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Nuova Venezia – Inchiesta Baita

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5

mar

2013

Minutillo un fiume in piena parla per sei ore con il pm  

L’ex braccio destro del governatore Giancarlo Galan in Regione starebbe collaborando

Ha chiesto di vedere il magistrato, in procura da mezzogiorno al tardo pomeriggio

VENEZIA – Nuovo e lungo interrogatorio, ieri pomeriggio, per Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan e manager finita in manette per associazione a delinquere e frode fiscale. A sentirla, questa volta, è stato il pubblico ministero Stefano Ancillotto: un interrogatorio iniziato prima di mezzogiorno e finito soltanto nel tardo pomeriggio. Naturalmente c’era il suo difensore, l’avvocato Carlo Augenti: presumibilmente era stato lui a chiedere il colloquio con il magistrato che coordina le indagini e che, però, non è più l’unico. A lui, infatti, da qualche giorno, si è affiancato il collega Stefano Buccini, che ha invece partecipato all’interrogatorio, nel carcere di Treviso, di Nicolò Buson, il ragioniere della «Mantovani spa». Sia il rappresentante dell’accusa sia il difensore, ieri sera, non solo non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, ma nemmeno hanno voluto confermare la presenza della Minutillo in Procura, ma che l’amministratore delegato di «Adria Infrastrutture» sia arrivata negli uffici di Piazzale Roma nella tarda mattinata e ne sia uscita soltanto dopo le 18 è certo. Lo stesso è avvenuto per il suo avvocato. È probabile che, a questo punto, il lungo verbale sarà secretato e non sarà facile capire che cosa ha raccontato Claudia Minutillo. Certo che non deve aver scomodato il pubblico ministero, il difensore, gli agenti di custodia semplicemente per ripetere ciò che aveva già detto sabato al giudice Alberto Scaramuzza, colui che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. In quel primo interrogatorio, la manager si era difesa, confermando che aveva saputo dell’esistenza delle fatture fasulle emesse dalla «Bmc Broker di San Marino», ma aveva aggiunto che era Piergiorgio Baita ad essersene occupato, inoltre, ha sostenuto che William Colombelli, con cui aveva avuto una relazione, lo ha lasciato non appena ha capito che la stava usando. Insomma, ha cercato di sminuire il suo ruolo. Evidentemente, i quattro giorni di carcere – seppure quello femminile della Giudecca non sia sicuramente il peggiore d’Italia – l’hanno convinta ad aggiungere altro o, più probabilmente, a cambiare versione, visto che le prove e le testimonianze contro di lei sono schiaccianti. Ci sono le intercettazioni telefoniche chiarissime che la «incastrano» e ci sono i racconti della dipendente di Colombelli, degli impiegati dell’istituto di credito di San Marino e di altri, i quali hanno riferito agli investigatori della Guardia di finanza che era di casa a San Marino, sia nella sede della «Bmc Broker» sia nella banca, dove ritirava i soldi creati con le fatture fasulle per portarli in Veneto, circa 8 dei dieci milioni che sono andati a formare i fondi neri. E di quel deposito di denaro clandestino all’estero presumibilmente lei sa molto, come conosce numerosi particolari degli affari di Baita. Non solo. Per anni è stata depositaria dei segreti – in qualità di segretaria, anzi, di consigliera – dell’ex presidente della Regione Veneto, ora entrato in Parlamento, Giancarlo Galan, e prima dell’assessore regionale Renato Chisso, che anche ora siede nella giunta di Luca Zaia. Che cosa ha raccontato ieri al pubblico ministero veneziano Claudia Minutillo? Per ora, ma probabilmente ancora per qualche settimana, sarà difficile saperlo. Anche perché i finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova, ora coordinati non più da uno bensì da due pubblici ministeri, dovranno compiere accertamenti, cercare riscontri e prove sulla base di ciò che l’indagata ha riferito. E la conferma di tutto questo arriverà presto: probabile che nel giro di alcuni giorni, infatti, Claudia Minutillo possa tornare a casa sua, a Mestre, agli arresti domiciliari, ritenendo il rappresentante dell’accusa e il giudice delle indagini preliminari che non via siano più le esigenze cautelari che aveva convinto entrambi a farla rinchiudere in una cella, in particolare la possibilità che inquini le prove. Non è escluso che nei prossimi giorni anche il ragioniere della Mantovani Nicolò Buson, difeso dall’avvocato Flavia Fois, chieda di essere sentito dal pubblico ministero. Ma, pur avendo avuto un ruolo importante – almeno stando alle accuse – per quanto riguarda la formazione dei dieci milioni di fatture false, il suo ruolo è stato sicuramente meno centrale di quello di Minutillo, in particolare nei rapporti con esponenti politici e della pubblica amministrazione.

Giorgio Cecchetti

 

Baita e Buson fanno scena muta  

I legali degli arrestati sollevano la questione di competenza dei pm di Venezia     

VENEZIA – Sia il presidente della «Mantovani spa», il veneziano Piergiorgio Baita, sia il ragioniere della stessa società, il padovano Nicolò Buson, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Sono accusati di associazione a delinquere e frode fiscale per dieci milioni di euro. Ieri, interrogati per rogatoria il primo dal giudice di Belluno, il secondo da quello di Treviso, città nelle cui carceri sono rinchiusi da 5 giorni, hanno deciso di tacere, un diritto per tutti gli indagati. Difesi dagli avvocati Paola Rubini e Piero Longo il primo e dall’avvocato Fulvia Fois il secondo, presumibilmente chiederanno di essere sentiti dopo che i loro difensori avranno letto i venti faldoni di carte raccolti dal pubblico ministero Stefano Ancilotto con le indagini dei finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova. Nel frattempo, l’avvocato Fois ha chiesto che Buson esca dal carcere e venga messo agli arresti domiciliari: a decidere toccherà al giudice veneziano Alberto Scaramuzza. «Al giudice», ha detto, «mi sono rivolta dopo l’interrogatorio perché per noi è evidente che, anche se i fatti fossero confermati, il ruolo di Buson é marginale; inoltre non c’é il rischio di inquinamento delle prove o di fuga». Mentre l’avvocato Rubini, per conto di Baita, per il quale ha già presentato ricorso ai giudici del riesame chiedendo tra l’altro anche il dissequestro dei beni del presidente della Mantovani, solleverà pure la questione di competenza. Secondo il legale padovano, infatti, competente a indagare sarebbe la Procura di Padova, dove ha sede amministrativa la grande azienda di costruzioni. L’avvocato Rubini ha avuto un lungo colloquio con il proprio assistito: «È tranquillo» ha sostenuto, «sereno e molto determinato, pur sapendo che quella che lo attende non sarà una passeggiata». Baita «sta studiando l’ordinanza del giudice»,ha aggiunto, «per prepararsi ad un eventuale interrogatorio del pm». All’interrogatorio di Buson era presente anche il pubblico ministero veneziano Stefano Buccini, il quale a qualche giorno collabora con il collega Ancilotto, visto che l’inchiesta si sta estendendo. Già venerdì scorso, comunque, il nuovo pm ha partecipato ad una riunione alla quale c’erano, oltre ai due magistrati, gli investigatori della Guardia di finanza di Venezia e Padova.

Giorgio Cecchetti

 

Intercettazioni sulle talpe

«Vogliono ancora soldi»  

Pesanti sospetti nelle carte dell’inchiesta e nell’ordinanza degli arresti da appurare possibili azioni di favoreggiamento da parte di apparati pubblici     

VENEZIA – Un’inchiesta che può dimostrarsi devastante per il potere politico economico del Veneto. Se ne rende conto subito Piergiorgio Baita quando scopre che la Guardia di Finanza di Padova ha interrogato Vanessa Renzi, la segretaria della BMC Broker. E in quel momento, è la primavera dello scorso anno, inizia a mettere in campo tutte le sue amicizie per conoscere che cosa ha scoperto la Finanza e per inquinare l’indagine. Un aspetto inquietante che getta ombre su apparati dello Stato. Gli investigatori se ne rendono conto quando ritrovano, nel maggio 2012, i file delle registrazioni che William Colombelli ha fatto dei vari di incontri avvenuti tra lui e Baita e Claudia Minutillo. È il 27 aprile dello scorso anno e i due si trovano al Forte Agip di Marghera est, parlano del fatto che la segretaria Renzi dovrà essere sentita a breve dai finanzieri. Conoscono però il verbale del primo interrogatorio avvenuto in gennaio. Dice Baita: «…cosa vuoi che ti dica? L’hai letto anche tu il verbale». Agli investigatori della Guardia di Finanza appare strano che i due abbiano letto il verbale. Infatti si tratta di un verbale redatto in sole due copie: una depositata in Procura a Padova e l’altra trattenuta dalla Guardia di Finanza. In sostanza i finanzieri si rendono conto che qualcuno sta cercando di inquinare le prove e ci sono state fughe di notizie, talpe insomma. In Procura a Padova o alla Guardia di Finanza. Proseguendo nel dialogo, Baita e Colombelli discutono sia su verifiche fatte alla Mantovani che al Consorzio Venezia Nuova. Cercano di capire chi ha firmato i verbali di chiusura verifica. Vogliono capire se quella che è in corso alla Mantovani è una normale verifica. Infatti si sono insospettiti per un nuovo interrogatorio di Vanessa Renzi. Colombelli dice: «Se la tengono dentro altre quattro ore, come al solito?». Risponde Baita: «Vuol dire che c’è qualche cosa che non funziona e allora vuol dire che dovremmo… che chi ci sta seguendo l’operazione non ci dice le cose giuste». E ancora Baita che dice all’altro: «…in questo momento ho fatto delle verifiche e non ci sono delle posizioni aperte…il verbale lo hai visto anche tu, i miei amici dicono: ma guarda, lasciateli lavorare, ci sono delle procedure per chiudere le operazioni». E la risposta di Colombelli è eloquente: «Il mio problema era: cazzo capire chi ha firmato per dire se era uno dei tuoi, uno dei tuoi per dire che cazzo stai facendo… e il nostro uomo, oltrettutto, non c’è neanche di servizio». Successivamente, quando i due se ne vanno, durante il viaggio si messaggiano. Colombelli a Baita: «I nostri dicono: la signora, e BMC, nuova». Come dire c’è un nuovo interrogatorio di Renzi sulla Bmc. Colombelli quando Baita gli risponde che non sa cosa fare gli invia questo sms: «È strano che non t’abbia detto nulla, perché parte sempre da Padova». Nuovo incontro a Marghera tra Baita e Colombelli. I due parlano dell’interrogatorio dell’impiegata della BMC, Colombelli spiega al presidente di Mantovani che se non vi fosse stato il suo avvocato fuori dalla porta dell’ufficio Renzi «sarebbe stata rovesciata come un calzino». Secondo Baita la Finanza ha degli indizi ma non prove su dove sono finiti i soldi recuperati con le fatture false. E l’altro riferendosi al maresciallo che ha interrogato la donna sostiene: «…son contento su questa cosa, però il problema è, da come l’ha gestita lui, sembra il bambino che non ha ricevuto la fetta di torta…a me sembra il contrario delle notizie, magari qualcuno l’ha tenuto fuori perché è maresciallo…abbiamo visto che non c’era nessun movimento sul computerone, zero assoluto, poi questo mi ha chiamato da Milano e mi ha detto: chiamami da fisso e mi ha chiesto dei soldi… so delle cose…non si sa se un altro filone…io non posso permettermelo questo qua di Milano, dell’Agenzia delle Entrate di Milano che è un generale…è la terza volta che gli do dei soldi…mi ha chiesto ancora soldi per avere informazioni ancora da Padova».

Carlo Mion

 

Dolore per Chiarotto e i lavoratori 

L’ingegnere in carcere spera che non ci siano problemi per i 600 dipendenti    

BELLUNO – Prima dell’interrogatorio di ieri l’avvocato Paola Rubini ha incontrato il suo cliente Piergiorgio Baita, sabato quando gli ha fatto visita nel carcere di Belluno. Se ieri il presidente di Mantovani si è mostrato sereno, sabato si è commosso. Piergiorgio Baita non si è mostrato tanto preoccupato per se stesso ma per i famigliari e l’azienda. Nominando la moglie e la Mantovani si è pure commosso. Si è trattato di un breve colloquio che solitamente gli avvocati di fiducia fanno con i propri clienti, prima dell’interrogatorio di garanzia e che serve per verificare le condizioni di salute della persona carcerata e capire quale sia la linea difensiva più adeguata da tenere durante l’udienza di convalida dell’arresto. Quasi sempre l’imputato sceglie di avvalersi della facoltà di non rispondere in quanto la difesa conosce ben poco dei documenti dell’accusa che si trovano nel fascicolo d’indagine. Piergiorgio Baita il carcere lo ha conosciuto negli anni Novanta. Accusato di aver pagato tangenti venne poi assolto. Per uscire di carcere aveva collaborato con gli investigatori che cercavano i politici corrotti. Fece il nome di Mosole, l’imprenditore trevigiano re della ghiaia finito pure lui in galera. Al suo avvocato, sabato, ha chiesto come i giornali e la televisioni hanno trattato la notizia e se continuano a scrivere della vicenda. Non sembra preoccupato per se stesso e per quanto gli potrà succedere. Forse si rende conto che ha ben poche vie per evitare un’eventuale condanna. È preoccupato invece per l’azienda e sulle ripercussioni che potrà avere per i guai giudiziari che sta avendo. Si è mostrato dispiaciuto per la famiglia Chiarotto che controlla la “Mantovani Spa” di cui lui è presidente. E poi si è commosso parlando dei 600 dipendenti della società. Si augura che la vicenda non crei problemi per i posti di lavoro di queste persone. Un pensiero particolare anche per la moglie. Ha chiesto all’avvocato come sta e anche nominando la donna si è commosso. poi per il resto non ha detto altro. C’è da immaginare che abbia letto e riletto più volte l’ordinanza che lo ha portato in carcere. Ordinanza che riporta le intercettazioni fatte dal “socio” Colombelli. Un elemento che si può definire uno dei pilastri dell’accusa. Quindi l’interrogatorio di ieri e la speranza che il procedimento venga portato a Padova come chiede l’avvocato Rubini. Carlo Mion

Scontro sulla commissione d’inchiesta  

Il Pd si oppone all’iniziativa di Zaia («Non può essere nominata dalla giunta») e chiede la sospensione dei project in cantiere  

VENEZIA – Domani il consiglio regionale inizierà l’esame del bilancio e della legge finanziaria 2013 ma sui lavori dell’assemblea incombe, come un macigno, la bufera giudiziaria sugli appalti delle grandi opere del Veneto nell’ultimo decennio. Frode fiscale, fondi neri, sospetti di tangenti, ipotesi di collusioni politiche… «Prima di aprire la discussione, chiediamo che il presidente della Regione si presenti in aula per relazionare sulla situazione emersa dopo gli arresti della scorsa settimana», è l’invito che il Pd rivolge a Luca Zaia per voce del capogruppo Lucio Tiozzo e del vicepresidente del consiglio Franco Bonfante. Il governatore leghista, per parte sua, ha annunciato il varo di una commissione d’inchiesta “tecnico-amministrativa” da parte della giunta ma l’iniziativa non convince affatto i democratici: «È ridicolo, si tratterebbe di un organismo espressione di una sola parte, quella politicamente vicina al sistema degli appalti. Trasparenza impone che la commissione sia nominata dall’assemblea e rappresenti tutti i gruppi, la magistratura faccia il suo lavoro, noi non siamo un tribunale ma sul terreno amministrativo dobbiamo fare il nostro». La circostanza promette di innescare un duro scontro tra maggioranza e opposizione. Il partito di Giancarlo Galan, presidente del Veneto nel periodo al centro delle indagini – ha anticipato il “no” all’istituzione della commissione inquirente: «Mi fido della Procura di Venezia e della Guardia di Finanza», commenta lo speaker del Pdl Dario Bond «lasciamole lavorare senza cercare palcoscenici»; e lo stesso Zaia fa sapere che il suo intervento in aula riguarderà esclusivamente il bilancio «nel rispetto delle competenze della magistratura, cui offriamo la nostra totale collaborazione». Il partito democratico, però, non desiste. E rilancia su un tema cruciale, quello dei project financing, la finanza di progetto che combina capitali pubblici e privati, con prevalenza di questi ultimi, “ripagati” attraverso concessioni e servizi in esclusiva. Ecco, un ordine del giorno del gruppo proporrà la sospensione e la verifica di tutte le opere in project financing ancora non avviate: «Questo per passare al setaccio ogni procedura e spazzare via ogni elemento di dubbio che possa ricollegarsi all’inchiesta in corso», ribadiscono Tiozzo e Bonfante «siamo di fronte a fatti di enorme gravità che inevitabilmente hanno effetti a cascata sulla prosecuzione di opere pubbliche, sugli equilibri delle società partecipate e sugli assetti finanziari regionali». Il consigliere Stefano Fracasso rincara e attacca i criteri di adozione del project: «Non contestiamo lo strumento in sé ma l’uso che ne è stato fatto, rivelatosi fallimentare. Nessuna concorrenza, cordate precostituite, sempre le stesse, zero rischio d’impresa ma un utile garantito in partenza variante tra il 7 e il 15%, largamente superiore al mercato. L’impressione è che spesso sia stata capovolta l’ottica: i project non erano funzionali a realizzare di opere necessarie, viceversa lavori venivano ideati e appaltati per consentire alle cordate di arricchirsi». Corollario: indebitamenti di lungo periodo per le casse regionali, oneri ulteriori per il cittadino (tipico l’esempio delle superstrade a pedaggio che subentrano alle arterie gratuite precedenti) e utilità assai dubbia delle grandi opere viabilistiche alla luce della riduzione di traffico provocata dalla recessione. Infine, l’urgenza di prevenire conflitti d’interesse. Uno per tutti, il segretario generale dei Lavori pubblici, Silvano Vernizzi, tuttora amministratore delegato di Veneto Strade: «Non può più essere controllore e controllato», è la conclusione dei democratici.

Filippo Tosatto

 

FINANZA DI PROGETTO  – Nuovi appalti dalle grandi strade alla sanità

Tra le opere di viabilità in project financing in cantiere figurano la Nogara-Mare destinata ad affiancarsi alla Transpolesana; la superstrada Valsugana a quattro corsie che collegherà il Veneto a Trento; il circuito Tangenziali venete che unirà Padova, Vicenza e Verona costituendo una seconda autostrada parallela alla Serenissima; la strada regionale Monselice-Legnago. Sul fronte della sanità, invece, giacciono i progetti riguardanti Verona (reparto materno infantile di Borgo Trento e ristrutturazione di Borgo Roma) nonché il centro protonico di Mestre.

 

ASSESSORE e sindacati 

Chisso: ben venga l’indagine del pm

Mantovani: rischi per l’occupazione

VENEZIA «Mi pare ci sia un’inchiesta in corso, ben venga, attendiamo il suo iter. Sul piano amministrativo condivido in pieno l’idea della commissione d’indagine del presidente Zaia. Veneto Strade? È una società e risponderà del suo operato, come tutti: parole dell’assessore veneto alla mobilità e alle infrastrutture Renato Chisso, pidiellino e galaniano. Sul fronte politico, il capogruppo di Italia dei Valori, Antonino Pipitone, ha inviato al presidente dell’assemblea regionale, Clodovaldo Ruffato, una lettera dove definisce «Non solo auspicabile, ma obbligatoria, la presenza in aula dei i vertici della Regione, e in primis del governatore Zaia, per spiegare cosa sta succedendo». Un’interpellenza parlamentare sulla vicenda è annunciata dal neo-deputato di Sel Giulio Marcon: «Dal giro di fatture false finalizzare alla costituzione di fondi emerge l’esistenza di un sistema politico-affaristico». Nuova bordata, da Strasburgo, dell’europarlamentare vicentino del Pdl Sergio Berlato, nemico acerrimo di Galan e dei vertici veneti del partito che l’hanno accusato di falsi tesseramenti: «Sospetto che dietro la costruzione di grandi opere ci sia una perversa organizzazione malavitosa mirante a garantire proventi illeciti a soggetti privati e in particolare ad alcuni politici». Ma i guai del gruppo Mantovani, il maggiore nelle costruzioni in Veneto, preoccupa anche i sindacati degli edili, che ieri – nella sede della società di via Belgio, in zona industriale a Padova – hanno sollecitato un incontro all’azienda per fare chiarezza sul futuro occupazionale dei 600 dipendenti, che salgono a 1300 con l’indotto: «Ci sono contratti in essere, temiamo contraccolpi per i lavoratori, chiediamo garanzie precise alla proprietà», fanno sapere Giancarlo Tosatto e Marino Berto.

 

Comunicato stampa

Il malaffare veneto che ruota attorno alle infrastrutture e alla filiera asfalto-cemento, denunciato da anni di proteste, è sotto al naso di tutti. Date, nomi, composizioni societarie, scatole cinesi e intrecci saltano agli occhi anche dei profani. E il filo rosso che si sta dipanando porta alla galassia societaria che orbita attorno alla Regione.

2,1 milioni di euro è la cifra contestata a Veneto Strade Spa per fatture false emesse da BMC Brokers, nell’ambito dell’inchiesta “Chalet” che ha portato all’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani Spa.

2,1 milioni di euro che Veneto Strade (partecipata al 70% tra Regione e Province venete), per bocca del suo amministratore delegato Silvano Vernizzi, avrebbe speso per stand, fiere e affini. Un’uscita di cassa a dir poco vergognosa, sia per importo che per destinazione di spesa.

Parlare di Veneto Strade e di Vernizzi significa toccare il braccio operativo della Regione sul fronte delle infrastrutture stradali voluto dal tandem Galan-Chisso. Tanto più che i vertici di Veneto Strade ricoprono un doppio ruolo anche in Regione sui medesimi temi: Silvano Vernizzi è infatti anche segretario regionale per le Infrastrutture e commissario al Passante e alla Pedemontana.

Tutto questo mentre si continuano a “spremere” e vessare i cittadini; mentre la Regione, per mezzo di CAV, da mesi sta minacciando aumenti spropositati dei pedaggi autostradali sulla tratta Padova Mestre; mentre si dirottano i finanziamenti ai servizi e ai trasporti pubblici verso colossi privati che li utilizzano non solo per cementificare il territorio ma anche per corrompere e influenzare la politica.

Riteniamo che sia ora e tempo che questi figuri abbiano almeno la dignità e il tempismo di dimettersi, prima di essere travolti dalla mannaia della giustizia.

Parafrasando il titolo della nota canzone di Branduardi, chissà non sia davvero l’inizio della fine della fiera, dell’assurda ventennale orgia del malaffare veneto legato alle infrastrutture e all’urbanizzazione selvaggia…. in quel caso si partiva dal minuscolo topolino per finire, a catena, con un castigo divino. Chissà.

 

Gli attivisti chiedono che l’Ad dell’azienda pubblica, Silvano Vernizzi, rimetta il suo mandato: “Spremono i cittadini con i pedaggi, cementificano ovunque e fanno sparire soldi per le tangenti.

Ammonterebbe a “2,1 milioni di euro è la cifra contestata a Veneto Strade Spa per fatture false emesse da Bmc Brokers, nell’ambito dell’inchiesta Chalet che ha portato all’arresto di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani Spa. Soldi che Veneto Strade (partecipata al 70% tra Regione e Province venete), per bocca del suo amministratore delegato Silvano Vernizzi, avrebbe speso per stand, fiere e affini“. A far scendere il carico sulla vicenda Mantovani sono gli attivisti di Opzione Zero, l’associazione veneziana ex promotrice dei Cat-Comitati ambiente e territorio.

“Parlare di Veneto Strade e di Vernizzi – spiega una nota di Opzione Zero – significa toccare il braccio operativo della Regione sul fronte delle infrastrutture stradali voluto dal tandem Galan-Chisso. Tanto più che i vertici di Veneto Strade ricoprono un doppio ruolo anche in Regione sui medesimi temi: Silvano Vernizzi è infatti anche segretario regionale per le Infrastrutture e commissario al Passante e alla Pedemontana. Tutto questo mentre si continuano a ‘spremere’ e vessare i cittadini: mentre la Regione, per mezzo di Cav, da mesi sta minacciando aumenti spropositati dei pedaggi autostradali sulla tratta Padova Mestre; mentre si dirottano i finanziamenti ai servizi e ai trasporti pubblici verso colossi privati che li utilizzano non solo per cementificare il territorio ma anche per corrompere e influenzare la politica“.

