge i 4.831.000 euro.
Per l’assessore regionale Renato Chisso in un primo capo d’accusa il prezzo del reato è di 1.200.000 euro frutto del calcolo di uno “stipendio” annuale di 200-250.000 euro dal 2008 al 2013. In un secondo capo d’accusa il prezzo del reato è di 3.025.792,38 euro frutto dei seguenti cespiti: 250.000 euro per il 5% di Adria Infrastrutture; 11.600 euro per il 10% di Nordest Media; 2.000.000 euro per la vendita del 5% di Adria; centinaia di migliaia di euro quantificate in 400.000 euro dal “cassiere” Buson; 250.000 euro ricevuti da Baita; 114.192 euro per ripianare le perdite di Territorio srl, una società di Bortolo Mainardi. Totale complessivo: 4.225.792 euro.
Per il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone viene indicato uno “stipendio annuale” tra i 300.000 e i 400.000 euro a cadenze semestrali dai primi anni 2000 al 2008; il giudice considera solo 300.000 euro per il 2008.
Per Giovanni Artico, collaboratore di Chisso, 69.708,06 euro frutto di consulenze di un amico avvocato e dell’assunzione della figlia in Nordest Media.
Per Giancarlo Ruscitti un contratto di collaborazione a progetto costa una contestazione di un prezzo di reato pari a 112.088 euro.
Per Lino Brentan ex ad di Autostrade Venezia-Padova il prezzo del reato è di 65.000 euro.
Per Giuseppe Fasiol di Veneto Strade c’è l’accusa di aver intascato parcelle per 19.000 euro.
Per il consigliere regionale Gianpietro Marchese del Pd c’è l’accusa di aver intascato 458.000 euro come contributi elettorali più l’assunzione per 35.000 euro.
Per l’eurodeputata del Pdl Amalia Sartori c’è un’accusa di finanziamenti elettorali per 225.000 euro.
Per il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni finanziamenti elettorali per 560.000 euro.
Sulle supposte tangenti versate dal Consorzio Venezia Nuova sono chiamati in causa i dirigenti. Per le false fatturazioni imprenditori e funzionari che vi hanno concorso.
CHISSO E LA MANTOVANI
Le indagini: «Con Galan era a libro paga dell’azienda, gioiva per le vittorie negli appalti»
Le verità esplosive della segretaria
Le confessioni di Claudia Minutillo, assistente dell’ex governatore, hanno scoperchiato il “sistema Baita”
«Ricordo che Renato Chisso in più occasioni ebbe a lamentarsi del fatto che Giovanni Mazzacurati gli corrispondeva somme di denaro solo alle feste comandate, lo diceva ridendo, ma era chiaro che voleva essere remunerato più frequentemente… So che normalmente il Mazzacurati corrispondeva somme di denaro al Chisso presso l’hotel Monaco all’ora di pranzo».
A raccontarlo al sostituto procuratore Stefano Ancilotto, nell’aprile del 2013,è stata Claudia Minutillo, arrestata alla fine di marzo perché coinvolta, in qualità di presidente di Adria Infrasttuture, nell’inchiesta sulle false fatture milionarie dell’impresa di costruzioni Mantovani spa (socio del CVN), attraverso le quali il suo presidente, Piergiorgio Baita, costituiva fondi neri per pagare i politici.
«FLUIDIFICARE» – Sono proprio le dichiarazioni dell’ex segretaria del presidente della Regione, Giancarlo Galan, seguite alle confessioni di numerosi altri indagati nella stessa inchiesta, ad aprire la strada alla nuova “tangentopoli” del Veneto, concretizzatasi mercoledì in 35 arresti. A confermare le parole della Minutillo è stato, qualche mese più tardi, nel mese di luglio. lo stesso Mazzacurati, pur collocando i pagamenti nella sede della Regione. L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova ha riferito di aver pagato personalmente l’assessore regionale ai Trasporti in un paio di occasioni; nelle altre se ne sarebbe occupato il suo “cassiere”, Federico Sutto. L’ultima mazzetta risale al periodo compreso tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 e Mazzacurati la spiega così: «Noi avevamo bisogno un po’ della Regione… c’è un Comitato tecnico che approva dei progetti; per noi questo flusso era una cosa abbastanza importante, essenziale, che fosse veloce… ecco, nell’ambito di questo ragionamento abbiamo cercato di fluidificare questo settore…»
GALAN – La prima a parlare dell’ex presidente della Regione è sempre la sua ex segretaria: «Baita a volta si lamentava di quanto veniva a costare Galan», riferisce Minutillo ai magistrati. Circostanza confermata dall’ex presidente della Mantovani, il quale spiega di aver pagato personalmente i politici, e solo in minima parte finanziando i partiti. Baita ha spiegato che i versamenti avvenivano «fino al 2005 attraverso la signora Minutillo… dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso; dopo il 2010 non c’è stato più alcun sostegno politico a Galan perché è andato a fare un altro mestiere… Per quanto riguarda Chisso, invece, fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente; dal 2005 al 2010 pure la dottoressa Minutillo; dal 2010… ho provveduto io».
«STIPENDIATI» – Nella richiesta di emissione di misura cautelare nei confronti di Galan e Chisso, la Procura di Venezia ritiene provate le accuse sulla base di riscontri e intercettazioni: «La necessità di passare uno “stipendio” ai massimi esponenti della Giunta regionale del Veneto… ha una spiegazione logica confermata confermata dai vari indagati, ovvero quella di sbloccare o quantomeno snellire le pratiche relative alle autorizzazioni per eseguire le opere…», scrivono i pm Ancilotto, Buccini e Tonini.
A DISPOSIZIONE – Dalle indagini emerge come Galan e Chisso «fossero a libro paga del gruppo Mantovani… si legge nella richiesta di arresto – Numerose sono le conversazioni telefoniche relative ai project presentati dalla Mantovani che confermano come l’assessore Chisso, in precedenza anche su ordine di Galan, fosse totalmente a disposizione di Baita e Minutillo. Nel corso di tali conversazioni si ha l’impressione che l’assessore Chisso sia quasi un dipendente del gruppo Mantovani: esulta per i successi della Mantovani, comunica in via riservata ed anticipata l’esito delle procedure, studia con Minutillo e Baita come, e con quali uomini, modificare la struttura dell’ente Regione in modo che l’iter procedimentale che sta a cuore al Baita non venga alterato…».
AI DOMICILIARI La carriera del presidente dell’Ente gondola. Un video della Finanza lo incastra
LA RICHIESTA – Molina (Pd): «Faccia chiarezza e intanto si dimetta dalla carica»
Nicola Falconi, il “moralizzatore” accusato di aver pagato Orsoni
Era arrivato all’Ente gondola con l’intenzione di dargli trasparenza amministrativa, ma anche di ricostruire l’immagine dei gondolieri. Una sorta di “moralizzatore” in linea con le direttive dell’amministrazione Orsoni. Sua la proposta, approvata, di test antidroga e anti alcol ai “pope”.
Del resto, Nicola Falconi, figlio di un notissimo capitano della Marina, la disciplina l’aveva imparata nei tre anni da ufficiale dei Lagunari. Era stato proprio il sindaco Giorgio Orsoni a volerlo alla guida dell’Ente gondola, distogliendolo dal suo impegno nella ditta “Sitmar Sub”, che conta 35 dipendenti.
Lidense, 52 anni, amico di politici e sindaci, trasversale a ogni divisione politica, un passato da consigliere di Save, ora si trova agli arresti domiciliari e sarà ascoltato oggi in aula bunker a Mestre. Lo accusano di finanziamento illecito della campagna elettorale di Orsoni in relazione ad una parte del contributo di 110mila euro che, secondo la Procura, il Consorzio Venezia Nuova versò per tramite di due società di cui è titolare, Bo.sca srl e Cam srl. Un video girato dalla Guardia di Finanza in un bar di Mestre lo immortala mentre passa una bustarella a Pio Savioli, consulente del Co.Ve.Co, cooperativa che fa parte del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico del Mose.
Nel suo curriculum anche la carriera “diplomatica”, come console generale onorario di Finlandia a Venezia, con giurisdizione per il Veneto ed il Trentino-Alto Adige. È anche componente del consiglio di decanato del Corpo consolare di Venezia e del Veneto, nonché vicepresidente dell’Unione nazionale dei consoli onorari.
«Siamo confusi», è il commento di Cesare Peris, componente del consiglio d’amministrazione dell’istituzione Gondola. Ora, come vuole lo statuto dell’ente, sarà il consigliere più anziano a presiedere il consiglio d’amministrazione, ovvero Alessandra Vio, l’ultima arrivata in seno all’istituzione, anch’essa nominata da Giorgio Orsoni. «Auspico che Falconi possa fare chiarezza innanzi all’autorità giudiziaria – ha dichiarato in merito il consigliere Pd, Jacopo Molina – al contempo chiedo che rassegni le dimissioni da presidente dell’istituzione Gondola, affinché la sua attuale personale posizione non faccia velo all’attività istituzionale del Comune, di cui l’istituzione Gondola è diretta emanazione». Aldo Rosso, predecessore di Falconi alla guida dell’Ente gondola, ha una sua convinzione: «Falconi? Non ha corrotto o concusso nessuno, casomai se le esigenze di lavoro lo imponevano, ha dovuto partecipare ad un gioco imposto da altri, anche per non licenziare alcun dipendente».
(ha collaborato Tullio Cardona)
La corruzione a Venezia spopola nei siti e giornali esteri
L’ombra della corruzione è su Venezia e dall’Europa all’America, passando per il mondo arabo, la stampa straniera è attenta al caso che ha stravolto l’Italia. A campeggiare in ogni pagina web d’informazione è l’immagine di un sindaco sorridente attorniato da titoli particolarmente severi.
Il Regno Unito è scatenato, con The Guardian, Telegraph, The Indipendent, Financial Times e BBC, che riportano la storia dando risalto alle parole dell’ex sindaco Massimo Cacciari, al magistrato Carlo Nordio e comparando quanto accaduto in questi giorni ai recenti scandali dell’Expo 2015 di Milano e a Tangentopoli del 1992. I media di ogni latitudine sparano a zero sulla realtà politica italiana, evidenziando i vocaboli “corruzione”, “tangenti”, “scandalo” e “arrestati”, senza lasciarsi scappare il riferimento a una ricerca del Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di corruzione. La classifica, nel report, vede l’Italia al 69 posto, su 177 nazioni, dietro alla capofila Danimarca (1), ma anche Botswana (30), Bhutan (31), Brunei (38), Rwanda (49), Lesotho (55), Cuba e Ghana (63) e Montenegro (68). Appena davanti al Kuwait (70) e al fanalino di coda Somalia. Anche nel resto d’Europa la notizia ha destato attenzione. Spagna (El Pais, El Mundo, La Razon e La Vanguardia), Francia (Le Parisien, Le Monde, Le Figaro, Libération, Les Echos), Russia (The voice of Russia) e Germania (Der Spiegel, Berliner Zeitung, Suddeutsche), per citarne alcuni hanno dato ampio risalto allo scandalo. Le parole più usate, anche in questi casi, sono state “corruzione”, “arresti domiciliari” e, appunto, “scandalo”. Oltreoceano il New York Times si chiede come sia possibile quanto accaduto, ponendo l’accento sul dove sia successo: nelle regioni del Nord Italia, solitamente ritenute tra le più “attendibili” del Belpaese. E mentre Il Wall Street Journal e il Washington Post rilevano l’aspetto dei domiciliari per il sindaco, Al Jazeera, principale voce del mondo arabo, tratta la notizia riportando tutti i fatti di cronaca venuti alla luce nei giorni scorsi. Dando un’immagine di un’Italia a pezzi.
Tomaso Borzomì
Grande Venezia, stadio e casinò: temi strategici congelati
MESTRE – Ovviamente, non c’è mai un momento “giusto” perchè un sindaco venga arrestato. Ma, fatta questa lapalissiana premessa, va anche detto che questo per Venezia è in assoluto “il momento sbagliato”. L’amministrazione comunale del capoluogo ha appena imboccato l’ultimo tornante e si avvia verso i mesi conclusivi dell’esperienza amministrativa, una stagione in cui per definizione si raccolgono i frutti del mandato.
E’ l’anno dei fuochi d’artificio, delle inaugurazioni, delle iniziative “acchiappavoti” in vista della ormai vicina contesa elettorale. Eppure, se possibile, per Venezia è molto di più, visto che per la Giunta guidata da Giorgio Orsoni di carne al fuoco ce n’è (ce n’era?) veramente tanta. Citiamo solo tre dei temi più roventi all’ordine del giorno.
GRANDE VENEZIA
Tra spinte e controspinte, siamo alla stretta finale per la nascita della città metropolitana e il pallino è saldamente in mano a Venezia. Tocca al capoluogo “dare la linea”, chiamare a raccolta gli altri comuni coinvolti e definire le modalità di un approdo. Molti sindaci del Veneziano sono perplessi per la grande confusione che regna sull’argomento, altri contestano la scarsa democraticità e rappresentatività di un meccanismo che consegna al primo cittadino del capoluogo un grande potere senza una legittimazione legata al voto popolare.
Ma in ogni caso, per Venezia era una sorta di march ball per volgere a proprio favore la partita. Ora, tutto appare congelato.
CASINO’
Altro tema in piena gestazione, con Orsoni determinato ad andare ad un nuovo bando per la vendita e il Pd in frenata causa rapporti ormai deterioratisi con l’amministratore delegato Ravà. Qualcuno ora maligna che il redde rationem in maggioranza dell’altra sera si sia rivelato una bolla di sapone perchè era chiara ormai la sensazione che il sindaco sarebbe stato presto azzoppato dallo tsumani Mose, ma al di là delle dietrologie è un fatto che – anche per esigenze di bilancio – si dovrà arrivare a una decisione in tempi brevi.
STADIO
Qui il sindaco si accingeva ad andare a vedere le carte di mister Korablin, il presidente del Venezia intenzionato alla maxi operazione di Tessera. Dopo l’acquisto delle aree per avviare l’operazione l’imprenditore russo e Orsoni dovevano trovarsi per definire tutti gli aspetti urbanistici e procedurali, ma l’assenza di Korablin ha determinato la stizzita reazione del primo cittadino. Ora dall’altra parte del tavolo mancherà proprio lui.
ti.gra
No Navi e No Mose: «All’appello mancano ancora molti nomi facilmente intuibili»
Comitato No grandi navi, Ambiente Venezia e Italia Nostra a ruota libera contro il Mose «per la stretta correlazione fra i due temi». E contro l’escavo del canale Contorta Sant’Angelo, «perché devastante per la laguna e per la progettazione ed esecuzione dei lavori che verrebbe commissionata a tecnici e a imprese legati al Consorzio Venezia Nuova. Vale a dire lo stesso soggetto per il quale non ci stancheremo mai di chiedere la fine del sistema a concessionario unico».
Ieri, a Cà Farsetti, l’incontro sulla presentazione del weekend di protesta contro le grandi navi si è trasformato in un crescendo di commenti sull’inchiesta giudiziaria in corso: «Finalmente la Magistratura si è svegliata – hanno detto Luciano Mazzolin (Ambiente Venezia), Tommaso Cacciari (centri sociali) e Cristiano Gasparetto (Italia Nostra) – A meravigliarci, il fatto che dall’elenco degli indagati e colpiti da provvedimenti restrittivi ancora non risultino certi nomi facilmente intuibili, ma confidiamo sull’approfondimento delle indagini. Il film è già visto, con responsabilità gravi che vanno da Prodi a Berlusconi. E se si decide di mettere le mani sul piatto, tanto vale mettere le mani dappertutto, comprese le tante procedure non rispettate».
Su Giorgio Orsoni, la precisazione che «se soldi gli sono stati consegnati in campagna elettorale, leciti o illeciti in un modo o nell’altro hanno influenzato». E alla Giunta l’invito a dimettersi, «perché emanazione diretta di un sindaco agli arresti domiciliari».
General Fluidi di Padova: «La Fip si è appropriata dei nostri progetti»
LA CAUSA – In Tribunale penale e civile per il risarcimento
Hanno fatto causa alla Fip Mantovani, chiedono un risarcimento simbolico rispetto a quanto hanno investito in termini di risorse umane e materiali e si augurano che la magistratura vada a fondo. La General Fluidi, un’azienda di Padova che si occupa di impianti oleodinamici che oggi ha una decina di dipendenti, all’avanguardia nel settore della ricerca e sviluppo, era stata incaricata dalla Fip Mantovani di realizzare un prototipo per il sistema di aggancio delle cerniere delle paratoie del Mose e nel 2009 aveva prodotto il primo lotto per la bocca di Porto del Lido. Una commessa che complessivamente doveva aggirarsi sui due milioni di euro. «Ma dopo quel primo lotto la Fip non si fece più viva – racconta il rappresentante della General Fluidi Alessandro Tiburli – Poi ci dissero evasivamente che il nostro lavoro era finito. Allora andammo a controllare i capitolati d’appalto al Magistrato alle Acque, scoprendo che la Fip aveva depositato parte dei disegni da noi forniti a proprio nome, tra l’altro allegando una fotografia che riportava ancora il nome della nostra azienda».
La General Fluidi, patrocinata dagli avvocati Biagio Pignatelli e Angela Favara, ha presentato causa penale per appropriazione indebita di proprietà intellettuale e civile per il risarcimento danni. Prossima udienza nel 2016. «Abbiamo subito un danno di almeno 600 mila euro per il lavoro di progettazione fatto, che è stato riconosciuto solo in parte e che ha avvantaggiato la concorrenza – prosegue Tiburli – e abbiamo quantificato il danno morale in 50 mila euro. Ma l’amarezza non ha prezzo: per due anni abbiamo avuto uno dei nostri ingegneri che andava alla Fip una volta a settimana a insegnare ai loro uomini come andavano realizzati questi meccanismi».
Si tratta di un capitolo successivo alla diatriba tra le diverse tecnologie delle cerniere che avevano causato tante battaglie in Comitato tecnico di magistratura al Magistrato alle Acque. Si era già passati alla realizzazione delle cerniere per saldatura e non per fusione.
«Sarebbe importante che qualcuno controllasse la differenza di prodotto fornito – prosegue Tiburla – il Mose avrà dei sistemi di aggancio prodotti da ditte diverse tra la Bocca di porto del Lido e quelli di Malamocco e di Chioggia. Quelli successivi non hanno mai superato le prove tecniche perchè non c’era il tempo di farlo, ma sono diversi dai nostri».
Raffaella Vittadello
LE REAZIONI L’ex assessore regionale è nato a Quarto d’Altino e ha sempre vissuto a Ca’ Solaro
Nel regno di Chisso Favaro sbigottita per “mister preferenze”
I colleghi di partito del Psi e i compaesani si augurano che le accuse nei suoi confronti si rivelino infondate
LA RIFLESSIONE «Forse impossibile fare politica a certi livelli senza sporcarsi»
Muti e attoniti. Ben calzano i due aggettivi di manzoniana memoria per descrivere l’atteggiamento degli abitanti di Favaro all’indomani della notizia dell’arresto di Renato Chisso, l’assessore regionale alle infrastrutture.
Nonostante da qualche giorno in quel di Favaro si parlasse già di un coinvolgimento di Chisso nell’inchiesta, tra la gente c’è molta incredulità e, soprattutto, tanta voglia di evitare le domande del cronista sulla vicenda che ha visto un loro compaesano finire dietro le sbarre perché accusato di aver intascato tangenti per svariati milioni.
Chisso, nato a Quarto D’Altino, ha sempre vissuto nella frazione favarese di Ca’ Solaro, nella casa che fino a qualche anno fa era dei genitori, ora entrambi deceduti.
La politica nel sangue l’ha sempre avuta, tant’è che ha cominciato a militare giovanissimo nel Partito socialista italiano, del quale è diventato ben presto segretario della sezione di Favaro.
Bancario di professione, ma politico di vocazione, ha ricoperto la carica di consigliere di quartiere e poi di presidente del parlamentino favarese.
Con un numero di preferenze decisamente alto è stato successivamente eletto consigliere comunale ed, infine, il grande salto, diventando nelle liste di Forza Italia consigliere regionale e poi assessore ai trasporti, alla mobilità e alle infrastrutture.
«Sono umanamente dispiaciuta per quanto gli sta capitando – ha commentato Elettra Vivian, presidente del comitato residenti di Favaro – perché con lui ho avuto modo di lavorare ai tempi del Psi e perché lo conosco come una persona semplice e da sempre in prima linea per sostenere le istanze del territorio.
Ha sempre tenuto un profilo molto basso e, quindi, mai avrei pensato che potesse arrivare a commettere i reati di cui è accusato, tanto più che si parla di cifre esorbitanti.
Certo – ha proseguito – che quanto sta emergendo in questi giorni non può che provocare amarezza e delusione tra la gente perbene. Mi auguro solo che non sia vero, per lui, per la sua famiglia e per quanti credono in una società corretta».
Incredulità anche da parte di Piero Trabuio, titolare dell’omonima pizzeria di Favaro e membro dell’associazione esercenti e liberi professionisti «ViviFavaro».
«Conosco Chisso da quand’era bambino e la notizia del suo arresto, come quella dell’altro mio amico, l’architetto Dario Lugato, mi ha preso totalmente alla sprovvista, perché mai e poi mai avrei immaginato che potessero essere coinvolti in una cosa del genere. A pensarci bene, però, non dev’essere facile fare politica a certi livelli – ha aggiunto – senza sporcarsi le mani.
Mi spiego, non voglio affatto assolvere chi ruba, ma mi pare di capire che si è creato un tale sistema nella politica, per cui sei costretto ad entrare in certi “perversi” meccanismi se non vuoi restare al palo. Tuttavia – ha concluso – spero che sia Chisso che Lugato possano dimostrare l’infondatezza delle accuse per cui sono stati arrestati”.
Mauro De Lazzari
Fatto Quotidiano – Mose, quando Zaia si fece passare sotto il naso una nomina della “squadra”
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5
giu
2014
Piergiorgio Baita, ex vertice della Mantovani arrestato nel febbraio del 2013 nella prima tranche dell’inchiesta, racconta che Galan pretendeva di essere pagato anche se non era più governatore perché era ministro: “Per forza, come fa a dire di no? Voglio dire che l’ultima nomina l’abbiamo avuto che Galan non c’era più”
Chiede di poter parlare ai pm di Venezia il presidente del Veneto, Luca Zaia. Il giorno dopo l’alta marea giudiziaria che si è abbattuta sul Mose: 35 arresti, 100 indagati e 40 milioni sequestrati, il governatore leghista potrebbe avere a breve un incontro con il procuratore capo “per avere informazioni de visu“.
In una intervista a Skytg24 Zaia rivendica che arrivato lui sulla poltrona di governatore i corrotti non hanno avuto più spazio. Ma “la squadra” come lo stesso assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso arrestato ieri definiva il gruppo di corrotti e corruttori in un sms a Claudia Minutillo (ex segretaria di Giancarlo Galan), sarebbe riuscita lo stesso a far passare sotto il naso del governatore almeno una nomina. Quella del promotore della Valsugana (18 chilometri dei quali 11 in galleria e oltre 700 milioni di valore) nell’ambito di quello che potrebbe essere un altro filone dell’indagine ovvero le accelerazioni imposte dalle bustarelle agli iter dei project financing presentati dal gruppo Mantovani alla regione Veneto.
Piergiorgio Baita, ex vertice della Mantovani arrestato nel febbraio del 2013 nella prima tranche dell’inchiesta, ai pm racconta questo risvolto. Galan diventato ministro continuava a essere stipendiato, ma grazie all’assessore Chisso (componente della Giunta Galan e poi di quella Zaia) questa nomina sarebbe riuscita a passare anche sotto il naso del leghista. Parlando delle pretese continue dell’ex governatore Galan Baita risponde: “Per forza, come fa a dire di no? Voglio dire che l’ultima nomina l’abbiamo avuto che Galan non c’era più”.
Il meccanismo, che viene raccontato dalla Minutillo, in due interrogatori di marzo e aprile 2013, era semplice. Chisso, definitivo dagli inquirenti, “un dipendente della Mantovani”, senza nessun “tipo di intoppo o obiezione” portava in commissione i project financing voluti dall’impresa che “superavano senza problemi i pareri delle diverse commissioni e l’assessore alle Infrastrutture – racconta la donna – li portava in Giunta per l’approvazione senza particolari problemi”. Galan e Chisso venivano poi pagati per il loro appoggio anche con l’intestazione a prestanome di quote di società partecipanti agli utili dei project financing.
Uno di questi progetti la Pedemontana Veneta (la cui realizzazione è finita poi a un consorzio italo-spagnolo) è il cuore di una intercettazione tra Chisso e Minutillo. Il testo del progetto, “sviluppato e migliorato” dai dirigenti regionali indagati (e sospesi da Zaia) doveva ricevere l’ok definitivo. Ma quando la Minutillo chiede se ci sarà una conferenza stampa Chisso risponde che non esiste una conferenza stampa perché non vuole prima vedere nero su bianco e “non lo sa ancora nessuno, neanche Zaia”. La Minutillo replica che però a Zaia glielo deve dire e l’assessore arrestato risponde che lunedì o martedì in Giunta glielo dirà.
Gazzettino – Mose, la grande retata
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5
giu
2014
L’EDITORIALE – Le responsabilità oltre gli atti dei magistrati di Roberto Papetti
Non esistono aggettivi adeguati per definire i risultati dell’inchiesta giudiziaria sul perverso sistema di affari e interessi personali e di clan cresciuto intorno al Mose. Gli addetti ai lavori da tempo si attendevano notizie clamorose sulle indagini che, va riconosciuto, la Procura di Venezia e la Gdf veneta stavano conducendo da tempo senza protagonismi nè interessate fughe di notizie. Ma quanto è emerso ieri va oltre ogni attesa. Sia per quanto riguarda i reati contestati, sia per il livello delle persone coinvolte, sia per l’enorme quantità di denaro che sarebbe stata usata per occultare controlli, addomesticare i decisori, comprare il consenso dei politici. Non di tutti i politici, ovviamente. I distinguo sono quantomai necessari: c’è chi soldi li ha presi e chi no. Ma la rete era scientificamente trasversale. Ne esce un quadro sconcertante: alti funzionari, politici di primo piano, titolati professionisti e finanzieri tutti alla mercè della Serenissima Cricca che ruotava intorno al sistema Mose e ne governava, senza controllo, gli enormi flussi di denaro.
Ci sarà tempo per valutare l’enorme mole di documentazione prodotta dagli investigatori e, anche di fronte alle rivelazioni più clamorose, deve sempre valere il principio della presunzione di innocenza: le condanne le emettono i tribunali, non i giornali o le tv. Ma il quadro che sta emergendo certifica, pur con i necessari distinguo e i diversi gradi di responsabilità, il fallimento di una classe dirigente e di potere. E impone una riflessione a tutti: se a Nordest, la locomotiva d’Italia, un sistema di corruzione di questa vastità e pervasività, pubblico e privato, ha potuto prosperare per lunghi anni, la responsabilità non può essere solo di chi ieri figurava nell’elenco degli arrestati e degli indagati.
Roberto Papetti
Politici, tecnici, controllori. Tutti comprati dal Mose
Niente sarà come prima. Trentacinque persone arrestate, un centinaio di indagati e altrettante perquisizioni in quella che si prosetta la nuova Tangentopoli veneta. Lo tsunami giudiziario che all’alba di ieri si è abbattuto in laguna, ha sconvolto per sempre gli equilibri politico-imprenditoriali dell’intero Veneto e non solo della città più bella del mondo, che per la prima volta nella sua storia repubblicana si ritrova con il sindaco in manette. L’avvocato Giorgio Orsoni è ristretto ai domiciliari con l’accusa di finanziamento illecito per la campagna elettorale che lo ha portato a Ca’ Farsetti nel 2010, sconfiggendo l’avversario del centrodestra, l’ex ministro e parlamentare di Forza Italia, Renato Brunetta. Un’inchiesta quella condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria provinciale sotto la guida prima del colonnello Renzo Nisi quindi del successore Roberto Pennoni, e coordinati dai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, che ha azzerato la serenissima cricca nata e cresciuta all’ombra del Mose e dei suoi appalti miliardari gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del sistema di dighe mobili contro l’acqua alta. Referenti Giovanni Mazzacurati, allora presidente di Cvn e Piergiorgio Baita ex patron di Mantovani spa socio pesante di Cvn, in grado di gestire e condizionare i lavori elargendo milioni di euro attinti dai fondi neri per piegare praticamente chiunque ai propri interessi.
In una parola tangenti. Garantite con lo strumento più “banale” ovvero quello delle false fatturazioni su importi gonfiati ad hoc in combine che assicurano pure la pax sociale fra le varie aziende consorziate o meno. I conti stimati per difetto indicano in 22 milioni di euro distratti a scopi illeciti e il sequestro per equivalente agli indagti di 40 milioni di euro. Un macrocosmo di presuntori corruttori e altrettanti presunti corrotti in cui a finire in manette sono anche protagonisti storici del mondo politico veneto: Renato Chisso, forzista, assessore regionale alle Infrastrutture che con le sue 21.915 preferenze è risultato il candidato più votato nelle consultazioni che hanno incoronato doge del Veneto il leghista Luca Zaia. Per non parlare di Giampietro Marchese, esponente di spicco del Pd, consigliere regionale, ex tesoriere del partito, legato a Lino Brentan, altro pidiessino di rango, ex ad della società “Autostrada Venezia-Padova” arrestato per la seconda volta in due anni e mezzo. E nella ponderosa ordinanza firmata dal gip Alberto Scaramuzza compare anche un altro punto di riferimento Dem, il chioggiotto Lucio Tiozzo, capogruppo a Palazzo Ferro Fini, che però non risulta indagato ma che sarebbe stata o a conoscenza del “sistema Mose”. Nomi eccellenti sono anche quelli dei vicentini Lia Sartori, ex eurodeputata di Fi per cui è stato richiesto l’arresto, e di Roberto Meneguzzo, patron della Palladio Finanziaria, salotto buono della finanza del Nordest, definito a più riprese il “Cuccia” nostrano, che ha giocato da attaccante in partite come Fonsai e Generali. Per passare a lui, l’ex presidente della regione ed ex ministro, ora senatore di Fi, fidatissimo di Berlusconi suo testimone di nozze, quel Giancarlo Galan che dichiarò, nel libro-intervista dall’omonimo titolo, “Il Nordest sono io” a sottolineare una leadership indiscussa e duratura: la richiesta di arresto è stata inoltrata all’apposita Commissione di Palazzo Madama.
Senza dimenticare il generale di Corpo d’Armata Emilio Spaziante, in pensione, ex comnadante in seconda delle Fiamme gialle con un passato nei servizi segreti: da ieri è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Secondo gli inquirenti è la talpa, sul libro paga del Cvn, che a più riprese avrebbe passato a Mazzacurati e sodali informazioni sensibili sulle verifiche fiscali in atto e sugli eventuali procedimenti penali in corso a carico di Cvn, Mantovani e imprese collegate.
Non a caso nella conferenza stampa nella quale in mattinata sono stati illustrati i risultati dell’operazione, con il comandante regionale della Finanza, Bruno Buratti, il procuratore capo Luigi Delpino ha voluto complimentarsi ufficialmente con gli investigatori in grigioverde: «Hanno saputo superare diversi tentativi di interferenze» ha detto a sottolineare quanto sia stato difficile operare dovendo da subordinati aggirare le richieste pressanti di un ufficiale a tre stelle, di casa al Comando generale di Roma.
Mentre l’Aggiunto Carlo Nordio ha constatato non senza amarezza come a distanza di poco più di vent’anni la Procura di Venezia si sia trovata a fronteggiare una tangentopoli bis uguale in tutto e per tutto alla prima, e addirittura con le stesse facce, come ad esempio quella dell’ingegner Baita.
Il primo colpo al sistema viene inferto il 28 febbraio 2013 proprio con il suo arresto. L’accusa, formulata dal pm Stefano Ancilotto, è associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale attuata per lo più “cartiere” costruite unicamente per emettere fatture false. Oltre a Baita in cella ci vanno Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Galan e ad di Adria Infrastrutture società della galassia Mantovani, il responsabile amministrativo di quest’ultima Nicolò Buson e il console onorario di San Marino William Colombelli a capo della Bmc Broker, azienda di consulenza che dalle pendici del Titano garantiva a Baita un flusso ininterrotto di “uscite certificate” per attività mai svolte. Circa 20 milioni di euro la cifra calcolata per la maxi evasione. Il secondo colpo al sistema, il 12 luglio 2013 con l’arresto di Giovanni Mazzacurati. Il creatore del Mose si era dimesso dalla carica di presidente di Cvn appena due settimane prima, mettendo fine a un trentennio di assoluto dominio, dentro e fuori il Consorzio. Il sostituto procuratore Paola Tonini, che lo definisce “il grande burattinaio” gli contesta la turbativa d’asta per un appalto riguardante lavori di scavo nell’area portuale e per lui chiede e ottiene i domiciliari. Stessa misura cautelare per Pio Savioli e Federico Sutto, nell’ordine consigliere e dipendente di Cvn, per i responsabili della Cooperativa San Martino di Chioggia, Roberto Boscolo Anzoletti, Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto e un altro chioggiotto Gianfranco Boscolo Contadin della Nuova Coedmar. Due inchieste un unico filone, alla ricerca dei fondi neri milionari creati truccando le gare e facendo lievitare i costi non solo del Mose ma anche delle opere connesse alla salvaguardia di Venezia e finanziate con la Legge speciale. Soldi depositati su conti criptati e affidati alla “discrezione” di istituti bancari con sede nei paradisi fiscali. Soldi che come ha sottolineato Nordio hanno pagato di tasca propria tutti i cittadini.
Monica Andolfatto
LE MAZZETTE – In carcere 35 persone, oltre cento gli indagati. Sequestrati beni per 40 milioni. Per i magistrati il sistema tangenti ora è molto più sofisticato rispetto a 20 anni fa, manovra grandi cifre e provoca grandi danni erariali.
BLITZ ALL’ALBA – Terremoto giudiziario a Venezia per l’inchiesta sul Mose. Chiesti gli arresti per Giancarlo Galan e Lia Sartori, domiciliari per il sindaco Giorgio Orsoni, in carcere l’assessore regionale Renato Chisso.
«560mila euro una tantum»
«1 milione di euro l’anno»
«250mila euro l’anno»
L’INCHIESTA/1 – La “serenissima cricca” del Nordest da 40 milioni di euro
L’INCHIESTA/2 – Ogni nome una cifra. Appunti scritti su “carta mangiabile”
A Orsoni 560mila euro per Marchese 500mila alla Sartori 200mila
Finanziamenti, le prove trovate in un foglietto “in carta mangiabile”
BIANCO E NERO – Il Consorzio agiva su un doppio binario, legalità e irregolarità
Finanziamenti “in bianco” e finanziamenti “in nero”, sempre comunque illeciti. I fondi creati dal Consorzio Venezia Nuova, attraverso un complesso giro di fatturazioni false che coinvolgevano varie società, non avrebbero alimentato solo la grande corruzione, ma anche il finanziamento illecito dei partiti. Con fondi che potevano essere formalmente dichiarati, ma sempre da società minori, mai dal Consorzio, che invece effettivamente li sborsava. Ed ecco la modalità “in bianco”. Oppure essere versati senza dichiarazione alcuna, a rate, in pacchetti o buste, “in nero” appunto.
É un altro fronte dell’inchiesta che ha scosso la città, quello che è arrivato a colpire lo stesso sindaco Giorgio Orsoni, finito per questo agli arresti domiciliari. Tre in tutto i politici coinvolti. La posizione più grave è quella di un altro esponente Pd, il consigliere regionale di lungo corso Giampietro Marchese, per cui è stata disposta la custodia cautelare in carcere. Mentre una richiesta di arresti domiciliari c’è anche per Lia Sartori, richiesta per il momento sospesa, in quando l’ex consigliera regionale è eurodeputata del Pdl ormai in scadenza.
FINANZIAMENTI IN BIANCO E IN NERO – L’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza dedica un intero capitolo al finanziamento illecito ai partiti, dove ricostruisce nei dettagli il sistema. A pagare è sempre il Consorzio. «Attraverso il meccanismo delle false fatturazioni – si legge – trasferisce in modo occulto ed illecito delle somme alle singole imprese consorziate, che poi erogano il contributo nelle forme di legge». In questo modo il Consorzio non risulta tra i finanziatori ufficiali. Sempre attraverso il «meccanismo delle false fatturazioni alle imprese consorziate e successive retrocessioni» da quest’ultime allo Consorzio, si alimenta anche il “nero” con la creazione di una «disponibilità diretta di fondi». Con il primo sistema, ad esempio, nel 2010, Marchese riceve 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), ma che in realtà provengono dal Consorzio. Ben maggiori i finanziamenti illeciti che il consigliere regionale avrebbe ricevuto con il sistema occulto: tra i 400 e i 550mila euro, tra 2006 al 2012. E non è finita, perché a Marchese viene contestata anche una «fittizia assunzione» presso lo studio Eit per altri 35mila euro. Fin qui le accuse.
APPUNTI IN “CARTA MANGIABILE” – Ma l’ordinanza racconta anche della genesi di questo filone dell’inchiesta. Tutto sarebbe partito dalla scoperta di alcuni foglietti tra la documentazione riservata del Consorzio, nascosta da una dipendente a casa dei suoi genitori. Appunti dettati dal factotum Pio Savioli, scritti su “carta mangiabile”, come si raccomanda un altro uomo del Consorzio in un’intercettazione. Ebbene, in uno di questi appunti, c’è una lista di somme con a fianco dei nomi: 33mila euro per Pd provinciale, per Lucio Tiozzo, per Marchese, 100mila per la Fondazione Marcianum… É poi Savioli a raccontare che quei 33mila a Marchese sono un «finanziamento ufficiale» deliberato da Coveco. Si risale poi anche a quello di Selc. In un caso come nell’altro, Marchese sa bene che i soldi, in realtà, arrivano dal Consorzio – argomenta il gip – tant’è che in un colloquio Savioli fa riferimento al “capo supremo” e Marchese capisce che si tratta del presidente Mazzacurati. É poi proprio Mazzacurati, dopo l’arresto dell’anno scorso, a raccontare anche dei finanziamenti occulti.
L’UOMO DELLA “SINISTRA POLITICA” – Marchese gli viene presentato come l’«uomo con cui dovevo parlare per metterci d’accordo per le dazioni» alla «sinistra politica». E così il consigliere regionale, in circa 8 anni, nella ricostruzione dell’ordinanza, riceve circa mezzo milione di euro, sempre in contanti, consegnati a mano. Una volta dallo stesso Mazzacurati in campo Santo Stefano, altre volte i pacchetti vengono portati in Regione, cosa che preoccupa il presidente. Il rapporto di Marchese con il Consorzio è tale – continua il gip – che nel 2010, quando non viene rieletto in Regione (sarà “ripescato” tre anni dopo), viene assunto da una società nell’orbita di Coveco. Davanti al contratto il politico, in un’intercettazione, sbotta: «Dovrei lavorare dal lunedì a venerdì… Fino alle 18.30» con tanto di bestemmia. Ma l’interlocutore del Consorzio lo rassicura: «Lascia perdere quello che c’è scritto».
L’EURODEPUTATA PDL – Anche il caso Sartori, parte da uno degli foglietti in “carta mangiabile” della documentazione nascosta del Consorzio. Altre cifre, altri nomi: 40mila euro per Davide Zoggia, 100mila per Studium Marcianum, 10mila per Sergio Reolon, 25mila per comitato Sartori… Ed è quest’ultima cifra che viene poi spiegata con il meccanismo dei finanziamenti “in bianco”, in questo caso transitati per la Coveco, nel 2009, in vista della campagna elettorale per le europee. Anche per lei, poi, c’è il capitolo in “nero”: 200mila euro, dal 2006 al 2012. Il primo a raccontarlo è Baita che riferisce di avere un rapporto «conflittuale» con la Sartori, ma di sapere che Mazzacurati, sempre nel 2009, le ha consegnato 50mila euro cash. Sarà poi lo stesso Mazzacurati a completare il quadro, riferendo di altre consegne: sempre da 50mila euro alla volta, sollecitate dalla Sartori.
IL SINDACO DI VENEZIA – Dalle europee del 2009 alle politiche del 2010, quando entra in scena anche Orsoni. Al sindaco sono contestati due episodi di finanziamento illecito: come candidato sindaco Pd, avrebbe ricevuto 110mila euro dal Consorzio, attraverso le società consorziate San Martino, Clea, Bosca e Cam. Mentre sul fronte occulto, i vertici del Consorzio gli avrebbero consegnato altri 450mila euro in più rate, di cui 50mila cash procurati da Baita. É ancora Mazzacurati a raccontare che il Consorzio decide di finanziare la campagna elettorale di Orsoni con i soliti sistemi. Per il “bianco” il presidente coinvolge una serie di imprese veneziane, tra cui quelle di Nicola Falconi, attuale presidente dell’ente gondola che, dalle intercettazioni, appare particolarmente soddisfatto del ruolo: «Potesse anche essere utile per battere cassa tra virgolette» commenta con Savioli. «Noi avevamo previsto di spendere molto meno – racconta, invece, Mazzacurati nel suo interrogatorio – e poi invece Orsoni mi ha detto che aveva bisogno di tutti gli altri soldi». La maggior parte arrivano così “in nero”, nella ricostruzione del gip. É la stesso Mazzacurati a consegnarli al candidato sindaco. «Andò più volte a casa di Orsoni, nel giro di tre quattro mesi, portandogli ogni volta fino a 100 150mila euro» si legge nell’ordinanza. Una delle prime tranche da 50mila euro viene procurata da Baita che raccontando il fatto offre una spiegazione illuminante della filosofia del Consorzio: «Quando c’era la campagna elettorale si attivavano i doppi binari: tanto finanziamo ufficialmente, tanto finanziamo in nero. Quello ufficialmente tanto facciamo noi come Consorzio, tanto fate voi come soci. Quello in nero esclusivamente tramite Consorzio, perché il Consorzio non voleva assolutamente che i soci finanziassero direttamente in nero dei politici che avrebbero potuto rappresentare degli ingressi collaterali nel Consorzio». Un controllo assoluto, insomma, che avrebbe coinvolto anche il sindaco.
Roberta Brunetti
Trecento finanzieri impegnati nell’operazione
Mose, la grande retata
Tangenti: richiesta di arresto per l’ex governatore Galan e l’europarlamentare Sartori, ai domiciliari il sindaco Orsoni. Manette per l’assessore Chisso, il consigliere regionale Marchese, l’imprenditore Meneguzzo e il generale della Finanza Spaziante. In tutto sono 35 ordini di cattura e cento indagati.
L’INCHIESTA – 35 arresti, 100 denunciati. Dal Consorzio milioni per aver mani libere in Laguna
Agli arresti il sindaco di Venezia Orsoni (Pd), i forzisti Chisso e Sartori (richiesta), i pd Marchese e Brentan, funzionari regionali, il patron di Palladio Finanziaria, un generale delle Fiamme Gialle, un giudice della Corte dei Conti, due Magistrati alle Acque
LA STORIA – L’inchiesta è nata nel 2008 da un banale controllo fiscale su una cooperativa impegnata nei lavori alle dighe mobili nella bocca di porto di Chioggia
Il blitz nel cuore della notte al termine di indagini durate anni
VENEZIA – Il d-day è scattato nel cuore della notte, quando in contemporanea trecento finanzieri hanno raggiunto gli obiettivi prefissati per eseguire le 35 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Alberto Scaramuzza, e altrettante perquisizioni fra Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Lombardia. Un giorno atteso da tempo. Almeno da tre anni. Da quando cioè sotto gli occhi attenti degli 007 in grigioverde si stava delineando uno scenario inatteso rispetto alla mera verifica fiscale avviata nel 2008 alla Cooperativa San Martino, impegnata nella costruzione delle dighe mobili alle bocche porto di Chioggia. Una ventina i militari dedicati a tempo pieno a decifrare quello che diventerà il “sistema Mose”, gli uomini del Nucleo di polizia tributaria provinciale, sotto la guida prima del colonnello Renzo Nisi, poi del suo successore Roberto Pennoni con la squadra del 1. Gruppo tutela entrate diretta dal tenente colonnello Roberto Ribaudo. La quadratura del cerchio è avvenuta quando i riscontri emersi durante la verifica fiscale avviata dai colleghi padovani nel 2010 alla Mantovani sono confluiti nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto sulla ditta clodiense. Ed è solo ex post che gli inquirenti, grazie alla circolarità di informazioni, sulla base di contabilità parallele, di fatture gonfiate, di costi di materiali lievitati attraverso passaggi di società con sede all’estero e di consulenze fittizie strapagate, hanno cominciato a cercare i fondi neri e poi gli utilizzatori finali, ovvero i corruttori e i corrotti. I primi sono stati smascherati, in una sorta di manovra a tenaglia, dall’operazione Chalet del pm Ancilotto, del febbraio 2013, con l’arresto di Baita, Minutillo, Buson e Colombelli e dall’operazione Profeta coordinata dal pm Paola Tonini del luglio seguente con l’arresto di Mazzacurati deus ex machina del Consorzio Venezia Nuova e di consiglieri, dirigenti di Cvn e rappresentanti legali di ditte consorziate. Quindi a settembre, con il pm Stefano Buccini, l’arresto del vice questore di Bologna, Preziosa, che secondo l’accusa rivelava ai vertici del Mose eventuali accertamenti in atto. Di qui la decisione del procuratore capo Luigi Del Pino di creare il pool, composto dai pm Tonini, Ancilotto e Buccini, con il supporto dell’Aggiunto Carlo Nordio, referente per l’Area economica, che insieme alle Fiamme gialle ha raccolto le prove definite schiaccianti sui destinatari delle mazzette.
M.A.
Così seguivano la pista dei fondi neri creati all’estero
Il procuratore aggiunto Carlo Nordio: è come vent’anni fa, con le stesse persone
Ma nel ’92 i soldi finivano ai partiti, oggi prevale l’interesse personale
ORE 6.55 – Lo scoop del Gazzettino online batte il record di utenti sul web
È stato il Gazzettino.it con un pezzo a firma di Monica Andolfatto il primo quotidiano on line a dare la notizia degli arresti in corso della Guardia di Finanza per l’inchiesta sul Mose. Lo scoop, pubblicato alle 6.55, dava il resoconto completo di quanto stava avvenendo, un’ora prima che agenzie e altri siti d’informazione uscissero con i primi lanci. Ed è stata una giornata da record per il nostro sito con oltre 4 milioni di pagine viste, migliaia di condivisioni tra Facebook e Twitter, quasi 300mila persone a leggere le notizie sulla nuova tangentopoli veneta che ha portato all’arresto del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, dell’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, e alla richiesta di custodia cautelare dell’ex governatore del Veneto e attuale parlamentare di Forza Italia Giancarlo Galan.
IL SISTEMA La ricostruzione dei magistrati. Le tangenti milionarie pagate con i soldi pubblici non con gli utili aziendali
VENEZIA – «Le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini». Si sbaglia di grosso chi crede che il pentolone scoperchiato a Venezia e in mezzo Veneto dalla Procura di Venezia e dal Nucleo Regionale della Polizia Tributaria, sia soltanto un affare privato. In realtà è uno spaccato dell’Italia dove le lobby di potere sono in grado di condizionare l’utilizzo del denaro di tutti, drenando risorse occulte per pagare mazzette. Denaro sonante che deriva da truffe fiscali vere e proprie, con tanto di cartiere e di dichiarazioni infedeli.
Che le tangenti siano state pagate dai cittadini lo ha ribadito ieri il procuratore aggiunto Carlo Nordio, che ha partecipato alla conferenza stampa assieme al procuratore Luigi Delpino e al generale della Finanza Bruno Buratti. Il lavoro investigativo è stato svolto dalle Fiamme Gialle, coordinate da tre sostituti procuratori d’assalto, Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Carlo Nordio di Mani Pulite se ne intende. Vent’anni fa mise alle corde il sistema asservito in Veneto alla legge del 3%, la percentuale delle tangenti, da Carlo Bernini e Gianni De Michelis. Suo malgrado ha dovuto ammettere che nulla è cambiato.
«Le caratteristiche di questo sistema sono analoghe a quello di allora. Anzi, troviamo perfino gli stessi protagonisti. Soltanto che la tecnica si è affinata, è più sofisticata. La Finanza ha dovuto lavorare molto, e bene, per svelare il sistema delle sovrafatturazioni e delle retrocessioni da parte di società. Ma anche delle consulenze gonfiate». Così ha detto Nordio.
Il sistema in parte è mutato, nel senso che vent’anni fa ad incassare furono i portaborse della Democrazia Cristiana e del Pci. I soldi finivano ai partititi, o perlomeno alle correnti. Oggi è probabile che ci siano interposizioni di interessi privati. Se anche in qualche caso l’accusa è di solo finanziamento illecito dei partiti (come per il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni), in altri è evidente che il denaro è finito direttamente in tasca agli amministratori regionali. Se poi sia stato utilizzato a fini politici lo accerterà l’inchiesta, o lo potranno chiarire i diretti interessati negli interrogatori, di garanzia davanti al gip o con i pubblici ministeri.
Giuseppe Pietrobelli
L’ARRESTO DEL SINDACO – I finanzieri suonano prima delle 5,30. Viaggio in caserma e poi a casa
Lo ha notato più di un veneziano mattiniero e la notizia si è subito sparsa per la città con la rapidità di un fulmine. Giorgio Orsoni, il sindaco di Venezia, che esce di casa la mattina presto, in compagnia di alcuni uomini della Guardia di Finanza.
Ieri, la giornata del primo cittadino della città lagunare è iniziata così: i militari hanno suonato alla porta della famiglia Orsoni, a San Silvestro (foto a destra), a due passi da Rialto, che non erano ancora le cinque e mezza. Il sindaco è stato quindi accompagnato in caserma per la notifica dell’ordinanza cauterale, per poi essere subito riaccompagnato a casa, dove ora dovrà restare agli arresti domiciliari.
TRANSIZIONE – La scadenza naturale della legislatura è fissata nel 2015
GUIDA DELLA CITTÀ – La maggioranza vuole andare avanti l’opposizione stoppa
IN COMUNE – Venezia, poteri al vice oppure voto anticipato. La scelta fra le due ipotesi dipende dalle dimissioni o dalla “sospensione temporanea”
E improvvisamente il cielo su Venezia è diventato cupo. E ancora di più le stanze di Ca’ Farsetti, la “casa” municipale di Venezia. L’arresto del sindaco Giorgio Orsoni è stato un fulmine a ciel sereno. «Avevo già letto tutti i giornali alle sei di mattina – confessa il vicesindaco Sandro Simionato – E poi ho dato un’occhiata al sito internet del Gazzettino…». Viso tirato, occhi che sprizzano nervosismo, frasi secche, toccherà proprio a Simionato traghettare in questo momento il Comune di Venezia dopo la burrasca che lo ha colpito. In mattinata Simionato ha riunito la giunta, ha sentito i pareri dei suoi colleghi assessori e poi si è catapultato in Prefettura, a Ca’ Corner per capire – tecnicamente – i margini di manovra. Una situazione delicata che è tutta nelle mani di Orsoni. Se il primo cittadino intenderà dimettersi, il passaggio formale sarà a senso unico: tutti a casa con l’ingresso del commissario prefettizio per l’ordinaria amministrazione e l’indizione di nuove elezioni. Ma non è l’unica ipotesi.
L’altra è quella che vede la Procura come attore dei destini della città con l’invio ad Orsoni di una “comunicazione di sospensione temporanea” del suo incarico di primo cittadino con l’automatico passaggio di ogni funzione al vicesindaco che potrebbe così portare a termine la “consigliatura” fino a scadenza naturale nella primavera del 2015. Ed è proprio su questi “tecnicismi” che ci si sta misurando, e che saranno chiamati a discutere i partiti che dal 2010 hanno sostenuto Orsoni (Pd, Psi, Verdi, Udc, Idv) con l’appoggio esterno del Prc. «Andiamo avanti – taglia corto il vicesindaco Simionato – con uno sforzo comune, collettivo e con grande senso di responsabilità. Dove c’è da far chiarezza, lo si faccia al più presto. E che la magistratura faccia il suo corso. Sul Mose, la posizione del Comune è sempre stata improntata alla massima coerenza: abbiamo denunciato più volte il fatto che vi fosse un unico mandatario (Consorzio Venezia Nuova ndr) detentore unico del sistema. In una grande opera da 5 miliardi di euro, non vi è dubbio che qualche rischio poteva starci. Noi siamo per nuove regole di gestione degli appalti. Un’Amministrazione che si auto-elimina sarebbe in questo momento un suicidio per la città». Intanto le opposizioni si sono immediatamente scatenate. E ieri pomeriggio sotto il colonnato di Ca’ Farsetti, i gruppi consiliari di Fratelli d’Italia, Lega Nord, CinqueStelle e Gruppo Misto hanno manifestato chiedendo le dimissioni di Orsoni e della giunta comunale. Ed è scattata anche la mobilitazione di enti e associazioni: Codacons, Adico e Federconsumatori che hanno annunciato un’azione legale per il risarcimento danni.
Baita accusa: «Galan? Esoso»
Per lui un milione l’anno allo “spallone” Chisso 250mila
Giancarlo Galan e Renato Chisso erano sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova. L’allora governatore del Veneto percepiva uno “stipendio” di un milione di euro l’anno e l’assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso 250 mila. E non si accontentavano dei soldi, pretendevano anche di avere quote in varie società. Per questo il magistrato parla di “fabbisogno sistemico” e significa che la corruzione dei due esponenti di Forza Italia in Regione faceva parte di un meccanismo che ha iniziato a girare agli inizi degli anni ’90 ed è arrivato fino ai giorni nostri. Di quanti soldi si tratta? Secondo Baita si ragiona sui 6 milioni di euro consegnati ai politici. Cifra per difetto visto che nè Piergiorgio Baita, amministratore delegato del gruppo Mantovani nè Giovanni Mazzacurati, il patron del Consorzio Venezia Nuova, stavano lì a conteggiare i 100 mila euro in più o in meno.
