Gazzettino – Neve e acqua, mezzo miliardo di danni
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6
feb
2014
IL NORDEST in ginocchio
NORDEST Nel Padovano 51 comuni in emergenza allagamenti. Sulle Dolomiti ancora frazioni isolate
Zaia: una tragedia come l’alluvione del 2010. Rimborsi di 185 euro a utenza per il blackout di Natale
ENRICO GHEZZE «Si deve richiedere lo stato di calamità»
500 MILIONI DI EURO SPESI
925 OPERE REALIZZATE IN VENETO
«A fronte di un milione investito se ne buttano al vento cinque soltanto per pagare i danni delle calamità»
Impianti fermi, a Cortina
Tre milioni di euro di mancati incassi, in poco più di un mese. È la perdita che si stima a Cortina, causata dal maltempo, da Natale a oggi. E non è finita. Così i presidenti delle principali categorie economiche hanno firmato una lettera, inviata all’amministrazione comunale, perché si attivi, per richiedere lo stato di calamità naturale. «C’era stata già una bella botta, dopo Natale, di centinaia di migliaia di euro: oggi stimo che siamo sull’ordine del milione di euro di mancati introiti, per i nostri associati» valuta Enrico Ghezze, presidente del consorzio esercenti impianti a fune di Cortina, Auronzo e San Vito di Cadore. «A Santo Stefano c’era stato il problema grave del blackout elettrico – ricorda – ora la causa sta nelle nevicate».
Gli impianti di risalita stanno ricominciando a girare, uno dopo l’altro, ma restano seri problemi, soprattutto per quelli alle quote più elevate, dove la neve si misura a metri. Fermi gli impianti, sono a casa anche i maestri di sci: la Scuola Cortina, che ha appena festeggiato ottant’anni, è la più antica e la più grande, con i suoi 130 maestri, della mezza dozzina di scuole in valle: «Sino a Natale era andata davvero bene, con una crescita dell’attività, rispetto all’anno scorso, poi la debacle – conferma il direttore Luca Caproni – già al 6 gennaio avevamo fatto 600 ore di lezione in meno, rispetto alla stagione precedente. Oggi siamo a duemila ore perse. Perdiamo soprattutto il cliente italiano perché il turista straniero scia lo stesso, anche con il maltempo».
«Stanno soffrendo tutte le categorie, non soltanto albergatori, impiantisti e maestri di sci – assicura Gabriele Gaspari, presidente della delegazione Ascom – basta pensare ai rifugi: nei giorni di brutto tempo, o con gli impianti chiusi, non lavorano. Per i maestri di sci si possono fare i conti con la penna: quattro ore di lezione al giorno, moltiplicate per sette giorni di brutto tempo, per quattrocento maestri che lavorano a Cortina, per una cinquantina di euro l’ora. Si supera subito il mezzo milione di euro».
Ma è vero che il turista, quando non scia, diventa un buon cliente dei negozi? «No, non è così. Può accadere per un giorno, e d’estate, ma certamente non d’inverno, per una settimana. Anzi, con i passi chiusi, per neve, e con gli impianti fermi, non arrivano a Cortina i turisti che alloggiano in Val Badia, in Pusteria o nelle altre valli delle Dolomiti, che per noi sono buoni clienti. Con i valichi bloccati, da una settimana, per noi è un danno enorme».
Marco Dibona
NEL VENEZIANO – Jesolo, sulla spiaggia duemila tonnellate di detriti da smaltire
JESOLO – Serviranno almeno 300 mila euro per ripulire l’arenile di Jesolo, dopo che oltre 2 mila tonnellate di detriti sono spiaggiati nel solo mese di gennaio. Èquesta la stima illustrata ieri mattina dall’amministrazione comunale del centro balneare. Ma il bilancio, se si considerano le piene del Piave e del Sile, pare destinato ad aggravarsi con la possibilità di superare le cifre dello scorso anno. Allora i detriti recuperati erano stati oltre 7 mila tonnellate, con una spesa di un milione e 118 mila euro.
«Quella spesa è stata sostenuta interamente dai cittadini jesolani, nonostante i rifiuti siano stati prodotti altrove – ha accusato il sindaco Valerio Zoggia – è giunto il momento che gli enti sovracomunali si facciano carico di questo problema». Il primo cittadino è intenzionato a invitare in città gli assessori regionali Finozzi e Conte: «In questi giorni hanno fatto riferimento ai problemi della montagna, ma devono rendersi conto dei danni anche sulle spiagge». E l’assessore all’Ambiente Otello Bergamo: «Se non sarà data la dovuta attenzione avvieremo una class action». Intanto la società Alisea sta organizzando il recupero dei materiali già depositati: «Un’attività particolarmente onerosa perché i detriti, nonostante siano semplice legna, – ha spiegato il presidente Dalla Mora – sono classificati come “rifiuti speciali”». Servirebbe un cambio della loro classificazione per consentire una raccolta più semplice e l’invio in impianti di recupero energetico.
