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Dopo tre mesi e mezzo Baita torna a casa

CASO MANTOVANI Ha parlato di tangenti per molti lavori, in particolare per un’opera di interesse nazionale

Baita, trema la Venezia degli appalti

Prime ammissioni e condizioni di salute peggiorate: l’ex presidente da ieri nella sua casa di Mogliano

SCARCERATO – Da ieri pomeriggio l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, ha lasciato il carcere di Belluno per andare gli arresti domiciliari. E ora qualche politico e imprenditore veneto inizia davvero a tremare.

AMMISSIONI –  Tra i motivi della scarcerazione anche i problemi cardiaci del manager. Certo è che Baita, accusato di un giro milionario di false fatturazioni, è stato interrogato due volte. E avrebbe fatto nomi eccellenti.

L’INCHIESTA – La Procura cerca riscontri. Il manager libero anche per ragioni mediche: soffre di problemi cardiaci

L’ex capo di Mantovani ai domiciliari. Avrebbe fatto i nomi di alcuni politici e leader di aziende di primo piano

Gli avvocati: detenzione incompatibile con la sua salute

Tra gli inquirenti bocche cucite e “secretati” tutti i verbali

Avrebbe fatto alcuni nomi importanti. La Procura a caccia di riscontri. A breve nuovo interrogatorio

L’INCHIESTA False fatture milionarie, l’ex presidente di Mantovani dopo tre mesi e mezzo lascia il carcere

Baita parla e va ai domiciliari

E ora qualche politico e imprenditore veneto inizia davvero a tremare. Da ieri pomeriggio l’ex presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita, ha lasciato il carcere di Belluno per gli arresti domiciliari nella sua abitazione di Mogliano Veneto. A concederglieli, dopo tre mesi e mezzo, è stato il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Alberto Scaramuzza, con parere favorevole del sostituto procuratore Stefano Ancilotto, il magistrato che sta conducendo le delicate indagini sulle false fatture milionarie utilizzate dalla società di costruzioni padovana con l’obiettivo – ritengono gli investigatori – di creare consistenti fondi neri che potrebbero essere stati utilizzati anche per pagamenti illeciti. Ed è proprio questo il filone delle indagini che si preannuncia ricco di novità a breve: è difficile interpretare in altro modo, infatti, l’uscita dal carcere del manager accusato di aver ideato e gestito direttamente il vorticoso giro di false fatturazioni. Baita è già stato interrogato due volte dal pm Ancilotto e dal collega che lo affianca nell’inchiesta, Stefano Buccini, ed evidentemente il suo racconto è stato più ricco di particolari e nomi di quanto sia trapelato finora dai verbali secretati e dal riserbo degli inquirenti.
Per le pesanti accuse che gli vengono contestate – associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale – Baita rischiava di restare in carcere per altri dodici mesi (o almeno fino alla sentenza di primo grado) a seguito della richiesta di rito immediato che ha prorogato di un anno i termini di custodia cautelare. I domiciliari sono stati concessi in quanto si sono attenuate le esigenze cautelari, cosa che normalmente avviene quando non vi è più la possibilità di inquinare le prove, ovvero dopo aver confessato.
In Procura le bocche sono tutte cucite e si tende a minimizzare il significato della scarcerazione; mentre uno dei difensori di Baita, l’avvocato Alessandro Rampinelli, spiega che tra i motivi che hanno spinto il gip a concedere i domiciliari vi sono le condizioni di salute del manager: una consulenza medica commissionata dai legali, infatti, ha concluso per una sua incompatibilità con la permanenza in carcere a causa di problemi cardiaci.
Soltanto nell’ultimo interrogatorio Baita ha parlato con i pm per oltre tre ore e mezza, fornendo un quadro generale del funzionamento del mondo degli appalti, nel quale il pagamento di “mazzette” è sempre più diffuso. Rispondendo alle domande dei magistrati su circostanze specifiche il manager avrebbe anche confermato episodi e nomi già riferiti da altri. Con molte probabilità ulteriori interrogatori seguiranno a breve.
Anche senza le confessioni dell’ex presidente di Mantovani, la Procura sarebbe, comunque, già in possesso di una montagna di elementi d’accusa, raccontati in particolare dagli altri indagati, tutti già tornati in libertà: Claudia Minutillo, vicepresidente di Adria Infrastrutture ed ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan; il padovano Nicola Buson, chiamato in causa in qualità di responsabile amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della sammarinese BMC Broker, società che ha prodotto una parte consistente delle false fatture utilizzate dalla Mantovani. L’estate si preannucia, dunque, particolarmente calda, e non soltanto sul fronte metereologico.

Gianluca Amadori

 

Tra ex ministri e vecchi portaborse

Il manager avrebbe “spiegato” alcuni appalti importanti, citando personaggi eccellenti di politica ed economia

I nomi ci sono, ma sono talmente “grossi” che, per ogni nome pronunciato da Baita, si stanno facendo tonnellate di riscontri. Il pm Stefano Ancilotto va con i piedi di piombo. Ma nonostante i verbali di Baita siano stati secretati, i nomi cominciano a filtrare e alcuni dei futuri indagati hanno già preso contatto con gli avvocati. Ma per uno che sa già di essere nel mirino, ce ne sono dieci che si aspettano il peggio e solo chi ha un seggio in Parlamento per ora è un po’ più tranquillo dal momento che la Procura deve mandare tutte le carte a Roma e serve l’autorizzazione a procedere. Tutti gli altri invece temono le manette. E dunque c’è grande movimento di avvocati più o meno illustri attorno alle aziende che hanno lavorato alle grandi opere del Veneto dell’era Baita. E se Baita ha deciso di parlare – e non ci sono dubbi – resta solo da vedere fino a che punto parlerà e chi coinvolgerà. Finora ha fatto interrogatori “selettivi”, chiarendo con meticolosa precisione il sistema degli appalti. Ha spiegato che per ottenere gli appalti pubblici non c’è altro sistema che pagare i partiti. Ha spiegato che pagano tutti. E per tutto. Ed ha acceso un riflettore su alcuni appalti importanti e su uno importantissimo. Per adesso la Procura si sta occupando di questo appalto “importantissimo”, che chiama in causa alcuni tra i nomi più importanti delle aziende e della politica nazionale. Si tratta di un’opera totalmente finanziata dallo Stato, la più grande – e la più discussa – che sia mai stata realizzata.
Nella “selezione” fatta da Baita sono già finiti i vertici delle imprese che lavorano a questa grande opera. A cominciare dall’uomo che da sempre guida la cordata che si è aggiudicata questo appalto miliardario. Ma poi c’è tutto il resto. E se è vero quel che sostiene Baita e cioè che tutti gli appalti pubblici sono “mazzettati”, allora la Procura di Venezia vorrà andare a vedere con Baita appalto per appalto, commessa per commessa. Il lavoro, dunque, è solo all’inizio dal momento che la Mantovani, di cui Baita era il supermanager, solo a Venezia ha partecipato alla costruzione di tutto e di più (Mose, nuovo ospedale di Mestre, parco di San Giuliano, tramvia, mega insediamento di via Torino). Ma in vent’anni la Mantovani ha vinto appalti dappertutto. Partecipa all’Expo di Milano 2015 per lavori pari a 165 milioni di euro.

