Nuova Venezia – “Societa’ partecipate causa di spese inutili”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
20
feb
2014
POLITICA & affari»IN VENETO
Regione, società malgestite
La Corte dei conti: «Spesa pubblica fuori controllo»
Durissima accusa del procuratore presso la Corte dei conti di Venezia Scarano: «Provocano disastri e la spesa pubblica così è incontrollabile»
VENEZIA «Le società partecipate sono spesso una fonte di spesa inutile…sono causa di disastri evidenti». Parole come pietre, quelle del procuratore presso la Corte dei Conti del Veneto, Carmine Scarano, sulle aziende di proprietà pubblica alle quali comuni, province e regioni delegano funzioni e servizi che fino a poco tempo fa svolgevano direttamente. Sono contenute nella sua relazione in vista dell’apertura dell’anno giudiziario, la cui cerimonia è prevista per oggi. In Italia sono quasi ottomila e nel 2012 sono costate ben 22,7 miliardi di euro.
«Nelle partecipate la spesa pubblica è incontrollabile», prosegue il magistrato contabile, «e in caso di cattiva gestione spesso dirigenti e dipendenti se la cavano perché le procure della Repubblica intervengono solo in caso di reati penali, in caso di danno erariale, invece, sono fuori dalla giurisdizione della Corte dei conti, ma appare di difficile comprensione come di fronte ai disastri evidenti causati dalle società pubbliche si possano ancora nutrire dubbi sul riparto di giurisdizione, senza porsi il problema sostanziale che è alla base del dissesto dei conti pubblici».
Nell’ipotesi di un danno erariale in una società partecipata, l’amministrazione deve avviare un’azione risarcitoria attraverso la giustizia civile, prima di tutto spendendo dei soldi per nominare un avvocato, «con i tempi infiniti di quel tipo di processo».
Se, invece, fosse competente la Corte dei conti a mettere in moto gli accertamenti toccherebbe al pubblico ministero contabile «del tutto gratuitamente per quanto riguarda l’ente pubblico interessato, che dovrebbe semplicemente inviare la segnalazione alla nostra Procura» sottolinea Scarano.
Nel suo intervento, oggi, il procuratore spiegherà anche perché accade tutto ciò: la Corte di cassazione sul punto non ha espresso un parere univoco, «nel 2004 una sentenza era apparsa come un’ampia apertura alla giurisdizione del giudice contabile…dopo di ché c’è stato un passaggio a pronunce di progressiva chiusura e ora il dibattito su quale debba essere la giurisdizione competente è ancora vivo».
«Riteniamo», ha concluso sulla questione il procuratore contabile, «che sia necessario un intervento del legislatore una volta per tutte, per definire in modo chiaro la giurisdizione della Corte dei conti in materia. In mancanza, dobbiamo purtroppo sottolineare che questa situazione continuerà a produrre corruzione e sprechi, peggiorando le condizioni della spesa pubblica».
Il magistrato, poi, sottolinea la crescita, sia in termini di numero di adesioni sia di cifre corrisposte, delle restituzioni spontanee, cioè di coloro che prima ancora che inizi il processo davanti alla Corte, quando le indagini della Procura stanno finendo o sono appena concluse, che si offrono di pagare per evitare tutto il resto: nel 2009 hanno versato nelle casse dello Stato 78 mila e 868 euro, lo scorso anno ben 683 mila 270 euro. Il procuratore Scarano, citando queste cifre, segnala la necessità anche per la giustizia contabile dei ritocchi al regolamento di procedura che risale al 1933, ad esempio, introducendo una forma di patteggiamento e l’innalzamento del limite di 5 mila euro per il procedimento monitorio.
Giorgio Cecchetti
Omissioni, trucchi e inganni
Dai concorsi non banditi ai doppi incarichi e incassi perduti
VENEZIA – Nella relazione sono riportati anche i casi più significativi affrontati dalla procura contabile nel corso dell’anno trascorso.