Giuseppe Babbo
LA DENUNCIA «Il nostro primo nemico non è tanto il maltempo, quanto la burocrazia»
ZAIA FA I CONTI «Questa tragedia ci costerà la stessa somma sborsata per l’alluvione nel 2010»
«Pioggia e neve, in Veneto danni per mezzo miliardo»
«E’ una tragedia. Che ci costerà almeno mezzo miliardo di euro. Quanto abbiamo pagato per i danni dell’alluvione del 2010. E per fortuna che dal 2010 ad oggi abbiamo realizzato 925 opere in tutto il Veneto per una spesa di 107 milioni di euro, altrimenti saremmo ancora di più in ginocchio. I lavori che abbiamo fatto di consolidamento degli argini e di creazione delle vasche di laminazione in parte ci hanno salvato. Ma mi rendo conto che spendere mezzo miliardo di euro per pagare i danni dell’alluvione del 2010 e contare di spenderne altrettanti 3 anni dopo, a fronte di investimenti per soli 100 milioni, è un paradosso, però questo è il made in Italy» – ironizza il presidente del Veneto Luca Zaia. Il rapporto è di 1 a 5. Si investe 1 milione e se ne buttano al vento 5 per pagare i danni. Se si invertisse l’ordine dei fattori, in pochi anni il Veneto sarebbe a posto visto che con un paio di miliardi si riuscirebbe a mettere in sicurezza l’intero territorio. «Ogni anno l’Italia spende mediamente due miliardi di euro per queste emergenze, finché non capiamo che non ha senso spendere per pagare i danni di più di quanto si spende per evitare quei danni, non andremo mai da nessuna parte. Ecco perchè parlo di Piano Marshall per il territorio. E poi, quando ero ministro avevamo lavorato ad una assicurazione contro le calamità maturali sul territorio nazionale, come si fa in tutti i Paesi europei, che fine ha fatto quella proposta? – si chiede il governatore del Veneto che ieri ha scritto una lettera al presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta per dire chiaro e tondo che ci vogliono soldi per pagare i danni, ma soprattutto per gli investimenti. «Perchè, se si ferma la locomotiva d’Europa, cioè il Nordest, non arrivano nemmeno più i soldi delle tasse a Roma, mi spiego? Nel 2010 sono state 10 mila le aziende e le famiglie che hanno subito danni, stavolta spero che siano meno, ma quante sono le imprese che hanno i magazzini allagati?» Zaia ce l’ha con quei 21 miliardi di euro che il Veneto ogni anno versa nelle casse centrali dello Stato e che non rientrano nel Veneto sotto forma di investimenti per la tutela del territorio. «A Roma si devono rendere conto che questa è una tragedia e mi pare che se ne stiano rendendo conto. Ho parlato con il capo della Protezione civile Franco Gabrielli e ho capito che è “sul pezzo” e cioè che tiene sotto controllo la situazione ed ha una idea molto chiara delle nostre esigenze. Occhio però che l’emergenza non è finita. La situazione più preoccupante è quella di cui si è parlato meno in questi giorni perchè c’era l’alluvione a tenere con il fiato sospeso la nostra regione, ma il dramma vero è la montagna, sepolta sotto tre metri di neve. Oltre ai danni che ha fatto in montagna, anche ai nostri operatori turistici, quando quella neve si scioglierà e speriamo che non avvenga in questi giorni, quanta acqua si riverserà in pianura? Di questo ho paura».
Ecco perchè il conteggio dei danni rispetto al 2010 potrebbe superare questa volta la cifra del mezzo miliardo di euro. «Non sappiamo che cosa troveremo sotto la neve, una volta che arriverà il caldo. Che temo quanto la pioggia di questi giorni. Che sono i giorni della merla e quindi i giorni più freddi dell’anno e invece le temperature sono troppo alte. Ecco perchè avverto che l’emergenza non è affatto conclusa, voglio che questo sia chiaro. Quante frane ci saranno ancora, quanti argini dovremo rinforzare di nuovo?» E Luca Zaia dice chiaro e tondo che il primo nemico da battere non è il maltempo, ma la burocrazia. Che blocca tutto, compresi gli interventi di messa insicurezza del territorio. Fa l’esempio di Montebello, il Governatore del Veneto. Lì si sta per realizzare un bacino che copre 153 ettari, ma ogni giorno ne salta fuori una di nuova e i lavori non vanno avanti. Serve dunque un Commissario straordinario, per questa emergenza, ma per l’emergenza vera, che è quella di investire per risolvere una volta per tutte i problemi.
