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I GEOLOGI E IL MONTE TOC

Studiosi di Padova e Trieste cercano di capire cosa avvenne quella notte

LA SPERANZA DEI SINDACI «Dopo due anni e mezzo avremo a giugno gli esiti dei monitoraggi»

DISASTRO – Le lavagne del monte Toc scoperte dalla frana del 9 ottobre 1963

VOLANTE – Uno dei droni capaci di arrivare vicino alla frana, utilizzati dal gruppo di lavoro dell’Università di Bologna coordinato dal professor Marco Dubbini

Da un paio d’anni geologi e geofisici dell’Università di Padova e dell’Istituto di oceanografia e geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste, sono al capezzale della grande frana del Vajont, quella che la sera del 9 ottobre 9163 collassò nel bacino della diga sollevando l’onda che uccise 2000 persone tra Longarone e Erto-Casso.

Il grande obiettivo, detto con parole semplici, è quello di capire se il materiale collassato sia compatibile con la velocità di caduta: si pensava servisse un minuto invece bastarono 20 secondi. Questo fece sì che l’onda sollevata, stimata in 30 metri, si alzasse di nove volte tanto, provocando uno dei disastri idraulici più drammatici del Novecento.

Agli aspetti scientifici, tuttavia, spiega Massimo Giorgi, ricercatore geofisico dell’Ogs, non si vogliono mescolare ipotetiche, e forse solo fantasiose, interferenze umane. Il piano di studio resta strettamente accademico.

«A dire il vero – spiega Giorgi replicando all’ipotesi di uso di cariche esplosive per provocare il distacco – già Leopold Müller, consulente Sade, pensò alla possibilità di liberarsi della frana, bombardandola. Ma l’idea, ovviamente, non trovò applicazione».

La dinamica del disastro del Vajont, a distanza di 50 anni, continua a far discutere, tanto è vero che, la magistratura di Belluno ha aperto recentemente un’inchiesta bis per capire se il distacco della frana venne realmente programmato dalla Sade come si evincerebbe dalle dichiarazioni dell’allora notaio Isidoro Chiarelli portate alla luce recentemente dalla figlia Francesca.  «Quelle terre – sentì dire il notaio la sera prima del disastro – domani saranno sommerse». A formularle, nel suo studio longaronese, furono dei dirigenti Sade dopo la firma del rogito d’acquisto di alcuni terreni destinati ad essere sommersi il giorno successivo.

E proprio la velocità di caduta del materiale resta uno dei nodi insoluti di un dramma ancora torbido, come l’acqua di quella notte. Perché anche se fosse vera l’ipotesi che la discesa della frana venne pilotata e programmata per la sera del 9 ottobre ’63, la velocità di caduta superò ogni ipotesi previsoria avanzata dai consulenti Sade. Idem per la quantità di materiale caduto, pari a 270 milioni di metri cubi, ovvero dieci volte tanto quello ipotizzato.

Se dal punto di vista storico non si potranno forse avere nuovi tasselli rispetto a quelli già noti, dal punto di vista scientifico, invece, questo studio, spiega Giorgi, costituisce una novità assoluta destinata a diventare una pietra miliare nello studio delle frane.

«Si tratta di un progetto strategico di eccellenza – afferma il ricercatore – avviato dall’Università di Padova sui grandi collassi nell’arco alpino. L’attenzione si è concentrata sul Vajont, che resta una delle più grandi frane al mondo. Loro operano sotto il profilo geologico-strutturale, noi, invece, su quello geofisico attraverso una campagna di acquisizione di dati sismici e geoelettrici».

Materiali e dinamica di caduta sono al centro della corposa indagine accademica che andrà avanti ancora per molto, anche basandosi sulle rilevazioni fatte all’epoca.

Ma sulla possibilità che l’esito dello studio possa dare un contributo alla verità storica, conta molto il sindaco di Erto e Casso, Luciano Pezzin: «A giugno – afferma – avremo gli esiti di due anni e mezzo di studi e monitoraggi tutt’ora in corso. Ai geologi risulta inspiegabile la velocità di caduta. Inoltre, sembra che la frana non sia caduta in un evento unico, ma sia scesa in due momenti distinti, molto ravvicinati».

Il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, afferma: «Questo resta uno dei punti oscuri del Vajont su cui speriamo che questo studio possa dare un contributo di conoscenza».

Lauredana Marsiglia

 

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