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Gazzettino – Mose, la grande retata

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

5

giu

2014

L’EDITORIALE – Le responsabilità oltre gli atti dei magistrati di Roberto Papetti

Non esistono aggettivi adeguati per definire i risultati dell’inchiesta giudiziaria sul perverso sistema di affari e interessi personali e di clan cresciuto intorno al Mose. Gli addetti ai lavori da tempo si attendevano notizie clamorose sulle indagini che, va riconosciuto, la Procura di Venezia e la Gdf veneta stavano conducendo da tempo senza protagonismi nè interessate fughe di notizie. Ma quanto è emerso ieri va oltre ogni attesa. Sia per quanto riguarda i reati contestati, sia per il livello delle persone coinvolte, sia per l’enorme quantità di denaro che sarebbe stata usata per occultare controlli, addomesticare i decisori, comprare il consenso dei politici. Non di tutti i politici, ovviamente. I distinguo sono quantomai necessari: c’è chi soldi li ha presi e chi no. Ma la rete era scientificamente trasversale. Ne esce un quadro sconcertante: alti funzionari, politici di primo piano, titolati professionisti e finanzieri tutti alla mercè della Serenissima Cricca che ruotava intorno al sistema Mose e ne governava, senza controllo, gli enormi flussi di denaro.
Ci sarà tempo per valutare l’enorme mole di documentazione prodotta dagli investigatori e, anche di fronte alle rivelazioni più clamorose, deve sempre valere il principio della presunzione di innocenza: le condanne le emettono i tribunali, non i giornali o le tv. Ma il quadro che sta emergendo certifica, pur con i necessari distinguo e i diversi gradi di responsabilità, il fallimento di una classe dirigente e di potere. E impone una riflessione a tutti: se a Nordest, la locomotiva d’Italia, un sistema di corruzione di questa vastità e pervasività, pubblico e privato, ha potuto prosperare per lunghi anni, la responsabilità non può essere solo di chi ieri figurava nell’elenco degli arrestati e degli indagati.

Roberto Papetti

 