100 I MILIONI DI EURO INVESTITI
21 MILIARDI DI TASSE A ROMA
«Non c’è solo l’acqua, perché il vero dramma è in montagna»
persi tre milioni
«E’ una tragedia. Che ci costerà almeno mezzo miliardo di euro. Quanto abbiamo pagato per i danni dell’alluvione del 2010. E per fortuna che dal 2010 ad oggi abbiamo realizzato 925 opere in tutto il Veneto per una spesa di 107 milioni di euro, altrimenti saremmo ancora di più in ginocchio. I lavori che abbiamo fatto di consolidamento degli argini e di creazione delle vasche di laminazione in parte ci hanno salvato. Ma mi rendo conto che spendere mezzo miliardo di euro per pagare i danni dell’alluvione del 2010 e contare di spenderne altrettanti 3 anni dopo, a fronte di investimenti per soli 100 milioni, è un paradosso, però questo è il made in Italy» – ironizza il presidente del Veneto Luca Zaia. Il rapporto è di 1 a 5. Si investe 1 milione e se ne buttano al vento 5 per pagare i danni. Se si invertisse l’ordine dei fattori, in pochi anni il Veneto sarebbe a posto visto che con un paio di miliardi si riuscirebbe a mettere in sicurezza l’intero territorio. «Ogni anno l’Italia spende mediamente due miliardi di euro per queste emergenze, finché non capiamo che non ha senso spendere per pagare i danni di più di quanto si spende per evitare quei danni, non andremo mai da nessuna parte. Ecco perchè parlo di Piano Marshall per il territorio. E poi, quando ero ministro avevamo lavorato ad una assicurazione contro le calamità maturali sul territorio nazionale, come si fa in tutti i Paesi europei, che fine ha fatto quella proposta? – si chiede il governatore del Veneto che ieri ha scritto una lettera al presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta per dire chiaro e tondo che ci vogliono soldi per pagare i danni, ma soprattutto per gli investimenti. «Perchè, se si ferma la locomotiva d’Europa, cioè il Nordest, non arrivano nemmeno più i soldi delle tasse a Roma, mi spiego? Nel 2010 sono state 10 mila le aziende e le famiglie che hanno subito danni, stavolta spero che siano meno, ma quante sono le imprese che hanno i magazzini allagati?» Zaia ce l’ha con quei 21 miliardi di euro che il Veneto ogni anno versa nelle casse centrali dello Stato e che non rientrano nel Veneto sotto forma di investimenti per la tutela del territorio. «A Roma si devono rendere conto che questa è una tragedia e mi pare che se ne stiano rendendo conto. Ho parlato con il capo della Protezione civile Franco Gabrielli e ho capito che è “sul pezzo” e cioè che tiene sotto controllo la situazione ed ha una idea molto chiara delle nostre esigenze. Occhio però che l’emergenza non è finita. La situazione più preoccupante è quella di cui si è parlato meno in questi giorni perchè c’era l’alluvione a tenere con il fiato sospeso la nostra regione, ma il dramma vero è la montagna, sepolta sotto tre metri di neve. Oltre ai danni che ha fatto in montagna, anche ai nostri operatori turistici, quando quella neve si scioglierà e speriamo che non avvenga in questi giorni, quanta acqua si riverserà in pianura? Di questo ho paura».
Ecco perchè il conteggio dei danni rispetto al 2010 potrebbe superare questa volta la cifra del mezzo miliardo di euro. «Non sappiamo che cosa troveremo sotto la neve, una volta che arriverà il caldo. Che temo quanto la pioggia di questi giorni. Che sono i giorni della merla e quindi i giorni più freddi dell’anno e invece le temperature sono troppo alte. Ecco perchè avverto che l’emergenza non è affatto conclusa, voglio che questo sia chiaro. Quante frane ci saranno ancora, quanti argini dovremo rinforzare di nuovo?» E Luca Zaia dice chiaro e tondo che il primo nemico da battere non è il maltempo, ma la burocrazia. Che blocca tutto, compresi gli interventi di messa insicurezza del territorio. Fa l’esempio di Montebello, il Governatore del Veneto. Lì si sta per realizzare un bacino che copre 153 ettari, ma ogni giorno ne salta fuori una di nuova e i lavori non vanno avanti. Serve dunque un Commissario straordinario, per questa emergenza, ma per l’emergenza vera, che è quella di investire per risolvere una volta per tutte i problemi.
Il Pd veneto: «Zaia scarica le sue colpe»
«Di fronte a questi disastri, puntualmente il presidente Zaia scarica sugli altri ogni responsabilità e distrae l’attenzione da quello che la sua Giunta non ha fatto in questi anni, a partire dal finanziamento massiccio per realizzare un piano regionale organico di tutela del territorio, con soldi che la Regione poteva mettere benissimo nel proprio bilancio invece di stanziarli col contagocce». L’accusa viene dal vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Bonfante, e dal capogruppo del PD, Lucio Tiozzo.
BELLUNO – Dolomiti, ancora crolli e slavine. E lunedì nuova perturbazione
Lesionata la palestra del Corpo Forestale ad Auronzo. A Cortina a rischio il Palazzetto del Curling. Arabba “liberata”, ma solo per sette ore al giorno
Crolli e slavine. Ora la “Bomba di neve” presenta il conto. E il prezzo da pagare è sicuramente salato. Dopo i toulà crollati a Cortina d’Ampezzo e il deposito del liceo artistico della Regina delle Dolomiti abbattuto dalla neve, piombata dalla copertura della scuola, ieri a capitolare sotto la coltre bianca anche la palestra del Corpo forestale dello Stato di Palù San Marco in comune di Auronzo.
Il palazzetto è stato lesionato e presenta seri problemi statici. Per cercare di limitare i danni e ripulire il più possibile dalla neve la copertura, quattro squadre dei vigili del fuoco del comando di Belluno hanno operato senza sosta. L’intervento dei pompieri è durato fino a questa mattina.
Sempre ieri a Cortina D’Ampezzo dopo una verifica statica si è deciso di transennare il Palazzetto del Curling in Piazzale della Stazione. Lo storico edificio, che era stato utilizzato anche come struttura logistica per le Olimpiadi del 1956, presenta importanti segni di cedimento.
Le precarie condizioni statiche non permettono neppure l’alleggerimento dalla neve.
La giornata è stata caratterizzata anche dalla caduta di una serie di slavine che hanno interessato in particolar modo l’area dell’Agordino.
La frazione di Somor a Falcade in valle del Biois è rimasta isolata. Una quarantina di persone sono “prigioniere” della neve.