Maurizio Dianese

 

IL BLITZ DEL 28 FEBBRAIO – Minutillo, la prima a rompere il muro del silenzio

L’operazione “Aria nuova” scatta all’alba dello scorso 28 febbraio con 4 arresti e decine di perquisizioni della Guardia di Finanza. All’inizio tutti scelgono la linea del silenzio: a rompere il fronte è Claudia Minutillo; poi scelgono di parlare Colombelli e Buson. Tutti stanno ora concordando il patteggiamento con il pm Ancilotto.
Baita ha cambiato linea verso la fine di maggio e i suoi iniziali difensori, Piero Longo e Paola Rubini, hanno rimesso il mandato, lasciando il posto ad Alessandro Rampinelli ed Enrico Ambrosetti.

 

Prime ammissioni sui beneficiari dei fondi neri.

I consulenti della difesa: condizioni di salute incompatibili con la detenzione

VENEZIA – Dopo 106 giorni di cella, Piergiorgio Baita, ieri pomeriggio, è uscito dal carcere di Belluno: l’ex presidente della “Mantovani spa” ha ottenuto gli arresti domiciliari dallo stesso giudice che aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere e frode fiscale, Alberto Scaramuzza. A chiedere l’attenuazione della misura erano stati i suoi due nuovi difensori, gli avvocati Alessandro Rampinelli ed Enrico Ambrosetti dopo il primo ed unico interrogatorio sostenuto dal loro cliente. Il pubblico ministero di Venezia Stefano Ancilotto ha dato parere positivo, anche perché i due medici che lo avevano visitato avevano già firmato una consulenza nella quale si afferma che le sue condizioni di salute sono incompatibili con la detenzione in carcere. Da ieri Baita è tornato nella sua villa a Mogliano Veneto ed è sottoposto ad un regime che prevede che non possa uscire di casa e non possa comunicare con altre persone, se non i suoi parenti. Fino al 30 maggio, qualche giorno dopo aver cambiato i suoi difensori (prima erano gli avvocati padovani Pietro Longo e Paola Rubini), Baita non aveva voluto rispondere alle domande degli inquirenti, trincerandosi dietro il diritto che tutti gli indagati hanno, quello di tacere. Giovedì 30 maggio, difeso dagli attuali avvocati Ambrosetti e Rampinelli, ha cominciato a rispondere alle domande del pm Ancilotto e ad ammettere alcune delle contestazioni mossegli con l’ordinanza di custodia cautelare. Ma al quesito sull’utilizzo dei fondi neri l’ingegnere non avrebbe voluto rispondere. Si dovrebbe trattare di circa sei milioni e mezzo di euro, ma la cifra è stata ricostruita dagli investigatori della Guardia di finanza in modo ipotetico, visto che ancora non hanno potuto entrare in possesso della documentazione bancaria richiesta per rogatoria alle autorità svizzere nelle cui banche si trovano i soldi di Baita. Non è escluso che dopo la scarcerazione, siano gli stessi difensori di Baita, come è accaduto per il primo incontro, a chiedere un secondo interrogatorio, durante il quale è fuori di dubbio che la prima domanda del pubblico ministero sarà: «A chi sono finiti quei sei milioni e mezzo di fondi neri costituiti con le fatture fasulle? Che cosa ne ha fatto?». Alcune indicazioni devono aver già dato gli altri tre indagati: il contabile della Mantovani Nicolò Buson, ad esempio, più volte sarebbe andato a Roma con Baita per eseguire pagamenti, sicuramente quelli che riguardano il giornale on line “Il Punto”, che gli inquirenti sospettano essere legato ad alcuni esponenti dei servizi segreti. In secondo luogo l’ex segretaria in Regione di Giancarlo Galan, poi lanciata come manager, che molti politici ha frequentato sia nella vita precedente, quella trascorsa a Palazzo Balbi, sia quella successiva da amministratore delegato di «Adria Infrastrutture». Infine, William Colombelli, che andava personalmente a ritirare i soldi nella banca di San Marino per riportarli in Veneto assieme alla Minutillo. Valigette che lui stesso ha sostenuto di aver consegnato a Baita. È da quest’ultimo, però, che gli inquirenti si aspettano di avere indicazioni. Del resto, il suo difensore precedente, l’avvocato Longo, avrebbe abbandonato anche nel timore di una incompatibilità: nel caso l’ingegnere avesse deciso di parlare potrebbero infatti spuntare nomi di uomini del partito al quale appartiene e per il quale l’avvocato siede in Parlamento per la seconda legislatura.

Giorgio Cecchetti

 

Ha trascorso 106 giorni in carcere a Belluno

Ha fatto 106 giorni di carcere a Belluno. Piergiorgio Baita, presidente e amministratore delegato dell’impresa Mantovani, era stato arrestato all’alba del 28 febbraio scorso dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia nell’ambito dell’inchiesta della magistratura che ha portato incarcere altre tre persone: Claudia Minutillo, amministratore Delegato di Adria Infrastrutture S.p.A.; Nicolò Buson responsabile amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della sammarinese BMC Broker S.r.l., ritenuto a capo di una società cartiera. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle imposte mediante emissione e utilizzo di fatture false per un importo complessivo di 10 milioni di euro anche nei lavori del Mose, il sistema di sicurezza contro l’alta marea gestito dal Consorzio Venezia Nuova. Sequestrati beni per quasi alcuni milioni di euro. Nella stessa giornata erano scattate 45 perquisizioni tra le province di Padova, Venezia, Bologna e Lecco.

 

INCHIESTA MANTOVANI »I SOLDI DI BAITA

La richiesta dei pm veneziani di rivelare chi sta dietro ad alcuni depositi bancari a Lugano convince le autorità elvetiche

MESTRE – I conti correnti segreti di Piergiorgio Baita e di altre persone finite nell’inchiesta della Procura di Venezia che indaga per frode fiscale ed evasione, ora interessano anche la Procura di Lugano che sta verificando che quel denaro non sia di provenienza illecita. Una premessa per capire come mai anche i magistrati svizzeri si interessano ai soldi di “Baita e soci”. Per la Svizzera è reato portare denaro proveniente da attività illecita nelle sue banche. Quindi quando il sostituto procuratore Stefano Ancilotto chiede alle autorità cantonali di Lugano di sapere chi sta dietro ai conti cifrati scoperti e attribuibili a Baita, i magistrati di Lugano chiedono il perché di quella richiesta. La Procura di Venezia e i finanzieri del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria spiegano che secondo loro in quei conti c’è o è transitato del denaro messo assieme illegalmente attraverso evasione fiscale e frode fiscale. La documentazione corposa inviata in Svizzera, a sostegno di questa tesi, convince i magistrati di Lugano di aprire un’indagine su quei conti. È immaginabile che molte delle risposte cercate dagli inquirenti veneziani arriveranno ben prima di quanto si potesse immaginare. Non è da escludere poi che, grazie all’indagine elvetica, i nostri inquirenti possano venire a conoscenza di altri conti correnti per ora non ancora individuati e attribuibili a Baita e ad altre persone indagate. Un altro punto fermo, emerso di recente, è il fatto che i conti correnti individuati in banche di Lugano oltre a Baita portano ad altre persone. Domanda legittima: sono attribuibili a indagati di cui si conosce già il nome, oppure ad altri? L’impressione è che la lista degli indagati sia diventata parecchio lunga. Del resto immaginare che a fare da “spalloni” per i soldi messi assieme grazie alle fatture false prodotte dalla “società cartiera” di William Colombelli a San Marino, siano stati solo Colombelli e Claudia Minutillo, è poco realistico. La settimana che si apre domani assieme alla successiva possono diventare importanti per l’inchiesta del sostituto Ancillotto affiancato dal collega Stefano Buccini. Infatti Piergiorgio Baita che ha ammesso ai magistrati, le proprie responsabilità in ordine ai reati che lo hanno portato in carcere, aggiungendo di aver pagato, in maniera illecita, in almeno tre occasioni, partiti i destra e sinistra deve decidere se collaborare fino in fondo e raccontare tutto del sistema Baita. Insomma deve decidersi di parlare di “affari illeciti e politica”. Del resto parecchie cose gli inquirenti le hanno già raccolte. Il sostituto Stefano Ancillotto e i finanzieri del colonnello Renzo Nisi, non si accontentano delle ammissioni fatte sui pagamenti ai partiti. E se ha deciso di parlare lo deve fare velocemente anche perché i tempi che lo stanno portando verso un altro anno sicuro di carcere si stanno accorciando. Non va dimenticato che altri tre protagonisti importanti di questa inchiesta e cioè Claudia Minutillo, il ragioniere tuttofare Nicolò Buon e l’imprenditore sanmarinese Wiliam Colombelli, sono usciti dal carcere perché hanno collaborato con gli inquirenti. E non hanno parlato solo degli episodi contestati loro. E Piergiorgio Baita lo ha capito se ha deciso di cambiare linea difensiva andando contro la strategia dello studio legale “Longo Ghedini” che lo tutelava prima.