Conclude Opzione Zero: “Riteniamo che sia ora e tempo che abbiano almeno la dignità e il tempismo di dimettersi, prima di essere travolti dalla mannaia della giustizia”.

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Il pm: «Bmc dal 2005 ha funzionato solo come cartiera per Serenissima Holding»

Vernizzi: «Macchè fatture fasulle, Bmc allestiva gli stand di Veneto strade»

«Pagate prestazioni realmente fornite. Da noi nessuno è stato indagato»

MESTRE – Non fotocopiavano solo documenti, nella più classica delle procedure usate in una “cartiera” degna di tal nome, ma riproducevano lo stesso meccanismo con società estranee alla galassia dell’Impresa Mantovani. Ovvero, fornivano fatture senza corrispettivo di servizi, con lo scopo di far risultare spese inesistenti e creare una disponibilità “in nero”, a una miriade di società, pubbliche e private, attive soprattutto nei settori stradale e delle infrastrutture. È da questo sospetto dei finanzieri che è scaturita la raffica di perquisizioni eseguite giovedì.
Tra gli altri uffici, le Fiamme Gialle hanno fatto visita, in via Baseggio a Mestre, alla sede di Veneto Strade, la società partecipata da Regione Veneto, Province del Veneto e società autostradali. Dalla rogatoria giunta dalla Repubblica di San Marino è infatti emerso che nell’elenco di soggetti economici che hanno eseguito bonifici alla Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli (arrestato) Veneto Strade ha versato complessivamente circa due milioni 100 mila euro. E siccome un’impiegata di Bmc ha messo a verbale che la società non faceva nulla, se non emettere “carte”, non solo nei confronti di Mantovani, ma anche di altre società, ecco che i finanzieri vogliono vederci chiaro. Per la verità la stessa impiegata aveva aggiunto che qualche evento pubblico o partecipazione fieristica la Bmc l’aveva organizzata.
A ricevere l’ordine dei finanzieri è stato Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade.
Di che provvedimento si trattava?
«Di una semplice acquisizione di documenti. Nessuno di Veneto Strade è indagato».
Quali fatture hanno preso?
«Si tratta delle fatture che documentano i rapporti con Bmc dal 2005 al 2010 per prestazioni di servizi che questa società ha fornito».
Di che cosa si trattava?
«Di assistenza ad eventi fieristici, ovvero la nostra partecipazione a esposizioni come Urbania Asphaltica».
Che si teneva a Padova.
«Esatto, ma altre presenze si sono registrate a Verona o Longarone. O per eventi legati alla sicurezza stradale che hanno interessato lezioni per studenti delle scuole medie o dimostrazioni del riflessometro per misurare i tempi di reazione alla guida».
Che cosa vi forniva Bmc?
«Predisponeva l’allestimento degli stands di Veneto Strade, con il personale, le hostess, le attrezzature».
Quindi il servizio fu fornito?
«Ci mancherebbe, le prestazioni ci furono».
E le fatture non erano fasulle?
«Erano fatturazioni di servizi forniti».
Lei è stato interrogato dagli inquirenti?
«A tutt’oggi no».

 

«Un unico progetto criminoso che coinvolgeva numerose società»

Ruolo centrale per la sanmarinese Finanziaria Infrastrutture

Oggi a Belluno il primo interrogatorio di Baita e a Treviso quello di Buson

«Bmc Broker non ha avuto dal 2005 in poi altro scopo se non quello di fungere da cartiera per le società del gruppo Serenissima Holding… Gli indagati hanno così potuto contare su una struttura organizzativa già esistente che ha consentito loro prima di utilizzare le false fatture emesse da Bmc e poi occultare con facilità gli illeciti commessi».
Il sostituto procuratore di Venezia, Stefano Ancilotto, descrive così il presunto meccanismo illecito finalizzato alla creazione di fondi “neri” per milioni di euro da lui contestato a Piergiorgio Baita, presidente della società di costruzioni Mantovani spa (capofila del gruppo Serenissima Holding); a Claudia Minutillo, amministratore delegato di Adria Infrastrutture ed ex assistente dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan; al presidente di Bmc Broker di San Marino, William Ambrogio Colombelli e al responsabile amministrativo della Mantovani, Nicolò Buson, tutti arrestati giovedì con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale attraverso false fatturazioni.
La struttura della presunta associazione criminale viene descritta nelle 60 pagine di cui è composta la richiesta di misura cautelare che il pm Ancilotto aveva depositato all’Ufficio Gip nell’autunno del 2012: richiesta accolta la scorsa settimana dal giudice Alberto Scaramuzza il quale ha firmato un’ordinanza lunga 223 pagine. Sotto accusa sono finite le presunte false fatturazioni emesse da Bmc Broker sia nei confronti della Mantovani sia della società Adria Infrastrutture. Secondo la Procura «si tratta di un unico programma criminoso di cui fanno parte anche altre società, tra cui Consorzio Venezia Nuova, Thetis spa, Palomar srl, Dolomiti rocce srl, Talea scarl, Veneto strade spa, Veneto acque spa, Passante di Mestre spa, gravitanti intorno al “Gruppo Mantovani” in un’unica strategia pianificata dal Baita».
Strumentale all’intero progetto sarebbe stata, secondo il pm Ancilotto, la costituzione all’estero, con sede nella Repubblica di San Marino, della società Finanziaria Infrastrutture che, seppure mai operativa, «risulta aver costituito la scusa o il mezzo per affidare rilevanti incarichi di consulenza a Bmc», mentre i suoi conti sarebbero serviti agli indagati «per riciclare una parte del denaro retrocesso alle società italiane». Il capitale sociale della Finanziaria è stato messo a disposizione da Adria Infrastrutture mentre le quote sociali risultano sin dall’inizio intestate a Minutillo e Colombelli.
La Procura attribuisce a Baita il ruolo di «dominus dell’intera vicenda, colui che dà le direttive, colui al quale gli altri due si rivolgono quando devono decidere il da farsi nei casi più complessi». Secondo il pm Ancilotto risulta evidente «come ognuno tragga dall’operazione il proprio personale diretto beneficio e come senza l’accordo di uno dei tre l’operazione nel suo complesso non avrebbe potuto essere posta in essere».
Baita avrà la possibilità di fornire la propria versione dei fatti nell’interrogatorio fissato per questa mattina davanti al Gip di Belluno, città nella quale si trova detenuto. Sempre questa mattina sarà interrogato anche Buson detenuto a Treviso il quale sarà ascoltato per rogatoria dal Gip del Tribunale di Treviso. Molto probabilmente entrambi si avvarranno della facoltà di non rispondere, almeno fino a quando i loro difensori non avranno studiato le carte in mano alla pubblica accusa.

Gianluca Amadori

 

FATTURE FALSE E FONDI NERI

Il giorno della verità di Baita. Oggi l’interrogatorio in carcere

I SOLDI – «Disponibilità bancarie nei conti»

LE RAGIONI DELLA RICHIESTA  «La situazione di Est Capital incrocia le vicende giudiziarie»

A TREVISO E BELLUNO  – Oggi gli interrogatori del presidente di Mantovani e di Buson

A TREVISO E BELLUNO – Oggi gli interrogatori del presidente di Mantovani e di Buson

LA COLLABORAZIONE – Inquirenti veneziani e sanmarinesi insieme per condurre le indagini

LA COLLABORAZIONE – Inquirenti veneziani e sanmarinesi insieme per condurre le indagini

Si svolgeranno questa mattina gli interrogatori degli ultimi due indagati nell’operazione della Guardia di Finanza. Il presidente della Mantovani spa, Piergiorgio Baita (avvocati Piero Longo e Paola Rubini), sarà ascoltato per rogatoria dal Gip di Belluno, città nel cui carcere è detenuto. Il responsabile amministrativo della società di costruzioni, Nicolò Buson (avvocato Fulvia Fois) detenuto a Treviso, sarà interrogato dal Gip di Treviso. Con molte probabilità entrambi si avvarranno della facoltà di non rispondere in attesa di conoscere le carte in mano all’accusa.

L’INCHIESTA Sono state tre le rogatorie chieste dal magistrato per la Repubblica del Titano

San Marino, crocevia del “sistema Baita”

Il pm: «Lì il manager e la Minutillo potevano contare sull’appoggio di politici locali e su fondi»

È grazie alla collaborazione delle autorità della Repubblica di San Marino che la Procura di Venezia è riuscita a riscostruire il “giro” milionario di presunte false fatture emesse, dal 2005 in poi, dalla Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli a favore della società di costruzioni Mantovani spa, presieduta dal veneziano Piergiorgio Baita, 64 anni, e di Adria Infrastrutture, la società amministrata dalla mestrina Claudia Minutillo, 49 anni, ex assistente del presidente della Regione Giancarlo Galan. Sono tre le rogatorie avviate dagli inquirenti veneziani per fare luce sulle intricate operazioni finanziarie. E, nonostante San Marino sia uno dei cosiddetti “paradisi fiscali” inseriti nella black list internazionale, il pm Stefano Ancilotto è riuscito ad ottenere in pochi mesi le risposte che aspettava, sulla base delle quali ha formulato una lunga serie di accuse nei confronti di Baita, Minutillo, Colombelli e del responsabile amministrativo della Mantovani, il padovano Nicolò Buson.
Gli arresti sono scattati giovedì mattina in tutta fretta in quanto gli uomini della Guardia di Finanza hanno scoperto che Colombelli si stava recando in Costa Azzurra, in Francia, e temevano che potesse sottrarsi all’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Alberto Scaramuzza. Il giudice ha disposto il carcere nei confronti dei quattro indagati anche per la sussistenza di un concreto pericolo di fuga, in particolare da parte di Colombelli che, già munito di passaporto diplomatico (in qualità di console onorario di San Marino), dopo aver subito le prime perquisizioni nell’ambito della verifica fiscale avviata due anni fa a carico della Mantovani, si era trasferito quasi esclusivamente a San Marino, dove prima trascorreva solo pochi giorni al mese. Ma, secondo il Gip, anche per Baita e Minutillo vi era il rischio di fuga: entrambi, si legge nell’ordinanza, «si sono recati più volte a San Marino dove possono contare dell’appoggio di politici locali e sulle disponibilità monetarie costituite presso conti correnti bancari ove hanno versato importi rilevanti».

 

DAL COMUNE – Locatelli (Pdl): «Condizioni mutate. Nuovo bando per l’ex Ospedale al mare»

«Serve un nuovo bando di gara per l’ex ospedale al Mare». La richiesta arriva da Marta Locatelli, consigliere comunale Pdl, che si aggiunge all’appello di altri colleghi di Ca’ Farsetti (Michele Zuin, Nicola Funari e Jacopo Molina) per una convocazione urgente del consiglio comunale sulla situazione dei progetti al Lido in relazione alla vicenda dekka Mantovani.
«Il bando – spiega Locatelli in una interrogazione inviata al sindaco Orsoni – va rifatto per inadempimento da parte del privato e per i gravi fatti giudiziari sopraggiunti. Le condizioni ci sono tutte: innanzitutto la grave situazione finanziaria e l’esposizione debitoria di Sgr Est Capital (ricordo che il fondo Real Venice 1, sempre di Est Capital, è indebitato con le banche per circa 120 milioni di euro e verso terzi per 300 milioni)».
«C’è poi – continua Locatelli – un accordo che prevede la restituzione dei 32 milioni ad Est Capital da parte del Comun , modificando totalmente il bando di gara senza alcun coinvolgimento del consiglio comunale. Il Fondo Real Venice 2 attraverso il quale Est Capital Sgr si è aggiudicata l’operazione “ex Ospedale al mare appartiene ad Est Capital solo per il 20% mentre il restante 8 è di Mantovani-Condotte, con il presidente della Mantovani arrestato per frode fiscale e fondi neri. Ad oggi nonostante numerose richieste da parte di vari consiglieri, nulla e’ stato condiviso con il consiglio comunale».

 

Nuova Venezia – “Dalla Bmc fatture false per tutti”

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4

mar

2013

La superteste svela il grande sistema. Le dichiarazioni della segretaria della Bmc. La società di San Marino “serviva” molte società venete: così creavano fondi neri. A chi servivano? Oggi Baita e Buson saranno interrogati dal pm.

VENEZIA – Oltre ad abbattere i ricavi per pagare meno tasse, a cosa serviva il giro di fatture false con connessi fondi neri portato alla luce dalla guardia di finanza? Difficilmente Piergiorgio Baita, difeso dagli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, nell’interrogatorio fissato per oggi risponderà alle domande del pubblico ministero veneziano Stefano Ancilotto, che ha coordinato l’indagine che ha portato all’arresto, oltre che dell’amministratore delegato 64enne della Mantovani, anche di Claudia Minutillo, 48 anni, già segretaria di Galan e amministratore delegato di Adria Infrastrutture, di Wiliam Colombelli, 49 anni, console di San Marino ora sospeso, e presidente della Bmc Broker di San Marino, sospettata di essere la società cartiera, e infine di Nicolò Buson, 56 anni, direttore amministrativo della Mantovani, tutti accusati di associazione per delinquere e frode fiscale. Anche Buson, come Baita, sarà interrogato oggi. È l’uomo su cui punta l’accusa per ottenere nuovi riscontri al meccanismo ricostruito dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia e Padova, e che vedeva la Bmc, dopo il pagamento della fattura, restituire alla società l’80% – tramite la Minutillo, che era intestataria di due conti correnti, ma poteva operare su quattro – per trattenere per sé, a titolo di provvigione, il 20%. Il Gip Alberto Scaramuzza, nell’ordinanza di custodia cautelare, sottolinea «l’esistenza di un’attività sistematica di falsificazione della documentazione necessaria a far risultare una partecipazione della Broker alle attività di progettazione in realtà da parte della Broker inesistenti». Ma l’indagine della Guardia di Finanza sta cercando di fare chiarezza anche sui versamenti fatti da altre società alla Broker di San Marino, tra le quali Veneto Strade (2,1 milioni di euro in sette anni per eventi fieristici) la società pubblica braccio operativo dell’assessorato regionale alla Mobilità guidato da Renato Chisso, che già ha salutato con favore l’apertura,domani, di una commissione d’inchiesta regionale. In un passaggio dell’ordinanza, la teste principale dell’inchiesta, Vanessa Renzi, segretaria di Colombelli, spiega: «Voglio precisare che quanto ho detto con riferimento alla Mantovani e alla Adria infrastrutture vale anche per tutte le altre società ovvero Consorzio Venezia Nuova, Thetis, Palomar, Dolomiti rocce, Veneto strade, Veneto acque, Passante di Mestre. Il mio riferimento specifico alla Mantovani deriva dal fatto che è il maggior “cliente” di Bmc. In pratica le fatture emesse nei confronti di ciascuna di queste società sono relative ad operazioni inesistenti e a fittizie consulenze in realtà mai poste in essere». La Guardia di Finanza sta anche cercando di capire anche di quali protezioni godesse Baita, che come emerge dalle intercettazioni era a conoscenza di una verifica fiscale sui conti della società e stava lavorando per depistare i finanzieri, ad esempio ritoccando documenti fiscali.

Francesco Furlan

 

I NUMERI

4 Le persone arrestate per associazione a delinquere e frode fiscale. Sono Piergiorgio Baita, 64 anni, ad della Mantovani; Claudia Minutillo, 48, già segretaria di Galan e ad di Adria infrastrutture; Wiliam Colombelli, 49, presidente della Bmc Broker; Nicolò Buson, 56, direttore amministrativo della Mantovani.

10 L’ammontare, in milioni di euro, delle 50 fatture false emesse dalla Bmc Broker sui quali sta cercando di fare chiarezza la Finanza.

20 I faldoni di carte raccolti dall’accusa per provare il sistema di false fatturazioni che vedrebbe al vertice dell’organizzazione Piergiorgio Baita.

 

Vernizzi sotto la lente dei grillini

«Troppi conflitti di interesse»

Un conflitto di interessi grande come una casa. Può la stessa persona essere commissario straordinario per la realizzazione di un’opera stradale, ma anche amministratore delegato della società che realizza l’opera e la massima autorità regionale da cui dipendono permessi e autorizzazioni paesaggistiche? Il Movimento Cinquestelle va all’attacco di Silvano Vernizzi, potente direttore regionale delle Infrastrutture e della Direzione Ambiente e territorio dell’assessorato guidato da Renato Chisso, per ora soltanto sfiorato dall’inchiesta sulle fatture false che sarebbero state emesse dalla Mantovani e da Adria Infrastrutture. Una mozione da presentare in Consiglio comunale, un’interrogazione in Regione e un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti. Cinque fogli fitti di dati e riferimenti di legge, firmati dal consigliere comunale del Movimento dei Grillini, Gianluigi Placella, frutto del lavoro di équipe della “task force urbanistica” guidata da Davide Scano. Secondo i Cinquestelle non si tratta soltanto di una teoria. Ma il “conflitto di interessi”di Vernizzi avrebbe provocato negli ultimi anni effetti e conseguenze negative sulla città e sul suo territorio. I Cinquestelle contestano la nomina di Vernizzi (approvata dalla giunta regionale il 21 dicembre del 2010) ad Autorità competente per la Valutazione di Incidenza ambientale (Vinca) e coordinatore del Comitato tecnico per l’attuazione dell’intesa tra Regione e ministero dei Beni culturali in materia di paesaggio. Oltre che, prosegue l’esposto, “relativamente alla più estesa attribuzione delle competenze in materia tutela dell’ambiente e del paesaggio al segretario regionale per le infrastrutture. È sempre alla stessa persona, scrivono i grillini, che vengono affidate le valutazioni ambientali dei progetti spesso opera della struttura regionale che le ha progettate. Vernizzi, scrive il consigliere Placella, è stato nominato commissario per la realizzazione del Passante di Mestre e adesso della Pedemontana veneta – opere, come la gran parte di sottopassi e raccordi stradali, realizzate dalla Mantovani di Baita – ma è anche amministratore di una società per azioni “la cui operatività resta subordinata alle procedure autorizzatorie delle strutture regionali gerarchicamente subordinate al Segretario medesimo. Sempre a lui fanno capo tutte le strutture regionali per la gestione della tutela ambientale, del paesaggio e della pianificazione del territorio”. I Cinquestelle chiedono un controllo a tappeto su tutti gli atti firmati negli ultimi anni da Vernizzi. Chiedono anche al sindaco Giorgio Orsoni “di metter fine a questa situazione di conflitto di interessi che ha avuto riflessi negativi sulla gestione del territorio”.

Alberto Vitucci

 

Dal Libro “I padroni del Veneto”

Il partito degli affari per gli appalti

Miliardi di euro di lavori pubblici: in mano ai soliti noti

Dal recentissimo libro di Renzo Mazzaro “I padroni del Veneto”, edito da Laterza, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo parte del capitolo “Dove scorrono i soldi”. di Renzo Mazzaro C’è un partito degli affari che controlla gli appalti pubblici indirizzandoli verso i soliti noti? La questione tiene banco per tutto il decennio 2000-2010. Ci sono gli affari, questo è certo. E sono tanti. Un mare di soldi pubblici scorre nel Veneto: solo dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali valga 2,5 miliardi di euro. Escludendo il Mose, finanziato dallo Stato per oltre 4 miliardi di euro. Escludendo il Passante di Mestre, finanziato a metà fra Stato e Regione, partito con un costo di 650 milioni e arrivato al saldo con 986,4 più Iva. Escluse le Ferrovie, che spendono 2 miliardi per l’Alta Velocità tra Padova e Mestre, unico tratto realizzato; per i collegamenti Verona-Padova e Venezia-Friuli, di là da venire, saranno necessari altri 10 miliardi. Escludendo strade, autostrade, porti e aeroporti: solo Veneto Strade spa, che ha ereditato patrimonio e competenze dall’Anas, ha da spendere nei tre anni un miliardo di euro. In questo mare di soldi pubblici navigano pochi operatori privati. Tutti gli altri stanno sulle rive a guardare. I vincitori delle gare sono un numero ristretto di aziende che da sole o in associazione di impresa (Ati) si assicurano le commesse con una frequenza sistematica. Gli appalti variano ma i nomi si ripetono. Contano indubbiamente le capacità, bisognerà mettere nel conto le versioni denigratorie prodotte dall’invidia per il successo altrui. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: c’è un monopolio che non si spiega con assenza di concorrenza. Nasce da qui il sospetto che il vantaggio acquisito sia frutto non di merito ma di favore. Un privilegio di pochi costruito con i soldi di tutti. Chi parla per primo di un partito degli affari è Massimo Carraro che nel giugno del 2000, da parlamentare europeo dei Ds, pone la questione del finanziamento della campagna elettorale vinta dal presidente Giancarlo Galan contro Massimo Cacciari, candidato del centrosinistra. Andando alla ricerca di chi ha sborsato i soldi per la campagna elettorale di Galan, Massimo Carraro cita Enrico Marchi e Giuseppe Stefanel, imprenditori impegnati in una grossa operazione immobiliare a Padova Est, la cosiddetta lottizzazione Ikea. Chiede loro di chiarire pubblicamente «se siano stati, magari a mezzo di loro società, generosi finanziatori della campagna elettorale di Forza Italia». Si becca una querela, non dai due ma da Giancarlo Galan, benché il presidente abbia appena confidato in una cena con gli eletti di Forza Italia – sui colli Berici, ad Arcugnano, la settimana prima – di aver speso 3 miliardi di lire raccolti anche attraverso sostenitori. A corredo della denuncia, l’avvocato di Galan produce una montagna di documenti sulla base dei quali, sorpresa, il pm padovano Antonino Cappelleri non indaga Massimo Carraro bensì il sindaco di Padova Giustina Mistrello Destro e l’assessore Tommaso Riccoboni, entrambi di Forza Italia. Il contraccolpo è notevole, la procura si trova al centro di reazioni eccellenti. L’indagine prosegue ma non emergono elementi di rilevanza penale. Cappelleri passa all’ufficio di sorveglianza e il pm Matteo Stuccilli, che gli succede, finisce per archiviare. La lottizzazione non subisce rallentamenti. Nel mercato delle opere pubbliche venete si incontrano ad ogni piè sospinto lo studio di progettazione Altieri, la Mantovani Costruzioni e la Gemmo Impianti. «È un “giro stretto” che funziona a tenaglia e fa man bassa di lavori pubblici, garantendosi gli appalti perfino quando presenta offerte meno vantaggiose dei concorrenti. Questa rete è talmente fitta e potente che chi è fuori rischia di non lavorare più, perché gli appalti hanno scadenze fino a 9 anni, rinnovabili per altri 9. L’armata diventa invincibile adottando la formula del project financing, sperimentata per la prima volta con la costruzione del nuovo Ospedale all’Angelo di Mestre e della Banca degli Occhi, un affare da 254,7 milioni di euro Iva compresa, di cui 134,6 di contributo pubblico e 120,1 anticipati dai privati. Mestre è solo l’assaggio. Dal 2006 in poi il project dilaga. In una lettera al ministro Corrado Passera appena insediato, l’assessore Renato Chisso parla di «investimenti messi in campo per 11 miliardi e 800 milioni di euro di risorse private, a fronte di un intervento pubblico di 1 miliardo di euro, meno del 10 per cento del valore totale». Da notare che la documentazione per un project della dimensione di quelli che seguono ha un costo di centinaia di migliaia di euro. Presentarsi e non vincere, vuol dire subire un salasso. Presentarsi diverse volte senza mai vincere, vuol dire dissanguarsi. La galassia Galan. Questa diramazione tentacolare di cantieri, che asfaltano e cementificano per terra e per mare, è al comando di poche persone. L’ingegner Piergiorgio Baita guida la Mantovani Costruzioni, un’azienda che dà lavoro a 600 persone, 1.300 calcolando l’indotto. Baita è alla seconda vita, la prima è finita con Tangentopoli. Gemmo Impianti e lo Studio Altieri hanno una storia intrecciata. Livio Gemmo, capostipite e fondatore dell’azienda, originario di Asiago ma vissuto a Thiene con i figli Franco e Giorgio, era amico di famiglia dei Sartori. La Lia, nata a San Pietro Valdastico ma trasferitasi a Thiene, è considerata come una zia da Irene Gemmo, figlia di Franco. Lia Sartori va ad abitare a Thiene, sopra lo studio di ingegneria di Vittorio Altieri, che diventa il suo compagno. L’ingegnere, morto prematuramente nel 2003, ha un’attività avviata molto prima dell’arrivo sulla scena di Giancarlo Galan. È cresciuto con i primi presidenti della Regione, Angelo Tomelleri e Carlo Bernini, figure centrali del partito di governo, la Dc, anzi la corrente dorotea della Dc. Come accade ad un altro studio di ingegneria, la Net Engineering di Monselice, titolare Gian Battista Furlan. Tangentopoli impone una brusca frenata a Vittorio: le indagini lo lasciano indenne ma è costretto a cambiare aria per lavorare. Si trasferisce a Roma, estende l’attività anche all’estero. Darà la colpa ai giudici ma soprattutto ai giornalisti, specializzati secondo lui nel fare d’ogni erba un fascio. Finché l’elezione di Galan a presidente del Veneto e il ruolo di primo piano della Lia lo riportano nel Veneto. Nel 2005 Franco Gemmo cede lo stabilimento di Arcugnano ai figli Mauro e Irene, pur conservando la presidenza onoraria dell’azienda. Nel maggio 2006 Galan insedia Irene alla guida di Veneto Sviluppo con un annuncio dei suoi: «È arrivato il momento di fare cose brillanti, adeguate alle sfide dei nostri tempi». In realtà la sfida è al libero mercato, a causa del conflitto di interessi nel quale Irene Gemmo si trova immediatamente catapultata. Nascono screzi anche in azienda. Il programma di Irene nella Veneto Sviluppo – realizzare una multiutility regionale e unificare il sistema fieristico disperso tra le città – non è che la prosecuzione dei tentativi già falliti dal suo predecessore Paolo Sinigaglia. L’esito sarà scontato. In quel momento è già cominciata la parabola discendente di Sinigaglia, il Galan-boy più ruspante e verace. Galan ha puntato tutto sul suo amico-nemico per la pelle, Enrico Marchi, che è in piena metamorfosi professionale: Marchi passa a tutta velocità da finanziere a manager a imprenditore, anzi astro nascente degli aeroporti. Dopo la conquista della Save pensa di ripetere il colpo comprando Aeroporti di Roma. La scalata parte bene, seguendo lo stesso schema usato per la Save, ma sul traguardo Marchi si vede soffiare il pacchetto di maggioranza dai Benetton.