GALAN? ESOSO
Certo che, almeno per quanto riguarda l’ex Governatore, Baita si lamenta «delle richieste esose del Galan» – riferisce Claudia Minutillo, che di Galan è stata segretaria per una decina di anni, prima di essere cacciata dallo stesso Galan per poi ripresentarsi in tempi recenti come accusatrice implacabile del suo ex datore di lavoro. La Minutillo sia nel caso di Galan che nel caso di Chisso ha fatto per un certo periodo lo “spallone” e cioè la persona incaricata di portare i soldi ai due politici. Baita riassume il sistema di pagamento: «Per quanto riguarda Galan fino al 2005 attraverso la signora Minutillo, dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso… Per quanto riguarda Chisso invece fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente, dal 2010 ho provveduto io». E’ proprio lei, Claudia Minutillo, a parlare dello “stipendio”. Si trattava infatti, per Galan e Chisso, «di pagamenti regolari».
FALSE FATTURAZIONI
Dunque, quel che si scopre da questa nuova inchiesta è che le false fatturazioni che erano saltate fuori – per una dozzina di milioni di euro – qualche mese fa, quando era saltato il primo tappo della tangentopoli veneta con gli arresti di Baita e Mazzacurati, è che i soldi in nero servivano a finanziare i politici. Come, peraltro, sembrava ovvio a tutti. Servivano le prove, però, e adesso i magistrati dicono di averle trovate, ma più di qualche avvocato ieri mattina sottolineava qualche passaggio “ballerino” dell’ordinanza per assicurare che il suo cliente se la sarebbe cavata senza problemi. Assodato infatti che esisteva il “Sistema Consorzio”, si tratta di vedere quanto forti sono le accuse sulle singole posizioni. Quel che è certo è che Baita quantifica in 6 milioni di euro la “provvista” di quattrini che sono finiti in mazzette. Con questi soldi il Consorzio Venezia Nuova aveva la strada spianata.
SOLDI IN CAMBIO DI AIUTINI
Nell’interrogatorio del 30 ottobre 2013, Piergiorgio Baita, precisa che i provvedimenti ottenuti “grazie” alle mazzette sono 4: 1- Commissione di salvaguardia-Approvazione progetto definitivo Mose 2004; 2 – Commissione Via regionale per dighe di Chioggia; 3 – Commissione Via regionale per le dighe di Malamocco; 4- Commissione Via per le dighe del Lido tra il 2004 e il 2005. «Successivamente alle approvazioni sono da intendersi pertanto avvenuti e completati i pagamenti cui ho fatto riferimento» – conclude Baita. Ma se su Chisso si tratta “solo” di soldi – Mazzacurati dice di aver consegnato all’assessore regionale quattrini fin dagli anni ’90 e fino a 250 mila euro l’anno e di aver dato gli ultimi soldi nei primi mesi del 2013 – nel caso di Galan si tratta anche di lavori di ristrutturazione dell’abitazione a Cinto Euganeo. Racconta Baita a verbale: «Io ho sostenuto i costi di Tecnostudio di Danilo Turato che era il responsabile della progettazione architettonica, della direzione lavori e di alcuni lavori di restauro». Danilo Turato non viene pagato in contanti, ma con un sistema di sovrafatturazione. «Gli ho dato degli incarichi, 4-5 diversi non chiedendogli ribassi rispetto alla tariffa progettuale» . In tutto Baita spende per la villa di Galan la bellezza di 1 milione 100 mila euro. «L’ultimo pagamento è stato fatto con un certo ritardo rispetto al completamento dei lavori. E’ avvenuto quasi un anno dopo che i lavori erano finiti, nel 2009. Galan continuava a chiedere soldi solo per il fatto che era ministro.»
Maurizio Dianese
REGIONE – In manette due importanti funzionari. Il segretario Casarin già nella prima Tangentopoli
Fasiol, «di lui si fidano»
Artico, assunta la figlia
L’inchiesta spazza gli uffici della Regione Veneto. E in galera finiscono anche il segretario di Renato Chisso, Enzo Casarin, già finito nei guai ai tempi della prima Tangentopoli Veneta. Casarin è accusato di aver fatto da cassiere per conto di Chisso. Assieme a Casarin sono finiti in manette anche due importanti funzionari della Regione. «Artico aveva bloccato l’accordo di programma proprio perchè non avevano ancor assunto la figlia». Artico è Giovanni Artico, dirigente presso la segreteria regionale infrastrutture.
E’ lui, stando alle accuse, che blocca l’iter delle approvazioni finchè non riesce a far assumere la figlia Valentina dal gruppo Mantovani ed esattamente dalla Nordest media, che è la società che controlla giornali free press come “Il Mestre”. Non è l’unico funzionario che, stando all’Ordinanza del Gip «ha completamente asservito l’esercizio della sua pubblica funzione agli interessi del Gruppo Mantovani». C’è anche Giuseppe Fasiol, dirigente regionale del settore strade e infrastrutture. Fasiol viene “premiato” con una serie di incarichi remunerativi come il collaudo della opere del Mose. Secondo il racconto che fa Claudia Minutillo, Fasiol viene scelto “perchè si fidano di lui”. Chi, esattamente? Baita, che vuole Fasiol quale componente della Commissione collaudo del Mose. «Le posso assicurare – dice al magistrato – che le nomine da sempre le ha fatte l’ing. Mazzacurati, cioè faceva in modo che venisse nominato presidente del Magistrato alle acque una persona a lui gradita, gradita al Consorzio.» Dunque Fasiol, il quale, sempre secondo la Minutillo, dovrebbe affrancarsi da Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade e suo superiore diretto.
Pare evidente che Baita e Mazzacurati non si fidano di Vernizzi e gli preferiscono Fasiol, al punto che «Chisso aveva fatto capire a Fasiol che comunque lui doveva in qualche modo staccarsi da Vernizzi per essere la persona di riferimento anche nostra». Insomma a Fasiol non sarebbero andati quattrini, ma gli sarebbe stata creata una carriera professionale che automaticamente portava anche ad incarichi e quindi a quattrini. Ma l’accusa arriva solo da Claudia Minutillo. Piergiorgio Baita, scrive il giudice, si limita a spiegare che “il sistema generale dei benefici ai funzionari regionali tramite assunzioni di parenti e/o incarichi”.
Baita “ha altresì chiarito che fino a quando ci fu Galan a fare da garante, non c’era alcun bisogno di dare qualsiasi forma di beneficio ai dipendenti regionali, poichè gli stessi erano sicuri che, assecondando le richieste Mantovani, sarebbero stati garantiti negli avanzamenti di carriera dallo stesso Galan.”
MAZZACURATI «Fu presa la decisione di finanziare il sindaco con i soliti sistemi»
«Fabbisogno sistemico»: provviste in nero e fatture false
Il governatore “pagato” anche con la ristrutturazione della villa sui Colli Euganei
LA DURATA – Il meccanismo ha iniziato a girare negli anni 90’, è proseguito fino ad oggi
CONSULENTE DEL CONSORZIO VENEZIA NUOVA
Meneguzzo (Palladio) “grimaldello” con Roma
Il finanziere vicentino fu suggerito a Mazzacurati da Lia Sartori chiamato a sbloccare fondi dal governo e scoprire l’esito dei controlli
Il trait d’union fra Venezia e Roma, fra il Consorzio Venezia Nuova e il Palazzo, passava per Vicenza. Ovvero per Roberto Meneguzzo, 58 anni, fondatore della Palladio Finanziaria spa, spettatore interessato dei progetti in via di realizzazione al Lido ma soprattutto ben ammanicato negli uffici che contano. Corruzione e rivelazione di atti coperti dal segreto d’ufficio sono i reati che gli vengono contestati nell’ordinanza che lo ha portato in carcere a La Spezia. Sarebbe stato Meneguzzo, consulente del Consorzio Venezia Nuova fin dal 2009, a fungere da tramite per “agganciare”, per conto di Giovanni Mazzacurati e del Consorzio Venezia nuova, Marco Milanese, l’ex braccio destro del ministro Giulio Tremonti. A suggerire a Mazzacurati il nome del finanziere vicentino sarebbe stata l’europarlamentare Lia Sartori. Il fine era sbloccare in sede di Governo un finanziamento da 400 milioni di euro per il Mose. Le intercettazioni – siamo nella primavera del 2010 – semabrano provare una fitta serie di contatti fra il Consorzio e il finanziere, e fra quest’ultimo e Milanese al fine di condurre in porto lo sblocco dei finanziamenti. Per il quale, naturalmente, Meneguzzo avrebbe avuto il suo tornaconto economico.
Ma una volta ottenuto il via libera per il rifinanziamento del Mose, inserito in una delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) stando all’inchiesta, per il Consorzio era sorta una nuova “grana”. All’inizio dell’estate del 2010 era stata disposta una verifica fiscale nei confronti del Consorzio Venezia nuova, che evidentemente doveva preoccupare non poco i suoi vertici. Così era stato chiamato in causa ancora una volta Meneguzzo. Questa volta con un compito non meno delicato e complesso: cercare di conoscere quale esito avessero avuto i controlli. Per questo si era decisi di puntare in alto, ovvero al generale (in pensione) delle Fiamme Gialle Emilio Spaziante. Un favore, anche in questo caso, che sarebbe stato ricompensato lautamente sia all’ufficiale che all’intermediario, che avrebbe ottenuto un contratto da due milioni di euro con la Palladio finanziaria.
I contatti fra Meneguzzo e il Consorzio, del resto, erano emersi già lo scorso anno, all’epoca della seconda tranche dell’inchiesta sul Mose. La Palladio, che, insieme ad altri soci-amici, detiene il 2,2% delle Generali, era interessata ai progetti di Est Capital (peraltro estranea alle indagini), la società di gestione del risparmio che proprio al Lido lavora alla riconversione degli hotel Des Bains ed Excelsior. In quest’ultimo albergo, peraltro, lo stesso Meneguzzo era solito soffermarsi quando si trovava a Venezia.
Alberto Francesconi
2008-2011 – Patrizio Cuccioletta, 400mila all’anno, 500mila su conto estero e assunzione per due parenti
2001-2008 – Maria Giovanna Piva, 400mila euro l’anno più incarichi per l’Ospedale di Mestre
TRADITORI – L’ente ministeriale che deve tutelare la Laguna ometteva ogni controllo
FUGHE DI NOTIZIE PER PILOTARE LE INDAGINI
Come in una “spy story” non mancavano doppiogiochisti e chi si spacciava per potente
Quando il generale è infedele. Porta le stellette della Guardia di Finanza, ma collabora, in cambio di denaro, per evitare guai in una verifica fiscale che non faceva dormire sonni tranquilli a Giovanni Mazzacurati, del Consorzio Venezia Nuova. Quando oscuri personaggi millantano credito presso magistrati o finanzieri, per lucrare denaro che viene prontamente pagato da società e Consorzio. Sono storie di fughe di notizie e interventi per pilotare le indagini quelle che si incrociano nell’inchiesta.
La più clamorosa riguarda il generale Emilio Spaziante, all’epoca Comandante Interregionale dell’Italia Centrale. Viene agganciato dal vicentino Roberto Meneguzzo di Palladio Finanziaria. E chiede 2 milioni di euro, Nel capo d’accusa il riferimento è a due milioni e mezzo. In realtà venenro pagati 500 mila euro. Mazzacurati ha scritto un verbale che accusa: «Successivamente il dottor Meneguzzo mi presentò il Gen. Spaziante che sarebbe stato il riferimento per le future esigenze in materia di finanziamenti. In detto periodo il CVN era oggetto di una ispezione della Guardia di Finanza ai fini fiscali. II dott. Meneguzzo mi dava ad intendere di conoscere molti dettagli dell’operazione e mi precisava che lo stesso Gen. Spaziante avrebbe potuto orientare l’indagine. Ciò perché, secondo il dott. Meneguzzo, c’erano forze ostili al CVN». Continua Mazzacurati: «Mi veniva rappresentato che la verifica in corso avrebbe potuto trascendere gli aspetti fiscali ed essere orientata in modo da creare problemi al CVN, salvo che attraverso l’intervento del generale si sarebbero potute prevenire situazioni negative ingenerate da terzi. Mi veniva, pertanto, richiesta dal Gen. Spaziante una somma particolarmente rilevante (circa 2.000.000 di euro)».
Ci sono altri rivoletti che riguardano alcuni personaggi le cui società erano entrate in contatto con il Consorzio. Sono indagati di millantato credito Luigi Dal Borgo, Mirco Voltazza, Gino Chiarini, Alessandro Cicero, Vincenzo Manganaro e Corrado Crialese. I primi quattro avrebbero assicurato di poter usare Raffaele Tito, procuratore aggiunto di Udine, per per ottenere notizie riservate su procedimenti in corso riguardanti Consorzio Venezia Nuova e Mantovani, nonchè in un’indagine sulla bonifica della Laguna di Marano. Il Chiarini fu addirittura presentato come un intermediario del dott. Tito. È inutile aggiungere che il magistrato non conosce nessuna di queste persone. Eppure Voltazza avrebbe ricevuto 100 mila euro e un appalto da 5 milioni di euro, Dal Borgo un contratto di fornitura di materiale, Cicero e Manganaro 2,2 milioni di euro per il settimanale “Il Punto”. Una storia simile (indagati Manganaro e Cicero) per asserite infiltrazioni nella Finanza e nei servizi segreti. In questo caso aumentò il finanziamento alla rivista. Il solo Crialise poi si accreditò per possibili interventi su magistrati del Consiglio di Stato e del Tar del Lazio e del Veneto.
G. P.
EX MAGISTRATO ALLE ACQUE Patrizio Cuccioletta al microfono: aiuti per se e per i parenti
Milioni ai Magistrati alle Acque per chiudere gli occhi sulle dighe
Tutti a disposizione. I controllori non controllavano. Il Consorzio Venezia Nuova poteva condizionare i Magistrati alle Acque il cui compito istituzionale dovrebbe essere quello di verificare che procedure e interventi avvengano nel rispetto della legge. La più grande infedeltà che emerge dalle carte dell’inchiesta nei confronti della città lagunare è proprio questa: l’Italia ha investito miliardi per salvarla dalle acque alte, ma il Consorzio è riuscito a percorrere scorciatoie procedurali per accorciare tempi ed evitare controlli. Il tutto lautamente pagato con tangenti, addirittura stipendi veri e propri di cui beneficiavano i vertici del Magistrato.
Maria Giovanna Piva è stata presidente del Magistrato dal 26 luglio 2001 al 30 settembre 2008. Ebbene, avrebbe beneficiato dei soldi rastrellati da imprese legate ai lavori del Consorzio con il sistema delle false fatturazioni. Bruscolini? Regali? Omaggi? Molto di più. Piva avrebbe ricevuto uno stipendio annuale di 400 mila euro, di cui 200 mila versati da Piergiorgio Baita. Inoltre, «grazie agli interventi di Giovanni Mazzacurati e Baita, ricevette gli incarichi come collaudatore di opere dell’Ospedale di Mestre, mansione per la quale riceveva la somma di 327.984,15 euro dal 2006 al 2012».
Il contraccambio? «Delegava integralmente all’ing. Maria Teresa Brotto, responsabile del servizio progettazione del sistema Mo.Se del Consorzio Venezia Nuova, nonchè ad altri dipendenti del Consorzio, la predisposizione formale e sostanziale degli atti». Inoltre, ometteva «di effettuare la dovuta vigilanza sulle opere in corso di realizzazione, non segnalando i ritardi e le irregolarità nell’esecuzione dei lavori, nel mettersi costantemente a disposizione del Consorzio, nell’accelerare gli iter di approvazione e nei rilasci dei permessi di interesse del Consorzio».
In fotocopia, l’accusa è uguale per Patrizio Cuccioletta, che è stato Magistrato alle Acque dall’1 ottobre 2008 al 31 ottobre 2011. Cambiano però in parte le cifre: stipendio annuale di 400 mila euro (200 mila da Baita); un bonifico di 500 mila euro su un conto estero per 500 mila euro; un contratto di collaborazione alla figlia Flavia (27.000 euro), poi assunta da Thetis. Come non bastasse, un contratto tramite Co.Ve.Co al fratello Paolo, architetto, per 38 mila euro nel 2012. Ma ci sono episodi dell’altro mondo, come quella volta che Cuccioletta era a Malaga e avrebbe dovuto partecipare a un convegno organizzato da Galan a Venezia. Aveva chiesto un aereo privato. Gliene fu messo a disposizione uno che costava 18 mila euro, ma avrebbe dovuto fare uno scalo. E così insistette per ottenerne un altro, che costava 4 mila euro in più. Poi il volo non si fece, ma la sostanza non cambia.
Nel capitolo ci sono anche soggiorni a Cortina (Grand Hotel) e Venezia, pagati dal Consorzio. Non solo a favore di Cuccioletta e familiari, ma anche di dirigenti del Ministero delle Infrastrutture, ad esempio ospitati in Toscana.
«Come spiega lo stipendio extra elargito a tutti i Magistrati alle Acque?» chiese il Pm in un interrogatorio a Giovanni Mazzacurati. Il presidente rispose: «Non a tutti». Ma incalzato ammise: «Noi cercavamo di fare sì che il Magistrato e il suo Comitato Tecnico fossero più rapidi possibile nelle approvazioni, nella velocità di esame e di analisi dei progetti». E ancora: «Noi abbiamo investito questi soldi perché la cosa funzionasse il più rapidamente possibile e perché funzionasse, perché se vediamo il piano del Consorzio, uno dei punti critici è proprio la velocità di approvazione dei progetti».
Candidamente, ecco la verità. Roberto Pravatà, vice di Mazzacurati, ha messo a verbale: «Il Consorzio predisponeva tutta la documentazione di competenza del Magistrato, compresi i voti del Comitato Tecnico. In realtà circa l’80% degli atti formalmente redatti dal Magistrato vengono materialmente prodotti da personale del Consorzio».
Piergiorgio Baita della Mantovani ha scoperchiato la pentola: «Il Presidente del Magistrato alle Acque aveva il suo stipendio integrativo da parte del Consorzio». «Chi sono queste persone?» chiede il Pm. «Che sappia io con certezza l’ing. Piva, l’ing. Cuccioletta. Lo so perché me lo dice Mazzacurati siccome i soldi li distribuisce Mazzacurati».
E nel capitolo degli “aiutini” al Consorzio c’è anche lo sblocco di 400 milioni euro incagliati al Cipe nel 2010. Secondo l’accusa, fu decisivo il Marco Mario Milanese, consigliere del ministro Tremonti. Il Consorzio fu riconoscente, versando 500 mila euro.
Giuseppe Pietrobelli
IN PROCURA – Erano quaranta le richieste di arresto tra gli indagati
L’ACCUSA – Corrotti e corruttori strettamente uniti in una stessa società
RETROSCENA Le pressioni respinte dall’ex stretto collaboratore di Berlusconi
Telefonata di Mazzacurati a Gianni Letta per ottenere la nomina di un suo favorito
(gla) Il Consorzio Venezia Nuova ha più volte cercato di influire nella scelta del nuovo presidente del Magistrato alle acque. Nel 2001 la nomina dell’ingegner Ciriaco D’Alessio fu osteggiata, come riferito da Giovanni Mazzacurati il quale preferiva l’ingegner Giampietro Mayerle, già vicepresidente con Cuccioletta. Da alcune intercettazioni si desume che l’ex presidente del Consorzio contattò perfino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ma fu sconsigliato dai suoi collaboratori nel proseguire l’operazione in quanto D’Alessio era appoggiato dal ministro Altero Matteoli. Nell’interrogatorio del 29 luglio 2013, Mazzacurati ha ammmesso di aver avuto stretti rapporti con Gianni Letta, da lui conosciuto tra il 1996 e il ’97: «mi ha portato il presidente Galan… il dottor Letta è stato per i nostri progetti un riferimento molto importante, io mi sono rivolto molte volte a lui per un sacco di problemi… per esempio alcune volte mi ha portato da Berlusconi perché voleva sapere a che punto eravamo…». Il fedele collaboratore del Cavaliere non ha mai preteso soldi: «Il dottor Letta in questi anni non ha mai chiesto nulla», ha assicurato l’ex presidente del Consorzio.
Nel 2013 le pressioni si fecero nuovamente insistenti quando fu il momento di sostituire D’Alessio. Mazzacurati caldeggiò la scelta di Paolo Emilio Signorini, osteggiando il nome di Fabio Riva (nessuno dei due è stato nominato), e non esitò a contattare Ettore Incalza, capo struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture. «Riva non va bene, ecco…. è un uomo fatto in un certo modo… Signorini andrebbe benissimo…»
“Stipendiati” a vita
Politici e “controllori” a libro paga del Consorzio anche dopo aver cessato il loro ruolo
Funzionari e politici coinvolti nell’inchiesta erano «da tempo “a libro paga” di Mazzacurati e Baita al punto da chiedere la consegna di somme a prescindere dai singoli atti compiuti nel corso dell’espletamento dei loro uffici».
Lo scrivono i sostituti procuratore di Venezia, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini nella richiesta di arresto formulata al gip Alberto Scaramuzza il 2 dicembre dello scorso anno (e successivamente oggetto di alcune integrazioni probatorie, a mano a mano che dalle indagini emergevano nuovi elementi e nuove prove), concretizzatasi ieri nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita dalla Finanza.
MALAFFARE – In poco meno di 450 pagine i magistrati della Procura di Venezia tracciano lo spaccato del malaffare, così come ricostruito grazie ad intercettazioni, indagini bancarie e riscontri, nonché alle confessioni degli stessi Mazzacurati e Baita, dell’ex segretaria dell’allora presidente della Regione Veneto, Claudia Minutillo e di altri indagati coinvolti nel primo filone, quello sulle false fatture milionarie emesse dall’impresa di costruzione Mantovani, per la quale Baita ha già patteggiato 22 mesi.
CARCERE PER TUTTI – «Il meccanismo, così oliato da favori e illecite corresponsioni di denaro, arriva al punto di integrare in un’unica società corrotti e corruttori – evidenziano gli inquirenti, chiedendo carcere per 40 persone – è il caso di Adria Infrastrutture, il cui capitale sociale viene, tramite prestanome, detenuto anche dal presidente della Regione (Galan) e dal suo assessore di riferimento in materia di infrastrutture (Chisso)», cioè da coloro che per l’ente pubblico si dovevano occupare dell’assegnazione dei progetti presentati dalla stessa società, controllata dalla Mantovani.
CORROTTI & CORRUTTORI «Il rapporto tra corrotti e corruttori è così stretto che a volte la mazzetta viene pagata anche quando il pubblico ufficiale ha cessato il suo ruolo locale – evidenzia la Procura – Vi è quindi una vera e propria rendita di posizione che prescinde dal singolo atto illecito commesso e che trova giustificazione solo nel ruolo rivestito dal pubblico ufficiale e nella possibilità, che egli comunque mantiene, di poter influire sfruttando le proprie conoscenze e relazioni personali con i funzionari che permangono in servizio».
DOMINIO ASSOLUTO – Mazzacurati viene definito il «protagonista assoluto delle vicende del Consorzio Venezia Nuova», il presidente che esercitava un «dominio assoluto» È lui, scrivono i pm, «che decide il fabbisogno di fondi extracontabili, decide chi deve eventualmente anticipare nei momenti di crisi le cifre necessarie… è la persona che tiene i contatti con il potere politico centrale… che decide in occasione delle campagne elettorali quali somme destinare al finanziamento dei partiti e come ripartirle…»
TANGENTI – Le “tangenti”, evidenzia la Procura «venivano pagate con fondi del Consorzio Venezia Nuova, ancorché anticipate in contanti dalle imprese esecutrici» dei lavori. «Determinante quindi era il potere decisionale dei consorziati principali, cioè di Baita (presidente di Mantovani, 30,58 per cento), […………….] (Grandi Lavori Fincosit, 30,31 per cento) e Stefano Tomarelli (Condotte-Coveco 19,93 per cento).
SENZA CONTROLLO – Dagli atti dell’inchiesta emerge che molti dei funzionari pubblici con mansioni di controllo e direzione dell’attività del Consorzio avrebbero disatteso il proprio ruolo; in alcuni casi è emerso che venivano pagati o ricompensati in altro modo. La Procura parla di «totale confusione di ruoli tra controllore e controllato… Nessun ostacolo, nessuna vigilanza, nessun rilievo importante al Consorzio è stato effettuato dal Magistrato alle acque di Venezia quando presidenti ne sono stati Piva (2001-2008), Cuccioletta (2008-2011). È Baita per primo – poi confermato da Minutillo e Mazzacurati – a riferire che i due erano a “libro paga”, ricevendo uno “stipendio” fisso annuale dal Consorzio. «Mazzacurati ha un profondo debito di riconoscenza nei confronti di Cuccioletta che gli ha consentito in totale e arbitraria autonomia, in assenza di qualsivoglia controllo, la costruzione dell’opera Mose e la gestione degli oltre 5 miliardi di euro stanziati in quel momento dallo Stato», scrivono i magistrati, tanto da offrirgli un incarico per consentirgli di restare a Venezia dopo aver lasciato il Magistrato alle acque.
Gianluca Amadori
Appassionata di politica ha accettato con entusiasmo il ruolo di eurodeputata lavorando per un maggiore collegamento tra Strasburgo e il Veneto in particolare per il “made in”
FEDELISSIMO – Voluto da Berlusconi per fondare Fi e per governare 15 anni
LIA SARTORI Esordi nel psi di Craxi, poi scalata alla Regione e per 15 anni al parlamento europeo.
La “lady di ferro” cresciuta all’ombra di Bettino
È stata l’ombra dell’ascesa del “doge Galan” al quale ha prestato la sua esperienza e la sua abilità. Di Lia Sartori, originaria di Valdastico in provincia di Vicenza, classe 1947, figlia di emigranti e studi dalle suore, ed parlamentare europeo, non si può certo dire che difetti di fiuto politico.
Muove, giovane insegnante di Lettere, i primi passi politici del Psi di Bettino Craxi, per poi convogliare, negli anni dopo lo scossone di Tangentopoli, a Forza Italia di cui è stata una dei pilastri e successivamente al Pdl. La costruzione del partito di Berlusconi in Veneto è in gran parte merito suo, compreso l’imprinting al giovane e neofita Giancarlo Galan. É la “lady della politica”, chi la conosce la descrive come determinata e potente, molto radicata nel territorio, riservata e risoluta. Una lunga vita in politica, una parte della quale fianco a fianco proprio con Giancarlo Galan con il quale ha condiviso la gestione della Regione e ora le disavventure giudiziarie.
Europarlamentare fino al 25 maggio scorso quando le 19mila non le sono bastate per farle continuare i 15 anni di permanenza a Strasburgo, dove è stata anche presidente della Commissione industria ed energia. Una carriera tutta in ascesa, tanto da meritarle la fama della “politica più potente della regione”, fino a quando la tornata elettorale non l’ha stoppata.
Consigliere regionale del Veneto dal 1985. Rieletta nel 1990 e nel 1995, è stata la prima donna e la più giovane a ricoprire il ruolo di assessore regionale ai Trasporti (il ruolo che oggi è di Renato Chisso anche lui arrestato nell’ambito dell’inchiesta), vicepresidente della Giunta e di presidente del Consiglio Regionale. É stata anche il primo presidente dell’Aeroporto Marco Polo (Save), dopo la privatizzazione. In Europa non ha fatto “passerella”: vicepresidente della delegazione per i rapporti con la Nato, fino a giugno 2008 coordinatrice delle donne del Partito popolare europeo all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Nei 15 anni di permanenza in Europa è stata anche componente delle Commissioni Mercato interno e protezione dei consumatori, Crisi finanziaria, economica e sociale, Commissione speciale per l’attuazione della strategia di Lisbona, Commissione temporanea sul cambiamento climatico.
Fortissimo il legame con Giancarlo Galan, maturato soprattutto nel periodo in cui l’ex dirigente di Publitalia ottiene l’incarico di organizzare in Veneto la nuova Forza Italia. Lia Sartori ne diventa la collaboratrice più stretta, una “guida”, grazie anche ad una forte conoscenza del territorio, della macchina politica e dei suoi uomini.
Un potere indiscusso che la pone anche al centro di una diatriba giudiziaria con il consigliere Raffaele Grazia che l’accusa di essere la grande manovratrice di nomine di primario e di nascite di ospedali tramite lo studio Altieri (studio di progettazione legato al suo compagno). Per il momento i giudici hanno dato ragione a Grazia, ma la sentenza non è ancora definitiva).
Con il Vicentino mantiene ancora legami molto stretti, è presidente del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e dell’Associazione Settimane Musicali al Teatro Olimpico.
Daniela Boresi
Galan, l’uomo che sognava il Terzo Veneto
“Il Nordest sono io”. Mai frase è stata più azzeccata per sintetizzare la vita politica e amministrativa di Giancarlo Galan. Una frase, titolo di un libro-intervista di Paolo Possamai del 2008, che esprime tutto “l’orgoglio del veneto che ha visto crescere la regione di cui da 13 anni è governatore” scriveva nella prefazione Giuseppe De Rita, allora presidente del Cnel.
“Il Nordest sono io”, al limite della presunzione. Anche se il terzo doge della storia contemporanea (il primo era il democristiano Carlo Bernini, il secondo il socialista Gianni De Michelis) non se l’è mai tirata. Pronto ad accendersi per le critiche di essere troppo “uomo solo al comando”, ma pronto anche a godersela la vita, a non rinunciare mai alla battuta, alla grigliata sotto un cavalcavia per inaugurare il Passante di Mestre (“un gioiello”), al matrimonio, degno di un doge nella sua villa di Cinto Euganeo, sui Colli Euganei, con tanto di “grande capo” Silvio Berlusconi come testimone. Per lui, Berlusconi, è il fidatissimo Giancarlo. Tanto che, nel 1993, pur sconosciuto al palcoscenico della politica che usciva distrutta, guarda caso, da Tangentopoli, l’ormai ex Cavaliere lo chiama per partecipare alla fondazione di Forza Italia. Lui, Galan, liberale di formazione con tanto di iscrizione giovanile al Pli, nato nel 1956 a Padova, sente il richiamo della berlusconiana “rivoluzione liberale e liberista”. L’ex Cav l’aveva già “inquadrato” a Publitalia, società pubblicitaria del gruppo Fininvest, dove il futuro governatore aveva ruolo di vertice. Non ci sono volute troppe parole, Giancarlo accetta. Un anno dopo, per riconoscenza, Berlusconi lo convoca ad Arcore: “Giancarlo, c’é ancora bisogno di te. Ti devi candidare a governatore del Veneto”. Risposta: “Sono qui”. Si dimette da deputato e, contrariamente alle previsioni, travolge l’avversario democristiano Ettore Bentsik, grazie ad una forte coalizione di centrodestra. In questo primo mandato, salda i rapporti con “tanti amici costruttori”, con politici che lo affiancheranno poi per anni alla conduzione del Veneto.
Fautore di un Terzo Veneto, senza dimenticare che non esiste più il Primo veneto, quello della povertà e dell’immigrazione, e che non ci si deve addormentare sul Secondo, quello dell’agiatezza diffusa, Galan ha sempre puntato ad affrontare le nuove complessità create dalla competitività e dalla sostenibilità che possa consegnare alle generazioni future un modo di vivere di alta qualità e civiltà. Puntando dritto sul federalismo, con un concetto dogale del termine nel senso di immaginare un “grande Veneto” che possa competere con le aree economiche più forti dell’Europa, chiarendo con lo Stato centrale che l’autonomia è tutto.
Messaggi e iniziative che, però, si sono raffreddati nel tempo. Ma che non hanno impedito a Galan di ripresentarsi alle regionali del 2000, surclassando l’avversario Massimo Cacciari, e nel 2005 staccando ancora il centrosinistra guidato da Massimo Carraro. Avrebbe voluto fare il poker nel 2010, ma la Lega, nel 2008 ha alzato l’asticella dei consensi, il che ha consigliato Berlusconi a sacrificare “l’amico Giancarlo”, lasciando il passo alla candidatura di Luca Zaia in quel momento ministro dell’Agricoltura. Un sacrificio così grande, meritava una contropartita grande. Ancora Silvio: “Giancarlo, ho bisogno di te: vieni a Roma al ministero dell’Agricoltura”. La risposta non è stata entusiasta: «Non c’é ministero che tenga, vuoi mettere essere presidente della tua Regione!». Galan non le manda a dire al “capo”: “Basta dare sangue per l’alleanza con la Lega, mi dimetto prima da governatore”. Ma la necessità… Galan parte e va al posto romano di Zaia. Dura poco, perché Berlusconi decide di spostarlo al ministero dei Beni Culturali.
“È finito il galanismo in Veneto”, commentarono soddisfatti dal centrosinistra. Altri, invece, giuravano e spergiuravano che il doge i contatti in Veneto continuava a tenerli, eccome. I rapporti erano diventati profondi, intrecciati. “Cosa penso del ruolo della Mantovani, presente nel Consorzio Venezia Nuova, nell’ospedale di Mestre, nella Pedemontana, nel terminal di Fusina, nella cordata per la Nuova Romea?” si chiedeva l’ex governatore-ministro nel libro-intervista. “Il ruolo di Mantovani e del suo manager Piergiorgio Baita, dipende dall’intelligenza e dalla capacità di intraprendere percorsi innovativi… Mantovani è questo. Se a uno viene in mente di costruire in project financing l’autostrada o l’ospedale, è colpa mia se è più intelligente, dotato in termini finanziari, capace di rapporti qualificati e vince la gara? Se potessi andrei a lavorare io per Baita”. Il project financing, un suo pallino “almeno qualcosa di concreto in Veneto si vede”.
Intraprendenza, questo sorprendeva il governatore governante per 20 anni. E tra gli amici costruttori, molti lo impressionavano positivamente. Intraprendenza e amicizia. Qualità riconosciute in Renato Chisso e Lia Sartori. Il primo, considerato lo stratega infrastrutturale dei progetti portati avanti politicamente dal governatore. La seconda “è tra le persone che ho sempre sentito dalla mia parte. Il nostro rapporto è complicato, ma sempre riconoscente. È tra le persone più importanti del mio percorso professionale e politico”.
Giorgio Gasco
Quel legame chiacchierato con lo Studio di progettazione Altieri diventata mentore del “doge”
È stata l’ombra dell’ascesa del “doge Galan” al quale ha prestato la sua esperienza e la sua abilità. Di Lia Sartori, originaria di Valdastico in provincia di Vicenza, classe 1947, figlia di emigranti e studi dalle suore, ed parlamentare europeo, non si può certo dire che difetti di fiuto politico.
Muove, giovane insegnante di Lettere, i primi passi politici del Psi di Bettino Craxi, per poi convogliare, negli anni dopo lo scossone di Tangentopoli, a Forza Italia di cui è stata una dei pilastri e successivamente al Pdl. La costruzione del partito di Berlusconi in Veneto è in gran parte merito suo, compreso l’imprinting al giovane e neofita Giancarlo Galan. É la “lady della politica”, chi la conosce la descrive come determinata e potente, molto radicata nel territorio, riservata e risoluta. Una lunga vita in politica, una parte della quale fianco a fianco proprio con Giancarlo Galan con il quale ha condiviso la gestione della Regione e ora le disavventure giudiziarie.
Europarlamentare fino al 25 maggio scorso quando le 19mila non le sono bastate per farle continuare i 15 anni di permanenza a Strasburgo, dove è stata anche presidente della Commissione industria ed energia. Una carriera tutta in ascesa, tanto da meritarle la fama della “politica più potente della regione”, fino a quando la tornata elettorale non l’ha stoppata.
Consigliere regionale del Veneto dal 1985. Rieletta nel 1990 e nel 1995, è stata la prima donna e la più giovane a ricoprire il ruolo di assessore regionale ai Trasporti (il ruolo che oggi è di Renato Chisso anche lui arrestato nell’ambito dell’inchiesta), vicepresidente della Giunta e di presidente del Consiglio Regionale. É stata anche il primo presidente dell’Aeroporto Marco Polo (Save), dopo la privatizzazione. In Europa non ha fatto “passerella”: vicepresidente della delegazione per i rapporti con la Nato, fino a giugno 2008 coordinatrice delle donne del Partito popolare europeo all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Nei 15 anni di permanenza in Europa è stata anche componente delle Commissioni Mercato interno e protezione dei consumatori, Crisi finanziaria, economica e sociale, Commissione speciale per l’attuazione della strategia di Lisbona, Commissione temporanea sul cambiamento climatico.
Fortissimo il legame con Giancarlo Galan, maturato soprattutto nel periodo in cui l’ex dirigente di Publitalia ottiene l’incarico di organizzare in Veneto la nuova Forza Italia. Lia Sartori ne diventa la collaboratrice più stretta, una “guida”, grazie anche ad una forte conoscenza del territorio, della macchina politica e dei suoi uomini.
Un potere indiscusso che la pone anche al centro di una diatriba giudiziaria con il consigliere Raffaele Grazia che l’accusa di essere la grande manovratrice di nomine di primario e di nascite di ospedali tramite lo studio Altieri (studio di progettazione legato al suo compagno). Per il momento i giudici hanno dato ragione a Grazia, ma la sentenza non è ancora definitiva).
Con il Vicentino mantiene ancora legami molto stretti, è presidente del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e dell’Associazione Settimane Musicali al Teatro Olimpico.
RENATO CHISSO – L’assessore dei cantieri tra Mose e Passante
Inossidabile, è riuscito a mantenere il referato da una giunta all’altra, “baluardo” galaniano
Difficile trovare una sua fotografia dove non abbia il caschetto giallo in testa. Quasi impossibile non imbattersi in un’immagine “datata” dove non sia assieme a Giancarlo Galan a qualche inaugurazione. Renato Chisso è l’uomo dei cantieri, delle grandi opere e delle multe a Trenitalia con il quale ha instaurato una frizzante dialettica, prendendo pure qualche bacchettata dai diversi “Comitati di pendolari”. Inossidabile al passaggio delle Giunte, da quella Galan a quella Zaia, sempre abbondantemente premiato dalle urne, è il “caposaldo” galaniano all’interno dell’attuale governo regionale.
Figlio di due operai, ha dovuto lavorare per pagarsi gli studi. É nato il 28 luglio 1954 nel Comune veneziano di Quarto d’Altino, ma da sempre risiede a Favaro Veneto, frazione del Comune di Venezia, con la moglie e una figlia.
Appena conseguito il diploma, nel 1974, viene assunto alla Cassa di Risparmio di Venezia. Un incarico che gli permette di radicarsi nel territorio veneziano, in particolare di Favaro Veneto che diventerà la sua città.
Fedelissimo di Forza Italia, asso pigliatutto in tema di preferenze alle elezioni, ha anche il record di poter vantare tre esperienze consecutive come assessore regionale e quattro mandati regionali. Cosa che lo mette nel ristrettissimo gruppo dei decani. Inaffondabile e trasversale alle Giunte è stato il fedelissimo di Giancarlo Galan e ora ricopre il medesimo incarico nella Giunta di Luca Zaia (in rappresentanza del Pdl).
I suoi primi passi in politica avvengono all’interno del partito socialista dove milita negli anni Settanta nell’area lombardiana, componente in forte ascesa in quel periodo, guidata a Venezia da Gianni De Michelis.
Per il Psi è un periodo di grande fermento e di nomi nuovi. Chisso è uno di questi anche se la sua vera affermazione avverrà solo più tardi, tra le fila di Forza Italia. All’interno del Psi milita con Fabrizio Ferrari, Nereo Laroni, Fulgenzio Livieri, Renato Nardi. Nel 1985 Nereo Laroni nelle elezioni amministrative riesce a superare l’eterno antagonista nel Psi, Mario Rigo, nel numero di preferenze diventando sindaco.
Ha maturato una lunga esperienza amministrativa, iniziata come presidente del Consiglio di Quartiere di Favaro Veneto e proseguita come assessore nel Comune di Venezia dal 1990 al 1993, con deleghe per la “Legge Speciale”, patrimonio, casa, edilizia abitativa e giovani all’interno della giunta guidata da Ugo Bergamo. Fu il quarto degli eletti tra le maglie del Psi.
Nel 1995 viene eletto per la prima volta consigliere regionale nelle liste della neonata Forza Italia. Comincia così la sua ascesa. Dal 1998 al 2000 presiede la Commissione Consiliare Urbanistica. Poi viene rieletto nel 2000 e diventa assessore alla mobilità e all’ambiente. Confermato dalle urne anche nel 2005, è stato assessore alle politiche della mobilità e agli investimenti strategici.
Nelle elezioni del 2010 è stato il candidato più votato della provincia di Venezia, sempre tra le liste del Partito della Libertà.
Ha seguito buona parte dei grandi lavori pubblici della Regione. L’imponente opera del Passante ha attraversato tutti i suoi mandati, così il Sistema ferroviario metropolitano, la Valdastico Sud e la Pedemontana.
D. B.
Ha lavorato nelle Giunte di Paolo Costa e Cacciari
LE POLEMICHE – Definì “campagnoli” i mestrini. Scontri con Save e la Fondazione di Segre
Assessore prima, sindaco dal 2010 con una vittoria-capolavoro su Renato Brunetta
Appoggiato da borghesia e mondo cattolico: battute snob e la recente bufera sul Casinò
CHI È GIAMPIETRO MARCHESE
Il compagno G, l’uomo degli immobili e della cassa
Gestiva “macchina”, alleanze, campagne elettorali
Il “compagno G” del Pd veneziano ha il volto di Giampietro Marchese. Pratico, efficiente, con un riconosciuto fiuto politico ma soprattutto riservato. Dote universalmente riconosciuta a Primo Greganti, tornato alla ribalta per una nuova inchiesta relativa a un giro di tangenti destinate al Pd. 56 anni, jesolano, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, Marchese è stato per anni il segretario organizzativo del partito. L’uomo che gestiva “macchina” e campagne elettorali: un occhio alla cassa e uno alla politica.
Non per niente per anni Marchese era stato responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestiva il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio stimato in tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città, come le “Botteghe oscure” di via San Girolamo, a Mestre, cedute ai privati per farne appartamenti di lusso. Un uomo senza peli sulla lingua, come rivelano alcuni stralci delle intercettazioni a suo carico, ma oculato nell’amministrazione. Non per niente era stato scelto per la presidenza di Ames, la società che gestisce le farmacie comunali e le mense scolastiche a Venezia, dopo che era caduto in disgrazia – sempre per un’inchiesta relativa a tangenti – il suo predecessore, Statis Tsuroplis.
Ma un uomo dotato anche di spiccato fiuto politico: c’era la sua regia nell’alleanza anomala tra Pdl e Pd che un paio di anni fa si era assicurata le elezioni a Jesolo, scalzando la Lega a regalando dopo molti anni a un uomo del partito la poltrona di vicesindaco. Di recente, come primo dei non eletti, Giampietro Marchese era tornato a Palazzo Ferro Fini come semplice consigliere regionale. Fino a quando, è storia di un anno fa, era rimasto implicato nella seconda tranche dell’inchiesta relativa al Mose per via di una tangente da 50 mila euro per la campagna elettorale del 2010.
(a.fra.)
Orsoni, il plenipotenziario. L’avvocato dalle cento cariche
Wikipedia, la celebre enciclopedia online, ha consegnato subito la “notizia” alla storia. Un clic è bastato ad aggiungere alla ricca biografia ufficiale di Giorgio Orsoni, 67 anni, il duro colpo di ieri mattina. In modo freddo, l’anonimo compilatore ha aggiunto: “il 4 giugno è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sul Mose”. Grossolano dire che la sferzata sia stata pesantissima soprattutto per un uomo che negli anni da avvocato amministrativista nello studio legale più prestigioso di Venezia, quella dell’avvocato Feliciano Benvenuti, è stato prima assessore nella giunta Costa (2000-2005) e poi, dopo la terza giunta di Massimo Cacciari, chiamato a guidare la città, dopo aver battuto Renato Brunetta (Fi) con un’operazione da manuale: accontentare il ceto moderato della città con le istanze progressiste del Pd del periodo bersaniano.
Un capolavoro con Orsoni, veneziano della città d’acqua, pronto a ricevere l’appoggio della buona borghesia veneziana; il sostegno del mondo cattolico e che poi si è visto catapultato sullo scranno più alto di Ca’ Farsetti, la sede municipale, grazie all’impegno del Pd su Mestre, vero serbatoio di voti dei democratici, dove ha raccolto – sia pur da “quasi sconosciuto” quel consenso che lo fatto diventare primo cittadino.
E così, a poco a poco, Orsoni, sposato, tre figli, avvocato dal 1972, si è misurato con i tanti problemi della città. I “nemici” lo hanno sempre attaccato per il cumulo di cariche nel tempo (e non solo come sindaco pro-tempore) che è riuscito negli anni ad inanellare; i sostenitori, lo hanno sempre apprezzato non solo come grande avvocato, ma come veneziano aperto e cittadino del mondo. E solo a sfogliare il numero di incarichi accumulati ce ne si può fare un’idea. Quello più àmbito e senz’altro più importante è quello di Primo procuratore di San Marco, carica antichissima, prestigiosa e che, da laico, lo ha messo in relazione con il mondo della Chiesa ottenendo la benevolenza dei Patriarchi, soprattutto Angelo Scola. E poi il resto: presidente dell’Ordine degli Avvocati; docente a Ca’ Foscari di diritto amministrativo e poi le cariche ottenute come primo cittadino (vicepresidente alla Biennale, alla Fondazione Cini; nel Cda della Fenice); coordinatore delle Città metropolitane in stretta relazione con Graziano Delrio, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Tante pubblicazioni al suo attivo e poi fitte relazioni, anche internazionali che hanno permesso ad esempio, l’arrivo della Fondazione Ermitage a Venezia o di altri organismi internazionali. Grande ufficiale al merito della Repubblica. E pure Cavaliere della Legion d’onore di Francia e “campione” della resilienza per l’Onu. Insomma, pur senza esserlo, un vero e proprio plenipotenziario. Un uomo al centro dei processi decisionali e della vita veneziana a tutto tondo. Ma anche un sindaco che, con qualche battuta snob, si è inviso parte della cittadinanza. Memorabile quella volta che con intenzioni bonarie chiamò i mestrini “campagnoli” salvo suscitare poi un vespaio di polemiche dei residenti di terraferma colpiti nell’onore. E epiche, ma non proprio brillanti, le battaglie al calor bianco negli anni contro la Save di Enrico Marchi, con sciabolate durissime dovute al controllo della società dell’aeroporto di Venezia e la successiva vendita delle azioni detenute dal Comune che – ironia della sorte – poi, appena vendute a Marchi, iniziarono a far sfracelli. O come il “muro contro muro” contro la Fondazione di Venezia guidata da Giuliano Segre dopo la sentenza di condanna comminata a quest’ultimo (e successiva assoluzione in Cassazione) sul crac della ditta Trevitex di Vicenza. Anche in quel caso, ceffoni (ideali) a destra e manca contro Segre, ma alla fine nulla di fatto. Segre rimase al suo posto e Orsoni alla corda.
Ma sono solo due episodi. E che dire della partita del Casinò municipale, storica “gallina dalle uova d’oro” in grave difficoltà sotto i colpi delle slot machine anche nei tabaccai? L’idea di avviare la “privatizzazione” dell’ente con la gestione affidata ad esterni pur mantenendo il controllo, è ancora lì da venire con un tante critiche piovute addosso da ogni parte (salvo Confindustria Venezia che l’ha appoggiata) e un Pd recalcitrante che solo qualche settimana fa ha chiesto la testa di tutto lo “stato maggiore” della casa da gioco tirando quel tanto la corda che si è rischiata la crisi di giunta. Infine la questione delle grandi navi, con la singolar tenzone con l’ex sindaco Paolo Costa, che lo aveva avuto nella sua giunta come assessore al Patrimonio, e di conseguenza le critiche piovutegli addosso su una certa “debolezza” verso l’attuale presidente dell’Autorità portuale, che poi ha prodotto solo un braccio di ferro sul transito delle navi crociera con vari stop and go su una battaglia che divide la città ancor oggi e della quale non si vede ancora una soluzione. E infine le questioni della salvaguardia e del Mose, ma quella è storia di queste ore.
Paolo Navarro Dina
IL GIP – Ingerenze nelle verifiche fiscali e nei processi penali
LE MOSSE «Orchestrato un “controspionaggio” ai danni dei subalterni»
L’ACCUSA «Avrebbe chiesto 2,5 milioni e intascato 500mila euro»
OPERE PUBBLICHE Incarcerati i due presidenti del Magistrato alle acque
Cuccioletta: fiero dell’ingegneria italiana
Maria Giovanna Piva finì in tv a Report
Due carriere caratterizzate dal Magistrato alle acque e dal Mose, quelle degli ingegneri Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. Rispettivamente presidenti della struttura di palazzo X Savi dal 1. ottobre 1999 al 30 giugno 2001 e dal 1. ottobre 2008 al 31 ottobre 2011, e dal 1. al 25 luglio 2001 come facente funzioni e dal 26 luglio dello stesso anno al 30 settembre 2008 come effettiva.
Nato a Roma il 29 ottobre 1944, Cuccioletta ha esordito nel 1976 nel ministero delle Infrastrutture come ingegnere incaricato del servizio dighe presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, continuando come ingegnere capo nello stesso ministero e ricoprendo poi l’incarico di provveditore a Ancona. «In 35 anni di carriera ho gestito 35mila miliardi di vecchie lire – confessò poco prima di lasciare la presidenza del Magistrato alle acque – Sono fiero di aver portato nel mondo l’ingegneria italiana e il Mose, uno dei suoi gioielli».
Scarne invece le notizie su Maria Giovanna Piva, di cui in rete non compare curriculum professionale. Salvo la menzione di una contestatissima puntata di «Report» del 2012, quando era stata chiamata in causa per le sue perplessità in relazione alle cerniere che uniscono le paratoie del Mose ai cassoni sui fondali: «Sollevai preoccupazioni sulla loro tenuta perché saldate e non più fuse come da progetto originario, chiedendo il perché della modifica successiva alla sperimentazione – disse nella circostanza – Le cerniere chiusero la mia esperienza lavorativa su Venezia».
Spaziante, la talpa. Era il numero due delle Fiamme Gialle
«Il generale a libro paga con la mediazione del patron di Palladio»
È la talpa dell’inchiesta sul Mose. Sul libro paga del super presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, quale regista di una vera e propria attività di controspionaggio contro i suoi stessi subalterni. A caldeggiare la nomina del generale di Corpo d’Armata Emilio Spaziante ai vertici della Guardia di Finanza, fra gli altri, pare sia stato Oscar Lavitola, direttore de L’Avanti, intercettato mentre da latitante parlava con l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E che lo stesso Lavitola avesse raccomandato l’alto ufficiale “addomesticato e addomesticabile” a suon di mazzette – come emergerebbe dai riscontri degli inquirenti veneziani- anche all’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti tarmite il suo consigliere politico, il deputato Marco Milanese, anche lui arrestato dai giudici serenissimi nell’ambito della nuova Tangentopoli lagunare. Fu così che Spaziante, classe 1952, casertano di nascita e trapiantato a Roma, arriva a essere il numero due delle Fiamme gialle, anche se puntava a succedere al generale Nino Di Paolo addirittura nel ruolo di Comandante generale.
In seconda Spaziante ha guidato i finanzieri, anche quelli che stavano conducendo le indagini sul Mose, dall’11 febbraio al 4 settembre 2013, giorno del suo pensionamento. Un ufficiale a tre stelle sempre contiguo alle stanze dei bottoni in grado di impartire direttive e di richiedere a centinaia di graduati informazioni anche le più sensibili senza destare il benché minimo sospetto. Laureato in giurisprudenza e in Scienze della sicurezza economico-finanziaria nella sua lunga carriera ha ricoperto incarichi di prestigio, transitando anche nei servizi segreti: capo del II Reparto del Comando generale, Comandante regionale della Lombardia, Capo di Stato maggiore del Comando generale vice direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, comandante del Comando interregionale dell’Italia centrale. È in questa ultima veste che il gip Alberto Scaramuzza gli contesta, tra il giugno 2010 e il febbraio 2011, il reato di atti contrari ai doveri ufficio perché “al fine di influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Cvn sollecitava e riceveva da Mazzacurati la promessa del versamento di una somma pari a due milioni e mezzo di euro”. Secondo i magistrati intascherà almeno 500mila euro con la mediazione del patron di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo, consulente di Cvn dal 2009. Da ieri Spaziante è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Il gip gli contesta in particolare l’ingerenza nella verifica fiscale avviata nel 2010 nella sede padovana della Mantovani: è Mazzacurati a inviargli in verbale di ispezione e lui “si precipita a Venezia” pur non avendo “alcuna competenza in merito”.
Monica Andolfatto
Una tangentopoli mai vista nomi, cifre, mazzette, favori
RENATO CHISSO – Avrebbe ricevuto ogni anno centinaia di migliaia di euro
LE IMPUTAZIONI – Finanziamenti illeciti, segreti d’ufficio violati, corruzione e irregolarità
L’ACCUSA – Una babele dell’intrallazzo che da anni controllava i “grandi affari” in laguna
CUCCIOLETTA – Parenti assunti e conti in Svizzera per l’ex magistrato alle acque
Manette eccellenti a Nordest
Una Tangentopoli così non si è vista da nessun’altra parte. Almeno in Italia, tutta in un colpo. Nomi e cifre, mazzette e favori, procedure agevolate e controlli mancati. I capi d’imputazione, pur nella loro scabra efficacia, disegnano un “sistema” che per almeno una quindicina d’anni ha controllato i grandi affari in Laguna. E non solo. Ci sono politici e imprenditori, funzionari pubblici e portaborse, sindaci e assessori. Una babele dell’intrallazzo, stando alle accuse dei Pm che hanno trovato, al momento, la convalida del gip. I reati, a diverso titolo, sono quelli di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti e irregolarità nell’emissione di fatture.
[…]
Giovanni ARTICO,54, Cessalto via Dosa 23 (carcere), ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera, collaboratore di Chisso: incarichi di consulenza all’amico Rizzardo Del Giudice; assunzione figlia Valentina in Nordest Media.
Stefano BOSCOLO Bacheto, 47, Chioggia (Ve), Lungomare Adriatico 51 (carcere), titolare cooperativa.
Dante BOSCOLO Contadin, 66, Chioggia, viale Zeno 7 (solo indagato).
Gianfranco BOSCOLO Contadin “Flavio”, 74, Chioggia, viale Pigafetta 61 (carcere), Nuova Co.ed.mar.
Cucco Andrea BOSCOLO,30, Chioggia, via Zeno 111a (solo indagato).
Lino BRENTAN, 66, Campolongo Maggiore (Ve), via Puccini 10 (domiciliari), ex ad Autostrada Padova-Venezia: 65 mila euro da Mauro Scaramuzza.
Maria BROTTO, 51, nata a Bassano del Grappa, residente a Venezia, S. Croce 156 (carcere), ex amministratrice Thetis, ingegnere, responsabile progettazione Mose, coinvolta nei principali episodi di dazioni a chi avrebbe dovuto controllare l’opera.