Politici, tecnici, controllori. Tutti comprati dal Mose

Niente sarà come prima. Trentacinque persone arrestate, un centinaio di indagati e altrettante perquisizioni in quella che si prosetta la nuova Tangentopoli veneta. Lo tsunami giudiziario che all’alba di ieri si è abbattuto in laguna, ha sconvolto per sempre gli equilibri politico-imprenditoriali dell’intero Veneto e non solo della città più bella del mondo, che per la prima volta nella sua storia repubblicana si ritrova con il sindaco in manette. L’avvocato Giorgio Orsoni è ristretto ai domiciliari con l’accusa di finanziamento illecito per la campagna elettorale che lo ha portato a Ca’ Farsetti nel 2010, sconfiggendo l’avversario del centrodestra, l’ex ministro e parlamentare di Forza Italia, Renato Brunetta. Un’inchiesta quella condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria provinciale sotto la guida prima del colonnello Renzo Nisi quindi del successore Roberto Pennoni, e coordinati dai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, che ha azzerato la serenissima cricca nata e cresciuta all’ombra del Mose e dei suoi appalti miliardari gestiti dal Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del sistema di dighe mobili contro l’acqua alta. Referenti Giovanni Mazzacurati, allora presidente di Cvn e Piergiorgio Baita ex patron di Mantovani spa socio pesante di Cvn, in grado di gestire e condizionare i lavori elargendo milioni di euro attinti dai fondi neri per piegare praticamente chiunque ai propri interessi.
In una parola tangenti. Garantite con lo strumento più “banale” ovvero quello delle false fatturazioni su importi gonfiati ad hoc in combine che assicurano pure la pax sociale fra le varie aziende consorziate o meno. I conti stimati per difetto indicano in 22 milioni di euro distratti a scopi illeciti e il sequestro per equivalente agli indagti di 40 milioni di euro. Un macrocosmo di presuntori corruttori e altrettanti presunti corrotti in cui a finire in manette sono anche protagonisti storici del mondo politico veneto: Renato Chisso, forzista, assessore regionale alle Infrastrutture che con le sue 21.915 preferenze è risultato il candidato più votato nelle consultazioni che hanno incoronato doge del Veneto il leghista Luca Zaia. Per non parlare di Giampietro Marchese, esponente di spicco del Pd, consigliere regionale, ex tesoriere del partito, legato a Lino Brentan, altro pidiessino di rango, ex ad della società “Autostrada Venezia-Padova” arrestato per la seconda volta in due anni e mezzo. E nella ponderosa ordinanza firmata dal gip Alberto Scaramuzza compare anche un altro punto di riferimento Dem, il chioggiotto Lucio Tiozzo, capogruppo a Palazzo Ferro Fini, che però non risulta indagato ma che sarebbe stata o a conoscenza del “sistema Mose”. Nomi eccellenti sono anche quelli dei vicentini Lia Sartori, ex eurodeputata di Fi per cui è stato richiesto l’arresto, e di Roberto Meneguzzo, patron della Palladio Finanziaria, salotto buono della finanza del Nordest, definito a più riprese il “Cuccia” nostrano, che ha giocato da attaccante in partite come Fonsai e Generali. Per passare a lui, l’ex presidente della regione ed ex ministro, ora senatore di Fi, fidatissimo di Berlusconi suo testimone di nozze, quel Giancarlo Galan che dichiarò, nel libro-intervista dall’omonimo titolo, “Il Nordest sono io” a sottolineare una leadership indiscussa e duratura: la richiesta di arresto è stata inoltrata all’apposita Commissione di Palazzo Madama.
Senza dimenticare il generale di Corpo d’Armata Emilio Spaziante, in pensione, ex comnadante in seconda delle Fiamme gialle con un passato nei servizi segreti: da ieri è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Secondo gli inquirenti è la talpa, sul libro paga del Cvn, che a più riprese avrebbe passato a Mazzacurati e sodali informazioni sensibili sulle verifiche fiscali in atto e sugli eventuali procedimenti penali in corso a carico di Cvn, Mantovani e imprese collegate.
Non a caso nella conferenza stampa nella quale in mattinata sono stati illustrati i risultati dell’operazione, con il comandante regionale della Finanza, Bruno Buratti, il procuratore capo Luigi Delpino ha voluto complimentarsi ufficialmente con gli investigatori in grigioverde: «Hanno saputo superare diversi tentativi di interferenze» ha detto a sottolineare quanto sia stato difficile operare dovendo da subordinati aggirare le richieste pressanti di un ufficiale a tre stelle, di casa al Comando generale di Roma.
Mentre l’Aggiunto Carlo Nordio ha constatato non senza amarezza come a distanza di poco più di vent’anni la Procura di Venezia si sia trovata a fronteggiare una tangentopoli bis uguale in tutto e per tutto alla prima, e addirittura con le stesse facce, come ad esempio quella dell’ingegner Baita.
Il primo colpo al sistema viene inferto il 28 febbraio 2013 proprio con il suo arresto. L’accusa, formulata dal pm Stefano Ancilotto, è associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale attuata per lo più “cartiere” costruite unicamente per emettere fatture false. Oltre a Baita in cella ci vanno Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Galan e ad di Adria Infrastrutture società della galassia Mantovani, il responsabile amministrativo di quest’ultima Nicolò Buson e il console onorario di San Marino William Colombelli a capo della Bmc Broker, azienda di consulenza che dalle pendici del Titano garantiva a Baita un flusso ininterrotto di “uscite certificate” per attività mai svolte. Circa 20 milioni di euro la cifra calcolata per la maxi evasione. Il secondo colpo al sistema, il 12 luglio 2013 con l’arresto di Giovanni Mazzacurati. Il creatore del Mose si era dimesso dalla carica di presidente di Cvn appena due settimane prima, mettendo fine a un trentennio di assoluto dominio, dentro e fuori il Consorzio. Il sostituto procuratore Paola Tonini, che lo definisce “il grande burattinaio” gli contesta la turbativa d’asta per un appalto riguardante lavori di scavo nell’area portuale e per lui chiede e ottiene i domiciliari. Stessa misura cautelare per Pio Savioli e Federico Sutto, nell’ordine consigliere e dipendente di Cvn, per i responsabili della Cooperativa San Martino di Chioggia, Roberto Boscolo Anzoletti, Mario Boscolo Bacheto e Stefano Boscolo Bacheto e un altro chioggiotto Gianfranco Boscolo Contadin della Nuova Coedmar. Due inchieste un unico filone, alla ricerca dei fondi neri milionari creati truccando le gare e facendo lievitare i costi non solo del Mose ma anche delle opere connesse alla salvaguardia di Venezia e finanziate con la Legge speciale. Soldi depositati su conti criptati e affidati alla “discrezione” di istituti bancari con sede nei paradisi fiscali. Soldi che come ha sottolineato Nordio hanno pagato di tasca propria tutti i cittadini.