 

Lettera aperta del consigliere veneziano beppe caccia

Come vengono adoperati i soldi pubblici per il Mose?

VENEZIA – Beppe Caccia, consigliere comunale a Venezia per la lista “In comune” si chiede pubblicamente “come vengono spesi i miliardi di soldi dei cittadini destinati al Mo.s.e.? A che cosa sono serviti i fondi neri di Baita e Minutillo?”. Con un sospetto pressante: “A pagare tangenti? E chi le ha incassate?”. Ricorda il consigliere caccia: “Nell’ottobre scorso avevo pubblicamente chiesto all’ ingegner Piergiorgio Baita di fare chiarezza e di illustrare pubblicamente con grande trasparenza, visto che si tratta esclusivamente di risorse pubbliche, i conti del Consorzio Venezia Nuova e del suo azionista di maggioranza, la Mantovani SpA. L’ingegner Baita non aveva risposto e, dalle notizie che trapelano dall’inchiesta che ha portato al suo arresto, si inizia a capire perché il silenzio. Dal 1984 quando è partito il progetto Mo.S.E., cioè da quasi trent’anni, della marea di danaro che è andata e che va spesa per quel progetto, solo una parte va a finanziare le opere, mentre una gran parte va a finanziare qualcos’altro. Vediamo, ad esempio, come in tempi di austerity verranno spesi gli ultimi 1.250 milioni di euro stanziati per il Mo.S.E. dal Governo Monti . Innanzi tutto una quota del 12% va a pagare non i lavori o la loro progettazione, ma l’attività di management del Consorzio Venezia Nuova: ciò significa che questa attività verrà finanziata nei prossimi quattro anni con 250 milioni di euro, oltre sessanta milioni all’anno. Chiunque abbia una qualche competenza in materia sa che si tratta di cifre assurde e del tutto spropositate. Mettendo l’occhio nei bilanci passati si vede poi che questa cifra aumenta considerevolmente attraverso attività affidate dal Consorzio ad altri soggetti e rimborsate con cifre molto superiori a quanto effettivamente speso. Si può dunque pensare che i 250 milioni lieviteranno almeno fino a 300. I 950 milioni restanti verranno spesi per i lavori. Ma come? Attraverso l’affidamento diretto alle imprese del Consorzio – tra cui le indagate Mantovani SpA e le sue controllate come Palomar – e senza gara di appalto. Anche pensando che la forte etica di quelle imprese non le induca a gonfiare le voci di costo, qualora si facessero delle gare, come avviene in tutto il mondo civile, si otterrebbero dei ribassi medi sui lavori di circa il 30%. Ciò significa che se si facessero delle gare si risparmierebbero 285 milioni di euro, pur lasciando alle imprese la legittima remunerazione del proprio lavoro.Dunque, dei 1.250 milioni dati dallo Stato circa il 50%, cioè circa 600 milioni di euro non vanno a pagare le opere, ma vanno a un ristretto numero di persone che realizzano così assieme a degli impressionanti superprofitti”.

 

I progetti fantasma dal Mose alle strade

Le consulenze commissionate dalla Mantovani: dalle opere in laguna al Grande Raccordo Anulare di Padova

PADOVA – Sono dieci le grandi opere percui La Mantovani Spa di Piergiorgio Baita ha chiesto consulenze di varia natura alla Bmc Broker di San Marino. Consulenze fantasma, per cui la “cartiera” sanmarinese ha affastellato, da quando il sedicente console del “monte Titano” William Colombelli ha saputo che la guardia di finanza gli stava col fiato sul collo, una serie di operazioni di facciata al limite del grottesco. Tentativi di simulare l’effettiva esecuzione di progetti e consulenze per cui sono stati pagati dalla Mantovani dal 2005 al 2010 oltre otto milioni di euro e dalla Adria Infrastrutture altri due milioni, poco meno. Contratti di consulenza post datati rispetto alle consulenze ottenute, fatturazioni registrate di domenica, ricerca di fornitori a lavori conclusi: sono solo alcuni degli strafalcioni individuati dai finanzieri nel castello di “carta straccia” prodotto dalla Bmc. A Padova la Mantovani si interessa del Gra, il grande raccordo anulare: la finanza trova due fatture della società sanmarinese, entrambe da 150 mila euro per una “consulenza tecnica per la progettazione del piano del traffico conseguente alla modifica dello schema infrastrutturato Via Maestra-Gra di Padova”. La richiesta, coadiuvata da elaborati, documenti e planimetrie, è di fine dicembre. A inizio gennaio, in tempi incredibilmente brevi, la Bmc spedisce alla Mantovani il lavoro svolto. Gli elaborati che tornano da Sanmarino sono praticamente i medesimi partiti da Padova: la Bmc non ha svolto alcun lavoro. Di più: per lo stesso incarico spuntano altre fatture che la Mantovani ha pagato, per circa 80 mila euro, alle ditte Idroesse Infrastrutture Spa e Pro.Tec.co Scrl, di cui sono stati trovati i lavori. Sempre a Padova l’azienda della famiglia Chiarotto mette gli occhi sul sistema di complanari e tangenziali della A4 dal Garda (Vr) a Busa di Vigonza (Pd): 600 mila euro vengono pagati alla Bmc Broker per “elaborazione dati per la collaborazione nella realizzazione del progetto”. Ma anche in questo caso gli elaborati “firmati” dall’azienda sanmarinese non ci sono. Mentre ci sono quelli di altri studi, pure pagati dalla Mantovani. Tra il 2005 e il 2006 Mantovani paga alla Bmc Broker fatture per un milione 460 mila euro per “studio, progettazione e realizzazione di una campagna informativa e di comunicazione e promozione funzionale all’inserimento nel territorio dei cantieri aperti nell’ambito degli interventi per la salvaguardia di Venezia”, lavori affidati al Consorzio Venezia Nuova a Lido Treporti (poi esteso all’attività di risanamento dell’area industriale di Marghera. Negli stessi anni un altro milione viene pagato per la progettazione del terminal merci al largo della costa di Porto Levante in provincia di Rovigo. Un milione finisce a Sanmarino anche per “consulenze tecniche e di progettazione per la piattaforma logistica di Fusina (Ve). Nel 2007, ancora, 600 mila euro transitano dall’azienda di costruzioni padovana alla Bmc per un’elaborazione di dati, in realtà prodotta da altri, per il progetto di prolungamento di Pian di Vedoia a Pieve di Cadore (Bl), il tratto “A” del collegamento fra la A27 e la A23. Nel 2008 la Mantovani paga alla Bmc due fatture da 375 mila euro per il progetto di “valorizzazione del compendio immobiliare di via Torino a Mestre e il mercato ortofrutticolo”, poi 359 mila euro per la progettazione del “piano dei montaggi e installazione degli impianti di regolazione delle maree alle bocche di Treporti e Malamocco. Due anni dopo quasi 700 mila euro per la ricerca di fornitori per le “opere di sbarramento alla bocca di Treporti”. Nel 2009 la Mantovani paga alla Bmc mezzo milione di euro per lo “studio di delocalizzazione dei servizi logistici di Marghera”. Nelle intercettazioni a carico di Baita e Colombelli, disposte dopo che nel procedimento a carico della Società Autostrade Venezia Padova Spa che ha portato all’arresto dell’ad Lino Brentan, erano emersi stretti legami con le società del gruppo Mantovani, si definiscono i ruoli di quello che gli investigatori definiscono “disegno criminoso”. Ad un certo punto Baita manifesta a Colombelli la sua preoccupazione perché, dice, «quando vedono che lavori con San Marino, anche per importi bassi, fanno in controlli». Colombelli suggerisce a Baita di acquisire nel gruppo la Bmc, ma è un vicolo cieco: «Io non posso prendere come gruppo una società che produce solo carta» dice il manager padovano, «è pericoloso». E Colombelli, a riprova del ruolo della sua società, definisce la Bmc «la cartiera della Mantovani». Baita lo contesta: «Non penso che tu abbia fatto la Bmc per noi» «Avevamo anche un ramo commerciale» ribatte Colombelli, «ma è stato eliminato». In un altro colloquio i due cercano di trovare il modo di giustificare i pagamenti da Padova a San Marino: la Bmc non ha alcuna struttura di lavoro, non ha consulenti e tecnici nel suo organico. Colombelli si offre di eseguire lui, fittiziamente, i progetti. Ma Baita gli fa notare: «Un lavoro che tu, Willy Colombelli, fai direttamente, il valore di questo lavoro può essere elevato, ma non può essere qualche centinaio di migliaia di euro».

Elena Livieri

 

Gazzettino – “Bloccate Veneto City”

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3

mar

2013

DOLO – Il comitato Opzione Zero ritorna alla carica

Il Comitato Opzione Zero chiede nuovamente di bloccare Veneto City alla luce degli sviluppi giudiziari che hanno coinvolto Piergiorgio Baita.

«Il fatto che uno dei soci di maggioranza di Veneto City SpA sia ora pesantemente sotto inchiesta getta un’ulteriore ombra sinistra sulla grande operazione immobiliare promossa dall’Ing. Endrizzi».

È quanto affermano Rebecca Rovoletto e Lisa Causin, portavoce del comitato. Ed è proprio sulla questione Veneto City che Opzione Zero torna all’attacco perché dopo l’approvazione dell’accordo di programma avvenuta a fine 2011 da parte delle amministrazioni di Dolo e Pianiga e da parte del Presidente Zaia, ora si attendono i primi piani attuativi.

«I sindaci Maddalena Gottardo e Massimo Calzavara hanno il dovere morale di bloccare l’iter del progetto Veneto City, almeno fino a quando l’inchiesta in corso non avrà fatto piena luce su un sistema affaristico che rischia di travolgere l’intera regione Veneto».

(L.Per.)

 

L’ad di Mantovani conosceva particolari riservati delle indagini, i pm vogliono sapere se vi furono contatti a livello ministeriale. Due testimoni collaborano. Undici fatture per 10 milioni di consulenze inesistenti.

Dagli interventi di Salvaguardia, alle “bocche” a Malamocco

I vertici della Mantovani tentarono l’aggancio di militari operanti all’interno delle Fiamme Gialle

L’INCHIESTA – Due nuovi testimoni forniscono elementi a sostegno dell’accusa

COLLUSIONI – Il capo della Mantovani era informato sulle mosse degli uomini della Gdf

L’ELENCO – Sarebbero undici, per complessivi 10 milioni di euro, gli studi fittizi realizzati dalla società
Marghera, Porto Levante, autostrade: ecco

Sono undici le principali fatture che, tra il 2005 e il 2010, sarebbero state emesse dalla società sammarinese Bmc Broker alla Mantovani spa a fronte di prestazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di circa 10 milioni di euro. Il gip ritiene che si tratti di fatture fasulle – finalizzate a creare del “nero” – sulla base di una lunga serie di elementi raccolti dagli inquirenti. Innanzitutto le dichiarazioni rese dalla segretaria di Colombelli, la quale ha riferito che non appena le somme venivano bonificate alla Bmc Broker, lei stessa provvedeva a prelevare l’80 per cento della somma e a ri-consegnarla a Baita e Minutillo. Ma è anche la struttura della Bmc Broker a destare perplessità: come ha potuto gestire consulenze e progetti di tale rilevanza senza personale e senza alcun collaboratore o consulente, senza neppure un fotocopiatore?
Cinque degli incarichi assegnati dalla Mantovani alla società di Colombelli riguardano progetti e studi in provincia di Venezia: un milione e 400 mila euro per progettare campagne di comunicazione necessarie a promuovere gli interventi di salvaguardia della laguna di Venezia; più di un milione per realizzare uno studio relativo alla progettazione del nuovo terminal Ro-Ro (containers) di Fusina; un altro milione di euro per progetto, piano di montaggi e ricerca fornitori per le opere alle bocche di porto di Treporti e Malamocco a Venezia; 750mila euro per la valorizzazione dell’immobile che ospita il mercato ortofrutticolo di Mestre; 500mila euro per uno studio di delocalizzazione della nuova sede della società Mantovani a Marghera; quasi un milione e 600mila euro per l’attività di mediazione necessaria a reperire un fornitore specializzato di palancole (fu indicato lo stesso che già riforniva Mantovani, peraltro ad un prezzo inferiore).
Alla Bmc furono affidati anche studio e progettazione del terminal merci al largo della costa di Porto Levante, nel Polesine (900mila euro); la progettazione del prolungamento dell’autostrada A27 da Pian di Vedoia a Pieve di Cadore (600mila euro); studio e progettazione di complanari alla A4 nel tratto peschiera del Garda-Busa di Vigonza (900mila euro); consulenza tecnica per il piano del traffico denominato via Maestra-Gra a Padova (300 mila euro).
Tutto falso, sostiene il pm Stefano Ancilotto. A fronte del pagamento di somme ingenti sarebbero stati prodotti materiali scopiazzati o studi realizzati contestualmente da altri soggetti (e a loro già pagati).
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Scaramuzza contesta le somme esorbitanti corrisposte alla Bmc Broker a fronte di servizi realmente resi che costavano «un decimo rispetto alla fattura per operazione inesistente emessa». E rileva «la falsificazione della documentazione»: alla Finanza, infatti, sono stati prodotti documenti fotocopiati. Solo successivamente sono emersi gli originali «redatti dai reali fornitori del servizio, dal contenuto identico a quello presentato negli elaborati della Bmc Broker».

 

Il gip di San Marino: somme esorbitanti, pari a dieci volte il valore reale

tutte le consulenze false di Bmc

I documenti erano progetti realizzati da altri e scopiazzati

MINUTILLO «Faceva tutto la Mantovani, mi limitavo ad eseguire gli ordini altrui»

Baita, adesso si cerca la talpa di alto livello

Altri due testimoni stanno collaborando con la Procura di Venezia fornendo elementi utili all’inchiesta sulle presunte false fatturazioni milionarie contestate al presidente della società di costruzioni Mantovani spa, Piergiorgio Baita, al responsabile amministrativo Nicolò Buson, all’amministratore delegato di Adria Infrastrutture (ed ex segretaria dell’allora presidente della Regione, Giancarlo Galan), Claudia Minutillo, e al presidente di Bmc Broker di San Marino, William Ambrogio Colombelli.
Dopo gli arresti eseguiti giovedì mattina, ha preso il via una serie di interrogatori negli uffici della Guardia di Finanza di Mestre e almeno due di essi avrebbero avuto un esito definito interessante. Gli investigatori hanno anche iniziato ad analizzare l’enorme mole di documentazione sequestrata nel corso delle perquisizioni: tra le varie carte rinvenuta in alcune abitazioni vi sarebbe documentazione esterna alle contabilità aziendali dalla quale potrebbero arrivare importanti conferma alle ipotesi d’accusa.
LE ALTE “SFERE” – Nel frattempo la Procura sta proseguendo gli accertamenti sulle fughe di notizie che sembrano aver caratterizzato le indagini. La segretaria di Colombelli ha riferito di aver saputo che vi sarebbero stati tentativi da parte dei vertici della Mantovani di «agganciare militari che operavano all’interno della Guardia di Finanza» e, successivamente, da alcune intercettazioni è emerso che Baita era a conoscenza di alcuni particolari dell’inchiesta contenuti in un verbale di cui esistevano due sole copie, nelle mani di Procura e Fiamme Gialle. Il presidente della Mantovani vanta conoscenze ad altissimi livelli, probabilmente anche ministeriali, e gli inquirenti stanno cercando di capire se vi siano stati contatti nelle “alte sfere” per ottenere informazioni sullo stato delle indagini (iniziate più di un anno fa da una normale verifica fiscale di cui i vertici aziendali erano ovviamente a conoscenza) e magari per fare pressioni.
IL CAPO È BAITA – Nelle oltre duecento pagine di ordinanza di custodia cautelare, il gip Alberto Scaramuzza scrive che vi sarebbe stata una vera e propria associazione per delinquere con a capo Baita, definito ideatore di un sistema «smascherato solo grazie ad investigazioni tecniche approfondite e alle indagini svolte all’estero per rogatoria». Le misure cautelari in carcere vengono motivate con il pericolo di reiterazione di reati dello stesso tipo. Il giudice rileva, infatti, che nonostante gli indagati sapessero di essere sotto inchiesta, «il sistema posto in essere appare ancora pienamente operante come dimostra la conversazione tra Baita e Colombelli in cui si discute di come assegnare un nuovo ruolo alla Bmc Broker». Ma non solo: nella stessa conversazione Baita «afferma di possedere già altre società che per lui svolgerebbero il ruolo di cartiere».
«DISTRUGGI TUTTO» – Secondo il gip, inoltre, vi è anche il rischio concreto di inquinamento delle prove, come dimostrerebbero i numerosi colloqui dai quali risulta che Baita e Colombelli stavano concordando la versione da fornire alle Fiamme Gialle nell’ambito della verifica fiscale in corso alla Mantovani. «Gli indagati, in accordo tra loro, hanno fotocopiato centinaia di pagine, le hanno riprotocollate, le hanno fascicolate e presentate alla Gdf di Padova e all’autorità sammarinese» nel tentativo di occultare gli illeciti commessi, si legge nell’ordinanza. Colombelli, inoltre, avrebbe dato disposizione di distruggere tutta la possibile documentazione contabile della sua società.
Tra le prove raccolte dal pm Stefano Ancilotto vi sono una serie di e-mail rinvenute nel computer dell’ufficio di Baita, nonché alcune registrazioni effettuate di nascosto da Colombelli che si è auto-intercettato in alcuni colloqui con Baita e Minutillo, probabilmente per custodire materiale da utilizzare contro di loro nel caso di necessità. Quando Baita venne a sapere dell’esistenza di quelle registrazioni (sequestrate nel maggio del 2012 durante una perquisizione per acquisire documentazione della Bmc Broker) non riuscì a nascondere lo stupore e il disappunto: «Quel materiale non avrebbe dovuto esserci… questa non me la dovevi fare…»

Gianluca Amadori

 

Consigliere comunale scrive alla Bei e a Grilli «Aprite un’indagine»

VENEZIA – Il consigliere comunale di Venezia della lista “In Comune”, Beppe Caccia, ha deciso di scrivere al presidente della Banca Europea degli Investimenti (Bei); al suo Ispettore generale e per conoscenza al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e al magistrato Stefano Ancillotto, che sta conducendo l’indagine sulla frode fiscale che ha portato in carcere l’imprenditore Piergiorgio Baita. Caccia nella sua lettera segnala il caso a livello internazione prendendo spunto dalle erogazioni di denaro compiute negli anni dalla Bei al Consorzio Venezia Nuova per la realizzazione del Mose. «Ci sono procedure chiarissime per presunti casi di “corruzione e frode” ben chiariti dalla legislazione che regola i rapporti di finanziamento concessi dalla Bei – scrive Caccia alla Banca Europea – presento formale richiesta di apertura di un’inchiesta da parte del vostro Ispettorato Generale». Nel frattempo scende in campo anche il consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Antonio Pipitone, che chiede la convocazione per martedì prossimo, di un consiglio regionale ad hoc sulla vicenda Baita.

 

IN REGIONE VENETO

PRESA DI DISTANZE – Il presidente regionale scava un fossato con l’era Galan

Zaia: commissione d’inchiesta sui rapporti con la Mantovani

Il governatore: «Deve essere chiaro che le indagini riguardano solo fatti accaduti durante la precedente amministrazione»

Le reciproche prese di distanza, tra Zaia e Galan, non sono certo di questi giorni. Ma dopo l’esplodere dell’inchiesta sulla Mantovani Spa, che ha portato in galera il presidente del colosso delle costruzioni che nel Veneto del doge Giancarlo la faceva da padrone, tra se stesso e l’era Galan ormai Zaia sta scavando un fosso che pare il Grand Canyon.
Difficile dargli torto: l’inchiesta investirà in pieno anche la Regione, perché le presunte false consulenze pagate ad una società costituita ad hoc a San Marino potrebbero aver generato una provvista in nero il cui utilizzo, sospettano gli inquirenti, non poteva che essere illecito.
Sta di fatto che ieri il governatore Luca Zaia ha preso in mano la ramazza, come fece Maroni con gli scandali della vecchia Lega, e ha annunciato che l’attuale governo regionale non starà certo alla finestra: «Martedì costituiremo in Regione una commissione d’inchiesta sui fatti e le vicende relative all’inchiesta della magistratura sulla Mantovani», ha detto il presidente.
«La commissione d’inchiesta – ha proseguito Zaia – opererà in strettissima collaborazione con la magistratura inquirente». E la Regione è pronta, prontissima a costituirsi parte civile. Sulle indagini, Zaia ha precisato di non avere «notizie ufficiali» ma si è schierato a prescindere: «Ho la massima fiducia nella magistratura e ovviamente la mia amministrazione ha solo interesse che vi sia trasparenza fino in fondo». La scelta di Zaia e dell’attuale giunta regionale guarda lontano: anche in assenza di «notizie ufficiali» è chiaro a tutti che la tempesta sta arrivando e i veneti debbono sapere che la giunta Zaia non c’entra: «Deve essere chiaro che l’inchiesta non riguarda fatti accaduti durante l’attuale amministrazione – ha scandito ieri Zaia – bensì durante l’amministrazione precedente». Cioè durante il dogado di Galan.
Ma la presa di distanze di Zaia dal suo predecessore è radicale, e riguarda anche il “sistema Galan” cioè la scelta del project financing come mezzo privilegiato per finanziare le grandi opere in Veneto: quel project financing che – il grande pubblico lo ha appreso soltanto adesso – era stato “insegnato”, proposto, sollecitato a Galan dallo stesso presidente della Mantovani, che poi realizzava le opere.
E forse fa un po’ male a Galan che il Pdl sia allineato con Zaia: «Bisogna aprire tutti i cassetti: trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza, non possiamo permetterci il dubbio che in Regione siano finite tangenti» è la musica anche ieri intonata dal vice di Zaia, il pdl Marino Zorzato. Il quale fu fino al 2004 presidente di Veneto Strade, società controllata dalla Regione e perquisita dalla Finanza nell’ambito dell’inchiesta Mantovani. La presa di distanze dall’era Galan è oggi vitale per tutta la giunta Zaia, e il Gran Canyon resterà anche se alla fine la magistratura dovesse rilasciare tutti gli arrestati con tante scuse.