Carlo Mion

 

Otto ai domiciliari, ecco le gare truccate

Il gip di Gorizia: sodalizio criminale stabile

Un sistema «stabile, organico e organizzato» per assicurare «tramite la manipolazione delle procedure di gara a seguito di accordi preventivi» l’aggiudicazione delle gare d’appalto a una delle imprese «facenti parte del sodalizio criminale» o ad altre «amiche individuate per la singola gara». Accordi presi «nel conseguente frenetico sviluppo di contatti personali o telefonici», concordando le percentuali delle offerte durante «incontri collettivi». Sulla base di questa tesi, a conclusione delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza – il gip di Gorizia ha contestato l’associazione per delinquere tra gli otto imprenditori posti agli arresti domiciliari – compresi Giovanni Demo dell’omonima impresa edile che ha sede a Summaga di Portogruaro e Paolo Fornasier titolare dell’impresa edilizia Cogefor a Susegana – mentre 124 persone sono state denunciate a vario titolo all’autorità giudiziaria e fra essi numerosi dipendenti pubblici compiacenti. Il presunto cartello coinvolge moltissime opere pubbliche tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, incluse – nel territorio regionale – una sistemazione di strade a Concordia Sagittaria (Venezia), lavori sul canale Beoli di Conselve (Padova), l’asfaltatura di due vie a Vittorio Veneto (Treviso).

 

LAVORI PUBBLICI nel veneto

Il Pdl vicentino denuncia «Malaffare negli appalti»

VICENZA – Una conferenza stampa sugli appalti pubblici, per denunciare le “magnerie” fatte a spese dei contribuenti veneti, che si tiene in Piazza Biade: sembra un collegamento di appetiti atavici tra uomini e bestie, uno scherzo del destino. Se poi a convocarla è il Pdl, cioè il partito che da sempre governa il Veneto, quindi il più indiziato delle “magnerie” – anche se non l’unico, ci possiamo giocare lo stipendio – è un appuntamento da non perdere. Eccoci allora nella sede provinciale del Pdl vicentino ad ascoltare l’europarlamentare Sergio Berlato nella sua nuova denuncia pubblica. Sottolineiamo provinciale non per caso: il Pdl cittadino è un «protettorato regionale di Venezia», dice Berlato, intendendo il vicecoordinatore veneto Marino Zorzato, il che vuol dire il gruppo Sartori-Galan , che in città ha come referente Pierantonio Zanettin. I due Pdl non si parlano. La sala è piena di gente, tutti la pensano come Berlato. Volendo, farebbero nomi e cognomi. Si capisce dalle battute, ma si trattengono. C’è l’ex sindaco di Vicenza Enrico Hullweck, quello di Albettone Giò Formagggio, quello di Noventa Vicentina Marcello Spigolon, insomma l’intero coordinamento provinciale che lunedì scorso ha deciso: denuncia ai giornali e poi carte in procura. Anzi in due procure: Vicenza e Venezia. Berlato la prende larga, parla di «necessità di fare chiarezza anche se il partito è il mio», di «imprenditori con il gozzo pieno e altri a digiuno», di «attacchi e minacce che questo atteggiamento mi procura», senza dire da chi. E le carte? Gliele hanno fatte avere alcuni imprenditori, disposti a testimoniare. Riguardano i lavori pubblici regionali di somma urgenza, cioè quelli imposti da rotte di argini, allagamenti, alluvioni, che seguono procedure diverse dagli appalti normali. «In questi casi c’è l’abitudine consolidata di chiamare le stesse aziende», accusa Berlato, «lasciando fuori altre con le stesse caratteristiche. Alcune di queste aziende presentano fatture senza aver fatto i lavori. Ci sono camion che risultano viaggiare tutto il giorno carichi di materiale, mentre sono incidentati in garage. Il giro ammonta a svariati milioni di euro. Mi risulta che indagini sono in corso a Vicenza, Padova, Rovigo e Venezia. Trattandosi di opere sulla rete idrica e idraulica, sono tutte commissionate dal Genio Civile. Nel settore operano anche i Consorzi di bonifica ma io mi riferisco solo alla parte pubblica». Qualche nome? «Non ne faccio perché ho rispetto per i soggetti coinvolti», risponde Berlato. «Dico solo che le imprese sono sempre quelle. Il malaffare è trasversale, come sta dimostrando l’inchiesta sulla Mantovani e le risposte date dagli inquirenti. Altre ne verranno nei prossimi giorni». Il malaffare sarà anche trasversale – è l’obiezione immediata dei giornalisti – ma la parte del leone è senz’altro la vostra: governate da sempre. «Mai avuto problemi a denunciarlo quando ne sono venuto a conoscenza», replica Berlato. «In caso contrario mi sarei reso complice. Ma non è giustizialismo, noi lo facciamo nell’interesse degli iscritti che devono sentirsi fieri di far parte del Pdl». Alla fine, pressato dalle domande, l’europarlamentare molla mezza notizia: «Parrebbe essere nell’altopiano di Asiago l’edificio ad uso civile che un noto politico locale ha avuto in regalo da una delle ditte che abitualmente si aggiudicano gli appalti pubblici nel Veneto». Ma non sarà che tutte queste denunce senza nomi rientrino in una spregiudicata lotta intestina? «No, la prova è che io sono sempre andato avanti a viso aperto». Una controverifica non farà male: i lavori per somma urgenza, fanno sapere dalla Regione, sono stati messi in gara da tutti i Geni Civili l’anno scorso. Sette gare, validità due anni, importo 6 milioni di euro. Conseguenza: il pool di imprese che ha vinto lavora, chi ha perso sta a casa. Da qui nascerebbe il malumore. Questa soluzione, spiegano i tecnici, ha eliminato le chiamate a rotazione, che prima accontentavano un po’ tutti. O è stata adottata per eliminare gli abusi?