«Ho effettuato un sopralluogo – ha spiegato il sindaco di Falcade, Michele Costa – solo domani (oggi per chi legge, ndr) però sapremo se sarà possibile sbancare la massa di neve e questo in tutta sicurezza».
Sempre a Cortina sono state liberate dalla neve due famiglie che si trovavano nell’ex rifugio Madres nelle vicinanze delle piste del Faloria. I due nuclei familiari erano isolati da ben quattro giorni “prigionieri” di oltre tre metri di neve.
Migliora invece la situazione ad Arabba in comune di Livinallongo del col di Lana. L’isolamento dei giorni scorsi è finito. Anche se per sole sette ore e sotto scorta.
Dalle 9 del mattino alle 16 del pomeriggio, grazie all’apertura della regionale 244 Arabba-Passo Campolongo-Corvara, gli abitanti Arabba hanno potuto lasciare il paese. Una spola a tempo fuori regione sotto il controllo dei carabinieri e dei vigili del fuoco. È sempre chiusa invece la regionale delle Dolomiti che collega Livinallongo del Col di Lana con il resto dell’Agordino. Il forte pericolo di caduta slavine non ha permesso ancora la riapertura dell’importante arteria viaria.
Pessime notizie intanto sul fronte meteo per il Venet: secondo gli esperti del sito 3Bmeteo sulla regione sono in arrivo altre quattro perturbazioni nei prossimi giorni. «Maltempo non stop sul Veneto, con tanta piogge e ulteriori nevicate in montagna, intervallate da brevi pause; rischio frane e allagamenti», commenta il meteorologo Edoardo Ferrara. Lunedì e martedì le giornate peggiori. A gennaio sul Veneto è piovuto fino al 300% in più del normale, mentre nevicate così abbondanti non si registravano sulle Dolomiti dalla fine degli Anni ’70.
MONTEGROTTO Vaste zone del Padovano sono allagate dalla pioggia e dalle piene dei fiumi, come testimonia la foto nella pagina precedente
TERNA – La nostra rete di alta tensione è integra e forte. Colpa del meteo e degli alberi
COSTI – Per rispristinare la corrente l’ente elettrico ha speso 2,4 milioni
GARDINI «Dall’Unione Europea fondi per prevenire»
«L’Europa mette a disposizione per il 2014 risorse importanti e più facilmente accessibili rispetto al passato. Sono fondi che imprese e istituzioni possono ottenere presentando progetti legati alla prevenzione» assicura Elisabetta Gardini, eurodeputato di Forza Italia e relatrice per il Meccanismo di protezione civile europea. «Infrastrutture e opere che mettano in sicurezza città e paesi possono anche essere un volano per la nostra economia»
Nuovo spazzaneve da omologare? A Bolzano si può, a Belluno no
Il sindaco di Zoldo Alto costretto a rivolgersi alla Motorizzazione altoatesina: «Ci serviva con urgenza, ma qui non c’è stato verso di poterlo regolarizzare»
RESPONSABILITÀ «I disagi provocati per il 75% dalla caduta degli alberi»
Audizione sul Grande . Buio che a Natale oscurò la montagna bellunese
Blackout, 185 euro di risarcimento a testa
Enel: noi i danneggiati
God’s Will, è stata la volontà del Signore. E con questa citazione di Francesco Amadei, uno dei responsabili di Enel convocati ieri in consiglio regionale del Veneto per discutere le cause del blackout di Santo Stefano a Cortina d’Ampezzo e dintorni, si capisce che la partita è chiusa. Perché Enel non solo non si sente responsabile di aver lasciato al buio famiglie, botteghe, ristoranti, bensì ritiene di essere stata lei stessa danneggiata. E Terna, l’altra società presente in gran spolvero all’audizione, non è da meno: la sua rete dell’alta tensione è «integra e forte», «non ci riteniamo responsabili». Quindi, la colpa non può che essere del Padreterno che la notte del 26 dicembre ha coperto le montagne bellunesi con una quantità eccezionale di neve bagnata senza premurarsi di abbassare il termostato. Gli alberi, carichi di neve, con le radici piantate su un terreno bagnato, sono crollati su tralicci, cavi, fili. Risultato: Grande Buio. Scena che in parte si è ripetuta il 31 gennaio. La domanda “non si potevano tagliare gli alberi?” è da quiz milionario: certo che sì, ma non spettava a Terna né ad Enel perché le due società hanno fasce di rispetto entro cui operare. E pensare – parole di Edoardo Gambardella, direttore dell’area territoriale Nordest e di Marco Crociani, responsabile Triveneto – che Terna sarebbe pure disponibile a tagliare a proprie spese gli alberi e a dare i tronchi a pezzi ai legittimi proprietari. Detto ciò, resta comunque una domanda: possibile che nessuno si sia preoccupato di avvertire che poco oltre la fascia di rispetto c’erano larici, abeti, pini del diametro di mezzo metro e alti fino a 30 metri e dunque potenzialmente pericolosi?
Dunque, i responsabili di Terna e Enel – ascoltati ieri per quasi quattro ore in Terza Commissione a Palazzo Ferro Fini, presenti sindaci e presidenti delle Comunità montane – concordano nel sostenere che la causa del blackout è stata per tre quarti «l’ecatombe di alberi» e per un quarto la formazione di manicotti di ghiaccio dovuti alla neve bagnata (gli inglesi la chiamano “sticky snow”, ha ricordato Eugenio Di Marino, responsabile Enel Distribuzione Macro Area Nord Est), il tutto con condizioni climatiche eccezionali, perché se avesse gelato le radici degli alberi si sarebbero ben piantate nel terreno. Per farla breve: su 221 km di linee ad alta tensione, 191 hanno avuto guasti. E il 31 gennaio c’è stato il bis, sempre per condizioni eccezionali.