Alvise Fontanella

 

BUFERA SULLA MANTOVANI – Consulenze fittizie per 5 milioni su interventi a Mestre e Venezia

Baita, spuntano altri testimoni

Sulle false fatturazioni due persone stanno collaborando con la Procura. Zaia ordina un’inchiesta in Regione

SALVAGUARDIA

Foto e cose riciclate per la comunicazione

Anche uno studio per de localizzare a Marghera la sede della Mantovani

OPERAZIONE “CHALET”

In carcere Baita e l’ex segretaria di Galan

Frode fiscale milionaria, fondi neri e, sullo sfondo, l’ombra delle tangenti. Un uragano che ha sconvolto la laguna. Non si può definire altrimenti l’arresto di Piergiorgio Baita, 64 anni, patron del Gruppo Mantovani (Serenissima Holding), colosso delle costruzioni, con interessi diretti in una quarantina fra imprese e consorzi, capofila nei lavori di costruzione del Mose, capocordata nell’appalto da 160 milioni per la realizzazione della piastra espositiva di Expo Milano 2015, già impegnato nel Passante e nell’ospedale di Mestre. L’accusa è di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale, il reato contestato a fronte dell’accertamento di almeno 20 milioni di euro sottratti prima all’erario e poi all’economia legale, una somma enorme, ridotta a dieci per effetto della prescrizione. Con lui sono finiti in manette Claudia Minutillo, 49 anni, ex segretaria di Giancarlo Galan al tempo in cui era Governatore del Veneto, e ora Ad di Adria Infrastrutture spa (di cui Baita è vice presidente), William Colombelli, 49 anni, bergamasco, sedicente console onorario di San Marino dove ha sede la sua Bmc Broker srl, e il padovano Nicolò Buson, 56 anni, responsabile amministrativo della Mantovani spa.
A firmare le ordinanze di custodia cautelare, tutte eseguite, il gip Michele Scaramuzza che in 200 pagine ricostruisce la girandola di fatture fasulle che aveva un duplice scopo: abbattere l’utile su cui pagare le imposte e creare un deposito segreto di contanti.
Ci sarebbero altre 15 persone indagate per favoreggiamento, quasi tutti imprenditori, veneti ed emiliani, eccetto il vice questore aggiunto di Bologna, Giovanni Preziosa, finito nei guai per abuso di accesso al sistema informatico, perché avrebbe fornito indicazioni sullo stato delle indagini. Sequestri preventivi per 8 milioni di euro in totale.

 

“Patacche” da 5 milioni per interventi in città

Cinque incarichi fittizi per consulenze e studi fasulli o per campagne informative commissionati dalla Mantovani alla Bmc Broker per lavori su Mestre e Venezia

FUSINA – Alla società di Colombelli 1.050.000 euro per un progetto che fu in realtà realizzato da altri

Un milione e 400 mila euro per progettare campagne di comunicazione necessarie a promuovere gli interventi di salvaguardia della laguna di Venezia; più di un milione per realizzare uno studio relativo alla progettazione del nuovo terminal Ro-Ro (containers) di Fusina; un altro milione di euro per progetto, piano di montaggi e ricerca fornitori per le opere alle bocche di porto di Treporti e Malamocco; 750mila euro per la valorizzazione di un compendio immobiliare in via Torino; 500mila euro per uno studio di delocalizzazione della nuova sede della società Mantovani a Marghera.
Riguardano interventi da realizzare in provincia di Venezia 5 degli 11 incarichi che la Mantovani assegnò, tra il 2005 e il 2010, alla società Bmc Broker di William Ambrogio Colombelli, con sede a San Marino. Incarichi che, secondo il pm Stefano Ancilotto sarebbero stati del tutto fittizi, finalizzati a creare un giro di false fatturazioni attraverso le quali la Mantovani avrebbe creato una consistente “provvista” di risorse in “nero”.
SALVAGUARDIA – A fronte del pagamento di 1.4 milioni di euro in due anni, la Bmc Broker avrebbe trasmesso alla Mantovani soltanto «qualche decina di fotografie e brevi spezzoni di cose pubblicate sul sito del Consorzio Venezia Nuova», scrive il pm Ancilotto nella richiesta di ordinanza di custodia cautelare per Colombelli, Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e Nicolò Buson. Il gip Alberto Scaramuzza si domanda per quale Motivo la Mantovani avrebbe dovuto incaricare la Bmc di occuparsi dell’attività di comunicazione se aveva già versato oltre 600mila euro al Consorzio Venezia nuova nello stesso biennio per contibuire alle spese pubblicitarie-informative sui lavori di salvaguardia. Finalità per la quale il Venezia Nuova ha stanziato quasi 1.2 milioni di euro nel 2005 e poco meno di 1.5 milioni nel 2006. L’architetto Faccili, incaricata di coordinare l’intera campagna informativa del Consorzio ha dichiarato alla Finanza di non aver mai incontrato nessuno della Bmc Broker.
FUSINA – La società sanmarinese di Colombelli ha fatturato un milione e 50mila euro in due anni (2005-2006) per realizzare un progetto per la piattaforma logistica di Fusina, nell’area ex Alumix. Gli inquirenti ritengono che in realtà tale progetto non sia stato realizzato da Bmc Broker: da un lato perché parte della documentazione risulterebbe essere stata inserita successivamente; in secondo luogo perché parte dell’attività fu svolta e fatturata da un altro soggetto, lo Studio Cortellazzo & Soatto, che in particolare si occupò del piano economico finanziario per poco più di 50mila euro. Il progetto per il terminal fu successivamente presentato dalla società Thetis (non dalla Mantovani) all’Autorità portuale, la quale lo individuò come il migliore. E a Thetis nessuno ha mai sentito parlare di Bmc Broker.

 

INTERROGATA – Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, è stata l’unica a parlare finora, scaricando tutto sulla Mantovani.

Gli incontri all’autogrill di Marghera

Era uno dei luoghi in cui Baita e il sammarinese Colombelli si vedevano per parlare dei loro affari

Tra i luoghi scelti per gli incontri c’è anche la rotonda di Marghera. È proprio all’autogrill che si trova nello snodo della tangenziale che Piergiorgio Baita e William Ambrogio Colombelli si davano appuntamento. Il primo giungeva dai suoi cantieri veneziani, l’altro da San Marino dove ha sede la Bmc Broker, la ditta al centro delle indagini. Cosa i due si scambiassero è al vaglio degli inquirenti che dopo pedinamenti e intercettazioni hanno riscontrato come l’autogrill della rotonda di Marghera fosse uno dei loro luoghi preferiti. Anche se non era il solo.
È appurato anche che Baita sapeva ormai di avere i militari della Guardia di Finanza addosso. «Lo si è capito dalla reazione che ha avuto quando ci siamo presentati alla sua abitazione – dice il colonnello Renzo Nisi che ha condotto l’indagine – non ha stentato a capire cosa stesse succedendo e sapeva cosa c’era in ballo». Certo forse non si aspettava di essere arrestato e condotto in carcere. Quindi c’era una talpa, qualcuno che teneva informato il presidente della Mantovani sull’indagine della Guardia di Finanza. «Sicuramente hanno avuto un uccellino – spiega il colonnello Nisi – poco conta se porti una divisa piuttosto che un’altra. Dal momento che hanno saputo che la verifica prendeva la piega di San Marino hanno iniziato a guardarsi attorno, ad essere più attenti». Non a caso tra gli indagati ci sarebbe anche un vice-questore di Bologna che aveva sbirciato l’inchiesta che le Fiamme Gialle stavano conducendo. Ma gli inquirenti sono anche convinti che si tratti di millantatori che sapevano poco. «Ci siamo resi conto di quanto stava succedendo – prosegue il comandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia – e proprio per questo abbiamo realizzato che dovevamo blindare ancora di più la cosa».
Ora è la volta degli interrogatori di garanzia, Claudia Minutillo ha già cercato di chiamarsi fuori, William Ambrogio Colombelli non ha parlato e domani toccherà a Piergiorgio Baita e Nicolò Buson. E anche se dagli interrogatori di garanzia non dovesse uscire nulla di interessante, cosa probabile, gli inquirenti sono convinti che dopo qualche giorno di stagnazione almeno uno dei quattro parli.

Raffaella Ianuale

 

LETTERA-DENUNCIA

Caccia scrive alla Banca europea

«Inchiesta sui fondi per il Mose»

Dossier alla Bei dopo il coinvolgimento del Consorzio Venezia Nuova nel caso Baita. Intanto Zaia annuncia una commissione d’inchiesta

Questa volta l’appello è rivolto direttamente all’Europa. E per farlo, il consigliere comunale della lista “In Comune”, Beppe Caccia, ha deciso di scrivere direttamente al presidente della Banca Europea degli Investimenti (Bei); al suo Ispettore generale e per conoscenza al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e al magistrato Stefano Ancillotto, lo stesso che sta conducendo l’indagine sulla frode fiscale che ha portato in carcere l’imprenditore Piergiorgio Baita. Caccia nella sua lettera non va tanto per il sottile segnalando il caso a livello internazione e soprattutto prendendo spunto dalle erogazioni di denaro compiute negli anni dalla Bei al Consorzio Venezia Nuova per la realizzazione del Mose. Cifre da capogiro basti pensare che solo il 12 febbraio scorso, la Banca europea ha staccato un assegno di 500 milioni di euro proprio per il Mose. «Ma così come ci sono chiare erogazioni di denaro – sottolinea nella sua lettera ai vertici della Bei – ci sono anche procedure chiarissime per presunti casi di “corruzione e frode” ben chiariti dalla legislazione che regola i rapporti di finanziamento concessi dalla Bei. Considerato quanto sta accadendo da noi in questi giorni, vi è il fondato sospetto che i fondi concessi possano essere poi destinati a finalità corruttive con la concreta possibilità che tra le risorse distratte e destinate ad attività illegali vi sia anche parte dei prestiti già deliberati ed erogati dalla Bei». Insomma, un attacco a 360 gradi. «In considerazione delle norme stabilite dalla stessa Bei in caso di corruzione o frode – scrive ancora Caccia alla Banca Europea – presento formale richiesta di apertura di un’inchiesta da parte del vostro Ispettorato Generale. Tutte le informazioni possono peraltro essere acquisite alla Procura della Repubblica di Venezia». E mentre Caccia lancia la sua battaglia a livello continentale, il governatore del Veneto, Luca Zaia ha annunciato ieri che martedì verrà costituita una commissione d’inchiesta sui fatti e le vicende relative al caso Baita e le sue ripercussioni su alcune società della Regione. Nel frattempo scende in campo anche il consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Antonio Pipitone che, sempre al governatore Zaia, chiede la convocazione per martedì prossimo, anche di un consiglio regionale ad hoc sulla vicenda Baita. «Vista la gravità della situazione – dice l’esponente Idv – appare non solo auspicabile, ma obbligatorio il confronto in aula. Vogliamo sapere subito che cosa sta succedendo».

 

Nuova Venezia – Inchiesta Mantovani

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3

mar

2013

Domani è il giorno di Baita ma l’accusa conta su Buson

Primo faccia a faccia tra l’ad della Mantovani e il giudice che lo accusa di essere al vertice della piramide criminosa. A difenderlo c’è Piero Longo

VENEZIA – Domani tocca a lui, a colui che, secondo il pubblico ministero Stefano Ancilotto, ha ideato «una vera e propria organizzazione al fine di consentire evasione di imposte sia alla Mantovani e alla Adria Infrastrutture che ad altre società mediante l’utilizzazione delle false fatture della società cartiera sanmarinese, nonché mediante la creazione di fondi ove far confluire parte dei proventi». Il «capo» è l’ingegnere mestrino Piergiorgio Baita, che da tre giorni è rinchiuso nel carcere di Belluno, un penitenziario dov’è stato a lungo rinchiuso Raffaele Cutolo e più di un capo colonna delle Brigate rosse, una carcere duro. Ma 19 anni fa, Baita era già stato in un carcere, quello veneziano di Santa Maria Maggiore: era accusato di corruzione in qualità di direttore del Consorzio d’imprese per il disinquinamento della Laguna legato all’allora presidente della Regione Franco Cremonese e all’ex ministro Carlo Bernini. In quell’occasione decise di vuotare il sacco, ma in modo intelligente, senza confessare neppure uno dei nomi di coloro che era sospettato di aver corrotto: descrivendo semplicemente come funzionava il sistema di Tangentopoli, le percentuali alla Dc, al Psi e agli altri partiti. Non fece neppure un nome e se la cavò con il proscioglimento. Chissà domani quale strada sceglierà: difeso dagli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, probabilmente si avvarrà della facoltà di non rispondere, almeno per il momento, almeno finché i difensori non avranno letto i 20 faldoni di carte raccolte dall’accusa. Adesso, però, a differenza del 1992, lui sta al vertice della piramide e, secondo la ricostruzione degli investigatori della Guardia di finanza, dovrebbe raccontare soprattutto delle sue attività illecite. Chissà? Potrebbe cercare un accordo con il pm Ancilotto, invece, il ragionier Nicolò Buson in modo da uscire prima possibile dal carcere trevigiano di Santa Bona, magari per tornare nella sua casa di Padova agli arresti domiciliari. Il giudice veneziano nell’ordinanza di custodia cautelare spiega che «occupava un posto di vertice nella struttura organizzativa della Mantovani e partecipava alla progettazione della falsa fatturazione». Prima pagava i professionisti e le aziende che davano consulenze o rendevano servizi per i quali emettevano alla Mantovani autentiche fatture e sempre lui emetteva i bonifici per consulenze e servizi resi da altri a favore della «Bmb Broker» di William Colombelli, il quale a sua volta spediva le fatture fasulle, trattandosi di operazioni commerciali inesistenti. Per il difensore di Buson, l’avvocato Fulvia Fois, il suo cliente era un mero esecutore, una persona ben vista e apprezzata dai i dipendenti degli uffici padovani dell’azienda. Per uscire subito dal carcere, però, qualcosa dovrà raccontare, altrimenti le esigenze cautelari non diminuiranno.

Giorgio Cecchetti

 

L’asso pigliatutto delle grandi opere

Piergiorgio Baita ha 64 anni ed è l’amministratore delegato della società Mantovani, impresa di costruzioni tra le più importanti del Nordest. Vice presidente di Adria Infrastrutture, Baita siede nel consiglio d’amministrazione di numerose aziende e ha avuto un ruolo di primo piano nelle grandi opere che hanno ridisegnato il volto del Veneto – Mose di Venezia, Passante e Ospedale di Mestre, Sistema metropolitano di superficie – nonché negli appalti legati all’Expo di Milano.

 

Da ombra di Galan a imprenditrice

Claudia Minutillo, 48 anni, già collaboratrice dell’assessore regionale Renato Chisso e poi influente assistente personale di Giancarlo Galan (era soprannominata “la dogaressa”) quando l’esponente pidiellino presiedeva la giunta veneta, è l’amministratore delegato di Adria Infrastrutture. Una carriera fulminante, la sua, che da segretaria l’ha vista diventare dapprima broker, poi manager di eventi e infine capo di un gruppo industriale finanziario specializzato in grandi opere.

 

Il broker occulto agiva a San Marino

William Colombelli, 49 anni, è il presidente della Businnes Merchant consulting Broker di San Marino, società che ha sede sul Monte Titano in un ufficio di 50 mq con un’unica dipendente, destinataria però di 10 milioni in consulenze da parte del Gruppo Mantovani. Colombelli dichiarava da anni un reddito assai modesto, pari a 12 mila euro, ma secondo gli inquirenti manteneva un tenore di vita decisamente elevato, due barche, auto di lusso, una villa sul Lago di Como e un’altra sul lago di Lecco.

 

L’uomo che firmava pagamenti e fatture

Nicolò Buson , 56 anni, direttore amministrativo della Mantovani spa, è stato uno stretto collaboratore di Baita. Secondo gli investigatori, su mandato dell’amministratore delegati, disponeva i pagamenti alle banche di San Marino e protocollava le fatture fittizie destinate ad alimentare i fondi neri del Gruppo. La Guardia di Finanza (nella foto) nel corso della perquisizione della sua abitazione ha sequestrato materiale informatico definito «cruciale» ai fini delle indagini.

 

Zaia: commissione d’inchiesta sul caso

Bond (Pdl) contrario: mi fido di pm e Finanza, no ai comizi Pd: intrecci inquietanti. Idv: il governatore riferisca in aula

VENEZIA – Martedì la Regione istituirà una commissione d’inchiesta sul caso Mantovani e i risvolti criminosi nella gestione degli appalti delle grandi opere in Veneto. L’ha annunciato il governatore Luca Zaia precisando che si tratterà di un’indagine amministrativa parallela rispetto a quella condotta dalla Procura di Venezia: «La commissione opererà in strettissima collaborazione con la magistratura inquirente, verso la quale ribadiamo la massima fiducia, il nostro obiettivo è che vi sia trasparenza fino in fondo. Costituirci parte civile nel processo? Dobbiamo capire esattamente quali siano i reati, poi faremo ogni cosa in sintonia con l’autorità giudiziaria». Una decisione, la sua, che suona come presa di distanza dall’eredità del predecessore Giancarlo Galan – chiamato in causa, politicamente, da più parti – ma che potrebbe avvelenare i rapporti con l’alleato pidiellino. «Io mi fido dei magistrati e della Guardia di Finanza, hanno dimostrato capacità e rigore, l’accertamento dei fatti compete a loro, non ad una commissione-palcoscenico utile solo a fare demagogia e confusione», sbotta il capogruppo azzurro Dario Bond «in democrazia ciascuno deve fare la sua parte, a noi spetta il compito di amministrare non quello di improvvisarci investigatori dilettanti». Ma l’ombra di Galan minaccia la tenuta del centrodestra? «No, Galan è stato l’attore di opere nevralgiche per lo sviluppo del Veneto, i nostri rapporti con la Lega si complicheranno se non riusciremo a mantenere gli impegni assunti con i cittadini». A sollecitare con forza l’avvio di una commissione d’inchiesta, all’indomani degli arresti, era stata l’opposizione, Pd in primis. «Troppe le vicende giudiziarie che si stanno sommando negli ultimi mesi, impossibile non scorgere un quadro preoccupante di ciò che è stato il Veneto sotto la conduzione politica di Galan e della Lega» afferma il consigliere Piero Ruzzante «la disponibilità di Zaia è un fatto positivo ma ora dobbiamo comprendere come sono stati impiegati soldi dei contribuenti, perché i costi degli appalti sono lievitati, perché in questa regione i tempi delle opere sono infiniti. I giudici accerteranno le responsabilità penali ma noi abbiamo il dovere di ricercare la verità sul piano amministrativo». «Li vogliamo tutti in aula, a spiegare, a chiarire, a riferire. Il presidente Zaia, l’assessore Chisso, l’ad di Veneto Strade Vernizzi ci dicano come mai era così indispensabile andare fino a San Marino per una consulenza. E come mai, visto che mancavano sempre i soldi per fare manutenzione alle strade del Veneto, se ne sono trovati, e tanti, per fare delle fiere di settore», rincara il capogruppo di Italia dei Valori Antonino Pipitone «vista la gravità della situazione i vertici della Regione devono spiegare, e subito, cosa sta succedendo. Abbiamo davanti una settimana di dibattito dedicato al Bilancio. Chiediamo ufficialmente al presidente Ruffato di cambiare l’ordine del giorno e dedicare almeno la seduta di martedì allo scandalo che, da Baita in giù, sta coinvolgendo Veneto Strade e forse altre partecipate della Regione». «Ben venga la commissione», fa eco Pietrangelo Pettenò (Sinistra) «dopo questo terremoto è indispensabile che la Regione faccia chiarezza, occorre una svolta radicale nella gestione delle partecipate, nel segno della trasparenza».

Filippo Tosatto

 

Caccia ai «protettori» della frode

Un vice questore, due 007, una talpa nell’Agenzia Entrate: i sospetti sui complici

VENEZIA – Due sembrano essere le piste investigative che ora i finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Venezia e Padova, coordinati dal pubblico ministero lagunare Stefano Ancilotto, hanno imboccato. Quello delle coperture scattate a favore di Piergiorgio Baita non appena ha saputo che sul suo conto c’era un’indagine della Procura veneziana. A preoccuparlo non deve essere stata la verifica fiscale, nella sua vita come in quella di tutti gli imprenditori è quasi la normalità, ma sapere che c’era un pubblico ministero (lo stesso che aveva fatto scattare le manette ai polsi all’amministratore delegato della società Autostrada Venezia-Padova Lino Brentan) che lo puntava. Così, ha mosso le sue pedine per capire quali erano le carte che il magistrato aveva in mano, per capire se c’era il rischio che i suoi telefoni e quelli dei suoi collaboratori fossero intercettati (in effetti lo erano e da mesi, già dal momento dell’arresto di Brentan). C’è il vice questore di Bologna Giovanni Preziosa che non solo avrebbe cercato di avere informazioni sulle indagini contattando direttamente gli investigatori, ma avrebbe anche cercato di accedere alle informazioni del sistema informatico del Ministero degli Interni. Lo stesso avrebbero fatto due ufficiali in servizio al Centro del servizio segreto di Padova. Insomma, Baita avrebbe mobilitato le sue conoscenze, dimostrando di avere attorno una rete di protezione e un servizio di sicurezza con agganci all’interno dello Stato. Protezioni che potrebbe aver avuto anche all’interno di alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate, luogo fondamentale per coprirsi le spalle dagli accertamenti fiscali. A questi accertamenti sono legati quelli sui «fondi neri» creati con le fatture fasulle create grazie alla «Bmc Broker» di San Marcino. Il 20 per cento di quei 10 milioni di euro contestati nell’ordinanza di custodia cautelare (in realtà sarebbero di più, ma la prescrizione ha già cancellato alcuni milioni) sarebbero finiti nelle tasche di William Colombelli come pagamento della sua «commissione». Gli otto milioni rimanenti sarebbero tornati a Baita grazie ai viaggi in Veneto dello stesso Colombelli e ai trasferimenti compiuti da Claudia Minutillo (era intestataria di due conti correnti e delegata ad operare su altri quattro). Il sospetto è che quel denaro sia finito in conti piazzati su banche svizzere e non è escluso che nelle prossime settimane partano le richieste di rogatoria. Ma la domanda più pressante riguarda l’utilizzo di quei soldi. Le indagini precedenti, soprattutto a Milano ma non solo, hanno insegnato che i fondi neri servono soprattutto a pagare tangenti, mazzette per vincere gli appalti, ma anche per proteggersi le spalle, per creare una rete di protezione attorno all’impresa. Per ora, comunque, gli inquirenti puntano a chiudere con le condanne questa fase dell’inchiesta, venuta alla luce con le 4 ordinanze di custodia cautelare di tre giorni fa. Associazione a delinquere e frode fiscale sono i reati contestati e nell’ordinanza si legge che «a partire dal 2005 la Bmc Broker iniziava ad emettere fatture per svariati milioni di euro nei confronti della Mantovani e altre società del gruppo, indicando in modo assolutamente generico attività tecniche che in realtà venivano svolte da altre società che emettevano regolare fattura…le fatture così emesse venivano pagate tramite bonifico bancario in conti correnti ubicati in banche di San Marino ove, a distanza di pochi giorni, se non il giorno stesso Colombelli si recavano a prelevare in gran parte (oltre l’80 per cento). Le ingenti somme venivano poi riconsegnate a Baita e alla Minutillo. Risultava accertata la falsificazione della documentazione…Risultava accertata l’incongruità economica delle operazioni…Risultava accertata l’inidoneità della struttura organizzativa della Bmc Broker a svolgere qualsivoglia tipo di prestazione professionale». E, a confermare tutto questo sono alla fine arrivate le dichiarazioni della dipendente riminese di Colombelli, Vanessa Renzi, l’unica impiegata della società di San Marino. Giorgio Cecchetti

 

«Il Comune rescinda tutti i contratti»

Boraso (centrodestra) invita Orsoni a rompere gli accordi con la Mantovani, compreso quello del tram

VENEZIA «Il Comune di Venezia deve rescindere in autotutela tutti i contratti in essere con la Mantovani, da quello del tram, a quello per l’ex Ospedale al Mare – in cui la società di Baita è comunque presente – alla vendita delle quote delle autostrade Venezia-Padova e Brescia-Padova avvenute poco prima della fine anno e che inseme all’anticipo dei fondi per il campus di via Torino, sempre da parte della Mantovani, ha consentito al Comune di salvarsi dallo sforamento del Patto di Stabilità. Formalizzerò lunedì la richiesta al sindaco, ma è un’azione doverosa a tutela dell’immagine e del buon nome del Comune e della città e che va fatta nel nome della trasparenza, per accertare che non ci sia nulla che non vada, nel momento in cui la magistratura e la Finanza indagano a conto sui fondi e sulle operazioni compiute dalla Mantovani». In un clima sempre più arroventato anche a Ca’ Farsetti sulla vicenda Mantovani, è Renato Boraso, consigliere comunale del centrodestra, ad annunciare la nuova iniziativa. «La Mantovani ha comprato quelle quote di Autostrade per il Comune che nessuno voleva – insiste – e anticipato, per fare un favore, i circa 12 milioni di euro che doveva corrispondere a Ca’ Farsetti per il campus di via Torino solo l’anno successivo. Sono comportamenti che denuncio da tempo, ma che ora, alla luce di ciò che sta emergendo dall’inchiesta della Magistratura, devono obbligare il Comune a fare chiarezza, cominciando con la rescissione cautelativa dei contratti in essere con la Mantovani. Non servono invece Commissioni d’inchiesta comunali che non approderebbero a nulla, lasciamo lavorare i magistrati». «La Mantovani è stata per noi un partner importante e lo è a tutt’oggi. Non credo che questa vicenda avrà contraccolpi nei nostri confronti», ha già dichiarato prudentemente il sindaco Giorgio Orsoni. E sulla stessa linea la sua maggioranza, come testimonia il capogruppo del Pd, Claudio Borghello: «La Mantovani ha comprato le quote di Autostrade anche della Provincia dopo che per tre volte le nostre aste erano andate deserte, avendo evidentemente interesse a rastrellarle e i fondi per il campus di via Torino sono stati sì anticipati, ma sarebbero comunque dovuti arrivare. Personalmente non sono contrario a una commissione d’inchiesta comunale sui rapporti con la Mantovani, anche se ad esempio per i cantieri del Mose non è certo il Comune l’ente erogante». Non crede alla necessità di una commissione d’inchiesta comunale Michele Zuin del Pdl («avrebbe poteri limitati e per noi limitato interesse, diverso che la faccia la Regione, che ha alcune imprese a vario titolo coinvolte nell’inchiesta»). La Commissione è già stata chiesta da Beppe Caccia («Lista in Comune») e vede d’accordo anche il Gruppo Misto con Enzo Funari, ma anche Movimento Cinque Stelle e Federazione della Sinistra chiedono approfondimenti e chiarezza da parte del Comune.