C’è quello che ha riguardato l’Arpav, che non aveva proceduto ad accertare l’impossibilità di far ricorso al personale interno prima di affidare un contratto di collaborazione ad un esterno per 35 mila e 500 euro, esterno tra l’altro che era privo del titolo di studio richiesto e scelto senza neppure metterlo in concorrenza con altri.
Lo stesso vale per il Comune di Chioggia, che ha pagato un consulente 298 mila euro per due incarichi.
Poi ci sono i danni prodotti dal non corretto esercizio di due discariche di rifiuti autorizzate dalla Provincia di Treviso, un danno di due milioni e 988 mila euro.
Segnalato anche il caso di un medico dell’Uls 10 del Veneto Orientale, il quale aveva scelto il rapporto di lavoro esclusivo, ma visitava anche in una struttura ambulatoriale privata, provocando un danno di 91 mila euro, in parte da omesso versamento di somme e in parte a causa della violazione del dovere di esclusività.
Anche all’Uls 1 di Belluno il primario di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Pieve di Cadore avrebbe provocato un danno di 89 mila euro per prestazioni svolte al di fuori del nosocomio senza autorizzazione.
Infine, la vicenda della mancata riscossione da parte dell’Uls 13 di Padova di canoni per poco più di un milione di euro per la concessione in uso di alcuni locali e la gestione del bar presso l’ospedale di Sant’Antonio.
(g.c.)
Ipotesi danno erariale per i gruppi consiliari
Assegnati ai pubblici ministeri i dossier con le spese delle formazioni politiche di palazzo Ferro Fini
VENEZIA – Dopo che la Procura della Repubblica di Venezia guidata da Luigi Delpino sembra intenzionata ad archiviare l’indagine aperta sulle spese del Gruppo della Lega Nord in Regione avviata sulla base dell’esposto dell’ex leghista Santino Bozza, sono i pubblici ministeri contabili ad essersi messi al lavoro sui rendiconti dei nove, tutti, gruppi consigliari di palazzo Ferro Fini.
Il procuratore Carmine Scarano ha affidato ad ognuno dei suoi pubblici ministeri (Alberto Mingarelli, Giancarlo Di Maio e Chiara Imposimato) i conti di uno o più gruppi politici e alla fine dei controlli saranno loro a dover dire se le spese sostenute sono regolari sul piano del danno erariale.
Insomma se il denaro pubblico elargito ai consiglieri regionali è stato utilizzato a fini istituzionali (politici) o meno. E per farlo sono partiti dalle indicazioni fornite dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto della Corte dei conti. Lo scorso giugno, con la deliberazione numero 160, i sei giudici presieduti da Claudio Iafolla avevano fatto le pulci ai rendiconti dei gruppi politici regionali, che dallo scorso anno sono stati obbligati dalla legge a consegnare. Dopo la verifica, i magistrati avevano dichiarato «l’irregolare rendicontazione dei seguenti importi: Unione Nord Est, 14 mila 850 euro; Sinistra Veneta-Rifondazione comunista, 6 mila 453 euro; Popolo delle libertà, 237 mila 573 euro; Partito democratico, 112 mila 701 euro, Unione di Centro, 90 mila 931; Italia dei Valori 33 mila 379; Bortolussi Presidente mille 363 euro; Gruppo misto 15 mila 232 euro. Infine, avevano bacchettato la Lega Nord, che non aveva presentato o comunque «accertato l’inadempimento dell’obbligo di regolarizzare il rendiconto sull’impiego dei contributi finanziari erogati a carico del bilancio della Regione» si legge.
Nel documenti si ricorda che «i Gruppi consiliari non possono utilizzare neppure parzialmente i contributi in denaro a carico del Consiglio regionale per finanziare, direttamente o meno, attività estranee ai Gruppi o alle loro finalità». Per quanto riguarda i compensi per consulenze e collaborazioni di esperti «è stata riscontrata la piena coerenza tra la spesa e la relativa documentazione». Non così bene, invece è andata per le «spese postali e telegrafiche», per «spese telefoniche e di trasmissione dati», «spese di cancelleria e stampati», «spese per libri, riviste e pubblicazioni» e soprattutto «spese per attività promozionali, convegni e attività di aggiornamento», ritenute irregolari. La Corte non ha ritenuta sufficiente a comprovare la connessione con eventuali iniziative del Gruppo la mera indicazione scritta a penna dell’evento in occasione del quale tali spese sarebbero state affrontate. Proprio su questo i pubblici ministero contabili sembrano voler puntare.