Fanno riflettere i dati forniti dalle due società: Terna negli ultimi quattro anni ha investito 2 milioni e mezzo di euro per il taglio delle piante; il costo degli interventi sostenuti da Enel (Terna deve ancora fare i conti) per ripristinare la corrente dopo il blackout di Santo Stefano è stato pari a 2,4 milioni di euro. Della serie: forse converrebbe investire nella manutenzione, sempre che si decida a chi spetta.
E a proposito di soldi: chi è rimasto senza luce per più di 12 ore avrà un indennizzo. Lo prevede l’Authority ed è un ristoro – come ha sottolineato Enel – del tutto indipendente «dall’attribuzione di responsabilità del disservizio», tant’è che l’ingegner Amadei ha scandito: «Se qualcuno ci ritiene responsabili lo deve dimostrare in giudizio». I conti degli indennizzi sono già stati fatti: 10 milioni di euro per 54mila clienti. In media 185 euro a utenza che saranno scalati automaticamente in bolletta. Chi aveva i freezer pieni di ogni bendiddio può farsene una ragione.
E ancora: chi invoca l’interramento dei cavi sappia che con le linee sotto terra sarebbe peggio. Gambardella: «Costano 10 volte tanto e i costi finirebbero nelle bollette dei cittadini. E se ci fossero guasti, per intervenire bisognerebbe aspettare il disgelo».
Come si sono lasciati? I sindaci del tutto insoddisfatti, per non dire di Dario Bond (Fi) che ha punzecchiato Terna e Enel su tutto. Matteo Toscani (Lega), il più pacato dei tre consiglieri bellunesi pur essendo stato l’unico a vivere il blackout, ha tirato fuori i verbali di due anni fa, «quando Terna disse che la rete del Veneto era la più critica». Sergio Reolon (Pd) si è impegnato a verificare di chi sia la competenza in merito al taglio delle piante. Ma il problema vero ce l’hanno i Comuni. E qui si è impegnato il presidente della commissione Luca Baggio (Lega): «Dobbiamo capire come aiutare i sindaci. E faremo un coordinamento con tutti gli enti e le Protezioni civili».
Alda Vanzan
A LOZZO ATESTINO – Sono annegati trentamila polli
BASTONI FRA LE RUOTE «Incredibile: evento straordinario ma l’ente pubblico ti ostacola»
VERONA «La Regione non dà l’ok a scaricare nel Fratta»
VERONA (M. R.) «Se la Regione mi avesse autorizzato a scaricare il Terrazzo nel Fratta tutto questo non sarebbe accaduto. Invece Venezia non ha voluto e adesso abbiamo case allagate, ma se riprende la pioggia va sott’acqua tutta la sinistra Adige». È l’accusa lanciata ieri davanti ai sindaci dei Comuni interessati, nel vertice indetto in piena emergenza a Terrazzo (Verona), dal presidente del Consorzio Alta Pianura, Antonio Nani. «È da martedì mattina – ha detto Nani – che siamo pronti con 5 idrovore per scaricare nel Fratta. Ma l’ok dalla Regione non è arrivato».
BASTONI FRA LE RUOTE «Incredibile: evento straordinario ma l’ente pubblico ti ostacola»
Frana un pezzo di strada centro storico in parte isolato
TREVISO – Un rumore sordo, che ha rotto improvvisamente il ticchettio della pioggia, e un pezzo di strada è franata. Da martedì sera una delle vie di comunicazione che porta al centro storico
BATTAGLIA TERME – Si va in barca per le strade del paese, l’acqua ha allagato numerose case, sono state evacuate molte famiglie
LA SITUAZIONE – Centinaia di persone tenute ancora lontane dalle proprie abitazioni
Padova, mezza provincia sott’acqua
51 Comuni (uno su due) in emergenza. I più colpiti: Bovolenta, Battaglia Terme, Montegrotto e Sarmeola
PADOVA – Il giorno dopo l’alluvione, in provincia di Padova è fatto di rabbia e lacrime, con tantissimi problemi. Sono 51 – secondo la Protezione civile – i comuni coinvolti dall’emergenza-acqua. In pratica, uno su due.
Ieri a Montegrotto, dove sono state evacuate dieci famiglie, rallentamenti del traffico con code di un chilometro sull’Adriatica, all’altezza del ponte di Mezzavia, a causa di allagamenti. Un’ordinanza del sindaco Massimo Bordin ha decretato la chiusura di tutte le scuole fino a lunedì mentre è tornata alla normalità la situazione ad Abano, dopo la chiusura di cinque strade per allagamenti.
Impressionante l’effetto di smottamenti e infiltrazioni a Rovolon, lungo la strada provinciale 77 che si è spaccata e letteralmente sollevata in alcuni tratti.
L’acqua che ha invaso le campagne della Bassa Padovana ha provocato nella notte l’annegamento di trentamila polli in un allevamento di Lozzo Atestino, dove in serata è arrivata anche la presidente della Provincia Barbara Degani, preceduta nel pomeriggio dal presidente del consiglio regionale Clodovaldo Ruffato. A Este restano chiusi i cinque ponti del centro storico minacciati dal canale Bisatto.