Enrico Tantucci

 

verdelitorale di cavallino «Ci vuole cautela nell’usare quel nome» 

CAVALLINO. «Chiediamo cautela e senso etico al Comune nel far figurare il nome della ditta Mantovani come sponsor nei manifesti delle manifestazioni pubbliche». Gli ambientalisti di Verdelitorale all’attacco dell’amministrazione comunale di Cavallino-Treporti all’indomani dell’operazione della Guardia di Finanza. «Nel rispetto della sacrosanta presunzione d’innocenza che riguarda i vertici aziendali», commenta il presidente di Verdelitorale, Gianluigi Bergamo, «non riteniamo eticamente conveniente che il comune pubblicizzi gli innumerevoli finanziamenti ai trasporti ed alle manifestazioni pubbliche, provenienti dalla ditta Mantovani per garantirsi il benestare degli amministratori per le mastodontiche, quanto costosissime opere inutili che ha in progetto sul territorio di Cavallino-Treporti». «Mi riferisco ad opere del calibro del porto peschereccio da 27 milioni di euro in programma di realizzazione a Punta Sabbioni», continua Bergamo, «al centro ambientale marino da realizzarsi alla ex scuola Pascoli con un investimento di un milione e 500 mila euro. Realizzazioni mastodontiche sulle quali ora è lecito avanzare qualche dubbio». «La nostra associazione Verdelitorale non è nuova a proteste in tal senso», conclude, “nel 2009 premiammo la Mantovani con tutto il consorzio Venezia Nuova con il premio ad honorem Attila per l’opera di difesa a mare Mose che ha stravolto l’ecosistema lagunare». (f.ma.)

 

IL Sindaco alla Stipula.  Dopo il Sì della Giunta Martedì si va alla firma per l’ex Ospedale al Mare

VENEZIA L’inchiesta sulla Mantovani e sul suo presidente Piergiorgio Baita non ferma e, anzi, accelera l’accordo tra il Comune ed EstCapital per la vendita dell’ex Ospedale al Mare. La Mantovani possiede parte delle quote del fondo Real Venice II ed Est Capital ha ribadito che le operazioni finanziarie vanno avanti indipendentemente dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Baita, il loro quotista più importante. Il nuovo accordo prevede il contestuale impegno della società guidata da Gianfranco Mossetto a farsi carico – con i 31 milioni che il Comune “restituirà” alla cordata – della realizzazione del nuovo Palazzetto dei congressi che sorgerà al posto del “buco” del vecchio Palacinema mai realizzato, con dimensioni più ridotte. Già martedì pomeriggio – o al più tardi mercoledì – il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e lo stesso Mossetto dovrebbero firmare il nuovo contratto. Prima Orsoni domani relazionerà sui contenuti dell’accordo alla sua maggioranza e poi martedì mattina lo ratificherà in Giunta, in tempo per la stipula. Nella convinzione, evidentemente, che non arriveranno ostacoli dalla stessa maggioranza. A insorgere è invece l’opposizione. «Trovo molto grave», commenta ad esempio Michele Zuin, consigliere comunale del Pdl, «che il sindaco comunichi solo alla sua maggioranza, approvi in Giunta e firmi un accordo di questa delicatezza sul Lido tagliando fuori il consiglio comunale. Si ripete quanto avvenuto già sul Fontego dei Tedeschi. Nel merito trovo personalmente molto rischioso che il Comune “restituisca” a EstCapital i 31 milioni con il vincolo di impiegarli per il palazzetto del Cinema. Così perde il controllo, già difficile, della situazione. E se poi Estcapital non realizza il Palazzetto dei congressi cosa accade? Facciamo un’altra causa pluriennale». Sulla stessa linea anche Enzo Funari del Gruppo Misto.

 

«Mose, anche i fondi Bei a rischio frode»

Caccia (Lista in Comune) scrive alla Banca Europea chiedendo un’inchiesta sui soldi al Consorzio

VENEZIA – Aprire un’inchiesta sui fondi della Banca Europea degli Investimenti (Bei) recentemente erogati per il Mose, per valutare se esista su di essi il sospetto di frode o corruzione, viste le vicende giudiziarie che coinvolgono il presidente della Mantovani Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, l’impresa più rappresentativa di quelle che all’interno del Consorzio Venezia Nuova si occupano appunto della realizzazione del sistema di dighe mobili alle bocche di porto. Lo chiede ufficialmente agli stessi vertici della Bei il consigliere comunale della Lista in Comune Beppe Caccia con una lettera che ricorda come solo pochi giorni fa, il 12 febbraio, sia stata perfezionata a Roma la pratica relativa al trasferimento di 500 milioni di Euro del finanziamento deliberato dalla Banca Europea per gli Investimenti per la realizzazione dei lavori del Mose. La seconda tranche di un’operazione complessiva approvata quattro anni fa per un livello massimo di finanziamenti concedibili pari a 1,5 miliardi di euro. La prima tranche è stata di 480 milioni. «Lo scorso 27 febbraio 2013 un’indagine della Procura della Repubblica di Venezia condotta dalla Guardia di Finanza – scrive Caccia al presidente della Bei – ha portato all’arresto, tra gli altri, del presidente del Consiglio d’amministrazione dell’impresa di costruzioni “Mantovani SpA” ing. Piergiorgio Baita, società che è il principale azionista del Consorzio Venezia Nuova. L’accusa è di “associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale”. In sostanza gli indagati avrebbero distratto risorse destinate alla realizzazione del sistema Mose, per costituire veri e propri “fondi neri”, attraverso false fatturazioni per attività di consulenza mai effettivamente svolte presso una società con sede nella Repubblica di San Marino, la BMC Broker. Vi è il fondato sospetto che tali fondi fossero poi destinati a finalità corruttive e la concreta possibilità che tra le risorse distratte e destinate ad attività illegali vi sia anche parte dei prestiti già deliberati ed erogati dalla Bei». Prosegue la lettera di Caccia: «Vi invio perciò segnalazione di “possible fraud or corruption”, presentandoVi formale richiesta di apertura di un’inchiesta da parte del Vostro Ispettorato Generale». (e.t.)

 

Lavori A27, fondi neri per 600 mila euro

Sotto inchiesta il progetto di prolungamento da Pian Di Vedoia a Pieve di Cadore: la Mantovani avrebbe usato false fatture

TREVISO – Seicentomila euro di fondi neri nell’ambito delle attività di consulenza e progettazione del tratto autostradale Pian di Vedoia-Pieve di Cadore. È quanto emerge dall’inchiesta della Procura veneziana sulla Mantovani spa, l’asso pigliatutto delle infrastrutture venete il cui presidente Piergiorgio Baita è finito in carcere a Belluno con l’accusa di una frode fiscale da 10 milioni di euro. La somma, contestata dagli uomini della Guardia di Finanza, fa riferimento a un giro di fatture fasulle usate dalla Mantovani nei suoi bilanci ed emesse da un’azienda di San Marino, la Bmc Broker di William Colombelli che metteva in conto servizi e lavori in realtà mai effettuati. A questo gruppo di false fatture, apparterebbero – secondo gli inquirenti – anche due documenti contabili che portano le date del 4 giugno e del 4 settembre 2007, del valore di 300 mila ciascuno. Le fatture in questione risultano emesse dalla Bmc Broker a seguito dell’affidamento alla stessa (da parte della Mantovani) di un’attività di collaborazione nella redazione del progetto relativo al prolungamento di Pian di Vedoia a Pieve di Cadore, denominato tratto A, inserito nel più vasto collegamento tra A27 e A23. Ebbene, secondo gli investigatori, la Bmc Broker non ha mai fatto i lavori indicati. Diversi gli elementi in base ai quali la Finanza arriva a tali conclusioni. Primo fra tutti il fatto che quegli stessi, identici, interventi sono stati eseguiti in parte da dipendenti della Mantovani e in parte da altre società (di Padova, Milano, Rovigo) che li hanno regolarmente fatturati. I nomi di tali aziende figurano in un elenco di operatori interpellati dalla Mantovani per la predisposizione del progetto preliminare e la Bmc Broker non vi figura. Possibile che sia stata dimenticata? Il punto è che essa non compare neppure nella documentazione che la Mantovani presenta alla Regione Veneto nell’agosto 2007. Ma non basta: gli investigatori hanno chiesto ai referenti delle società che hanno lavorato al progetto se avevano conosciuto gli uomini della Broker. La risposta? Negativa, nessuno li ha mai visti alle riunioni operative, né ha mai collaborato con loro. E ancora: la relazione inviata dalla Broker alla Mantovani è pressoché identica a quella firmata da un’altra società. Per gli inquirenti la conclusione è che tra la Broker e la Mantovani esistesse un vero e proprio accordo per la predisposizione di documenti inerenti a rapporti commerciali inesistenti. Il risultato? Da un lato il fittizio aumento dei costi permetteva alla Mantovani di abbattere le imposte (e quindi di frodare il fisco), dall’altro si potevano costituire fondi neri. Fondi la cui destinazione è ancora da accertare.

 

Cartelline uguali e protocollo sbagliato ecco cosa ha insospettito la Finanza

Gli investigatori ritengono false le due fatture emesse nel 2007 dalla Bmc Broker di San Marino e usate dalla Mantovani, anche in base alle modalità con le quali esse sono state catalogate e archiviate nell’azienda di Piergiorgio Baita. Più precisamente: sia la documentazione inviata dalla Mantovani alla Bmc, sia quella di Bmc a Mantovani, è stata rinvenuta in uguali cartelle di plastica di colore nero: per gli investigatori ci sarebbe stata pertanto un’unica mano nella predisposizione dei due fascicoli. In altre parole, per la Guardia di Finanza, la documentazione all’apparenza proveniente dalla società di San Marino era stata in realtà formata nella sede della Mantovani. Gli investigatori definiscono tale elemento «un sintomo» dell’inesistenza delle operazioni indicate in fattura. Incongruenze sono state rilevate inoltre nei numeri di protocollo: in un caso tale numero rinvia non alla Bmc, ma a un soggetto diverso e non coinvolto nel progetto. (s.t.) di Sabrina Tomè

 

Gazzettino – Caso Mantovani

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2

mar

2013

COLOMBELLI  «Baita dice di avere pagato tutta la Finanza di Padova e Mestre» Ma un maresciallo non dà tregua

Una “gola profonda” , ex socia del broker, ha svelato i rapporti tra le società. I manager intercettati: «Vanessa è incontrollabile, l’hai letto il verbale…»

L’ORDINANZA – Nelle intercettazioni anche il riferimento all’ex governatore Galan

I SOSPETTI – Il “tesoretto nero” in due banche di San Marino

PADOVA – Milioni di euro da Padova finivano nelle banche di San Marino passando per la Bmc Broker. Soldi mossi secondo l’accusa da Piergiorgio Baita, amministratore delegato del gruppo Mantovani, e smistati da William Colombelli, presidente delle Bmc. La Bmc Broker avrebbe utilizzato diverse banche a San Marino per custodire e ritirare il “tesoretto nero”. In particolare sono emersi i nomi della Smib (San Marino International Bank) e della Bcs (banca commerciale sammarinese). La Smib nell’ottobre dell’anno scorso è stata acquisita dalla Banca di San Marino. L’istituto aveva manifestato interesse per un’acquisizione all’85%, pretendendo però dall’operazione le massime garanzie di trasparenza e credibilità. I versamenti sospetti della Bmc Broker su conti correnti Smib risalgono al periodo dal 2005 al 2010. C’è poi la Bcs, istituto in amministrazione straordinaria dall’ottobre 2010, dopo che due membri del cda avevano rilevato gravi irregolarità e inviato un esposto alla vigilanza di Banca Centrale.

Gli arrestati conoscevano le carte degli investigatori.

Spunta l’ipotesi di una talpa

La gola profonda è Vanessa Renzi, ex impiegata ed ex socia della Bmc Broker srl, la ditta di San Marino al centro delle indagini. «La Vanessa è incontrollabile… l’hai letto anche tu il verbale.» – si dicono Piergiorgio Baita e William Colombelli al telefono. Commenta il p.m. Stefano Ancilotto nell’ordinanza che ha portato in carcere il re degli appalti del Veneto, Piergiorgio Baita: «Il fatto che i due abbiano letto il verbale appare anomalo, trattandosi di un verbale redatto in sole due copie, una depositata in Procura e l’altra trasmessa dalla Guardia di finanza». Anche in un altro passaggio dell’ordinanza si accenna a contatti tra Finanzieri e Baita. È sempre Colombelli che parla: «Scattolin non risulterebbe assolutamente pagato, a differenza di quello che dice Baita di aver pagato tutta la Guardia di finanza di Padova e Mestre.» Chi è questo Scattolin? Il maresciallo delle Fiamme gialle che interroga Vanessa Renzi. «…il solito maresciallo che alla fine dell’interrogatorio, dopo che lei ha detto che non aveva nulla da dichiarare, l’ha persino fatta piangere, minacciandola della vita di sua figlia». Ed è proprio Vanessa Renzi, secondo il pm, a far venir giù il castello di carte messo in piedi per far sparire i soldi. Con la ditta di Colombelli, Vanessa Renzi ha lavorato per 15 anni, fino al marzo 2011, svolgendo le funzioni di segretaria. Dai primi anni 2000 Vanessa Renzi divenne anche socia della BMC Broker con una quota pari al 20 per cento cedutale da Colombelli a titolo gratuito. Perche è importante la testimonianza di Vanessa Renzi? Perchè in una occasione viene incaricata di andare a Rovigo, presso la sede di Hydrostudio Consulting Engineers srl, dove il geom. Marco Usan le avrebbe consegnato della documentazione da portare presso gli uffici della Bmc Broker. Alla Renzi il geometra della Hydrostudio consegna una paccata di documenti racchiusi in raccoglitori di colore rosso. Documenti e raccoglitori che la Finanza troverà nella sede della Mantovani. Ma la Hydrostudio è una società controllata dal Gruppo Mantovani e dunque il gioco è che la Mantovani fornisce a se stessa, attraverso la BMC, documenti che lei stessa ha prodotto. E’ una partita di giro di carte che Mantovani paga profumatamente a Bmc, che non ha nemmeno l’accortezza di cambiare i contenitori. Rossi erano i faldoni che vengono consegnati alla Renzi e rossi sono i faldoni che le Fiamme gialle trovano alla Mantovani. Se non fosse nero su bianco nelle carte della Procura e se non ci fosse la testimonianza di Vanessa Renzi verrebbe da dire che questo è un film di Totò. Il che è difficile da credere dal momento che stiamo parlando di Piergiorgio Baita di cui tutto si può dire, ma non che sia uno stupido. Al contrario, stiamo parlando di un genio degli appalti, di un uomo che nel giro di 15 anni è riuscito a mettere in piedi un impero che spazia dal settore immobiliare alle infrastrutture. L’unica cosa che si può pensare è che abbia lavorato, suo malgrado, con degli incapaci. Gente che non si è nemmeno preoccupata di salvare le apparenze. La BMC Broker di San Marino – che arriva a fatturare 3-4 milioni di euro all’anno – è tutta in un appartamento di 75 metri quadri e una segretaria, ma si occupa di consulenze che vanno dalle analisi sul mercato immobiliare alle intermediazioni per mezzi navali. Solo che nessuna di queste consulenze è supportata da pezze d’appoggio e quando la Guardia di finanza inizia l’inchiesta, Piergiorgio Baita chiede a Colombelli: «Di che consulenti ti avvali?» Di Nessuno – è la disarmante risposta di Colombelli. «Faccio tutto da solo.» E si vede. Prendiamo un solo esempio. Nel 2005 la Mantovani dà alla BMC un incarico per “attività di mediazione per la ricerca di fornitore specializzato in palancole”. L’incarico vale 500 mila 673 euro. Ebbene, la ricerca di BMC sul mercato accerta che esistono solo tre ditte che producono palancole di livello tale da poter pretendere di essere prese in considerazione da Mantovani. Una di queste è la ThyssenKrupp. Ma la Mantovani è da due anni prima, cioè dal 2003, che compra palancole dalla ThyssenKrupp e ad un prezzo inferiore. Insomma, era tutta una finta.
Ma resta la domanda fondamentale: perchè Baita pagava Colombelli e Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Galan? E perchè si è imbarcato con gente all’apparenza tanto sprovveduta? E non a caso quando Baita si rende conto che Colombelli è un incapace e decide di chiudere il rapporto, ecco che in una intercettazione Colombelli si fa forte di un nome, quello di tal Giancarlo (l’intercettazione è: “So soltanto che loro (Mantovani) hanno portato via quei soldi e io quei soldi glieli porto a casa lo stesso, quindi il fatto del bilancio lo azzero nello stesso modo. Se vogliono farlo perché è arrivata la cosa la…da…Giancarlo”) che non è impossibile ricondurre all’ex governatore del Veneto. Ecco perché, vista l’enorme quantità di quattrini – 10 milioni di euro in 6 anni, ma sarebbero 20 i milioni se una parte delle fatture emesse – e dei reati – non fossero andati in prescrizione – e viste le forze in campo, tutti pensano che l’inchiesta da qui a poco prenderà un’altra strada, diversa dall’evasione fiscale.

 

IL CARCERE – L’ingegnere in una cella per sei a Belluno

BELLUNO – Nessun trattamento di favore. Anzi. Al super manager Piergiorgio Baita, 64 anni, di Mogliano Veneto, presidente del consiglio di amministrazione della Mantovani spa e vice presidente della controllata Adria Infrastrutture, sarebbe stata riservata una cella da sei nel carcere di Baldenich. Detenuto tra i detenuti. Il penitenziario di massima sicurezza è noto per aver ospitato personaggi del calibro di Raffaele Cutolo, ritenuto il capo della nuova Camorra organizzata, e Giovanni Brusca, detto lo “scannacristiani” per la ferocia con cui agiva. Baita, conosciutissimo nel mondo politico, tanto da essere stato definito dall’ex governatore veneto, Giancarlo Galan, «il più intelligente tra gli imprenditori del ramo costruzioni… un tipo brillante, uno che sa costruire i fuochi d’artificio», è suo malgrado ospite del penitenziario assieme ad altri cinque detenuti, tra i quali non ci sarebbe alcun extracomunitario. Almeno queste sono le indiscrezioni filtrate dalle sbarre. Il patron del gruppo Mantovani sarebbe tutto sommato tranquillo. Niente scene isteriche o crisi di panico, ma solo compostezza, anche di fronte alla nuova sventura dopo quella di vent’anni fa quando venne arrestato per la prima volta nell’ambito di tangentopoli. Dal mondo politico provinciale, che ben conosce il manager, nessun commento. Il tema scotta troppo. L’interrogatorio di garanzia è previsto per lunedì.