Renzo Mazzaro

 

Gazzettino – Baita: pagavano tutti. Ma non fa i nomi

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

giu

2013

INCHIESTA MANTOVANI – La partita a poker dell’interrogatorio, giocata come vent’anni fa. Sul piatto c’è la sua libertà

Il manager ha fatto capire ai Pm di conoscere l’intero mondo delle tangenti nel Veneto e a Roma

Pagano tutti. Si è costretti a pagare. Gli appalti pubblici funzionano così, pagare bisogna. Inizia così l’interrogatorio di Piergiorgio Baita, il supermanager della Mantovani. Ma, come comincia, finisce. Nel senso che Baita, in carcere dal 28 febbraio, accusato di una maxi evasione fiscale da 10 milioni di euro, per ora si è limitato a far capire che è in grado di fornire il quadro generale del mondo degli appalti pubblici. Tot a questo e tot a quello, tot a Roma e tot nel Veneto. A tutti i partiti, ma non è ancora passato a far nomi e cognomi. Nemmeno uno. Come se avesse scelto di seguire per la seconda volta nel giro di vent’anni la linea difensiva adottata nel 1992, quando venne arrestato nell’ambito della Tangentopoli veneta che portò in galera Franco Ferlin, portaborse di Carlo Bernini, allora ministro della repubblica e Giorgio Casadei, portaborse di Gianni De Michelis, pure lui ministro. Piergiorgio Baita finì in uno dei tanti rivoli di quell’inchiesta, ma allora era una scartina e non il numero uno dei manager italiani nel campo degli appalti pubblici. Stavolta è diverso, ma solo per la statura dell’arrestato. Per il resto par di capire che nulla è cambiato da allora e, semmai, il sistema si è solo affinato e quindi è peggiorato di molto.
Quello che nel 1992 veniva fatto alla garibaldina, “in bocca tua in bocca mia in bocca del can hamm”, è diventato un metodo matematico, scientifico. Che Baita è in grado di spiegare nel dettaglio. Ma la spiegazione del metodo per ora si accompagna ad una professione di innocenza totale. Mai preso soldi, mai dato soldi, mai pagato nessuno. I soldi che figurano nei bilanci come finanziamenti ai partiti sono regolari. Ma allora i conti correnti con 40 milioni di euro? E quando si vede che i quattrini transitano dal conto X al conto Y, entrambi in Svizzera, si può sapere chi è Y?
Chiaro che Baita, da genio quale si è sempre dimostrato, ha iniziato a giocare una partita a poker che ha come posta la sua vita. Sarà sufficiente il quadro generale fornito finora per guadagnare la libertà? Per la Procura no. Se non parla, Piergiorgio Baita resterà in galera per un anno ancora. Ecco perché tutti danno per scontato che, una volta aperta la porta alle riflessioni-spiegazioni, passerà alle confessioni. Lo dice la logica, ma per adesso lo dice solo la logica e non i verbali.
Dunque per Baita vale quel che disse Churchill quando gli comunicarono che un giornale lo aveva dato per morto: «La notizia mi sembra un tantino esagerata». Ecco, la notizia che Piergiorgio Baita parla è esagerata, per adesso. Perché quel che intende il manager sul “parlare” non è esattamente quel che intende la Procura. Ma il fatto che Mister Appalti abbia cambiato avvocati è stato sufficiente a far partire la caccia al nome e a mettere in fibrillazione il mondo che conta, cioè quello che ha a che fare con gli appalti pubblici multimilionari. E quel che si capisce è che il sistema del pagamento ai partiti – regolare e irregolare – copiava il meccanismo dei caselli autostradali nei paesi in cui si paga ad ogni barriera. Non c’è un biglietto unico per andare dal punto A al punto B. No, ogni venti chilometri paghi. Così funziona. Ecco perché gli investigatori, indipendentemente da quel che dirà o non dirà Baita, stanno studiando gli appalti, per vedere quando arrivano i soldi pubblici, quando d’improvviso si sblocca un appalto che era rimasto al palo per tanto tempo. E chi ha firmato le autorizzazioni, chi ha dato una corsia preferenziale a quell’opera pubblica, chi ha fatto in modo che le procedure, che di solito sono eterne, improvvisamente diventassero facili, semplici. Perché il p.m. Stefano Ancilotto comunque vuol andare avanti su questa strada, anche senza Piergiorgio Baita.

 

In carcere per dieci giorni, spiegò il meccanismo, senza fare nomi. Venne assolto e i altri furono condannati

Anche nel ’92 descrisse “solo” il sistema

Pensare che il patron della Ccc, una impresa di San Donà finita nel gorgo di Tangentopoli, fino al 1992, le tangenti le pagava in anticipo, prima ancora che ci fosse l’appalto. Come dire, una tangente “preventiva”. Tanto si sapeva che bisognava pagare. E val la pena di ricordare quel che successe nel 1992 con la Tangentopoli veneta per vedere se Baita sta seguendo lo stesso percorso difensivo. L’ipotesi accusatoria del 1992 – p.m. Ivano Nelson Salvarani e Carlo Nordio, il quale parlò di “concussione ambientale” e cioè di obbligo a pagare da parte degli imprenditori che volevano partecipare agli appalti pubblici – era che ci fosse stato un accordo spartitorio tra il Psi di De Michelis e la Dc di Carlo Bernini, senza escludere il Partito comunista. In questo accordo spartitorio che coinvolgeva cooperative rosse e bianche, imprese legate al Psi e alla Dc, ogni ditta pagava la tangente al partito di riferimento. Per qualsiasi appalto. E proprio Piergiorgio Baita, allora quarantenne, direttore della Maltauro prima e del Consorzio Venezia Disinquinamento, raccontò come funzionava il meccanismo. C’erano due tipi di tangenti, quelle per abbonamento e quelle a spot. Le tangenti per abbonamento funzionavano che si pagava sempre e comunque in base alle percentuali degli appalti. La tua ditta doveva fare lavori per un importo pari al 20 per cento dell’appalto complessivo? Pagavi il 20. Se avevi vinto per il 10, pagavi in proporzione. Poi c’erano le tangenti spot e cioè la corruzione necessaria in quel momento per quella persona, che si era messa di traverso e bloccava l’appalto o che andava premiata per aver sbloccato i pagamenti o per aver chiuso un occhio. E allora invece di denaro poteva essere una vacanza di lusso. Piergiorgio Baita passò in carcere una decina di giorni, poi ricostruì il quadro che abbiamo riassunto e venne scarcerato. Non accusò nessuno, non fece nomi perché sosteneva di non aver nulla da dichiarare. Dal processo uscì assolto – lo difendeva l’avv. Giuseppe Sarti – perché in aula nessuno lo accusò. Nessun imprenditore cioè potè dire di aver materialmente consegnato quattrini a Baita. Tutti gli altri, dai portaborse ai ministri, finirono in Tribunale e vennero condannati.