Enzo CASARIN, 60, Martellago (Ve) Enzo, nato a Mirano il 13-02-1954,res.te Martellago (Ve), via Delle Motte 32/a (carcere), capo della segreteria di Chisso, ex sindaco di Martellago: consegnava denaro a Chisso.
Gino CHIARINI, 58, Ferrara (carcere): millantato credito, riceve 50-200.000 euro.
Renato CHISSO, 60, Favaro Veneto, via Col San Martino 5 (carcere), assessore regionale alla Viabilità e Trasporti: 200-250.000 euro all’anno da fine anni ’90 al 2013, poi il sequestro si riferisce solo al periodo 2008-13; 5% Adria Infrastrutture rivenduto per 2 milioni di euro; 10% Nordest Media; centinaia di migliaia di euro all’anno; 250.000 euro da Baita 2011-12; faceva ottenere consulenze alla società Territorio di Bortolo Mainardi; favori legati alla superstrada “Vie del mare”.
Alessandro CICERO, 48, di Roma (domiciliari): millantato credito, sostegno alla rivista “Il punto”.
[…..] , 50, Milano (solo indagato): ideatore meccanismo fatturazioni.
Corrado CRIALESE, 84, Roma (domiciliari): millantato credito presso magistrati amministrativi, ricevuti 340.000 euro per ricorsi Pedemontana Veneta, contro Impresa Maltauro e contro Net Ingeneering.
Patrizio CUCCIOLETTA, 70, di Roma (carcere), ex magistrato alle Acque di Venezia: 400.000 euro all’anno (200.000 da Baita), in totale 1,6 milioni di euro; 500.000 euro in Svizzera; contratto da 27.600 per la figlia Flavia, poi assunta da Thetis; contratto 38.000 euro per il fratello Paolo, architetto; voli con aerei privati, alloggi in alberghi e ristoranti di lusso a Venezia e Cortina.
Luigi DAL BORGO, 67, Pieve D’Alpago (Bl), via Roma 58 (carcere).
Nicola FALCONI, 52, Lido di Venezia, via Partecipazio 6 (domiciliari), direttore generale Sitmar sub.
Giuseppe FASIOL, Rovigo, via Piva 14 (carcere), funzionario Veneto Strade: quattro parcelle (circa 19 mila euro) per collaudo Mose.
Giancarlo GALAN, 58, nato a Padova, residente a Cinto Euganeo, via Dietromonte 19 (carcere differito), Forza Italia, ex governatore del Veneto, ex ministro: stipendio annuale di un milione di euro dal 2008 al 2011, equivalente a 4 milioni di euro; 900.000 euro 2006-07; 900.000 nel 2007-08; 70% quote Nordest Media; 7% quote Adria Infrastrutture; finanziamenti elettorali; 200.000 euro nel 2005 da Minutillo; ristrutturazione villa Cinto Euganeo per 1 milione 100 mila euro; 50.000 euro a San Marino.
Francesco GIORDANO, 70, Venezia, Cannaregio 328 (carcere), commercialista con studio a Padova, consulente fiscale di Giovanni Mazzacurati.
Vittorio GIUSEPPONE, 73, Roma (domiciliari), magistrato Corte dei Conti: stipendio annuale 300-400.000 euro; 600.000 euro 2005-06.
Dario LUGATO, 60, nato a Venezia, residente a Roma (domiciliari).
Vincenzo MANGANARO, 56, Roma (carcere): millantato credito, sostegno alal rivista “Il Punto” per 2 milioni di euro.
Manuele MARAZZI, 51, Monte San Pietro (Bo) (carcere), società Eracle, Egg, Linktobe.
Giampietro MARCHESE, 57, nato a Chiarano (Tv), residente a Jesolo, via Trinchet 2/A (carcere), consigliere regionale Pd: finanziamento 58.000 euro; 400-500.000 euro di finanziamenti elettorali; assunzione presso Eit (35.000 euro).
[…………………………]
Osvaldo MAZZOLA, 69, Roma (solo indagato), presidente impresa Pietro Cidonio.
Roberto MENEGUZZO, 58, Vicenza, contrà Zanella 6 (carcere), vicepresidente e ad Palladio Finanziaria: teneva i contatti con Milanese.
Marco Mario MILANESE, 55, Milano (i Pm hanno revocato la richiesta di arresto), consigliere politico ministro Giulio Tremonti, parlamentare Forza Italia: 500.000 euro per sbloccare fondi al Mose da parte Cipe.
Franco MORBIOLO, 59, Cona (Venezia), via Don Bosco 4 (carcere), presidente cda e direttore tecnico Co.Ve.co.
Luciano NERI, 73, Roma (carcere): coinvolto nella costituzione del “fondo Neri” per pagare le tangenti.
Giorgio ORSONI, 66, sindaco di Venezia del Pd: 560.000 euro finanziamenti elettorali.
Maria Giovanna PIVA, 66, nata a Rovigo, residente a Mestre, via Cappuccina 13/7 (carcere), ex magistrato alle Acque di Venezia: stipendio annuale 400.000 euro (da Baita 200.000) nel solo 2008; collaudatrice Ospedale di Mestre pagata 327 mila euro.
Andrea RISMONDO, 53, Preganziol (Tv), via Leopardi 28 (domiciliari), rappr. legale Selc.
Giancarlo RUSCITTI, 56, Venezia, S.Croce 2084 (solo indagato), ex segretario generale della Sanità del Veneto: compenso per operazioni inesistenti 112.000 euro.
Amalia SARTORI, 66, Vicenza, Contrà San Faustino 23 (domiciliari differiti), eurodeputato Forza Italia: 225.000 euro consegnati o promessi per finanziamento elettorale.
Emilio SPAZIANTE, 62, Roma (carcere), generale in pensione Guardia di Finanza, comandante interregionale Italia Centrale: promessa 2 milioni 500 mila euro per verifiche fiscali addomesticate e rivelazione sull’inchiesta aperta, ricevuti 500.000.
Federico SUTTO, 61, Zero Branco (Treviso), via Noalese 12/7 (carcere), dipendente Cons. Venezia Nuova.
Stefano TOMARELLI, 69, Roma (carcere), direttivo Consorzio Venezia Nuova, presidente Consorzio ItalVenezia, consigliere Condotte d’Acqua.
Danilo TURATO, 58, Mestrino (Padova), via Gorizia 18 (domiciliari), architetto: remunerato dalla Mantovani per i lavori nella casa di Galan (400.000 euro).
Paolo VENUTI, 57, Padova, via Chiesti 9/A (carcere), commercialista: quote Adia e Nordest di Galan.
I SEQUESTRI. Sono stati autorizzati sequestri sui beni degli indagati fino a 40 milioni di euro. Il prezzo/profitto del reato ricorre più volte, visto che gli indagati concorrono negli stessi reati. Il valore più alto dei beni nella disponibilità degli indagati? Per Dante Boscolo Contadin 464 mila euro, per Gianfranco Boscolo Contadin 2,2 milioni di euro, per Maria Brotto 278 mila euro, per Enzo Casarin 115 mila euro, per Patrizio Cuccioletta 162 mila euro, per Giancarlo Galan 1,6 milioni di euro, per Vittorio Giuseppone 300 mila euro, per […………………] 171 mila euro,per Osvaldo Mazzola 354 mila euro, per Roberto Meneguzzo 863 mila euro, per Luciano Neri 614 mila euro, per Maria Giovanna Piva 300 mila euro, per Giancarlo Ruscitti 112 mila euro, per Emilio Spaziante 136 mila euro, per Stefano Tomarelli 455 mila euro, per Danilo Turato 318 mila euro, per Paolo Venuti 100 mila euro. Il totale del valore dei beni disponibili sequestrati raggiunge quasi i 10 milioni di euro.
LE CARTE – Per i pm e il Gip tutto partiva dalla plancia di comando della vecchia gestione del Consorzio Venezia
Nuova: per anni messe a segno frodi fiscali milionarie
«Un gruppo con pericolosità sociale eccezionalmente elevata»
Non ne hanno chiesto l’arresto perchè li avevano già arrestati. Anzi, proprio dalle loro confessioni è nato il terremoto di ieri mattina. In questo nuovo filone d’inchiesta sono indagati, tra gli altri, Piergiorgio BAITA, 66 anni, già ai vertici della Mantovani, e Giovanni MAZZACURATI, già presidente del Consorzio Venezia Nuova. I loro nomi ricorrono in moltissimi dei capi d’accusa. Infatti, per i Pm e il gip, tutto parte dalla plancia di comando del Consorzio, che rastrellava denaro in modo illecito e lo elargiva a politici o funzionari pubblici. Un gruppo «con pericolosità sociale eccezionalmente elevata, con un intenso pericolo di reiterazione dei reati, essendo stati questi soggetti in grado di creare un vero e proprio sistema criminoso capace di frodare il Fisco per milioni di euro in modo seriale per anni ed anni, controllare l’assegnazione dei lavori attraverso illecite pressioni sui poteri pubblici, molto spesso ridotti al loro servizio».
Nei capi d’imputazione sono indicate 39 persone tirate in ballo in due distinte richieste di custodia cautelare. I provvedimenti non sono stati concessi per tutte. C’è poi un terzo procedimento nel quale sono indagate sette persone per le quali non è stato chiesto alcun provvedimento. Si tratta, per l’appunto, di Baita, Mazzacurati, Pio SAVIOLI, 70 anni, già componente del consiglio direttivo del Consorzio Venezia Nuova, titolare di un contratto di collaborazione con Co.Ve.Co, Mario BOSCOLO Bacheto, 69 anni, di Chioggia, presidente della Cooperativa San Martino, Nicolò BUSON, 56 anni, di Pernumia (Padova), già responsabile finanziario della Mantovani, di Claudia MINUTILLO, 50 anni, veneziana, già segretaria di Giancarlo Galan, e di Mirco VOLTAZZA, 53 anni, di Piove di Sacco (Padova), titolare di Italia Service. Non ci sono state richieste di custodia cautelare neppure per altri due indagati di un quarto filone: Duccio ASTALDI, 50 anni, di Milano e Paolo BRUNO, Campobasso (deceduto lo scorso anno all’età di 85 anni).
Nelle pieghe dell’ordinanza compaiono anche i nomi di altre persone, in qualche modo coinvolte nei capi d’accusa. Ma non è certo che abbiano ricevuto avvisi di garanzia.
REAZIONI Per il presidente dell’Autorità anticorruzione è paradossale che le grandi opere siano fatte con procedure speciali
Cantone: legge appalti da rifare, troppe deroghe
Lupi: il Mose è fatto all’85% lo stop sarebbe irresponsabile
Serracchiani: i grandi lavori fatti in legalità aiutano l’Italia
Il silenzio di Berlusconi sull’amico Giancarlo
ROMA – Fra le tante esternazioni a livello romano e nazionale sul nuovo filone dello scandalo Mose, un silenzio in particolare ha colpito ieri: quello di Silvio Berlusconi su una vicenda che coinvolge un suo fedelissimo, Giancarlo Galan. Al posto del capo di Forza Italia ha parlato il fido consigliere Giovanni Toti che su Rai3 – come si dice – ha camminato sulle uova: «Non possiamo ancora dare una lettura politica – ha spiegato – mi auguro che i magistrati abbiano agito con tutte le tutele del caso, visto che siamo anche alla vigilia di importanti ballottaggi in tutta Italia». Rimane sospeso anche il commento dell’ex ministro Renato Brunetta: «Prima di pronunciarmi voglio conoscere bene i fatti. E’ una questione di correttezza. Sto cercando di capire. Sono garantista sempre e comunque verso tutti, è la mia storia e la mia vita».
Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone constata che «è paradossale che le grandi opere siano fatte con grandi deroghe dietro cui si nascondono spesso fenomeni di corruzione. C’è qualcosa che non va nei meccanismi della legge sugli appalti, che finisce per essere applicata solo agli appalti minori. Le grandi opere non possono diventare sempre un’occasione» per derubare la collettività.
A proposito dell’Expo 2015, che si prospetta come una nuova grande opportunità di lucrosi affari, Cantone dice che occorrerebbero controlli meno formali e più sostanziali.
E soprattutto, conclude, c’è un gran lavoro da fare sulle coscienze: i corruttori, dice, non sono visti come dei delinquenti ma come dei furbi.
«La corruzione va combattuta fortemente, però vanno anche realizzate le grandi opere perché non va tolta la speranza all’Italia di tornare ad essere un grande Paese», ha commentato da parte sua il ministro dei Trasporti (Ncd) Maurizio Lupi parlando dell’inchiesta. E a proposito del Mose ha definito «irresponsabile ritenere che l’opera realizzata all’85% resti un’incompiuta. Dovrà essere conclusa con la massima trasparenza»
«La scoperta di un giro di corruzione connesso al Mose è un colpo doloroso per il tessuto sano della politica e dell’amministrazione, che subisce il riflesso di questi atti indegni», ha detto da parte sua Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd. Secondo lei «bene ha fatto il presidente del Consiglio a chiamare Raffaele Cantone alla guida dell’Authority anticorruzione, esprimendo una chiara volontà di andare nella direzione di una legislazione snella ed efficace, che disponga l’attuazione di controlli preventivi e trasparenza». Ha ricordato che «la corruzione è una tassa aggiuntiva che pesa sull’economia e sui cittadini» e ha concluso sostenendo che «non serve demonizzare le grandi opere di cui il Paese ha bisogno, ma occorre che siano basate sulla legalità, altrimenti non generano una vera crescita. Il nostro Nordest ha capacità enormi di creare ricchezza» e «non merita di essere soffocato e umiliato da scandali come questo».
IL GOVERNATORE «No, non mi dimetto l’opposizione guardi in casa propria»
Il presidente del Veneto annuncia un «forte segnale di discontinuità» e chiarisce che «revoche e sospensioni sono atti dovuti» di fronte a «uno spaccato inquietante»
LA FRECCIATA «Io taccio su Galan abituato a esternare su tutto e su tutti»
Zaia licenzia Chisso e sospende tre dirigenti
Deleghe alla Mobilità e alle Infrastrutture revocate all’assessore regionale Renato Chisso in base a un iter che per il suo completamento richiederà tempi più lunghi per l’applicazione della legge Severino. E sospensione del suo caposegreteria Enzo Casarin, e dei dirigenti Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol, rispettivamente responsabile del progetto di riconversione di Porto Marghera e capo Dipartimento Infrastrutture. Ad annunciarlo ieri durante una conferenza stampa convocata subito dopo il suo ritorno da Barcellona, il governatore del Veneto Luca Zaia. In relazione allo tsunami giudiziario che ha coinvolto anche un esponente di spicco della sua Giunta Zaia ha parlato senza mezzi termini di «spaccato inquietante» e di una «ecatombe che si è abbattuta sulla nostra Regione».
«Ho una fiducia incondizionata nella magistratura: i tribunali fanno il loro mestiere e sono gli unici deputati a giudicare i cittadini – ha esordito Zaia, affiancato nella circostanza dagli avvocati regionali Zanon e Caramel e dal direttore generale Baggio – chi è stato colpito da procedimenti restrittivi ha il diritto di difendersi. Ma la vicenda va chiarita fino in fondo, dando un segnale forte di discontinuità. Revoche e sospensioni sono atti dovuti».
Il presidente della Giunta regionale si è detto colpito dalla lettura delle 730 pagine di provvedimento: «Il quadro che emerge è per me nuovo – ha detto – non sono una persona abituata a incriminare a prescindere ma la menzione di “stipendi” anziché di “tangenti” è preoccupante: se fosse così si sarebbero veramente passati tutti i limiti».
A chi gli ha ricordato le responsabilità attribuite a un assessore regionale in carica, tuttavia, Zaia ha sottolineato che «in caso di conferma, con me Chisso avrebbe chiuso».
Ricordando però che «gran parte delle vicende contestate risalgono all’amministrazione precedente. Su Giancarlo Galan abituato a esternare su tutto e su tutti voglio osservare un rigoroso silenzio. E tengo a precisare che questa pagina nera per il Veneto, iniziata negli anni Novanta e che ci potevamo risparmiare, sarebbe stata impossibile dall’assunzione del mio mandato. Con me un modello del genere non sarebbe mai partito: a confermarlo, i provvedimenti assunti e la quantità di esposti in Procura depositati per svariati motivi. Quanto al costituirsi parte civile, da quando sono presidente la Regione l’ha sempre fatto. Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi. L’importante per ora è fare chiarezza e pulizia, affinché tutti sappiano distinguere la terra solida dal pantano».
Respinte al mittente anche le richieste di dimissioni pervenute dai sindaci di Treviso e Vicenza e dall’opposizione: «Quella di Manildo, Variati e di alcuni consiglieri regionali è una polemica che lascia l’amaro in bocca, un cerimoniale di corte – ha replicato il governatore – perché dovrei dimettermi, dal momento che i fatti sono estranei alla mia condotta personale? Guardino piuttosto a casa loro, perché mi risulta che ad essere stati colpiti da provvedimenti restrittivi sono stati anche l’ex capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale e un autorevole sindaco alla guida di una Giunta di centrosinistra».
Infine, nessuna anticipazione sul successore di Renato Chisso. Salvo la precisazione che per il suo settore, «l’operatività rispetto ai programmi è garantita, a cominciare dalla Pedemontana». E per il Mose, «che è a salvaguardia di Venezia», l’augurio che «si riesca a scindere quanto è avvenuto dal completamento dell’opera».
COMMENTI – Politici veneti concordi: riforma necessaria
«La corruzione si combatte con maggiore trasparenza»
De Poli (Udc): troppi passaggi nelle procedure. Puppato (Pd): lavori fatti in emergenza. Baratta (Biennale): controlli assenti
LE CRITICHE – Pipitone: è chiaro, marcio un pezzo del sistema. Bottacin: basta spartizione consociativa
VENEZIA – Trasparenza, trasparenza, trasparenza: è la richiesta, l’invocazione e l’auspicio dei politici di area veneta alla scoperta che pare aver colto tutti di sorpresa della clamorosa retata anticorruzione sul grande business del Mose.
Tenere la Biennale lontana dagli effetti dell’inchiesta. Ma non far mancare la solidarietà a Orsoni che essendo sindaco di Venezia è il vicepresidente dell’ente culturale veneziano: questa la posizione espressa ieri dal presidente della Biennale Paolo Baratta a margine dell’inaugurazione della 14ma Biennale Architettura. «Sono convinto della sua innocenza – dice del sindaco – non credo per un solo istante che possa far parte di una banda che ha preso di mira il denaro pubblico». Da ex ministro all’Economia e ai Lavori pubblici, però, Baratta analizza le ragioni degli scandali che regolarmente investono le grandi opere: «Mancano del tutto i controlli – dice – in un momento in cui le istituzioni pubbliche per accelerare i lavori affidano agli esterni la realizzazione e persino la progettazione delle grandi infrastrutture. Quando ero ministro avevo proposto un’authority per potenziare i controlli».
Sulla «massima trasparenza negli appalti pubblici» insiste pure il vicesegretario vicario dell’Udc Antonio De Poli. Gli appalti «dovrebbero essere una casa di vetro», afferma il senatore, che propone di «ridurre il numero sproporzionato di stazione appaltanti».
Commenta Antonino Pipitone, capogruppo dell’Idv in Regione Veneto: «I veneti non meritano di essere infangati». E aggiunge: «Come Idv l’abbiamo sempre chiesta e la invochiamo anche ora: trasparenza per tutti i finanziamenti nazionali e regionali. Siamo convinti che sia emerso solo un pezzo di un sistema marcio. Ora la magistratura faccia piena luce».
«I fatti ripetono, come vent’anni fa, mentre stiamo facendo uno sforzo enorme per cambiare radicalmente verso al Paese» afferma il segretario regionale del Pd veneto, Roger De Menech: «Se qualcuno ha sbagliato deve pagare». E pure lui insiste su una radicale riforma del sistema appalti, con massima trasparenza, semplificazione delle procedure e una classe politica rinnovata. «Dall’inchiesta Mose viene fuori la parte peggiore della politica del passato, con tutti gli errori fatti sui modelli applicati per fare le infrastrutture», sostiene la senatrice del Pd Laura Puppato eletta in Veneto ed ex capogruppo Pd nel Consiglio regionale: «Per i lavori in Italia si è sempre agito o in emergenza o – come con la legge obiettivo – in deroga alle norme, creando un’area opaca dove proliferano meglio la corruzione e le infiltrazioni di ogni tipo». Rimedi: trasparenza, procedure celeri, efficienza e non derogare alle normative.
«Le gare e la concorrenza sono l’unico argine alla gestione opaca dei soldi pubblici», spiega Diego Bottacin, di Verso Nord, consigliere regionale del gruppo misto. Secondo lui l’inchiesta «conferma un patto consociativo tra varie forze politiche e l’asservimento di buona parte del sistema di potere (non solo politico) veneto alla pratica della spartizione senza gara delle grandi commesse».
Nordio: il sistema tangenti adesso è più sofisticato
«Le mazzette si pagavano con i profitti aziendali ora con soldi di tutti»
IL SISTEMA – Il procuratore aggiunto fa i paragoni con il malaffare da lui contrastato 20 anni fa
«La spartizione del denaro è trasversale tra i rappresentanti dei partiti»
Una differenza: «Cifre stratosferiche con un danno un erariale colossale»
La conclusione, Nordio l’affida a Tacito: «Corruptissima republica plurimae leges».
VENEZIA – Tante analogie ma anche differenze, a partire dal sistema ‘trasversale’ che accomuna rappresentanti del centrodestra e centrosinistra e l’ammontare «stratosferico» delle somme che sarebbero passate di mano, oltre 20 milioni. Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, guarda anche al passato, alla ‘tangentopoli’ che agli inizi degli anni ’90 avevano travolto il sistema politico e amministrativo anche in Veneto, per ‘leggere’ l’inchiesta che ha portato agli arresti del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’assessore regionale Renato Chisso, oltre a un’altra trentina di persone, e a una richiesta d’arresto per Giancarlo Galan, parlamentare di Fi, per 15 anni governatore del Veneto.
Ma cosa richiama nelle vicende odierne l’inchiesta di 20 anni fa, condotta dallo stesso Nordio? «Ci sono analogie e differenze – dice il magistrato – Riguardo alle prime c’è un sistema di spartizione tra partiti e rappresentanti di partiti di risorse pubbliche. Il Consorzio Venezia Nuova gestisce denaro pubblico per le opere di salvaguardia. C’è ancora il fatto, come avevamo scoperto 20 anni fa in due momenti diversi, prima con Dc e Psi e poi con le coop rosse, che i presunti illeciti riguardano tutti, con finanziamenti a persone di entrambi i fronti politici. Altra analogia sono alcune delle persone coinvolte, a partire da Piegiorgio Baita».
Nel 1993 Baita venne arrestato – ricorda il magistrato – nell’inchiesta per la Bretella di Mestre e la distribuzione di appalti a imprese di vario colore politico. E le differenze? «Una importante. Nell’inchiesta attuale ci sono molti alti rappresentanti dello Stato, da ex presidenti del Magistrato alle Acque, a un magistrato della Corte dei Conti, a un generale della Guardia di Finanza. L’effetto corruttivo si è diffuso. La seconda differenza è che le cifre sono stratosfericamente più elevate. Venti anni fa era un miliardo di lire, oggi le cifre superano i 20 milioni di euro di mazzette pure. Il danno erariale è colossale». Venti anni fa, sottolinea il magistrato, «le tangenti venivano pagate con i profitti delle aziende che venivano messi in nero; adesso, con il sistema della sovrafatturazione di denaro pubblico. Quindi con soldi nostri. Il sistema è più sofisticato».
Un aspetto che le Fiamme Gialle hanno ben evidenziato e che il Gip Scaramuzza ha accolto in toto nell’ordinanza. Il rappresentante dell’accusa torna poi sulle analogie – «risulta incomprensibile che non si riesca a capire che la legge non conosce franchigie»; insomma, «che è uguale per tutti» – e lancia una sorta di richiamo alla politica: «Non capisce che la lotta alla corruzione non si può fare con l’inasprimento delle pene. È la strada sbagliata». Come combattere allora la corruzione? «Servono meno leggi e più chiare. Governo e Parlamento sono andati nella direzione di aumentare le pene e le leggi. Sul piano penale vanno bene anche pene più basse ma che vengano applicate. Questo discorso valeva anche 20 anni fa».
L’EX SINDACO INASCOLTATO – Per vent’anni ho detto che non si doveva fare
PROCEDURE – Gli enti locali non potevano controllare
«Il Paese non può più permettersi tali scandali»
CRITICO «E’ uno sconquasso politico incredibile» – tuona l’ex sindaco Massimo Cacciari, che ricorda la sua opposizione al Mose e in generale al sistema delle grandi opere »
Cacciari: grandi opere, sistema criminogeno
«Tutto è in mano a pochi soggetti che fanno quello che vogliono, nell’ultima riunione del Comitatone votai contro»
La voce è cavernosa. Irruento e scocciato. Ma si capisce che, già da tempo, aveva visto lontano. Per carità nulla a che vedere direttamente con le persone coinvolte, ma sul “sistema”, su quella gestione degli appalti che come uomo di buonsenso, oltre che da intellettuale, lo hanno sempre fatto guardare più avanti degli altri. Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia, taglia corto. Non è avvezzo ai lunghi discorsi, ancor più su questi temi, ma centra il punto. E lo ha ribadito anche ai giornalisti – che diciamolo francamente – gli hanno concesso di descrivere lucidamente quanto la cronaca ha offerto ieri.
«Non c’è dubbio bisognerà vedere con precisione di cosa si tratta – sottolinea – ma è certo che siamo di fronte ad uno sconquasso politico incredibile». Così ha rilanciato anche davanti ai microfoni delle tv nazionali. Insomma, non c’è che dire anche per l’ex sindaco di Venezia c’è una sorta di incredulità. «Le mie posizioni – ha aggiunto – sono da molto tempo conosciute. Da sindaco, durante i governi Prodi e Berlusconi, avevo avviato un processo di verifica ed in tanti passaggi ebbi modo di ripetere, senza essere ascoltato, che le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più vantaggiose».
In qualche modo una sorta di “atto d’accusa” che oggi risulta quasi profetico. Cacciari rivendica la lungimiranza delle proprie azioni di governo quando era alla guida del comune di Venezia. «Sì, ammetto – aggiunge – sono stupito di quanto sta accadendo. Ho sempre contestato le procedure assunte per dare il via ai lavori del Mose, ma non pensavo certo a provvedimenti della magistratura nei confronti dell’attuale sindaco Orsoni». E poi i ricordi vanno alla ultima riunione del Comitatone per la salvaguardia di Venezia alla quale partecipò come sindaco della Serenissima durante il periodo del governo Prodi nel 2006.
E qui il ricordo è come una stilettata: «Quell’incontro diede il via libera al proseguimento del Mose – ricorda Cacciari – Fui l’unico a votare contro, con il solo sostegno di una parte del centrosinistra. Da allora non me ne sono più interessato». E poi l’affondo: «Quello che genera mazzette in questo Paese – ha aggiunto l’ex sindaco di Venezia – è il modo in cui si fanno le grandi opere che è criminogeno. Vedi L’Aquila, o i Mondiali di nuoto, o il G8, o l’Expo. Le procedure con cui si fanno le grandi opere in Italia sono l’opposto di quelle federalistiche, e quindi in mano a pochi soggetti, pochi enti che fanno quello che vogliono». Uno sfogo vero e proprio che non manca di puntare ancora una volta l’indice contro il malaffare.
«Per vent’anni l’ho detto e sono rimasto inascoltato – conclude – come sistema e come opera, il Mose non doveva essere fatto. Ho detto tutto in quella seduta del novembre 2006 del comitato interministeriale presieduto da Prodi. Lo ripeto: fui l’unico a votare contro al via libera per il proseguimento dei lavori del Mose. Adesso è compito dei magistrati che devono indagare. Io sono un politico». Uno strale durissimo per un’intera classe dirigente. «In tutto questo tempo non si sono fatte le riforme auspicate, non sono state messe in atto le procedure giuste. Ecco perchè siamo arrivati a questo punto».
CONFINDUSTRIA VENETO – Zuccato: la fretta porta sempre allo sfascio
«Ritardi e burocrazia costringono a fare le cose con iter poco chiari che spesso seguono percorsi non lineari. Serve una rivoluzione»
VENEZIA – «Due sono le riflessioni che mi vengono spontanee, di fronte ai clamorosi sviluppi sull’inchiesta legata al Consorzio Venezia Nuova e alla costruzione del Mose» commenta il presidente di Confindustria Veneto Roberto Zuccato: «La prima è che come Paese non possiamo più permetterci scandali e figure come questa di fronte al mondo. Non è possibile che in Italia tutti i più grandi appalti abbiano lati oscuri che emergono solo anni dopo. È necessaria una profonda opera di pulizia nella politica ma anche nell’imprenditoria: chi ruba e chi corrompe altera il libero mercato e fa il male dell’Italia, e quindi di tutti noi».
La seconda riflessione del numero uno degli industriali della regione riguarda «la logica dell’emergenza che porta sempre allo sfascio: nel nostro Paese ritardi e burocrazia costringono a fare le cose con iter poco chiari, che spesso seguono percorsi non lineari. Serve una rivoluzione su questo fronte: meno norme, tempi certi, responsabilità chiare e riconoscibili per ciascun atto».
Zuccato, chiede dunque, che «ora sia fatta chiarezza fino in fondo: chi ha sbagliato – e verrà condannato in via definitiva – paghi davvero e soprattutto sia tenuto definitivamente distante dalla gestione della cosa pubblica». Ultima considerazione: «La costruzione del Mose deve andare avanti spedita. Siamo arrivati all’87% e serve finirla il prima possibile, è una grande opera di ingegneria che tutto il mondo ammira. Non cadiamo in un altro tipico errore italiano: confondere i fenomeni corruttivi con l’utilità di un’opera o di un evento, come fatto da qualcuno anche con Expo. Gli errori vanno puniti ma le opere necessarie vanno portare a termine».
Le indagini non sarebbero ancora concluse
MAREMOTO sul Mose
L’INIZIO – L’inchiesta è partita dalle false fatturazioni per i grandi affari
IMPUTATI CHIAVE – Baita e Mazzacurati dopo un avvio da “duri” hanno iniziato a parlare
La “terza fase” alimentata dalle confessioni eccellenti
All’inizio ci fu la scoperta delle false fatturazioni, un coacervo di società e di cartiere, che ruotavano attorno ai grandi affari in Veneto e segnatamente alla salvaguardia di Venezia. Poi ci fu l’affondo ai vertici del Consorzio che da trent’anni è impegnato nel realizzare opere che mettano in sicurezza la città lagunare dall’acqua alta. Ma a che cosa servono tutti questi soldi (furono quantificati circa 25 milioni di euro) creati in nero, usciti dal cilindro degli illusionisti di società paravento? A lucrare il sistema pubblico, a pagare tangenti, a ingrassare politici e portaborse, boiardi di Stato e burocrati. Questa, intuitivamente, la risposta che gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria di Mestre si erano dati. Ma il sospetto non basta, servono le prove. Ed è così che sono andati a cercarle a valle dell’intrallazzo che era, apparentemente, solo di natura fiscale. Hanno seguito l’odore dei soldi.
«Siamo alla terza fase», ha detto ieri il procuratore della Repubblica di Venezia, Luigi Delpino, preannunciandone già «una quarta» che probabilmente porterà un carico di contestazioni riguardanti evasioni e frodi all’Erario. La «terza fase» è quella che si aspettava da mesi, epilogo di una storia cominciata alcuni anni fa che sembrava destinata a un crescendo brusco, e che invece ha conosciuto mosse lente, sullo scacchiere investigativo. Per evitare passi falsi.
Quando nel febbraio 2013 venne arrestato Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, si capì che l’inchiesta del Pm Stefano Ancillotto prometteva di andare lontano. Perchè Baita è uno che di tangenti se ne intende. Non a caso vent’anni fa nella Mani Pulite veneta ci finì a capofitto, salvo venirne fuori con qualche verbale piuttosto apprezzato dalla pubblica accusa. Allora comandavano Carlo Bernini e Gianni De Michelis. Il sistema cominciò ad essere divelto, prima ancora che a Milano si scoprissero le mazzette del Pio Albergo Trivulzio. Poi Baita era risorto, aveva trovato una seconda giovinezza nella Mantovani portandola a livelli record di fatturato.
Così quando venne a galla il giro delle false fatturazioni (con puntate a San Marino) fu evidente ai finanzieri che stavano entrando in quella zona grigia che nasconde segreti inconfessabili del sistema, non l’errore di qualche mela marcia. Con Baita finì in gattabuia anche Claudia Minutillo, segretaria sempreverde di Giancarlo Galan, l’uomo politico che è stato maggiormente potente – e più a lungo – in Veneto. Una donna che si era messa in affari, pizzicata in una società che sembrava perfetta per fungere da schermo a qualcosa d’altro.
Il fulcro era Baita, e lo sapevano i Pm veneziani. Se cadeva lui, poteva venire giù il mondo. Infatti. Baita è rimasto in carcere a Belluno, ha perfino ricusato i suoi avvocati. Ha fatto il duro, pur sapendo che un’uscita di sicurezza era pur sempre possibile. Non sempre si può fare il martire per interessi altrui. Un giorno Baita decise di riempire verbali roventi. I giornalisti scrissero che aveva fatto i nomi di qualche ministro veneto.
Ma per attendere sviluppi clamorosi, solo preludio del Diluvio Universale di ieri mattina, bisognava attendere la calda estate del 2013. Questa volta in carcere è finito Giovanni Mazzacurati, l’uomo del Mose, di più, il controllore in Laguna degli appalti che ruotavano attorno alla pluridecennale realizzazione delle dighe mobili contro l’acqua alta. Nel cerchio magico di Mazzacurati una pletora di personaggi che sguazzavano come pesci in un fiume di denaro mai visto. Non è stato difficile per gli investigatori aprire le prime falle. L’inchiesta riguardava un appalto in apparenza minore. Mazzacurati è scivolato sulla buccia di banana di un aiuto dato ad alcune aziende, come risarcimento per non essere ingoiate dai colossi del calibro della Mantovani. È stato messo con le spalle al muro. Anziano e stanco, alla fine si è piegato. Un memoriale lo ha fatto tornare libero, incrociando, con importanti conferme, le parole già secretate di Baita. La prima fase aveva scoperto la costituzione delle “provviste illecite”. La seconda ha puntato al cuore del sistema veneziano, sorto con la garanzia della Regione Veneto, facendo venire a galla una consorteria dalle lunghe mani e dai solidi appoggi, nei palazzi del Nordest e in quelli romani.
La “terza fase” sta cominciando a svelare a chi finivano i soldi maledetti. A monte c’è quella che il gip Scaramuzza l’«area dei reati tributari». Il preludio. Fatture emesse, utilizzate, riemesse e riutilizzate, da Cooperativa San Martino, Coedmar, Nuova Coedmar, Impresa Pietro Cidonio, Mazzi scarl, Condotte spa, Impresa ing. Mantovani, Coveco, Consorzio Venezia Nuova. Ed anche da Quarrytrade (canadese), Eracle, Egg, Linktobe, Italia Service, Non Solo Ambiente, Infi Trading Technital & Financial Consulting.
A valle ci sono i «reati di corruzione» legati alla gestione del Consorzio Venezia Nuova, e avvenuti al Magistrato alle Acque di Venezia, con «soggetti operanti a livello centrale» e con «soggetti operanti a livello regionale», Ma anche i finanziamenti illeciti di partiti politici. E un corollario di reati in apparenza minori, millantato credito e concussione. E non è detto che si sia arrivati a toccare il fondo.
Giuseppe Pietrobelli
I NUOVI VERTICI IN CARICA DA UN ANNO
«Consorzio rinnovato, l’opera non deve essere fermata»
«Il Mose? È un opera che è un vanto per l’Italia». Il pm Carlo Nordio durante la conferenza stampa di ieri ha voluto sgombrare il campo da ogni possibile obiezione al completamento del sistema di dighe mobili pensato per aiutare la città di Venezia a fronteggiare l’acqua alta. Una cosa è l’inchiesta sulle tangenti, altra l’opera in sé. Stesso concetto hanno voluto ribadire i vertici del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia per la realizzazione del Mose. «Le vicende del passato non devono fermare l’opera» è il concetto espresso alla notizia dei nuovi arresti di politici e imprenditori. «Va respinto qualunque tentativo di fermare il Mose, un’opera che ad oggi ha superato l’80% del suo completamento, ed è ormai totalmente finanziata». Il Consorzio guarda avanti, dopo il completo rinnovamento del management avvenuto l’estate scorsa proprio alla luce dalla prima tranche delle indagini che avevano portato all’arresto dell’allora presidente e direttore generale Giovanni Mazzacurati. Il Consorzio “prende atto, con la serenità e la trasparenza che gli deriva dalla discontinuità già pienamente realizzata che si tratta del proseguimento del lavoro svolto dalla Procura di Venezia, che vede lo stesso Consorzio come parte offesa” e afferma la propria estraneità ai fatti oggetto delle indagini in corso ribadendo la propria disponibilità a collaborare con tutte le autorità preposte affinché si faccia piena luce. Il Consorzio ribadisce di aver provveduto al rinnovo dell’organismo di Vigilanza, nella revisione delle spese per consulenza, contratti e sponsorizzazioni.
Un esempio di tecnologia “made in Italy”
Il Mose è un esempio di tecnologia “Made in Italy”. Il progetto prevede la costruzione di 4 barriere mobili alle bocche di porto, 2 alla bocca del Lido, 1 a Malamocco e 1 a Chioggia. Le quattro barriere sono formate da paratoie del tipo “a ventola a spinta di galleggiamento”, oscillante e a scomparsa. Il numero complessivo delle paratoie è di 78, 156 sono le cerniere che vincolano le paratoie agli alloggiamenti e ne consentono il movimento.
IL COLLAUDO – Il 12 ottobre 2013 la prova d’innalzamento delle prime 3 barriere
IL COSTO – Imponente la spesa: cinque miliardi e mezzo, il 90% a carico dello Stato
Mose, il gigante che respinge le acque
Dighe mobili alle bocche di porto, Venezia all’asciutto
Per il governo una priorità, entro il 2016 lavori finiti
PROVE TECNICHE – di movimentazione del sistema di paratoie effettuate alla fine del 2013. Il cuore tecnologico dei controlli di tutto l’enorme sistema che innalza e abbassa i cassoni depositati sul fondo
C’erano tutti, con il fiato sospeso quel 12 ottobre del 2013. In prima fila il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi. “Primo giorno” del Mose, complesso sistema di paratoie che non ruba il nome al profeta salvato dalle acqua, ma che è molto più banalmente l’acronimo di “Modulo sperimentale elettromeccanico”. Il gigante che dovrà salvare Venezia dalla furia del mare, doveva dimostrare di funzionare. Non tutta l’opera, per avere la faraonica struttura perfettamente funzionante ci vorrà ancora un anno e mezzo, ma la prima trance dei lavori. La prova d’innalzamento ha riguardato le tre paratoie al Lido. Un debutto necessario per legittimare i lavori successivi che verranno consegnati a fine 2016.
Venezia ha fretta. Dopo la disastrosa acqua alta del 4 novembre 1966, che aveva toccato i 194 centimetri sul medio mare, le maree si sono succedute senza sosta. Il compito di questo complesso sistema “made in Italy”, vanto dell’ingegneria e della tecnologia, è infatti quello di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea.
Complessivamente le paratoie sono 78, divise in 4 schiere: alla bocca di porto di Lido, quella più ampia, due schiere di paratoie, rispettivamente di 21 e 20 elementi, collegate da un’isola artificiale; una schiera di 19 paratoie alla bocca di porto di Malamocco; una schiera di 18 alla bocca di porto di Chioggia.
Le paratoie sono una sorta di cassoni metallici (larghezza 20 metri per tutte le schiere, lunghezza variabile da 18,5 a 29 metri e spessore da 3,6 a 5 metri) connesse ai cassoni di alloggiamento di calcestruzzo, attraverso le cerniere, il cuore tecnologico del sistema, che vincolano le paratoie ai cassoni e ne consentono il movimento. È così che il miracolo si compie. Nella normalità la paratoie sono sdraiate, invisibili e piene d’acqua. Quando il mare sale, vengono svuotate e quindi si alzano, offrendo una barriera all’invasione delle acque. L’idea di salvare Venezia dal mare era stata motivo di ampio confronto fin dalla metà degli anni ’70. Non solo all’interno del capoluogo veneto, vista la unicità di questa città lagunare che richiama turisti da tutto il mondo. Il 4 novembre 1966 la città comprese infatti che il mare che tanto la rendeva particolare, poteva anche “ucciderla”. I lavori veri e propri inizieranno nel 2003. I numeri del Mose sono imponenti: oltre al finanziamento da parte dello Stato di oltre il 90% per un costo complessivo di 5,493 miliardi, è la tecnologia a sbalordire. Eccone solo un esempio: 156 le cerniere, due per ciascuna paratoia, dal peso di 42 tonnellate ciascuna. 3 metri la marea massima che le paratoie possono fronteggiare, 30 minuti il tempo necessario per il sollevamento delle paratoie e 15 minuti per il rientro nella loro sede. 4.000 gli occupati coinvolti nella realizzazione del sistema di difesa. Un successo tutto italiano.
Tangenti: Marca travolta
IL “SINDACO” Favori all’avvocato e posto sicuro per la figlia
SCANDALO MOSE Anche tre trevigiani arrestati nella maxi-inchiesta che ha sconvolto il Veneto
I NOMI L’ex primo cittadino di Cessalto Artico il manager Sutto e il biologo marino Rismondo
TERREMOTO – Corruzione e finanziamento illecito dei partiti: lo scandalo dei lavori per il Mose ha travolto anche la Marca. Tre trevigiani fra i 35 arrestati: Giovanni Artico, 53 anni, ex sindaco di Cessalto e oggi dirigente regionale, Federico Sutto, 61, di Zero Branco, manager del consorzio Venezia Nuova e Andrea Rismondo, 52, di Preganziol, biologo marino.
VOLTI NOTI – L’inchiesta sulle tangenti ha portato, tra gli altri, anche agli arresti dell’assessore regionale Chisso, del sindaco di Venezia Orsoni e di Giampietro Marchese, tesoriere del Pd veneto, originario di Chiarano. Richiesta di arresto al Senato per l’ex governatore Giancarlo Galan.
ZAIA – Già avviata la procedura di sospensione dall’incarico
CESSALTO – Arrestato Giovanni Artico già primo cittadino nel suo Comune e ora funzionario regionale
TREVISO – (an.zam) Arriva anche nella Marca l’onda lunga dell’inchiesta sul Mose di Venezia. Raggiunti dalle ordinanze di custodia cautelare Federico Sutto, 61enne di Zero Branco, dipendente del Consorzio Venezia Nuova; Giovanni Artico, 53enne, ex sindaco di Cessalto ed ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera (ora funzionario della Regione Veneto e stretto collaboratore di Renato Chisso); Andrea Rismondo, 52 anni, di Preganziol, rappresentante legale della Selc sc., società consorziata al Consorzio Venezia Nuova. Diverse le responsabilità che la magistratura contesta a ciascuno degli indagati sulla base sia di intercettazioni telefoniche che di una serie di interrogatori. Ed è proprio in alcuni di questi interrogatori che è stata tirata in ballo anche un’impresa di costruzioni trevigiana, la “Carron Angelo”, indicata come una delle imprese di riferimento con cui «Galan e Chisso avevano dei debiti», e che per questa ragione doveva essere inserita nel project financing «autostrada del Mare». Le indagini hanno tuttavia permesso di accertare l’estraneità della società trevigiana dai fatti finiti sotto la lente d’ingrandimento di procura veneziana e Guardia di Finanza.
IL TERREMOTO – Anche la Marca travolta dalla retata della Finanza per le tangenti legate alla grande opera
Giro di favori: dentro l’ex sindaco
L’assunzione della figlia in cambio di una firma su un progetto: l’accusa è corruzione
Modi gentili e un baffo curato che ispira simpatia a prima vista. Finito anche su un numero di Topolino del 2009 per il quale era una sorta di amministratore modello alla guida del comune più riciclone d’Italia. Ma sembra un altra persona quel Giovanni Artico, 53 anni, di Cessalto, che emerge dagli atti dell’inchiesta. Perchè i magistrati lo indicano come un dirigente regionale insistente. Che preme per la firma del contratto di lavoro della figlia ed è capace di far attendere la sua firma su un progetto del gruppo Mantovani fino a quando non arriva quella sul contratto di assunzione della giovane da poco laureata a Ca’Foscari. Per dieci anni sindaco del suo Comune, dopo una gavetta come consigliere di maggioranza, già segreterio a Roma del deputato Dc Lino Armellin, Artico stato arrestato all’alba di ieri. E per Cessalto è stato un fulmine a ciel sereno.
Dirigente della segreteria regionale Infrastrutture e componente del comitato di sorveglianza del Commissariato delegato all’emergenza socio economico ambientale dei canali, fino alla fine del 2012, indicato da tutti come vicinissimo a Galan e a Chisso, secondo le indagini l’ex primo cittadino avrebbe ottenuto favori in cambio del via libera ad alcuni progetti in laguna. I magistrati sottolineano l’esistenza di prove utili a sostenere che abbia «asservito l’esercizio della sua pubblica funzione agli interessi del gruppo Mantovani». A farlo finire nei guai alcuni dialoghi telefonici intercettati in cui l’assessore Renato Chisso e Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, parlano dell’assunzione della figlia dell’ex sindaco di Cessalto da parte del gruppo Nordest Media, controllato dalla Mantovani, l’impresa che proprio dal funzionario Giovanni Artico attendeva il via libera per un progetto da 6 milioni di euro. Un’assunzione, secondo gli atti dell’inchiesta, caldeggiata direttamente da Renato Chisso che, stando alle parole del patron del gruppo Mantovani, Piergiorgio Baita, non era funzionale ad un solo progetto ma doveva servire in qualche modo a garantirsi anche che non sarebbero state rifiutate le future autorizzazioni richieste.
A Cessalto, dove l’ex sindaco è ancora stimato, tanto che nel 2012 portò a vincere la sua vice, Franca Gottardi, la notizia è arrivata come una sorta di terremoto, una scossa inaspettata anche per i suoi eredi in consiglio comunale. «Gli sono umanamente vicina – ha spiegato l’attuale primo cittadino – con lui non avevo mai avuto modo di parlare di lavoro e ci limitavamo a commentare e a condividere le scelte amministrative. Conosco la figlia ma non sapevo dove lavorasse. Questa notizia mi ha profondamente provato».
I magistrati non si limitano a contestare l’assunzione della figlia come unico favore ricevuto. Nel corso dell’interrogatorio di Piergiorgio Baita è emerso anche che l’ex sindaco avrebbe consigliato un avvocato del quale più volte la Mantovani si sarebbe avvalsa. Il legale non è stato però in alcun modo coinvolto nell’inchiesta. Ieri pomeriggio il presidente della regione Luca Zaia ha annunciato di aver provveduto a togliere le deleghe all’assessore Renato Chisso e di aver avviato per Artico e gli altri due funzionari coinvolti nell’inchiesta il provvedimento di sospensione.
Andrea Zambenedetti
PREGANZIOL – Ai domiciliari Andrea Rismondo, 52 anni, presidente fondatore
Dalle alghe alle mazzette: la parabola del biologo
TREVISO – Dai pesci e dalle alghe della Laguna alle «mazzette» per ottenere appalti. È la parabola, secondo l’accusa dei pubblici ministeri della Procura di Venezia, in cui è coinvolto anche Andrea Rismondo, uno dei trevigiani invischiati nella maxi-inchiesta sulla tangentopoli del Mose.
Nato a Venezia, ma residente a Preganziol, il 52enne biologo marino si trova ora agli arresti domiciliari. In paese, in realtà pochi lo conoscono: laureato in biologia a Padova nel 1986 (e con l’ateneo patavino negli anni ha continuato a collaborare), Rismondo si è via via perfezionato nella flora e nella fauna degli ecosistemi marini. Insieme ad alcuni colleghi nel 1998 ha fondato la Selc, di cui a tutt’oggi è presidente: la cooperativa, con sede a Marghera, riunisce una quindicina di altri professionisti e tecnici ed è specializzata in biologia e geologia applicata e servizi ambientali. Ed è una delle ditte che lavora per il Consorzio Venezia Nuova, responsabile della realizzazione del Mose.
Gli inquirenti gli contestano la corruzione per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio, in modo continuato e in concorso con una serie di altri indagati, in particolare nei confronti di due ex dirigenti del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva (anche se i nomi dei due probabilmente non gli erano noti) . Lo scopo era fare in modo «di non subire controlli e rilievi atti a rallentare l’attività» del Consorzio (e di conseguenza delle imprese collegate). Gli alti funzionari pubblici per chiudere un occhio avrebbero ricevuto centinaia di migliaia di euro all’anno oltre ad altri favori. Il biologo, in qualità di rappresentante della Selc, così come altri tre imprenditori, peraltro, avrebbe trattato e consegnato il denaro a Pio Savioli, uno dei consiglieri del Cvn. In più Rismondo, sempre insieme ad altre persone, è accusato di un finanziamento illecito da 58mila euro a favore del consigliere regionale del Pd, Giampiero Marchese.
Tra i vari incarichi, la Selc da dieci anni svolge monitoraggi ambientali sugli effetti su flora e fauna dei cantieri per le opere mobili alle bocche di porto, tanto che era stata la società a segnalare la presenza nell’area di colonie di fenicotteri. Ma la coop compie ed ha compiuto moltissimi altri progetti.
Mattia Zanardo
CHIARANO – Marchese tesoriere del Pd: i voti con i soldi del Consorzio
TREVISO – Chissà se anche Giampietro Marchese farà come il compagno G e dirà che i soldi che ha ricevuto se li è tenuti tutti per sè. Primo Greganti nel ’92 raccontò a Di Pietro la storiella che i soldi che gli avevano trovato in Svizzera provenivano da una eredità e quelli che gli erano stati versati in Italia non si ricordava chi glieli avesse dati. Farà così anche Marchese? 56 anni, originario di Chiarano e residente a Jesolo, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, è da secoli il segretario organizzativo del partito. Responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestisce il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio da tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città. Secondo l’accusa, ha ricevuto “in bianco” nel 2010, 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), mentre si tratta di soldi del Consorzio. Ma non se ne fa un dramma e incassa sia quelli che i soldi “in nero”. Tra i 400 e i 550mila euro, negli anni che vanno dal 2006 al 2012. Perchè il Consorzio pagava Marchese? Risponde Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio del 31 luglio 2013: «Era un funzionario della sinistra che aveva questo compito, diciamo quando c’erano i periodi delle elezioni, delle consultazioni elettorali, di reperire i fondi per.. Ecco, questo era”. Insomma Marchese collezionava tangenti per pagare le campagne elettorali dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, dei deputati e dei senatori.
GLI INQUIRENTI «Soldi a funzionari pubblici per non subire controlli»
TREVISO – Dai pesci e dalle alghe della Laguna alle «mazzette» per ottenere appalti. È la parabola, secondo l’accusa dei pubblici ministeri della Procura di Venezia, in cui è coinvolto anche Andrea Rismondo, uno dei trevigiani invischiati nella maxi-inchiesta sulla tangentopoli del Mose.
Nato a Venezia, ma residente a Preganziol, il 52enne biologo marino si trova ora agli arresti domiciliari. In paese, in realtà pochi lo conoscono: laureato in biologia a Padova nel 1986 (e con l’ateneo patavino negli anni ha continuato a collaborare), Rismondo si è via via perfezionato nella flora e nella fauna degli ecosistemi marini. Insieme ad alcuni colleghi nel 1998 ha fondato la Selc, di cui a tutt’oggi è presidente: la cooperativa, con sede a Marghera, riunisce una quindicina di altri professionisti e tecnici ed è specializzata in biologia e geologia applicata e servizi ambientali. Ed è una delle ditte che lavora per il Consorzio Venezia Nuova, responsabile della realizzazione del Mose.
Gli inquirenti gli contestano la corruzione per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio, in modo continuato e in concorso con una serie di altri indagati, in particolare nei confronti di due ex dirigenti del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva (anche se i nomi dei due probabilmente non gli erano noti) . Lo scopo era fare in modo «di non subire controlli e rilievi atti a rallentare l’attività» del Consorzio (e di conseguenza delle imprese collegate). Gli alti funzionari pubblici per chiudere un occhio avrebbero ricevuto centinaia di migliaia di euro all’anno oltre ad altri favori. Il biologo, in qualità di rappresentante della Selc, così come altri tre imprenditori, peraltro, avrebbe trattato e consegnato il denaro a Pio Savioli, uno dei consiglieri del Cvn. In più Rismondo, sempre insieme ad altre persone, è accusato di un finanziamento illecito da 58mila euro a favore del consigliere regionale del Pd, Giampiero Marchese.
Tra i vari incarichi, la Selc da dieci anni svolge monitoraggi ambientali sugli effetti su flora e fauna dei cantieri per le opere mobili alle bocche di porto, tanto che era stata la società a segnalare la presenza nell’area di colonie di fenicotteri. Ma la coop compie ed ha compiuto moltissimi altri progetti.
Mattia Zanardo
ZERO BRANCO Secondo ordine di custodia in un anno per il manager
Su e giù con le tangenti: Sutto torna nel tunnel
I magistrati: era il collegamento fra “Venezia Nuova” e il sistema politico
Dalle oltre 700 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip veneziano Alberto Scaramuzza, emerge nitida la figura di Federico Sutto, 61 anni, di Zero Branco, ex segretario provinciale del Psi trevigiano agli inizi degli anni Novanta. È lui, secondo la ricostruzione degli investigatori, il canale attraverso cui il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, manovrava i flussi di denaro per finanziare campagne elettorali di politici che avrebbero potuto tornargli utili o per ammorbidire le posizioni di chi avrebbe dovuto controllare appalti ed esecuzione dei lavori legati al Mose. Era lui a ricevere il denaro, a prelevarlo dai conti neri e, molto spesso, a portarlo a destinazione. Gli investigatori ricostruiscono minuziosamente i viaggi delle «mazzette» e il nome di Sutto compare quasi sempre. Del resto, almeno fino al 31 dicembre 2011, è stato l’uomo di fiducia di Mazzacurati. E adesso ne paga le conseguenze. Sono ben tredici i capi d’imputazione a suo carico: a stare troppo vicini al capo, a volte, ci si brucia.