 

A GENOVA – Il manager di San Marino non risponde al giudice

ALTRI INDAGATI – Per Baita e Buson l’ appuntamento lunedì in carcere

INTERROGATORI – Ieri davanti al gip l’ex segretaria di Galan e William Colombelli

LA DOGESSA «Non sapevo nulla di quelle fatture, erano altri che se ne occupavano»

«Ho solo eseguito gli ordini»Claudia Minutillo: «La parte amministrativa era gestita dalla Mantovani»

È apparsa provata dopo la prima notte passata nel carcere femminile della Giudecca per comparire di fronte al Gip per l’interrogatorio di garanzia. Claudia Minutillo, amministratore delegato di Adria Infrastrutture Spa ed ex assistente di Giancarlo Galan (all’epoca presidente della Regione) tra il 2000 e il 2005 ha risposto per un’ora alle domande del giudice, ma solo per sminuire la sua posizione in relazione alle fatture per un milione e 800mila euro circa che la Procura di Venezia indica come pagamenti fittizi alla società di consulenza sanmarinese Bmc Broker allo scopo di costituire fondi neri. Il sostituto procuratore Stefano Ancilotto (presente all’udienza) accusa lei e altre tre persone di associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle imposte mediante l’utilizzo di fatture false. Per trovare gli indizi del reato associativo (che comporta una pena da tre a sette anni senza considerare gli altri reati) la Guardia di Finanza ha lavorato per molti mesi. Di qui la richiesta di custodia cautelare in carcere per la Minutillo, per il presidente del gruppo Mantovani Piergiorgio Baita, del presidente della Bmc Broker William Colombelli e del direttore finanziario della Mantovani Nicolò Buson.
«Ha cercato di spiegare la sua posizione – commenta all’uscita l’avvocato padovano Carlo Augenti, legale della Minutillo – spiegando che la parte amministrativa era gestita anche per Adria Infrastrutture direttamente dalla Mantovani. Cioè, per le fatture, si utilizzavano gli uffici della Mantovani».
La Minutillo ha poi detto al giudice di essere stata molte volte a San Marino perché conosceva bene Colombelli e, anzi, aveva avuto una relazione con lui per un certo periodo di tempo tanto da passare come moglie per chi li vedeva insieme. «Non sapevo niente di quelle fatture – avrebbe detto al magistrato – facevo solo quello che mi veniva detto».
Il legale ha detto di contare sull’udienza di riesame per riuscire a spiegare la situazione della sua assistita, ma non ha mancato di sottolineare quello che secondo lui appare come un eccesso.
«Si tratta di una persona incensurata – ha concluso – accusata di fatture false emesse nell’arco di cinque anni. Ho seguito molti casi analoghi a questo e per importi molto superiori. Mai, però, mi è capitato di vedere in carcere i miei clienti».
Si è invece avvalso della facoltà di non rispondere Colombelli. L’avvocato veneziano Renzo Fogliata (che è stato tra le altre cose difensore dei “Serenissimi”, che fece assolvere dalle gravissime accuse loro rivolte) ha viaggiato di notte per arrivare in tempo a Genova per l’interrogatorio. «Sarebbe stato comunque inutile – commenta Fogliata – rispondere ad un magistrato che non conosce l’inchiesta e che non ha emesso l’ordinanza. Tuttavia, ritengo che sarà necessario scambiare qualche parola con il pubblico ministero».
Saranno interrogati invece lunedì Baita e Buson. «Sono certa che riusciremo a spiegare la nostra posizione – dice l’avvocato Fulvia Fois del foro di Padova, la quale lascia intendere che dal carcere di Treviso, dove è detenuto, potrebbe avvalersi per ora della facoltà di non rispondere – poiché è chiaro che Buson era un dipendente, che non poteva decidere sulle strategie ma che poteva solo eseguire ciò che gli veniva detto di fare. Sono fiduciosa sul fatto che possa uscire presto dal carcere». Quasi certo anche il silenzio dell’indagato più noto, Piergiorgio Baita, da giovedì nel carcere di Belluno. «È sereno come sempre – è la sensazione dell’avvocato Pietro Longo, che è fiducioso sulla caduta delle accuse – d’altronde è un uomo molto solido».

 

Un giro di 22 milioni di euro in gran parte riferito al cartello Baita-Minutillo. Ma non solo

Nel mirino altre fatture: dal Porto a Veneto Strade, dal Passante al Consorzio Venezia Nuova

IL SISTEMA – Si aumentano le spese per ridurre utili e tasse

Per evadere le tasse è il metodo più semplice. Utile, costi e ricavi. Aumento fittiziamente i costi, diminuisco gli utili. Mi invento delle uscite che contabilizzo e saldo con regolare bonifico bancario alla società “cartiera” che si presta all’operazione e che trattiene per sé una percentuale, e mi restituisce il rimanente, in contanti prelevato a stretto giro di posta. Nel sistema Baita le operazioni venivano eseguite su estero, perché la Bmc ha sede nella Repubblica di San Marino. Fino a qualche anno fa considerata una piccola Svizzera sul fronte del segreto bancario. Ma che di recente ha avviato una cooperazione amministrativa internazionale che facilita in maniera fondamentale le attività rogatoriali. Come sottolineato dagli inquirenti veneziani.

 

La politica: «Bisogna fare chiarezza»

Zorzato: «Vanno aperti tutti i cassetti». Ruzzante: «Serve subito una commissione d’inchiesta»

VENEZIA – Chiarezza su ciò che è accaduto, a costo di varare una commissione d’inchiesta. I politici non prendono sotto gamba l’inchiesta che riguarda la Mantovani e lambisce la Regione Veneto. «Credo che occorra trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza». A dirlo il vice presidente della Giunta regionale del Veneto Marino Zorzato. «Non possiamo permetterci di avere nemmeno il dubbio che siano finite tangenti in Regione, vanno aperti tutti i cassetti e messe sul tavolo tutte le carte. Perché la gente esige chiarezza».
Piero Ruzzante, consigliere regionale Pd, si spingi più avanti. «Dall’appalto “calore” in sanità alla compravendita del Palazzo di Grandi Stazioni a Venezia, dall’arresto di un tecnico del genio civile per le opere pubbliche dell’alluvione fino all’inchiesta sull’appalto per i pagamenti del bollo auto, che ha portato all’arresto del dirigente del Bilancio della Giunta, dottor Fadelli: la serie di arresti conferma il fatto che attorno al governo di centrodestra della Regione Veneto ruota un sistema di potere dai contorni foschi». Ruzzante attacca «la conduzione politica di Galan e della Lega. Come Pd cogliamo che si apra una commissione di inchiesta».
Simonetta Rubinato, parlamentare del Pd, sostiene: «Serve una reazione corale contro corruzione e illegalità che minano il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni e sono tra le cause della scarsa competitività del nostro sistema economico, viziando la libera concorrenza e sottraendo ingenti risorse alla collettività. Bisogna fare chiarezza e pulizia a tutti i livelli».
È intervenuto anche Andrea Tomat, ex presidente di Confindustria Veneto. «Il sistema, anche quello fiscale, comporta delle complessità di interpretazione: serve semplificare anche nei confronti di chi deve ottemperare e di chi deve giudicare». Ad oggi, secondo l’imprenditore, è necessario «fare chiarezza» e «lasciare lavorare le autorità inquirenti» anche per «non rallentare le opere». Per Tomat sul fronte di vaste operazione di lavori pubblici «ci possono esser delle aree grigie, si tratta di fatti che fanno scandalo quando sono cosi ampi; ma accade che ci possono esser degli aspetti palesemente fraudolenti e altri che sono più difficili da chiarire».

 

LE INDAGINI – I finanzieri dell’operazione “Chalet” stanno seguendo le tracce lasciate dai soldi

GLI SVILUPPI – Sono sotto osservazione società nelle stesse cordate della galassia Mantovani

La cassaforte della cricca è custodita oltre frontiera

È caccia alla cassaforte e più che ai contanti che conteneva a quelli che non ci sono. A cosa sono serviti? Di sicuro il forziere è collocato oltreconfine. Ne sono convinti i finanzieri che stanno indagando sui fondi neri milionari dell’operazione “Chalet” coordinata dal sostituto procuratore di Venezia, Stefano Ancilotto, che ha portato a quattro gli arresti. Il più eccellente quello di Piergiorgio Baita, veneziano di 64 anni con casa a Mogliano, patron del Gruppo Mantovani di Padova, che appare il deus ex machina della maxi evasione. In cella anche Claudia Minutillo, mestrina di 49 anni, fino al 2005 assistente personale dell’allora Governatore del Veneto Giancarlo Galan, e poi manager di successo con incarichi di vertice in diverse aziende della galassia della holding patavina come Adria Infrastrutture di cui è ad. Manette anche William Ambrogio Colombelli, il sammarinese di 49 anni in grado con la sua Bmc Broker srl di fornire consulenze di qualsiasi tipo con una semplice fotocopiatrice e una segretaria e a Nicolò Buson, padovano di 56 anni, responsabile finanziario della Mantovani.
Fatture per studi scientifici e ricerche di mercato inesistenti allo scopo di gabbare l’erario e per creare fondi neri cui attingere alla bisogna. Il metodo più semplice e banale, per di più attuato in una maniera tanto dilettantesca che stride con l’alta professionalità di una holding in grado di fare la parte del leone negli appalti pubblici di mezza Italia, da ultimo la piastra espositiva di Expo 2015 a Milano. E poi c’è un altro aspetto che rimane da chiarire nel conto totale delle “note” di pagamento emesse da Bmc: circa 22 milioni, di cui quasi metà saldate da società del cartello Baita-Minutillo a mo’ di partita di giro, rigorosamente extracontabilità, tolta la percentuale di Colombelli.
Come si colloca la somma piuttosto ingente contestata a imprese che non sono costole della Mantovani, bensì hanno ragioni sociali ben distinte, in qualche caso sono presenti nella stessa cordata aggiudicataria di una grande commessa oppure si ritrovano nello stesso consorzio? Se si può capire che una consociata la voce del padrone non la discute e quindi se Baita ordina si esegue, perché Veneto Strade (compartecipata di Regione e Provincia di Venezia), Passante Di Mestre, Autorità portuale di Venezia e Veneto Acque si sono rivolte in più occasioni dal 2005 al 2010 e per importi differenti alla “cartiera” costruita ad hoc all’ombra del Titano? Una semplice contaminazione del “sistema Baita-Minutillo” per abbassare l’imponibile tassabile o che cosa? Una cricca come farebbero intendere le Fiamme gialle?
Ma questi soldi versati a Colombelli dove finivano? Venivano restituiti a qualche referente delle società solventi per avere a disposizione liquidi non tracciabili, andavano a qualche titolo a Baita o servivano per altri scopi? Due milioni e centomila euro Veneto Strade, 413.200 Consorzio Venezia Nuova che sta costruendo il Mose, 182mila Passante di Mestre, 141mila Autorità Portuale di Venezia, 30mila Veneto Acque. Ora gli investigatori dovranno capire se a fronte di queste uscite ci siano stati dei servizi resi, anche se la testimonianza dell’unica dipendente di Colombelli non lascerebbe spazio a dubbi visto che conferma con sicurezza che tutte le fatture emesse da Bmc si basavano sul nulla. Per il momento non ci sarebbero indagati. Intanto spuntano altre fatture false emesse da ditte diverse dalla Bmc (che avrebbero sede a Monselice e Piove di Sacco) parrebbe sempre su “istigazione” di Baita. Monica Andolfatto

 

CASO MANTOVANI  – La Finanza sulle tracce della cassaforte all’estero. C’era una “cricca” delle fatture false

LA CASSAFORTE – I finanzieri che indagano sul giro di fatture false fra la Mantovani e una società di San Marino sono convinti di essere vicini alla “cassaforte”, probabilmente all’estero, dove sarebbero finiti i contanti versati a Piergiorgio Baita in cambio delle fatturazioni. Nel corso delle indagini sarebbero emerse centinaia, addirittura migliaia di fatture che sarebbero servite a creare fondi neri.

I DESTINATARI – La chiave dell’inchiesta riguarda però la fine che avrebbe fatto il fiume di denaro contante. Il sospetto è che possa essere stato utilizzato per pagare tangenti. Finora sono state eseguite 45 perquisizioni a carico di aziende, amministratori e abitazioni di questi fra le province di Venezia, Padova e Bologna.

GLI INTERROGATORI – Claudia Minutillo parla per un’ora e scarica tutto sull’azienda. Lunedì sarà sentito il presidente della Mantovani

Baita, caccia ai fondi neri

FATTURE FALSE & FONDI NERI

PERQUISIZIONI – Ispezioni a Mestre anche nella sede di Veneto Acque

LE FATTURE FALSE – Sarebbero migliaia con una fitta rete di società»

LA CORTE DEI CONTI  «L’obiettivo è il corretto uso delle risorse pubbliche»

ARRESTO “ECCELLENTE” – I finanzieri portano via Piergiorgio Baita dalla sua casa di Mogliano, dopo diverse ore di perquisizione all’interno dell’abitazione del manager

IL COMMITTENTE DEL MOSE – Per l’ente statale passano i soldi dell’opera. D’Alessio: «Mai avuto rapporti con la Mantovani»

 

Zorzato: «Serve trasparenza assoluta»

«Credo che occorra trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza». A dirlo il vice presidente della Giunta regionale del Veneto Marino Zorzato (già presidente di Veneto strade dal 2001 al 2004), a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova, riferendosi all’indagine della Guardia di finanza che ha portato all’arresto di 4 persone tra cui il presidente del consiglio di amministrazione del colosso delle costruzioni veneto Mantovani, Piergiorgio Baita.
«Non possiamo permetterci di avere nemmeno il dubbio che siano finite tangenti in Regione – ha aggiunto Zorzato – vanno aperti tutti i cassetti e messe sul tavolo tutte le carte. Perché la gente esige chiarezza».

MOSE – Le prime due paratoie sono arrivate giovedì a Marghera via mare da Monfalcone dove sono state realizzate

Baita, caccia al forziere

I fondi neri sono all’estero – La Finanza vuole capire a chi sono andati i milioni sottratti al Fisco italiano.

Nisi: «Di solito somme così ingenti vanno verso la pubblica amministrazione»

IL “SISTEMA” – C’era una “cricca” per aggirare l’erario con finte documentazioni

Porta all’estero. La strada dei soldi sottratti all’erario dal “sistema Baita” conduce oltreconfine. E cioè alla cassaforte dove venivano depositati i contanti che “transitavano” per San Marino, giusto il tempo per venire ritirati in contanti e riportati in Italia per poi “sparire”. I finanzieri del colonnello Renzo Nisi fanno capire di aver già individuato la collocazione del forziere o per lo meno di esserci molto vicino. Ma a interessare di più non sarebbe il denaro ancora in deposito, bensì quello che non c’è più. Dove è stato speso? Per pagare cosa o chi? Sono i quesiti cui i militari vogliono dare una risposta certa al più presto confidando anche nelle eventuali ammissioni dei quattro arrestati. Oppure di qualche imprenditore magari coinvolto suo malgrado nella girandola di fatture false emesse dalla Bmc di San Marino. Perché come è stato spiegato e ripetuto dagli investigatori fondi neri di tali dimensioni – decine di milioni di euro – non è credibile possano servire a comprarsi qualche cappriccio. «Spesso e volentieri ha ribadito lo stesso Nisi – vengono veicolati verso la pubblica amministrazione». Ma l’approfondimento di questo filone appartiene all’eventuale fase due dell’operazione “Chalet”. Intanto spuntano altre fatture false, centinaia, migliaia. Il che fa presupporre il coinvolgimento di società altre, rispetto a quelle individuate finora dagli 007 della Finanza veneziana ed elencate nell’ordinanza firmata dal gip Alberto Scaramuzza. Sarebbero state rastrellate fra ufficio e abitazioni di William Ambrogio Colombelli nel corso di perquisizioni concluse la scorsa notte. D’altronde il 49enne di Bergamo ma residente all’ombra del Titano, presidente della Bmc, è l’uomo chiave dell’inchiesta, così come la sua segretaria è una dei testimoni fondamentali nel confermare il meccanismo della “cartiera”.
Le perquisizioni eseguite finora sono 45 quasi tutte a carico di sedi di imprese, uffici e abitazioni di legali rappresentanti: soprattutto nel padovano e nel veneziano, molte nel bolognese. A Mestre i miliatari delle Fiamme Gialle hanno visitato fra gli altri Veneto Acque e l’ad Pieralessandro Mazzoni, Veneto Strade, Passante di Mestre e l’ad Giorgio Desideri.

 

L’AMMINISTRATORE – «Abbiamo collaborato e non abbiamo indagati»

OPERE PUBBLICHE Secondo il Consorzio Venezia Nuova nessun rallentamento

«Avanti tutta, senza alcun intoppo»

Ca’ Farsetti sui progetti al Lido: «Noi trattiamo con Est Capital»

La parola decisiva arriva da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. «La Mantovani Spa – dice – è una delle nostre più valide consorziate ed è una delle imprese che stanno procedendo nella realizzazione del Mose, nel rispetto del cronoprogramma definito con il Magistrato alle Acque di Venezia. Nessun rallentamento è previsto, poiché quanto accaduto in questi giorni non interferisce per nulla con il piano dei lavori in atto». Insomma il Consorzio prosegue per la propria strada anche in previsione dei prossimi appuntamenti legati alla realizzazione del Mose. «I cantieri del Mose – aggiunge Mazzacurati – sono in fase di avanzatissimo sviluppo e sono attualmente in corso fasi importanti e decisive: l’arrivo delle paratoie a Marghera e l’assemblaggio dei maschi; il varo e l’installazione di quattro paratoie nel canale di Treporti e la loro messa in funzione ai primi di giugno; il varo a Malamocco e l’installazione nel canale di San Nicolò dei cassoni di alloggiamento a partire dalla fine di ottobre. E allo stesso tempo anche Antonio Stifanelli, presidente di Pmv, la società che sta costruendo il tram, chiarisce: «Non ci sono contraccolpi per i nostri interventi – sottolinea – la società mandataria del progetto tram è la Gemmo. La Mantovani è solo una delle tante».
Nessuna ripercussione sul Lido secondo il vicedirettore del Comune di Venezia Luigi Bassetto: «Il contratto per la compravendita dell’ospedale al mare lo facciamo con Est Capital. Quali siano poi i rapporti interni al fondo non interessa al Comune». «Sull’accordo l’ultima parola spetta alla Giunta che ha il potere di deliberare – – prosegue – lo schema sul quale stiamo lavorando è noto. Ha senso fare l’accordo se si percepisce consenso e se si capisce che stiamo lavorando nell’interesse collettivo. Si tratta di un’ipotesi qualificata perché, secondo me, permette di perseguire gli obiettivi del protocollo». Lunedì a Ca’ Farsetti ci sarà una riunione tra i partiti di maggioranza proprio per fare il punto sulla vicenda. E proprio in merito alla bufera che si è abbattuta su Mantovani Est Capital ha precisato con una nota che «in qualità di gestore del fondo immobiliare Real Venice 2 la società Mantovani è uno dei quotisti del fondo, ma non ne detiene in alcun modo la quota di maggioranza.» Ieri, intanto nessuna delle due parti ha depositato memorie in Tribunale. Segnale della volontà reciproca di abbandonare il contenzioso. Gli avvocati Alfredo Biagini per il fondo e Giulio Gidoni per il Comune hanno comunicato, informalmente, al giudice Manuela Bano che è pronta un’ipotesi di accordo.

(ha collaboratoLorenzo Mayer)

 

 

I PAGAMENTI – Porto e Veneto Strade «Sono fatture regolari»

Intanto il manager Silvano Vernizzi finisce nel mirino dei 5 Stelle

«Valuta l’impatto delle opere in cui ha anche un ruolo operativo»

Tra i pagamenti alla società di consulenza sanmarinese Bmc Broker Srl, il cui presidente William Colombelli è stato arrestato ed è detenuto nel carcere di Genova, figurano per importi molto differenti anche Veneto Strade e l’Autorità portuale di Venezia. Quando giovedì sono scattate le manette, la guardia di finanza ha inviato molti militari anche nella sede di Veneto Strade ad acquisire materiale e documentazione. L’amministratore delegato Silvano Vernizzi, che tra le altre cose ha realizzato come commissario il passante di Mestre, è tranquillo perché i finanzieri avrebbero già avuto tutte le risposte sui due milioni e 100mila euro di pagamenti alla Bmc Broker contestati dal sostituto procuratore Stefano Ancilotto.
«Abbiamo avuto una perquisizione nella nostra sede – commenta – e abbiamo fornito alla guardia di finanza tutto ciò che ci è stato chiesto. Siamo sereni sulla correttezza delle operazioni e questo è confermato dal fatto che attualmente non c’è nessuno di Veneto Strade inserito nel registro degli indagati».
Bmc Broker è una società di consulenza aziendale e di marketing fondata nel 1995 che, come si evince dalla sua presentazione, “opera in affiancamento o in sostituzione al top management” per dare “più sostegno alle aziende che intendono inserirsi nel mercato mondiale”. La società di cui Colombelli è presidente risulta occuparsi anche di marketing, eventi e comunicazione.
Per la Procura, però, la società sarebbe stata soprattutto una produttrice di fatture false, finalizzate all’accumulazione di fondi neri.
Un importo, di molto inferiore, risulta agli inquirenti essere stato pagato dall’Autorità portuale: 141mila euro.
«Non so nulla di questo pagamento – è il commento del presidente Paolo Costa – perché riguarda un periodo precedente al mio arrivo. Comunque abbiamo fatto una verifica e si tratta di fatture per servizi effettivamente resi. Tutte le procedure interne, insomma, risultano essere state formalmente rispettate. Questa – conclude – è l’unica cosa che sono in grado di dire».
Intanto, il Movimento 5 Stelle si lancia all’attacco di Vernizzi, contestando un presunto conflitto di interessi in merito al suo ruolo di responsabile regionale di molti uffici tra cui quello dell’Ambiente (quindi degli organismi deputati ad eseguire le valutazioni di impatto ambientale) e il ruolo operativo di direttore di veneto Strade, commissario di diverse opere pubbliche e segretario regionale alle Infrastrutture.
Con una mozione urgente per la quale è chiesta la discussione al prossimo Consiglio comunale, il consigliere di 5 Stelle Gian Luigi Placella chiede all’assemblea di approvare il documento con cui si chiede al sindaco di “esprimere in modo netto nei confronti della Regione una critica in origine alla sopra descritta situazione di conflitto di interessi”, di “far svolgere un preciso controllo su tutti gli atti posti in essere dalla citata Segreteria regionale verso il Comune di Venezia” e “invitare la regione a risolvere questa situazione provvedendo a revocare o annullare gli incarichi affidati con la deliberazione di Giujnta del 22 dicembre 2010 in materia di valutazione di incidenza ambientale”.

 

DOPO IL CASO DELLE MAZZETTE DEL 2010 – La linea della Provincia   «Ferrei controlli interni»

L’orgoglio della Zaccariotto: «Scelta necessaria per la trasparenza»

Il direttore Panassidi: «Oggi questo è un ente pulito e trasparente»

La sberla di due anni fa e lo scandalo delle mazzette scoppiato come una bomba ha spinto la Provincia di Venezia ad un profondo rinnovamento nell’attivare i controlli di regolarità, sulla performance organizzativa, sugli standard di qualità dei servizi, e sul grado di realizzazione dei programmi di governo. E oggi la presidente Francesca Zaccariotto afferma a testa alta che la Provincia fece la scelta più giusta, anche a favore dei cittadini. Concetti la presidente leghista ha ribadito al seminario dal titolo «Il sistema dei controlli negli enti locali e società partecipate. Il ruolo della Corte dei conti». Un sistema, quello dei controlli interni ed esterni degli enti locali, che è stato ridisegnato dal decreto legge n. 174 del 2012 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali). «Quest’amministrazione già dal 2010 ha progettato e attivato un sistema efficace di controlli interni, sulla base del precedente quadro normativo – ha detto Zaccariotto – E oggi siamo orgogliosi di aver operato in questa direzione, in piena autonomia e non per imposizione della legge. Abbiamo progettato un sistema integrato e moderno che riguarda tutte le aree strategiche dell’ente – programmazione di infrastrutture e viabilità di area vasta, edilizia scolastica, ambiente, sicurezza. Questa scelta, lo ribadisco, è stata fatta per nostra volontà di farlo, e non perché si doveva fare». Giuseppe Panassidi, direttore generale della Provincia di Venezia ha aggiunto. «Perché il sistema funzioni vanno previsti alcuni requisiti fondamentali. Deve essere semplice, declinato in modo chiaro e proporzionato all’organizzazione; deve inoltre essere monitorato costantemente per correggere errori e assicurare un continuo miglioramento dell’organizzazione pubblica. E la Provincia oggi è un ente pulito e trasparente». Tommaso Miele, presidente dell’associazione nazionale dei magistrati della Corte dei Conti ha affrontato il problema spinoso del controllo sulle società partecipate. «Oggi l’obiettivo principale e condiviso deve essere quello della prevenzione della corruzione e del corretto uso delle risorse pubbliche la natura pubblicistica delle società partecipate soprattutto quelle a maggior peso del socio pubblico, dove a prevalere deve essere l’interesse della collettività».

