Gazzettino – I ghiacciai dolomitici. In 50 anni si sono ridotti del 26%.
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
1
mar
2014
IN RITIRATA – Il ghiacciaio della Marmolada: si sta ritirando da parecchi anni. Sulle Dolomiti in mezzo secolo i ghiacciai hanno perduto un quarto dell’estensione
I nuovi ghiacciai delle Dolomiti
In 50 anni si sono ridotti del 26% ma una ricerca ha “scoperto” a Nordest altri 14 siti glaciali
L’ESPERTO – Secchieri: «Abbiamo analizzato i territori con criteri diversi da queli usati finora»
LE NOVITÀ – Si tratta quasi sempre di piccole formazioni, spesso coperte da detriti
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Ecco i nuovi siti “glacionevati” catalogati: Cadin di San Lucano (Cadini di Misurina); Cima d’Asta (Lagorai), Nordest della Civetta; Cima Bastioni (Marmarole); Pale S. Martino: Passo di Ball, Val dei Cantoni, Val delle Galline, Passo delle Farangole, Bureloni; Cima d’Ambata (Popera); Nordest del Piz Boè (Sella); Busa del Banco e Nordest dello Zurlon (Sorapis); Passo la Banca (Uomo-Vernale).
Il ghiaccio si ritira: il 26 per cento in 50 anni in Veneto, addirittura il 50 per cento in Friuli Venezia Giulia. Ma in Veneto spuntano 14 “nuovi” ghiacciai, che prima d’ora non erano stati censiti. E questa è la vera novità. Complessivamente sono circa 80 i “siti glaciogeni” (ghiacciai e masse isolate di ghiaccio e nevato) presenti sull’area dolomitica (escluse le Dolomiti di Brenta) e oggi appaiono catalogati nel primo catasto completo che prende in considerazione anche il lavoro di ricerca effettuato in Veneto. Un lavoro immane, di interesse non solo statistico, ma anche dal punto di vista della sicurezza e della tutela. I “giganti bianchi” delle Dolomiti hanno perso nell’ultimo mezzo secolo più di un quarto della loro superficie e studiarne i cambiamenti diventa indispensabile anche ai fini della prevenzione. Ma dalla ricerca è emersa una sorpresa: si è scoperto che in Veneto le masse gelate sono più di quante si supponeva: 39 (sull’ottantina complessiva) rispetto alle 25 finora conosciute. Certo non si tratta di masse enormi, quasi sempre sono piccole formazioni spesso non visibili perché coperte da detriti. Ma ci sono.
Tutto ciò emerge da una ricerca realizzata dall’Università degli Studi di Milano, grazie alla quale è stato compilato un nuovo elenco dei ghiacciai dolomitici che va ad aggiornare quello realizzato dal Comitato Glaciologico Italiano nel 1959-1962 e che inevitabilmente risulta alquanto superato: i cambiamenti del clima soprattutto nell’ultimo ventennio hanno infatti modificato la morfologia delle nostre montagne. Però nonostante la superficie complessiva dei ghiacciai del Veneto e del Friuli Venezia Giulia «copra una percentuale molto ridotta – dicono gli esperti – rappresentano interessanti elementi di studio».
Spiega Claudio Smiraglia, glaciologo dell’Università di Milano, a capo del progetto di ricerca: «Anche questi piccoli ghiacciai stanno risentendo dei cambiamenti climatici in atto, riducendosi in spessore e superficie, in linea con la tendenza al regresso riscontrata nelle altre regioni d’Italia».
Ma come si è giunti alla “scoperta” di 14 nuovi ghiacciai in Veneto? «Il criterio con cui è stato analizzato il territorio è diverso da quello precedente – sottolinea Franco Secchieri, il glaciologo che ha effettuato la mappatura delle Dolomiti che ha dato vita al catasto – Il termine usato è sito glaciogeno, cioè che genera glaciazione. Ebbene, nelle Dolomiti ci sono complessivamente 80 luoghi con masse gelate. Quella della Marmolada resta la più importante, poi ci sono siti più piccoli che rispondono in maniera veloce alle variazioni climatiche».
Quanto al Friuli Venezia Giulia sono stati censiti 4 glacionevati e un piccolo ghiacciaio, un totale di 5 siti, due in meno rispetto a 50 anni fa. Si trovano ai piedi delle cime del Montasio e del Canin, nelle Alpi Giulie. Le dinamiche delle masse ghiacciate presenti sulle montagne sono variabili. «Nel 1985 il ghiacciaio della Marmolada era in forte aumento, come molti altri siti, poi c’è stata una riduzione legata a una diversa tendenza climatica – sottolinea Secchieri – Avere identificato tutti i siti significa poterli monitorare per vedere come cambiano. Oggi ci sono masse in considerevole ritiro, alcune sono anche scomparse o sono state sepolte dai detriti. Poi bisogna tener conto di episodi saltuari, come le grandi nevicate del 2001 o quella recente del 2013, che sono state eccezionali. I siti così si ricaricano ma basta un’annata calda come quella del 2003, che ha registrato il record del secolo, per azzerare il vantaggio accumulato».
Le nevicate abbandonanti di quest’inverno fanno comunque ben sperare per la vita dei ghiacciai, anche se l’esperto smorza gli entusiasmi: «La neve caduta sarà utile – sottolinea Secchieri – Però bisogna vedere come sarà l’estate, quando la temperatura è elevata la neve si scioglie anche di notte».
Daniela Boresi