Sutto finisce nuovamente nell’occhio del ciclone a un anno esatto di distanza dalla precedente inchiesta legata al Mose che lo portò agli arresti domiciliari per turbativa d’asta. Adesso la sua posizione sembra aggravarsi. L’ex segretario socialista compare quando si parla dei soldi consegnati a politici del calibro dell’ex parlamentare europea Lia Sartori, che avrebbe ricevuto da Mazzacurati ben 200mila euro per la campagna elettorale del 2009, o del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, che avrebbe incassato anche attraverso Sutto 450mila euro durante le elezioni del 2010. La sequenza di nomi, cifre e circostanze è impressionante. Sutto avrebbe portato soldi all’assessore Renato Chisso, pure lui arrestato, fin dentro gli uffici della Regione.
Un anno fa, dopo il primo arresto, Sutto qualche ammissione l’aveva anche fatta. Alla pm veneziana Paola Tonini si sarebbe giustificato dicendo di aver solo eseguito gli ordini del suo capo, Mazzacurati. E ai magistrati, nel corso di altri interrogatori, avrebbe fatto anche altre ammissioni, tutte notizie poi confluite nell’ordinanza di arresto. E adesso rimane uno degli elementi centrali dell’inchiesta quanto meno come esecutore materiale dei piani di Mazzacurati.
Starà adesso ai suoi legali provvedere a smontare il castello di accuse. Questa vicenda rappresenta comunque la fase discendente della sua parabola, iniziata nel 1990 con la segreteria provinciale del Psi a soli 37 anni, che che ha toccato l’apice con Gianni De Michelis. Ha seguito l’ex ministro in tutte le sue esperienze di governo, quando è stato vice presidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e delle Partecipazioni Statali. È stato accando a De Michelis anche nella direzione della Lega Basket. Nel 1993 lasciò la segreteria del partito trevigiano per le lacerazioni seguite allo scandalo di Tangentopoli. Oggi, a distanza di 20 anni, la storia si ripete.
IL PALAZZO TREMA Il sindaco ai domiciliari: finanziamenti illeciti per 560mila euro. Chisso (Fi) e Marchese (Pd) in carcere
CITTA’ INCREDULA – La Finanza è arrivata alle 5.30 in casa del sindaco Giorgio Orsoni, per portarlo in caserma e poi riconsegnarlo agli arresti domiciliari. L’accusa: finanziamento illecito ai partito, per 560mila euro dati dal Consorzio Venezia Nuova in occasione delle elezioni comunali del 2010. Il terremoto politico ha scosso il Comune. Ieri il vicesindaco Sandro Simionato ha assunto la guida dell’amministrazione: «Andiamo avanti comunque», ha detto.
Il panorama politico veneziano è al centro di un vero e proprio terremoto che coinvolge tanti volti noti. Primo fra tutti – dopo il sindaco Orsoni – l’assessore regionale Renato Chisso, mestrino di Favaro, inquisito per presunte tangenti, nonchè Giampietro Marchese, segretario organizzativo regionale del Pd (e vicepresidente a Palazzo Ferro Fini) per finanziamento illecito, e ancora Enzo Casarin e Lino Brentan.
IN COMUNE – Simionato: «Andiamo avanti». L’opposizione: «Tutti a casa»
GLI ALTRI COINVOLTI – La bufera giudiziaria travolge di nuovo Brentan e Casarin
«Pagate», Orsoni arrestato
IL PALAZZO TREMA
TERREMOTO IN COMUNE – Le carte dell’inchiesta legata ai lavori del Mose
MAZZACURATI «Orsoni tranquillizzò l’ingegnere: “Calmo, siamo entrambi Procuratori di San Marco”»
L’INIZIO – Il presunto finanziamento illecito per le elezioni del 2010
A DOMICILIO – Il presidente del Consorzio portava tranche di 100mila euro a casa di Orsoni
LA SCHEDA – Tutte le cariche del primo cittadino. Dalla Procuratoria di S. Marco alla Cini
Finanziamento illecito: 560mila euro per la campagna elettorale, 50mila dei quali gli sono stati versati cash da Baita
L’ARRESTO DEL SINDACO – Dalle intercettazioni emergono i legami con il Consorzio
attraverso Nicola Falconi. Gli incontri all’hotel Monaco
Tanti incarichi per Giorgio Orsoni. Insomma non c’è solo la qualifica di primo cittadino. Infatti negli anni il sindaco ha inanellato una serie di incarichi di alto livello. Senz’altro il più importante e prestigioso è quello di Procuratore di San Marco, ruolo antichissimo, che la sempre messo in relazione con il mondo cattolico, con quello della Diocesi e soprattutto della Curia. Ma non solo. Negli anni, Orsoni ha accumulato, anche in virtù del ruolo di sindaco, anche altri incarichi come quello di vicepresidente della Fondazione Cini e della Biennale, e poi come consigliere nel cda del Teatro La Fenice e anche della Fondazione Musei civici. Autore di molte pubblicazioni di carattere giuridico, Orsoni ha edito numerosi libri dedicati al diritto amministratrativo. E poi c’è l’impegno politico, soprattutto nell’ambito dell’iter per la costituzione della futura Città metropolitana di Venezia, visto e considerato che nell’ambito dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni d’Italia svolge il ruolo di coordinatore del tavolo per l’istituzione delle città metropolitane. Tra gli altri incarichi è anche presidente del Cemr, Consiglio europeo delle Regioni e delle Municipalità, presidente dell’Ancai, associazione nazionale dei Comuni aeroportuali e vicepresidente della sezione veneta dell’Aiccre, l’associazione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. In passato è stato scelto Grande Ufficiale al merito della Repubblica, Commendatore della Repubblica italiana. E in Francia è stato insignito anche della Legion d’onore dal presidente Sarkozy.
E Orsoni disse: «Voglio più soldi»
«La parte regolare è una piccola parte rispetto al totale che è stato rilevante, perché noi avevamo previsto di spendere molto meno e poi invece Orsoni mi ha detto che aveva bisogno di altri soldi». É il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, interrogato dopo l’arresto del luglio scorso, a parlare davanti ai magistrati. Il coinvolgimento del sindaco Giorgio Orsoni comincia da qui, con questa storia di presunto finanziamento illecito per la campagna elettorale del 2010. L’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, che per il sindaco di Venezia ha disposto gli arresti domiciliari, riporta ampi stralci di quei primi interrogatori da cui è iniziato tutto. «Ecco, noi abbiamo sostenuto la campagna elettorale di Orsoni» spiega sempre Mazzacuranti. «Noi gli abbiamo corrisposto questa cifra un po’ a scaglioni e quindi mi pare che in sei mesi l’abbiamo saturata». Il magistrato insiste per sapere come avvenivano questi versamenti. «Era contante» spiega Mazzacurati. «É stata consegnata ad Orsoni o a qualcuno che lui ha chiesto in modo da arrivare a circa mezzo milione di euro».
Il meccanismo spiegato dal gip, anche per Orsoni, è quello del finanziamento da un lato “in bianco”, ma comunque illecito, perché fatto da società minori con soldi, in realtà, del Consorzio, dall’altro “in nero”. Nel caso del “bianco”, per il sindaco veneziano – ricostruisce l’ordinanza – Mazzacurati pensa di coinvolgere le imprese del luogo. E quindi, oltre alla solita Coveco, la Bosca srl e la Cam ricerche srl di Nicola Falconi, nonché La San Martino sc di Stefano Boscolo Bacheto. Insieme versano al candidato sindaco 110mila euro, ma i soldi arrivano sempre dal Consorzio attraverso un complicato giro di fatturazioni inesistenti. Lavori e consulenze inventate per creare i fondi necessari a pagare. E la «contropartita per le società che si prestano ad entrare nel sistema delle false fatturazioni per permettere al Consorzio di finanziare i politici» è quello di «essere avvantaggiati in futuri lavori del Cvn» precisa il giudice.
L’ordinanza dedica spazio al coinvolgimento delle società di Falconi e alla sua, per così dire, soddisfazione. In un’intercettazione con il factotum del Consorzio, Pio Savioli, Falconi gli racconta di aver preso da parte il sindaco, nel corso di un convegno di Confindustria, per fargli sapere del versamento fatto. «Lui è rimasto sorpreso. “Beh Nicola cosa vuoi che ti dica: siete un gruppo forte, siete degli amici veri, questa cosa sapevo che stava maturando ma non me l’avevano detta bene nei termini, tra l’altro sono davvero meravigliato dello sforzo addirittura superiore alle attese e ti ringrazio molto”». In un’altra telefonata Falconi riferisce della soddisfazione del sindaco per il sostegno del «gruppo dell’ingegnere». Espressioni («gruppo forte», «dell’ingegnere») che, per il gip, proverebbero la piena consapevolezza da parte del sindaco della provenienza dei finanziamenti e quindi della loro illecità. «Ovviamente Falconi – si legge ancora nell’ordinanza – correla tale favore ad Orsoni con futuri vantaggi economici da ottenere tramite il Consorzio Venezia Nuova». «Potesse anche essere utile per battere cassa tra virgolette» dice in un’altra intercettazione con Savioli. Una volta eletto sindaco Orsoni, poi, arrivano le pressioni. In un’altra conversazione intercettata tra Savioli e Falconi, i due parlano delle «pressioni fatte dal Consorzio per far nominare Falconi presidente del Nicelli spa», delle «resistenze del sindaco e le ulteriori pressioni di Falconi che aveva ricordato al sindaco l’aiuto in campagna elettorale e il fatto che fosse un suo uomo» si legge nell’ordinanza.
Altrettanto ricco il capitolo finanziamenti “in nero”. Ne parla per primo Baita, quindi Mazzacurati. É quest’ultimo «a portare i soldi in mano a casa di Orsoni – scrive il giudice – alla fermata di San Silvestro del vaporetto, dicendo che andò più volte a casa di Orsoni, nel giro di tre quattro mesi, portandogli ogni volta fino a 100-150mila euro». «All’inizio Orsoni mi parlò di 100mila euro, che aveva fatto un conto. “Ma sei sicuro?” ho detto e aveva detto “sì”, che era sicuro. Invece poi non sono bastati assolutamente». A riprova del «rapporto di contiguità» tra sindaco e Consorzio, l’ordinanza cita svariati incontri non spiegabili con rapporti di tipo istituzionale. Per lo più a casa di Orsoni, ma anche al Monaco, luogo di elezioni per gli incontri di Baita e Mazzacurati. In un’intercettazione Mazzacurati riferisce di una cena al Monaco con Orsoni, dove vengono visti da tante gente. Lui si preoccupa e racconta che il sindaco l’ha tranquillizzato: «Ma chi se ne frega, ha detto, siamo tutti due Procuratori di San Marco e le elezioni sono già state… Non mi stare a mettere ’sti pensieri… non c’è ragione».
IL DIFENSORE «Giorgio vuole farsi interrogare al più presto»
IL BLITZ – La Finanza arriva all’alba in casa del primo cittadino
Le Fiamme gialle hanno suonato al campanello di S. Silvestro alle 5.30
Il sindaco è stato portato in caserma. Perquisiti gli uffici di Ca’ Farsetti
I finanzieri hanno suonato al campanello della famiglia Orsoni, nel bel palazzo affacciato sul Canal Grande, nella centralissima San Silvestro, che non erano ancora le cinque e mezzo del mattino. Poca la gente in giro a quell’ora, ma che non ha potuto non notare il sindaco uscire di casa in compagnia dei finanzieri. E la notizia si è cominciata a diffondere per la città, in un’impressionante passa parola, tra lo stupore e l’incredulità…
La giornata più nera del sindaco Giorgio Orsoni è iniziata così, prestissimo. La sveglia degli uomini della Guardia di Finanza, la perquisizione in casa. I militari hanno quindi accompagnato il sindaco negli uffici per la notifica dell’ordinanza cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari, Alberto Scaramuzza, che gli imponevano la misura degli arresti domiciliari. Mentre altri finanzieri perquisivano pure lo studio del sindaco a Ca’ Farsetti. A giorno ormai fatto, il ritorno di Orsoni a casa, sempre in compagnia dei finanzieri, dove ora dovrà restare agli arresti domiciliari.
Tutto in quella casa che viene ampiamente citata nell’ordinanza, come uno dei luoghi dove Orsoni, all’epoca candidato sindaco, avrebbe ricevuto i versamenti dalle mani dello stesso presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. Così ha raccontanto l’anziano ingegnere, dopo l’arresto dell’estate scorsa, aprendo questa nuova fase dell’inchiesta che ha scossa la città. Le accuse ad Orsoni si reggono soprattutto sulle sue dichiarazioni, confermate, tra gli altri, dallo stesso ex presidente della Mantovani, Baita.
Un impianto accusatorio secondo cui Orsoni avrebbe ricevuto soprattutto finanziamenti illeciti “in nero”, ma in parte anche “in bianco”, attraverso società minori, per un totale di oltre mezzo milione di euro.
Ieri la difesa del sindaco, rappresentanto dal presidente dell’Ordine degli avvocati, Daniele Grasso, non ha voluto sbilanciarsi. «Stiamo ancora facendo copia dell’imponente documentazione agli atti – ha riferito il legale – credo comunque che per il sindaco ci siano ampi spazi di difendibilità. La situazione è delicatissima, quel che posso dire è che siamo pensando di affrontare gli interrogatori già dalle prime fasi, per chiarire la posizione. Non aspettiamo tempi lunghi». (r. br.)
IL RISVOLTO POLITICO – L’arresto di Orsoni sconvolge i programmi della Giunta
Jacopo Molina, consigliere comunale del pd, renziano della prima ora, rilancia la questione etica nel partito
Il vicesindaco raccoglie il testimone per il governo di Ca’ Farsetti
Simionato: «Andiamo avanti, l’auto-eliminazione sarebbe solo un suicidio»
Sandro Simionato ha il viso tirato. La prova è dura. Parla scandendo le parole, ma si vede e si sente che non avrebbe mai pensato di dover commentare la “notizia delle notizie”: l’arresto di Giorgio Orsoni. Gli occhi del vicesindaco guardano a destra e a manca. Il nervosismo si taglia con il coltello. «Lo dico molto chiaramente – attacca – la posizione del sindaco mi sembra sostanzialmente diversa da tutte le altre. La magistratura fa il suo corso. Certo. Ma non possiamo non esprimere tutta la nostra solidarietà ad Orsoni e alla sua famiglia in questo momento». Simionato è appena tornato da Ca’ Corner, sede della Prefettura, per un colloquio con gli uffici della rappresentanza di governo sul futuro dell’amminstrazione comunale.
Vicesindaco, ora c’è comunque un Comune da governare…
«Andiamo avanti con uno sforzo comune delle responsabilità che ci attendono. Lo faremo con tutta la serietà, la capacità e l’impegno che ci abbiamo messo in tutti questi anni. E ancor di più in questo momento critico».
Qui però si è arrivati ad un punto di non ritorno
«Assolutamente no! Noi conosciamo un altro Giorgio Orsoni. Lo abbiamo conosciuto e apprezzato perchè negli anni ha fatto della trasparenza e della coerenza amministrativa, la sua azione di governo. E poi siamo fiduciosi che la situazione si possa risolvere al più presto».
Ma serve chiarezza ed evidentemente la magistratura ritiene che essa non ci sia stata.
«Noi, come coalizione di governo abbiamo assunto degli impegni con questa città. Li abbiamo sempre portati avanti e seguiremo questa linea. Ci sono scadenze importanti che intendiamo rispettare. Abbiamo lavorato per quattro anni in maniera intensa e nell’anno che manca vogliamo concludere le partite aperte. Dare risposte e proseguire nel nostro impegno».
Non c’è dubbio che i contraccolpi anche nella maggioranza che governa la città non mancheranno di farsi sentire.
«Faremo il punto della situazione. E così faranno gli altri partiti. Ma andiamo avanti».
E come un macigno pesa la questione del Mose
«Il Comune ha sempre avuto una posizione chiara sul Mose. Siamo sempre stati coerenti. Più volte abbiamo denunciato, e in tempi non sospetti, il fatto che vi fosse un unico mandatario, detentore unico del progetto. In un’opera da cinque miliardi di euro, non poteva che essere evidente che qualche rischio ci stava. Ma è altrettanto necessario che vi siano nuove regole di gestione degli appalti. La questione, lo dico con forza, non è solo di Venezia».
Intanto la notizia ha fatto il giro del mondo. Venezia è su tutte le prime pagine dei giornali.
«E proprio per il suo ruolo, questa città merita ancor più un’assunzione di responsabilità da parte degli amministratori. Se ci auto-eliminassimo, sarebbe un suicidio per la città».
EFFETTO INCHIESTE – In pochi giorni fuori gioco tre possibili candidati sindaco
In pochi giorni le inchieste della magistratura italiana hanno affossato tre possibili candidati a sindaco di Venezia per le elezioni del 2015. Che Giorgio Orsoni volesse ripresentarsi, non era un mistero. Così come il nome di Renato Chisso girava da tempo come possibile candidato per il centrodestra. La medesima coalizione aveva anche sondato il terreno con l’ex ministro Corrado Clini, veneziano di “adozione”, arrestato nei giorni scorsi per un’altra inchiesta.
LA GIORNATA IN COMUNE – Blitz della Finanza, gelo a Ca’ Farsetti tra riunioni e sgomento
Una giornata iniziata sotto i peggiori auspici con tanto di finanzieri fin dalle prime luci del giorno nell’ufficio del sindaco e in quello dell’Ufficio di gabinetto alla ricerca di nuova documentazione per l’indagine. E a Ca’ Farsetti è stato il gelo. Subito dopo aver appreso la notizia dell’arresto di Giorgio Orsoni, oltre all’incredulità, immediata è scattata la reazione. Ed è toccato proprio al vicesindaco Sandro Simionato prendere in mano il bandolo della matassa. Situazione non facile, ma è stato solo dopo un consulto con la Prefettura che è stata fatta un po’ di chiarezza. E a quel punto vi è stato un ritmo quasi forsennato di riunioni, che si sono accavallate per l’intera mattinata e in serata, soprattutto tra gli assessori della giunta per cercare di elaborare una strategia comune. E alla fine, le dichiarazioni nervose di Simionato che in qualche modo hanno stabilito le “nuove regole” in attesa delle future decisioni del sindaco Orsoni ai domiciliari. E quel che si leggeva soprattutto tra i dipendenti, è stata soprattutto l’incredulità per quanto stava avvenendo sotto i loro occhi. Con i finanzieri che portavano via pacchi e pacchi di documenti sotto gli occhi esterrefatti dei collaboratori del sindaco Orsoni.
DENTRO IL PD – Molina va alla carica «Via il vecchio sistema». Stradiotto: «Prudenza»
Sgomento e incredulità. Il Pd è stato colto di sorpresa. E lo spiega bene il segretario metropolitano del partito, Marco Stradiotto. «Non posso che esprimere il mio rammarico e la mia sorpresa per quanto accaduto. Le notizie feriscono profondamente Venezia e tutto il nostro territorio. Che la magistratura faccia il suo corso». E anche il segretario comunale, Emanuele Rosteghin è sulla stessa lunghezza d’onda. «Oggi dobbiamo rilanciare – dice – con determinazione la nostra vocazione ad una profonda azione di rinnovamento che dobbiamo portare avanti con concretezza e determinazione». Aggiunge ancora Stradiotto: «Oggi, anche indipendentemente dalla conclusione dell’inchiesta, dobbiamo rilanciare con determinazione la nostra vocazione: dobbiamo portare avanti un messaggio di concretezza e di “salute pubblica” ai cittadini che già vivono un momento di difficoltà anche partendo da una profonda revisione degli iter autorizzativi, delle verifiche e dei controllo delle cosiddette “grandi opere”»
Ma chi va giù pesante è il consigliere comunale, Jacopo Molina, esponente dei “renziani” della prima ora. «Esprimo il mio sostegno ed apprezzamento per l’operato della Magistratura.
«Finalmente – attacca – è stato svelato ed assume rilevanza penale quello che da tempo chiamo il “Sistema Venezia”, frutto di ultradecennali rapporti distorti ed opachi tra società private (beneficiarie di finanziamenti pubblici) e alti rappresentanti – politici ed amministrativi delle istituzioni statali, regionali e cittadine. É compito di chi fa politica con la schiena dritta e a testa alta aiutare i Magistrati nella loro opera di pulizia nei confronti di quanti, fino ad oggi, hanno messo le mani sulla città da impuniti». Un attacco in qualche modo che squarcia le dichiarazioni quasi di circostanza del Pd ufficiale.
«Quanto al Sindaco, gli auguro di potere fare chiarezza nelle sedi competenti in merito a quanto gli viene ascritto. Quanto all’aspetto politico, il dato è certo; Giorgio Orsoni appartiene al passato. La sua esperienza politica si conclude oggi. É necessario cambiare verso. Partendo dalle persone e dal modo di fare politica. Venezia ha davvero bisogno di rottamare una classe politica sorpassata ed usa a cattiva gestione della cosa pubblica. Rottamare spetta a noi, alle nuove generazioni. Il tempo è “Adesso”».
P.N.D.
LA PROTESTA – Sit-in dei partiti di minoranza nel pomeriggio a Ca’ Farsetti
CAMBIAMENTO «Una classe politica da rinnovare subito»
LA RICHIESTA – Firme dei consiglieri di opposizione per chiedere le dimissioni della Giunta
«Approvare subito il bilancio per non gravare sui cittadini»
Stupore ma anche prudenza, tanta prudenza tra la maggioranza che sostiene il sindaco Orsoni. In un momento come questo, però, la voce comune che esce dal coro è la volontà di dare un segnale di maturità politica, cioè quella di chiudere il bilancio ed evitare che le conseguenze poi ricadano sui cittadini. «Servirà qualche giorno per chiarire i contorni della vicenda – spiega Gianfanco Bettin per In Comune – Bisogna riuscire ad approvare il bilancio sennò i danni alla città diventano enormi. Dopo di che valuteremo tutti assieme. Le accuse rivolte al sindaco sono certo gravi ma non riguardano l’attività amministrativa. Simionato farà le sue veci se Orsoni non si dimette e questa spero sia la soluzione più auspicabile. Chiaro che questa vicenda peserà e imporrà un radicale mutamento della classe politica e delle relazioni tra classe politica e mondo degli affari». «Come Socialisti ci auguriamo che Orsoni non si dimetta e la Giunta e il lavoro di questa maggioranza possa continuare sotto la guida di Sandro Simionato – è il parere di Luigi Giordani – Per il resto sarà la magistratura a fare il suo corso. Siamo a fine mandato, ci manca l’approvazione del bilancio di previsione e da risolvere la questione Casinò. Noi appoggiamo Simionato che è la naturale continuazione politica e amministrativa di Orsoni».
«Chiudiamo prima il bilancio e poi facciamo le valutazioni politiche che servono – è il parere di Simone Venturini dell’Udc – Evitare il commissariamento sarebbe auspicabile ma se proprio dovessimo ripartire da zero mi auguro che questa vicenda serva a rinnovare la classe politica dirigente veneziana a tutti i livelli. Ce n’è un grande bisogno». «Credo si debba fare il possibile per evitare il commissariamento che non accelera nulla – aggiunge Sebastiano Bonzio (Fds) – Avere un commissario significherebbe gestire in maniera ragionieristica l’amministrazione senza il cuscinetto politico. Il commissario viene qui per aggiustare i conti, tagliando servizi, assistenza domiciliare. La politica deve dare prova di grande maturità a cominciare dalle partite strategiche».
Giorgia Pradolin
GLI SCENARI – Commissario o il testimone passa a Simionato
E ora che succederà? Una situazione delicata che è tutta nelle mani di Orsoni e che si veste di molti tecnicismi giuridici e amministrativi. Se il primo cittadino intenderà dimettersi, il passaggio formale sarà a senso unico: tutti a casa con l’ingresso del commissario prefettizio per l’ordinaria amministrazione e l’indizione di nuove elezioni. Ma non è l’unica ipotesi.
L’altra è quella che vede la Procura come attore dei destini della città con l’invio ad Orsoni di una “comunicazione di sospensione temporanea” del suo incarico di primo cittadino con l’automatico passaggio di ogni funzione al vicesindaco Sandro Simionato che potrebbe così portare a termine la “consigliatura” fino a scadenza naturale nella primavera del 2015. E portare così la coalizione che ha guidato Orsoni a nuove elezioni alla sua scadenza naturale
«Via Orsoni». Ma Forza Italia si defila
Costalonga: «Non abbiamo fatto in tempo ad avvisarli». Zuin: «Vedremo, è presto per i commenti»
Ci avevano provato a febbraio, dopo lo sforamento di Venezia dal patto di stabilità, e ieri sono tornati all’attacco per chiedere le dimissioni di Orsoni. Non hanno perso tempo le opposizioni in Consiglio Comunale, a poche ore dalla notizia dell’arresto ai domiciliari del sindaco, erano già sul piede di guerra, fuori da Ca’ Farsetti con slogan e bandiere. All’appello del sit-in, quasi tutte le forze di minoranza: Fratelli D’Italia, Lega Nord, Cinque Stelle e Gruppo Misto ma l’assenza di Forza Italia si è fatta notare, se pur giustificata dall’organizzatore della manifestazione, Sebastiano Costalonga (Fratelli D’Italia). «Non sono riuscito a contattarli al telefono – ha detto Costalonga – e la manifestazione è stata organizzata in brevissimo tempo». Michele Zuin, capogruppo di Forza Italia, prende tempo. «Non sapevo niente di questa iniziativa, ero via. Vedremo domani (oggi per chi legge, ndr) con gli altri consiglieri. Per ora non me la sento di trarre conclusioni…». Oggi intanto il documento verrò esaminato da tutti i capigruppo.
Tra i presenti però, non c’erano solo esponenti politici, ma anche alcuni lavoratori che da Orsoni non sono mai riusciti a farsi ascoltare come Fabio, portabagagli, e Luca de Marchi del Consorzio Motoscafi.
L’obiettivo di Costalonga e delle minoranze ora è raccogliere 19 firme da parte dei consiglieri comunali per richiedere le dimissioni del primo cittadino, e nel contempo rivolgersi al prefetto per evitare il commissariamento del Comune a fronte di possibili elezioni anticipate.
«Venezia ha una necessità ed urgenza, quella della Città Metropolitana e del suo statuto – afferma Costalonga – che non può avere una persona arrestata come sindaco». L’opinione del Gruppo Misto, trasmessa anche con nota stampa, è quella che «La Giunta deve presentare le immediate e irrevocabili dimissioni per consentire, nel più breve tempo possibile, di ricostituire un’amministrazione capace, autorevole e credibile».
Davanti alle porte di Ca’ Farsetti anche Sebastiano Bonzio (Federazione della Sinistra Veneta) e Pietro Bortoluzzi. Non tutti però si accaniscono contro l’episodio giudiziario, ma colgono la palla al balzo per protestare contro ciò che ritengono inopportuno in laguna. «Non siamo qui per chiedere la testa di Orsoni – afferma il capogruppo della Lega Nord, Giovanni Giusto – almeno finchè non sarà definitiva la sentenza. Siamo qui per testimoniare disappunto verso un’amministrazione che non rappresenta e non fa gli interessi del popolo che l’ha eletto».
I grillini parlano di flussi turistici incontrollati che penalizzano i residenti, tra loro la candidata alle recenti elezioni parlamentari Nives Gargagliano, e il capogruppo in consiglio comunale Gian Luigi Placella, che sulle dimissioni di Orsoni rincara: «Se non ora quando? Una città come Venezia non può vivere nel dubbio dell’onestà del suo primo cittadino».
L’EX SEGRETARIA – Il “nero” da una cartiera di Baita per pagargli le mazzette
TERREMOTO IN REGIONE – Il mestrino responsabile delle infrastrutture in carcere in isolamento a Pisa: si è dimesso con un telegramma
Chisso-Galan, il tandem grandi opere
Insieme hanno realizzato Passante e ospedale di Mestre. A incastrare l’assessore le rivelazioni della Minutillo
Chisso e Galan. Galan e Chisso. Un binomio indissolubile. Un matrimonio politico che è durato anni. Galan il Governatore e Chisso l’Assessore. Insieme hanno fatto il nuovo ospedale di Mestre e il Passante. Insieme hanno progettato la Pedemontana. Due decisionisti. Galan con una visione strategica, Chisso deciso a risolvere i problemi del quotidiano. Hanno corso sempre appaiati, fino all’ultimo. Pareva che sul traguardo avesse vinto Chisso, con Galan che era stato trombato nella corsa al nuovo mandato di Governatore ed era volato a Roma ad attendere un qualche incarico ministeriale mentre Chisso restava qui e puntava a fare il presidente di Regione, la prossima volta. E invece ieri mattina alle 8 in punto, Chisso ha inviato in Regione il telegramma urgente che annuncia le sue dimissioni irrevocabili – anche se Zaia non ha perso l’occasione per dire che Chisso non è più assessore perchè lui gli ha tolto le deleghe, ma due ore dopo. Perchè Chisso sa che questa inchiesta può mettere la pietra tombale sulla sua carriera. Galan invece non ha battuto ciglio. Ecco perchè alla fine, a guardar bene, si vede che i due non hanno nulla in comune. Nè nella buona nè nella cattiva sorte. Tant’è che Chisso è finito in isolamento nel carcere di Pisa, mentre Galan è libero in quanto deputato della Repubblica. Ma anche la vita dei due è sempre stata agli antipodi. Galan vive in una villa faranoica, Chisso in una villetta a Favaro che ha diviso fino all’altro giorno, quando è morto, con il padre. Galan è un piacione, Chisso è un “contadino”, uno che ama le sagre paesane, gli amici. E la politica. Che è sempre stata la sua vita. E che lo ha portato nel baratro. Ma in tanti gli hanno dato una mano. A cominciare da quella Claudia Minutillo che, cacciata da Galan, di cui era stata segretaria per un paio di legislature, era stata “adottata” da Chisso. Adesso si scopre – dice la Minutillo – che Adria Infrastrutture Spa, una delle tante “cartiere” che servivano a Baita per fare il nero e pagare le mazzette, non era stata creata per dare un lavoro a lei, ma per fornire soldi in nero a Chisso. Anche nella Investimenti srl lei avrebbe fatto da prestanome per conto di Chisso. E poi c’è il suo segretario, Enzo Casarin. Entrambi socialisti dei vecchi tempi, Casarin era finito nei guai un sacco di volte, ma Chisso non l’aveva mai mollato. Incassava le mazzette per suo conto, dicono gli investigatori. E anche se nell’ordinanza di custodia in carcere si vede che una volta si chiama Enzo e un’altra volta Gianni – ed esistono entrambi – i magistrati sono convinti che si tratti sempre di lui e cioè di quell’ Enzo Casarin arrestato per concussione nel 1995 e poi di nuovo nei guai a metà degli anni Duemila. Insomma uno che, come dire?, ama la vita spericolata, Casarin. Nonostante tutto, infatti, secondo la Procura di Venezia continuava a fare il mestiere di collettore delle tangenti. E’ finito in carcere a Pistoia. Anche lui in isolamento. E non è l’unico che deve qualcosa a Chisso. Scrive il Gip Scaramuzza: «Chisso faceva prendere l’impegno ai vertici di Adria Infrastrutture Spa di far partecipare l’architetto Dario Lugato, suo amico, con la società Tecne Engineering, al gruppo di progettazione e di concessione della superstrada “vie del mare” prolungamento della Jesolo-Cavallino». Non basta: «Chisso faceva finanziare da Adria Infrastrutture Spa la società Territorio di Bortolo Mainardi, tramite consulenze affidate a quest’ultimno e infine chiedeva a Baita di acquisirne la proprietà onde ripianarne le perdite societarie». E, ancora: «Faceva nominare il 27 giugno 2012, Fabio Cadel, commercialista e suo amico, sindaco supplente all’interno del collogio sindacale della società Autostrade Serenissima Spa controllata dal Gruppo Mantovani». Infine: «Chiedeva ed otteneva che la società Carron Cav. Angelo venisse inserita tra le società di progetto incaricate del lavoro di costruzione della superstrada “vie del mare”.
Maurizio Dianese
L’INCHIESTA. La scoperta grazie ai biglietti trovati con somme e nomi dei beneficiari
COLLETTORE – Per Mazzacurati raccoglieva fondi per finanziare le campagne elettorali del partito: in 9 anni nelle sue tasche è finito mezzo milione di euro
Casarin, le sigarette prima dell’arresto
Il segretario di Chisso torna ad affrontare l’esperienza del carcere. Brentan arriva in caserma con i guanti
Impossibile sbagliare. Gli arrestati sono quelli che si accendono una sigaretta dietro l’altra. C’è la fila fuori dalla porta della Caserma Corfù della Guardia di finanza, sotto il cavalcavia di Marghera, dove si procede all’operazione di fotosegnalazione e vuol dire che ti fotografano di fronte e di profilo e ti danno il primo assaggio di quel che sarà l’ufficio matricola del carcere, dove ti prenderanno anche le impronte digitali. C’è Giampiero Marchese, che fuma fuori dal portone, il tesoriere del Pd, l’uomo che ha deciso vita morte e miracoli del partito nelle ultime due legislature, nominato a vita presidente della Fondazione che possiede gli immobili dell’ex Pci e del Pd. Marchese lo sapeva che finiva così. Lo sapeva che era una questione di tempo. Lo sapeva lui e lo sapeva tutto il partito che già aveva dovuto leccarsi le ferite ai tempi dell’arresto di Lino Brentan. Anche Brentan, ex amministratore delegato della Padova-Venezia e uomo di sempre di spicco del Pci e poi del Pd, esce dalla porta della caserma e si accende subito un “cotton fioc”, una di quelle sigarettine che uno è convinto di non fumare e invece si intossica lo stesso. Indossa guanti bianchi, Brentan, ed ha sottobraccio una giacca a vento. Forse era convinto di dover andare in galera invece che ai domiciliari e si era premunito. Su entrambi aleggia una sola domanda: parleranno? No, Marchese è come il compagno Greganti, dicono tutti, non aprirà mai bocca. Come Brentan. E se anche nel partito democratico nessuno, ma proprio nessuno, potrà dire che non sapeva, tutti danno per scontato che potranno dormire sonni tranquilli sia con Marchese che con Brentan. Peraltro è già successo, negli anni Novanta che qualcuno – Renato Morandina – si è preso tutta la colpa ed ha salvato il partito. Andrà così anche stavolta e dunque nessuno, per ora, si è rimesso a fumare. Invece Enzo Casarin, il segretario di Renato Chisso, fuma come un turco sugli scalini della caserma Corfù e poi, prima di rientrare in caserma, saluta il suo avvocato, Antonio Forza, che deve difendere sia lui che Chisso. Casarin è l’unico tranquillo, del resto per lui non è la prima volta e sa come affrontare il carcere. L’avvocato Forza è stato buttato giù dal letto alle 4 del mattino, ma fino all’ora di pranzo resta in caserma a discutere con i suoi assistiti, prima che siano portati in carcere. Dal passo Carraio della caserma esce una macchina dopo l’altra e in strada ce ne sono a decine. Del resto la Finanza ha chiamato a raccolta trecento uomini per questa mega operazione e tanti passano per gli uffici a prendere ordini e a raccogliere le ultime carte. Poi c’è chi parte tra sgommate e lampeggianti perchè deve portare gli arrestati nelle carceri di mezzo mondo e chi invece se la prende comoda perchè il lavoro, come al solito è agli inizi. Adesso bisogna mettere mano ai computer, leggere le carte, analizzare gli ipad e i telefoni.
Quei soldi a Marchese il tesoriere del Pd veneto
Chissà se anche Giampietro Marchese – come giurano tutti i suoi compagni di partito – farà come il compagno G e dirà che i soldi che ha ricevuto se li è tenuti tutti per sè. Primo Greganti nel 1992 raccontò a Di Pietro la storiella che i soldi che gli avevano trovato in Svizzera provenivano da una eredità e quelli che gli erano stati versati in Italia non si ricordava nemmeno chi glieli avesse dati. Farà così anche Marchese? 56 anni, jesolano, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, Marchese è da secoli il segretario organizzativo del partito. Responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestisce il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio stimato in tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città. Marchese, secondo l’accusa, ha ricevuto “in bianco” nel 2010, 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), mentre si tratta di soldi del Consorzio. Ma il Consigliere regionale del Pd non se ne fa un gran dramma e incassa sia quelli che i soldi “in nero”. Tra i 400 e i 550mila euro, negli anni che vanno dal 2006 al 2012. Perchè il Consorzio pagava Marchese? Risponde Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio del 31 luglio 2013: «Era un funzionario della sinistra che aveva questo compito, diciamo quando c’erano i periodi delle elezioni, delle consultazioni elettorali, di reperire i fondi per.. Ecco, questo era”. Insomma Mazzacurati conferma quello che tutti sanno dentro e fuori il partito democratico e cioè che Marchese collezionava tangenti per pagare le campagne elettorali dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, dei deputati e dei senatori. Non tutti, magari, ma quelli più legati alla sua corrente, di sicuro.
Ma Piero Marchese un po’ ha pensato anche a se stesso perchè quando viene trombato alle elezioni regionali, non solo si fa nominare presidente di Ames, cioè delle farmacie comunali, ma al Consorzio chiede un posto di lavoro. Viene assunto presso la Eit Studio srl, una società nell’orbita del Coveco e quindi del Consorzio. «Dovrei lavorare dal lunedì al venerdì compreso» si lamenta Marchese. «Lascia perdere quello che c’è scritto nel contratto» lo rassicura il datore di lavoro, Franco Morbiolo.
Ma l’ordinanza racconta anche della genesi di questo filone dell’inchiesta. Tutto sarebbe partito dalla scoperta di alcuni foglietti tra la documentazione riservata del Consorzio, nascosta da una dipendente a casa dei suoi genitori. Ebbene, in uno di questi appunti, c’è una lista di somme con a fianco dei nomi: 33mila euro per Pd provinciale, per Lucio Tiozzo, per Marchese, 100mila per la Fondazione Marcianum… E così il consigliere regionale, in circa 8 anni, nella ricostruzione dell’ordinanza, riceve circa mezzo milione di euro, sempre in contanti, consegnati a mano. Una volta dallo stesso Mazzacurati in campo Santo Stefano, altre volte i pacchetti vengono portati in Regione, cosa che preoccupa il presidente.
IL PRESIDENTE-PADRONE «La Piva? Era reticente, convinta con i soldi…»
IL RAPPORTO La Finanza aveva rilevato «elargizioni in denaro a dirigenti e familiari» del Magistrato
La “Parentopoli” emersa fin da luglio del 2013
La Guardia di Finanza fin da luglio scorso aveva rilevato un’”opacità di rapporti” tra Magistrato alle Acque – che aveva una funzione di controllo – e il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del Mose. Con un atteggiamento di quasi totale sottomissione da parte dell’organo decentrato del Ministero dei Lavori pubblici rispetto alla cordata di imprenditori privati, concessionaria unica del Mose. Nel rapporto delle Fiamme Gialle si diceva che «grazie alle ingenti somme a disposizione riconosciute dallo Stato a titolo di “oneri accessori” il Consorzio Venezia Nuova elargiva ingenti compensi in denaro o in altra natura a propri dirigenti e collaboratori nonchè a parenti e affini di questi ultimi, secondo una gestione quasi “familiare” dell’impresa ad opera di Mazzacurati».
Che comunque si è dimesso dalla carica di presidente e direttore del Consorzio – per motivi di salute – un paio di settimane prima che i finanzieri gli suonassero il campanello per arrestarlo nell’estate del 2013.
I finanzieri già all’epoca citavano compensi riconosciuti a Luciano Neri, tra gli arrestati di ieri, oltre a incarichi dispensati ai figli di Mazzacurati, alla moglie, alla figlia di lei e a suo marito.
Ce n’era per tutti, compresa la figlia del commercialista Francesco Giordano, arrestato ieri, la figlia dell’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, assistente alla direzione di Thetis. Venivano citati l’ex direttore amministratore delegato Maria Teresa Brotto e anche il marito di lei, direttore di uno studio di progettazione del quale il Consorzio Venezia Nuova si avvale come consulente.
Ma come il Consorzio anche Thetis ora ha voltato pagina, dopo le dimissioni di Brotto che è tornata al Consorzio Venezia Nuova come responsabile del servizio progettazione delle opere alle Bocche di Porto.
TERREMOTO SUL MOSE – Un aereo privato a disposizione per un viaggio da 21 mila euro
«Piva e Cuccioletta a libro paga»
Soldi, assunzioni di parenti, favori: così per l’accusa Mazzacurati controllava il Magistrato alle acque
«Scusate non posso venire con voi, ho una riunione improrogabile». L’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, ieri mattina probabilmente non aveva capito che i finanzieri la stavano per portare al carcere femminile della Giudecca. L’accusa formulata nei suoi confronti dalla Procura di Venezia, così come nei confronti del suo successore, Patrizio Cuccioletta, è di corruzione, in relazione a presunte somme di denaro che i due dirigenti avrebbero percepito tra il 2007 e il 2012-2013 per agevolare l’opera del Consorzio Venezia Nuova. I due, secondo i pm Ancilotto, Buccini e Tonini, erano regolarmente “stipendiati” dalla società presieduta da Giovanni Mazzacurati, impegnata nella realizzazione del Mose. Entrambi avrebbero ricevuto 400mila euro all’anno, oltre ad altre somme e prebende: alla Piva viene contestato l’incarico per un collaudo di opere all’ospedale di Mestre, retribuito per 327mila euro, ottenuto grazie a Mazzacurati e al presidente della società Mantovani, Piergiorgio Baita. A Cuccioletta viene contestato anche un bonifico di 500mila euro che Mazzacurati effettuò sul suo conto in Svizzera quando era già in pensione (come ringraziamento per l’approvazione di uno studio di prova per un cassone di Malamocco effettuato da Fincosit), nonché l’assunzione della figlia (prima con un contratto a progetto per il Consorzio, poi come dipendente di Thetis spa, società controllata dal Consorzio) e un contratto da 38mila euro al fratello architetto tramite il Coveco.
«Abbiamo investito questi soldi perché la cosa funzionasse il più radipamente possibile», ha spiegato Mazzacurati ai magistrati veneziani. Per poi aggiungere: «La signora Piva ci ha dimostrato subito una pesante ostilità a suo tempo e quella noi l’abbiamo corretta con… portandole dei soldi, insomma».
I due presidenti sono stati a lungo a libro paga del Consorzio, scrive la Procura. Al momento del pensionamento è lo stesso Cuccioletta a chiedere a Mazzacurati: «Scusate, non mi date nulla per la chiusura di questa roba, è il più grande progetto al mondo…» Il Consorzio era così legato a Cuccioletta che nel maggio del 2010, per consentirgli di partecipare ad un convegno organizzato da Galan a Venezia mentre si trova in vacanza, Mazzacurati gli mise a disposizione un aereo privato per arrivare in tempo in città e per poter poi rientrare a Malaga in serata: il tutto per la modica somma di 21 mila euro. In precedenza, nel novembre del 2009, il Consorzio aveva offerto la cena di compleanno per la moglie di Cuccioletta, ospitando all’Harry’s bar 10 persone per un importo complessivo (evidentemente con lo sconto) di 902 euro.
In carcere assieme a Piva e Cuccioletta è finita anche Maria Teresa Brotto, dirigente del Consorzio e di Thetis, che sarebbe stata delegata dai due presidenti di occuparsi di tutto.
Poi ci sono altri pubblici funzionari accusati di corruzione per episodi di minor rilievo: a Giovanni Artico, delegato per la Regione Veneto dell’emergenza ambientale nei canali portuali (in carcere), viene contestato di aver fatto assumere la figlia come impiegata in una società controllata dalla Mantovani e di aver fatto ottenere un avvocato suo amico una consulenza per il gruppo di Baita.
Giuseppe Fasiol, commissario straordinario al settore trasporti della Regione, è finito in carcere per una serie di collaudi (per compensi totali di circa 15mila euro) che gli sarebbero stati attribuiti come ringraziamento per aver accelerato l’iter di alcuni projec financing della Mantovani.
Ai domiciliari, invece, l’ex magistrato della Corte dei conti, Vittorio Giuseppone, che è accusato di essere stato stipendiato dal Consorzio venezia Nuova, tra il 2000 e il 2008 (3-400mila euro all’anno), per accelerare le registrazioni delle convenzioni da cui dipendevano l’erogazione dei finanziamenti concessi al Mose e per ammorbidire l’attività della sezione controllo della Corte dei conti.
Gianluca Amadori
NICOLA FALCONI – Il presidente è anche console di Finlandia e imprenditore
IL MAGISTRATO ALLE ACQUE – Roberto Daniele: «Se ci sono stati errori nel passato vanno perseguiti»
CHI SONO I VENEZIANI COINVOLTI – Agli arresti anche Brentan e il “capo” dell’Ente gondola
Oltre ai tre dirigenti della Regione, figura l’architetto Lugato del Palais Lumiere. Arrestata l’ex ad di Thetis, Maria Brotto
L’ingegner Roberto Daniele è presidente del Magistrato alle Acque dall’estate scorsa, una personalità schiva e che non ama apparire.
«Non ho molto da commentare – riferisce a proposito degli arresti dei suoi predecessori – per ora so che abbiamo contratti e convenzioni con il Consorzio Venezia Nuova da rispettare, e questo e solo questo dobbiamo fare. Se ci sono stati degli errori nel passato spetta alla Magistratura accertarlo. E abbiamo piena fiducia che la verità verrà a galla».
Daniele è stato nominato ad agosto del 2013 alla sede di Venezia dapprincipio come reggente ad interim, mentre manteneva anche l’incarico di Provveditore delle opere pubbliche del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ma ora è a tutti gli effetti operativo a Venezia come Magistrato alle Acque.
Quello che era apparso strano da parte del Governo, che l’anno scorso era in fase di rimpasto, era che una carica così prestigiosa e importante come la figura del Presidente del Magistrato alle Acque, incaricato del controllo tecnico su un’opera unica al mondo e in fase ormai di ultimazione, rimanesse vacante per parecchi mesi, dopo il pensionamento del precedente presidente, Ciriaco d’Alessio, peraltro già preventivato fin dall’atto del suo insediamento.
E la sede veneziana di Palazzo Dieci Savi era stata lasciata senza una guida dalla fine di aprile all’inizio di agosto, in pieno periodo di ferie.
Nel mezzo le dimissioni del numero uno del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, il terremoto giudiziario a seguito degli interrogatori di Piergiorgio Baita e il completo rinnovamento del management del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico della realizzazione del Mose. Daniele si è trovato quindi a gestire la delicata transizione anche del personale del Magistrato tra la vecchia e la nuova gestione del Consorzio.
NUOVO CORSO – Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova ha dato vita a una njuova gestione dell’associazione di imprese che lavora al Mose
L’OPERA DISCONTINUITÀ CON IL PASSATO «Piena fiducia nell’operato della Magistratura. Le responsabilità personali vanno distinte»
Il Consorzio Venezia Nuova: «Il Mose dev’essere completato»
Il Consorzio Venezia Nuova tenta di guardare avanti, dopo la volontà di completo rinnovamento del management dell’estate scorsa proprio alla luce dalla prima tranche delle indagini che avevano portato all’arresto del presidente e direttore generale Giovanni Mazzacurati.
Tenendo conto che proprio dal successivo consiglio di amministrazione le due cariche sono state distinte.
«Le vicende del passato non devono fermare l’opera» è il concetto che viene espresso alla notizia dei nuovi arresti di politici e imprenditori.
«Va respinto qualunque tentativo di fermare il Mose, un’opera che ad oggi ha superato l’80% del suo completamento, ed è ormai totalmente finanziata».
Il Consorzio difende l’opera “frutto della genialità e dell’eccellenza italiana”; “prende atto, con la serenità e la trasparenza che gli deriva dalla discontinuità già pienamente realizzata che si tratta del proseguimento del lavoro svolto dalla Procura di Venezia, che vede lo stesso Consorzio come parte offesa” e afferma la propria estraneità ai fatti oggetto delle indagini in corso ribadendo la propria disponibilità a collaborare con tutte le autorità preposte affinché si faccia piena luce.
Il Consorzio continua a dichiararsi parte offesa nella vicenda e sostiene di aver provveduto al rinnovo dell’organismo di Vigilanza, nella revisione delle spese per consulenza, contratti e sponsorizzazioni. In particolare auspica che saranno tenute distinte in tutto e per tutto dall’opera eventuali responsabilità personali che dovessero essere accertate e sottolinea che, nella sua veste di concessionario, si atterrà scrupolosamente alle direttive del Governo, titolare della proprietà dell’opera.
TERREMOTO IN LAGUNA – Un giro vorticoso di false fatturazioni scoperto grazie a una chiavetta Usb
LE CIFRE – Denaro fantasma per sei milioni documentato dalla Finanza
I SOLDI – In Austria i fondi per gli acquisti di materiale dalla Croazia
Un’inchiesta che a Venezia ha lasciato il segno, coinvolgendo personaggi molti noti. Tra gli arrestati figurano i nomi di tre dipendenti della Regione, Giovanni Artico, stretto collaboratore di Renato Chisso e attuale commissario straordinario (di nomina regionale) per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera, Giuseppe Fasiol Commissario alla Riforma Settore Trasporti della Regione del Veneto e in pole position per la carica di presidente della commissione regionale per la Valutazione di impatto ambientale, Enzo Casarin, capo della segreteria di Chisso: tutti e tre sono stati cautelativamente sospesi dal servizio su indicazione del presidente della Regione Luca Zaia.
Agli arresti domiciliari c’è Nicola Falconi, 52 anni socio della Sitmar sub, una cooperativa che si occupa di interventi di ricerca a profondità elevata, in particolare per le aree dell’Adriatico che successivamente alla bonifica bellica, devono essere sfruttate per estrazioni di sabbie fossili. È anche console onorario della Finlandia a Venezia e presidente dell’Ente gondola.
C’è anche un architetto, Dario Lugato, 60 anni il cui nome è conosciuto perchè legato al progetto della ristrutturazione dell’hotel Santa Chiara a Piazzale Roma, oltre che all’ormai tramontato progetto della torre di Pierre Cardin a Marghera.
E poi Andrea Rismondo 52 anni titolare della Selc, azienda di studi ambientali di Marghera che tra l’altro si è occupato anche della realizzazione delle tegnue dell’Alto Adriatico.
In manette anche Maria Brotto, ex amministratore delegato di Thetis, ora ingegnere capo responsabile del servizio di progettazione delle Bocche di Porto per il Consorzio Venezia Nuova.
Tra gli ex del Consorzio anche [………………], Stefano Tomarelli commercialista e membro del Consorzio, Federico Sutto, dipendente del Consorzio.
Lino Brentan, di Campolongo, ex ad dell’autostrada Padova-Venezia, è un altro dei nomi noti che figurano nella lista degli arrestati per la vicenda Mose, che finora non lo aveva visto coinvolto.
Tra gli indagati c’è Luigi Dal Borgo, 68 anni imprenditore bellunese titolare di una miriade di società tra cui la Nsa, Non solo Ambiente, azienda specializzata in tubi di ghisa con sede a Marghera in via Fratelli Bandiera che è lo stesso indirizzo di Servizi e Tecnologie Ambientali, la società del consulente della Mantovani Mirco Voltazza, già indagato nel precedente filone d’inchiesta.
Monica Andolfatto
IN PROVINCIA – Il presidente della cooperativa Coveco è stato prelevato all’alba nella sua abitazione
Sconcerto a Cona per l’arresto: «Morbiolo non si è arricchito»
CONA – In paese ieri mattina nessuno voleva credere all’arresto di Franco Morbiolo, 59 anni, originario di Cavarzere e presidente di Coveco, cooperativa impegnata nel progetto di costruzione del Mose. I carabinieri, arrivati con due volanti, hanno suonato alle prime ore dell’alba il campanello della casa in via don Giovanni Bosco dove l’imprenditore abita con la moglie.
Un fulmine a ciel sereno, vista la stima che i concittadini hanno per l’uomo che vive in condizioni modeste. Niente faceva pensare al suo coinvolgimento nella nuova Tangentopoli veneziana. «Ma dove ha nascosto i soldi?», è la domanda che in molti si sono fatti. Già perché Morbiolo non ha cambiato stile di vita. «Non si è comprato l’automobile nuova, né si è rifatto il guardaroba o è andato in vacanza all’estero», afferma chi lo conosce.
D’altronde sarebbe difficile passare inosservati nel piccolo Comune a sud della provincia veneziana, che conta poco più di tremila anime. L’uomo è sempre stato considerato da tutti in paese come una brava persona, dedita al lavoro e abbastanza schiva. Anche per questo in molti stentano a credere in un suo coinvolgimento nell’inchiesta che ha portato al suo arresto. In primis il neo-sindaco di Cona, Alberto Panfilio, eletto poco più di una settimana fa.
«Lo conosco come un lavoratore onesto», afferma il primo cittadino. «Sono garantista e lo sono ancora di più nei confronti di un avversario politico». Morbiolo, alle ultime elezioni comunali, si era candidato nella lista di Dario Battistini “Cambiare per Cona”, ottenendo 17 preferenze. «Una persona, fino al giudizio definitivo, rimane innocente», continua il sindaco, che aggiunge: «Lavorare con gli appalti pubblici può portare a dei controlli, ma non vuol dire essere colpevoli. Mi sembra politicamente scorretto cavalcare questo cavallo di battaglia per screditare gli avversari».
Ma non è la prima volta che il nome di Franco Morbiolo attira l’attenzione degli inquirenti. L’anno scorso alcune sue conversazioni sugli appalti del Mose erano state oggetto di intercettazione e lo stesso imprenditore era andato spontaneamente dalla pm Paola Tonini a spiegare la sua posizione.