Raffaele Rosa

 

L’EX TECNICO   «Troppi dubbi sulle cerniere. Ci furono anche dimissioni»

MARIA GIOVANNA PIVA   «Non commento.  Ho già avuto problemi dopo Report»

Magistrato, paure e accuse

«Preferisco non commentare più questa vicenda, già dopo l’intervista a Report off di Rai3 del maggio scorso ho avuto dei guai». L’ingegner Maria Giovanna Piva declina cortesemente ma fermamente l’invito a parlare della vicenda dell’arresto di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, società all’interno del Consorzio Venezia Nuova. Piva è stata Magistrato alle Acque di Venezia per sette anni fino al 2008, quando il Ministero le ha comunicato il trasferimento anticipato a Bologna. Aveva chiesto degli approfondimenti sul tipo di cerniere da utilizzare nel Mose, perchè il progetto approvato definitivamente prevedeva un prototipo realizzato con il meccanismo della fusione, già sperimentato positivamente, mentre il Consorzio Venezia Nuova decise di utilizzare quelle in lamiere saldate, tra l’altro più costose. Piva chiese la consulenza di un professore esperto in metallurgia, Gian Mario Paolucci, che paventò lo spettro del grippaggio.
Ma nonostante ciò, con il nuovo Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, si diede il via libera alla tecnologia della saldatura, considerata la più avanzata sul mercato.
L’attuale Magistrato alle Acque, Ciriaco D’Alessio, si dice rattristato della vicenda. «Noi non abbiamo rapporti diretti con la Mantovani – aggiunge – Il nostro interlocutore è il Consorzio Venezia Nuova, quindi è al Consorzio (che è un’associazione di una cinquantina di imprese che in qualità di braccio operativo dello stato ricevono l’affidamento diretto dei lavori) che paghiamo le fatture». Stop.
Chi invece non si trattiene è il professor Lorenzo Fellin, già ordinario di Sistemi elettronici e direttore del Dipartimento di ingegneria elettrica dell’Università di Padova, in qualità di ex membro del comitato tecnico di magistratura, l’organo che approva gli interventi del Magistrato alle Acque.
Fellin si dimise dall’incarico proprio perchè la storia delle cerniere non lo convinceva (come pure aveva fatto pochi mesi prima il collega Mannino) e non se la sentiva di avvallare scelte sul quale il Magistrato alle Acque Cuccioletta «pretendeva l’unanimità».
«L’arresto di Baita non mi sorprende – dice Fellin – anzi, mi stupisce non vedere altri personaggi coinvolti nella vicenda, che forse è solo all’inizio. Perchè la storia delle cerniere è stata emblematica nel dimostrare l’assenza di controllo del Magistrato alle Acque, organo dello Stato, sul Consorzio. Fu il Consorzio a decidere, a fronte di un progetto approvato e di una sperimentazione che dava torto, di cambiare la tecnologia delle cerniere come la più avanzata sul mercato. È vero che l’affidamento diretto al Consorzio è previsto dalla normativa, ma ragioni di opportunità e di trasparenza, anche per la quantità dei fondi impiegati e l’importanza dell’opera, avrebbero suggerito una gara d’appalto internazionale per valutare la miglior tecnologia disponibile. Ci sono stati anche ricorsi alla Corte europea di ditte concorrenti, che avrebbero confrontato volentieri la propria esperienza nel settore. In realtà quella della saldatura era l’unica disponibile per la Fip, che si occupa di saldature».
La Fip è del gruppo Mantovani. Nella trasmissione di Report era stato evidenziato che le cerniere saldate costeranno il 38 per cento in più. «Mannino fu costretto a dimettersi – conclude Fellin – perchè aveva sollevato dubbi sulla quantità di calcestruzzo che veniva utilizzata in certi blocchi che venivano affondati, per i quali mancavano delle misurazioni e non si era in grado di valutare i costi».

 

IL DOCUMENTO – In mano alla Procura le prove del passaggio di denaro con il Titano

Quelle fotocopie costate 750mila euro

Così la ditta di San Marino fatturò a Mantovani uno studio che era già stato pagato

Ecco come guadagnare 750 mila euro semplicemente con un pacco di fotocopie. Basta prendere gli studi fatti da altri, cambiare la data e fotocopiarli su carta intestata. Non ci credete? Secondo la Procura di Venezia è successo esattamente questo per l’area di via Torino. La Mantovani ha pagato alla BMC di William Colombelli esattamente «250 mila euro per l’analisi del trend del mercato immobiliare e dei percorsi che indichino l’ottimizzazione della nuova localizzazione del Mercato ortofrutticolo; 250 mila euro per l’elaborazione dei dati finalizzati al piano di investimento immobiliare; 250 mila euro per il piano economico finanziario di gestione dei servizi di residenza universitaria». Totale 750 mila euro. L’incarico che la Mantovani dà alla BMC di Colombelli è del 2008 – la prima fattura è del luglio 2008 – ma le relazioni che la BMC invia a Mantovani sono del 2007 e del 2006. Come è possibile? Semplicemente la BMC – secondo l’ipotesi accusatoria – ha fatto un copia e incolla, cambiando le date e mettendo il tutto su carta intestata della BMC. Significa in buona sostanza che la Venice Campus, che possedeva il terreno del Mercato ortofrutticolo di via Torino prima di venderlo alla Mantovani per 45 milioni di euro, aveva fatto eseguire da ditte specializzate quegli studi di cui in seguito è stata incaricata BMC. La ditta di San Marino non ha fatto altro che prendere quegli studi già pagati dalla Venice Campus e ripresentarli alla Mantovani, che li ha ri-pagati. E per quelle fotocopie ha incassato 750 mila euro in due tranches da 375 mila euro. Del resto ci sono le carte ad incastrare i furbetti. In una lettera del 20 luglio la BMC fa riferimento ad un documento del 7 agosto e in un’altra lettera del settembre 2008, si richiama ad un documento del marzo 2009. Curioso, no? Ma tutte le operazioni portate alla luce da questa inchiesta mostrano una approssimazione e un pressapochismo troppo smaccati. Perchè quando ci si limita a fotocopiare e a cambiare le date, può capitare che sfugga qualche elemento importante. Vuol dire che, se si mette come data il 2008 su uno studio del 2006, bisognerebbe avere l’accortezza di cancellare tutti i “2006” dallo studio che viene fotocopiato. E invece la Finanza scopre che BMC si è limitata a cambiare la data del documento ed ha lasciato tutto com’era, così che una analisi della Partner investitori e Partner immobiliari relativo al trend immobiliare di Mestre riporta in numerosi passaggi che il quadro di riferimento è il 2006. Anche le tabelle sono del 2006, ma non la data d’intestazione, che è 2008.

 

 

BEPPE CACCIA  «I soldi del governo al Consorzio finiscono per pagare i dipendenti»

L’affondo è di quelli tosti. E tocca al consigliere di “In Comune”, Beppe Caccia tornare a lanciare la sfida. Nella “tempesta” seguita all’arresto dell’imprenditore Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo, Caccia rilancia la battaglia sui fondi assegnati al Consorzio Venezia Nuova.
«Nell’ottobre 2012 – sottolinea il consigliere comunale – avevo pubblicamente chiesto all’ingegner Baita di fare chiarezza e illustrare pubblicamente e con trasparenza i conti del Consorzio Venezia Nuova. In quell’occasione non aveva risposto. Ma mi chiedo: in tempi di austerity come verranno spesi i 1.250 milioni di euro stanziati per il Mose dal governo Monti nell’ultimo scorcio di legislatura? Innanzitutto una quota dei 12 per cento andrà a pagare non i lavori o la loro progettazione, ma l’attività di management del Consorzio: ciò significa che l’attività dell’ente verrà finanziata nei prossimi quattro anni con 250 milioni di euro; oltre sessanta all’anno. Chiunque abbia una qualche competenza in materia sa che si tratta di cifre assurde e del tutto spropositate».
Caccia affonda il coltello nella piaga: «Mettendo l’occhio – aggiunge – nei bilanci passati si vede poi che questa cifra aumenta considerevolmente attraverso attività affidate dal Consorzio ad altri soggetti e rimborsate con cifre molto superiori a quanto effettivamente speso. Si può pensare che i 250 milioni lieviteranno almeno fino a 300. Come verranno spesi i 950 milioni che avanzano? L’inchiesta attuale sta dimostrando che parte delle risorse pubbliche sono finite per costituire dei fondi neri attraverso il meccanismo delle false fatturazioni. Adesso vogliamo la verità. Vogliamo sapere a che cosa sono serviti questi fondi neri».

 

Nuova Venezia – Arresti eccellenti, l’inchiesta

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2

mar

2013

La Minutillo nega «Sono stata usata»

Interrogata l’ex segretaria di Galan: «Gestiva tutto la Mantovani»

William Colombelli preferisce tacere. Lunedì tocca a Baita e Buson

«Andavo spesso a San Marino perché avevo una relazione con Colombelli

Poi l’ho lasciato, lui mi ha anche molestata rinchiudendomi nella mia casa di Mestre»

VENEZIA «Io non so nulla, a gestire la parte amministrativa, anche di Adria Infrastrutture, era la Mantovani e quando mi sono accorta che William Colombelli, con cui avevo una relazione, mi usava io l’ho lasciato ma lui mi ha molestata, è entrato in casa mia a Mestre, mi ha anche sequestrata». Questa la versione di Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan trasformatasi in manager, che ieri mattina è stata interrogata dal giudice veneziano Alberto Scaramuzza alla presenza del suo difensore, l’avvocato padovano Carlo Augenti, e del pubblico ministero Stefano Ancilotto. È arrivata negli uffici del Tribunale di piazzale Roma accompagnata da tre agenti della Polizia penitenziaria, aveva le manette ai polsi come qualsiasi altro detenuto e un paio di grandi occhialoni neri, che le coprivano metà del volto. È uscita ed è entrata con la testa bassa per non farsi vedere, era tutta vestita di nero. Sempre ieri mattina, anche Colombelli è stato interrogato dal giudice di Genova, dove è detenuto visto che i finanzieri dei Nuclei di Polizia tributaria di Venezia e Padova lo hanno arrestato a Santa Margherita Ligure dove ultimamente risiedeva. Il presidente della Bmc Broker srl di San Marino, difeso dall’avvocato Alberto Fogliata, però, si è avvalso della facoltà di non rispondere e presumibilmente potrebbe chiedere di essere sentito dal pubblico ministero veneziano che conduce le indagini dopo che il suo legale ha potuto esaminare la documentazione d’accusa – si tratta di circa venti faldoni – già messa a sua disposizione. Mentre Piergiorgio Baita, difeso dall’avvocato Piero Longo, e Nicolò Buson, difeso dall’avvocato Fulvia Fois, rispettivamente presidente della Mantovani spa e ragioniere della stessa azienda, il primo rinchiuso nel carcere di Belluno e il secondo in quello di Treviso, saranno sentiti dai giudici delle due città per rogatoria lunedì mattina. Ieri, a dispetto di chi sosteneva che anche Minutillo avrebbe taciuto, l’ex segretaria prestata all’imprenditoria ha invece risposto alle domande, cercando di sminuire il suo ruolo in questa brutta vicenda. Stando all’ordinanza di custodia cautelare, lei è finita in manette in qualità di amministratore delegato di Adria Infrastutture, società che ha utilizzato ben un milione e 800 mila euro di fatture fasulle rilasciate dalla ditta di Colombelli, ed è anche sospettata di essere socia occulta della sanmarinese Bmc Broker. Inoltre, sarebbe stata «tramite spesso tra Baita e Colombelli e partecipa alle operazioni di restituzione del denaro illecitamente accumulato a San Marino». Minutillo ha innanzitutto negato di essere socia occulta di Colombelli nella sua srl, quindi ha spiegato di essere laureata in lettere e di non avere dimestichezza con conti e fatture, così era l’apparato amministrativo di Mantovani ad occuparsi dei bilanci e delle fatture di Adria Infrastrutture, ma non ha accusato direttamente Baita. Alla contestazione del fatto che più volte si sarebbe recata a San Marino, incontrandosi con Colombelli, avrebbe risposto sostenendo di aver avuto per anni una relazione con il cittadino sanmarinese. Avrebbe anche specificato che, dopo essersi accorta, che lui la frequentava e la usava per i suoi rapporti con Baita e la Mantovani, l’avrebbe lasciato. Colombelli, invece, avrebbe continuato a tormentarla, a telefonarle, a presentarsi a casa sua e, in un’occasione, sarebbe anche entrato contro la sua volontà, rinchiudendola in casa, tanto che lei avrebbe anche telefonato al 113, senza però presentare alcuna denuncia. Per gli investigatori, invece, i suoi frequenti viaggi a San Marino erano giustificati dal fatto che riportava nel Veneto, a Baita, i soldi che la Mantovani pagava con bonifici per le fatture false emesse dalla Bmc Broker. Dei dieci milioni di euro, circa il 20 per cento sarebbe stato trattenuto da Colombelli per la sua «commissione», mentre il resto avrebbe costituito un cospicuo fondo nero a disposizione di Baita sul quale gli investigatori delle «fiamme gialle» stanno indagando. Dopo la verifica fiscale e le perquisizioni, il 15 luglio 2012, Baita aveva mosso le sue pedine per ostacolare le indagini o comunque essere informato sulle intenzioni degli inquirenti. Così, un poliziotto di Bologna è stato perquisito nei giorni scorsi per presunti tentativi, andati a vuoto, di avere notizie «di prima mano» dagli investigatori, che subito avevano riferito al magistrato, sulle indagini in corso. Nelle maglie degli accertamenti è così caduto anche un poliziotto, finito nei guai per abuso di accesso al sistema informatico. Il sospetto degli investigatori è che l’agente, già assessore alla sicurezza del Comune di Bologna all’epoca della Giunta Guazzaloca tra il 1999 e il 2000, possa aver fornito indicazioni sulle indagini.

Giorgio Cecchetti

 

«Il sistema Baita funzionava così»

Decisiva la testimonianza della segretaria di Bmc Broker

E Vernizzi ai finanzieri chiede: «Devo seguirvi, vero?»

VENEZIA – Uno dei maggiori fruitori del “sistema Baita”, cioè nell’utilizzo di fatture false i cui importi venivano messi a bilancio è stata Veneto Strade. Quando i finanzieri, coordinati dal pm Stefano Ancillotto hanno verificato i conti correnti della Bmc Broker, si sono trovati davanti a numerosi bonifici compiuti da Veneto Strade, che superano i 2 milioni di euro. Soldi pagati per delle fatture prodotte dalla cartiera gestita da William Colombelli. Cioè carte false. Quando giovedì mattina i finanzieri si sono presentati nella sede di via Baseggio di Veneto Strade l’ad Silvano Vernizzi li ha acccolti dicendo: «Io vi devo seguire vero?». Frase emblematica di una certa preoccupazione. Come del resto hanno tanti altri ad di società finite nella lista, scoperta dalla Guardia di Finanza. Lascia perplessi che una società pubblica come Veneto Strade utilizzi delle fatture false. Stando alla Guardia di Finanza infatti quei bonifici alla società di Colombelli infatti sono giustificati con documenti falsi. Per capire che nella sede della Bmc si facevano solo fatture false, basta leggere quanto dichiarato da Vanessa Renzi, una delle segretarie di William Colombelli alla Guardia di Finanza. Viene sentita nel maggio e nel giugno dello scorso anno. Spiega che erano lei e le sue colleghe a compilare le fatture di presunti consulenti della Bmc Broker e che poi servivano a giustificare i bonifici delle società venete. Riferendosi ai consulenti della Broker dice: «Voglio precisare che io non li ho mai visti, non ho mai parlato al telefono con loro, non ho mai inviato una mail o un fax a loro, non ho mai fatto loro un bonifico bancario. In sostanza questi presunti consulenti della Bmc non sono, a mio avviso, mai entrati in contatto con la società e tenuto conto che eravamo sempre noi a emettere le fatture, su ordine di Colombelli, devo ritenere e concludere che probabilmente non sapessero nemmeno di essere stati indicati quali consulenti della Bmc. Ricordo che in totale i nomi dei consulenti utilizzati nell’arco degli anni sono una decina». A riguardo delle fatture alla Mantovani la segretaria spiega: «…si trattava di fatture emesse per operazioni inesistenti…I rapporti tra Bmc e Mantovani li teneva direttamente Piergiorgio Baita che firmava i relativi contratti senza mai recarsi negli uffici della Bmc». È sempre la Renzi a spiegare come era strutturata la Bmc e come questa azienda non poteva certo fornire consulenze e di come lei non aveva mai visto un tecnico negli uffici nonostante i tanti anni durante i quali ha lavorato per Colombelli. «La Bmc era di fatto costituita da noi tre colleghe che svolgiavamo compiti impiegatizzi; Colombelli veniva al massimo un paio di giorni la settimana. L’ufficio è un appartamento di circa 70 metri quadri, ci sono due scrivanie, due pc, un telefono, due stampanti ed un fax oltre all’ufficio di Colombelli, uno spazio dove si tiene la contabilità». È la stessa segretaria che spiega come Colombelli arrivava con dei contratti già firmati, lei compilava le fatture con gli importi già indicati sul contratto. Quindi, nel caso di Mantovani era il ragioniere Buson a indicare quando veniva fatto il bonifico relativo alla fattura. Successivamente lei, su indicazione di Colombelli, si recava a prelevare i soldi versati. Ne prelevava l’80 per cento e quindi li versava su conti correnti intestati a Colombelli. Quota che corrisponde a quanto. Poi, rientrava nei “fondi neri delle società”.

Carlo Mion

 

A libro paga 2 ex agenti dei servizi

Erano stati ingaggiati per sapere di più sull’inchiesta.

Un poliziotto fra gli indagati

VENEZIA – Nei guai per adesso c’è finito il vice questore aggiunto Giovanni Preziosa di Bologna. Ma altri quasi sicuramente si aggiungeranno nella lista degli indagati nell’inchiesta che ha portato in carcere Piergiorgio Baita. Infatti la “cricca delle fatture false”, una volta che si è resa conto che la Guardia di Finanza stava facendo le cose sul serio, già dal 2011, ha cercato di ottenere informazioni sulle indagini utilizzando i sistemi più vari. Ha messo nel libro paga vere fonti e forse anche qualche milantatore che ha spillato soldi ma non ha fornito nessun aiuto prezioso. Di sicuro appare inquietante il fatto che nel libro paga della “cricca” ci siano alcuni ex agenti dei servizi segreti. Si tratta di ufficiali che prestavano servizio, in passato, nel “centro” dei servizi di Padova. Questi sono stati impiegati soprattutto dal maggio dello scorso anno, quando è stato certo che i finanzieri, coordinati dal pm Stefano Ancillotto, avevano scovato i file con le registrazioni fatte da William Colombelli quando incontrava Baita e Claudia Minutillo. Erano stati incaricati di avvicinare finanzieri e ufficiali delle stesse Fiamme Gialle. Non è chiaro se ci sono stati i contatti. Di certo Baita e soci sono stati arrestati. In più di un’occasione gli inquirenti si sono resi conto della capacità della “cricca” di agganciare personaggi in ogni ambiente e da qui la difficoltà di mantenere segreto quanto scoperto durante gli accertamenti. La “cricca” ha avuto la certezza che la gran parte di quanto avevano combinato negli anni tra il 2005 e il 2010, quando i finanzieri hanno fatto gli accertamenti nelle banche di San Marino dove finivano i soldi spediti dai “clienti” veneti alla BMC Broker. Cioè dalle ditte che utilizzavano il “sistema Mantovani” per creare fondi neri. Fondi che per il colonnello Renzo Nisi, comandante del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia: «La mia esperienza di investigatore mi fa dire che i fondi neri servono solitamente alle società per pagare tangenti a politici o funzionari pubblici». Intanto nei guai è finito il vice questore aggiunto della Polizia Giovanni Preziosa, già assessore nella giunta di Bologna guidata da Guazzaloca. Il poliziotto su richiesta della “cricca” ha compiuto degli accertamenti presso il terminale del ministero dell’Interno per verificare se erano aperte delle indagini nei confronti di Baita e soci. Giovanni Preziosa ai finanzieri ha detto: «Io faccio anche piccoli lavori di consulenza per la sicurezza di privati». Il poliziotto era già stato al centro di polemiche per i suoi metodi bruschi durante i controlli di polizia.

Carlo Mion

 

Fiamme Gialle ancora al lavoro

DUE ANNI DI INDAGINI

Gli uomini del Gico della Guardia di Finanza del colonnello Renzo Nisi, stanno lavorano sul sistema Baita da due anni e giovedì hanno concluso la prima fase arrestando PIergiorgio Baita, presidente Gruppo Mantovani, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, Claudia Minutillo, William Colombelli, titolare della società che produceva le fatture false e Nicolò Buson responsabile commerciale della Mantovani Spa. La indagini non sono terminate. Infatti ora c’è da lavorare sul materiale sequestrato durante le perquisizioni e valutare la posizione di vari ad che hanno firmato i bilanci delle società che negli anni hanno utilizzato le fatture false.

 

Sotto choc i costruttori del Mose «Estranei, il cantiere va avanti»

Al consorzio Venezia Nuova sconcerto dopo l’ordine di custodia cautelare per il manager Mantovani Mazzacurati: «Nessun denaro sommerso». Fatture Bmc Broker: il caso della festa al Porto con Lunardi

VENEZIA «Denaro sommerso intorno alle grandi opere? Francamente non so. Intorno alla nostra non gira nulla». Giovanni Mazzacurati, 80 anni, è il presidente-fondatore del Consorzio Venezia Nuova, padre del progetto Mose. L’arresto di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani – socio di maggioranza del pool di imprese che dal 1984 ha in concessione unica la salvaguardia di Venezia e della sua laguna – è stato un fulmine a ciel sereno anche per lui. «La notizia mi ha molto sorpreso e amareggiato», dice il giorno dopo l’arresto, «l’impresa Mantovani è una delle nostre imprese più valide, e l’ingegner Baita che fa parte del Consiglio direttivo ha sempre dato un contributo importante alle attività del Consorzio». Mazzacurati padre nobile, Baita braccio operativo che negli ultimi tempi aveva aumentato anche la sua presenza pubblica. Adesso, con il suo arresto per una serie di fatture false scoperte dalla Finanza, riseplode la polemica intorno al «monopolio» e alle grandi opere in cui la Mantovani è stata protagonista negli ultimi 25 anni. Mose, Passante, scavi dei canali portuali, marginamenti, litorali, strade e sottopassi, depuratori, ospedali. Adesso i progetti non ancora avviati del porto off shore e della sublagunare, l’Expo di Milano. Una ragnatela di affari che ne fa la prima impresa del Veneto, tra le prime venti in Italia. Legami abbastanza stretti con la Regione di Galan e Chisso. Non a caso Baita era stato, due anni fa, tra gli 11 imprenditori «selezionati» che avevano accolto l’allora premier Berlusconi all’aeroporto di Tessera, insieme a Ghedini e Marchi. Un uomo brillante, un imprenditore di successo. Da quasi vent’anni alla testa dell’impresa padovana subentrata a Impregilo come azionista di maggioranza del Consorzio Venezia Nuova. In molti adesso chiedono commissioni d’inchiesta e fari accesi sulla contabilità miliardaria degli ultimi anni gestita dal concessionario unico dello Stato. Il Consorzio è coinvolto in questa vicenda? «Non c’è alcun rapporto tra i lavori del Mose e quanto accaduto in questi giorni», scandisce Mazzacurati. Due le fatture irregolari contestate dalla Finanza alla Mantovani ed emesse a carico di Consorzio Venezia Nuova e Tethis, la società di ricerca acquistata tre anni fa dal Consorzio. «Sono 413 mila euro per il Consorzio e 85 mila per la Tethis», ricorda l’ingegner Mazzacurati, «la prima per uno studio affidato alla Bmc pe sullo sviluppo dell’Arsenale, la seconda per un convegno organizzato dalla Tethis nel 2006». «Ma il progetto Mose», garantisce l’ingegnere, «non si ferma. Va avanti come da programma approvato a concordato con il Magistrato alle Acque». Proprio il giorno dell’arresto di Baita sono arrivate a Marghera, trainate da un rimorchiatore, le prime due paratoie costruite nei cantieri navali di Monfalcone. «I lavori del Mose», conclude Mazzacurati, «finiranno nel 2016; ai primi di giugno saranno messe in funzione le prime quattro paratoie nel canale di Treporti, i cassoni costruiti a Santa Maria del Mare saranno messi sul fondale alla fine di ottobre». Una sola, come conferma il presidente Paolo Costa, la fattura contestata all’Autorità portuale. Riguarda la festa per la conclusione dello scavo dei canali a Fusina. 141 mila euro sborsati dal Porto (allora presidente era Giancarlo Zacchello) per i servizi forniti dalla Bmc Broker. Montaggio del tendone e pranzo per 600 inviati illustri in piena campagna elettorale, i ministri Lunardi e Matteoli, Galan e la giunta regionale. Il Comune aveva disertato, per la polemica innescata da Cacciari contro il governo Berlusconi sul taglio dei fondi della Legge Speciale e il mancato ascolto sulle alternative al Mose. Polemiche a non finire, interrogazioni, come riporta la Nuova di quei giorni. Ma non era successo nulla. Sette anni dopo, gli arresti.