A Sarmeola di Rubano, Caselle e Tencarola a Selvazzano ieri mattina c’erano ancora vie sommerse dall’acqua, in alcuni punti il livello superava i sessanta centimetri, con case con i piani terra allagati. Fra le situazioni più critiche quella di Sarmeola dove l’acqua non ha mai accennato a scendere, così come a Caselle.
Bovolenta, il comune della Bassa con il più alto numero di sfollati (340) ieri sembrava un paese fantasma. In centro storico tutte le attività sono chiuse, evacuate via Italia, via Mazzini, via Dante e piazza Umberto I. Molti sono stati ospitati da amici e parenti altre persone, soprattutto anziane, sono state ospitate dal centro di prima accoglienza allestito nella vicina Polverara. Disagi per i pendolari di Bovolenta che ieri, nonostante la tensione per il livello del fiume Bacchiglione e del vicino Vigenzone, dovevano comunque andare al lavoro: i pullman non sono potuti arrivare e molti dei “passeggeri mancati” si sono rivolti alla polizia locale per chiedere maggiori spiegazioni, non senza polemiche.
Situazione quasi surreale a Battaglia Terme, invasa dall’acqua da due giorni: in paese si circolava solo sulle barche. Ottanta gli sfollati che hanno dovuto loro malgrado abbandonare le loro abitazioni, mentre qualche irriducibile ha deciso di rimanere in casa nonostante la mancanza di elettricità, con scorta di candele e torce elettriche. Incessante il via vai di pompieri, carabinieri e volontari della protezione civile, anch’essi muniti di piccole imbarcazioni, tra le case circondate da un metro e mezzo di acqua.
Nell’Alta padovana tensione per il cedimento di trenta metri di argine lungo il tumultuoso Muson dei Sassi, mentre scoppiano le polemiche di cittadini, associazioni e decine di sindaci per la nuova emergenza alluvione, dopo quelle del 2010 e del 2011.
L’EMERGENZA MALTEMPO
Argine di 50 metri crolla a Torre di Mosto
Jesolo, disastro rifiuti
Intervento notturno dei volontari per mettere in sicurezza la zona.
In Veneto orientale nuove polemiche con il Friuli. Le spiagge della località balneare invase da 2mila tonnellate di detriti
LA DIGA – Questo sbarramento ha salvato San Stino, ma i friulani vorrebbero eliminarlo
A Torre di Mosto non c’è stato nemmeno il tempo di tirare il fiato per l’emergenza maltempo appena rientrata. Nella notte i volontari della Protezione civile sono infatti dovuti intervenire per mettere in sicurezza la zona dal crollo di 50 metri metri di argine della Livenza.
Intanto, sul litorale come in tutto il Veneto Orientale, inizia la conta dei danni: solo sulla spiaggia di Jesolo si calcolano almeno duemila tonnellate di rifiuti portati dal mare. Il sindaco Zoggia: «In Regione parlano solo dei problemi della montagna».
Artigiani “risparmiati”. Agricoltura in ginocchio
PORTOGRUARO – Il maltempo risparmia le imprese, non le aziende agricole. L’alluvione che ha colpito il Veneto orientale non ha fortunatamente creato danni alle piccole e medie imprese del territorio, già provate dalla crisi economica. Dalle verifiche fatte dalle associazioni di categoria non sono stati segnalati casi di aziende allagate. Solo una ditta di Gruaro, la Zoppelletto srl, con sede in via Cordovado, si è ritrovata con il magazzino allagato. Una situazione per la quale c’è già stato l’interessamento del sindaco, Giacomo Gasparotto. Allagato anche lo storico ristorante del centro storico di Portogruaro “Ai Tre Scalini”, che si trova proprio sul l’argine del fiume Lemene. Le zone artigianali, insomma, sono state risparmiate dall’acqua. Danni consistenti hanno invece riguardato diverse aziende agricole. La fascia che unisce la Provincia di Venezia a quella di Treviso, ricca di vigneti Doc della zona del Piave, è ovunque allagata. Problemi notevoli anche per i campi di frumento.
(t.inf. )
CHIOGGIA – Punta Gorzone, rientrato l’allarme
CHIOGGIA – Sta lentamente rientrando l’allarme a punta Gorzone. Il Comune martedì aveva emesso un’ordinanza di sgombero per i tredici nuclei famigliari che vivono in zona, dopo la segnalazione di pericolo da parte del genio civile di Padova, intenzionato ad effettuare anche alcuni lavori sugli argini.
«Al momento è tutto sotto controllo – spiega il sindaco Giuseppe Casson – i 13 nuclei famigliari interessati peraltro hanno voluto rimanere nelle proprie abitazioni. Il livello del Gorzone sta lentamente scendendo e confidiamo nel miglioramento delle condizioni meteo. Rimane il fatto che quella zona non può vivere in continua emergenza. Servono al più presto interventi di tipo strutturale».
(M.Bio.)