Filippo Greggio
I fondi neri degli ex sabbionanti
Sotto esame i lavori svolti dalla Cooperativa San Martino alla Bocca di porto di Chioggia
Due inchieste. Una nata a Venezia, che vede coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, l’altra nata a Chioggia che parte da una verifica fiscale a una cooperativa, la San Martino. In entrambi i casi si tratta di una indagine su un giro vorticoso di fatture false. Nel caso di Chioggia il giro è generato dalla Cooperativa San Martino, impresa di costruzioni con sede amministrativa in via dei Maestri del Lavoro in località Val da Rio e sede legale a Marghera in via Galvani. Non a caso fra i sette finiti agli arresti già al primo colpo – nel luglio dello scorso anno – ci sono i due amministratori di fatto, Mario Boscolo Bacheto, di 68 anni, e Stefano Boscolo Bacheto, di 46 anni, residenti a Sottomarina, il primo in via Giovanni da Verrazzano, il secondo sul Lungomare Adriatico. È questa l’inchiesta che ha scoperchiato il sistema degli appalti “pilotati” dal Consorzio Venezia Nuova. Tutto è nato da una “banale” verifica fiscale alla Coop San Martino datata 2009, quando l’azienda è impegnata nella realizzazione del Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e parancole che la Coop acquista in Croazia con tanto di fatture. Gonfiate. O meglio, attive per operazioni inesistenti. Questa la contestazione formulata. Se ad esempio l’importo era cento, di fatto il pagato era ottanta. Uno stratagemma che le Fiamme gialle hanno rendicontato, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre sei milioni di euro di “denaro fantasma”. Di reale c’era solo il conto corrente in Austria dove veniva depositato attraverso due società cartiere, la Istra Impex HgmbH con sede a Villach consistente in un mero ufficio e la Corina di Mestre ora in liquidazione. E i viaggi che ogni tanto i Boscolo – stando a quanto emerso – effettuavano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portavano? A chi serviva? Sono domande che un anno fa erano rimaste senza risposta, anche se tutti sospettavano quel che adesso si è scoperto e cioè che i soldi in nero finivano in mazzette per i politici. A inchiodare i vertici della Coop San Martino la chiavetta Usb affidata alla segretaria trovata dai militari del colonnello della Finanza Renzo Nisi contenente file dettagliati di tutta la “contabilità parallela”. Allora questa inchiesta di Chioggia sembrava la fotocopia dell’inchiesta che nel marzo 2013 aveva portato in cella l’allora presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita. Anche in quel caso si trattava della scoperta di società “cartiere” che servivano solo a creare il “nero” necessario a foraggiare i politici. Poi le due inchieste – quella di Chioggia coordinata dal giudice Paola Tonini e quella di Venezia guidata dal pm Stefano Ancillotto – erano state riunite in un unico filone che ha portato alla retata di ieri. Che ha rimesso le manette ai polsi dei chioggiotti.
La Cooperativa San Martino è una delle imprese insieme alla Coedmar e alla Mantovani a cui nella primavera del 2011 l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, chiede di non partecipare a un appalto da 12 milioni di euro per scavi nei canali portuali, in modo da lasciare campo libero ad una cordata di piccole imprese, capeggiate dalla Lmd di Roberto Boscolo Anzoletti. Ed è proprio quell’accordo, ritenuto in violazione della legge, che farà finire sotto inchiesta per turbativa d’asta lo stesso Mazzacurati, posto ai domiciliari il 12 luglio 2013 e rimesso in libertà prima di Ferragosto.
Accordo che non venne rispettato dal Coveco di Franco Morbiolo, scatendo la reazione rabbiosa di Mazzacurati. Per Morbiolo l’arresto è scattato ieri.
IL SINDACO «Sono garantista, è un lavoratore onesto»
LA SOCIETÀ – Nata dopo l’alluvione del ’66 che mise in ginocchio la laguna
IL SINDACO – Casson: «Sono sconcertato, ma confidiamo nella giustizia»
L’ITER GIUDIZIARIO – Un unico filone per le due inchieste avviate dalla magistratura veneziana
FALSE FATTURE In manette Stefano Boscolo Bacheto e Gianfranco Boscolo Contadin. E ci sono altri due indagati
Due inchieste. Una nata a Venezia, che vede coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, l’altra nata a Chioggia che parte da una verifica fiscale a una cooperativa, la San Martino. In entrambi i casi si tratta di una indagine su un giro vorticoso di fatture false. Nel caso di Chioggia il giro è generato dalla Cooperativa San Martino, impresa di costruzioni con sede amministrativa in via dei Maestri del Lavoro in località Val da Rio e sede legale a Marghera in via Galvani. Non a caso fra i sette finiti agli arresti già al primo colpo – nel luglio dello scorso anno – ci sono i due amministratori di fatto, Mario Boscolo Bacheto, di 68 anni, e Stefano Boscolo Bacheto, di 46 anni, residenti a Sottomarina, il primo in via Giovanni da Verrazzano, il secondo sul Lungomare Adriatico. È questa l’inchiesta che ha scoperchiato il sistema degli appalti “pilotati” dal Consorzio Venezia Nuova. Tutto è nato da una “banale” verifica fiscale alla Coop San Martino datata 2009, quando l’azienda è impegnata nella realizzazione del Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e parancole che la Coop acquista in Croazia con tanto di fatture. Gonfiate. O meglio, attive per operazioni inesistenti. Questa la contestazione formulata. Se ad esempio l’importo era cento, di fatto il pagato era ottanta. Uno stratagemma che le Fiamme gialle hanno rendicontato, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre sei milioni di euro di “denaro fantasma”. Di reale c’era solo il conto corrente in Austria dove veniva depositato attraverso due società cartiere, la Istra Impex HgmbH con sede a Villach consistente in un mero ufficio e la Corina di Mestre ora in liquidazione. E i viaggi che ogni tanto i Boscolo – stando a quanto emerso – effettuavano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portavano? A chi serviva? Sono domande che un anno fa erano rimaste senza risposta, anche se tutti sospettavano quel che adesso si è scoperto e cioè che i soldi in nero finivano in mazzette per i politici. A inchiodare i vertici della Coop San Martino la chiavetta Usb affidata alla segretaria trovata dai militari del colonnello della Finanza Renzo Nisi contenente file dettagliati di tutta la “contabilità parallela”. Allora questa inchiesta di Chioggia sembrava la fotocopia dell’inchiesta che nel marzo 2013 aveva portato in cella l’allora presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita. Anche in quel caso si trattava della scoperta di società “cartiere” che servivano solo a creare il “nero” necessario a foraggiare i politici. Poi le due inchieste – quella di Chioggia coordinata dal giudice Paola Tonini e quella di Venezia guidata dal pm Stefano Ancillotto – erano state riunite in un unico filone che ha portato alla retata di ieri. Che ha rimesso le manette ai polsi dei chioggiotti.
La Cooperativa San Martino è una delle imprese insieme alla Coedmar e alla Mantovani a cui nella primavera del 2011 l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, chiede di non partecipare a un appalto da 12 milioni di euro per scavi nei canali portuali, in modo da lasciare campo libero ad una cordata di piccole imprese, capeggiate dalla Lmd di Roberto Boscolo Anzoletti. Ed è proprio quell’accordo, ritenuto in violazione della legge, che farà finire sotto inchiesta per turbativa d’asta lo stesso Mazzacurati, posto ai domiciliari il 12 luglio 2013 e rimesso in libertà prima di Ferragosto.
Accordo che non venne rispettato dal Coveco di Franco Morbiolo, scatendo la reazione rabbiosa di Mazzacurati. Per Morbiolo l’arresto è scattato ieri.
Raffaella Vittadello
CONA – In paese ieri mattina nessuno voleva credere all’arresto di Franco Morbiolo, 59 anni, originario di Cavarzere e presidente di Coveco, cooperativa impegnata nel progetto di costruzione del Mose. I carabinieri, arrivati con due volanti, hanno suonato alle prime ore dell’alba il campanello della casa in via don Giovanni Bosco dove l’imprenditore abita con la moglie.
Un fulmine a ciel sereno, vista la stima che i concittadini hanno per l’uomo che vive in condizioni modeste. Niente faceva pensare al suo coinvolgimento nella nuova Tangentopoli veneziana. «Ma dove ha nascosto i soldi?», è la domanda che in molti si sono fatti. Già perché Morbiolo non ha cambiato stile di vita. «Non si è comprato l’automobile nuova, né si è rifatto il guardaroba o è andato in vacanza all’estero», afferma chi lo conosce.
D’altronde sarebbe difficile passare inosservati nel piccolo Comune a sud della provincia veneziana, che conta poco più di tremila anime. L’uomo è sempre stato considerato da tutti in paese come una brava persona, dedita al lavoro e abbastanza schiva. Anche per questo in molti stentano a credere in un suo coinvolgimento nell’inchiesta che ha portato al suo arresto. In primis il neo-sindaco di Cona, Alberto Panfilio, eletto poco più di una settimana fa.
«Lo conosco come un lavoratore onesto», afferma il primo cittadino. «Sono garantista e lo sono ancora di più nei confronti di un avversario politico». Morbiolo, alle ultime elezioni comunali, si era candidato nella lista di Dario Battistini “Cambiare per Cona”, ottenendo 17 preferenze. «Una persona, fino al giudizio definitivo, rimane innocente», continua il sindaco, che aggiunge: «Lavorare con gli appalti pubblici può portare a dei controlli, ma non vuol dire essere colpevoli. Mi sembra politicamente scorretto cavalcare questo cavallo di battaglia per screditare gli avversari».
Ma non è la prima volta che il nome di Franco Morbiolo attira l’attenzione degli inquirenti. L’anno scorso alcune sue conversazioni sugli appalti del Mose erano state oggetto di intercettazione e lo stesso imprenditore era andato spontaneamente dalla pm Paola Tonini a spiegare la sua posizione.
Filippo Greggio
Chioggia, la bufera investe i “maestri” delle opere idrauliche
Com’era prevedibile, i venti della bufera giudiziaria sul Mose sono arrivati fino a Chioggia. Quattro le persone coinvolte nell’inchiesta. Due gli arrestati: Stefano Boscolo Bacheto di 47 anni e Gianfranco Boscolo Contadin detto Flavio di 75 anni. Due invece gli indagati: Dante Boscolo Contadin di 66 anni e il trentenne Andrea Boscolo Cucco. Quasi tutti sono imprenditori molto conosciuti in città, che operano da anni e con successo nel mondo delle opere marittime e idrauliche. Gianfranco Boscolo Contadin è direttore tecnico e procuratore generale della Nuova CoEdMar. Nata nel dopoguerra, negli ultimi anni si è specializzata nelle costruzioni marittime e fluviali, nelle bonifiche e nelle opere speciali, lavora quasi esclusivamente per committenti pubblici (spesso negli interventi in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune) e collabora con numerosi dipartimenti universitari. Alla Nuova CoEdMar lavora anche Dante Boscolo Contadin. Secondo la Procura i due, in concorso tra loro, emettevano fatture per operazioni inesistenti per permettere al Consorzio Venezia Nuova l’evasione delle imposte sui redditi e sull’Iva. Stefano Boscolo Bacheto è invece uno dei consiglieri della cooperativa San Martino. Secondo l’accusa avrebbe finanziato, nel 2010, la campagna elettorale del futuro sindaco di Venezia Giorgio Orsoni dando 110 mila euro. Nata nel 1966 dopo l’alluvione che mise in ginocchio Venezia e Chioggia la cooperativa San Martino, si è specializzata nella realizzazione di opere edili marittime proprio per dare un contributo alla salvaguardia dell’ambiente lagunare. Tra i cantieri più importanti dell’ultimo periodo vanta proprio quello del Mose di cui sta realizzando le paratie mobili alla bocca di porto di Chioggia. «Sono rimasto molto colpito da quanto successo – afferma il sindaco Giuseppe Casson – notizie che lasciano sempre sconcertati. Confidiamo nella giustizia. Fino a quando non c’è la condanna si deve sempre tenere conto della presunzione di innocenza, quindi diamo tempo al tempo e attendiamo gli sviluppi della Magistratura».
LE REAZIONI – La Uil: «Garantire le opere». La Cgil: «È uno sfregio»
AMBIENTE VENEZIA «Bloccare e riconvertire il sistema del Mose»
Venessia.com affida alla rete i commenti in diretta e i cittadini impazzano
Italia Nostra: «Denunce inascoltate». Adico: «Ci costituiamo parte civile»
La rabbia su Facebook «Un sistema marcio Venezia se ne liberi»
«Non si tratta di una responsabilità individuale ma di un sistema marcio e corrotto che deve essere estirpato dalla città, sia attraverso un approfondimento dell’attività giudiziaria, ma soprattutto attraverso la risposta politica della cittadinanza che oggi deve essere chiamata alla responsabilità e al cambiamento». Così Venessia.com ha affidato alla rete i commenti in diretta della notizia che ha fatto tremare Venezia. L’associazione attiva su Facebook ha preso atto “con soddisfazione dell’operazione svolta dalla Magistratura con la GdF che ha decapitato in un solo giorno metà dei vertici politici locali e regionali di entrambi gli schieramenti politici”, pur nella convinzione che si tratti dello specchio “di una situazione molto più grave di quanto i cittadini si potevano immaginare, che merita di essere approfondita e analizzata”. E il popolo dei social network è pronto a seguire sugli smartphone gli sviluppi delle indagini.
Tutta la città si è sbizzarrita nel commentare la notizia: come Italia Nostra che ha denunciato “non sono mai state ascoltate le nostre denunce sulla scelta del progetto del Mose e del metodo, ora si ripropone un sistema identico per le grandi navi”.
Il movimento Ambiente Venezia sottolinea che le indagini “sveleranno le coperture e connivenze di una politica sempre più distante dai reali interessi e controlli pubblici” e si meraviglia perchè “si persevera e si proseguono i lavori alle bocche di porto senza alcuna pausa di riflessione volta a bloccare prima e riconvertire conseguentemente il sistema Mose”.
Il movimento consumatori Adico, invece, annuncia la costituzione di parte civile tramite il presidente Carlo Garofolini visto che si tratta di “un’opera pubblica che ha cambiato per sempre i connotati del nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno anche questo probabilmente lo sapremo presto”. Stessa posizione del Codacons, il cui presidente Carlo Rienzi ricorda che 10 anni fa “furono portate all’attenzione della magistratura alcune violazioni commesse nella procedura di approvazione del Mose, denunciammo l’assenza della valutazione di impatto ambientale indispensabile per opere di questa portata e l’immane spreco di soldi pubblici che il Mose avrebbe comportato senza risolvere il problema dell’acqua alta”.
Diverso il punto di vista dei sindacati: Gerardo Colamarco della Uil Veneta si augura che l’inchiesta “non metta in discussione la realizzazione delle grandi opere”, Roberto Montagner, segretario generale della Cgil considera il sistema di corruzione a Venezia come uno “sfregio” alla città, che va estirpato e invita a mettere in atto misure preventive per garantire trasparenza e legalità negli appalti. “In particolare l’arresto del commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera Giovanni Artico non può paralizzare il blocco delle bonifiche” e si appella al presidente del Consiglio perchè sia data continuità. Infine il rappresentante di Usb Giampiero Antonini chiede che vengano affrontate in maniera trasparente tutte le questioni all’ordine del giorno della città, dal Casinò al bilancio del Comune, dal trasporto pubblico ai servizi sociali.
LA POLITICA – I partiti chiedono un cambio e maggiore trasparenza
Uno scossone a tutta la politica veneziana, che ieri ha commentato la vicenda dando fondo a note affidate a uffici stampa o a comunicati più o ufficiali.
L’eurodeputato Andrea Zanoni chiede una legge che preveda un controllo speciale degli appalti pubblici nelle grandi opere, mentre il consigliere comunale 5 Stelle Gianluigi Placella sottolinea, senza esprimere condanne a priori, che “avevamo ragione ad avere dei dubbi e a chiedere chiarimenti sul modo in cui funzionano gli appalti nella nostra città” facendo riferimento alla concessione della Scuola grande della Misericordia, dell’ex Umberto I a Mestre, del Fondaco dei Tedeschi.
Il parlamentare Emanuele Prataviera e il consigliere comunale leghista Giovanni Giusto lanciano l’appello a risanare quanto accaduto, per riconquistare Venezia e per fare in modo che “gli unici interessi degli amministratori siano il futuro di Venezia e dei Veneziani”.
I Verdi europei Monica Frassoni e Luana Zanella hanno annunciato la presentazione di un’interrogazione urgente al parlamento di Bruxelles in cui paragonano il Mose e l’Expo un abbraccio fatale tra opere inutili e corruzione.
Il partito comunista dei lavoratori non entra nel merito delle responsabilità dei singoli, ma parla di “usuale funzionamento dell’attuale sistema economico: chiunque governi in un quadro capitalistico non può farlo che nell’interesse della classe dominante”.
I deputati del Pd si dichiarano “sconcertati” e stupiti, oltre che amareggiati dal punto di vista umano per il coinvolgimento del sindaco Giorgio Orsoni mentre il segretario dell’Idv Veneto Alessandro Pesavento chiede che il Pd faccia chiarezza, preoccupato che “il sistema politico-affaristico-corrotto coinvolga in misura trasversale le principali forze politiche che governano la nostra regione”.
Zaccariotto «Sono rimasta esterrefatta dalla notizia»
«Sono rimasta esterrefatta per quanto accaduto, e prendo atto che c’è un’indagine in corso».
Così si è espressa Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia, alla notizia dell’inchiesta della Procura della Repubblica che ha portato agli arresti eccellenti da parte della Guardia di Finanza, tra cui anche personaggi di spicco della politica e dell’imprenditoria veneta.
«Mi colpisce soprattutto da un punto di vista umano, perché si tratta di persone che conosco bene – ha proseguito la presidente, in un comunicato diramato in mattinata – e mi auguro che tutto si possa risolvere nel migliore dei modi per loro e per le loro famiglie, e anche nell’interesse dei cittadini e della città di Venezia».
L’APPELLO «Certezza e sicurezza per i cittadini»
«Non si tratta di una responsabilità individuale ma di un sistema marcio e corrotto che deve essere estirpato dalla città, sia attraverso un approfondimento dell’attività giudiziaria, ma soprattutto attraverso la risposta politica della cittadinanza che oggi deve essere chiamata alla responsabilità e al cambiamento». Così Venessia.com ha affidato alla rete i commenti in diretta della notizia che ha fatto tremare Venezia. L’associazione attiva su Facebook ha preso atto “con soddisfazione dell’operazione svolta dalla Magistratura con la GdF che ha decapitato in un solo giorno metà dei vertici politici locali e regionali di entrambi gli schieramenti politici”, pur nella convinzione che si tratti dello specchio “di una situazione molto più grave di quanto i cittadini si potevano immaginare, che merita di essere approfondita e analizzata”. E il popolo dei social network è pronto a seguire sugli smartphone gli sviluppi delle indagini.
Tutta la città si è sbizzarrita nel commentare la notizia: come Italia Nostra che ha denunciato “non sono mai state ascoltate le nostre denunce sulla scelta del progetto del Mose e del metodo, ora si ripropone un sistema identico per le grandi navi”.
Il movimento Ambiente Venezia sottolinea che le indagini “sveleranno le coperture e connivenze di una politica sempre più distante dai reali interessi e controlli pubblici” e si meraviglia perchè “si persevera e si proseguono i lavori alle bocche di porto senza alcuna pausa di riflessione volta a bloccare prima e riconvertire conseguentemente il sistema Mose”.
Il movimento consumatori Adico, invece, annuncia la costituzione di parte civile tramite il presidente Carlo Garofolini visto che si tratta di “un’opera pubblica che ha cambiato per sempre i connotati del nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno anche questo probabilmente lo sapremo presto”. Stessa posizione del Codacons, il cui presidente Carlo Rienzi ricorda che 10 anni fa “furono portate all’attenzione della magistratura alcune violazioni commesse nella procedura di approvazione del Mose, denunciammo l’assenza della valutazione di impatto ambientale indispensabile per opere di questa portata e l’immane spreco di soldi pubblici che il Mose avrebbe comportato senza risolvere il problema dell’acqua alta”.
Diverso il punto di vista dei sindacati: Gerardo Colamarco della Uil Veneta si augura che l’inchiesta “non metta in discussione la realizzazione delle grandi opere”, Roberto Montagner, segretario generale della Cgil considera il sistema di corruzione a Venezia come uno “sfregio” alla città, che va estirpato e invita a mettere in atto misure preventive per garantire trasparenza e legalità negli appalti. “In particolare l’arresto del commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera Giovanni Artico non può paralizzare il blocco delle bonifiche” e si appella al presidente del Consiglio perchè sia data continuità. Infine il rappresentante di Usb Giampiero Antonini chiede che vengano affrontate in maniera trasparente tutte le questioni all’ordine del giorno della città, dal Casinò al bilancio del Comune, dal trasporto pubblico ai servizi sociali.
«Evitiamo il tracollo della città»
Le categorie produttive sollecitano chiarezza ma sono preoccupate dall’ipotesi del commissariamento
La sensazione più comune è lo stupore. Ma la preoccupazione maggiore è che la città con questa inchiesta possa affondare ancora di più e finire in balia di se stessa. Reazioni piuttosto simili tra le categorie cittadine. Claudio Scarpa, direttore dell’Ava (Associazione veneziana albergatori): «È stato un giorno triste per tutta la città il cui nome esce infangato – dice – È il momento in cui la classe dirigente politica locale deve prendere atto di un cambiamento e procedere ad un rinnovamento che salvaguardi quanto di buono è stato fatto fino ad ora, ma che rinnovi profondamente il modo di governare la città. Se commissariamento fosse, ripartiamo da zero, necessitiamo di volti nuovi, onesti e puliti, ma soprattutto che abbiano già dimostrato la loro competenza. Lo dice uno che ha votato Pd». «Non mi sembra corretto fare commenti su una cosa i cui contorni non sono ben chiari – è il parere di Gianni De Checchi di Confartigianato Venezia – Penso, però, che questa martoriata città non meriti di subire un ulteriore colpo nei suoi aspetti politici e amministrativi in un momento così delicato. Quindi spero che ci sia la possibilità di trovare la giusta serenità per dare certezza e sicurezza ai cittadini e che i partiti coinvolti sappiano reagire con serenità». «Sono sconcertato, soprattutto per il coinvolgimento del sindaco – dichiara Maurizio Franceschi, segretario di Confesercenti Veneto – Questa rischia di diventare un ulteriore colpo alla credibilità della politica che con le ultime elezioni europee. C’è preoccupazione per un Paese che continua a vivere di corruzione. Mi sorprende molto la questione del sindaco, anche con le ricadute su tutta l’attività amministrativa con lo sforzo che si stava facendo. Serve comunque una nuova classe dirigente, e il fatto morale deve diventare il requisito principale. Si ho votato anche io questa classe politica veneziana, e sì forse serve qualche faccia nuova per avere maggiore credibilità in futuro».
«Stupisce il coinvolgimento di Orsoni anche se c’è una bella differenza tra finanziamento illecito e corruzione – è l’opinione di Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia Mestre – Umanamente mi spiace molto per Renato Chisso e anche comunque per Galan. Però, ora capisco perché quando ero in Consiglio regionale e facevamo difficoltà a rifinanziare le manutenzioni del Mose, qualcun altro non si preoccupava poi così tanto. Venezia che fine rischia di fare? Non conosco la normativa. La disgrazia più grande è il commissariamento. Quindi penso che la cosa più giusta sia non togliere la possibilità di avere ancora una guida con Sandro Simionato, una persona per la quale metterei una mano sul fuoco ad occhi chiusi». «Di fronte a un fatto del genere non posso che dire, prudentemente, che la giustizia deve fare il suo corso – commenta il presidente di Confcommercio Veneto e Venezia Massimo Zanon – È già ricca l’enciclopedia di casi come questo, ma quello che sta succedendo a Venezia va oltre ogni immaginazione». «Sono sotto choc – dice infine Marco Michielli, segretario di Confturismo – Per di più alcuni degli arrestati li conosco, sono persone con cui ho collaborato in passato. La cosa è di una portata micidiale, ma si commentano le sentenze definitive, non gli ordini di custodia».
L’EVENTO Facce cupe ieri all’inaugurazione del nuovo terminal “Autostrade del mare”
A Fusina un clima surreale tra incredulità e sconcerto
Avrebbero dovuto esserci anche Chisso e Orsoni. Paolo Costa: «Sono senza parole»
Avrebbe dovuto essere una grande festa, quella per l’avvio dell’operatività della prima banchina del Nuovo Terminal Autostrade del Mare del Porto di Venezia. Ma a Fusina la frana giudiziaria ha portato un clima di sbigottimento e numerose assenze.
Tra le «sedie vuote» della prima fila due sono inevitabili, quella del sindaco Giorgio Orsoni e dell’assessore regionale Renato Chisso. Altro assente, ma per motivi ben diversi, il senatore e vicepresidente della Provincia Mario Dalla Tor, sostituito dall’assessore Giacomo Grandolfo, unico tra i presenti a non andare cauto nelle prese di posizione: «Per Venezia è una triste giornata – dice Grandolfo – allo stesso tempo però è un momento di discontinuità e pulizia che anche a Venezia si rivela necessario. Non entro nel merito dell’inchiesta ma chiedo a Renzi di intervenire con urgenza perché il nostro territorio non si può permettere questa situazione di doppio blocco: la costruzione della Città metropolitana si fermerà a causa della mancanza del suo attore principale e allo stesso tempo la Provincia non potrà utilizzare le sue risorse perché è bloccata dalla legge Delrio».
Dal parcheggio alla banchina, tra i numerosi invitati non si fa che parlare di “terremoto” e commentare nomi e cifre. «Siamo distratti da altri temi ed è un peccato perché questo ci impedisce di sottolineare le cose fatte bene, come quella che stiamo inaugurando oggi, eccellente sotto tutti i punti di vista» afferma, sul palco, il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa che, a margine delle celebrazioni, commenta la raffica di arresti: «Sono senza parole, ho fiducia nel lavoro della magistratura ma sono coinvolte persone che conosco profondamente. Credo nella loro innocenza e spero sia confermata».
Diverse invece le presenze dal consiglio comunale veneziano, in continuo aggiornamento sulle notizie che trapelano dalla conferenza stampa in questura. «Siamo tutti preoccupati, maggioranza e opposizione – dice il presidente del consiglio comunale Roberto Turetta – ma non possiamo fare finta di niente e oggi siamo qui in tanti per dimostrarlo». La nuova Tangentopoli veneta era nell’aria ma l’arresto di Orsoni stupisce tutti: «Ci aspettavamo un avviso di garanzia per la storia dei finanziamenti – spiega Turetta – Speriamo che il sindaco dimostri la sua estraneità ai fatti».
Al “no comment” dell’ex presidente del porto Giancarlo Zacchello, segue il commento prudente della consigliera del Pdl Lorenza Lavini: «È il caso di aspettare e di riflettere». Deluso invece il capogruppo Udc in consiglio, Simone Venturini: «Spero che la magistratura punisca i colpevoli e riabiliti gli innocenti. Per me però questa è la dimostrazione del fallimento di un’intera classe politica. Il marcio è trasversale e ben radicato, serve un vero rinnovamento, con persone nuove, serie e oneste».
«È tutto da chiarire e spero che la magistratura faccia presto a sciogliere i nodi – aggiunge Giacomo Guzzo, capogruppo del Movimento Federalisti Riformisti in consiglio – Questa situazione lascia amarezza ma dobbiamo aspettare. Non voglio difendere Orsoni ma il sindaco di una città importante come Venezia che si gioca il suo nome nel mondo».
FUSINA. Inaugurato il nuovo terminal traghetti. Accogliera 400 navi all’anno
L’approdo della nave ro-pax Audacia di Anek Lines ieri mattina ha inaugurato uffialmente il nuovo terminal hi-tech di Fusina, dedicato alle Autostrade del Mare. Il nuovo terminal, che accoglierà 400 traghetti merci e passeggeri, dispone di due darsene con quattro banchine (con fondali profondi fino a 12 metri) capaci di ospitare contemporaneamente quattro navi e di una piattaforma logistica dotata di nuovi fabbricati e magazzini, piazzali portuali e parcheggi. «Per realizzarlo, sulla superficie di 36 ettari dell’ex lamitatoio Alumix, sono stati portati via 23mila sacchi di amianto per un totale di 32 mila tonnellate» spiega il presidente dell’autorità portuale Paolo Costa. L’amianto è stato stoccato in Germania con un intervento durato 6 mesi. In tutto l’intervento è durato più di 10 anni, di cui solo 2 di lavori e il resto di pratiche burocratiche. «Questa è un’operazione segna altri due traguardi – aggiunge Costa – la riconversione e la bonifica di un’area dismessa di Porto Marghera e il successo della formula del partenariato pubblico privato». Il progetto è stato realizzato in project financing con un investimento di 230 milioni, di cui il 70% da fondi privati e il 30% da fondi pubblici di Autorità portuale, Governo, Regione e co-finanziato dall’Unione Europea con 10 milioni di euro.
(m.fus.)
Nuova Venezia – Chisso in carcere, per Galan richiesta alla Camera. Nella rete 35 personaggi eccellenti.
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
5
giu
2014
GRANDI OPERE PENSATE PER RUBARE
E pensare che il Mose e l’Expo dovevano salvare Venezia e rilanciare l’Italia
Non si può più uscire di casa, in nessuna città del Nordest, senza che qualcuno ti rincorra e ti chieda: «Ha sentito di Galan? E del sindaco di Venezia?». E ti spiega: hanno intascato valigie di euro, nascostamente, per farsi gli affari loro. Il popolo si sente tradito, è come essere in guerra e scoprire che chi ti comanda è il tuo nemico. È difficile spiegare al popolo che queste sono le accuse e bisogna aspettare le condanne. È difficile, perché questa è una terra di suicidi, il popolo sta male, si chiede perché, e se saltano fuori accuse di tangenti,mazzette, furti, la spiegazione è questa, non bisogna aspettarne altre. La bomba della nuova tangentopoli veneta è scoppiata ieri all’alba, alle 7.30 già se ne parlava nei bar. È una bomba multipla, una bomba che contiene altre bombe, queste: gli euro sono milioni; sono implicati, tra gli altri, un super-potente di destra e un super-potente di sinistra; gran parte del denaro veniva consegnata in contanti; certe mazzette venivano date a rate e costituivano stipendi annuali fissi; con quei soldi si compravano i pareri favorevoli sul progetto definitivo del Mose; chi riceveva tutti quei soldi era “consapevole” della loro natura illecita; sono tutti nomi di gente già super-pagata e super-stipendiata. Ho parlato di “guerra”, e infatti sui giornali del Nordest scrivevo pochi giorni o poche settimane fa degli ultimi suicidi, imprenditori che aspettavano soldi dallo Stato e non ricevendoli mai si sono ammazzati, chi sparandosi in testa, chi buttandosi dal settimo piano. Tutti amici miei, scusate il turbamento di questo articolo. I super- lavoratori super-onesti dovevano contentarsi di guadagnare zero, o anche di rimetterci, perché in giro non ci sono soldi. Ma i personaggi più in alto coinvolti nella nuova tangentopoli veneta son gente che già straguadagnava ogni mese con i puri stipendi. Se han fatto quello di cui sono accusati (ripeto: se), perché l’han fatto? Quando hanno arrestato il presidente di una grande cooperativa di sinistra, i dipendenti piangevano chiedendogli: «Compagno, ma avevi uno stipendio di duemilioni all’anno,non ti bastavano?». Qui, stavolta, sono coinvolti dirigenti super-pagati di destra e di sinistra, quel che ricevono ogni mese è un privilegio sul quale noi ci domandiamo se sia giusto o ingiusto, e invece loro lo moltiplicano con mazzette e tangenti? Cioè, se le notizie restano così, “facendo la cresta” sui costi già enormi che la comunità paga, soffrendo piangendo e morendo, per le grandi opere che loro stessi approvano e costruiscono? Se le notizie restano così, allora questi personaggi non approfittano delle grandi occasioni di lucro che l’attività politica gli mette a disposizione. No, loro, queste occasioni, le creano, e cioè: fanno politica per crearsi quelle occasioni. C’è chi l’Expo l’ha pensato per questo, e chi ha pensato per lo stesso scopo il Mose. L’Expo doveva essere una soluzione, per rilanciare l’Italia. Il Mose pure, per salvare Venezia. Due medicine. Due terapie. Ma Milano e Venezia e tutta l’Italia sono un corpo malato, per il quale si pone questo drammatico problema: non puoi applicargli terapie pesanti, perché muore. È giunto il momento che ci mettiamo in testa questo concetto elementare: l’Italia è un paese che non può permettersi grandi opere con grandi appalti e grandi costi miliardari, perché deve sempre mettere in conto che una parte dei miliardi che quelle opere smuovono vanno a finire in tasca ai ladri, ai potenti non-onesti, ai plenipotenziari corrotti. La corruzione-concussione non è più un evento raro ed eccezionale, che fa irruzione imprevista nella cronaca e ci lascia tutti di stucco: ormai è connaturata alle grandi opere, è progettata e pensata in modo da essere attiva già prima dell’assegnazione degli appalti. Tu vari la grande opera, e la corruzione-concussione è già scattata. Poiché la tangentopoli veneta non è la prima, vien da chiedersi: ma la prima non è stata una lezione? No,non lo è stata. C’è qualcuno che è già stato coinvolto in accuse e condanne, ma ci ricasca. Evidentemente, il gioco vale la candela. La punizione, se ti scoprono, è irrisoria, e il lucro è enorme. Se ti va dritta o semi-dritta, fondi una dinastia. È per questo che in Italia non ci possiamo permettere le grandi opere. L’Expo doveva onorarci, e invece ci infanga in faccia al mondo. E adesso Venezia fa il bis. Era meglio non fare l’Expo. Era meglio non fare il Mose.
Ferdinando Camon
Un sistema di potere finisce gambe all’aria
Dai Migliorini-boys alla conquista di Save, dal Passante al rigassificatore
Così termina un ventennio iniziato nel 1994 con la nascita di Forza Italia
1994 L’ANNO DELLA NASCITA DI FORZA ITALIA COINCIDE CON LA DISCESA IN CAMPO DI GALAN CHE SI CANDIDA ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE. L’ESCALATION E LA COSTRUZIONE DELLA RETE PARTE DA QUI
2013 LO SMOTTAMENTO DEL SISTEMA INIZIA IL 28 FEBBRAIO 2013 CON L’ARRESTO DI PIERGIORGIO BAITA NUMERO UNO DEL GRUPPO MANTOVANI. ACCELERA IL 13 LUGLIO
CON I DOMICILIARI A MAZZACURATI
Corruzione diffusa e ramificata: politici e funzionari direttamente a libro paga
Veri e propri stipendi pagati dalle società connesse al Consorzio Venezia Nuova. Per l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan si parla di una corresponsione annua di circa un milione di euro; tra i 200 e i 250mila euro annui quelli versati all’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso. Vittorio Giuseppone, magistrato della Corte dei Conti, arriva a circa 600mln all’anno.
Un«sistema corruttivo diffuso e ramificato». Così nell’ordinanza viene definito il legame tra corrotti e corruttori «talmente profondo che non sempre è stato possibile individuare il singolo atto specifico contrario ai doveri d’ufficio oggetto dell’attività corruttiva, poiché spesso non era necessario un pagamento per un singolo atto». Politici e funzionari direttamente a libro paga.
UN MONDO INTERO VA A GAMBE ALL’ARIA
RENZO MAZZARO – Vi ricordate Melampo, il cane messo a guardia del pollaio nel libro di Pinocchio, che aveva fatto un patto con le faine: se evitava di abbaiare svegliando il contadino, le faine davano una gallina anche a lui. I controllori pagati per chiudere un occhio e magari due, sono una vecchia risorsa dei lestofanti che mirano al pollaio. Ma integrati nel sistema con stipendio annuale, non si erano ancora visti. E che stipendi: da trecento, quattrocento, cinquecentomila euro. Sborsati anche questi dal contadino, cioè dai contribuenti, come la gallina mangiata da Melampo, che sempre al contadino apparteneva. Insomma oltre al danno anche la beffa, perché le tangenti dovevano tornare a casa con gli interessi. Le aziende non sborsavano a fondo perduto. Per di più mettevano le fatture false in detrazione fiscale. Maestri. Al primo rullo di tamburi, suonato qualche giorno fa con l’avviso di garanzia all’ex ministro Altero Matteoli, un giornalista veneto che faceva il viaggio di ritorno da Roma con Giancarlo Galan, aveva chiesto all’ex presidente come andavano le cose. «Ah, il mondo va alla rovescia», avrebbe risposto lui. Probabilmente sapeva già, come forse sapeva l’anno scorso Giovanni Mazzacurati, arrestato due settimane dopo che si era dimesso dalla presidenza del Consorzio Venezia Nuova. Ma stavolta si entra nel girone superiore. È il terremoto annunciato, il ribaltone veneto. Un mondo intero va a gambe all’aria. Finisce il ventennio, non sappiamo quanto glorioso, cominciato nel 1994, quando Galan con Lorena Milanato batteva le redazioni dei giornali e delle tv per annunciare la nascita di Forza Italia e la sua personale discesa in campo,come candidato presidente della Regione scelto da Berlusconi. Crolla un sistema di relazioni ristrette, di collusioni tra politica e affari, costruito con fatica a cominciare dalla legislatura 1995-2000, quando Galan non conosceva ancora la macchina amministrativa, ma sapeva bene quello che voleva. Nei primi cinque anni lo guida Lia Sartori, con la quale l’intesa è immediata: Giancarlo occupa i posti con i suoi amici ex liberali, i Migliorini-boys come li avevamo ribattezzati, senza offesa per l’avvocato Luigi Migliorini di Adria, un maitre a penser d’altri tempi. Dal 2000 in poi il patto Bossi-Berlusconi e l’alleanza con la Lega aprono un’autostrada e tutto diventa possibile per Giancarlo.Comincia l’assalto alla Save, l’uso di Veneto Sviluppo per gestire i rapporti con la finanza privata, nascono le intese sulle grandi opere pubbliche al traino della Mantovani di Piergiorgio Baita: dal Passante al rigassificatore, dalla Pedemontana alla nuova Valsugana, alla Nogara-Mare, ai project per i nuovi ospedali. Nel 2005 questo giornale poneva al gruppo dei liberal-socialisti di Galan ma anche al centrosinistra business oriented e all’intera classe dirigente veneta, il problema dell’alternanza. Con ragionamenti elementari, che si usano in paesi come gli Stati Uniti, ai quali guardiamo solo quando ci fa comodo: dopo due legislature non ti ricandidi, neanche se sei bravissimo. Perché l’assuefazione al potere crea stratificazione, collusioni, rendite di posizione ingiustificate, propensione all’illegalità. Nel migliore dei casi. La risposta di Giancarlo Galan fu un’alzata di spalle in pubblico e una ritorsione feroce in privato. «Io avevo il potere e l’ho esercitato, pesantemente, sissignore », ebbe a dire di recente, con quell’aria spavalda che l’ha sempre aiutato. «Cosa deve fare uno che ha il potere, se non esercitarlo?». Era il 19 giugno 2012, alla presentazione del libro “I padroni del Veneto” a Padova. Galan si considerava ancora un uomo al di sopra dei sospetti, forse perché la frana non era ancora cominciata. Lo smottamento parte il 28 febbraio 2013 con l’arresto di Piergiorgio Baita. Accelera il 13 luglio con i domiciliari a Mazzacurati. Oggi l’ondata devastante del Mose – pensare che le dighe mobili dovrebbero fare il lavoro opposto, frenare le mareggiate – non risparmia il centrosinistra: paradossalmente fa più rumore il sindaco di Venezia agli arresti domiciliari di un Galan provvisoriamente salvato dall’autorizzazione a procedere. Questa almeno era la scala di grandezze di una tv russa, ieri a Venezia per la Biennale. E forse non solo la sua, visto che il sindaco Orsoni ha reagito indispettito alla perquisizione. Risulta invece che il più tranquillo sia stato l’assessore regionale Chisso: gentile e disponibile con i finanzieri, ha chiesto solo di portarsi dietro delle pastiglie. Ma l’arresto di Chisso apre una falla nella giunta regionale. Costringe Luca Zaia a rispondere a domande che finora ha dribblato, con il suo rituale «male non fare, paura non avere». Zaia è sempre il capo di un governo veneto che sul sistema delle grandi opere pubbliche ha costruito il consenso. Uno degli arrestati, Roberto Meneguzzo, è il presidente di quella Palladio Finanziaria che sta promuovendo il project per il nuovo ospedale di Padova. Qualcosa bisognerà aggiustare. Probabilmente qualcosa cambierà anche nel mondo delle imprese. A meno che non finisca solo il piagnisteo di chi era rimasto senza una fetta di torta e pensa di andare ad occupare il posto dei silurati del momento, alle stesse condizioni. Per evitarlo è tutto il Veneto che deve porsi il problema. Dovremmo chiederci dove eravamo noi, quando questo sistema marciava a pieno regime: in prima fila ad applaudire? È chiaro che i reati potevano essere scoperti solo dopo le perquisizioni. Ma una cosa non possiamo fare, cadere dal pero.
FUNZIONARI corrotti
Magistrati alle Acque a libro paga
Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva dovevano controllare i lavori per conto dello Stato.
FINANZA E FINANZIERI
Dentro anche Meneguzzo e un generale
In carcere anche Roberto Meneguzzo (ad di Palladio) e il generale della Gdf Emilio Spaziante.
Subito sospeso, Simionato diventa reggente
Giorgio Orsoni è automaticamente sospeso dalla carica di sindaco, il suo vice Sandro Simionato assumerà la carica di reggente se il sindaco non deciderà di rassegnare le dimissioni. In quel caso il Comune sarebbe commissariato.
GALAN E IL CONSORZIO
Ex governatore “stipendiato” un milione l’anno
Arresto per trentacinque
Smantellato il sistema di corruzione messo in piedi da Mazzacurati per il Mose
Giorgio Cecchetti – VENEZIA In carcere, se la Camera darà il via libera, l’ex presidente della giunta regionale ed ex ministro Giancarlo Galan, assieme all’attuale assessore regionale Renato Chisso, entrambi di Forza Italia, agli arresti domiciliari il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, in cella invece il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese. Il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati aveva in mano l’intera città e per non perdere il controllo avrebbe sborsato oltre 22,5 milioni di euro in tangenti. Pagava il presidente della giunta regionale Galan e l’assessore Chisso perché intervenissero sulla Commissione di Salvaguardia e la Commissione Via in modo che le autorizzazioni per i lavori del Mose non incontrassero intoppi; pagava i vertici del Magistrato alle acque affinché omettessero i controlli che avrebbero dovuto scattare sui lavori delle imprese alle bocche di porto; pagava i tecnici regionali perché durante i collaudi non intralciassero le operazioni; quando ha scoperto che erano partite le indagini della Procura, pagava addirittura il vicecomandante della Guardia di finanza per avere informazioni e perché gli desse una mano, bloccando le “fiamme gialle” venete; infine, finanziava le campagne elettorali di politici e amministratori locali di centrodestra e centrosinistra per ottenerne la loro benevolenza, affinché non gli facessero la guerra come era accaduto per qualche predecessore a Ca’ Farsetti. Dopo l’arresto dello scorso anno, Mazzacurati ha vuotato il sacco e con lui il manager della Mantovani, Piergiorgio Baita, che con lui ha collaborato strettamente. Ma i pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini e gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria lagunare indagavano su questi intrecci del malaffare dal 2009: hanno raccolto prove documentali e hanno avviato intercettazioni ambientali e telefoniche; solo dopo sono arrivate le confessioni dei due imprenditori, che hanno confermato la bontà degli accertamenti. Insomma, al contrario di quello che accade spesso nelle inchieste giudiziarie. In carcere sono finiti in 24, altri 9 sono agli arresti domiciliari, un centinaio gli indagati, tra cui il braccio destro dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, Marco Milanese, e due sono in attesa di autorizzazione. Le imprese del Consorzio costituivano fondi neri con la sovrafatturazione dei lavori, poi i soldi li mandavano all’estero, in Austria, in Svizzera e a San Marino, con quelli pagavano. Gli ex presidenti del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva incassavano, il primo, stando alle accuse, uno stipendio aggiuntivo annuale, grazie alle bustarelle, di 400 mila euro e in un’occasione 500 mila euro accreditati in un conto in una banca svizzera. Non solo: aveva fatto ottenere un contratto di collaborazione a progetto alla figlia Flavia dal Consorzio prima e l’aveva fatta assumere poi dalla società “Thetis”. Anche il fratello architetto Paolo aveva ottenuto un contratto per 38 mila euro. Stipendio bis da 400 mila euro anche alla Piva, inoltre si sarebbe messa in tasca 328 mila euro come collaudatore all’Ospedale di Mestre. In cambio, non mandavano i controlli al Consorzio e non avanzavano rilievi. Baita, addirittura, ha spiegato ai pubblici ministeri che le nomine di Cuccioletta e della Piva «le aveva fatte Mazzacurati » e Pio Savioli, dirigente del Consorzio, ha confermato che «il Magistrato alle acque era in subordine al Consorzio». L’ex vicedirettore Roberto Pravatà ha aggiunto che «in realtà l’80 per cento degli atti formalmente redatti dal Magistrato alle acque venivano materialmente prodotti da personale del Consorzio ». Ancora Baita ha chiarito che c’era «il così detto fabbisogno sistemico, cioè il pagamento periodico, a tempo, di tutta una serie di persone, cresciute sempre più negli anni. Il pagamento episodico ma regolare, la firma della convenzione, la registrazione alla Corte dei Conti, la necessità di fare arrivare i soldi alla Corte dei Conti. Il pagamento di particolari episodi e le così dette emergenze ». Stando ai pubblici ministeri Galan e Chisso venivano pagati per influire sulle decisioni inerenti il rilascio dei nulla osta da parte delle Commissioni regionali. Così all’ex presidente della giunta regionale veniva passato uno stipendio annuale di circa un milione di euro, Chisso invece intascava 200, 250 mila euro all’anno. Ora il secondo è in carcere, mentre la Procura ha chiesto alla giunta della Camera di dare il via libera anche per l’arresto del primo. A confermarlo Baita e Claudia Minutillo, ex segretaria particolare di Galan. Mazzacurati avrebbe pagato anche un giudice della Corte dei Conti, un tempo alla Sezione di controllo di Venezia poi passato alla Sezione centrale di Roma, Vittorio Guseppone: al fine di ammorbidire i controlli contabili e per accelerare le registrazioni delle convenzioni il magistrato si sarebbe intascato 300 mila, 400 mila euro all’anno. In manette anche i funzionari regionali Giuseppe Fasiol e Giovanni Artico, che si sarebbero messi a disposizione di Baita per accelerare le procedure. «Poi abbiamo avuto Orsoni, gli abbiamo finanziato la campagna elettorale», ha sostenuto Mazzacurati in uno dei suoi interrogatori, dopo aver consegnato un memoriale in cui specifica che sarebbero stati circa 400 mila i contributi per la campagna elettorale per le amministrative del 2010 passati all’attuale sindaco lagunare. Ci sarebbero stati circa centomila euro “regolari”, cioè registrati, e il resto “in nero”, per questo è stato contestato a Orsoni il finanziamento illecito. Lo stesso è accaduto per Gianpietro Marchese, per anni dirigente del Pd e prima del Pci e ora consigliere regionale. A lui, secondo la Procura lagunare, non soltanto elargizione per le campagne elettorali ma «un vero stipendio fornito con regolarità e del tutto illecito perché in nero e senza alcuna delibera, 180 mila euro», scrive il giudice Alberto Scaramuzza che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. A Marchese sarebbero andati circa 400 mila euro e sarebbe anche stato assunto in modo fittizio da una società per 35 mila euro. Ad Amalia “Lia” Sartori, ex europarlamentare di Forza Italia non rieletta, il Consorzio avrebbe finanziato la campagna elettorale con 200 mila euro. La Procura ha chiesto il via libera al Parlamento europeo.
LE PERSONE FINITE IN CARCERE
GIOVANNI ARTICO, nato a Cessalto il 26 agosto 1960, ex sindaco di Cessalto (Treviso), commissario
straordinario – di nomina regionale – per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera
STEFANO BOSCOLO “BACHETO”, nato a Chioggia il 18 novembre 1967, amministratore Cooperativa
San Martino di Chioggia
GIANFRANCO BOSCOLO CONTADIN detto FLAVIO, nato a Chioggia il 29 maggio 1939, manager di Codemar
MARIA TERESA BROTTO, nata a Bassano del Grappa il 17 settembre 1963, ex ad della società
di ingegneria Thetis, ora nel Consorzio Venezia Nuova
ENZO CASARIN, nato a Mirano il 13 febbraio 1954, ex sindaco di Martellago, capo della segreteria dell’assessore regionale Renato Chisso
GINO CHIARINI, nato a Ferrara il 17 dicembre 1956, amministratore di Progetto 28 di Ferrara
RENATO CHISSO, nato a Quarto d’Altino il 28 luglio 1954, assessore regionale alla Mobilità e alle Infrastrutture
PATRIZIO CUCCIOLETTA, nato a Roma il 29 ottobre 1944, ex provveditore interregionale alle Opere pubbliche per il Triveneto
LUIGI DAL BORGO, nato a Pieve d’Alpago (Belluno) il 6 marzo 1947, titolare di Non Solo Ambiente
GIUSEPPE FASIOL, nato a Lendinara il 9 novembre 1961, commissario starordinario alla Riforma settore Trasporti della Regione
FRANCESCO GIORDANO, nato a Roma il 7 dicembre 1944, commercialista dal 1971, presidente collegio sindacale Acegas-Aps
VINCENZO MANGANARO, nato Alì (Messina) il 28 aprile 1958, ex carabiniere, imprenditore
MANUELE MARAZZI, nato a Bologna il 23 settembre 1963, titolare di una ditta di vigilanza e sicurezza a Bologna
GIAMPIETRO MARCHESE, nato a Chiarano (Treviso) il 27 settembre 1957, consigliere regionale del Partito democratico
[…………………………………….]
ROBERTO MENEGUZZO, nato a Malo il 6 febbraio 1956, amministatore di Pallado Finanziaria
FRANCO MORBIOLO, nato a Cavarzere il 22 febbraio 1955, presidente del Conosrzio Veneto Cooperativo
LUCIANO NERI, nato a Orbetello il 27 giugno 1941
MARIA GIOVANNA PIVA, nata a Rovigo il 9 luglio 1948, ex presidente del Magistrato alle Acque
EMILIO SPAZIANTE, nato a Caserta il 14 maggio 1952, generale di Corpo d’armata, fino al 4 settembre 2013 comandante in Seconda della Guardia di Finanza
FEDERICO SUTTO, nato a Treviso il 24 marzo 1953, dipendente del Consorzio Venezia Nuova
STEFANO TOMARELLI, nato a Roma il 10 agosto 1944, componente del consiglio direttivo del Consorzio Veneto Cooperativo di Marghera PAOLO VENUTI, nato a Padova il 19 febbraio 1957, commercialista, mandatario elettorale di Giancarlo Galan
AGLI ARRESTI DOMICILIARI
LINO BRENTAN, nato a Campolongo Maggiore (Venezia), il 21 maggio 1948, ex amministratore delegato dell’Autostrada Venezia-Padova
ALESSANDRO CICERO, nato a Tripoli (Libia) il 21 agosto 1966, direttore editoriale de “Il Punto”
CORRADO CRIALESE, nato a Francavilla al Mare il 26 gennaio 1930
NICOLA FALCONI, nato a Venezia il 19 gennaio 1962, presidente dell’Ente Gondola di Venezia
VITTORIO GIUSEPPONE, nato a Como il 29 ottobre 1940, presidente della sezione regionale della Corte dei Conti della Toscana DARIO LUGATO, nato a Venezia il 14 gennaio 1954, architetto
GIORGIO ORSONI, nato a Venezia il 29 agosto 1946, avvocato, sindaco di Venezia
ANDREA RISMONDO, nato a Venezia il 15 dicembre 1961, presidente della Selc (società che opera nel settore della salvaguardia dell’ambiente)
DANILO TURATO, nato a Mestrino il 19 aprile 1956, architetto del Tecnostudio di Mestrin
GIANCARLO GALAN, nato a Padova il 10 settembre 1956, ex presidente della Regione Veneto, deputato di Forza Italia (richiesta di arresto inoltrata alla Camera dei deputati)
AMALIA SARTORI, nata a Valdastico il 2 agosto 1947, europarlamentare uscente di Forza Italia (richiesta di arresto inoltrata al Parlamento europeo)
Lo scandalo da 22 milioni
Un centinaio gli indagati
Finisce tra le sbarre anche il generale della Finanza in pensione Spaziante
Nei guai anche Milanese, già parlamentare e consigliere del ministro Tremonti
Il ruolo ambiguo dei proprietari della rivista on line «Il Punto» considerata vicina ai servizi segreti: hanno ottenuto 4 milioni millantando agganci tra investigatori e giudici
VENEZIA L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova non comandava, grazie ai milioni che elargiva, soltanto a Venezia e in Veneto, ma arrivava anche ai palazzi romani. E i contatti nella capitale per il Consorzio erano importanti perché era a Roma che si decidevano i finanziamenti per far andare avanti i lavori alle tre bocche di porto. Grazie al vicentino Roberto Meneguzzo, della società Palladio Corporate Finance, anche lui in carcere, Mazzacurati sarebbe entrato in contatto con l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti prima, con il suo braccio destro Marco Milanese poi, ex ufficiale della Guardia di finanza poi eletto in Parlamento nelle file di Forza Italia. Inoltre, l’ingegnere avrebbe anche incontrato Gianni Letta, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ma «i contatti con Tremonti e Letta sono del tutto privi di rilevanza penale» scrive il magistrato. Non così per quelli con Milanese: nell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, si legge una pesante dichiarazione dello stesso Mazzacurati, il quale afferma: «In sostanza, l’onorevole Milanese rappresentava che avrebbe assicurato che i finanziamenti di volta in volta richiesti dal ministero delle Infrastrutture sarebbero stati concessi con positivo parere del ministero dell’Economia solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500mila euro». Milanese è naturalmente indagato, la Procura deciderà sul da farsi, visto che all’epoca dei fatti era parlamentare. Mazzacurati, comunque, è riuscito ad arrivare anche ai vertici della Guardia di finanza: in manette, infatti, è finito un generale, Emilio Spaziante, che è stato comandante interregionale delle fiamme gialle dell’Italia Centrale e poi numero due della Guardia di finanza. A mettere in contatto Mazzacurati con l’alto ufficiale della Finanza sarebbe stato Milanese: l’ingegnere aveva saputo che erano partite le indagini sia a Venezia sia a Padova sulla Cooperativa San Martino da un lato e sulla Mantovani dall’altro e cercava in qualche modo di frenarle. In particolare, avrebbe cercato un modo per ammorbidire le verifiche fiscali nonchè di ottenere informazioni sulle attività investigative. Mazzacurati gli avrebbe assicurato ben due milioni e mezzo, ma alla fine l’ufficiale ne avrebbe intascati 500 mila. Stando alle accuse, avrebbe cercato di influire sull’esito della verifica fiscale, tentando di ottenere notizie presso gli uomini del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia, ma anche sul procedimento penale avviato dalla Procura lagunare. Un altro capitolo romano riguarda il settimanale on line “Il Punto”, considerato vicino ai servizi segreti : i proprietari, i romani Vincenzo Manganari e Alessandro Cicero ai polsi dei quali sono scattate le manette, sono accusati di millantato credito, avendo ottenuto quasi quattro milioni di euro di finanziamenti per la loro rivista promettendo a Baita che grazie ai loro contatti all’interno della Guardia di finanza e dei servizi segreti avrebbe ottenuto informazioni sulle indagini in Veneto. Lo stesso avrebbero promesso grazie ai contatti che hanno spacciato di avere con il procuratore aggiunto di Udine Raffaele Tito, il quale coordinava un’indagine sui lavori compiuti dal Cvn e la Mantovani per quanto riguarda la bonifica della laguna di Marano in Friuli. Per questo sono finiti nell’indagine anche Luigi Dal Borgo e Gino Chiarini. (g.c.)