Alberto Vitucci

 

Zorzato: la Regione deve aprire tutti i suoi cassetti

«Credo che occorra trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza». A dirlo il vice presidente della Giunta regionale del Veneto Marino Zorzato, ieri a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova, riferendosi all’indagine della Guardia di finanza di Padova e Mestre. Le Fiamme gialle hanno perquisito anche la sede di Veneto Strade, controllata dalla Regione e fondata e presieduta da Marino Zorzato dal 2001 al 2004. «Non possiamo permetterci di avere nemmeno il dubbio che siano finite tangenti in Regione – ha aggiunto Zorzato – vanno aperti tutti i cassetti e messe sul tavolo tutte le carte. Perchè la gente esige chiarezza».

 

Vernizzi (Veneto Strade): sorpresi dalla visita della Finanza ma sereni

«Siamo sereni, non ci risultano persone della nostra azienda indagate. Quindi attendiamo». Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade, la società che è il braccio operativo della Regione per la viabilità, e che ha la sua sede a Mestre, in via Baseggio, commenta con poche parole l’indagine della Finanza che ha portato alla luce un giro di fatture false che chiama in casa pure l’azienda controllata dalla Regione. «Sono venuti giovedì ad acquisire atti. Non ho altro da dire», spiega Vernizzi. Ma siete rimasti sorpresi dell’arrivo dei finanzieri, gli chiediamo. «Ovviamente la visita ha stupito tutti ma ripeto, noi siamo sereni e non ho altro da aggiungere», taglia corto Vernizzi. Continua a non rilasciare dichiarazioni, invece, l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso che in questi anni ha lavorato in stretto contatto con la società amministrata da Vernizzi, che è stato, tra l’altro, per anni anche il commissario straordinario per il Passante e ne ha seguito, passo passo, la realizzazione. Nell’elenco delle fatture false emesse dalla società BMC Broken, finita nella bufera dell’indagine della magistratura che ha portato in carcere, tra gli altri Piergiorgio Baita, a capo del gruppo Mantovani, compare Veneto Strade con un importo di 2,1 milioni di euro. Nell’elenco figura pure la società Passante di Mestre ( che ha realizzato la nuova autostrada) per 182 mila euro. Altre nove società sono indicate per importi inferiori al milione di euro. Per quelle con importi superiori vengono indicate la Mantovani Spa e Adria Infrastrutture Spa. Veneto Strade vede alla presidenza del consiglio di amministrazione Roberto Turri, il direttore generale è Roberto Franco. La spa controllata da Regione e sette province venete, ha chiuso il 2011 con un bilancio in attivo di poco più di 32mila euro, un patrimonio netto di 6.699.722 euro, un patrimonio attivo di 663.932.777 e 284 dipendenti. Il 62,93 per cento delle risorse è andato alle opere viarie. (m.ch.)

 

I primi dubbi con l’arresto di Brentan

L’inchiesta del pm Ancillotto. L’ex ad della Venezia-Padova guida tuttora la Nogara Mare Spa

VENEZIA – I primi a interessarsi di Piergiorgio Baita e di Claudia Minutillo sono stati i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia, che da qualche giorno avevano arrestato – nel febbraio dello scorso anno – l’amministratore delegato della società Autostrada Venezia-Padova Lino Brentan, poi condannato a 4 anni di reclusione. Altro elemento che fonda come assai accentuata e pienamente attuale l’esigenza cautelare riguarda il fatto che tuttora Lino Brentan rivesta la carica di amministratore delegato della società Nogara Mare spa. Basti pensare, al riguardo, questo eloquente passo dal verbale d’interrogatorio dell’1 marzo 2011 reso da Giuseppe Barison: «Preciso che Brentan, all’incontro dell’hotel, mi aveva parlato di lavori relativi alla Nogara-Mare e che avrebbe fatto di tutto per farci prendere qualcosa, magari in subappalto dalla Mantovani, che probabilmente avrebbe preso il grosso dell’appalto». Barison è uno degli imprenditori che ha pagato Brentan e che lo ha confessato e questo passo è riportato dall’ordinanza del Tribunale del riesame di Venezia che spiega perché l’ex amministratore delegato deve restare ai domiciliari. Così i finanzieri si interessano anche della Mantovani e di Adria Infrastrutture e partono le intercettazioni sui cellulari di Baita e di Minutillo. Cinque mesi dopo i finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria di Padova entrano negli uffici amministrativi della Mantovani per una verifica fiscale, un controllo di routine. Con gli accertamenti fiscali spuntano le prime e grosse irregolarità e vengono alla luce i rapporti tra l’asso pigliatutto nel settore delle costruzioni in Veneto e quella piccola e sconosciuta società di San Marino. Ma di San Marino parlano anche Baita e Minutillo, anzi, la manager va spesso nella Repubblica del Titano e, guarda caso, si incontra con il presidente di quella piccola società, la «Bmc Broker». Il pubblico ministero Stefano Ancilotto chiede che vengano messi sotto controllo anche i cellulari di William Colombelli, che sono ben cinque, e il quadro si completa. Gli investigatori veneziani e padovani, tutti della Guardia di finanza, a quel punto si coordinano e ognuno prosegue per la sua strada, ma ora in pieno accordo e coordinamento fino all’ottobre 2012, quando alla fine del mese il pm lagunare chiede le ordinanze di custodia.

Giorgio Cecchetti

 

ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL 2015

Il sindaco di Milano Pisapia: «Nessuna ombra sull’Expo»

L’arresto da parte della Procura di Venezia di Piergiorgio Baita, presidente e ad del Gruppo Mantovani – vincitore del bando per la cosiddetta piastra del sito dell’Esposizione universale del 2015 a Milano – non getta «nessuna ombra su Expo». Ad assicurarlo e ribadirlo è stato ieri il sindaco Giuliano Pisapia, a margine dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tar. «Il procedimento giudiziario sul presidente della Mantovani – ha spiegato Pisapia – riguarda fatti del tutto diversi» e non coinvolge quindi l’evento del 2015. L’accusa, per Baita, è di associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle imposte mediante emissione e utilizzo di fatture false. «È giusto che indaghi la magistratura – ha aggiunto il sindaco di Milano – ma quello che è certo è che non hanno nessuna rilevanza nè diretta nè indiretta su Expo». Ciò non toglie che «per quello che è successo, credo sia opportuno, e per questo ho fatto un invito pubblico, che il presidente della Mantovani di dimetta o cambi la governance della società. Questo per la tranquillità di tutti, della società e dei cittadini», ha concluso. Il sindaco di Milano aveva chiesto un passo indietro a Baita già nell’immediataezza della notizia che la procura di Venezia aveva chiesto e ottenuto dal gip l’arresto del presidente di Mantovani e di altre tre persone. Una posizione, quindi, ribadita e rafforzata dalla dichiarazione resa ieri.

 

PADOVA e selvazzano

Mantovani e Fip Industriale gli operai temono l’incertezza

PADOVA I sindacati hanno chiesto un incontro con l’azienda per capire meglio quanto sta succedendo e quali possibili effetti può avere sul lavoro l’arresto del presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita. Fra i dipendenti della ditta, che ha la sua sede nella Zip, in via Belgio, la tensione e la preoccupazione sono palpabili. Tanto più che, nonostante la crisi che ha investito il settore dell’edilizia e delle costruzioni, per loro non si è ancora mai profilato un solo giorno di cassa integrazione. Anche se al momento la Guardia di finanza esclude il coinvolgimento della famiglia Chiarotto, proprietaria della Mantovani, nella frode fiscale da dieci milioni di euro, è difficile credere che non ci saranno contraccolpi. «Speriamo sia fatta chiarezza» l’auspicio di Omero Cazzaro e Marco Benati, di Feneal-Uil e Filea-Cgil, «l’azienda ha sempre tenuto rapporti corretti con i sindacati e la legalità è un principio che abbiamo sempre condiviso. Se dovessero saltare degli appalti a rischiare il lavoro sarebbero tantissime persone. Dopo l’incontro con la proprietà faremo un’assemblea con i dipendenti». Una certa apprensione per quanto sta accadendo c’è anche alla Fip Industriale di Selvazzano, altra azienda dei Chiarotto: «Chiederemo un incontro per capire la situazione» annuncia Silvio De Toni dell’Rsu, «per ora non abbiamo motivo di temere contraccolpi sulla nostra attività». La Mantovani è una delle aziende che hanno partecipato alla gara per il nuovo centro congressi che dovrà sorgere al posto del palazzo delle Nazioni in fiera a Padova con un progetto del valore di circa 30 milioni di euro commissionato all’architetto tedesco Mark Volkin. Elena Livieri

 

L’Ance: «Chi sbaglia paghi le regole valgono per tutti»

Il presidente dei costruttori veneti Luigi Schiavo: «Baita manager bravissimo» «La magistratura faccia il suo lavoro, ma lo faccia in fretta e con precisione»

VENEZIA – Un paio di premesse, dovute. Ma poi barra a dritta su «trasparenza» e «legalità». Luigi Schiavo, presidente dei costruttori del Veneto, ammette di essere rimasto sorpreso dagli arresti di Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Si tratta del cuore dell’industria veneta delle costruzioni, forse la principale associata dell’Ance. Le premesse: «Non conosco l’inchiesta e bisogna fare attenzione a non demonizzare. Agli indagati comunque va l’augurio di uscire al più presto dalla vicenda». Ma poi Schiavo non fa sconti: «La corruzione va estirpata, pulizia e trasparenza sono nell’interesse delle imprese. Perché chi viola le regole danneggia tutto il sistema, altera il sistema della concorrenza». Secondo il presidente dei costruttori veneti, «la magistratura deve andare avanti serena, in piena e assoluta autonomia». Soprattutto, insiste Schiavo, lo deve fare «con urgenza: perché i tempi non sono di secondaria importanza per la vita di un’impresa. E prima si fa chiarezza e meglio è per tutti». Schiavo è preoccupato soprattutto per la capillare rete di fornitori e imprese che vive attorno alla Mantovani: «ci sono migliaia di persone che vivono intorno a quell’impresa: anche per rispetto del loro lavoro le indagini siano rapide e precise». Il sistema veneto, insomma, non sopporta in questo periodo l’incertezza sul destino di un’impresa così importante. E aggiunge: «Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi, che assuma le proprie responsabilità». E poi un ragionamento più generale: «Purtroppo negli ultimi vent’anni le cose non sono cambiate: non c’è stata la volontà politica di cambiare. Qualcosa poteva fare la legge anticorruzione tentata dal governo Monti, ma non se ne è fatto molto. La corruzione altera le regole del mercato, il sistema delle imprese non può tollerarla». Secondo Luigi Schiavo, la Mantovani è una risorsa per il Veneto e va tutelata: «Baita, per come lo conosco, è un signor imprenditore. È stato lungimirante ad intuire per primo le potenzialità del project financing, davvero bravo. Ma le regole vanno rispettate». Insomma, l’Ance per ora non prenderà alcun provvedimento nei confronti della Mantovani ma segue con grande attenzione l’indagine della magistratura. La preoccupazione più grande riguarda proprio le imprese dell’indotto che lavorano per il Mose e per le grandi infrastrutture gestite dalla Mantovani in mezza Italia. «Negli ultimi mesi pareva di avvertire un segnale di abbrivio per i grandi investimenti –aggiunge Schiavo –non vorrei che con questa inchiesta si fermasse tutto, sarebbe un grave danno per il sistema economico del Veneto». L’inchiesta della magistratura veneziana colpisce il cuore del sistema delle imprese. Il metodo di creare delle provviste in uno stato «facile» dal punto di vista fiscale è noto sin dalla notte dei tempi: ma se un tempo poteva servire per gestire i cosiddetti «fuori busta» ad imprese e dipendenti, nel tempo si è perfezionato fino a diventare in taluni casi uno strumento per «agevolare» gli affari più ghiotti.

Daniele Ferrazza

 

«Nell’occhio del ciclone la gestione Galan»

Ruzzante (Pd) chiede una commissione d’indagine. Bottacin (Verso Nord): «Verrà un terremoto»

VENEZIA – Prima la vicenda dell’appalto calore in sanità, poi la compravendita del Palazzo di Grandi Stazioni a Venezia; l’arresto di un tecnico del genio civile per le opere pubbliche dell’alluvione e l’inchiesta sull’appalto per i pagamenti del bollo auto. «La serie di arresti di questi giorni conferma il fatto che attorno al governo di centrodestra della Regione Veneto ruota un sistema di potere dai contorni foschi». Il consigliere regionale del Pd, Piero Ruzzante, chiede l’istituzione di una commissione regionale d’inchiesta: «Sono ormai troppe – ribadisce – le vicende giudiziarie che si stanno sommando negli ultimi mesi. Impossibile non scorgere dunque un quadro preoccupante di ciò che è stato il Veneto sotto la conduzione politica di Galan e della Lega. Come Pd – conclude Ruzzante – vogliamo che in sede istituzionale si apra dunque una commissione di inchiesta che in maniera approfondita analizzi e ricostruisca uno scenario che la magistratura sta svelando poco a poco, ma che richiede anche una seria riflessione da parte di chi in questo momento rappresenta l’istituzione regionale». Una dichiarazione di analogo tenore viene dal gruppo consiliare di Verso Nord, per bocca del capogruppo Diego Bottacin: «Nell’occhio del ciclone c’è un intero sistema di potere che, con la regia di Galan, ha governato il Veneto per molti anni. Vista anche l’origine della inchiesta non è difficile pensare a nuovi terremoti in vista. Perché se l’inchiesta è centrata sull’ipotesi di reato di evasione fiscale, non è difficile intuire che direzione prendessero quei flussi di denaro». Anche Simonetta Rubinato, deputato del Pd, chiede chiarezza: «Corruzione e illegalità minano il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. L’indagine – rivela la deputata trevigiana – pare comprovare l’esistenza di un vero e proprio sistema di fondi neri legati agli appalti. Al momento si tratta soltanto di accuse, ma se esse fossero confermate getterebbero altro discredito sull’ambiente economico, politico ed istituzionale. È necessario da subito mettere in atto una reazione contro la corruzione e l’illegalità, forte e corale, da parte sia di ogni forza politica che della classe imprenditoriale, ponendo fine ad ogni collateralismo di potere e rilanciando un sistema economico dove la libera concorrenza e il merito vengano finalmente premiati». (d.f.)

 

Porto, nel mirino la fattura della torta

Il presidente Paolo Costa: «Un solo episodio, che risale al 2006 con la vecchia gestione. Spesi allora 141 mila euro »

VENEZIA – Una sola fattura «incriminata», del marzo 2006. Festa elettorale per lo scavo dei rii a Fusina: 600 invitati, 141 mila euro a carico dell’Autorità portuale allora presieduta da Giancarlo Zacchello. Servizi resi dall’ormai famosa Bmc, la Business Merchant Consulting di San Marino. «Il Porto non c’entra, nel senso che abbiamo verificato tutte le fatture», dice il presidente Paolo Costa, «la Finanza è venuta e si è portata via solo quella, del 2006». Una sola? Eppure il Porto ha da anni stretti rapporti con la Mantovani spa, gigante dell’edilizia, socio di maggioranza del Consorzio Venezia Nuova finita nella bufera per l’arresto del suo presidente Piergiorgio Baita, accusato di false fatturazioni. Al porto la Mantovani lavora da anni, ottenendo incarichi e appalti, ma anche molti affidamenti diretti per i lavori di scavo, sistemazione delle banchine, bonifiche, adesso il porto off shore. Di recente ha vinto la gara per la sistemazione dell’ex area Alumix. E continua il famoso scavo, avviato nel 2005, per portare i fondali dei canali portali a 12 piedi. Un project financing molto particolare. «Si chiama anche project di disponibilità», spiega Costa, «vuol dire che l’impresa anticipa il lavoro anche se i pagamenti arrivano molto tempo dopo». Quanto al caso specifico, Costa non vuole commentare. Con la Mantovani ha avuto rapporti fin da quando era ministro dei Lavori pubblici, e poi sindaco e parlamentare europeo presidente della commissione Trasporti. «È forse l’impresa più importante di questa città», dice Costa, «e poi non si deve fare il solito errore di scambiare l’opera con le vicende che coinvolgono le imprese che la fanno. Se l’opera è importante, come il Mose, si deve completare indipendentemente da questi fatti». Una rete di fondi neri e di denaro non controllato dietro le grandi opere? «Per quello che mi riguarda proprio no», taglia corto Costa, «sulla vicenda non ho elementi per dare un giudizio». Il legame tra la società di San Marino e la Mantovani si consolida in quei giorni di fine febbraio del 2006. Siamo in piena campagna elettorale, e per organizzare la «grande festa del Porto» Autorità portuale e Regione fanno le cose in grande stile. Seicento invitati, un tendone montato in tempo di record e una “consulenza” per l’organizzazione dell’evento. Alla parata elettorale partecipa il ministro delle Infrastrutture di Berlusconi Pietro Lunardi, il ministro dell’Ammbiente Altero Matteoli. E poi il presidente Giancarlo Galan e il suo assessore Renato Chisso, il commissario straordinario per lo scavo dei fanghi Roberto Casarin. Si festeggia il completamento dello scavo del primo tratto di canale. Il sindaco Cacciari diserta per protesta, dopo che il governo ha tagliato i fondi della Legge Speciale e non lo ha ascoltato sulle proposte alternative al Mose. Il rinfresco offerto dal Porto viene curato dal ristorante «Celeste» di Venegazzù. Ed ecco la fattura, oggi finita nel mirino degli inquirenti.

Alberto Vitucci

 

Caccia e zitelli «Mose, lavori più cari senza gli appalti»

«Far luce sui fondi neri. E sul fiume di danaro passato in questi anni per il Consorzio Venezia Nuova e la Mantovani, impresa che detiene la maggioranza delle quote del pool». Il consigliere comunale Beppe Caccia («Lista in Comune») ribadisce la sua richiesta di una commissione di inchiesta. «Una valanga di milioni di euro, soldi pubblici che dovrebbero servire a costruire il Mose», scrive Caccia, ma che in realtà se ne vanno anche in altre attività». Caccia ricorda ad esempio che gli ultimi 1250 milioni di euro arrivati al Consorzio non vanno tutti in lavori per le dighe. «Il 12 per cento è ad esempio la quota che va non per i lavori e la progettazione ma per gli oneri del concessionario. Sono 250 milioni di euro, non pochi in tempi di austerity». Dei restanti 950 milioni se ne potrebbero risparmiare almeno il 30 per cento, quasi 300 milioni, se ci fossero le gare d’appalto e non la procedura di assegnazione diretta da parte del Consorzio alle sue imprese». Un sistema, quello del monopolio, più volte contestato dagli ambientalisti e segnalato dalla Corte dei Conti. «In molti, e tra questi il sindaco di Venezia non capiscono che Mantovani non è impresa qualunque, ma il socio di maggioranza del concessionario unico dello Stato per il Mose», dice Andreina Zitelli, docente Iuav e componente della commissione Via che nel 1998 bocciava il progetto Mose, «Faccia come Pisapia a Milano».(a.v.)

 

Accordo fatto con il comune

Est Capital: «Va avanti l’operazione Ospedale»

VENEZIA «Le operazoni di Real Venice II stanno proseguendo secondo la normale operatività. Mantovani è uno dei quotisti del fondo, ma non ne detiene in alcun modo la quota di maggioranza». Est Capital precisa che gli arresti di Mantovani e altri decisi dalla magistratura non mettono a rischio le operazioni in corso. A cominciare dall’acquisto dell’ex Ospedale al mare e alla nuova avventura della realizzazione del nuovo Auditorium. Ieri Comune e Est Capital hanno depositato al giudice civile Liliana Guzzo le ultime memorie di parte. Comunicando anche del sopravvenuto accordo. E’ probabile dunque che nelle prossime ore il magistrato autorizzi a liberare la somma di 31 milioni di euro già depositata alla Carive per l’acquisto dell’ex ospedale. Che gli investitori volevano ritirare per le «inadempienze» di Ca’ Farsetti sulla bonifica e sui tempi delle autorizzazioni. E che il Comune aveva bloccato con ricorso d’urgenza al Tribunale. Sei mesi di tira e molla, poi l’accordo trovato dal sindaco Orsoni con il presidente di Est Capital Gianfranco Mossetto. Il Comune ha già incassato 27 milioni di euro – la cifra che secondo Ca’ Farsetti copre la spesa sostenuta per acquistarlo dall’Asl ma ha fatto guadagnare al Comune la proprietà dell’area verde della Favorita, compresa nel primo contratto e adesso esclusa – altri 31 saranno sbloccati adesso. Tre milioni sono stati riconosciuti a Est Capital per le spese (ne aveva chiesti nove). L’impegno adesso è quello che sarà proprio Est Capital e non più Sacaim a garantire la costruzione del nuovo auditorium, secondo il progetto di riqualificazione già approvato dal Comune. Un’ipotesi che non piace ai comitati dell’isola, che dopo l’arresto di Baita hanno rilanciato la richiesta di fermare l’operazione e ridiscutere tutto. Invece il Comune è sul punto di firmare l’accordo per la trasformazione dell’ex Ospedale al mare in un centro turistico di lusso. (a.v.)

 

Da Marghera l’appello: «Ora fermate Alles»

Rifiuti e affari, l’assemblea permanente chiede a Zaia di non autorizzare l’ampliamento dell’impianto

MARGHERA – Tra i progetti che la Mantovani porta avanti nel Comune di Venezia c’è anche quello del potenziamento dell’impianto Alles . La società, di proprietà del gruppo Mantovani ha presentato agli enti locali un progetto di revamping per l’impianto che tratta rifiuti tossico nocivi provenienti dalla laguna e che vuole trattare anche altri tipi di scorie. Un progetto già bocciato nel novembre dello scorso anno dal consiglio comunale veneziano secondo cui «il progetto di potenziamento dell’impianto di Alles spa contrasta con le vigenti norme del Piano regolatore generale del Comune di Venezia, contrasta inoltre con gli obiettivi di risanamento e riqualificazione industriale definiti dal Pat e si inserisce in un più ampio disegno finalizzato allo sviluppo nel sito industriale di Porto Marghera dell’intera filiera produttiva per lo stoccaggio, il trattamento e lo smaltimento di rifiuti civili e industriali, speciali, pericolosi e tossico-nocivi, provenienti da tutto il territorio del Veneto e non solo». Ieri l’assemblea permanente contro il rischio chimico a Marghera, dopo il diffondersi della notizia dell’arresto di Baita, ha, con un comunicato, ha chiesto di «imporre la bocciatura» alla richiesta della Alles Spa. Scrive il comitato di Marghera: «Non ci sembra una casualità che in questi anni due progetti di trattamento e smaltimento dei rifiuti industriali presentati a Porto Marghera dalla ditta Ste di Stefano Gavioli e Alles di Piergiorgio Baita vedano i loro presidenti in prigione o per traffico di rifiuti o per tangenti. Il grande business dei rifiuti attira forti interessi illegali che possono mettere in discussione anche la salute della popolazione nel momento che progetti pericolosi come quello di Alles vengano gestiti da persone senza scrupolo e con l’unica finalità di lucrare senza tenere conto delle ricadute sulla vita dei cittadini». Il comitato ricorda anche le stime dell’agenzia Arpav, secondo cui «il potenziamento di Alles produrrebbe il 30% in più di polveri sottili e inquinamento acustico e che i medici e pediatri di questo territorio si sono già pronunciati negativamente, ritenendo che questo revamping aggraverebbe ulteriormente una situazione già molto pesante per patologie legate all’esposizione a questi inquinanti». Da qui l’invito alla Regione Veneto di Luca Zaia di decidere per «l’immediata bocciatura al revamping di Alles».(m.ch.)

 

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