 

Gorizia, otto arresti per appalti truccati

GORIZIA – Otto imprenditori edili sono stati arrestati in Friuli Venezia Giulia e Veneto e altre 124 persone denunciate in una operazione della Finanza di Gorizia per appalti truccati. Coinvolte a vario titolo 105 aziende e dipendenti di Enti pubblici dello Stato. Gli impresari, ai domiciliari, sono accusati di aver messo in piedi un’associazione per delinquere dedita, in particolare, al reato di turbata libertà degli incanti. Il sodalizio criminale operava in tutto il Triveneto. La Finanza ha esaminato circa 180 gare d’appalto per opere pubbliche per un importo totale pari ad oltre 90 milioni di euro, risultate manipolate dagli impresari a partire dal 2010. Tra gli imprenditori, quattro sono udinesi (Alberto D’Agosto, Bruno Brunetti, Cristian Scarsini, Giampiero Perissutti), due di Pordenone (Franco Pessot e Andrea Fantin), il trevigiano Paolo Fornasier e Giovanni Demo di Portogruaro (Venezia).

 

Gazzettino – Baita, 40 milioni e la pista romana

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

7

giu

2013

L’INCHIESTA Le tracce di fondi neri porterebbero alla capitale

Caso Baita, c’è una pista romana. Sui conti del manager 40 milioni.

L’ipotesi: tangenti per la politica locale ma anche per quella nazionale

Ore decisive per l’ex capo Mantovani: a breve sarà fissato il rito immediato

Tanti sono i soldi trovati sui conti riferibili al manager. Che ora potrebbe fare i nomi dei suoi “beneficiari”

L’INCHIESTA Le tracce del denaro nero non si fermano in Veneto, arrivano anche nella capitale

Soldi, tanti soldi. Che portano a Roma. Ne sono stati trovati a milioni nei conti in Svizzera e in mille altri conti correnti sparsi in mezzo mondo. I conti, fatti ancora a spannoni, parlano di una quarantina di milioni di euro. Venti sono già stati “scoperti”, dieci sono stati “trovati” e altri dieci sono “presunti”. Si tratta di soldi riferibili in qualche modo a Piergiorgio Baita, il super-manager della Mantovani in galera dal 28 febbraio. Per lui queste sono ore decisive perchè è imminente la fissazione della data del rito immediato chiesto dal pubblico ministero Stefano Ancilotto che lo ha incarcerato per una maxi evasione fiscale di 10 milioni di euro. Da qui in avanti bisogna contare 365 giorni perchè il pm ha tempo un anno per completare le indagini e, dunque, Baita potrebbe restare in carcere fino ad allora. Vorrebbe dire andare al processo alla verde età di 65 anni e, se va bene, beccarsi almeno 4 anni per evasione fiscale. Fatti i conti, Baita rivedrebbe la famiglia quando si tratterà di spegnere le candeline del settantesimo genetliaco. Non una bella prospettiva e questo spiega perchè Baita abbia ormai deciso di parlare. Per dire che cosa? Intanto deve spiegare perchè sui suoi conti ci siano tanti soldi. Rubava per sè? Non ha fatto in tempo a “spenderli” in tangenti? E i soldi che mancano all’appello e che sono transitati per i conti correnti esteri, a chi sono finiti? Gli uomini della Guardia di finanza, che stanno procedendo a studiare tutte le carte sequestrate e che stanno passando al setaccio i conti correnti, sono rimasti stupiti dalla quantità di quattrini trovati nei conti correnti. Si tratta chiaramente di soldi in nero, milioni di euro. E gli altri? Qualche traccia porta a Roma, qualche altra al Veneto. Ma soprattutto a Roma. Il che fa pensare che nel Veneto Piergiorgio Baita pagasse tangenti di piccolo taglio, mentre le mazzette di peso venivano pagate nella capitale. Che cosa significa in concreto? Che per far girare la macchina degli appalti l’ingegnere che guidava il Gruppo Mantovani pagava un po’ qui e tanto lì, ma solo perchè bisognava tenere buona la politica sia locale che nazionale. Perchè dalla politica comunque non si può prescindere. Ora si tratta di capire se Baita, oltre a spiegare il meccanismo, ma è facile pensare che sia quello di sempre, con la spartizione degli appalti fra tutti i partiti, nessuno escluso, vorrà anche fare nomi e cognomi. E di quanti? Ecco perchè la notizia che Piergiorgio Baita sta parlando ha già messo in fibrillazione il mondo dei partiti. Qui e a Roma. E tutti credono già di sapere quali nomi farà, ma chi sta svolgendo le indagini assicura che potrebbe esserci più di una sorpresa. Del resto Baita, uno dei pochi manager di talento italiani, tra i pochi che parlavano direttamente al telefono con i ministri, di qualsiasi partito, saltando le segretarie, conserva molti segreti. L’altra volta, nel 1992, quando finì nella Tangentopoli veneta, Baita portò alla luce un vero e proprio accordo spartitorio che coinvolgeva tutti i partiti. I partiti decidevano gli appalti e le ditte che partecipavano all’appalto. E decidevano anche le quote. Ecco perchè gli investigatori stanno studiando gli appalti della Mantovani ad uno ad uno ed ecco perchè guardano alle composizioni delle Ati, le associazioni temporanee d’impresa. Le ditte delle Ati sono sempre le stesse, ma in un appalto una ha il 10 per cento dei lavori e nell’appalto successivo il 20. Come mai? E adesso molti degli amministratori di queste società piccole e grandi e molti politici “sponsor” di queste ditte cominciano a tremare.

Maurizio Dianese

 

Nuova Venezia – Soldi ai partiti per tre elezioni

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7

giu

2013

 

Le ammissioni di BAITA non convincono i PM

MESTRE – Sui due conti correnti svizzeri, rintracciati dalla Guardia di Finanza e dal pm Stefano Ancillotto e attribuiti a Piergiorgio Baita, sono transitati, negli ultimi anni, diversi milioni di euro. Non è chiaro se questi soldi siano serviti per questioni personali all’ex presidente e ad della Mantovani, oppure se fossero a disposizione della società padovana. Gli inquirenti però hanno il forte sospetto che in quei conti siano transitati fondi neri ad uso e consumo del sistema-Baita. Fondi creati grazie alla “società cartiera” di San Marino del faccendiere Wiliam Colombelli. Fondi neri già ampiamente dimostrati dalle indagini e dalle confessioni del ragioniere Nicolò Buson, dell’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo e dallo stesso Colombelli. Per il momento gli investigatori delle fiamme gialle hanno visionato i transiti svizzeri ma non hanno ancora individuato esattamente dove siano finiti i quattrini. E soprattutto stanno verificando se a quei conti aveva accesso solo Piergiorgio Baita o anche altre persone. Non viene nemmeno escluso a priori che Baita abbia aperto quei conti a titolo personale e che poi siano stati utilizzati anche per altri scopi. Naturalmente dovrà essere Baita a spiegare agli investigatori quei transiti: a chi sono finiti i soldi visti passare e poi sparire nel nulla. Da quando Baita ha deciso di cambiare strategia difensiva, sostituendo i legali dello studio Longo e Ghedini con l’avvocato mestrino Alessandro Rampinelli e con il vicentino Enrico Ambrosetti, gli investigatori si aspettano la collaborazione del manager. Nel primo interrogatorio in carcere a Belluno, durato quattro ore, Baita ha ammesso le responsabilità sui fatti che gli vengono contestati, confermato una parte delle confessioni rese da Minutillo, Buson e Colombelli e raccontato di aver pagato dei partiti, di destra e di sinistra, in occasione di almeno tre campagne elettorali. Ha spiegato di aver versato alla fin fine alcune centinaia di migliaia di euro. Poca cosa secondo gli inquirenti considerato l’ammontare dei fondi neri fin qui accertato. Un racconto che sarebbe stato percepito, da parte degli inquirenti, come un tentativo di Baita di sminuire la sua posizione. La strategia del manager è quella di un indagato che cerca di capire quanto l’accusa sia disposta a cedere sulle misure restrittive in cambio di collaborazione. Per il momento l’ammissione del finanziamento illecito dei partiti non consentirà a Baita di ottenere grandi benefici. Anche perché la vicenda è già emersa dagli elementi fin qui raccolti dagli inquirenti. Insomma, se Baita vuole uscire dalla cella dov’è rinchiuso da fine febbraio, dovrà raccontare ben altro. Dovrà spiegare come la Mantovani, da lui diretta, sia diventata l’assoluta regina delle opere pubbliche realizzate in Veneto negli ultimi vent’anni e dove siano finiti i quasi trenta milioni di euro di fondi neri messi da parte grazie alle fatture false provenienti dalla cartiera sanmarinese intestata a Colombelli. Gli inquirenti guidati dal pm Ancillotto, affiancato ora dal collega Stefano Buccini, non hanno mai fatto mistero che quei soldi sarebbero serviti per pagare tangenti. A chi? La speranza è che a rivelarlo, prima o poi, sia Baita.