Jesolo, spiaggia dei rifiuti: 2mila tonnellate di detriti
L’ira del sindaco Zoggia: «Un disastro, e in Regione parlano solo dei problemi della montagna
Finozzi e Conte vengano a rendersi conto di persona». L’assessore: «Pronti a una class action»
«A Ca’ di Valle mareggiata disastrosa, serve un intervento definitivo di difesa della costa»
CAVALLINO – TREPORTI
Oltre 2 mila tonnellate di detriti spiaggiati sull’arenile di Jesolo nel solo mese di gennaio per un costo di recupero e smaltimento di 300 mila euro. Sono le stime presentate ieri mattina dall’Amministrazione comunale assieme ad Alisea. Ma il bilancio, considerate le piene del Piave e del Sile, è destinato ad aggravarsi ancora con la possibilità di superare le cifre dello scorso anno, quando i detriti recuperati sono stati 7.216 tonnellate per una spesa di 1millione e 118mila euro.
«Interamente a carico dei cittadini jesolani nonostante questi siano stati prodotti altrove – ha tuonato il sindaco Valerio Zoggia in una conferenza stampa sul problema – è arrivato il momento che gli enti sovracomunali si facciano carico di questo annoso problema. Inviteremo in città gli assessori regionali Finozzi e Conte, che in questi giorni hanno fatto riferimento ai problemi della montagna, perché si rendano conto dei danni».
«Se a questo problema – ha aggiunto l’assessore all’Ambiente Otello Bergamo – non sarà data la dovuta attenzione avvieremo una class action». Intanto Alisea sta organizzando il recupero dei materiali già depositati: «Un’attività particolarmente onerosa perché questi detriti nonostante siano della semplice legna – ha spiegato il presidente Dalla Mora – sono classificati come “rifiuti speciali”. È indispensabile che cambi la loro classificazione per poterli raccogliere in modo più semplice ed inviarli in impianti di recupero energetico».
Auspica il cambio di classificazione anche Renato Cattai, presidente di Federconsorzi: «Chiediamo agli enti di autorizzare i privati alla raccolta di rami – ha chiosato – accorciando di fatto le tempistiche di smaltimento».Da registrare anche la presa di posizione di Mirco Crosera, vicepresidente del Bim: «Si tratta di dare delle risposte ai problemi dei cittadini: stiamo studiando un progetto denominato “Il Piave che vorrei” per avviare una maggiore sensibilizzazione, inoltre inviteremo il ministro all’Ambiente Andrea Orlando a visitare le nostre realtà».
CAVALLINO – TREPORTI A Cavallino-Treporti nel frattempo si stanno contando i danni per l’erosione provocata dalla mareggiata nella spiaggia di Cà di Valle, dove sono spariti migliaia di metri cubi di sabbia: «Quando il mare si sarà calmato la situazione sarà più chiara – ha detto il sindaco Claudio Orazio – sicuramente chiederemo al Magistrato delle Acque di garantire il rinascimento. Arrivati a questo punto è indispensabile che la Regione avvii un intervento di difesa della costa definitivo: non possiamo permetterci di ritrovarci ogni anno in una stessa situazione che non agevola nessuno».
Giuseppe Babbo
I FONTANAZZI – Continuano a essere monitorati ogni giorno
A Torre crollano 50 metri di argine
SAN STINO DI LIVENZA
Cala il livello dei fiumi, 20 famiglie tornano a casa
SAN STINO – Anche ieri, mercoledì, è continuato il calo consistente dei livelli idrometrici di Loncon, Fosson e Livenza. Dalle 15 il Coc (Centro operativo comunale) ha revocato l’ordinanza di evacuazione emessa sei giorni fa per la ventina di famiglie residenti nelle vie Caorle (dal ponte sul canale Cernetta verso Sud), Sette Sorelle, Bonifica, Condulmer, Fossa Fondi e Prese. Già ieri hanno fatto rientro nelle proprie case, tranne una che tornerà oggi. Fino a ieri alle 20, è rimasto attivo il servizio d’informazione al quale i cittadini potevano rivolgersi per ogni necessità sull’emergenza. Alla stessa ora è cessato anche il servizio di monitoraggio dei corsi d’acqua da parte dei volontari della Protezione civile. Segnali entrambi del cessato allarme.
(g.pra.)
IL CASO – La diga che ha salvato S. Stino nel mirino dei “cugini” friulani.