Monica Andolfatto

 

LE MAZZETTE – In carcere 35 persone, oltre cento gli indagati. Sequestrati beni per 40 milioni. Per i magistrati il sistema tangenti ora è molto più sofisticato rispetto a 20 anni fa, manovra grandi cifre e provoca grandi danni erariali.

BLITZ ALL’ALBA – Terremoto giudiziario a Venezia per l’inchiesta sul Mose. Chiesti gli arresti per Giancarlo Galan e Lia Sartori, domiciliari per il sindaco Giorgio Orsoni, in carcere l’assessore regionale Renato Chisso.

«560mila euro una tantum»

«1 milione di euro l’anno»

«250mila euro l’anno»

L’INCHIESTA/1 – La “serenissima cricca” del Nordest da 40 milioni di euro

L’INCHIESTA/2 – Ogni nome una cifra. Appunti scritti su “carta mangiabile”

A Orsoni 560mila euro per Marchese 500mila alla Sartori 200mila

Finanziamenti, le prove trovate in un foglietto “in carta mangiabile”

BIANCO E NERO – Il Consorzio agiva su un doppio binario, legalità e irregolarità

Finanziamenti “in bianco” e finanziamenti “in nero”, sempre comunque illeciti. I fondi creati dal Consorzio Venezia Nuova, attraverso un complesso giro di fatturazioni false che coinvolgevano varie società, non avrebbero alimentato solo la grande corruzione, ma anche il finanziamento illecito dei partiti. Con fondi che potevano essere formalmente dichiarati, ma sempre da società minori, mai dal Consorzio, che invece effettivamente li sborsava. Ed ecco la modalità “in bianco”. Oppure essere versati senza dichiarazione alcuna, a rate, in pacchetti o buste, “in nero” appunto.