Carlo Mion

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Bottacin: mazzette figlie del sistema consociativo veneto

Il consigliere di Verso Nord: da troppo tempo maggioranza e opposizione fingono di darsi battaglia ma votano insieme

VENEZIA «Fondi illeciti bipartisan alle forze politiche? Non mi stupisce, è la naturale conseguenza di un sistema distorto che garantisce rendite di posizione e monopoli a scapito del mercato. La mia impressione è che i soldi distribuiti da Piergiorgio Baita più che alle strutture-partito siano stati erogati a persone, a soggetti politici in rappresentanza di cordate. A differenza della prima Tangentopoli, dove i partiti disponevano di aziende di riferimento che distribuivano mazzette, in Veneto si assiste a una spartizione preliminare di quote nelle grandi opere, dalle quali, a cascata, discendono le provvigioni destinate alla politica». Diego Bottacin, consigliere regionale di Verso Nord in forte sintonia con Montezemolo, commenta così gli sviluppi dell’inchiesta Mantovani. La domanda: su quali pilastri fonda il sistema spartitorio? «Il punto di partenza è la negazione del libero mercato. Dal Mose, madre di tutte le anomalie, dove la più grande opera pubblica d’Italia è affidata ad un consorzio d’imprese senza gara né concorrenza; alle strade, affidate in project financing dove chi presenta il progetto sa che al 90% riceverà l’appalto; gli ospedali, gravati da oneri micidiali per la sanità pubblica; il trasporto locale e i rifiuti con le aziende che dettano tempi e modi in barba a Regione ed enti locali. Un esempio di questi giorni? Per un km di strada su gomma il costo medio europeo varia da 1,8 a 2,2 euro, quello dell’azienda pubblica di trasporto di Venezia, l’Actv, è 3,5. Perché nessuno a destra, a sinistra e al centro, mette in discussione questo stato di cose?». Lei che risposta si dà? «Io dico che, al di là delle responsabilità penali oggetto dell’inchiesta, a questo sistema consociativo hanno attinto un po’ tutti, non solo i partiti ma anche le cooperative, le imprese, i gruppi d’affari. Dietro la capofila Mantovani ci sono sempre partner e subappalti. Ricordate quando Berlusconi decise di cedere a Zaia la presidenza del Veneto? Fu accolto all’aeroporto da una pattuglia di imprenditori illuminati che reclamavano il quarto mandato per Galan. Emblematico». Punta l’indice su Galan? «Galan è stato il direttore del traffico e il garante di un equilibrio che includeva l’opposizione, al punto che il vecchio regolamento del consiglio regionale impediva di fatto l’approvazione di leggi e bilanci senza il consenso della minoranza. Quando ho sollevato la questione della trasparenza nel Pd, denunciando una dinamica consociativa nelle nomine, mi sono ritrovato solo e alla fine ho dovuto andarmene. Non è un caso che l’affaire Mantovani prenda origine dal filone Brentan ed è paradossale che in una Regione a lungo diretta da una forza che si proclama liberale, il libero mercato resti un miraggio». Luca Zaia sostiene che nella sua giunta non si discute di appalti. È cambiato qualcosa con la presidenza leghista? «Direi di no, la correttezza dei gesti individuali non è sufficiente, occorre cambiare il sistema e introdurre regole che garantiscano la concorrenza. Finora non è stato fatto». L’assemblea regionale ha istituito una commissione d’inchiesta. Contribuirà a far luce sugli intrecci affari-politica? «Ci credo poco perché la volontà prevalente in Consiglio è quella di verificare la legittimità formale degli atti senza aggredire il cuore del problema».

Filippo Tosatto

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Galan: mai chiesti né presi soldi sottobanco, sono tranquillissimo

Il presidente della commissione Cultura della Camera Giancarlo Galan è in tutt’altre faccende affaccendato (la settimana prossima presenterà il progetto di legge Pdl sulle unioni omosessuali) ma non si sottrae a una battuta sugli sviluppi dell’inchiesta Mantovani: «Leggo che Baita avrebbe dispensato soldi a destra e a sinistra, cosa posso aggiungere? Non ne so nulla o meglio, so quello che ho fatto io: le mie campagne elettorali, che peraltro costavano poco, si sono valse del contributo di imprenditori e professionisti amici oltre che del partito. Non ho mai chiesto né ricevuto soldi sottobanco da chicchessia, perciò sono tranquillissimo». All’indomani degli arresti, lei affermò che, in quanto presidente della Regione Veneto per tre lustri, si attendeva di essere convocato e ascoltato dalla magistratura… «Sì, io sarei stato curioso di sentire Galan, invece nessuno mi contattato né chiesto nulla». Nel frattempo Baita ha rotto il silenzio… «Può darsi, lo leggo sui giornali come tutti, il Baita che ho conosciuto era un ottimo professionista dotato di capacità tecniche non comune e di fantasia imprenditoriale, di più non saprei cosa dire». L’ha stupita il suo cambio di difesa e la rinuncia al patrocinio dell’avvocato-deputato Piero Longo? «Un po’ sì, Longo è bravo, io se fossi nei guai me lo terrei ben stretto».