A Galan lo “stipendio” di un milione all’anno
Minutillo: l’ex governatore pagato per la campagna elettorale del 2005
E poi soldi per agevolare l’iter del Mose: l’assessore poi batteva cassa
Le dazioni, secondo l’ad di Mantovani, non per il partito ma per il lucro del singolo destinatario con consegne all’assessore come intermediario fino al 2010»
Roberta De Rossi – VENEZIA Un milione di “stipendio” all’anno dal Consorzio Venezia Nuova, altrettanto dal gruppo Mantovani per la ristrutturazione della sua villa (inaugurata il giorno del matrimonio) con barchessa a Cinto Euganeo. Oltre a partecipazioni in società (la Pvp per tramite del prestanome Paolo Venuti, che poi avrebbero goduto degli utili dei project financing della stessa Regione): è questo il quadro delle accuse per corruzione in atto contrario al pubblico ufficio che la Procura muove all’ex presidente, senatore e ora deputato presidente della commissione Cultura Giancarlo Galan. Soldi – secondo l’accusa – per togliere qualsiasi impiccio dalla strada del Consorzio e del Mose e soldi per agevolare i project financing a vantaggio delle imprese amiche e guadagnarci a sua volta. I project financing. La prima a mettere nero su bianco, a verbale, a pochi giorni dall’arresto, dei pagamenti del Consorzio Venezia Nuova all’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan era stata il suo “fedele braccio destro” Claudia Minutillo, divenuta amministratrice di Adria Investimenti. Dichiara la donna nel marzo 2013: «A Giancarlo Galan venivano consegnate anche più volte all’anno somme ingenti di denaro, parliamo di 100 mila euro e anche più, direttamente dal Baita. Mi è stato riferito sia da Baita, che si lamentava delle richieste esose di Galan, sia dallo stesso Galan quando ne ero la segretaria negli anni antecedenti il 2006». Sono i project financing a muovere le mazzette. «A fronte dei pagamenti, l’ex governatore della Regione Veneto e l’assessore alle Infrastrutture agevolavano il gruppo Mantovani nella presentazione dell’iter burocratico relativi ai project financing che le società del gruppo Serenissima Holding presentavano in Regione. Quasi sempre era la Mantovani a presentare il project, ma lavori erano preconcordati con Galan e Chisso da parte del Baita. Quando a capo della Regione vi era Giancarlo Galan, il controllo delle commissioni e degli assessorati era praticamente totale, senza intoppo o obiezione i project presentati superavano senza problemi». Il primo pagamento.«Ho pagato come socio la campagna elettorale delle regionali 2005 consegnando 200 mila euro alla signora Minutillo, che lavorava per il presidente Galan, come contributo elettorale alla campagna del presidente Galan, gliele ho consegnate all’hotel Santa Chiara», dichiara Piergiorgio Baita. Conferma Minutillo: «L’imprenditore che per primo accettò di finanziare i politici veneti fu Baita», «ricordo ricevetti dal Baita una busta contenente del denaro da consegnare a Galan e così feci». Il Mose. Scrive il giudice Scaramuzza nella sua ordinanza: «La corruzione a livello regionale ha lo scopo sia di ottenere provvedimenti autorizzativi necessari alle opere del Mose di competenza della Regione Veneto, sia di allentare i controlli di competenza sulle opere, come nel caso della sezione di controllo della Corte dei Conti». In quest’ambito rientrano anche le accuse a Galan e Chisso. Come si favoriva il Mose? Le accuse per Galan si intrecciano con quelle rivolte a Chisso: «Sono emersi dati anomali, costituiti da progressive estromissioni di enti e uffici competenti in materia ambientale dai monitoraggi e dai procedimenti autorizzativi dei lavori del Mose e la loro sostituzione con altri enti e uffici ». Così per la commissione Via che dall’Ambiente viene affidata al segretario delle Infrastriutture Silvano Vernizzi su delibera proposta da Galan, relatore Chisso, «in violazione della legge regionale 10/99 che le attribuisce all’Ambiente», scrive Scaramuzza, sottolineando come fosse «totalmente illogico togliere la Via al settore ambiente, istituzionalmente competente ». “Mi dai una mano?” Dice Piergiorgio Baita nell’interrogatorio del 28 maggio: «Se il presidente della Regione dice “Mi dai una mano” lei gliela dà quando è così esposto, non si chiede il perché» Lui chiedeva e voi davate? domandano i pm: «Per forza come fa a dir di no? La Valsugana l’abbiamo avuta che Galan non c’era più». Pagamenti anche dopo che non era più presidente? «Voglio dire, non era più governatore, ma era ministro». Baita precisa che sono quattro i provvedimenti ottenuti tramite i pagamenti di somme di danaro: le commissioni di salvaguardia a favore dell’approvazione del progetto definitivo dell’opera nel 2004, le due commissioni Via regionali per le dighe di Chioggia e Malamocco e poi del Lido. “Un milione l’anno”, il Mose. Nell’interrogatorio del 31 luglio è i il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati a mettere il carico. Ai pubblici ministeri che gli chiedono quale fosse la “dazione” complessivamente, Mazzacurati replica che era «molto variabile, diciamo un milione l’anno» «per il governatore oppure per dare a chi voleva il governatore ». Era Baita a far di conto e dire re e a chi dare. Mazzacurati aggiunge di non aver mai dato soldi direttamente a Galan, ma all’assessore Chisso. Perché pagare? «Queste operazioni venivano fatte quando c’erano lavori su pietrame, sempre molto controversi, nel senso che davanti alle bocche di porto bisognava creare dei bacini per consentire alle navi di entrare: una volta un importo consistente fu messo in discussione perché queste opere erano contrastate dai verdi che dicevano che modificavano la struttura della laguna ». «Galan era fuori, rientrò e la cosa ebbe un effetto positivo, intervenne e riuscì a far approvare queste scogliere: uno di quei momenti importanti in cui il lavoro si poteva bloccare». Nello specifico anche Baita circostanzia: «L’importante episodio che ricordo è stata l’approvazione da parte della commissione Via della Regione delle dighe di sasso per le quali Mazzacurati mi disse che gli era stato richiesto dall’assessore Chisso a nome del presidente Galan il riconoscimento di 900 mila euro. Altro episodio l’approvazione in commissione di salvaguardia del progetto definitivo del sistema Mose, per il quale – sempre attraverso Chisso, ma in nome del presidente Galan, fu richiesta la somma di ulteriori 900 mila euro, «avevamo avuto molte sollecitazioni da Chisso dicendo che Galan pressava». E Baita dice di aver pagato – si legge in ordinanza – «non per il partito, ma per il singolo lucro del singolo destinatario, con consegne a Chisso come intermediario di Galan fino al 2010».
Per la villa di Cinto Euganeo 1,1 milioni pagati dalla Mantovani
Tra le accuse ci sono favori come quelli per il pagamento dei restauri della di Galan a Cinto Euganeo (tra il 2007 e 2008) e poi della barchessa annessa per farne B&b: 1,1 milioni in tutto di lavori effettuati dalla Tecnostudio di Danilo Turato, poi fatturati a Mantovani sotto forma di lavori per la ristrutturazione della sede aziendale o nell’ambito del progetto del Mercato ortofrutticolo di Mestre. «Per la prima parte», racconta Baita, «la casa viene inaugurata col matrimonio del presidente Galan e quando Galan non è più presidente, ma ministro, mi fa sapere, mi dice che aveva pensato di fare un agriturismo sulla barchessa, che aveva già il progetto e che bisognava dare un’ulteriore mano». Insomma dalle testimonianze di Baita emerge un legame molto privato con il governatore veneto, poi ministro dell’Agricoltura e dei Beni culturali: il top manager della Mantovani, afferma l’ordinanza, ha chiarito di aver di fatto pagato la ristrutturazione della casa. La sollecitazione a pagare l’impresa attraverso contratti in altri cantieri, dice l’ingegnere, arrivava direttamente dall’ex governatore: «Le richieste di aiuto sulla casa me le fa direttamente Galan». E poco oltre: «Perché Turato non ha problemi, se non ha soldi sospende i lavori».
Minutillo: «si lamentava, voleva essere pagato più spesso»
Chisso e i pranzi con Mazzacurati per le mazzette da 250 mila euro
Roberta De Rossi – VENEZIA «Renato Chisso in più occasioni ebbe a lamentarsi del fatto che Giovanni Mazzacurati gli corrispondeva somme di danaro solo alle feste comandate. Lo diceva ridendo, ma era chiaro che voleva essere remunerato più frequentemente». Così mette a verbale Claudia Minutillo, interrogata dai pm nell’aprile del 2013, inchiodando l’amico e sodale di una vita: «So che normalmente Mazzacurati corrispondeva somme di danaro a Chisso presso l’hotel Monaco, all’ora di pranzo», «Chisso stesso in più occasioni mi confermò di aver ricevuto pagamenti…rientravano in una continuativa e ordinaria corresponsione che non necessitata di specifici accordi». Come fosse uno stipendio, chiedono i pm? «Sì, di fatto», inchioda lei. A luglio 2013 Giovanni Mazzacurati circostanzia. Ai pubblici ministeri che gli chiedono «Ha mai pagato qualche politico veneto?» risponde: «Sì, Chisso », «importi nell’ordine di 50 e 150, generalmente un paio di volte l’anno», «sui 200-250 mila l’anno», « credo di aver cominciato con Chisso alla fine degli anni Novanta». Chisso – secondo l’accusa – era il tramite dei pagamenti per Galan e garantiva di spianare procedure in capo all’assessorato delle Infrastrutture, sia per quanto riguardava il Mose sia per l’assegnazione dei project financing. Scrive il Gip Alberto Scaramuzza nella sua ordinanza: «Si assiste ad una concentrazione da un lato del potere di Valutazione di impatto ambientale del settore Infrastrutture retto dall’assessore Chisso e dall’altro all’estromissione dell’Ispra (ministero dell’Ambiente, ndr) dai monitoraggi e la sua sostituzione con la Regione, ovvero al settore Infrastrutture». E qui passa la corruzione. Le accuse della Procura, riprese dal gip, per Chisso si intrecciano indissolubilmente con quelle di Galan : «Nell’interesse del privato corruttore Mazzacurati hanno fatto prevalere per ragioni di lucro personale una valutazione» che ha «danneggiato l’interesse pubblico alla tutela ambientale ». E ancora: «Hanno totalmente asservito le rispettive pubbliche funzioni di natura politico istituzionale agli interessi delle società private del Consorzio Venezia Nuova, a fini di lucro proprio, personale e ingente per un numero rilevante di anni (un decennio Galan, 13 anni per Chisso, 8 anni per Giuseppone) condotta di rilevante gravità sia per la durata, sia per entità delle utilità oggetto di corruzione, sia per la rilevantissima compromissione delle funzioni politico amministrative del Galan del Chisso all’interno della Regione». L’interrogatorio di Claudia Minutillo è centrale nelle accuse: «Oltre alla corresponsione di danaro c’erano altri metodi di corruzione, come intestare quote di società che avrebbero poi guadagnato ingenti somme dalla realizzazione dei project finanging. Adria Infrastrutture e Pvp erano in realtà riconducibili a Chisso e Galan. Il mio 5% era in realtà di Chisso, mentre il 7% della Pvp era di Galan». Il contatto tra i due è costante. In una occasione lei gli chiede – su richiesta di Baita – di essere raccomandata al ministro dell’Ambiente Clini per una richiesta di fondi europei per Triches e lui subito risponde via sms: «Solo dovere per la squadra», dimostrando – osserva il giudice – «totale asservimento ai desiderata di Mantovani». Baita ha bisogno di un’autorizzazione per inserire Giuseppe Fasiol nella commissione di collaudo del Mose, lei chiama Chisso e gli ordina: «Vai sempre a mangiare da Ugo, alza il culo e vieni qua», linguaggio riservabile più a un «dipendente subalterno che un assessore regionale», chios ail gip. «Si evince», aggiunge poi il giudice, «che Chisso discuteva dei progetti della Regione preventivamente con Mantovani, facendoli poi sviluppare dagli uffici regionali secondo i dettami della Mantovani», come nel caso di una colazione di lavoro tra Chisso, il gruppo Astaldi, in cui vennero fissati i termini di accordo per la Pedemontana con la Provincia di Trento, cui Mantovani era interessata per favorire Astaldi, facente capo a Condotte, uno dei tre principali del Consorzio impegnato nel Mose».Un intreccio. Ma negli anni anche l’aura di Chisso si appanna e la stessa Minutillo poco prima dell’esplosione dell’inchiesta, lo striglia. Nel gennaio 2013 i progetti sulle tangenziali venete non avanzano e Minutillo, su incarico di Baita, richiama (intercettata) all’ordine Chisso: «Stai perdendo consenso politico, la gente non va più dall’assessore Chisso a chiedere le cose… anche Giorgio dice: vorrei sapere se Renato ha abdicato ad un certo ruolo». Minutillo scadenza le priorità: «In ordine di importanza: Mazzacurati, accordo di programma, tangenziali venete, Sr10’». E Chisso: «Va bene, ok».
Mazzacurati a Palazzo Chigi: «Letta era un riferimento importante»
VENEZIA. L’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta era per il Consorzio Nuova Venezia «un riferimento molto importante» e l’ex presidente Giovanni Mazzacurati fu ricevuto a palazzo Chigi proprio da Letta. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare per l’inchiesta sul Mose anche se, scrive il Gip, i contatti sono «del tutto privi di rilievo penale». Di Letta si parla quando Mazzacurati e il Consorzio puntano su un emendamento al decreto incentivi che introducesse una deroga al tetto del 15%per il Nord. In questo contesto avviene l’incontro, il 29 aprile del 2010, a palazzo Chigi. Mazzacurati ci arriva dopo aver visto Marco Milanese. «Gli ho detto che la cosa si è risolta» dice l’ex presidente del Cnv. Nell’interrogatorio del 29 luglio scorso, spiega ai magistrati: «mi ha portato da Letta il presidente Galan…
Marchese e Sartori, pioggia di fondi neri
Contributi illeciti per più di 900mila euro agli esponenti di Pd e Pdl. Per Bertan è «abuso di potere»
VENEZIA Fondi a destra e a sinistra, nel giro di danari “neri” che la Procura ha ricostruito. Soldi – si accusa – sia al consigliere regionale Pd Giampietro Marchese, sia all’europarlamentare Pdl-Fi Amalia Sartori. L’esponente Pd Giampietro Marchese (arresato) è accusato di aver incassato contributi illeciti alla sua campagna elettorale per le Regionali 2010: 58 mila euro da imprese nel solito giro di fatture poi messe in conto a Coveco e al Consorzio Venezia Nuova. Soldi che secondo l’accusa aveva preso anche nelle campagne elettorali precedenti, tra il 2005 e il 2013, «consapevole del loro illegittimo stanziamento da parte del Consorzio Venezia Nuova: Una somma di danaro oscillante tra i 400 e i 500 mila euro, dei quali 180 mila consegnati da Pio Savioli». E, ancora, la sua fittizia assunzione alla Eit Sudio Srl, per 35 mila euro. All’europarlamentare Amalia Sartori – formalmente ancora in carica, che con Galan e Chisso ha diviso il suo passato socialista, prima che berlusconiano – i magistrati contestano di aver ricevuto «quale esponente di spicco del Pdl e di Forza Italia in plurime campagne elettorali» contributi illeciti provenienti dai fondi neri del Cvn con il solito giro di contributi ufficiali da parte di imprese, che poi staccavano false fatture di rimborso al consorzio. Per la Sartori «e il suo partito», 200 mila euro tra il 2006 e il 2012 e 25 mila euro nella campagna elettorale 2009. Agli arresti domiciliari (dopo l’inchiesta per concussione che lo aveva fatto già finire in carcere) anche un altro esponente di area Pd, Lino Brentan, accusato – quale amministratore delegato della società autostrade di Venezia e Padova – «abusando delle sue qualità e dei suoi poteri, induceva Piergiorgio Baita e Mauro Scaramuzza, amministratori di Mantovani e Fip, che avevano presentato l’offerta al maggior ribasso, a rinunciare a presentare ricorso contro l’esclusione della gara d’appalto per la mitigazione della terza corsia della tangenziale di Mestre, inducendo Scaramuzza ad eseguire opere in subappalto Sacaim ad un costo fuori mercato, deciso da Brentan», che incassava 65 mila euro da Scaramuzza in più rate.
Mose, arrestato Orsoni
Il sindaco di Venezia finisce ai domiciliari nello tsunami tangenti che travolge il Veneto
Le opposizioni all’attacco «Ora si dimetta»
«Il sindaco si dimetta subito». Vivace protesta delle opposizioni davanti a Ca’ Farsetti, dal Movimento 5 Stelle fino alla Lega e ai Fratelli d’Italia. Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia: «Sono esterrefatta per quanto accaduto».
Orsoni, fondi neri per essere eletto
Mazzacurati: «Finanziamenti di 400-500 mila euro»
Consegne di denaro confermate dai verbali di Baita e Sutto
L’imprenditore Falconi: pressioni per avere più in fretta un contributo illecito
Roberta De Rossi – VENEZIA «Poi abbiamo avuto Orsoni. A Orsoni abbiamo finanziato la campagna elettorale», mette Giovanni Mazzacurati a verbale per la prima volta, nel suo interrogatorio del 29 luglio, anche se inizialmente parla del 2012…2011, quando le elezioni sono del 2010. Aveva anticipato la “bomba” nella sua memoria scritta, parlando di un importo tra i 400 e i 500 mila euro in tranche diverse: «Abbiamo sostenuto Orsoni sulla campagna elettorale e abbiamo speso quella cifra», dice Mazzacurati ai pm che lo interrogano sul punto, «diciamo il risultato è che Orsoni ha vinto al primo turno delle… non so, non avrei altro da dire, gli abbiamo corrisposto questa cifra un po’ a scaglioni». Ma altro da dire, ce l’ha. Nell’interrogatorio del 31 luglio Mazzacurati dice che parte dei soldi sono stati consegnati a Orsoni tramite il suo segretario Sutto, parte da lui direttamente: «Io l’ho portata a casa di Orsoni, alla fermata di San Silvestro a Venezia. Niente, gli sono stati dati una cifra tra i 450 e i 500 e di questi il 10% mi sembra sono regolari», «ho portato in vari scaglioni, ogni volta gli portavo 100 mila euro, 150 mila euro, fino al completamento », «in tre o quattro mesi ». Durante la campagna elettorale, chiedono i pm? «Sì, all’inizio Orsoni mi parlò di 100 mila euro, che aveva fatto un conto… invece poi non sono bastati assolutamente». Quindi – domandano i pm – «per la campagna di Orsoni vi sono stati contributi delle imprese del Consorzio?» Sì, risponde Mazzacurati, «ci sono stati alcuni contributi regolari, adesso non saprei». Contributi regolari, registrati? «La parte regolare è una piccola parte rispetto al totale che è stato rilevante… avevamo deciso di spendere molto meno e poi invece Orsoni mi ha detto che aveva bisogno di tutti, di altri soldi». Quanto regolare e quanto in nero? «Penso che più o meno saranno stati il 10% la parte regolare», «noi abbiamo dichiarato 350-450 mila e di quelli lì ce ne saranno il 10% di regolari». Il giudice elenca otto incontri tra Orsoni e Mazzacurati tra il maggio 2010 e l’aprile 2011, quindi anche dopo le elezioni: dai quali emerge«il rapporto di contiguità tra Orsoni e Cvn non spiegabile solo con rapporti di tipo istituzionale: uno solo a Ca’ Farsetti, gli altri a casa o all’hotel Monaco. Secondo l’accusa della Procura, il sindaco è agli arresti per finanziamento illecito della sua campagna elettorale: 110 mila euro versati da varie società al mandatario del Comitato elettorale (ufficialmente finanziavano la campagna San Martino, Bosca, Clea, Cam Ricerche, che poi emettevano fatture al Coveco per operazioni inesistenti) e 450 mila euro in nero, allo stesso sindaco. Anche Piergiorgio Baita ne parla nei suoi interrogatori, parlando di finanziamenti ufficiali e in nero, non con pagamenti diretti, ma per tramite di Sutto: 50 mila erano «a fronte di un totale richiestomi di 80 mila come budget per le amministrative, che però veniva gestito da Mazzacurati con Sutto, dicendoci l’utilizzo», «il finanziamento ufficiale è altra cosa ». «Quando c’è la campagna elettorale», mette Baita a verbale, «si attivano i doppi binari: tanto finanziamo ufficialmente, tanto finanziamo in nero. Quello ufficialmente finanziamo noi come consorzio, tanto fate voi come soci: quello in nero tramite il Consorzio perché il consorzio non voleva assolutamente che i soci finanziassero direttamente in nero dei politici che avrebbero potuto rappresentare degli interessi collaterali nel Consorzio Venezia Nuova». Quindi – insistono i pm– questi 50 mila…? «Si inseriscono nella parte nera delle ultime amministrative comunali di Venezia». Pio Savioli – nel cda del Consorzio e consulente del Coveco – nell’interrogatorio del 30 luglio, dichiara che su indicazioni di Mazzacurati ci sono stati finanziamenti a Orsoni formalmente regolari per circa 180 mila euro provenienti da varie consorziate, come San Martino e Clea: «Io sono a conoscenza di finanziamenti leciti, diciamo così per usare la parola, a Orsoni», «credo che Mazzacurati abbia chiesto in giro di… abbia promosso, diciamo così un po’ questa roba». Poi le imprese rientrano dalle spese elettorali emettendo fatture Coveco, che le gira al Consorzio, finanziato con soldi pubblici: e così vanno in pari. Il percorso dei soldi – ricostruisce il giudice Scaramuzza nella sua ordinanza – è Consorzio Venezia Nuova, Coveco (Consorzio veneto delle cooperative, rappresentato da Savioli), ditta San Martino, cosicché «i contributi formali ad Orsoni, quindi provenivano dal Consorzio Venezia Nuova». Il segretario di Mazzacurati Federico Sutto (ex segretario di De Michelis) conferma in interrogatorio: «Mazzacurati aveva una lista di società di Venezia che potevano essere interessate a sostenere la campagna elettorale di Orsoni, alcune riferite al Coveco , altre alla Mantovanio ad altre società». Nicola Falconi di Bos.Ca a Pio Savioli, in una telefonata del 25 marzo 2010 dice di aver parlato con il sindaco prima di un convegno elettorale, informandolo del contributo: prima – secondo Falconi – Orsoni avrebbe detto «me l’ha detto Ugo Bergamo tra l’altro, quindi voglio dire se sei con l’Udc sei con noi, con me. Poi gli ho detto quella cosa». E aggiunge Falconi: «Lui è rimasto sorpreso. Beh Nicola cosa vuoi che ti dica: siete un gruppo forte, siete degli amici veri, questa cosa sapevo che stava maturando ma non me l’avevano detta bene nei termini e tra l’altro sono davvero meravigliato dello sforzo addirittura superiore alle attese e ti ringrazio molto». Nell’ordinanza si parla di un altro incontro tra Orsoni e Falconi, il 29 marzo, in cui il futuro sindaco gli avrebbe fatto una certa pressione per accelerare i tempi del contributo: «Volevo ringraziarti ancora tantissimo del sostegno… che l’avete con il gruppo dell’ingegnere… l’avete deciso… se potevi insomma farlo perché abbiamo una certa urgenza». Per il giudice Scaramuzza: «Un passaggio importante perché testimonia che Orsoni era perfettamente consapevole che i soldi devono arrivare dal Consorzio Venezia Nuova (l’ingegnere è Mazzacurati) ». Il 30 aprile 2010 risulta un accredito di 30 mila euro da parte di Cam Ricerche dei fratelli Falconi: «Il siluro è partito, basta che gli altri coprano», dice ancora Falconi a Savioli. Quale il vantaggio per Falconi? Per il giudice: «Il principio attuato dal Cvn di accordare preferenza nell’ottenimento di commesse alle società dei Falconi, perché prestatesi alle false fatturazioni per finanziare i politici», scrive il giudice.
Baita fa il nome di Franco Miracco, ex addetto stampa di galan
«Fu tramite con il commercialista Venuti»
Nell’ordinanza c’è anche il nome di Franco Miracco, l’esperto di comunicazione che è stato l’ombra del governatore Galan. È Piergiorgio Baita a citarlo nell’interrogatorio del 6 giugno 2013 quando rammenta il lontano giorno del 2007 in cui Galan gli chiese, esplicitamente, di prendersi in carico la ristrutturazione della sua villa di Cinto Euganeo. «Vengo a sapere che il Presidente ha acquistato l’immobile direttamente dall’architetto Turato, che mi informa che lui è stato incaricato di redigere il progetto di ristrutturazione…» spiega Baita, «Quando il progetto è redatto con il preventivo di spesa, un milione e 8, un milione e 7, … attraverso il suo addetto stampa, che era il dottor Miracco, che è mio amico, Galan mi dice se potevo contattare il dottor Paolo Venuti, il suo commercialista». Venuti mostra i conti e chiede «un aiuto». (cri.gen.)
Fatture gonfiate, un tesoro da 22,5 milioni
Le Indagini sono scattate nel 2008 dopo alcune verifiche all’azienda San Martino di Chioggia
l’accusa al consorzio
Un sistema funzionale a escludere le società non controllate
Francesco Furlan – VENEZIA Fatture gonfiate, con società fittizie per costruire fondi in neri. Triangolazioni societarie che hanno portato a mettere da parte un piccolo tesoro di 22,5 milioni di euro. Tutto all’interno del cerchio magico del Consorzio Venezia Nuova, di cui l’ex presidente Giovanni Mazzacurati era l’unico deus ex machina. E guai se qualcuno provava a farsi avanti, a intromettersi. Prendiamo il 2005. Stando alla legge le forniture di opere elettro-meccaniche avrebbero dovuto essere assegnate mediante gare d’appalto in applicazione delle direttive europee mentre è stato scoperto, trovando una serie di documenti extra-contabili, che diverse forniture di impianti, per un ammontare di 242 milioni di euro, erano state assegnate a società consorziate, con elusione delle disposizioni europee. La violazione delle normative – emerge dall’ordinanza di custodia cautelare – «era funzionale all’esclusione di società estranee e non controllate dal Consorzio Venezia Nuova, perché ritenute di ostacolo alla prosecuzione del sistema di false fatturazioni funzionale alla creazione di fondi neri. Fondi neri che gestiti dal Consorzio e dal suo padre-padrone utilizzati per oliare gli ingranaggi, finanziare politici, i vertici del Magistrato alla Acque, assicurarsi che nessuno avrebbe messo il naso negli appalti del consorzio. Il meccanismo delle false fatturazioni è quello consolidato. Fatture emesse per lavori totalmente inesistenti. Come quelle emesse dalla Coedmar di Chioggia per 945 mila euro (nel 2007 e nel 2008), 990 mila (nel 2008 e nel 2009) 765 mila euro (nel 2010) e 967 mila (nel 2011). Nelle pagine dell’ordinanza ci sono decine di casi come questi che coinvolgono le altre aziende azioniste del Consorzio Venezia Nuova e in rapporto con il Consorzio , come la Coveco (Consorzio Veneto Cooperativo), la stessa Mantovani di Baita, l’impresa Pietro Cidonio, consorziata, tramite la Mazzi Scarl, al Consorzio Venezia Nuova, la San Martino, il colosso Condotte (quasi 700 mila euro nel 2007). Fatture false sulle quali i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno cominciato a indagare dal 2008, con alcune verifiche fiscali nelle aziende del consorzio, in particolare alla San Martino di Chioggia, dove emersero fatture emesse da Istra Impex HgmbH, società di diritto austriaco con sede appena oltre il confine, a Villach. Gli accertamenti bancari con rogatoria hanno permesso di verificare l’inesistenza delle prestazioni fatturate. La società Istra infatti veniva utilizzata dalla stessa San Martino per creare un passaggio in più nella prestazione dei servizi, e gonfiare così i conti. La scoperta di una contabilità parallela permise poi di aprire la strada verso la scoperta della creazione di fondi neri. Lo stesso trucchetto lo faceva, come era già emerso ai tempi dell’arresto di Baita, la sua Mantovani con la Bmc-Broker con sede nella Repubblica di San Marino. Fondi neri che sommati, come si diceva, raggiungono un totale di 25 milioni di euro. Secondo la Finanza le aziende soggette a verifica fiscale, già da tempo nel mirino dei finanzieri e colpevoli della falsa fatturazione, hanno già versato 9 milioni allo Stato per danno erariale. Si tratta, è stato spiegato ieri in Procura dal generale della Finanza Bruno Buratti, di una parte minima che verrà probabilmente implementata al termine delle verifiche su aziende che a vario titolo hanno partecipato ai lavori commissionati dal Consorzio.
Luigi Dal Borgo, l’imprenditore specialista in “cartiere”
Sta per finire l’inverno 2013 quando spunta il nominativo di un imprenditore bellunese nell’ambito dell’inchiesta sui fondi neri del gruppo Mantovani. L’imprenditore si chiama Luigi Dal Borgo, 57 anni, originario di Pieve D’Alpago dove vive, titolare di una miriade di società tra cui N.S.A. srl, acronimo di “Non Solo Ambiente”, impresa specializzata in tubi in ghisa con sede a Marghera in via Fratelli Bandiera 45. È lo stesso indirizzo di Servizi e Tecnologie Ambientali, la società del consulente della Mantovani Mirco Voltazza, 53 anni di Polverara nel Padovano, alle spalle precedenti penali per peculato, calunnia e falso. Voltazza è sparito da settimane. Voci lo indicano fuggito in Croazia e in Bosnia, dopo aver saputo che le forze dell’ordine lo stanno cercando perché deve scontare una condanna definitiva a un anno e sette mesi. Eppure periodicamente rientra in Italia. E dove troverebbe rifugio? Acasa di Dal Borgo, soprannominato Gigi Babylon. Tutti e due finiscono nel calderone dell’inchiesta veneziana tanto che, ieri mattina, per Dal Borgo è scattato l’arresto con il trasferimento nel carcere padovano Due Palazzi: oggi sarà interrogato dal gup Domenica Gambardella per rogatoria (a difenderlo, l’avvocato Simone Zancani di Venezia). È accusato di emissione di fatture per operazioni inesistenti in quanto con Voltazza avrebbe consentito alla Mantovani di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto tramite le società Eracle scarl, Egg srl, Linktode srl, Italia Service srl, Nsa-Non Solo Ambiente. In più, deve rispondere di millantato credito e di favoreggiamento personale. Un passo indietro, ancora febbraio 2013. La stampa riporta le notizie sull’inchiesta relativa agli affari sporchi della Mantovani con gli arresti e le perquisizioni a tappeto che non risparmiano le ditte di Voltazza e di Dal Borgo: il sospetto è che siano società “cartiere”, fabbriche di fatture emesse per coprire operazioni commerciali inesistenti ma funzionali a trasferire all’estero fiumi di soldi. Dal Borgo risulta consigliere di Adria Infrastrutture spa – la società amministrata da Claudia Minutillo (l’ex segretaria del governatore Galan), incastrata nel primo giro di arresti con Piergiorgio Baita e William Colombelli – e di Società Autostrade Serenissima spa, oltre a un’altra decina di ditte. Serenissima Holding spa è proprietaria di Mantovani spa insieme (per una quota di minoranza) a Baita. Il 13 marzo 2013 Voltazza si costituisce e parla. Al punto da incastrare un buon numero di persone, tra cui l’amico Dal Borgo che lo aveva aiutato nella latitanza all’estero nella penisola balcanica, pure con un sostegno economico. E con periodiche e frequenti visite per informarlo sugli sviluppi dell’inchiesta. Cristina Genesin
GIUSEPPONE AI DOMICILIARI
Pagato anche un giudice della Corte conti
Un sistema funzionale a escludere le società non controllate Uno“stipendio” di 300-400mila euro all’anno, che nel 2005 e 2006è arrivato a 600mila euro: è quanto avrebbe percepito il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone (in foto la sede veneziana della Corte dei conti a Palazzo dei Camerlenghi), indagato nell’inchiesta sul Mose per aver «compiuto atti contrari ai suoi doveri». Lo scrive il Gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza di custodia cautelare. Insomma la “cupola” che ha gestito la costruzione del Mose era riuscita a infiltrare i propri tentacoli anche nel cuore della magistratura contabile, che per dovere d’istituto avrebbe dovuto vigilare sul corretto uso dei fondi pubblici nella costruzione del Mose. Un compito ignorato da Giuseppone, sostengono in procura. E ora il magistrato contabile si trova agli arresti domiciliari.
Magistrato alle Acque a libro paga: nei guai Cuccioletta e Piva
I due alti funzionari corrotti a suon di dazioni e favori: anche assunzioni e cene per ammorbidire i controlli
Il consigliere di Venezia Nuova Savioli testimonia ai magistrati: «C’era una battuta: “Basta portare là anche la carta igienica che te la firmano”»
Francesco Furlan – VENEZIA «C’era una battuta. Dottoressa. Se non si offende la faccio», dice Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova, nell’interrogatorio del 12 settembre del 2013 davanti al pubblico ministero Paola Tonini per spiegare i rapporti tra lo stesso Consorzio, concessionario unico per la costruzione del Mose, e il Magistrato alle Acque, l’ente pubblico cui spetterebbe il compito di vigilare sulla regolarità degli appalti. La dottoressa non si offende, e Savioli la battuta la fa: «Basta portare là anche la carta igienica usata, che te la firmano». Emerge un controllore (il Magistrato alle Acque) totalmente piegato alle esigenze del controllato (il Consorzio Venezia Nuova) nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che trattano i rapporti tra i due enti, con il primo che dettava e faceva firmare al secondo ciò che voleva. Due presidenti dell’Ente, Patrizio Cuccioletta, 69 anni, e Maria Giovanna Piva, 65 anni, sono stati arrestati con l’accusa di corruzione perché ritenuti essere sul libro paga del Consorzio. E ancora parenti e fratelli assunti da società controllare sempre dal Consorzio e generose consulenze pilotate. «Condotte illecite che avevano l’obiettivo di allentare l’attività di controllo sulle opere del Consorzio», dice l’ordinanza di custodia cautelare, in un sistema nel quale i documenti che avrebbe dovuto preparare il Magistrato erano invece redatti dai tecnici del Consorzio, come dimostrano i file trovati nei computer e in particolare in quello di Maria Teresa Brotto, ingegnere di fiducia di Mazzacurati. È il caso, ad esempio, della richiesta del Consorzio, nel 2004, dell’attuazione di un sistema contrattuale a “Prezzo chiuso” con una riduzione media dei costi del 12,5% e presentato dall’allora presidente del Magistrato, Piva, al Comitato tecnico dell’ente per la sua approvazione, con un file che era stato preparato dallo stesso Consorzio. Uno tra decine di casi che fanno dire ai magistrati che circa l’80% dell’attività del Magistrato era in realtà istruita, redatta e preparata da uomini del Consorzio. Fare presto, bisognava. E per non avere bastoni tra le ruote il Consorzio e le sue società, in modo proporzionale alle quote detenute, mettevano mano al portafogli. Per dirla con le parole usate da Baita in un interrogatorio bisognava rispondere a «un fabbisogno sistematico, con un pagamento periodico a tempo di tutta una serie di persone». Tra queste persone spiccano i due presidenti del Magistrato che per un decennio sono stati alla guida del Consorzio. Cuccioletta (in carica dal primo ottobre del 2008 al 31 ottobre del 2011) disponeva di uno stipendio annuale di 400 mila euro, di cui 200 sborsati direttamente da Baita. Ma l’ex presidente – stando alle indagini – ha goduto anche di una buona uscita di 500 mila euro. Soldi versati con tre bonifici – tra il 10 dicembre del 2012 e il 15 gennaio del 2013 – sul conto 2120.001.01 della banca svizzera di Julius Baer, di Zurigo, intestato a Chiara Gherardi, moglie di Cuccioletta. Un grazie per aver approvato uno studio di prova di un cassone della Fincosit. Dalla moglie alla figlia Flavia, assunta dal Consorzio prima con un contratto di collaborazione, per un anno, dal settembre del 2007 al settembre del 2008, per un compenso lordo di 27.600 euro, poi assunta a tempo indeterminato da Thetis, controllato dallo stesso Consorzio, a partire dal settembre 2008. Moglie, figlia e fratello. L’architetto Paolo, al quale il presidente del Magistrato alle Acque fa avere, tramite il Coveco, un contratto di 38 mila euro, nel 2012, pagato con i fondi del Consorzio. Per non dire dei voli privati e dei pernottamenti e delle cene in alberghi e ristoranti di lusso di Venezia e Cortina d’Ampezzo. Anche Maria Giovanna Piva (presidente del Magistrato dal 26 luglio del 2001 al 30 settembre del 2008) e con la quale negli ultimi mesi i rapporti andarono a incrinarsi per via di una differenza valutazione tecnica sulle cerniere della paratoie mobili, avrebbe goduto di uno stipendio annuo di 400 mila euro. Inoltre, grazie all’interessamento di Mazzacurati e Baita – emerge dall’ordinanza di custodia cautelare – è stata incaricata come collaudatrice dell’Ospedale Dell’Angelo di Mestre dal 2006 al 2012, ricevendo un compenso di 328 mila euro. Ospedale costruito sempre dalla Mantovani di Baita.
Sistema di corruzione impunito per anni
Lo stop alle gare d’appalto del 1984, la nascita del Consorzio Venezia Nuova
«Concessione unica voluta dallo Stato nel 1984 madre di tutte le tangenti»
LE DENUNCE DI ITALIA NOSTRA – Per realizzare il Mose e tutti i lavori in laguna c’è l’affidamento diretto alle imprese consorziate in proporzione al loro peso azionario
L’ex PM FELICE CASSON – Quello che si è scoperto non mi stupisce, da anni denunciamo inascoltati certe storture, con i controllori diventati sempre più deboli
Álberto Vitucci – VENEZIA Un sistema di corruzione esteso e impunito per anni. Una rete di pagamenti, mazzette, consulenze per creare consenso e consentire ai grandi lavori di procedere indisturbati. E la storia trentennale della salvaguardia di Venezia che adesso assume una nuova luce, dopo la retata della magistratura che ha portato in carcere 35 persone, con oltre cento indagati. Fondi neri accantonati e distribuiti, pareri in qualche caso addomesticati. Denunce e segnalazioni lasciate cadere nel vuoto. «Abbiamo denunciato inascoltati da anni questo sistema », ricorda Italia Nostra. Che cita l’ultima denuncia, inviata all’Unione europea dalla sezione veneziana, e una lettera di un anno fa del consigliere onorario Gherardo Ortalli che sembra premonitrice. «È lo stesso sistema», dice in una nota l’associazione nazionale per la tutela del patrimonio artistico, «che oggi si vuole applicare al problema delle grandi navi». La madre di tutte le tangenti, secondo Italia Nostra, si chiama “concessione unica”. Una legge dello Stato, la 798 del 1984 approvata all’unanimità dal Parlamento che creava il Consorzio Venezia Nuova, da allora concessionario unico delle opere di salvaguardia. Da quel momento, insomma, per realizzare il Mose, ma anche per tutti i lavori in laguna, non servivano più le gare d’appalto. Finanziamento dello Stato, rinnovato ogni anno, e affidamento diretto dei lavori alle imprese del Consorzio, in proporzione al loro peso azionario. Oltre alle cifre per le opere il Consorzio portava a casa un 10 per cento – era arrivato anche a cifre superiori – per i cosiddetti “oneri del concessionario”. Su cinque miliardi di spesa delMose fanno oltre mezzo miliardo di euro. Concessione unica e controlli fatti in casa, nel senso che a volte era proprio il Consorzio, diventato negli anni molto più forte dei suoi “controllori” a decidere consulenze e pagamenti. Oggetto dell’inchiesta dell’allora pm Felice Casson. «Non mi stupisce quello che si è scoperto», dice Casson, oggi senatore del Pd, «da anni denunciamo inascoltati queste storture della concessione unica». Del Consorzio fanno parte le maggiori imprese nazionali di costruzioni. A metà degli anni Novanta al posto dell’Impregilo subentra come primo azionista la Mantovani, azienda padovana della famiglia Chiarotto gestita da Piergiorgio Baita. Poi Condotte, Mazzi, Lega Cooperative. Il monopolio consente di evitare il confronto fra progetti. E l’appoggio incondizionato della Regione, che presiede anche le commissioni di Impatto ambientale, i comitati tecnici e la commissione di Salvaguardia, elimina ogni ostacolo sulla strada della grande opera. Le obiezioni vengono presto superate, Come la Valutazione di impatto ambientale del 1998, una secca bocciatura che i governi D’Alema e Amato superano con l’approvazione politica del progetto. Oppure i rilievi della Corte dei Conti. Nel 2009 è un coraggioso magistrato, Antonio Mezzera, a stilare un corposo atto di accusa sulla gestione della salvaguardia negli ultimi anni. Costi lievitati, controlli inesistente, mancanza di autorizzazioni e di comparazioni tra i progetti. La relazione finisce in un cassetto della Corte dei Conti nazionali, poi viene pubblicata con grande ritardo. E alla fine saltata a pie’ pari. Come il ricorso all’Unione europea, che apre una procedura di infrazione contro l’Italia. Il governo Berlusconi sistema tutto, resta per il Consorzio l’obbligo di mettere a gara la fornitura delle paratoie.
IL MOSE IN CIFRE
5 miliardi Il costo finale del Mose, gestione e manutenzione esclusa (almeno 40 milioni di euro l’anno). Il progetto di fattibilità parlava di 3200 miliardi di lire, circa un miliardo e mezzo di euro
78 le paratoie in acciaio che saranno installate sui cassoni di calcestruzzo nel fondo delle tre bocche di porto. Si alzeranno per le maree superiori a 110 centimetri,in media oggi 3 volte l’anno
25 L’età del progetto, inaugurato nel 1989 da Gianni De Michelis e dal ministro Prandini. 30 anni fa la Legge Speciale 798 che istituiva il Consorzio Venezia Nuova
10 Gli anni di lavoro dalla posa della prima pietra, nel 2002
L’Autorità Portuale perquisita un anno fa è salva
MESTRE Negli ultimi mesi chiacchiere e illazioni sull’inchiesta della magistratura che ha portato ieri a tanti arresti eccellenti, ipotizzavano che nella rete della magistratura finisse anche il Porto di Venezia, nel cui ambito si stanno costruendo le dighe mobili del Mose. Invece, l’Autorità Portuale veneziana ne esce illesa, malgrado le inchieste stingenti della Guardia di Finanza abbiano portato,– all’indomani dell’arresto di Piergiorgio Baita, presidente e ’amministratore delegato del Gruppo Mantovani – una lunga e approfondita perquisizione, con il sequestro di pile di documenti, nella sede dell’Autorità Portuale, a San Basilio. Ieri mattina, poco dopo la notizia degli arresti il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, si è detto «turbato e preoccupato per l’arresto di tante persone che conosco da tempo e che debbono, comunque, godere della presunzione di innocenza fino al compimento delle indagini e al processo ». «Le grandi infrastrutture, purtroppo» ha aggiunto Paolo Costa «sono sempre a rischio di corruzione, ma dobbiamo distinguere la loro realizzazione da chi ci sta attorno e ne approfitta per il proprio comodo, con il risultato di compromettere le infrastrutture che si debbono realizzare». «Sono rimasto senza parole quando ho saputo di questi arresti » ha concluso Costa «la magistratura deve fare fino in fondo il suo dovere e mi auguro che questo si concluda al più presto. Per quanto ci riguarda noi andremo avanti sui progetti che ci siamo dati e in parte stiamo portando a termine, con l’unico scopo è quello di riportare al centro dei traffici mondiali il porto commerciale e passeggeri di Venezia». Gianni Favarato
IL PROBLEMA
Marghera, bonifiche e rilancio a rischio
Il presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, che ieri ha presenziato l’inaugurazione del nuovo terminal dei traghetti diretti in Grecia, che si sta completando a Fusina (Marghera), si è inaugurato che le indagini chiariscano al più presto le responsabilità di ogni indagato. Preoccupati i sindacati dei lavoratori poichè le indagine per il sistema di corruzione che ruota attorno alla realizzazione della dighe mobili del Mose hanno portato in carcere o agli arresti domiciliari il sindaco Orsoni, l’assessore Chisso e il commissario della Regione Artico, cioè i più importanti soggetti istituzionali che stanno gestendo la tanto attesa e complessa operazione di bonifica e riconversione di Porto Marghera, orfana di tante industrie e piena di aree industriali dismesse da anni e imbottite di residui tossici.
E Cacciari accusa «Le grandi opere generano mazzette»
Da sindaco si oppose in Comitatone ai cantieri del Mose «Avevamo alternative meno costose, non fummo ascoltati»
IL FILOSOFO – Sorpreso dall’arresto del suo successore, non dalla dimensione del malaffare intorno alle dighe mobili «Gli enti locali non sono in grado di controllare»
VENEZIA Sorpreso. Dall’arresto del suo successore, ma certo non dalle dimensioni della corruzione intorno al Mose. L’ex sindaco Massimo Cacciari punta il dito sul sistema molto poco federalista con cui vengono attuate le grandi opere nel territorio. «Il modo con cui si fanno è criminogeno, genera mazzette », dice, «gli enti locali non sono in grado di controllare, si decide tutto a livello centrale. E i risultati sono questi. Quando il governo Prodi approvò il Mose, nel 2006, tutte queste cose le avevo dette. Avevamo proposto come Comune anche le alternative meno costose. Ma non fummo ascoltati». Era stato proprio lui, Cacciari, a tenere in Comitatone una relazione molto dura sul progetto Mose. Era il 22 settembre del 2006, e si trattava di decidere se andare avanti con i lavori oppure sospenderli, come chiedeva il Comune, in attesa di verifiche sui progetti alternativi. «Speriamo che non sia ai posteri l’ardua sentenza», aveva tuonato l’ex sindaco. Depositando sul tavolo del presidente del Consiglio Romano Prodi un pacco di documenti alto mezzo metro. «Un’opera da quattro miliardi e mezzo», diceva Cacciari – nel frattempo sono diventi più di cinque – «che non ha mai avuto una Valutazione di Impatto ambientale positiva. Che non rispetta i criteri di reversibilità, gradualità e sperimentalità prescritti dalla Legge speciale; che presenta ancora molti dubbi dal punto di vista tecnico e ha aumentato i costi in modo esponenziale. E chi garantirà 40 milioni l’anno per la gestione e la manutenzione delle paratoie? » Erano i mesi in cui il Comune aveva anche avviato un dibattito sulle possibili ipotesi alternative al Mose. Le paratoie a gravità dell’ingegner Di Tella, il porto in mare di Cesare de Piccoli, al Lido per rialzare i fondali della bocca di Lido; le navi porta e altri interventi «reversibili». Il Comune aveva avuto il sostegno del ministro per l’Ambiente Pecoraro Scanio, per questo duramente attaccato da Chisso e Galan. E il tiepido sostegno dei ministri dei Trasporti (Bianchi) e della Ricerca scientifica (Mussi).Ma alla fine aveva deciso il premier Prodi, in pieno accordo con il ministro dei Lavori pubblici, l’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro: «Il Mose va avanti». In Comitatone commenti entusiasti dal governo e dalla Regione di Galan. Unico voto contrario era stato quello di Cacciari in rappresentanza del Comune, che aveva presentato un ordine del giorno poi bocciato. La svolta era stata preceduta da una serie di «pareri» degli organi tecnici del ministeri che avevano annullato gli studi critici del Comune. Alberto Vitucci
Ecco chi sono i protagonisti minori della tangentopoli veneta finiti in carcere
Sempre in sella tra Prima e Seconda Repubblica. Arriva da lontano la storia politica di Giovanni Artico, dirigente regionale, che ieri è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare. Assistente parlamentare dal 1982 al 1991, capo segreteria del presidente della commissione Affari sociali della Camera dal 1991 al 1994. Nel 2002 lo ritroviamo sindaco di Cessalto, incarico che mantiene per due legislature, fino al 2012. Lui però, nel frattempo, ha già messo un piede in Regione, come stretto collaboratore dell’assessore Renato Chisso. È stato sindaco, ma di Martellago, Enzo Casarin, pure lui nella cerchia di Chisso. Nel2004 era stato condannato a sei mesi per concussione: in quell’occasione il pubblico ministero era Felice Casson, oggi senatore del Partito democratico. Assai più noto alle cronache è Lino Brentan, assegnato agli arresti domiciliari. Già amministratore delegato dell’Autostrada Venezia-Padova, Brentan è già stato arrestato il 31 gennaio 2012 con l’accusa di corruzione aggravata e continuata. Ha svolto le mansioni di direttore editoriale del settimanale “Il Punto”, Alessandro Cicero, che sarebbe stato finanziato da Piergiorgio Baita. Sindaco e revisore contabile in vari enti pubblici è Francesco Giordano, commercialista, che ha fondato un quotato studio a Padova. È iscritto nell’elenco degli esperti per l’affidamento di incarichi del ministero dello Sviluppo economico.
Quella carriera bruciata di sindaco metropolitano
Giorgio Orsoni, avvocato di primo piano, è dal 2010 alla guida della città
Uomo mite ma dagli scontri violenti: soprattutto su Casinò e grandi navi
Alberto Vitucci – VENEZIA Una carriera prestigiosa bruciata in un attimo. Indipendentemente da come finirà, la vicenda giudiziaria che ha coinvolto il sindaco di Venezia lascerà un segno pesante sulla sua carriera politica. Giorgio Orsoni alla soglia dei 70 anni sembrava lanciato verso un futuro di sindaco metropolitano. Netta la sua vittoria alle amministrative dell’aprile 2010 su Renato Brunetta. Discreto il suo consenso in città, in particolare sulla vicenda dell’Arsenale riconquistato, della battaglia per Poveglia e per tenere le grandi navi lontane da San Marco. Ottimi i suoi rapporti con il premier Renzi e il sottosegretario Delrio, conosciuti all’Anci. Avvocato amministrativista di primo piano, allievo di Feliciano Benvenuti, Orsoni è da molti anni Procuratore di San Marco, è stato esponente di punta degli avvocati a livello nazionale. In politica arriva all’inizio del Duemila, come assessore al Patrimonio nella giunta guidata da Paolo Costa. Presidente della Save Engineering e della Compagnia della Vela, viene candidato dalla coalizione di centrosinistra nell’inverno del 2009. Vince a mani basse e governa una coalizione che unica in Italia va dall’Udc a Rifondazione, passando Per Italia dei Valori, ambientalisti, Pd, socialisti. Ieri il fulmine che ha sconvolto la vita dell’avvocato e dell’intera amministrazione. Tra i primi commenti quello di Piero Fassino, sindaco di Torino presidente dell’Anci. «Chiunque conosca Giorgio Orsoni e la sua storia personale e professionale», ha detto, «non può dubitare della sua correttezza e della sua onestà. Siamo sicuri che la magistratura nel compiere gli accertamenti successivi giungerà rapidamente a stabilire la verità dei fatti, consentendo così a Orsoni di ritornare alla sua funzione di sindaco di Venezia». Un«tempestivo chiarimento della posizione sul piano umano, professionale e istituzionale » è anche l’auspicio dei legali di Orsoni, gli avvocati Daniele Grasso e Maria grazia Romeo. Che esprimono “preoccupazione” per l’iniziativa assunta dai magistrati. «Le circostanze contestate nel provvedimento notificato paiono poco credibili», continuano i legali, «gli si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo e il suo stile di vita». Da verificare bene, secondo il collegio di difesa di Orsoni, anche le dichiarazioni di accusa. «Vengono da soggetti già sottoposti a indagini, nei confronti dei quali verranno assunte le dovute iniziative». Incredulità e stupore non soltanto tra i più stretti collaboratori del sindaco. In municipio ieri l’aria era pesante, molti si interrogavano sulla reale portata delle accuse al primo cittadino. Un signore di mezza età sempre pacato e dai modi gentili, felicemente sposato e con tre figli adulti, uno studio legale tra i più importanti di Venezia. Che bisogno aveva di quei finanziamenti? «Risulta che i finanziamenti per la campagna elettorale siano stati regolarmente denunciati», ripetono i suoi collaboratori. Una speranza che aleggia anche nello staff che vede adesso crollare un mondo di certezze. Anche perché negli ultimi tempi i rapporti tra il sindaco-avvocato e il Consorzio Venezia Nuova non erano stati proprio idilliaci, in particolare per l’uso dell’Arsenale e i finanziamenti alla città. Carattere mansueto, ma capace di scontri intensi, l’avvocato Orsoni è stato in questi anni anche protagonista di duri bracci di ferro. Con il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa sulle grandi navi e lo sviluppo del Porto. Con il presidente della Save, Enrico Marchi, sul “monopolio” privato nella gestione dell’aeroporto veneziano. Ma anche con il presidente della Fondazione di Venezia, Giuliano Segre, all’atto del rinnovo del consiglio di amministrazione. Un sindaco “solo al comando”, ma per nulla indebolito, spesso attaccato dalle opposizioni ma anche dalla maggioranza. Abituato a decidere da solo e far causa anche a pezzi dello Stato che ostacolavano i suoi programmi, come successo negli ultimi anni proprio con il Porto e i ministeri. Una storia interrotta dal brusco risveglio e dall’arresto di ieri.
Il Consorzio: distinguere l’opera dalle responsabilità
«Distinguere l’opera dalle responsabilità personali che saranno accertate. Il nostro dovere di concessionari è quello di portare a termine il più presto possibile il Mose in tempi certi e a prezzo chiuso». È questo il messaggio della nuova dirigenza del Consorzio Venezia Nuova. Il presidente Mauro Fabris (in foto) e il direttore Hermes Redi ricordano come dalla metà del 2013 sia presente una «discontinuità». «Siamo parte offesa, non c’entriamo con le accuse, disponibili a collaborare con la magistratura», dice. Ma deve essere respinto con forza qualunque tentativo di fermare il Mose, opera indispensabile per salvare Venezia e la sua laguna. Un’opera frutto della genialità italiana, che il mondo guarda con interesse e che si potrebbe esportare all’estero». (a.v.)