É un altro fronte dell’inchiesta che ha scosso la città, quello che è arrivato a colpire lo stesso sindaco Giorgio Orsoni, finito per questo agli arresti domiciliari. Tre in tutto i politici coinvolti. La posizione più grave è quella di un altro esponente Pd, il consigliere regionale di lungo corso Giampietro Marchese, per cui è stata disposta la custodia cautelare in carcere. Mentre una richiesta di arresti domiciliari c’è anche per Lia Sartori, richiesta per il momento sospesa, in quando l’ex consigliera regionale è eurodeputata del Pdl ormai in scadenza.
FINANZIAMENTI IN BIANCO E IN NERO – L’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza dedica un intero capitolo al finanziamento illecito ai partiti, dove ricostruisce nei dettagli il sistema. A pagare è sempre il Consorzio. «Attraverso il meccanismo delle false fatturazioni – si legge – trasferisce in modo occulto ed illecito delle somme alle singole imprese consorziate, che poi erogano il contributo nelle forme di legge». In questo modo il Consorzio non risulta tra i finanziatori ufficiali. Sempre attraverso il «meccanismo delle false fatturazioni alle imprese consorziate e successive retrocessioni» da quest’ultime allo Consorzio, si alimenta anche il “nero” con la creazione di una «disponibilità diretta di fondi». Con il primo sistema, ad esempio, nel 2010, Marchese riceve 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), ma che in realtà provengono dal Consorzio. Ben maggiori i finanziamenti illeciti che il consigliere regionale avrebbe ricevuto con il sistema occulto: tra i 400 e i 550mila euro, tra 2006 al 2012. E non è finita, perché a Marchese viene contestata anche una «fittizia assunzione» presso lo studio Eit per altri 35mila euro. Fin qui le accuse.
APPUNTI IN “CARTA MANGIABILE” – Ma l’ordinanza racconta anche della genesi di questo filone dell’inchiesta. Tutto sarebbe partito dalla scoperta di alcuni foglietti tra la documentazione riservata del Consorzio, nascosta da una dipendente a casa dei suoi genitori. Appunti dettati dal factotum Pio Savioli, scritti su “carta mangiabile”, come si raccomanda un altro uomo del Consorzio in un’intercettazione. Ebbene, in uno di questi appunti, c’è una lista di somme con a fianco dei nomi: 33mila euro per Pd provinciale, per Lucio Tiozzo, per Marchese, 100mila per la Fondazione Marcianum… É poi Savioli a raccontare che quei 33mila a Marchese sono un «finanziamento ufficiale» deliberato da Coveco. Si risale poi anche a quello di Selc. In un caso come nell’altro, Marchese sa bene che i soldi, in realtà, arrivano dal Consorzio – argomenta il gip – tant’è che in un colloquio Savioli fa riferimento al “capo supremo” e Marchese capisce che si tratta del presidente Mazzacurati. É poi proprio Mazzacurati, dopo l’arresto dell’anno scorso, a raccontare anche dei finanziamenti occulti.
L’UOMO DELLA “SINISTRA POLITICA” – Marchese gli viene presentato come l’«uomo con cui dovevo parlare per metterci d’accordo per le dazioni» alla «sinistra politica». E così il consigliere regionale, in circa 8 anni, nella ricostruzione dell’ordinanza, riceve circa mezzo milione di euro, sempre in contanti, consegnati a mano. Una volta dallo stesso Mazzacurati in campo Santo Stefano, altre volte i pacchetti vengono portati in Regione, cosa che preoccupa il presidente. Il rapporto di Marchese con il Consorzio è tale – continua il gip – che nel 2010, quando non viene rieletto in Regione (sarà “ripescato” tre anni dopo), viene assunto da una società nell’orbita di Coveco. Davanti al contratto il politico, in un’intercettazione, sbotta: «Dovrei lavorare dal lunedì a venerdì… Fino alle 18.30» con tanto di bestemmia. Ma l’interlocutore del Consorzio lo rassicura: «Lascia perdere quello che c’è scritto».
L’EURODEPUTATA PDL – Anche il caso Sartori, parte da uno degli foglietti in “carta mangiabile” della documentazione nascosta del Consorzio. Altre cifre, altri nomi: 40mila euro per Davide Zoggia, 100mila per Studium Marcianum, 10mila per Sergio Reolon, 25mila per comitato Sartori… Ed è quest’ultima cifra che viene poi spiegata con il meccanismo dei finanziamenti “in bianco”, in questo caso transitati per la Coveco, nel 2009, in vista della campagna elettorale per le europee. Anche per lei, poi, c’è il capitolo in “nero”: 200mila euro, dal 2006 al 2012. Il primo a raccontarlo è Baita che riferisce di avere un rapporto «conflittuale» con la Sartori, ma di sapere che Mazzacurati, sempre nel 2009, le ha consegnato 50mila euro cash. Sarà poi lo stesso Mazzacurati a completare il quadro, riferendo di altre consegne: sempre da 50mila euro alla volta, sollecitate dalla Sartori.
IL SINDACO DI VENEZIA – Dalle europee del 2009 alle politiche del 2010, quando entra in scena anche Orsoni. Al sindaco sono contestati due episodi di finanziamento illecito: come candidato sindaco Pd, avrebbe ricevuto 110mila euro dal Consorzio, attraverso le società consorziate San Martino, Clea, Bosca e Cam. Mentre sul fronte occulto, i vertici del Consorzio gli avrebbero consegnato altri 450mila euro in più rate, di cui 50mila cash procurati da Baita. É ancora Mazzacurati a raccontare che il Consorzio decide di finanziare la campagna elettorale di Orsoni con i soliti sistemi. Per il “bianco” il presidente coinvolge una serie di imprese veneziane, tra cui quelle di Nicola Falconi, attuale presidente dell’ente gondola che, dalle intercettazioni, appare particolarmente soddisfatto del ruolo: «Potesse anche essere utile per battere cassa tra virgolette» commenta con Savioli. «Noi avevamo previsto di spendere molto meno – racconta, invece, Mazzacurati nel suo interrogatorio – e poi invece Orsoni mi ha detto che aveva bisogno di tutti gli altri soldi». La maggior parte arrivano così “in nero”, nella ricostruzione del gip. É la stesso Mazzacurati a consegnarli al candidato sindaco. «Andò più volte a casa di Orsoni, nel giro di tre quattro mesi, portandogli ogni volta fino a 100 150mila euro» si legge nell’ordinanza. Una delle prime tranche da 50mila euro viene procurata da Baita che raccontando il fatto offre una spiegazione illuminante della filosofia del Consorzio: «Quando c’era la campagna elettorale si attivavano i doppi binari: tanto finanziamo ufficialmente, tanto finanziamo in nero. Quello ufficialmente tanto facciamo noi come Consorzio, tanto fate voi come soci. Quello in nero esclusivamente tramite Consorzio, perché il Consorzio non voleva assolutamente che i soci finanziassero direttamente in nero dei politici che avrebbero potuto rappresentare degli ingressi collaterali nel Consorzio». Un controllo assoluto, insomma, che avrebbe coinvolto anche il sindaco.