 

 

L’ex presidente Mantovani ammette di aver finanziato formazioni di destra e sinistra per centinaia di migliaia di euro 

MESTRE – Non ha solo ammesso le responsabilità per i reati che lo hanno portato in carcere. Piergiorgio Baita ora ha iniziato a parlare di altri affari. Di politica e soldi. Ha cominciato a raccontare di come il “sistema Baita” serviva anche per finanziare i partiti. E senza distinzione di colore. Soldi destinati ad almeno tre campagne elettorali. Non soldi versati alla luce del sole. Denaro fatto arrivare nelle casse dei partiti in maniera illecita. Non è chiaro, almeno non si sa se ha fatto anche il nome di singoli partiti. Naturalmente le sue affermazioni dovranno essere verificate. Nelle quattro ore di interrogatorio da parte del pm Stefano Ancillotto, l’ex “ad” della Mantovani ha deciso di cambiare strategia difensiva dopo tre mesi e mezzo di carcere e con la prospettiva di rimanerci parecchio tempo. E questa nuova strategia è iniziata con la rinuncia dello studio legale “Longo Ghedini” a difendere il manager ancora in prigione a Belluno. Ora il legale di Baita è l’avvocato mestrino Alessandro Rampinelli insieme ad Enrico Ambrosetti di Vicenza. Quanto sarà devastante per la politica veneta il racconto di Baita, è presto per dirlo. Ma nelle ore dell’interrogatorio, non deve aver vuotato molto il sacco. Forse ora ha solo “assaggiato” la disponibilità dell’accusa di limare la sua posizione che non è certo semplice. Da quanto si è appreso ha parlato di alcune centinaia di migliaia di euro versati ad alcuni partiti in vari modi e in occasione di almeno tre campagne elettorali. Non è chiaro se ha fatto nomi precisi di politici a cui sono finiti i soldi. Di certo ha spiegato certi meccanismi per far arrivare il denaro. In questa fase la linea difensiva di Baita potrebbe essere quella di giocare al ribasso per capire quanto sia disponibile a mollare l’accusa per alleggerire la sua posizione. Bisogna tenere presente, però, che il pm Ancillotto e i finanzieri del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria, oltre agli elementi raccolti durante le indagini, possono contare su quanto raccontato da Claudia Minutillo, William Colombelli e Nicolò Buson. I tre, da qualche settimana, non sono più neanche agli arresti domiciliari. Sono stati scarcerati, non solo perché hanno ammesso le proprie responsabilità per i fatti di cui sono chiamati a rispondere, hanno aggiunto anche dell’altro. In particolare il ragionier Buson e Claudia Minutillo. Due ingranaggi fondamentali del sistema “sistema Baita”. Il manager avrebbe quindi confermato anche alcune parti dei racconti fatti dai due. È immaginabile che da lui gli inquirenti si aspettino dell’altro. Anche perché per qualche decennio ha diretto un’azienda che praticamente si è aggiudicata le principali opere pubbliche in Veneto. C’è poi il filone che porta le indagini in Svizzera dove sono stati scoperti dei conti correnti riconducibili a Piergiorgio Baita. L’ex “ad” dovrà spiegare se quei conti correnti erano personali oppure attribuibili alla Mantovani che fin dall’inizio ha preso le distanze dall’operato di Baita. Le autorità elvetiche stanno fornendo la massima collaborazione agli uomini della Guardia di Finanza che impegnati a seguire questo flusso di denaro. Gli investigatori stanno verificando chi aveva accesso ai conti. Appare evidente che quanto Baita ha raccontato fino ad ora non è sufficiente per farlo uscire dal carcere di Belluno dove si trova. Bisogna capire quanto lui voglia spiegare del sistema che ha messo in piedi e con chi era sceso a compromessi. Di certo il manager non vuole restare, a 64 anni, con il “cerino in mano”.

Carlo Mion

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28 febbraio, un terremoto sulla Mantovani

In carcere l’uomo-azienda, il responsabile finanziario e due partner. Perquisizioni in tutto il Veneto

VENEZIA – Piergiorgio Baita, presidente e amministratore delegato dell’impresa Mantovani, è stato arrestato all’alba del 28 febbraio scorso dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia nell’ambito dell’inchiesta della magistratura che ha portato incarcere altre quattro persone: Claudia Minutillo, amministratore Delegato di Adria Infrastrutture S.p.A.; Nicolò Buson responsabile amministrativo della Mantovani e William Colombelli, presidente della sammarinese BMC Broker S.r.l., ritenuto a capo di una società cartiera. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle imposte mediante emissione e utilizzo di fatture false per un importo complessivo di 10 milioni di euro nei lavori del Mose, il sistema di sicurezza contro l’alta marea gestito dal Consorzio Venezia Nuova. Sequestrati beni per quasi 8 milioni di euro. Nella stessa giornata, contemporaneamente, sono scattate 45 perquisizioni tra le province di Padova, Venezia, Bologna e Lecco. L’indagine è una propaggine dell’operazione «Aria nuova» che ha portato nel 2011 all’arresto di varie persone tra cui, per corruzione, l’ex ad dell’autostrada Venezia-Padova, Lino Brentan. Nei giorni successivi, anche a seguito di lunghe deposizioni con il magistrato che si conduce l’inchiesta, Stefano Ancillotto, sono stati rilasciati e posti agli arresti domiciliari tutti gli altri indagati ad accezione proprio di Baita. A seguito della «decapitazione» della Mantovani, la proprietà –la famiglia Chiarotto – ha individuato nell’ex questore Carmine Damiano il nuovo presidente, eletto il 15 marzo. Secondo l’accusa la società di San Marino di Colombelli svolgeva l’attività di cartiera nei confronti della Mantovani, che avrebbe creato così delle provviste di denaro.

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Nuova Venezia – Quattro ore con i pm, Baita ha parlato

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5

giu

2013

Indispettito dal difensore Longo che ha lasciato l’incarico.

Tremano i politici per le possibili ammissioni dell’ex ad Mantovani 

VENEZIA – Giovedì 30 maggio, nel pomeriggio, Piergiorgio Baita è entrato negli uffici della Procura della Repubblica di Venezia a Piazzale Roma e ne è uscito solo dopo quattro ore. Un lungo interrogatorio, davanti ai pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, poco dopo aver cambiato i difensori. Qualche giorno prima, infatti, gli avvocati padovani Pietro Longo e Paola Rubini avevano lasciato la difesa di Baita e a loro erano subentrati gli avvocati Alessandro Rampinelli di Venezia ed Enrico Ambrosetti di Vicenza. Radio carcere, da Belluno dove l’ex presidente della «Mantovani spa» è rinchiuso da tre mesi e sette giorni, riferisce che Baita se la sia presa con l’avvocato Longo, che come ha spiegato più volte Silvio Berlusconi, uno dei suoi clienti più affezionati, si fa pagare profumatamente. Se la sarebbe presa perché il professore e deputato del Pdl non si sarebbe fatto vivo una volta con lui: non per l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice Alberto Scaramuzza, non per l’udienza del Tribunale del riesame, non per un colloquio in carcere. Troppo preso dai suoi impegni, in particolare quelli davanti al Tribunale e alla Corte d’appello milanesi dove Berlusconi deve rispondere di prostituzione minorile da un lato e di frode fiscale dall’altro, ha sempre mandato la sua collega di studio Paola Rubini. Dopo 97 giorni, quindi, Baita ha deciso di cambiare strategia difensiva e, di conseguenza, anche difensori. Così giovedì scorso è rimasto quattro ore a rispondere alle domande dei pubblici ministeri veneziani. Un primo assaggio, un primo interrogatorio sulle contestazioni mosse con l’ordinanza che lo accusa di essere l’ideatore dell’associazione a delinquere finalizzata ad emettere fatture fasulle per otto milioni di euro a favore della Mantovani. Avrebbe spiegato, avrebbe ammesso, ma sui contenuti dell’interrogatorio solo no comment. Di certo si sa che tra breve ce ne sarà un secondo. Longo avrebbe abbandonato la difesa non solo perché non farebbe parte del suo dna difendere indagati che ammettono e soprattutto collaborano con le Procure, ma anche per un altro motivo, seppur si tratta per ora di un ipotesi astratta. Non è un segreto che Baita fosse doppiamente legato ad esponenti politici del Pdl, colleghi e amici di Longo, che dunque avrebbe potuto trovasi, nel caso l’ingegnere veneziano iniziasse davvero a raccontare tutto ciò che sa, a difendere una persona che accusa quelli della sua parte. Davvero poco opportuno. Intanto, pm e difensori sono in attesa della decisione del giudice veneziano Scaramuzza, che dopo la richiesta della Procura del giudizio immediato per Baita, deve decidere la data in cui mandarlo davanti al Tribunale di Venezia: la scelta è tra la fine di luglio o subito dopo la metà di settembre. Con la richiesta di immediato il periodo di carcerazione preventiva per Baita si è allungato a un anno e forse anche questa prospettiva lo ha convinto a cambiare strategia. Come del resto avevano deciso i suoi complici: Claudia Minutillo, Nicolò Buson e William Colombelli sono fuori dal carcere da tempo dopo aver confessato e attendono di patteggiare la pena.