Il direttore del consorzio Grego: «Speriamo sia chiaro a tutti che il regolatore idraulico di Corbolone non può essere eliminato»
SEGNALAZIONI – Lezioni pomeridiane a rischio alle primarie
L’emergenza maltempo sembra alle spalle, ma sta per arrivare un nuova perturbazione. Intanto si guarda al Friuli Venezia Giulia e al Pordenonese, nell’obiettivo di una fattiva collaborazione per preservare popolazione e territorio. «È necessario avviare una profonda riflessione sull’intero sistema di gestione delle acque piovane – spiega il direttore del Consorzio, l’ingegner Sergio Grego – che purtroppo a monte del nostro comprensorio non vengono ancora trattenute ma semplicemente scaricate a valle con poco riguardo per la sicurezza idraulica dei territori limitrofi. Non si vuole qui accendere una polemica fra Regioni e Province confinanti, ma quanto accaduto in questi giorni rende lampante come il problema della sicurezza idraulica vada affrontato in un’ottica di sistema, adottando regole comuni e comportamenti responsabili, privilegiando la realizzazione di opere volte al trattenimento delle acque piovane anziché al loro violento scarico a valle. Auspichiamo quindi che quanto accaduto renda una volta per tutte chiaro che un’opera come il regolatore idraulico di Corbolone nel fiume Magher al confine regionale, che qualcuno vorrebbe eliminare, sia invece un perfetto esempio di buona gestione delle acque che dovrebbe ispirare i progettisti di opere idrauliche». Già, perchè la cascata di Corbolone di fatto ha evitato che San Stino finisse sott’acqua. Nel passato un ente di Pordenone aveva tentato di farla levare per favorire il deflusso, tutto fu però bloccato dall’allora sindaco Marcello Basso che avviò pure una causa legale. Ora le indiscrezioni, non tanto velate, fanno supporre che dal pordenonese si tenti nuovamente il “salto” di Corbolone. Nel frattempo le previsioni per il prossimo fine settimana destano ancora qualche apprensione. Il funzionamento degli impianti idrovori del Consorzio si è ulteriormente ridotto a circa il 50% della capacità complessiva grazie al progressivo calo dei livelli idrometrici dei canali. «Purtroppo permangono estesi allagamenti in alcuni bacini – spiegano i tecnici del Consorzio – nei quali le idrovore stanno ancora lavorando a pieno regime per poter riportare la situazione alla normalità, cosa che non potrà avvenire prima di qualche giorno». Intanto la conta dei danni alle opere pubbliche di bonifica è già avviata. Ad un primo esame appaiono comunque consistenti. Enorme anche il costo dell’energia elettrica per i pompaggi e che si stima possa superare i 500 mila Euro.
Venti volontari al lavoro tutta la notte sulla Livenza per mettere in sicurezza la zona
Crolla l’argine della Livenza e la Protezione civile lavora tutta al notte per mettere in sicurezza la zona. Una zona denominata «La Rotta», un toponimo che ben ricorda le rotte del passato del fiume. Poco a valle del cimitero il fiume svolta a sinistra sviluppando così grandi pressioni sull’argine della sponda destra.
Ieri, poco prima della mezzanotte, la squadra della Protezione Civile, incaricata a tenere sotto controllo il fiume nella zona del cimitero, ha rilevato un profondo smottamento, sul lato esterno dell’argine per un fronte di una cinquantina di metri.
Lanciato l’allarme tutti i 20 volontari del gruppo si sono messi all’opera, sotto la supervisione del geometra Alessandro Vidal del Genio Civile, con teli e sacchi di terra per mettere in sicurezza la zona. «Bisogna rilevare – dice il geometra Franco Zulian responsabile del gruppo di protezione civile – che dopo aver lavorato durante la notte per mettere in sicurezza gli argini i volontari questa mattina sono tornati a svolgere le loro professioni e così succede da venerdì quando abbiamo istituito le squadre di controllo, di due persone ciascuna, complessivamente 10 persone a turno ogni notte, per monitorare gli 8 chilometri di fiume più a rischio tra Sant’Elena e Ponte Tezze».
Uno degli aspetti da tenere sotto controllo sono i fontanazzi. «Sono diversi i fontanazzi comparsi – spiega Zulian – ma l’acqua è ancora limpida, quindi è sufficiente tenerli monitorati: solo quando l’acqua diventa marrone bisogna preoccuparsi e intervenire con corone di sacchi fino a controbilanciare la pressione dell’acqua».
MIRA – Buche pericolose in alcune vie, ma gli argini dei canali hanno tenuto
Conta dei danni, strade rotte
Il sindaco Maniero: «Situazione sempre sotto controllo, ringrazio i volontari»
Nel primo giorno di quiete a Mira si cerca di quantificare i danni provocati dal prolungato maltempo, tra strade con buche pericolose, e argini sotto stress. «A Mira nonostante lo stato di allerta e l’alto livello dei fiumi la situazione è sempre stata sotto controllo – ha dichiarato il sindaco Alvise Maniero – quando in altri Comuni della Riviera, come a Fiesso d’Artico ad esempio, si sono verificati veri e propri cedimenti degli argini. Questo grazie anche all’impegno dei tanti volontari, Protezione Civile e Alta, che incessantemente hanno monitorato il territorio dando prova di efficienza ed efficacia. Ora dovremo quantificare i danni nel dettaglio ma la rete di canali a Mira ha retto bene nonostante l’eccezionale situazione di stress». «Il problema a Mira non è stata la pioggia – ha affermato il responsabile della Protezione Civile di Mira Franco Favero – quanto la quantità d’acqua che si è riversata a valle dai territori a monte, tra neve sciolta, canali tracimati e su un terreno comunque già impregnato. Tra le zone più critiche via Malpaga a ridosso del Passante e sicuramente Oriago Nord, con il canale Lusore che aveva superato i limiti di guardia. Proprio in via Lusore nell’angolo di intersezione con via Ghebba, nella notte di domenica sono stati rubati alcuni metri del tubo collegato all’autopompa. Un danno nell’ordine di 400 euro – spiega Favero – ma che ha reso inservibile tutta l’autopompa, di proprietà del Comune di Mira, e costata circa 16 mila euro. In quel punto alla fine abbiamo dovuto lavorare con quattro pompe a pieno regime, cercando anche di presidiarle, dopo il furto». Tra le zone danneggiate anche via Oberdan in centro a Mira sulla quale l’asfalto era stato ripristinato appena qualche mese fa. «Abbiamo il sospetto che i lavori non siano stati fatti a regola d’arte – afferma il sindaco Maniero – e pertanto convocheremo l’impresa che ha eseguito i lavori per capire cosa è successo».