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Nel nostalgico e felice Paese del bunga bunga che ama celebrare ogni tipo di anniversario, specie quelli di cui non si sente alcun bisogno (decennali, ventennali, trentennali, cinquantenari, centenari, bicentenari, cinquecentenari e via discorrendo), è curiosamente e colpevolmente passato sotto silenzio il trentennale del ticket di ingresso nella città di Venezia. Una rivoluzione di portata tale da cambiare il volto e i destini della città che fu Serenissima, e anche da imprimere una svolta, non solo italiana ma europea, nella gestione di flussi turistici sempre più imponenti e aggressivi. Giusto trent’anni fa, nel 1983, l’allora sindaco di Venezia, il socialista Mario Rigo, propose l’introduzione di un ticket di ingresso nella città lagunare, in un’intervista che fece scalpore, concessami per Repubblica, che fece il giro del mondo. Rigo, che guidava dal 1975 una giunta di sinistra Pci-Psi, sostenendo che un gioiello come Venezia «non può essere gratis», proponeva di far pagare la somma di diecimila lire (non pochissimo) a ogni turista che metteva piede nella città dei Dogi. E non solo. Avendo ben chiari quali fossero, già allora, i principali problemi che la città si sarebbe trovata ad affrontare, aggiungeva anche altre misure da prendere, perché non si trattasse soltanto di una feroce gabella, ma il quadro degli interventi fosse organico e completo al fine di risultare efficace. Perciò aveva inserito, nel suo progetto difensivo della città minacciata dalle orde dei nuovi barbari, altre due proposte choc: la chiusura al traffico del ponte della libertà che lega Venezia alla terraferma, con le auto che si sarebbero fermate a Mestre in un grande parcheggio a San Giuliano ai bordi della laguna, e la chiusura al traffico anche della principale via d’acqua cittadina, il Canal Grande, dove sarebbero passate solo barche a remi. Ve la immaginate la rivoluzione? Provate a pensare come sarebbe adesso Venezia se queste misure fossero state adottate trent’anni fa. Per questo viene da sorridere quando, adesso che i buoi sono scappati dalla stalla, e i turisti sono diventati venticinque milioni e i venticinque milioni presto diventeranno cinquanta milioni, periodicamente spunta qualcuno che, in mancanza di altre idee e soluzioni, ripropone ancora il ticket e il numero chiuso per i turisti. Andava bene quando Venezia non era ancora una città museo. Quando non era ancora Disneyland. Adesso ormai è Veneland, non fermi più la giostra. E pensare che quando Rigo propose il ticket, Venezia non era ancora così assediata dai turisti, così spopolata com’è oggi, e la situazione non era ancora drammatica. Ma quel Sindaco, che era cauto, prudente, pantofolaio persino (alcuni amici lo avevano bonariamente battezzato “papùssa”), e però aveva buon naso e intuito finissimo, aveva capito tutto in anticipo. Difatti sorprese tutti dimenticando per una volta le strade della mediazione, in cui peraltro eccelleva, per uscirsene con un progetto forte e con parole dritte e decise. Non fu capito. E nessuna delle misure che aveva proposto venne mai adottata. Con le conseguenze che oggi purtroppo si vedono. Forse era troppo presto. La sua maggioranza non lo seguì. E nemmeno il suo partito. Anzi gli chiesero se aveva preso un colpo di sole. Non parliamo del mondo, poi. Dall’Europa all’America, dai politici ai giornali, fu un coro di critiche, una bordata di no, di insulti e di sberleffi. Mario Rigo a malincuore, ma rispettoso, da buon socialista, delle regole della democrazia, dovette mettersela via. Celebrassimo oggi il trentennale del ticket, dovremmo rendergli gli onori. Non era lui ad aver preso un colpo di sole. Erano gli altri che erano ciechi.

Roberto Bianchin – r.bianchin@repubblica.it

 

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