Roberta Brunetti

 

Trecento finanzieri impegnati nell’operazione

Mose, la grande retata

Tangenti: richiesta di arresto per l’ex governatore Galan e l’europarlamentare Sartori, ai domiciliari il sindaco Orsoni. Manette per l’assessore Chisso, il consigliere regionale Marchese, l’imprenditore Meneguzzo e il generale della Finanza Spaziante. In tutto sono 35 ordini di cattura e cento indagati.

L’INCHIESTA – 35 arresti, 100 denunciati. Dal Consorzio milioni per aver mani libere in Laguna

Agli arresti il sindaco di Venezia Orsoni (Pd), i forzisti Chisso e Sartori (richiesta), i pd Marchese e Brentan, funzionari regionali, il patron di Palladio Finanziaria, un generale delle Fiamme Gialle, un giudice della Corte dei Conti, due Magistrati alle Acque

LA STORIA – L’inchiesta è nata nel 2008 da un banale controllo fiscale su una cooperativa impegnata nei lavori alle dighe mobili nella bocca di porto di Chioggia

Il blitz nel cuore della notte al termine di indagini durate anni

VENEZIA – Il d-day è scattato nel cuore della notte, quando in contemporanea trecento finanzieri hanno raggiunto gli obiettivi prefissati per eseguire le 35 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Alberto Scaramuzza, e altrettante perquisizioni fra Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Lombardia. Un giorno atteso da tempo. Almeno da tre anni. Da quando cioè sotto gli occhi attenti degli 007 in grigioverde si stava delineando uno scenario inatteso rispetto alla mera verifica fiscale avviata nel 2008 alla Cooperativa San Martino, impegnata nella costruzione delle dighe mobili alle bocche porto di Chioggia. Una ventina i militari dedicati a tempo pieno a decifrare quello che diventerà il “sistema Mose”, gli uomini del Nucleo di polizia tributaria provinciale, sotto la guida prima del colonnello Renzo Nisi, poi del suo successore Roberto Pennoni con la squadra del 1. Gruppo tutela entrate diretta dal tenente colonnello Roberto Ribaudo. La quadratura del cerchio è avvenuta quando i riscontri emersi durante la verifica fiscale avviata dai colleghi padovani nel 2010 alla Mantovani sono confluiti nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore di Venezia Stefano Ancilotto sulla ditta clodiense. Ed è solo ex post che gli inquirenti, grazie alla circolarità di informazioni, sulla base di contabilità parallele, di fatture gonfiate, di costi di materiali lievitati attraverso passaggi di società con sede all’estero e di consulenze fittizie strapagate, hanno cominciato a cercare i fondi neri e poi gli utilizzatori finali, ovvero i corruttori e i corrotti. I primi sono stati smascherati, in una sorta di manovra a tenaglia, dall’operazione Chalet del pm Ancilotto, del febbraio 2013, con l’arresto di Baita, Minutillo, Buson e Colombelli e dall’operazione Profeta coordinata dal pm Paola Tonini del luglio seguente con l’arresto di Mazzacurati deus ex machina del Consorzio Venezia Nuova e di consiglieri, dirigenti di Cvn e rappresentanti legali di ditte consorziate. Quindi a settembre, con il pm Stefano Buccini, l’arresto del vice questore di Bologna, Preziosa, che secondo l’accusa rivelava ai vertici del Mose eventuali accertamenti in atto. Di qui la decisione del procuratore capo Luigi Del Pino di creare il pool, composto dai pm Tonini, Ancilotto e Buccini, con il supporto dell’Aggiunto Carlo Nordio, referente per l’Area economica, che insieme alle Fiamme gialle ha raccolto le prove definite schiaccianti sui destinatari delle mazzette.

M.A.