Giorgio Cecchetti
L’ALLARME DELLA DIREZIONE ANTIMAFIA
Quei calabresi all’ombra dell’Arena
Assessori, consiglieri, avvocati e imprenditori di successo figli dell’Aspromonte
VERONA Una voce popolare racconta che per le strade di Verona si aggira un sicario, fatto arrivare dalla Germania, con il compito di sparare alle gambe a chi ha svelato il sistema. Solo una voce, condita dalla proverbiale ironia dei «veronesi tutti matti» e da un pizzico di preoccupazione: ma una voce che certamente allunga un’ombra sulle vicende giudiziarie e politiche che agitano la città scaligera negli ultimi mesi. La Calabria, del resto, ha sempre permeato la città. Sin dai tempi della prima «tangentopoli». Chi ricorda più il nome di Emilio De Rose? Medico socialdemocratico, calabrese trapiantato a Verona, catapultato dal consiglio comunale alla poltrona di ministro dei Lavori pubblici nel governo Goria, nel 1987. E precipitato in poco tempo nella polvere di tangentopoli, arrestato per concussione per il regalo di una Bmw. Calabrese di Campo Calabro, anche se è nato a Milano, è anche l’assessore ai servizi sociali Marco Giorlo (2488 preferenze), cui molti pronosticano le dimissioni vicine per un’improvvida intervista rilasciata a Report su alcune vicende personali. Il sindaco Flavio Tosi, che ama frequentare la Calabria (a fine gennaio ha presentato la sua Fondazione a Crotone e a Catanzaro) due anni fa si era speso così per l’amico assessore: «Conosco Marco da molti anni e posso dirvi che si occupa di politica con serietà e competenza, stando sempre fra la gente, ricevendo ogni giorno decine di persone, e cercando di dare una mano e risolvere i problemi dei cittadini con passione civile». Parole di stima che gli avversari politici del sindaco di Verona stanno rispolverando. Calabrese di Crotone è Katia Maria Forte, presidente della prima commissione consiliare ed esponente della Lista Tosi: è figlia del mitico Pompeo Forte, indimenticato personaggio della Crotone degli anni ’60, ristoratore amico di tutti. Calabrese è pure il titolare dell’avviato studio legale veronese dove è cresciuta Alessandra Lodi, la moglie dell’ex vicesindaco Vito Giacino (origini siciliane) travolto dallo scandalo urbanistico che l’ha portato in carcere, insieme proprio alla moglie. Calabrese è anche il presunto socio occulto della Soveco, una delle più avviate imprese di costruzioni veronese. Secondo un’informativa della Polizia tributaria del luglio 2009 la società farebbe riferimento ad Antonino Papalia, calabrese di Delianuova, marito separato di Sabina Colturato. Secondo la relazione 2012 della Direzione nazionale antimafia: «Le attività condotte dalla Dia hanno consentito di segnalare nell’ovest veronese e nel vicentino la presenza di ditte, operanti in particolare nel settore dell’edilizia, riconducibili ad aggregati criminali di Cutro (Crotone), Delianova (Reggio Calabria, Filadelfia (Crotone) e Africo nuovo (Reggio Calabria)». L’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente denuncia come «tra le diverse province, quella di Verona si segnala per una forte presenza mafiosa, soprattutto di origine calabrese». Aggiunge il dossier «Ndrangheta, corruzione, cemento»: «Ci domandiamo come possa operare nel settore dell’edilizia e delle opere pubbliche una società come la Soveco senza intessere alleanze politiche e imprenditoriali – conclude Lorenzo Albi di Legambiente Verona – Chiediamo che anche su queste venga fatta chiarezza».
Daniele Ferrazza