La resistibile ascesa di un socialista della Prima Repubblica
VENEZIA. Lucido e visionario, sprezzante e diretto, stratega e pragmatico come sapevano essere solo i socialisti della Prima Repubblica. Da alcuni mesi Renato Chisso sapeva di essere destinatario di un provvedimento giudiziario. Per questo aveva cercato di accelerare tutte le procedure necessarie alla prosecuzione della Superstrada Pedemontana Veneta, ai project financing dell’Autostrada del mare, della Nogara mare, la Romea commerciale, la Nuova Valsugana. Sapeva che tutto questo si sarebbe fermato presto, non appena i magistrati avessero firmato la richiesta d’arresto . Lo scorso settembre, anche a causa di questo stato di tensione, aveva subito un intervento di angioplastica a seguito di un infarto. Da allora i medici gli avevano prescritto stop al fumo, dieta regolare e lunghe passeggiate. E proprio due giorni prima dell’arresto, Chisso si era concesso una lunga passeggiata nel parco pubblico di Favaro Veneto, «bucando» la giunta straordinaria convocata da Zaia per ricorrere contro il governo sulla città metropolitana. Da tempo i suoi rapporti con il governatore si erano raffreddati e in giunta l’assessore si sedeva il più distante possibile dal presidente. Nato il 28 luglio 1954 a Quarto d’Altino, residente a Favaro Veneto, sposato, Chisso ha sempre rivendicato il suo essere socialista nell’anima. Nel suo sito personale, in larga parte dedicato alle infrastrutture, sottolinea di essere «Nato in una famiglia d’estrazione proletaria, entrambi i genitori sono operai, fin da giovane è costretto ad abbinare gli studi al lavoro». L’orgogliosa rivendicazione di un’origine riformista, mai rinnegata neanche dentro a Forza Italia. Assunto nel 1974 alla Cassa di Risparmio di Venezia, si iscrive al Partito Socialista due anni più tardi, frequentando la corrente lombardiana che faceva riferimento a Gianni De Michelis. Tra i suoi compagni vi sono Fabrizio Ferrari, Nereo Laroni, Fulgenzio Livieri, Renato Nardi. Nel 1985 a Favaro Veneto diventa prima consigliere e poi presidente di quartiere. Nel 1990 diventa consigliere del Psi a Venezia e subito assessore per tre anni nella giunta pentapartito di Ugo Bergamo. Lavora soprattutto sulle politiche abitative e sull’Informagiovani, ma sono le infrastrutture e i trasporti la sua passione. Nel 1993 fa il consigliere di opposizione e nel 1994 partecipa alla nascita di Forza Italia. Nel 1995 diventa consigliere regionale, fa il vice capogruppo di Forza Italia e va a presiedere la commissione trasporti e urbanistica. Nel 2000, forte di un approdo in Regione con ottomila preferenze, diventa assessore nella seconda giunta Galan. Il governatore gli affida carta bianca su infrastrutture e trasporti. Lui ricambia la fiducia con una politica decisionista favorita dalla Legge obiettivo e dai Commissari straordinari. Importa la filosofia del Project financing dando una svolta alla annosa questione della tangenziale di Mestre. Grazie al sodalizio sempre più stretto con il cartello di imprese legate al Consorzio Venezia Nuova realizza tre ospedali con il sistema del project, avvia le procedure per la Pedemontana Veneta, procede con le progettazioni di mille altre infrastrutture nel Veneto. Non perde un convegno sulle infrastrutture, da Conegliano a Soave, da Jesolo a Rovigo. Nella tasca della giacca porta la cartina del Veneto: strade, porte, ferrovie. É l’unico, probabilmente, che ne conosce ogni dettaglio. Rieletto nel 2005 e confermato da Galan, alle ultime elezioni regionali nel 2010 prende 21.915 preferenze. Impossibile per Luca Zaia non confermarlo, è il più votato del Pdl nella provincia di Venezia. La sua apoteosi è nel giorno dell’inaugurazione del Passante, con l’ovazione del Veneto che conta (…va) in suo onore, sollecitata dal premier Silvio Berlusconi e dall’allora governatore Giancarlo Galan. L’ultima sua grande battaglia è stata, nel dicembre scorso, quella dell’orario cadenzato dei treni regionali, propedeutico al grande progetto del Sistema ferroviario metropolitano di superficie. Affronta i comitati dei pendolari di petto, si scontra con Trenitalia, è solo in giunta nel difendere questo progetto. Come da molto tempo gli accade. (Daniele Ferrazza)
«Opera sbagliata. Noi lo ripetiamo da decenni»
«Il Mose serve solo a chi lo fa. L’avevamo detto e dimostrato per tutti gli anni Novanta e anche dopo». Michele e Stefano Boato e Carlo Giacobini dall’Istituto Alex Langer ricordano la loro battaglia. «La Commissione nazionale VIA nel 1998 e il Ministro Ronchi nel 1999 avevano giudicato incompatibile e inopportuno il progetto e avevano indicato che, per la Salvaguardia di Venezia, bisognava cambiare tutta l’impostazione. Lo abbiamo ridetto negli anni successivi». Ora «bisogna ridiscutere il progetto, perché è ancora possibile modificarne parti importanti, almeno le quote alle bocche e sciogliere ogni convenzione con il consorzio».
LE ASSOCIAZIONI «Costituiamoci parte civile con i veneziani»
Adico e Codacons annunciano azioni. Legambiente: «Ora vacilla il sistema Veneto»
MESTRE «La maxi retata per corruzione e riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del Mose scattata all’alba di oggi purtroppo non ci sorprende, ma ci dà la conferma che quando si tratta di metter mano ai soldi dei cittadini non esistono colori nè schieramenti politici», dice Carlo Garofolini, presidente dell’Adico di Mestre. «E dal momento che stiamo comunque parlando di un’opera pubblica che ha cambiato per sempre i connotati del nostro territorio, quale sarà l’entità reale del danno anche questo probabilmente lo sapremo presto, come associazione per la difesa dei consumatori valuteremo in queste ore la possibilità di costituirci come parte civile». Consumatori e cittadini in prima fila per dire basta alla corruzione. Non solo l’Adico ma anche il Codacons annunciano la costituzione a parte civile. «Il Codacons si costituirà parte offesa nel procedimento in rappresentanza dei cittadini, e invita tutti i veneziani a fare altrettanto», annuncia il presidente Carlo Rienzi, ricordando le tante denunce dell’associazione. «Stiamo predisponendo un modulo sul nostro sito internet attraverso il quale i cittadini di Venezia possono costituirsi parte offesa dinanzi la Procura e avviare così l’iter per chiedere il risarcimento dei danni subiti in relazione alla realizzazione del Mose e agli illeciti contestati» , annuncia. «Vacilla il sistema Veneto,un sapiente governo delle risorse che non scontenta nessuno e che si svolge al riparo dalla concorrenza e dalla trasparenza», denunciano Luigi Lazzaro, presidente veneziano della Legambiente del Veneto e Gianni Belloni dell’Osservatorio Ambiente e Legalità di Venezia. «Urgente è la sostituzione più rapida possibile dei membri delle istituzioni democratiche colpiti da così infamanti accuse e dei loro complici, e un rinnovamento radicale della politica» dice Edoardo Salzano, presidente di Altro Veneto (Rete dei comitati per la difesa dell’ambiente). E conclude: «Spero di non vedere opere promesse da quel gruppo di potere nell’elenco di quelle che Matteo Renzi si propone di sbloccare con un apposito decreto». (m.ch.)
LE CATEGORIE
Albergatori: «Nome della città infangato». Commercianti stupiti VENEZIA. «Premesso che bisogna sempre attendere la condanna definitiva perché in Italia esiste la presunzione di innocenza, oggi è un giorno triste per tutta la città il cui nome esce infangato». Lo afferma in una nota il direttore dell’Associazione Veneziana Albergatori, Claudio Scarpa, commentandogli arresti effettuati in seguito all’inchiesta Mose. «È il momento in cui la classe dirigente politica locale», aggiunge Scarpa, «deve prendere atto di un cambiamento e procedere ad un rinnovamento che salvaguardi quanto di buono è stato fatto fino ad ora, ma che rinnovi profondamente il modo di governare la città». E continua: «Necessitiamo di volti nuovi, onesti e puliti ,ma soprattutto che abbiano già dimostrato la loro competenza. Niente avventurismi, niente salti nel vuoto. Sono convinto che tutti insieme riusciremo ad uscire dal fango che ha ricoperto la nostra Venezia». Prende posizione anche Maurizio Franceschi per la Confesercenti del Veneto e di Venezia. «Sono ovviamente stupito delle risultanze dell’indagine e attendo che la giustizia faccia il suo corso. La presunzione d’innocenza, ovviamente, in questa fase vale per tutti. Certamente c’è molto rammarico», dice il rappresentante dell’associazione del commercio. «E questo perché dopo le elezioni avevamo delle nuove speranze, legate anche al governo di Matteo Renzi e invece queste vicende ci fanno vedere di nuovo la politica sotto una cattiva luce, legata al malaffare. Viviamo un momento di profonda crisi economica ma questo paese non saprà uscirne davvero se non agirà concretamente contro la corruzione che sta minando il sistema economico dell’intero paese. E ne impedisce il rinnovamento». E proprio oggi in città è previsto un dibattito su corruzione e futuro. Al locale “Il Palco” di Mestre, vicino al Toniolo confronto tra Matteo Montagner (Pd), Luca Rizzi (Fi) e Simone Venturini (Udc), tutti giovani politici, che si confrontano sulla questione etica, ragionando sulla «Venezia bella, oltre gli scandali». Inizio alle 18.30.
Un secondo ciclone si abbatte su Chioggia
Altri arresti di nomi noti dopo quelli del luglio scorso. Il sindaco Casson: «Sono sconcertato»
CHIOGGIA Il ciclone della “tangentopoli veneta” si abbatte pesantemente ancora una volta anche su Chioggia. L’inchiesta della Guardia di Finanza, partita tre anni fa e scoppiata con il caso Baita, ha fatto nuovamente capolino in laguna con l’arresto di nomi noti del comparto delle opere marittime. Il provvedimento restrittivo eseguito ieri dalla Guardia di finanza a carico di 35 persone coinvolge anche due chioggiotti: Gianfranco Boscolo Contadin detto Flavio, procuratore generale e direttore tecnico della Co.Ed.Mar e della Nuova Co. Ed.Mar, e Stefano Boscolo Bacheto, consigliere della cooperativa San Martino per l’emissione di fatture false e finanziamenti illeciti. Altri due chioggiotti figurano invece tra gli indagati: Andrea Boscolo Cucco e Dante Boscolo Contadin, anch’egli della Nuova Co.Ed.Mar. Dopo la prima bufera dello scorso luglio quando, a seguito dell’indagine che portò all’arresto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, erano stati raggiunti da provvedimenti cautelari dieci chioggiotti ai vertici di note imprese marittime, oraun secondo ciclone in città. Flavio e Dante Contadin e Stefano Bachetto già erano stati coinvolti nei provvedimenti di luglio, Andrea Cucco invece compare per la prima volta nell’ordinanza di custodia cautelare firmata ieri mattina dal gip di Venezia Alberto Scaramuzza. «Sono sconcertato», commenta il sindaco, Giuseppe Casson, «sono notizie che non possono non aprire punti interrogativi su un sistema di corruzione radicato. Abbiamo il massimo rispetto per l’operato della Magistratura di cui attendiamogli sviluppi ma abbiamo anche rispetto per chi si trova coinvolto nell’inchiesta a cui riconosciamo la presunzione d’innocenza così come stabilisce la nostra Costituzione. Ci auguriamo che si faccia in fretta chiarezza per il bene delle persone coinvolte e della città». A Flavio e Dante Contadin viene contestato di avere messo in concorso, dal 2006 al 2009, quattro fatture all’anno per quasi 4 milioni di euro per operazioni inesistenti per consentire al Consorzio Venezia Nuova di evadere le imposte sui redditi e l’Iva. A Stefano Bacheto della San Martino viene contestato di aver finanziato illecitamente la campagna elettorale di Orsoni alle amministrative del 2010 versando al comitato elettorale 110.000 euro. La San Martino, nata dopo l’alluvione del ’66, si è specializzata nella realizzazione di opere edili marittime. Tra i cantieri più importanti dell’ultimo periodo la realizzazione delle paratie mobili del Mose alla bocca di porto di Chioggia. La Nuova Co.Ed.Mar, specializzata in costruzioni marittime e fluviali, bonifiche e opere speciali, lavora quasi esclusivamente per committenti pubblici. In città ha realizzato moltissime opere in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune. Elisabetta Boscolo Anzoletti
Il silenzio di Forza Italia, partito sotto choc
Zuin: «Una vicenda dolorosa». Boraso: «La magistratura va tutelata». I club: «Urge chiarezza»
MESTRE Telefonini spenti oche suonano a vuoto, rinvii di commenti a momenti più sereni. Forza Italia a Venezia tace. Lo choc per gli arresti eccellenti che hanno tramortito il partito di Berlusconi a Venezia, dall’arresto eseguito di Renato Chisso alla richiesta al Parlamento che riguarda l’ex governatore Giancarlo Galan, ammutoliscono gli azzurri veneziani. Pochi scelgono di parlare e commentare quel che sta avvenendo. Neanche Renato Brunetta da Roma fa sentire la sua voce riguardo la vicenda del Mose. «Non sapevo nulla della protesta davanti a Ca’ Farsetti, queste sono ore difficili e di silenzio. Meglio non dire nulla», dice Cesare Campa. Renato Boraso parla nel pomeriggio: «Ho piena fiducia in questa magistratura e che questi magistrati siano ben difesi e tutelati perché forse non ci rendiamo conto della dimensione apocalittica di questa indagine. Più leggo, resto impressionato. Ieri ero con il sindaco , poi ho visto Chisso. Mi auguro possano dimostrare la loro innocenza. Non fa parte della mia cultura quella forcaiola che sento in questi giorni. Spero che tutto venga chiarito. Se le tesi accusatorie sono fondate trarrò in futuro le mie considerazioni». Il capogruppo Michele Zuin non nasconde l’amarezza. «Non c’è molto da dire se non esprimere il massimo del dispiacere e del dolore per questa vicenda e per le persone coinvolte. Chiedere le dimissioni del sindaco? Non mi pare sia il momento per farlo, non è affatto questa la giornata. Comunque io non ho avuto contatti con gli altri partiti all’opposizione in consiglio comunale e non sapevo nulla della loro iniziativa». Francesco Caberlotto, vice coordinatore provinciale dei club di Forza Italia, è amareggiato. «La presunzione di innocenza vale per tutti, attendiamo gli esiti dell’indagine. Questo vale per i nostri esponenti ma anche per il sindaco di Venezia. Spiace per tutti, spiace che la città viva questa situazione così difficile. Ma mi viene da dire anche che i club di Forza Italia sono molti, sono cresciuti con il contributo di persone e professionisti che non hanno legami con nessuno e credono ancora nella politica ». Sulla pagina Facebook di Renato Chisso arrivano tanti messaggi. C’è chi gli chiede di dimostrare la propria estraneità alle accuse, chi gli esprime vicinanza e solidarietà, chi si limita a dire: «Spero che si tratti di un errore». E infine chi dice grazie L’intervento di Renato Chisso a un congresso provinciale di Forza Italia alla magistratura. (m.ch.)
Sulle bonifiche e il rilancio. Porto Marghera rischia
Preoccupazione di imprenditori e sindacati per gli arresti che hanno colpito le istituzioni e in particolare politici e dirigenti che lavorano alla riconversione
Gianni Favarato – MESTRE Preoccupato il presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, che ieri ha presenziato l’inaugurazione del nuovo terminal dei traghetti diretti in Grecia, che si sta completando a Fusina (Marghera), a cui non hanno partecipato Orsoni, Chisso e altri arrestati. «Rispetto il lavoro dei magistrati e la presunzione d’innocenza, fino a prova contraria, degli imputati», ha dichiarato, «ma non mi capacito che tante persone che conosco da una vita siano finite agli arresti. Le grandi infrastrutture sono sempre a rischio di corruzione, ma dobbiamo distinguere la loro realizzazione da chi ci sta attorno e ne approfitta». Gli arresti e le indagine per il sistema di corruzione che ruota attorno alla realizzazione della dighe mobili del Mose hanno portato in carcere o agli arresti domiciliari tutti i più importanti soggetti istituzionali che stanno gestendo la tanto attesa e complessa operazione di bonifica e riconversione di Porto Marghera, orfana di tante industrie e piena di aree industriali dismesse da anni e imbottite di residui tossici. Su quelle aree dovrebbero nascere nuove industrie e terminal portuali che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro per ricollocare le migliaia di lavoratori espulsi dalle industrie chimiche e siderurgiche in crisi o già chiuse. Due settimane fa era stato messo agli arresti domiciliari, per presunte tangenti, l’ex ministro e direttore del ministero dell’Ambiente, Corrado Clini. Ieri è toccato al sindaco Orsoni, all’assessore regionale alle Infrastrutture Chisso e a Giovanni Artico, nominato recentemente commissari per la riconversione e il risanamento di Porto Marghera. «Fatti salvi il diritto alla difesa e la presunta innocenza fino a prova contraria», commenta il segretario nazionale dei chimici della Uil, Maurizio Don, «ci preoccupano le iniziative istituzionali per il rilancio del sistema industriale di Porto Marghera che fa perno sulle persone che sono state arrestate. L’auspicio è che il lento ma indispensabile processo messo in atto non si fermi, oltre alla drammaticità sociale sarebbe il danno dopo la beffa». Lino Gottardello, segretario generale della Cisl veneziana, parla di un terremoto politico e auspica una rapida conclusione dell’inchiesta «affinché si possano chiarire le responsabilità di ognuno senza paralizzare il lavoro che negli ultimi anni è stato fatto per rilanciare Porto Marghera. Il lavoro dei magistrati va rispettato ma va anche valutata la necessità di modificare e semplificare le procedure per le procedure di appalto e le autorizzazione che con la loro complessità favoriscono i meccanismi corruttivi». Per Gerardo Colamarco, segretario regionale della Uil, «le ripercussioni di questa indagine sono tutte da capire. I reati ipotizzati sono gravi ed esprimiamo piena fiducia nell’operato della magistratura, che ha sicuramente valutato l’impatto di questa operazione. L’augurio è che non metta in discussione la realizzazione delle grandi opere in Veneto». Per Roberto Montagner, segretario generale della Cgil veneziana «l’arresto del commissario Giovanni Artico non può comportare il blocco del tavolo delle bonifiche e gli investimenti per l’insediamento di nuove attività industriali a Porto Marghera. La parte sana della politica deve reagire e mettersi a disposizione della città per dare risposte immediate alla crisi industriale e dell’occupazione». Per quanto riguarda Giancarlo Zacchello, l’ex presidente di Confindustria ha dichiarato: «Il momento è difficile per Venezia e per l’Italia intera. Spero si faccia chiarezza sulle responsabilità al più presto e che la politica riprenda il suo lavoro sulla strada giusta».
No Grandi Navi «Progetti inutili e devastanti»
VENEZIA. Grandi navi ed e scavo dei nuovi e vecchi canali lagunari e inchiesta sul Mose. «Tra i due argomenti molti sono i collegamenti e gli interessi che spingono le solite lobbies a portare avanti progetti inutili, dannosi e devastanti». Con queste motivazioni i comitati No Grandi Navi Laguna Bene Comune e Ambiente Venezia hanno deciso di indire per oggi una conferenza stampa nella sede Municipale di Ca’ Farsetti. L’appuntamento serve per tornare a parlare della manifestazione in programma sabato prossimo per la difesa di Venezia e della sua Laguna e «contro i progetti di e scavo di nuovi e vecchi canali lagunari che devasteranno ancora di più e in maniera irreversibile il nostro territorio». E ovviamente anche per parlare dell’indagine sul Mose e degli ultimi clamorosi arresti arrivati dopo «anni di mobilitazioni, appelli e denunce inascoltate di moltissimi cittadini», spiegano dal comitato. La manifestazione di sabato avrà inizio alle 13 con un concentramento previsto a piazzale Roma. Si tratta dell’ennesima protesta contro le grandi navi in laguna e l’escavo dei canali, protesta che mobilita cittadini, associazioni e centri sociali.
Cona
Morbiolo, da vicesindaco a capo della Coveco
Chi è il funzionario accusato di essere l’intermediario dei fondi neri a Orsoni e Marchese
CONA Due anni da vicesindaco e una candidatura naufragata, come consigliere comunale il mese scorso. La vita pubblica di Franco Morbiolo, a Cona, è racchiusa in questi due eventi che ne segnano, metaforicamente parlando, l’ascesa e la caduta, ancor prima dell’arresto di ieri, da lui subito nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Ma la sua vera carriera Morbiolo l’ha compiuta come funzionario del Coveco, Consorzio veneto cooperative, di cui era divenuto, nel tempo, presidente del consiglio di amministrazione e direttore tecnico. Una carriera che ha avuto un parallelo percorso politico (dal quasi dimenticato Psi, al Pds, Ds e al Pd dal quale, però, si era distaccato un paio di anni fa) ma solo di appartenenza, senza mai acquisire cariche di qualche importanza. Unica eccezione, il suo ruolo di vicesindaco, tra il 2004 e il 2006, in coincidenza col primo mandato del sindaco Anna Berto.Ma,a ben guardare, un’eccezione che conferma la regola, dato che sono stati proprio i suoi impegni lavorativi nel Coveco a farlo desistere dall’incarico (si dimise anche da consigliere comunale, oltre che da assessore). Da quel momento, e fino alle recenti amministrative di maggio, non ebbe più ruoli pubblici ufficiali nel suo comune. E, anzi, si allontanò progressivamente dall’ambiente politico, dal Partito democratico e dai suoi ex colleghi. Morbiolo, infatti, abita insieme alla moglie, in via Don Bosco, zona soggetta a periodici allagamenti in caso di maltempo e, probabilmente, rimproverava agli amministratori comunali, il ritardo negli interventi di regimazione idraulica del territorio. Tanto che, avuta l’occasione di tornare in campo, si era candidato con la civica «Cona per Cambiare», di Dario Battistini, senza essere eletto ma contribuendo, si dice, a drenare voti alla lista di Antonio Bottin e Anna Berto che, infatti, ha perso il Comune. Nella vicenda Mose il suo ruolo, secondo l’accusa, sarebbe quello di intermediario per i fondi neri che avrebbe versato a Marchese e Orsoni, per le rispettive campagne elettorali, “girando” loro denaro proveniente, tramite false fatture, dal Consorzio Venezia Nuova. Diego Degan
Meneguzzo, ascesa e caduta di un raider
Il finanziere che sfidò Mediobanca tirato in ballo come tramite fra Mazzacurati e il consigliere dell’ex ministro Tremonti
Eleonora Vallin – VICENZA Roberto Meneguzzo è uomo schivo e misterioso. «Come avrà fatto i soldi?» chiedevano tutti due anni fa in Borsa a Milano, quando dal piccolo Nordest osò sfidare a sorpresa Mediobanca. Prima rastrellando il 5% di Fondiaria, poi andando a nozze con Matteo Arpe, per tentare la scalata della compagnia ex Ligresti contro Alberto Nagel. Quel blitz, fallito, gli valse, a Ovest, l’appellativo di «ariete». Ma a Est, Meneguzzo diventò la punta di diamante di quell’imprenditoria veneta periferica, spesso tagliata fuori dai salotti del capitalismo italiano. Classe 1956, vicentino, il commercialista-imprenditore, da trent’anni ad di Palladio Finanziaria, è finito in manette, stando al’ordinanza, per aver messo in contatto Giovanni Mazzacurati, il padre del Mose, con Marco Milanese, «consigliere politico di Giulio Tremonti» incrociando i suoi interessi con quelli del concessionario dei lavori per il Mose. Il suo nome non è nuovo agli inquirenti: il 18 luglio 2013 agenti avevano perquisito la sua casa e gli uffici milanesi della Palladio dopo l’arresto di Baita e Mazzacurati. La Finanziaria, d’altra parte, ha più di un affare in Laguna: è azionista con Veneto Banca al 20% di Est Capital, che fino a tempi recenti ha avuto importanti progetti al Lido, dalla riqualificazione degli hotel Excelsior e Des Bains all’Ospedale al Mare. A Est Capital, poi, faceva capo Real Venice II, fondo immobiliare le cui quote sono state sottoscritte da tre aziende consorziate in Consorzio Venezia nuova: Grandi Lavori Fincosit (Mazzi), Condotte (Astaldi) e Mantovani. Palladio è un gruppo diversificato che opera nel private equity e gestisce partecipazioni e fondi immobiliari. La maggioranza è detenuta dal management, attraverso la Pfh1, ma nell’azionariato compaiono anche Veneto Banca con il 9,8%, il Banco Popolare, con l’8,6%, Mps con il 0,5% e soci industriali con il 21%. La finanziaria è nota a Vicenza per una serie di operazioni di ingegneria fiscale e per i rapporti con alcuni importanti esponenti del Pdl veneto. Negli anni ha cambiato forma e azionisti più volte, perdendo alcuni investitori tra cui lo storico manager Antonveneta, Silvano Pontello, e mantenendone altri come Vincenzo Consoli. «Molto abile nello stringere relazioni, il commercialista è ritenuto l’artefice di una serie di operazioni con la Regione Veneto e la finanziaria Gemina (famiglia Romiti, allora azionisti di Rcs, Impregilo e Adr) che a metà degli anni 90 proiettano la società al centro di un sistema di rapporti eccellenti» scriveva l’Espresso a febbraio 2012. Un passaggio storico è però l’entrata nel 2010 in Generali: la società grazie a Effeti (veicolo partecipato da Fondazione Crt e Ferak dove figurano Palladio, Amenduni, Valbruna, Finint, Zoppas e Veneto banca) rilevò un2,2% da Unicredit del Leone. Ma anche qui sono iniziati i primi scricchiolii: a febbraio,dopo la notizia dell’avviso di garanzia emesso nei confronti di Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, fu evidenziato dalle autorità di vigilanza che le perdite ascrivibili agli investimenti dichiarati, ricorda oggi Il Sole 24Ore «erano accomunate dal fatto di essere collegabili alla Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido, a Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e al Gruppo Valbruna».
il presidente di cnv accusa l’ex parlamentare
«A Milanese ho versato 500 mila»
VENEZIA Marco Milanese, il consigliere politico dell’ex ministro Giulio Tremonti ed ex parlamentare del Pdl è indagato nell’inchiesta della Procura di Venezia sugli appalti per il Mose. Da quanto si legge nel provvedimento di arresto i pm hanno poi revocato la richiesta di custodia cautelare nei confronti di Milanese che «al fine di influire sulla concessione di finanziamenti del Mose» avrebbe ricevuto dal presidente del Consorzio Venezia Nuova la somma di 500mila euro. Come si legge nell’ordinanza di arresto firmata dal gip di Venezia Alberto Scaramuzza i pubblici ministeri lo scorso 13 maggio hanno revocato la richiesta di arresto per Milanese nei cui confronti il giudice ha anche rigettato una richiesta di sequestro preventivo. Secondo il capo di imputazione, Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, avrebbe consegnato «personalmente» 500 mila euro a Marco Milanese, indicato come «consigliere politico di Giulio Tremonti – all’ epoca ministro dell’Economia – e componente parlamentare della V commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione e della VI commissione Finanze ». La cifra sarebbe stata versata a Milanese tra l’aprile e il giugno 2010, «al fine di influire sulla concessione dei finanziamenti del Mose e», si legge nell’atto, «in particolare nel far inserire tra gli stanziamenti inclusi nella delibera Cipe numero 31/2010 e nei decreti collegati anche la sommarelativa ai lavori gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, inizialmente esclusa dal ministro». Secondo il capo di imputazione, Roberto Meneguzzo, ad di Palladio Finanziaria, avrebbe messo in contatto Mazzacurati con Milanese ed è quindi finito nei guai.
Chi è il consigliere regionale arrestato Marchese, il compagno G che divide il Pd di Venezia
Secondo l’accusa ha ricevuto un finanziamento dal Consorzio Venezia Nuova non conforme alla legge
Il gruppo regionale precisa: non è più iscritto da due anni e farà parte del Misto a palazzo Ferro Fini
VENEZIA Giampietro Marchese è già stato soprannominato il «Compagno G» del Veneto, il garante del rapporto tra partito e imprese, con un feeling molto stretto con le cooperative che ruotano attorno al sistema degli appalti delle dighe mobili. La sua storia inizia nel Pci veneziano e segue tutte le svolte, fino al Pd, partito cui non si è più iscritto per i dissidi con i dirigenti veneziani che lo hanno emarginato, anche se lo scorso anno è entrato in consiglio regionale, perché Andrea Causin è stato eletto deputato di Scelta civica di Monti e gli ha liberato la poltrona a Palazzo Ferro Fini. Proprio la campagna elettorale del 2010 ha trascinato nei guai Marchese, che dovrà rispondere dell’accusa di aver ricevuto 58 mila euro dal Consorzio Venezia Nuova, senza che la somma fosse iscritta nel bilancio come finanziamento elettorale violando così la legge. Secondo quanto si apprende, il finanziamento a Marchese è confermato negli interrogatori da uno degli indagati della prima tranche dell’inchiesta, Pio Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova e consulente della cooperativa «Coveco» nella cui contabilità è stato rintracciato il passaggio di denaro. Finanziamento ufficiale (cioè con relativa fattura numerata) si difendono gli indagati, in realtà, per l’accusa, frutto dei pagamenti del CvN sulla base di false fatturazioni Coveco. Nelle carte dell’ inchiesta compare anche la riproduzione di un appunto cartaceo scritto a mano, sequestrato nel luglio 2013 ad una dipendente del Coveco, con le «erogazioni»effettuate dalla coop fino all’11 ottobre 2011. In esso si leggono i nomi di Marchese, ma anche quelli del consigliere regionale del Pd Lucio Tiozzo (33mila euro), della Fondazione Marcianum (100mila euro), il polo pedagogico- accademico fondato a Venezia dall’allora patriarca Angelo Scola, il Pd provinciale di Venezia (33mila) e il Premio Galileo a Padova (15mila euro). In proposito, il consigliere del Pd Lucio Tiozzo ha dichiarato di aver ricevuto il finanziamento in modo lecito, e di averlo dichiarato ufficialmente al Consiglio Veneto, per i successivi adempimenti, in occasione delle regionali 2010. Tutto a posto. Ieri il Pd di palazzo Ferro Fini ha preso posizione sulla vicenda dopo una riunione del gruppo, che ha deciso di espellere Marchese dal gruppo del Pd, da cui si è autosospeso. «Non conosco i capi di imputazione, ma siamo di fronte a una giornata nera della politica in Veneto», dice Lucio Tiozzo. «Spero solo che l’inchiesta sia veloce e che riesca ad accertare tutte le responsabilità». Stefano Fracasso, dal canto suo, ripete che i «fatti contestati sono gravi e minano profondamente la fiducia dei cittadini, coinvolgono esponenti politici, dirigenti pubblici regionali e statali, alti gradi delle forze dell’ordine e soggetti del mondo economico. Emerge con sempre maggior chiarezza », sottolineano i consiglieri regionali del Partito Democratico, «come la concessione di opere pubbliche senza procedure di gara trasparenti possa generare forme di finanziamento illecito, di distorsione di fondi pubblici, di interessi privati in atti pubblici». L’ultimo riferimento è all’inchiesta che ha portato all’arresto di Marchese: «Il gruppo consiliare del Pd conferma la propria fiducia nel lavoro dei magistrati, augurandosi che possa concludersi in tempi rapidi, e ricorda che il consigliere regionale Giampietro Marchese, arrestato ieri mattina, da oltre due anni non era più iscritto al Partito Democratico. Confidiamo che possa dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati». Masono in molti, a Venezia, a chiedersi come mai la direzione regionale lo abbia ricandidato nel 2010.Unapolemica che è destinata a divampare.
parla baratta: il problema è l’assenza di controlli
«Sono vicino a Orsoni, è persona onesta»
VENEZIA «Il vero problema del nostro Paese è che nei lavori pubblici mancano i controlli di tipo amministrativo. È per questo poi che si verificano vicende come questa legata al Mose che magari per responsabilità di singoli che si sono inseriti in questa mancanza di controlli, finiscono per coinvolgere direttamente anche amministratori come nel caso del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni – a cui va la mia vicinanza in questo momento e che sono certo, conoscendolo, non può personalmente aver commesso reati che smentiscano la sua onestà». Paolo Baratta, presidente della Biennale, “assediato” ieri anche dalla stampa non per commentare la Mostra di Architettura che iniziava la sua vernice, ma per un commento ai clamorosi arresti decisi dalla magistratura per l’inchiesta in corso sull’uso dei fondi per il Mose – tra cui appunto quello del sindaco di Venezia – ha parlato da ex ministro dei Lavori Pubblici, che ben conosce la materia. «Il problema non è l’istituto della concessione unica per i lavori di salvaguardia in laguna affidato al Consorzio Venezia Nuova – ha detto Baratta – anche perché questo tipo di concessione esiste da tempo per molte opere pubbliche e rende teoricamente maggiormente “esposto” chi la detiene. Il problema, è, appunto, la mancanza di controlli, tanto che da ministro avevo pensato alla creazione di un’Authorithy di garanzia proprio per i controlli amministrativi sulle opere pubbliche. Lo stato si affida a leggi rigide e a meccanismi stabiliti, ma poi non si preoccupa più di verificare nei vari passaggi l’andamento degli appalti assegnati. Persino nei project financing affidati ai privati, invece, esiste la figura del project manager che ha proprio lo scopo di controllare le varie fasi amministrative degli interventi». (e.t.)
Baita in manette racconta il sistema
L’inchiesta che ha terremotato la politica del Veneto nasce con l’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani costruzioni, una delle più importanti aziende italiane nel settore delle grandi opere. Il manager, arrestato nel marzo del 2013, dopo alcuni mesi passati in silenzio, decide di rispondere alle domande dei magistrati e svela il sistema che lega il consorzio Venezia Nuova con la politica: scattano il blitz con l’arresto Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, e si arriva ai conti depositati nelle banche di San Marino: dopo un anno scatta la grande retata con gli arresti.
Magistrato alle Acque, controlli-truffa
Il segnale premonitore: quando negli uffici dell’istituzione furono trovati i dipendenti del Consorzio Venezia Nuova
Lo scandalo – Durante il suo primo mandato Cuccioletta fu messo sotto inchiesta dal pm Casson: nel mirino consulenze e appalti senza gara
I VELENI – Piva, rimossa nel 2008 dal ministro Matteoli, denunciò di avere subito pressioni perchè «aveva sollevato dubbi sulle cerniere del Mose»
PRESTAZIONI – A prendere compensi per il collaudo delle dighe mobili anche Angelo Balducci, poi coinvolto nell’inchiesta sui lavori del G8
Alberto Vitucci – VENEZIA Due presidenti arrestati. Una macchia pesante nella storia del Magistrato alle Acque, all’epoca della Serenissima una delle istituzioni più importanti per la difesa della città e della sua laguna. Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta, che hanno governato per 12 anni l’ufficio lagunare dei lavori pubblici, sono stati arrestati con accuse pesanti. Corruzione e denaro ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova, il concessionario unico che avrebbero dovuto controllare. I due hanno avuto un ruolo determinante nell’approvazione dei progetti definitivi ed esecutivi del Mose. Con qualche scintilla. Come quando la Piva, rimossa dal suo ufficio nel 2008 dal ministro Matteoli per far posto a Cuccioletta, denunciò pubblicamente di avere avuto pressioni e di essere stata allontanata perchè «aveva sollevato dubbi sulle cerniere ». Il cuore del sistema su cui si erano concentrate le critiche degli oppositori alla grande opera per le sue tecniche di costruzione. Era arrivata in laguna alla fine degli anni Novanta, poi nominata responsabile dell’Ufficio Salvaguardia, quello che controlla le pratiche e i progetti del Consorzio, la legittimità degli interventi e delle spese. Il primo ottobre del 1999 arriva in laguna Patrizio Cuccioletta. E subito si imbatte nello scandalo di Torcello. Ferro e cemento per riparare le antiche rive in mattoni. Cuccioletta finisce anche nell’inchiesta avviata dal pm Casson – e poi prescritta – sui lavori e sulle consulenze affidate senza gara, ma anche sui rapporti con il concessionario. I finanzieri avevano scoperto allora che i tecnici del Consorzio lavoravano negli uffici del Magistrato alle Acque. Con una commistione poco istituzionale tra controllore e controllato. Il ministro Nerio Nesi lo mette sotto inchiesta, e alla fine lo allontana dalla laguna. Al suo posto arriva Maria Giovanna Piva, nominata dal governo Berlusconi con il plauso della Regione di Galan. «La prima donna presidente». Sorrisi e decisione, sette anni di governo finché nel 2008 torna Matteoli e torna anche Cuccioletta fino al 2011, anno in cui va in pensione. Un sistema che per dodici anni ha controllato ogni aspetto dei progetti del concessionario. E governato in particolare il Comitato tecnico di Magistratura, organo interno al Magistrato con una quarantina di esperti nominati per chiamata che approvano i progetti prima di inviarli a Roma. La polemica scoppia nel 2006, quando proprio questi organismi si pronunciano sulla bontà del progetto Mose, su richiesta del ministro Di Pietro. Che nomina anche una commissione speciale, composta da 10 ingegneri della III sezione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. «Anche sulle responsabilità di quei tecnici va fatta chiarezza», chiedevano qualche mese fa i comitati, «come sui componenti di tutte le commissioni che hanno approvato il Mose ignorando ogni critica». «Il Mose va fermato », dice senza mezzi termini Andreina Zitelli, docente Iuav ed ex commissario nazionale Via, «quel progetto non ha mai avuto una Valutazione di Impatto ambientale positiva ». Chiarezza richiesta anche sui tanti collaudatori del Mose, chiamati direttamente dal Magistrato alle Acque. Sotto il regno di Cuccioletta a prendere compensi per il collaudo del Mose c’erano anche Fabio De Santis e Angelo Balducci, l’ex presidente del Consiglio superiore poi coinvolto nell’inchiesta sul G8.
Mazzacurati non voleva l’arrivo di D’Alessio
Settembre 2011. Telefonate, sfuriate, domande e dubbi. E anche un incontro con l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, per ostacolare la nomina del nuovo presidente del Magistrato alle acque, Ciriaco D’Alessio (foto), che ha cessato l’incarico nell’aprile del 2013. Un nome non gradito quello di D’Alessio – perché ritenuto ostile – a Giovanni Mazzacurati, che fino ad allora aveva avuto un potere fondamentale, con i giusti agganci a Roma, per la nomina del presidente del Magistrato alle acque. Per cercare di avere maggiori informazioni sulla nomina, Mazzacurati chiama anche Mauro Fabris, già capogruppo Udeur. «Il mitico D’Alessio», dice Fabris, attuale presidente del Consorzio, garantendo il suo interessamento. Contro la volontà di Mazzacurati, a capo del Magistrato alle Acque sarà nominato D’Alessio. (f.fur.)
la lunga carriera dell’eurodeputato Lia Sartori evita l’arresto grazie all’immunità dell’Ue
Avrebbe ricevuto 25 mila euro per la campagna elettorale 2009 con una fattura falsa
VENEZIA Nella polvere è finita anche lei, la regina di Forza Italia del Veneto, fedele alleata di Giancaro Galan e Renato Chisso: Amalia (Lia) Sartori si è salvata dall’arresto perché gode dell’immunità di europarlamentare fino al primo luglio. Candidata alle elezioni del 25 maggio scorso, non è stata rieletta perché il partito di Berlusconi ha mandato a Strasburgo Elisabetta Gardini con un plebiscito di preferenze e poi Remo Sernagiotto, vera sorprese della competizione elettorale. La Sartori qualche giorno fa era in piazza delle Erbe a Padova a sostenere la campagna elettorale di Massimo Bitonci assieme a Renato Brunetta, capogruppo Fi alla Camera. Battuta lo scorso anno nella sfida a sindaco di Vicenza da Achille Variati, Lia Sartori dovrà ora difendersi dalle accuse che i magistrati di Venezia le hanno contestato A Lia Sartori , viene contestato di aver indebitamente percepito 25mila euro come finanziamento occulto della sua campagna elettorale per le Europee del 2009, sempre con fatture false del Co.Ve.Co: l’esponente politica allora del Pdl sarebbe stata perfettamente consapevole dell’illegittimo finanziamento elargitole dal Consorzio Venezia Nuova. Ma secondo gli atti d’accusa la Sartori avrebbe ricevuto illecitamente complessivamente dal Consorzio Venezia Nuova 200mila euro per varie campagne elettorali sia come Pdl che come Forza Italia. Tutte accuse che lei è convinta di poter smontare,maper poter procedere con la richiesta di arresto la magistratura dovrà attendere l’insediamento del nuovo parlamento Ue: tutto verrà deciso tra qualche mese, anche perché vanno prima nominate le commissioni. A Vicenza, la Sartori ha lottato per escludere dalla liste Fi il collega Sergio Berlato, poi passato con Fratelli d’Italia, una sfida destinata a cambiare il sistema delle alleanze nel centrodestra vicentino. Siamo all’ultima tappa di una lunga carriera: Lia Sartori entra in politica nel Psi come grande rivale di Gianni De Michelis: è la prima e la più giovane donna a ricoprire l’incarico di assessore regionale, di vicepresidente della giunta e di presidente del consiglio regionale del Veneto. Siamo nella prima repubblica, quelle delle tangenti delle autostrada A4 e della bretella per Tessera che spazzerà via Psi e Dc. Come assessore alla viabilità e ai trasporti nel 1986-1987 è nominata primo presidente della Aeroporto Marco Polo (Save) di Venezia, dopo la privatizzazione. Perso il partito, nel 1994 entra in Fi con Renato Chisso e Renato Brunetta e viene eletta eurodeputata di Forza Italia e Pdl fino al 2014 per tre legislature. (al.sal.)
Savioli e il ruolo delle cooperative rosse
Al centro la San Martino di Chioggia: «Milioni per garantire la sinistra romana e locale»
VENEZIA Non solo «il sistema Galan». Ma anche il «coté» dell’ex Pci/ Pds/Ds, ora Partito Democratico. Tra i destinatari delle misure cautelari molti fanno riferimento al centrosinistra: da Lino Brentan, ex amministratore delegato della Venezia-Padova, all’ingegnere ferrarese Gino Chiarini; dal consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese a Pio Savioli, il Greganti delle cooperative rosse del Veneto. Al centro del meccanismo alcune imprese legate al mondo della sinistra: la Cooperativa San Martino, consorziata nel Coveco, Clodia scarl, Coed mare Nuova Coed mar. Dalle oltre 700 pagine dell’ordinanza dei magistrati veneziani emerge che il sistema escogitato di Mazzacurati teneva da conto il mondo delle coop rosso: «Mazzacurati si rapportava con le quattro realtà principali del consorzio – racconta Baita – ovvero le tre imprese maggiori più il gruppo delle cooperative rosse, che, pur non avendo una quota rilevante, era molto rilevante negli equilibri generali». E ancora Piergiorgio Baita, nell’interrogatorio del 28 maggio 2013, spiega: «Condotte copre con la sua quota il Coveco, cioè le cooperative rosse che hanno il compito di rapportarsi con la sinistra romana e locale». L’interlocutore privilegiato, usato per oliare i rappresentanti del centrosinistra, è la cooperativa San Martino di Chioggia, presieduta da Stefano Boscolo Bacareto, specializzata in lavori subacquei. Anche Pio Savioli racconta: «Si recuperavano 15 euro in San Martino per Marchese » Ogni quanto? «Tre o quattro mesi». Per quali importi? incalza il magistrato: «Faccio prima a dire la cifra: mi pare che siamo arrivati a 180 mila » risponde il manager. Un meccanismo che, secondo le deposizioni, tra il 2005 e il 2007 avrebbe succhiato solo dalle casse della cooperativa circa 600 mila euro di provvista per la politica. Ma gli importi ricostruiti dai magistrati portano a cifre superiori ai 3 milioni di euro per «garantire» l’equilibrio del sistema. La regola consortile era di «retrocedere» il 5-6 per cento sui lavori in sasso, il 50-60% degli importi per prestazioni di servizi, il 50-60% nelle istanze di anticipazione di riserve. Sovrafatturazioni decise dopo che Mazzacurati, Mazzi, Baita e Tomarelli trovano la mediazione tra le richieste di politici e funzionari ed esigenze delle imprese. (d.f.)
Il ruolo dell’EX SEGRETARIO REGIONALE
Ruscitti, l’uomo della sanità per il Consorzio
Partecipò a un pranzo con Mazzacurati e Zanonato dove si parlò dell’ospedale di Padova
Arrivato alla segreteria regionale della Sanità per l’“incidente” capitato a Franco Toniolo, Giancarlo Ruscitti rimane a sua volta coinvolto in un “incidente” anche se ben più rumoroso. Toniolo viene coinvolto in una vicenda giudiziaria che parte nel 2006 a Trento e nell’ambito della quale viene arrestato il manager della sanità privata Giuseppe Puntin, insieme alla moglie e al presidente del consiglio comunale di Rovereto Fabio Demattè. La procura ipotizza un giro di mazzette e Toniolo, numero due della sanità veneta, resta coinvolto quando viene individuato come “mister To”. Tutti immaginano l’inizio di una tangentopoli veneta. Ma così non sarà. Rimane,comunque, scoperto un posto di prestigio nella sanità regionale. Da Roma arriva Ruscitti. Lo porta a Venezia l’amicizia con Antonio Padoan, all’epoca direttore generale dell’azienda sanitaria di Mestre e Venezia, uomo vicino Lia Sartori e Giancarlo Galan. Il nuovo segretario è l’uomo che cerca di cambiare il sistema degli appalti nella sanità lanciando quelli di Area Vasta. In particolare quelli del “calore” (energia) che vengono vinti dai soliti noti con, in prima fila, la Gemmo impianti. Chiusa l’era Galan a palazzo Blabi, Ruscitti è il primo a prendere il largo trasferendosi a Roma per guidare una struttura sanitaria. L’inchiesta sul Mose, dopo l’arresto di Giovanni Mazzacurati, porta però alla luce una consulenza dello stesso con il Consorzio Venezia Nuova da 200mila euro all’anno. E il nome di Ruscitti torna, sempre nell’ambito di questa inchiesta, per la sua presenza a un pranzo al ristorante Le Calandre di Padova che ha come argomento il nuovo ospedale di Padova. Siede con Flavio Zanonato, il rettore del Bo Giuseppe Zaccaria, Pio Savioli e Mazzacurati. Personaggi, questi ultimi, che poco sembrerebbero a che fare con il mondo della sanità. Ma la composizione del tavolo sta a esemplificare come i grandi lavori facevano in ogni caso riferimento al dominus del Consorzio Venezia Nuova che, in ambito sanitario, si avvaleva della consulenza di Ruscitti.
La rabbia del Pd sotto choc
«Chi ha sbagliato paghi»
I giovani renziani Moretti e DeMenech: nuove regole contro la corruzione
Casson: bisogna avviare i controlli nella fase preventiva degli appalti
Albino Salmaso – PADOVA Rabbia, delusione sconcerto: a Venezia, come a Roma il Pd è sotto choc e ci vuole l’orgoglio di Alessandra Moretti per ribadire che ora tocca alla generazione di Renzi voltare pagina e «approvare le nuove regole anticorruzione invocate dal commissario Cantone». La «questione morale», l’ultima eredità berlingueriana, rischia di affondare nelle acque della laguna, come scrive in un tweet alle 8,42 Davide Sassoli, giornalista-eurodeputato Pd: «Dopo Expo, arresti anche per il Mose: voglio una Repubblica fondata sul lavoro, non sulle tangenti». L’inchiesta sul Mose ha travolto il sindaco Giorgio Orsoni e il consigliere regionale Giampietro Marchese e la più sopresa è la senatrice Laura Puppato: «Mi stupisce che tra le figure coinvolte ci sia il sindaco Orsoni, sulla cui moralità non avevo dubbi e sul quale sospendo il giudizio. Dall’inchiesta sul Mose viene fuori la parte peggiore della politica del passato e tutti gli errori sulle infrastrutture. Quello che ho sempre contestato, fin da quando ero capogruppo Pd in consiglio regionale, è che per i lavori in Italia si sia sempre agito o in emergenza o con la legge obiettivo, in deroga alle normative, creando un’area opaca in cui venivano a mancare trasparenza e garanzie e in cui potevano proliferare meglio corruzione e infiltrazioni di ogni tipo. Questa è la vecchia guardia, noi con Renzi stiamo voltando pagina», conclude la Puppato. Nei corridoi del Senato, Felice Casson non ha un attimo di tregua e alle tv spiega, anche come ex magistrato di Tangentopoli 1, che l’inchiesta di Venezia non può supplire al deficit di legalità della classe politica. «L’intervento repressivo non risolve i problemi della corruzione e del malaffare, serve una formazione culturale ed etica diversa. Soprattutto serve una fase preventiva di controllo che deve funzionare. La magistratura non può risolvere i problemi della società né quelli del terrorismo, della mafia, delle corruzioni, dei morti sul lavoro. Bisogna che la politica si faccia carico di queste situazioni. Però se la politica accetta di lavorare in maniera scorretta contro le norme, insieme al mondo economico, poi succede questo. Vengono sovvertite anche e regole del mercato, della libera concorrenza, e della eticità nella società non se neparla più». Alla Camera dei deputati il segretario regionale Pd Roger De Menech alle 11 convoca i parlamentari veneti e poi dichiara: «L’inchiesta sul Mose è un duro colpo per la buona politica, i fatti ripetono quello che è successo vent’anni fa, in un momento in cui stiamo facendo uno sforzo enorme per cambiare radicalmente strada al nostro paese. Nel pieno rispetto del lavoro della magistratura e della sua indipendenza, e nel rispetto delle singole persone coinvolte, va sottolineato che se qualcuno ha sbagliato deve pagare. Un ricambio nei modi e nelle persone del sistema di gestione non è solo auspicabile, ma appare indispensabile antidoto al malaffare dilagante. Da troppo tempo si profila un sistema veneto che coinvolge tutti i soggetti che da 20 anni hanno le mani sulle prospettive di sviluppo della nostra regione. È necessario che si intervenga in modo assolutamente radicale sulla gestione degli appalti. Le opere vanno fatte semplificando le procedure e nella massima trasparenza, la politica deve scommettere su una nuova classe dirigente che si assuma le responsabilità marcando in maniera netta la discontinuità con il vecchio sistema di potere. Quello che accade a Venezia ci fa capire, ancora una volta, che bisogna accelerare sul tema delle riforme dello Stato e del cambiamento radicale del Paese, dando fiducia anche a una nuova classe dirigente regionale, in grado di gestire in maniera trasparente e efficace le opere necessarie per lo sviluppo del Veneto. Seguendo attentamente l’evolversi della situazione, da segretario regionale chiedo che venga fatta chiarezza nel più breve tempo possibile in modoche si possano distinguere nettamente i corrotti dagli onesti», conclude DeMenech. L’ultima parola ai deputati veneziani Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, Andrea Martella, Michele Mognato, Sara Moretto, Delia Murer e Davide Zoggia: «Siamo sconcertati: i fatti disorientano ed indignano una città intera, il Veneto e l’Italia. Siamo anche stupiti per il coinvolgimento del sindaco di Venezia, ed amareggiati dal punto di vista umanoe personale. Ci auguriamo che la magistratura proceda col suo lavoro e con tutti gli accertamenti necessari a chiarire e definire in tempi brevi la responsabilità dei singoli, la natura e la gravità delle imputazioni. Apparteniamo ad un partito e sosteniamo un governo che ha voluto nominare un magistrato a presidente dell’ Autorità nazionale anticorruzione ». Insomma, Raffaele Cantone non si occuperà solo dell’Expo di Milano ma anche del Mose di Venezia.
L’OPPOSIZIONE
Idv: chi sa parli
Bottacin: così crolla il sistema consociativo
«La politica non si può girare dall’altra parte, come ha fatto in passato, il Veneto non è immune dalle nuvole che si addensano su progetti milionari e intrecci tra mondo degli affari e della politica», commenta Antonino Pipitone (nella foto), capogruppo regionale dell’Idv «l’anno scorso, quando esplose il caso Mose, dicemmo che si scorgevano all’orizzonte i prodromi di una tangentopoli veneta. E chiedemmo al presidente del Consiglio regionale di convocare una seduta straordinaria sulla questione. Ora ribadiamo questa richiesta, preoccupati più che mai. La nostra politica non si rifugi nel silenzio. Se qualcuno ha avuto contributi economici o altre implicazioni con personaggi o aziende coinvolte in questa bufera si faccia avanti e lo dica». «Lo scandalo Mose dimostra più che mai la necessità di gare e concorrenza, unico argine alla gestione opaca dei soldi pubblici », fa eco Diego Bottacin, consigliere regionale di Verso Nord «emerge chiarissima la conferma di un patto consociativo tra diverse forze politiche e l’asservimento di buona parte del sistema di potere (non solo politico) veneto alla pratica della spartizione senza gara delle grandi commesse pubbliche. Oltre al danno, assai rilevante, costituito delle risorse tolte alla costruzione delle opere per finanziare partiti, candidati, fondazioni e via elencando, c’è un danno forse più profondo e strutturale inferto al nostro sistema economico ed è costituito da anni di “selezione” delle imprese più fedeli a scapito di quelle più capaci. Forse questa scossa darà al Veneto la possibilità di passare da un sistema fiduciario e medievale a un sistema moderno ed europeo ».