Giorgio Cecchetti

 

 

Gazzettino – Baita, in Svizzera i conti del “tesoro”

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5

giu

2013

L’INCHIESTA – Il pm Ancilotto ha avviato una serie di rogatorie per scoprire i segreti delle banche estere

L’ex presidente della Mantovani spa è stato interrogato per oltre 3 ore in carcere a Belluno

Spunta l’ombra di conti correnti all’estero nell’inchiesta che ruota attorno alle false fatture milionarie della Mantovani spa, per la quale l’ex presidente Piergiorgio Baita è in carcere dallo scorso febbraio con l’accusa di frode fiscale. È stata la Guardia di Finanza, coordinata dal pm Stefano Ancilotto, a trovare traccia in Svizzera di una serie di rapporti bancari intrattenuti per tramite di una fiduciaria, il cui nome è spuntato tra le carte sequestrate nella sede della società di costruzioni di Padova. Gli inquirenti hanno quindi avviato alcune rogatorie per scoprire a chi facciano riferimento quei conti e da quali movimenti di denaro siano stati interessati: si tratta di conti utilizzati dall’azienda o per custodire fondi personali di Baita o di qualcun altro? È presto per dirlo. Ma, secondo gli inquirenti, la pista Svizzera potrebbe portare presto a svolte interessanti.
Nel frattempo Baita ha cambiato difensori: gli avvocati Piero Longo (legale anche di Silvio Berlusconi) e Paola Rubini hanno rinunciato al mandato e al loro posto l’ex presidente della Mantovani ha nominato l’avvocato veneziano Alessandro Rampinelli ed il vicentino Enrico Ambrosetti. Spesso il cambiamento di difensore ha un preciso significato: mutamento della linea difensiva. Finora Baita aveva optato per il silenzio: è possibile che ora si preannunci l’inizio di una collaborazione con gli investigatori?
Giovedì scorso nel carcere di Belluno, dove Baita è detenuto, si è svolto un interrogatorio di circa 3 ore e mezza, davanti ai pm Ancilotto e Stefano Buccini, il cui verbale è stato secretato.
In Procura gli inquirenti minimizzano, smentendo che Baita abbia iniziato a collaborare. Nel corso dell’interrogatorio si sarebbe limitato a chiarire la sua posizione. No comment da parte del suo difensore, l’avvocato Rampinelli. Bisognerà quindi attendere per capire se sono attese novità a breve. Baita rischia di restare in carcere ancora per un anno in custodia cautelare: la Procura ha chiesto il giudizio immediato e, difficilmente, sarà scarcerato prima della sentenza, considerate le pesanti accuse che gravano su di lui. Per questo sono in molti a credere che potrebbe decidere di vuotare il sacco, raccontando tutto ciò che sa sui fondi neri che, secondo la Procura, avrebbe gestito per anni.

 

Nuova Venezia – Baita cambia avvocati e linea difensiva

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4

giu

2013

Giovedì scorso l’ex Ad di Mantovani ha sostenuto un lungo interrogatorio in carcere e potrebbe aver deciso di collaborare

VENEZIA – L’avvocato e deputato del Pdl Pietro Longo e la collega di studio Paola Rubini, da poco più di una settimana, non sono più i difensori di Piergiorgio Baita, che giovedì scorso è stato interrogato a lungo dal pubblico ministero di Venezia Stefano Ancillotto, alla presenza dei nuovi difensori, gli avvocati Alessandro Rampinelli di Venezia ed Enrico Ambrosetti di Vicenza. Normalmente, quando accade che un indagato in carcere, in questo caso si trova in quello di Belluno da poco più di tre mesi, lascia i vecchi difensori per prenderne di nuovi significa che ha deciso di cambiare strategia. In questo caso, visto che, fino a qualche giorno fa, Baita non ha detto una parola, cambiare per lui significa collaborare con gli inquirenti. Ma non è stato lui a revocare gli avvocati Longo e Rubini, bensì sono stati i due legali padovani a rinunciare all’incarico. Dai protagonisti della vicenda solo no comment: quelli che lasciano hanno semplicemente confermato di non difendere più l’ex presidente della «Mantovani», quelli entranti ammettono di essere i nuovi difensori e niente più. Neppure il pm Ancillotto parla. Dunque, si possono avanzare soltanto ipotesi. La prima è che Baita abbia davvero iniziato a collaborare con gli investigatori della Guardia di finanza e con il rappresentante dell’accusa e che gli avvocati Longo e Rubini abbiano lasciato perché non sono d’accordo con questa decisione essendo convinti della bontà di un’altra linea difensiva. Un’ipotesi suggestiva, che potrebbe trovare una conferma dalla circostanza che Baita, in seguito alla richiesta di rito immediato, avrebbe teoricamente la prospettiva di rimanere in carcere, in detenzione preventiva, ancora un anno. Se per le indagini preliminari il termine della carcerazione preventiva è sei mesi, dopo il rinvio a giudizio – in vista del processo – si aggiunge infatti un anno. E, comunque, anche in caso di un rito alternativo (patteggiamento o abbreviato), l’indagato dovrebbe attendere la sentenza in una cella. Visto che gli altri tre indagati, Claudia Minutillo, William Colombelli e Nicolò Buson, sono già liberi e comunque hanno ottenuto gli arresti domiciliari non appena hanno riferito ciò che sapevano sulla vicenda, Baita potrebbe aver pensato che l’unico modo di uscire dal carcere di Belluno sia quello di ammettere. O, meglio, di collaborare perché, vista la sua posizione di promotore dell’associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, al pubblico ministero potrebbe non bastare il fatto che lui ammetta le contestazioni, raccontando semplicemente ciò che gli inquirenti già sanno grazie alle indagini e alle conferme arrivate dagli altri indagati. L’altra ipotesi è che gli avvocati Longo e Rubini abbiano rinunciato alla difesa di Baita, temendo di poter diventare incompatibili. Se, un giorno, l’ex presidente della «Mantovani» parlasse di finanziamenti ad esponenti politici, il deputato Longo potrebbe rischiare di trovarsi seduto accanto a colleghi di cui il suo assistito parla, magari a esponenti, addirittura a deputati o senatori, del partito per il quale lui stesso è stato eletto a Montecitorio. Solo ipotesi e per conoscere quale delle due sia quella giusta sarà necessario attendere gli sviluppi dell’inchiesta veneziana.

Giorgio Cecchetti

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