Tosi: «Lega pulita ma istituzioni devastate»
Il sindaco cita il caso Giacino e attacca i primi cittadini Pd: loro solidali a senso unico, io garantista
VERONA «L’effetto negativo sulle istituzioni e sulla politica è che si rischia che il cittadino percepisca che tutta la classe politica e tutte le istituzioni sono corrotte ». È il commento del sindaco di Verona e segretario veneto della Lega, Flavio Tosi, al ciclone politico-giudiziario del Mose. «Se poi dici che è colpa delle norme relative gli appalti è ancora peggio»,ha aggiunto Tosi auspicando «che venga fatta chiarezza prima possibile, perché in Italia il dramma in queste vicende è l’enorme lunghezza delle procedure penali. Comunque se alla fine degli accertamenti risulterà che qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi». «Sicuramente», ha continuato «c’è una parte delle persone coinvolto e che verrà assolta, lo dicono le statistiche. Il problema è che questo esito si avrà tra anni e questo per colpa delle norme e delle procedure penali, che sono troppo lunghe ». Il sindaco leghista ha ribadito che «ci vogliono tempi rapidi e certi. A maggior ragione quando sono coinvolte la dignità e l’onorabilità delle persone ». «Sono esemplari», ha aggiunto «le parole di un uomo dello stato come l’ex vicecapo della Polizia, Nicola Izzo, il quale è stato imputato di accuse pesantissime e a distanza di anni è stato prosciolto completamente da tutto. Ha detto che non ha trionfato la giustizia: quello che gli è stato tolto in termini personali e di carriera professionale non glielo restituirà nessuno». «La speranza è che il lavoro dei magistrati sia rapidissimo, per restituire la verità ai cittadini. Fermo restando che noi eravamo garantisti nei casi che hanno riguardato anche Verona e rimaniamo garantisti in generale per coerenza. C’è invece chi è garantista in base all’appartenenza politica o meno» ha concluso Tosi. Il suo ex vicesindaco, Vito Giacino, è in carcere per concussione dal 17 febbraio e il veronese allude alla circostanza in chiave polemica: «C’è una schizofrenia nelle dichiarazioni dei sindaci del Pd, alcuni sindaci importanti del partito democratico portano solidarietà personale al collega Giorgio Orsoni, in altri casi quando qualcuno ha espresso vicinanza umana a chi è stato coinvolto in vicende simili è stato accusato di complicità o altro, e tutti sanno a cosa mi riferisco ». Non è tutto. Tosi ha poi evidenziato che «Dare la colpa alle norme, come ha fatto qualche esponente del Pd, non ha senso. In realtà la disonestà è un fatto individuale, come anche la responsabilità penale è legata alle singole persone ». «Quindi on si può imputare alle norme di emergenza il fatto che ci sia la corruzione, ammesso che ci sia, perché vale la presunzione d’innocenza, finchè non ci sarà l’esito definitivo del processo penale». È tutto? No: «Qualcuno tira addirittura in ballo il ballo il governatore Luca Zaia, che non c’entra assolutamente nulla in questa vicenda. Dare la colpa a Zaia per l’arresto dell’assessore di un altro partito, è vera- Il sindaco di Verona Flavio Tosi mente assurdo».
Zaia revoca Chisso «Mai più assessore»
Lo sconcerto del governatore: «Un quadro fuori da ogni immaginazione»
Sospesi dal servizio i tre funzionari regionali Fasiol, Artico e Casarin
LA RISPOSTA AI DEMOCRATICI
Guardino a casa loro prima di dare giudizi sugli altri. Emerge nell’inchiesta una certa trasversalità di comportamenti
RIMPASTO ENTRO L’ESTATE
Questa mattina giunta straordinaria per fare il punto Per ora il presidente trattiene tutte le deleghe alle Infrastrutture
Daniele Ferrazza – VENEZIA Il governatore del Veneto Luca Zaia rientra da Barcellona per ritirare le deleghe all’assessore regionale Renato Chisso e sospendere i tre funzionari regionali coinvolti nella inchiesta che ha decapitato il Veneto. «Per quanto mi riguarda l’assessore ha finito di fare l’assessore » sibila durante la conferenza stampa convocata nel tardo pomeriggio a Palazzo Balbi. Meno di due ore prima era atterrato a Venezia: durante il volo ha letto alcuni stralci dell’ordinanza dei magistrati e si è fatto un’idea. Appena sceso cerca al telefono il Procuratore della Repubblica Luigi Delpino. «La cosa più sconcertante è quella dello stipendio: sapere che politici sarebbero stati regolarmente stipendiati dalle imprese mi riempie di rabbia» confida al termine dell’incontro con i giornalisti. Zaia è stato avvertito all’alba dai suoi collaboratori che una retata di proporzioni bibliche si stava abbattendo sul Veneto: «Mi sveglio molto presto, ma non è stato un buon risveglio, lo ammetto» spiega mostrando un volto stanco e irritato per le inevitabili speculazioni che stanno manifestando. «L’opposizione chiede le mie dimissioni: prima di fare dichiarazioni avventate, la sinistra guardi in casa propria e alla certa traversalità che affiora. Io sono onesto, non sono mai entrato in una banca svizzera. Sono fatti estranei alla mia condotta personale e politica» aggiunge il governatore. «Avrei potuto stare a Barcellona ed aspettare l’esito della candidatura di Cortina ai mondiali di sci – aggiunge – .Ho preferito saltare sul primo aereo, procedere con gli atti dovuti e incontrare la stampa» rivendica il presidente della giunta regionale, nel giorno probabilmente più difficile della sua lunga carriera politica. Alle 17.30 firma i decreti di sospensione dell’assessore regionale Renato Chisso e dei funzionari regionali Giuseppe Fasiol, direttore del dipartimento riforma del settore trasporti, Giovanni Artico, direttore del dipartimento di coordinamento operativo recupero ambientale e territorio e di Enzo Casarin, capo della segreteria di Chisso. Una procedura avviata, ai sensi della Legge Severino, dopo che gli uffici regionali hanno ricevuto dalla Procura della Repubblica la comunicazione delle misure restrittive a carico dell’assessore e dei funzionari regionali. Una procedura che, nel giro di pochi giorni, porterà alla sospensione dalle cariche e dagli incarichi funzionali e al dimezzamento dello stipendio base. Ai dipendenti regionali verrà corrisposta unicamente una diaria giornaliera, in attesa dell’esito dei procedimenti penali. Luca Zaia parla di «tsunami », di «ecatombe», di «spaccato inquietante»: concede il beneficio garantista a tutti e mostra «assoluta, totale e piena fiducia nel lavoro dei magistrati », ammette di «non aver mai avuto contezza» di questo fenomeno. «Non voglio fare Alice nel paese delle meraviglie, ma tutte le situazioni che non ci sono apparse chiare le abbiamo segnalate alla Procura: ho mandato più di cento esposti alla magistratura, nessuno su questa vicenda. Mai avrei immaginato che alcune imprese pagassero con regolarità alcuni politici. Se fosse dimostrato questo quadro sarebbero oltrepassati tutti i limiti». Ricorda che all’inizio del suo mandato mandò due lettere circolari a tutti i dipendenti regionali: «La prima prevedeva il divieto ad incontrare fornitori, consulenti e imprese al di fuori delle sedi istituzionali; la seconda per spazzare via una consolidata condotta di millantato credito» che faceva apparire strani personaggi in collegamento con la parte politica della Regione. E Galan? «Penso a tutti i proclami che abbiamo sentito da lui in questi anni».E non aggiunge altro. Il presidente della giunta regionale annuncia per questa mattina una giunta straordinaria, «per riflettere e fare il punto ». Esclude ogni rimpasto, rivendica per ora a sè tutte le deleghe ma non intende conservarle a lungo. Nei suoi ragionamenti sembra prevalere l’attesa di qualche settimana e poi la nomina di un nuovo assessore al posto di due. Con un occhio alla lunga campagna elettorale che lo aspetta.
Endrizzi: «Ripensare le grandi opere»
Il senatoreM5Spunta il dito: il Mose di Venezia è un treno senza freni che corre a folle velocità
PADOVA Giovanni Endrizzi, senatore padovano del Movimento Cinque Stelle, non si sottrae a una riflessione sull’arresto del primo cittadino di Venezia Giorgio Orsoni, che è stato assegnato ai domiciliari. «Come componente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama», afferma Endrizzi, «non posso non rilevare che, in base alla legge Delrio, il sindaco Giorgio Orsoni si troverebbe automaticamente a fare pure il sindaco della Città metropolitana di Venezia, che costituirebbe quasi una mini-Regione, con competenze molto appetibili in materia di appalti». Ma non è finita. «Con la riforma del Senato che il premier Renzi vorrebbe far approvare », continua Endrizzi, «il sindaco di Venezia verrebbe nominato anche senatore, all’insegna di una concentrazione di poteri in capo a pochissime persone. Una sorta di club ristretto, con le stesse persone ad occupare più ruoli di comando. Noi del Movimento Cinque Stelle siamo da sempre contrari al cumulo degli incarichi. D’altra parte, chiediamoci, quale qualità del lavoro potrebbe garantire uno che si divide tra più poltrone? ». Nel mirino di Endrizzi finisce anche il sistema di elezione delle Province che verrà attuato, sempre in base alla legge Delrio, nei prossimi mesi: «Saranno i sindaci a eleggere il nuovo presidente di questi enti. Già i cittadini possono scegliere il loro sindaco in un’offerta limitata – basti pensare al fatto che domenica, nel ballottaggio di Padova, si sfideranno Rossi e Bitonci, mera espressione dei partiti – se si toglie loro pure la possibilità di indicare i presidenti di Provincia, si riducono gli spazi di democrazia. E quando il controllo dei cittadini si affievolisce », punta il dito l’esponente pentastellato, «si affievolisce pure l’efficacia della spesa pubblica». Ma qual è la lezione che si può trarre da questa ondata di arresti? «Questa classe politica », afferma Endrizzi, «si è ripromessa solo di fare grandi opere, esprimendo una volontà di spendere a tutti i costi. Io credo davvero che si debba arrivare a una moratoria dello spreco di denaro pubblico. Spero che nessuno, d’ora in avanti, voglia insistere in questo tipo di spese. Occorre bloccare le opere pubbliche che non sono essenziali. Non c’è l’urgenza di realizzare un Grande Raccordo Anulare attorno a Padova. Non c’è l’urgenza di costruire una camionabile tra Padova e Venezia. Per non ritrovarci a breve con nuove emergenze alluvione, la priorità va data ai 4000 chilometri di argini che devono essere messi in sicurezza». E del Mose cosa bisogna fare? «Il Mose», risponde il senatore Endrizzi, «è un treno senza freni lanciato a folle velocità. Anche in questo caso si è voluto fare il progetto più costoso. Per questo alla fine costerà di più». Claudio Baccarin
LE REAZIONI IN CONSIGLIO REGIONALE
Choc forzista: «Mazzata terribile»
Bond: mi fido nei giudici, serve una svolta. Padrin: più trasparenza
Il presidente dell’assemblea Ruffato: pagina nerissima che incrina il rapporto fiduciario dei cittadini
VENEZIA Clima di piombo in Consiglio regionale. «Un bruttissimo colpo, una mazzata alla credibilità del sistema politico, sono preoccupato e amareggiato». Dario Bond, il capogruppo di Pdl-Forza Italia Veneto, non nasconde il turbamento per la tempesta giudiziaria che ha investito figure importanti dello schieramento berlusconiano: Giancarlo Galan, Lia Sartori, Renato Chisso; quest’ultimo, aderente al suo gruppo. Qual è la radice della corruzione? «Le responsabilità, tutte da accertare, sono sempre personali. Tuttavia, un’opera faraonica realizzata attraverso il sistema del concessionario unico, beh, lascia adito a molti dubbi e favorisce situazioni di scarsa trasparenza ». Ma la politica cosa ha fatto per prevenire il malaffare? «Ognuno deve svolgere il proprio mestiere, ai giudici spetta l’applicazione del diritto, l’assemblea regionale ha il compito di legiferare. Nelle scorse settimane, Forza Italia Veneto ha presentato un progetto di legge che prevede il voto del Consiglio su ogni project siglato per realizzare grandi opere pubblico. E’ un provvedimento che consentirà a tutti l’accesso agli atti, garantendo maggiore trasparenza rispetto al passato. Credo sia un passo nella giusta direzione». L’altra faccia di FI è quella di Leonardo Padrin che guida il gruppo degli azzurri tout court:«Da tempo circolavano i rumors di un terremoto politico- giudiziario imminente, certo l’effetto è devastante. Quando si è conclusa l’esperienza del Pdl e abbiamo ricostituito il gruppo consiliare forzista, ci siamo posti il problema delle regole, dei percorsi amministrativi necessari a garantire il rispetto della legalità nelle grandi opere, sollevando anche la questione dei financing project e del loro onere per le casse pubbliche». Sentore di irregolarità, voci di manovre poco chiare? «Voci, appunto. In presenza di appalti così ingenti, la concessione unica alimenta qualche dubbio, magari anche dei sospetti, manon è facile distinguere il vero dal falso in un Paese in cui ogni cantiere che si apre è accompagnato da un comitato che chiede la sospensione dei lavori». Galan, il fondatore di Forza Italia in terra veneta, rischia di finire in carcere: «C’è il rammarico, per lui e per gli altri, nessuno dovrebbe gioire quando una persona è travolta dagli eventi. Spero si evitino strumentalizzazioni elettorali: la politica è battaglia di idee e di programma, qui siamo in una dimensione diversa, estranea alla dialettica istituzionale». Sì a Palazzo Ferro-Fini piovonopietre. Oltre all’assessore Chisso è finito in carcere anche il consigliere Giampietro Marchese, veterano del Pd. Visibilmente scosso il presidente dell’assemblea, Clodovaldo Ruffato: «Èunabrutta giornata per le istituzioni regionali,non possiamo rimanere indifferenti agli arresti e alle incriminazioni, la magistratura veneziana ha dimostrato, una volta ancora, grande serietà perché ha agito dopo indagini scrupolose evitando accuratamente di interferire con le consultazioni elettorali. Certo, è uno schiaffo all’immagine del Veneto ma dobbiamo ripartire da qui per rafforzare i sistemi di controllo amministrativo e la trasparenza nelle procedure ». «Vicinanza umana alle persone colpite, che conosciamo. Osservo che Giunta e Consiglio non sono direttamente coinvolte nell’illegalità perché questo sistema di appalti era gestito dal Consorzio Venezia Nuova in qualità di concessionario unico del ministero. Lo dico per amore di verità, ma nonè una consolazione. I cittadini faticano a distinguere i piani istituzionali e questa vicenda, temo, incrina ancor più il rapporto fiduciario». (f.tos.)
Il governo: ultimare il Mose senza ritardi né aggravio dei costi
Il ministro Lupi: opera essenziale. Fassino «assolve» Orsoni
Deputati forzisti con Galan. M5S: «Larghe intese in manette»
Alfano punge: «Alcune forze politiche sono state colpite dopo il voto, altre prima»
IL COMMISSARIO Cantone: Grandi lavori uguale grandi deroghe Nella lotta alla corruzione il codice degli appalti è da ripensare perchè fa acqua da tutte le parti
Filippo Tosatto – VENEZIA Il Mose di Venezia come l’Expo di Milano. Grandi opere minacciate e inquinate dal verminaio di una corruzione che appare senza fine. Il ciclone politico- giudiziario scuote i palazzi della politica ed è Maurizio Lupi a puntualizzare la posizione del Governo Renzi: «Ovviamente, come è giusto che sia, riferiremo puntualmente al Parlamento tutto ciò che è a nostra conoscenza e per quanto ci sarà chiesto », dichiara da Bruxelles il ministro alle Infrastrutture «la corruzione va combattuta fortemente, nel contempo però devono essere realizzate le grandi opere, perché non si tolga anche la speranza che l’Italia possa tornare ad essere un grande Paese». Il futuro del Mose in bilico? «Niente affatto, le indagini vadano avanti ma l’opera che salva Venezia è ormai realizzata all’85% ed è completamente finanziata, ora va ultimata nella più totale trasparenza, entro i tempi previsti e senza aumento dei costi». Anche il ministro dell’Ambiente commenta la vicenda: «Mi ha impressionato la vastità dell’iniziativa della magistratura », le parole di Gianluca Galletti «se il quadro fosse confermato, saremmo di fronte a un fenomeno molto grave. Ma soprattutto rilevo che ogni volta che in questo Paese c’è un’opera pubblica di grandi dimensioni, dalla magistratura ci si passa. Qualcosa non va e credo che il comitato anticorruzione debba partire da questo dato preoccupante. Le procedure, così come sono formulate, non funzionano ». «Dove ci sono le grandi opere si sono anche grandi deroghe dietro le quali spesso si annida la corruzione», rincara «con dispiacere » il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, convinto che «il codice degli appalti è da ripensare, perché ormai fa acqua da tutte le parti». «Lo stiamo riscrivendo e sarà una riforma radicale dell’attuale normativa, troppo farraginosa», assicura il viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini, segretario del Psi. La via maestra? «Sradicare le condizioni che permettono il proliferare del malaffare. Norme chiare e semplici che permettano di fermare la corruzione e nello stesso tempo di realizzare tutte le opere di cui l’Italia ha bisogno», il parere del responsabile sicurezza del Pd, EmanueleFiano. Venezia sommersa dalle tangenti, imputati eccellenti, che dividono e fanno scalpore. Così il gruppo parlamentare di Forza Italia alla Camera esprime «solidarietà e vicinanza» a Giancarlo Galan, raggiunto da una richiesta d’arresto: «Il nostro partito è da sempre baluardo della libertà e del garantismo. Siamo certi che l’onorevole Galan saprà dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli vengono imputati », sostengono i berlusconiani. Clamoroso l’arresto del sindaco democratico di Venezia: «Chiunque conosca Giorgio Orsoni e la sua storia personale e professionale, non può dubitare della sua correttezza e della sua onestà», ribatte Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’Anci, sicuro che «la magistratura giungerà rapidamente a stabilire la verità dei fatti, consentendogli di tornare alle sue funzioni istituzionali». Più cauto il primo cittadino di Firenze Dario Nardella, che lamenta peraltro come i sindaci siano «Continuamente esposti in un lavoro in prima linea, che spesso comporta anche pesanti responsabilità». Chi spara a zero, denunciando l’irriformabilità di un sistema corrotto alle radici, è il M5S: «Larghe intese in manette», graffia su Facebook Luigi Di Maio, il vicepresidente grillino della Camera, alludendo alle incriminazione sull’asse Forza Italia-Pd «il nostro movimento si occupa del Mose da quando è nato, su quell’opera abbiamo sempre mostrato preoccupazioni inmerito alla sua utilità e ai meccanismi d’appalti. Come per l’Expo e la Tav. Cos’altro devono fare questi partiti per non meritare più il voto dei cittadini italiani? ». Duro anche Nichi Vendola, il leader di Sel: «Siamo prigionieri di questa gabbia fatta di corruttori, di corrotti, di tangentisti. È un sistema che va scardinato ». Sereno il segretario del Carroccio, uscita immune dallo scandalo: «Fatti gravissimi, cui la Lega è estranea, sull’onestà di Luca Zaia sarei pronto a mettere le mani sul fuoco». Nota finale di Angelino Alfano: «Alcune forze politiche hanno avuto il privilegio di subire gli arresti dopo la campagna elettorale. In questo, la procura di Venezia è stata molto corretta», punge il ministro dell’Interno, indispettito dalle manette a Paolo Romano, presidente del Consiglio campano ed esponente di Ncd, scattate alla vigilia del foto.
L’ ex sindaco e i manager L’onda tocca la Marca
Sono trevigiani quattro degli arrestati e un indagato. I ruoli dell’ex primo cittadino, di Sutto (Zero Branco), Rismondo (Preganziol) e Savioli (Villorba)
TREVISO. Quattro arrestati e un indagato. Sono 5 i nomi trevigiani, nell’inchiesta sulle tangenti del Mose. Ma uno lo è solo di nascita (Chiarano): il consigliere regionale del Pd Giampiero Marchese, 57 anni, in cella.
Custodia in carcere per Giovanni Artico, 53 anni, già uomo della Dc, funzionario della Regione e collaboratore dell’assessore Chisso, sindaco di Cessalto dal 2002 al 2011. Secondo gli inquirenti, si sarebbe messo a disposizione di Piergiorgio Baita (presidente della Mantovani) e di Claudia Minutillo, segretaria di Galan, per accelerare l’iter delle bonifiche dei canali di Marghera, competenza del suo ufficio (era commissario ai canali Portuali della grande navigazione, nominato dalla Regione) e affidate alla Mantovani. Come compenso, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto due utilità. L’assunzione della figlia Valentina nella Nordest Media srl, controllata da Mantovani, e consulenze di società della Mantovani per l’avvocato trevigiano Rizzardo del Giudice «suo amico». Del Giudice, raggiunto ieri, si dice «molto sorpreso». «Conosco Artico, certo, ho lavorato per la Mantovani, peraltro per me cliente marginale», ricorda, «la Mantovani acquistò un’area da un mio cliente. Ho tutta la documentazione, non capisco cosa mi possa essere addebitato».
Federico Sutto, 61 anni di Zero Branco, già arrestato nel 2013 per false fatturazioni, era per le Fiamme Gialle l’uomo che incassava le somme di denaro versate dalle aziende (fra cui la Selc di Marghera, il cui manager Andrea Rismondo, residente a Preganziol , che è tra gli arrestatil). E su mandato di Mazzacurati avrebbe distribuito mazzette a magistrati, generali della Finanza e politici (Chisso, Orsoni e Sartori). E ancora, a mo’ di «corriere», recuperava le somme da destinare a mazzette. Ben 9 gli episodi contestati
A Sutto, ex segretario di Gianni De Michelis, già sindaco di Zero Branco ed ex segretario del Psi trevigiano prima della storica Tangentopoli. Lo hanno arrestato ieri mattina alle 4, a Zero, e la sua casa è stata perquisita per ore . Il nuovo provvedimento fa ritenere che i magistrati siano convinti che non abbia raccontato tutto (Sutto aveva collaborato con gli inquirenti). Oggi sarà interrogato dal gip, in carcere a Venezia. «Per gli inquirenti le sue dichiarazioni non sono state soddisfacenti», dice il suo legale, Gianni Morrone, «le contestazioni riguardano campagne elettorali non determinate, chiariremo tutto al gip».
Indagato, anche se ha ben 10 reati contestati, Pio Savioli, 70 anni, ingegnere emiliano residente a Villorba, consigliere del cda del consorzio Venezia Nuova, esponente delle coop (in passato fu nella Cna e nel Pd villorbese, da cui fu sospeso un anno fa). Per i magistrati avrebbe concordato con Mazzacurati e gli altri indagati pagamenti ai politici (Milanese, Chisso, Galan, Orsoni, Sartori) magistrati (Cuccioletta e Giuseppone).
Ad Andrea Rismondo, 52 anni, biologo marino, amministratore della Selc di Marghera , che abita a Preganziol in via Leopardi 28, l’ordinanza contesta di aver versato soldi, speso a Savioli ma anche a Sutto, che andavano poi sotto forma di mazzette e e contributi ai controllori dei lavori del Mose e a politici , fra cui Marchese. Per lui 3 episodi criminosi contestati
Dalla Dc alla Regione Artico a Cessalto votato e contestato
CESSALTO. Incredulità e sconcerto a Cessalto ed in tutto l’Opitergino – Mottense, per la notizia dell’arresto di Giovanni Artico, sindaco di Cessalto dal 2002 al 2012.
Artico, 53 anni, nato a Cessalto, dirigente d’azienda, è ora funzionario della Regione. Cresciuto politicamente nella Dc, per anni è stato assistente parlamentare di ministri e di parlamentari veneti, fra cui Lino Armellin. A Roma si è ”fatto le ossa”, entrando poi a far parte del gruppo dei funzionari regionali.
Negli anni di primo cittadino era stato nominato Commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Marghera: 120 ettari di terreno inquinato nella laguna veneziana, da recuperare e valorizzare anche grazie a finanziamenti della Ue.
Sono impressionati i cessaltini per le notizie che sono piombate nel paese di confine fra La Marca e il veneziano.
Nelle due elezioni Artico aveva ricevuto consensi plebiscitari. Da sindaco, Artico ha contribuito a dare sviluppo al paese con iniziative che erano finite spesso anche agli onori delle cronache nazionali. Il riconoscimento più simpatico fu senz’altro la pagina di Topolino, dove il sindaco era stato disegnato con le sembianze di uno dei personaggi Disney più famosi, perché nel 2009 Cessalto era risultato il Comune riciclone vincitore assoluto della classifica nazionale, stilata da Legambiente.
Un riconoscimento contestato dall’allora collega sindaco di Chiarano, Gianpaolo Vallardi. Sua anche l’iniziativa, pure questa assurta agli onori delle cronache, di togliere le tasse comunali che i commercianti ed i piccoli artigiani, avrebbero dovuto versare al Comune.
Su domanda da parte dei commercianti, il Comune aveva provveduto a restituire quanto versato. Quasi tutte le associazioni dei commercianti d’Italia erano state a Cessalto per copiare e valorizzare l’iniziativa, mirata a dare respiro ai commercianti di Cessalto, in crisi per la concorrenza dei vicini centri commerciali. Contestatissimo invece il progetto, anche questo avviato dada Artico nei suoi mandati, di dare spazio nella maxizona industriale di Cessalto, ad un impianto di produzione energetica di Sorgenia.
E innescò forti polemiche anche un’altra sua l’iniziativa, alla fine non decollata: la realizzazione di una nuova strada di collegamento fra l’Opitergino e il Veneziano, che avrebbe dovuto passare a sud del bosco di Olmè. Fra i grandi contestatori del progetto, affossato successivamente dalla crisi economica, e dalla mancanza di fondi, anche il poeta Andrea Zanzotto e lo scrittore Mario Rigoni Stern. Ma Artico, pur fra accese opposizioni interne, era stato per due volte votatissimo a Cessalto, paese che il primo cittadino ha contribuito a togliere dall’isolamento creato dalla sua particolare posizione geografica. Nel 2012, allo scadere del secondo mandato, Artico aveva accompagnato al successo l’attuale sindaco Franca Gottardi che aveva sbaragliato gli avversari con un programma amministrativo in continuità con quanto svolto da Artico.
Ieri, inatteso, lo choc. In paese, ieri, non si parlava d’altro.
Giuseppina Piovesana
Il Veneto delle losche intese
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4
giu
2014
Le notizie sugli arresti di Chisso, Orsoni e altri 35 nomi “illustri” costituiscono un colpo al cuore alla cricca veneta del cemento e del malaffare. Un risultato reso possibile anche e soprattutto grazie alle lotte all’azione di denuncia di tanti comitati territoriale del Veneto come il nostro.
Gli arresti però non bastano a fermare le grandi opere, il sistema è ben collaudato per andare avanti sempre e comunque. Ora dobbiamo ottenere una vera e propria Moratoria, e la possiamo ottenere solo mettendo in campo una mobilitazione forte e diffusa.
Il primo appuntamento è la manifestazione contro le Grandi Navi indetta per sabato 7 giugno a Venezia (concentramento ore 13.00 a Piazzale Roma).
Opzione Zero aderisce e invita tutti a mobilitarsi.
Dopo quello che sta accadendo in queste ore è ancora più importante esserci in tantissimi. Vi chiediamo di segnalare la vostra partecipazione con una mail a info@opzionezero.org
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COMUNICATO STAMPA OPZIONE ZERO – 04 GIUGNO 2014
IL VENETO DELLE LOSCHE INTESE
Colpita al cuore la cricca del cemento e del malaffare in Veneto.
Dopo anni di lotte e di denunce da parte dei Comitati, finalmente si chiariscono le responsabilità non solo politiche di un sistema veneto marcio da capo a coda.
Ormai è chiara l’equazione Grandi Opere – Malaffare
Si fermino subito i grandi progetti che minacciano il Veneto, a cominciare dall’autostrada Orte-Mestre
Il Comitato Opzione Zero esprime grande soddisfazione per le notizie sulla nuova fase giudiziaria relativa al filone grandi opere: finalmente si è arrivati al livello politico della Regione Veneto.
Il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del Mose, è stata la madre di tutte le nefandezze, la prima pietra su cui si è costruito un sistema malavitoso di intrecci politico-affaristici che ha portato poi alla proliferazione di appalti milionari per opere devastanti quanto inutili.
Il Veneto, è stato ed è il laboratorio nazionale dove si sono messi a punto a livello normativo e istituzionale i meccanismi più feroci di depredazione: dal project financing (che ricordiamo funziona anche sui servizi alla persona, come per gli ospedali) ai recenti project bond che stanno per essere introdotti a salvataggio del debito del Passante di Mestre.
Da anni i comitati territoriali del Veneto denunciano questo verminaio, le responsabilità del blocco politico che ha retto la Regione Veneto negli ultimi 20 anni e le complicità del principale partito di opposizione. Nomi e cognomi: Forza Italia, Lega Nord, Partito Democratico, Galan, Chisso e Zaia.
Si parli di Pedemontana, Passante, camionabile, Orte-Mestre, Veneto City, Ospedale dell’Angelo…le ditte aggiudicatrici degli appalti e i politici che hanno avvallato questi progetti sono sempre gli stessi.
Gli arresti di queste ore costituiscono indubbiamente un colpo al cuore della “cricca” veneta del cemento. Un risultato frutto anche dell’impegno di tanti cittadini e attivisti dei comitati che con coraggio hanno messo a nudo il sistema delle grandi opere e dei grandi appalti svelando gli intrecci tra politica e impresa, denunciando i trucchi finanziari, i conflitti di interesse, l’illegalità delle procedure.
Dal Veneto, alla Lombardia, a tutta l’Italia ormai è evidente e conclamata l’equazione tra Grandi Opere e Malaffare. Ma gli arresti non bastano. Ora è’ necessario fermare subito le grandi opere e i grandi progetti speculativi, a cominciare dall’Autostrada Orte- Mestre, da Veneto City, e dalla pericolosa operazione di indebitamento che riguarda il Passante di Mestre.
Opzione Zero, insieme agli altri comitati del Veneto, rilancia quindi una mobilitazione forte per chiedere una Moratoria sulle grandi opere e lo stop al Project Financing.
Il primo appuntamento è già fissato: tutti a Venezia il 7 giugno per la Manifestazione contro le grandi navi.
Nuova Venezia – Appalti e tangenti nel Veneto
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31
mag
2014
Corruzione, la pista di An sull’ex ministro Matteoli
Le accuse di Baita e Mazzacurati: al costruttore cinque le mazzette destinate al politico toscano. I due accomunati dalla militanza in Alleanza nazionale
VENEZIA – L’imprenditore che raccoglieva le mazzette anche dalle altre società per consegnarle poi, stando alle accuse che il Tribunale dei ministri del Veneto dovrà provare, all’ex ministro Altero Matteoli è il romano Erasmo Cinque, amministratore unico dal 1970 della «Socostramo srl» (Società costruzioni strade moderne) ed ex presidente dell’Associazione costruttori edili del Lazio: anche lui è indagato per corruzione e il suo difensore, l’avvocato romano Pietro Pomanti, ha già chiesto di poter fare copia dei due faldoni di atti che già i difensori dell’ex ministro, gli avvocati romani Giuseppe Consolo e Francesco Compagna e il veneziano Gabriele Civello, hanno già fotocopiato ed esaminato. A raccontare che sarebbe stato Matteoli a insistere per far inserire da parte del Consorzio Venezia Nuova l’impresa romana tra quelle da chiamare per le bonifiche dei terreni inquinati di Porto Marghera e che le tangenti raccolte dal costruttore della capitale erano per l’esponente di Alleanza nazionale al governo sono stati l’ex presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati e l’ex presidente della «Mantovani» Piergiorgio Baita. Entrambi conoscono bene la vicenda delle bonifiche del polo industriale lagunare perché avevano fatto in modo che il Magistrato alle acque di Venezia concedesse quegli appalti al Consorzio senza alcun bando di gara, come se si fosse trattato di interventi per la salvaguardia della laguna, di cui l’associazione d’imprese guidata da Mazzacurati era concessionario unico per legge. Oltre ai racconti dei due manager veneti, c’è una circostanza difficilmente smentibile che mette Matteoli accanto a Cinque: per anni i due hanno militato nello stesso partito, Alleanza nazionale. Non solo: sono stati nelle stesso periodo nell’organo dirigente del partito, allora guidato da Gianfranco Fini, l’Assemblea nazionale. Matteoli, oltre ad essere parlamentare, era inserito quale coordinatore regionale del partito in Toscana, mentre Cinque come esponente dell’Ufficio studi e coordinamento. Si conoscevano e si frequentavano. E a interessarsi di loro già alcuni anni fa erano stati alcuni parlamentari dei Verdi, che avevano chiesto al ministro dei Trasporti per quale motivo il direttore delle Ferrovie dello Stato avesse concesso una consulenza da 400 milioni a Cinque per la liquidazione dell’«Immobiliare Lazio», una società legata all’azienda statale dei trasporti. Gli avvocati di Matteoli, che al governo è stato sia al dicastero dell’Ambiente sia a quello delle Infrastrutture e Trasporti (sempre con presidente del Consiglio Silvio Berlusconi), hanno già preannunciato che prima di presentare l’ex ministro per l’interrogatorio invieranno la prossima settimana al Tribunale di Venezia, ai giudici Monica Sarti (presidente), Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi, una memoria difensiva in cui contestano la ricostruzione dei fatti prospettata dai pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Il Tribunale dei ministri dovrà valutare se la notizia di reato che riguarda Matteoli e Cinque sia fondata o meno.
Giorgio Cecchetti
Incarichi alla compagna, altri guai per Clini
La società di due dei referenti italiani del progetto New Eden, tramite un consorzio di cui faceva parte, avrebbe dato incarichi professionali e consulenze a Martina Hauser, la compagna dell’ex ministro Corrado Clini. È per quest’ipotesi che gli inquirenti di Ferrara hanno indagato l’ex ministro dell’Ambiente anche per corruzione. Quello venuto alla luce ieri è un filone d’inchiesta autonomo rispetto a quello per peculato che è costato l’arresto a Clini nei giorni scorsi, che invece ipotizza una distrazione di 3 milioni dai fondi per 54 milioni destinati al progetto ambientale in Iraq, appunto New Eden. Per la contestazione della corruzione (un’ipotesi di reato per cui l’ex ministro è indagato anche a Roma) Clini era già stato interrogato a Ferrara: a ottobre ai magistrati aveva risposto di non esser a conoscenza di nulla. Fulcro di questa nuova tranche d’indagine è una società, con sede a Ferrara, di cui sono soci Augusto Pretner e Claudio Gonella.
Nuova Venezia – Baita-Mantovani: l’inchiesta accelera. Sviluppi imminenti.
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29
mag
2014
La collaborazione di Minutillo e Buson si è rivelata utile nella ricostruzione del complesso di illeciti
VENEZIA – L’ex ministro dell’Ambiente, prima, e delle Infrastrutture, poi, sarebbe finito nei guai per gli interventi di bonifica per il rilancio delle aree industriali dismesse di Porto Marghera, lavori per i quali lo Stato ha stanziato oltre un miliardo di euro e per le quali non si è mosso soltanto Altero Matteoli, ma anche il veneziano Corrado Clini (finito in manette proprio alcuni giorni fa per peculato), sia in qualità di direttore generale sia di ministro dell’Ambiente. Già all’epoca avevano fatto discutere i metodi utilizzati, in particolare quello di aver affidato gli appalti da parte del Magistrato alle acque al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico sì ma soltanto per gli interventi per la salvaguardia della laguna e non di tutti i lavori importanti nell’area veneziana. Invece, il Consorzio aveva fatto la parte del leone anche per le bonifiche e tra le imprese la «Mantovani » era stata tra quelle più «fortunate». Non è un caso, quindi, che l’ex presidente del Consorzio e l’ex presidente dell’azienda edile padovana, dopo essere stati arrestati, il primo per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale e il secondo per turbativa d’asta, per riottenere al più presto la libertà abbiano vuotato il sacco riferendo anche in quale modo fossero riusciti ad ottenere quegli appalti milionari. E se davvero hanno versato bustarelle non sarebbero arrivate solo così in alto, ma cifre considerevoli si sarebbero fermate anche nelle tasche di altri, che non essendo ministri, finiranno probabilmente sotto inchiesta con il rito ordinario. L’inchiesta dovrebbe subire un’accelerazione nelle prossime settimane proprio sulla base delle dichiarazioni di Claudia Minutillo, di Nicolò Buson e dei due ex presidenti, tutti finiti in manette tra il febbraio e il luglio dello scorso anno. I quattro, alla fine, hanno scelto di collaborare e avrebbero fornito agli inquirenti numerosi riscontri a circostanze che le «fiamme gialle» coordinate dai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, avevano già ricostruito e anche nuovi elementi, per i quali sono stati avviati altri accertamenti in modo da trovare riscontri alle affermazioni testimoniali.
( g.c.)
Gazzettino – Malaffare in Laguna. Conti criptati sequestrati all’estero.
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29
mag
2014
I SOSPETTI Non è indicata alcuna accusa, indagati anche Baita e Buson
L’INTERESSATO «Nulla da nascondere, ho chiesto di poter essere interrogato per chiarire»
I PM DI VENEZIA – Un avviso di garanzia e gli atti al Tribunale per i reati ministeriali
L’INCHIESTA La svolta politica dopo le ammissioni di Baita e le dichiarazioni di Giovanni Mazzacurati
Piergiorgio Baita ex presidente della Mantovani spa, è un uomo libero dopo aver patteggiato un anno e 10 mesi di reclusione, pagando di tasca propria 400mila euro. Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, da oltre due mesi è oltreoceano con la moglie, dopo aver dovuto sopportare anche la morte prematura del figlio Carlo, regista di fama internazionale. Sono gli uomini chiave dell’inchiesta sul Mose. I verbali dei loro interrogatori, tuttora coperti dal segreto istruttorio, hanno fornito molte conferme – assicurano fonti accreditate – alla massa di indizi raccolti grazie alle indagini condotte dai magistrati lagunari Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, permettendo di aggredire il livello politico. Sia locale che nazionale. La svolta è vicina? O è solo questione di tempo, quello legato alle scadenze elettorali, tanto per non incorrere nell’accusa della “solita” giustizia a orologeria? Si parla dell’imminenza di arresti eccellenti in grado di sconvolgere gli equilibri economici-finanziari ben oltre i confini del Veneto. L’inchiesta che punta a scoperchiare quella che potrebbe essere la nuova Tangentopoli in salsa veneta, avevano spiegato gli inquirenti, è partita come spesso succede, da una “banale” verifica fiscale in un’azienda di Chioggia, la Cooperativa San Martino impegnata nella costruzione delle bocche di porto del Mose.
Due le date fondamentali. Il 28 febbraio 2013 quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria stringono le manette ai polsi di Baita, accusato di aver frodato il fisco con fatture false per 8 milioni di euro. Con lui finiscono in cella anche Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan quando era a capo della Giunta del Veneto, Nicola Buson allora direttore amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della Bmc Broker, una delle “cartiere” utilizzate da Mantovani con sede a San Marino. Passano circa 4 mesi e il 12 luglio 2013, tocca a Mazzacurati che solo pochi giorni prima aveva rassegnato le dimissioni dal vertice di Cvn dopo un trentennio di governatorato ininterrotto. Il reato che gli viene contestato è la turbativa d’asta per aver pilotato un appalto per l’assegnazione di lavori in ambito portuale. Il tutto sullo sfondo di quel Mose che una volta completato, nel 2016, costerà 5 miliardi e mezzo di euro. Un moloc in grado di fagocitare finanziamenti e generare fondi neri milionari per ottenere una sorta di pax sociale. Ecco spuntare elargizioni ad associazioni, fondazioni, iniziative. A “libro paga” un vice questore che passava informazioni sotto banco. Si è persino parlato di un generale a tre stelle della Guardia di Finanza, in pensione. E politici. Mancavano le prove. Ora ci sarebbero con tanto di conti correnti criptati all’estero individuati e sequestrati.
Mose, indagato l’ex ministro Altero Matteoli
A Venezia se ne parla da mesi, dei possibili sviluppi della maxi-inchiesta su Mose, Consorzio Venezia Nuova e Mantovani, con relativo, supposto coinvolgimento anche della politica. Ora un primo aggancio ai “palazzi” è arrivato: la Procura di Venezia ha infatti avvisato l’ex ministro Altero Matteoli, 74enne, per anni in ruoli chiavi nei governi Berlusconi, della trasmissione di un fascicolo a suo carico al competente Tribunale dei ministri. Il primo passo previsto dalla legge in caso di indagini su un ministro o un ex ministro per presunti reati connessi all’esercizio delle sue funzioni governative.
Dopo gli arresti dell’anno scorso, prima per le false fatturazioni della Mantovani, poi per la turbativa d’asta contestata al Consorzio Venezia Nuova, al lavoro sui possibili seguiti di quelle inchieste c’è la Guardia di Finanza guidata un pool di tre magistrati: Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini. Ebbene, nel caso di Matteoli, il filone sarebbe quello seguito dalla dottoressa Tonini, più legato al Mose, di cui Matteoli si è occupato a lungo, come ministro all’Ambiente e poi alle Infrastrutture. Al Tribunale dei ministri la Procura ha trasmesso gli atti, senza nemmeno ipotizzare un reato, come prevede la procedura. Massimo il riserbo degli inquirenti veneziani. Di certo, in questi mesi, sono state raccolte molte testimonianze importanti, a cominciare da quella di Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati, rispettivamente ex presidenti di Mantovani e Consorzio Venezia Nuova. Il nome di Matteoli potrebbe essere emerso risalendo al percorso dei finanziamenti. All’ex ministro potrebbero essere stati versati fondi attraverso un giro di società a lui collegate. Nei giorni scorsi, l’avviso di trasmissione del fascicolo è stato notificato, oltre che a Matteoli, anche a Piergiorgio Baita e Nicolò Buson, l’ex direttore amministrativo della Mantovani. Evidentemente tra i coindagati di questo filone. Ora sarà il Tribunale dei ministri – composto da tre giudici sorteggiati nel distretto – a dover valutare gli atti in un’ottica inquirente. Potrebbero non ravvisare alcun reato e chiedere l’archiviazione. Oppure ritenere che non ci sia un reato ministeriale e restituire gli atti alla Procura. Terza ipotesi, nel caso ipotizzino un reato ministeriale, il tutto finirà a Roma per l’autorizzazione a procedere. Per questa valutazione il Tribunale dei ministri ha tre mesi, a cui aggiungere, eventualmente, i tempi romani per l’autorizzazione. Ci sarà da attendere, insomma, anche perché la procedura in qualche modo “congela” anche le posizioni degli eventuali coindagati per reati connessi.
Intanto Matteoli ha già chiesto, attraverso i suoi legali, di essere sentito dalla Procura di Venezia. «Nei giorni scorsi ho ricevuto notizia di un procedimento che mi vedrebbe coinvolto – ha confermato ieri l’ex ministro -. Non avendo nulla da nascondere e non avendo mai percepito alcunché, ho richiesto tramite i miei legali di essere sentito dai magistrati di Venezia, davanti ai quali mi presenterò nei prossimi giorni per chiarire la mia posizione e per fornire ogni chiarimento che mi verrà richiesto».
Monica Aldolfatto
IL RITRATTO DELL’UOMO POLITICO
Quei 20mila euro elettorali subito restituiti al Consorzio
Dopo l’arresto di Mazzacurati spuntò un finanziamento del 2006 tornato però al mittente. Una grande attenzione per la salvaguardia
Non si può dire che Altero Matteoli, livornese di Ceccina, si sia risparmiato – da ministro – per Venezia e i grandi appalti del Consorzio Venezia Nuova. A rischio di scivolare su una buccia di banana che le cronache del 2013 liquidarono come un incidente da uffici stampa. Era la fine di luglio. Giovanni Mazzacurati, l’uomo potente che controllava gli affari della salvaguardia dall’acqua alta, era finito in carcere per favoritismi in un appalto. Il pentolone degli intrecci politico-economici ribolliva come non mai e agli ambientalisti era facile chiedere una verifica sulle attività del Consorzio.
Tre giorni prima che Mazzacurati fosse interrogato dal Pm Paola Tonini, il Consorzio aveva diffuso un elenco di contributi elettorali pagati fino al 2008. Zelo comunicativo per allontanare il sospetto di finanziamenti a pioggia ai politici che contano, e per dimostrare che da cinque anni non un euro era finito ai partiti. In quell’elenco apparve il nome di Altero Matteoli per 20 mila euro versati il 16 marzo 2006 al suo Comitato elettorale. Era stato ministro dell’Ambiente dal ’94 al ’95 e dal 2001 al 2006 con Berlusconi. Passato Prodi, era pronto a tornare nel governo, ai Trasporti (2008-2011). Sempre in posti che contano.
La notizia dei 20 mila euro, che pure avrebbe potuto essere dirompente, per il nome del personaggio e per il fatto che si era occupato di questioni ambientali del Consorzio, in realtà venne liquidata con un comunicato. E una richiesta di scuse. Scrisse allora Matteoli: «Il contributo regolarmente elargito nel 2006 dal Consorzio Venezia Nuova a sostegno della mia campagna elettorale, quale candidato alle elezioni per il Senato della Repubblica, è stato interamente restituito non appena ricevuto a cura del mio mandatario». Che anzi indicò prove inconfutabili: «Quanto affermo è facilmente verificabile ed è stato riportato nelle dichiarazioni che i candidati devono depositare, a norma di legge, presso le Corti di Appello competenti (nella fattispecie quella di Firenze) e il Parlamento». Un piccolo “giallo”, non fosse altro che per capire quali ragioni avessero indotto il Consorzio a elargire 20 mila euro (salvo poi riprenderli ineffabilmente indietro). L’Ente non lo spiegò, ma si rammaricò via mail dell’accaduto, scusandosene «vivamente con il senatore Matteoli».
Il ministro ha sempre avuto un occhio di riguardo per le infrastrutture veneziane. Dal porto offshore ai finanziamenti al Consorzio tramite la Banca Europea degli Investimenti, nel 2011. Dai 400 milioni del governo per il Mose, nel 2010, alla produzione delle prime di 156 “cerniere” costruite da una società di Selvazzano Dentro per far alzare le paratie del Mose. Dai piani per le infrastrutture strategiche nel Veneto al Passante Autostradale di Mestre. Un occhio di riguardo ricambiato, ora, dalla Procura.
Giuseppe Pietrobelli
Nuova Venezia – Mantovani perde la gara per i guai di Baita
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13
mag
2014
Aziende in guerra» il caso
Tolto all’azienda padovana l’appalto della piattaforma logistica del porto di Trieste: «Non ha più i requisiti di legge»
Dopo numerosi ricorsi e l’apertura di un fascicolo in procura, I lavori sono stati riappaltati alla cordata Icop composta da Parisi, Interporto di Bologna e Cosmo Ambiente di Noale
TRIESTE – Clamoroso ribaltamento della Piattaforma logistica, quella che dovrà sorgere nell’area tra la Ferriera di Servola e lo Scalo Legnami. I lavori che in via provvisoria erano stati assegnati alla cordata Mantovani, Samer e Venice green terminal, in via definitiva vengono invece appaltati all’unica cordata concorrente, quella composta da Icop, Parisi, Interporto Bologna e Cosmo Ambiente di Noale. Ne ha dato notizia ieri pomeriggio l’Autorità portuale in una nota in cui si rileva che «l’aggiudicazione in favore del raggruppamento Icop è stata formalizzata a seguito dell’esclusione, all’esito delle verifiche di legge effettuate sulle dichiarazioni sostitutive ex articolo 38 del decreto legislativo 163/2006, del raggruppamento temporaneo di imprese con capogruppo l’impresa di costruzioni Mantovani spa che era stato dichiarato aggiudicatario provvisorio». Da parte di Icop era ben presto partito un fuoco di fila di reclami fin da una prima richiesta di esclusione della cordata Mantovani avanzata il 27 novembre e culminati con un preannuncio di ricorso al Tar e la diffida a procedere nei confronti dell’Autorità portuale. Per la diffida l’Icop traeva spunto da un articolo in cui si riferiva come l’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita avesse patteggiato una condanna a un anno e 10 mesi per associazione per delinquere finalizzata all’emissione di false fatture. Erano seguiti l’apertura di un fascicolo da parte del sostituto procuratore Federico Frezza e interrogazioni in Consiglio regionale. Il ribaltamento poteva già essere supposto dopo le dichiarazioni fatte in Comitato portuale l’11 aprile dal Responsabile unico del procedimento Eric Marcone: «Sulla Piattaforma logistica – aveva affermato – dopo le verifiche di legge ci sono delle sorprese. Saranno chiare quando adotteremo i provvedimenti necessari perché siamo giunti alle conclusioni che attendono ora solo la conferma da parte dell’Avvocatura dello Stato». E ieri si è pronunciata anche la presidente dell’Autorità portuale, Marina Monassi: «È con grande soddisfazione che possiamo annunciare questo risultato, frutto di un complesso e a tratti sofferto percorso, che da oggi però consentirà al nostro porto di svilupparsi ulteriormente con importanti ricadute anche sul piano occupazionale ». Monassi recentemente ha assicurato che nonostante il protrarsi della procedura, i 32 milioni alla fine stanziati dal Cipe non andranno perduti. Commenti soft da parte dei terminalisti triestini che facevano parte delle opposte cordate. «Sono a Londra e non sapevo di questa aggiudicazione definitiva a noi contraria – ha commentato Enrico Samer – è la Mantovani che ha guidato la cordata e ha seguito tutto l’iter. Per noi non è la fine del mondo, avevamo una partecipazione del 10% nell’associazione temporanea di imprese attraverso la Samer seaports& terminals che a propria volta è oggi controllata dal nostro partner turco. Quella sulla Piattaforma era un’operazione a lungo termine e questa decisione non crea gravi ripercussioni sulla mia società, la Samer& co. shipping». «Sono soddisfatto, è un progetto in cui crediamo molto altrimenti non avremmo partecipato – il commento invece di Francesco Parisi – ma potrò esprimermi meglio dopo aver valutato meglio questo risultato perché questo pomeriggio sono impegnato da un notaio fuori città». Ma il fatto che a vincere sia stato Parisi potrebbe ora cambiare addirittura il futuro sviluppo dell’intero porto di Trieste. «Noi in caso di successo – aveva dichiarato a novembre Francesco Parisi – pur non escludendo altre tipologie di traffico, punteremo forte sui container. Trieste non sarebbe né la prima né l’ultima città ad avere due terminal container. Tanto per restare qui vicino, è così anche a Venezia».
Silvio Maranzana
Damiano: «Decisione Incomprensibile. Ricorreremo al Tar»
«I vertici della nostra azienda sono stati totalmente rinnovati, ora possiamo agire con la testa alta»
TRIESTE Carmine Damiano, da oltre un anni presidente del consiglio d’amministrazione di Mantovani Spa, reagisce con stupore alla notizia dell’esclusione dai lavori del porto di Trieste. Già poliziotto e questore, non rinuncia alla frecciata polemica: «Apprendiamo la notizia dalle agenzie, nessuno l’ha comunicata formalmente al sottoscritto o all’azienda. Osservo che oltre due mesi fa, il Rup, cioè il responsabile unico del procedimento riguardante l’assegnazione dei lavori, che noi ci eravamo aggiudicati in via provvisoria, dichiarò testualmente“ Ne vedremo delle belle” al quotidiano di Trieste. Mi domando se un funzionario incaricato di una scelta così delicata possa anticipare dei giudizi alla stampa ». Pesa, evidentemente, la tempesta giudiziaria legata allo scandalo del Mose che ha travolto il suo predecessore Piergiorgio Baita… «Se fosse così, faccio notare che da un anno e tre mesi a questa parte, tutte le persone coinvolte a vario titolo nell’inchiesta sono state allontanate dalla Mantovani, il cui consiglio d’amministrazione è stato completamente rinnovato. Ma c’è di più. Secondo il Codice nazionale degli appalti, la verifica dei requisiti di legge riguarda il momento del bando di gara, in questo caso il 2012, quando anche i vecchi amministratori di Mantovani erano estranei alle indagini». Tant’è. Accetterete l’esclusione come ulteriore penitenza per i peccati compiuti da altri in passato? «Non credo proprio. La nuova Mantovani è un’impresa sana e capace, che dà lavoro a migliaia di persone e può girare a testa alta. Lo dimostra il lavoro che stiamo svolgendo all’Expo di Milano dove, in virtù della nostra professionalità, ci hanno affidato la realizzazione di un’opera di primo piano, che stiamo espletando dando prova di serietà e competenza ». Insomma, è prevedibile un ricorso al Tar contro la decisione triestina: «Direi che è assai probabile. Aspettiamo di conoscere le motivazioni di questa esclusione, li esamineremo con cura e poi agiremo con gli strumenti che la legge ci consente per esporre le nostre buoni ragioni». Aveva un qualche sentore dell’esclusione? «Assolutamente no e tuttora non ne comprendo il motivo».
«Revocate gli appalti alla Mantovani»
Mozione in consiglio comunale. Ancora in aula la delibera sul Parco della laguna
«Revocare ogni incarico alla Mantovani» Una mozione firmata da tutti i gruppi politici del Consiglio comunale, ad eccezione del Psi, chiede al sindaco di dare un segnale sulla trasparenza, togliendo – «dopo aver verificato che questo non comporti pregiudizio e danno per l’amministrazione» – ogni rapporto contrattuale, economico e di qualsiasi natura con la Mantovani spa e le sue collegate ». Iniziativa proposta dal consigliere del Gruppo misto Renato Boraso. Che ha chiesto di far luce su possibili irregolarità. Mantovani ha vinto l’appalto per la piastra dell’Expo di Milano, oggi sotto inchiesta, dice Boraso, la Corte dei conti sta indagando sul project financing dell’Ospedale all’Angelo di Mestre, affidato proprio a una società del gruppo. E indagini sono in corso sull’attività della società, primo azionista del Consorzio venezia Nuova, che hanno portato lo scorso anno agli arresti di manager della società e del presidente del Consorzio Venezia Nuova. Sulla Mantovani, conclude la mozione, è in corso anche un’indagine della commissione speciale del Comune. Dunque, meglio sospendere tutto. Nell’indagine sull’Expo è coinvolta anche l’impresa vicentina Maltauro, che ha in corso importanti lavori in città. Come la realizzazione del museo M9 a Mestre. La notizia dell’affidamento da parte di Polymnia srl, società della Fondazione Venezia, alla Maltauro spa di 30 milioni di lavori è stata pubblicata in questi giorni. «Ma non ci sono problemi, qui i lavori vanno avanti », hanno subito precisato alla società del Museo del Novecento. Di appalti e inchieste si è parlato ieri in Consiglio comunale, con la presentazione della mozione. Discussione fino a tarda sera sulla ormai famosa delibera per la costituzione del Parco della laguna Nord. Una valanga di emendamenti presentati dalle opposizioni, tempi lunghi e numero legale a rischio. Dopo tre rinvii, ieri sera sembrava la volta buona. «Il Parco non impone vincoli, ma offre prospettive di lavoro», ha ripetuto l’assessore Gianfranco Bettin. «Vogliamo garanzie sul Piano di gestione», replicano gli oppositori. Dibattito in corso fino a tarda ora.
(a.v.)
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