 

Così seguivano la pista dei fondi neri creati all’estero

Il procuratore aggiunto Carlo Nordio: è come vent’anni fa, con le stesse persone

Ma nel ’92 i soldi finivano ai partiti, oggi prevale l’interesse personale

ORE 6.55 – Lo scoop del Gazzettino online batte il record di utenti sul web

È stato il Gazzettino.it con un pezzo a firma di Monica Andolfatto il primo quotidiano on line a dare la notizia degli arresti in corso della Guardia di Finanza per l’inchiesta sul Mose. Lo scoop, pubblicato alle 6.55, dava il resoconto completo di quanto stava avvenendo, un’ora prima che agenzie e altri siti d’informazione uscissero con i primi lanci. Ed è stata una giornata da record per il nostro sito con oltre 4 milioni di pagine viste, migliaia di condivisioni tra Facebook e Twitter, quasi 300mila persone a leggere le notizie sulla nuova tangentopoli veneta che ha portato all’arresto del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, dell’assessore regionale alle Infrastrutture, Renato Chisso, e alla richiesta di custodia cautelare dell’ex governatore del Veneto e attuale parlamentare di Forza Italia Giancarlo Galan.

IL SISTEMA La ricostruzione dei magistrati. Le tangenti milionarie pagate con i soldi pubblici non con gli utili aziendali

VENEZIA – «Le tangenti non venivano pagate con gli utili delle società private, ma con i soldi dei cittadini». Si sbaglia di grosso chi crede che il pentolone scoperchiato a Venezia e in mezzo Veneto dalla Procura di Venezia e dal Nucleo Regionale della Polizia Tributaria, sia soltanto un affare privato. In realtà è uno spaccato dell’Italia dove le lobby di potere sono in grado di condizionare l’utilizzo del denaro di tutti, drenando risorse occulte per pagare mazzette. Denaro sonante che deriva da truffe fiscali vere e proprie, con tanto di cartiere e di dichiarazioni infedeli.
Che le tangenti siano state pagate dai cittadini lo ha ribadito ieri il procuratore aggiunto Carlo Nordio, che ha partecipato alla conferenza stampa assieme al procuratore Luigi Delpino e al generale della Finanza Bruno Buratti. Il lavoro investigativo è stato svolto dalle Fiamme Gialle, coordinate da tre sostituti procuratori d’assalto, Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Carlo Nordio di Mani Pulite se ne intende. Vent’anni fa mise alle corde il sistema asservito in Veneto alla legge del 3%, la percentuale delle tangenti, da Carlo Bernini e Gianni De Michelis. Suo malgrado ha dovuto ammettere che nulla è cambiato.
«Le caratteristiche di questo sistema sono analoghe a quello di allora. Anzi, troviamo perfino gli stessi protagonisti. Soltanto che la tecnica si è affinata, è più sofisticata. La Finanza ha dovuto lavorare molto, e bene, per svelare il sistema delle sovrafatturazioni e delle retrocessioni da parte di società. Ma anche delle consulenze gonfiate». Così ha detto Nordio.
Il sistema in parte è mutato, nel senso che vent’anni fa ad incassare furono i portaborse della Democrazia Cristiana e del Pci. I soldi finivano ai partititi, o perlomeno alle correnti. Oggi è probabile che ci siano interposizioni di interessi privati. Se anche in qualche caso l’accusa è di solo finanziamento illecito dei partiti (come per il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni), in altri è evidente che il denaro è finito direttamente in tasca agli amministratori regionali. Se poi sia stato utilizzato a fini politici lo accerterà l’inchiesta, o lo potranno chiarire i diretti interessati negli interrogatori, di garanzia davanti al gip o con i pubblici ministeri.

Giuseppe Pietrobelli

 

L’ARRESTO DEL SINDACO – I finanzieri suonano prima delle 5,30. Viaggio in caserma e poi a casa

Lo ha notato più di un veneziano mattiniero e la notizia si è subito sparsa per la città con la rapidità di un fulmine. Giorgio Orsoni, il sindaco di Venezia, che esce di casa la mattina presto, in compagnia di alcuni uomini della Guardia di Finanza.
Ieri, la giornata del primo cittadino della città lagunare è iniziata così: i militari hanno suonato alla porta della famiglia Orsoni, a San Silvestro (foto a destra), a due passi da Rialto, che non erano ancora le cinque e mezza. Il sindaco è stato quindi accompagnato in caserma per la notifica dell’ordinanza cauterale, per poi essere subito riaccompagnato a casa, dove ora dovrà restare agli arresti domiciliari.

TRANSIZIONE – La scadenza naturale della legislatura è fissata nel 2015

GUIDA DELLA CITTÀ – La maggioranza vuole andare avanti l’opposizione stoppa

IN COMUNE – Venezia, poteri al vice oppure voto anticipato. La scelta fra le due ipotesi dipende dalle dimissioni o dalla “sospensione temporanea”

E improvvisamente il cielo su Venezia è diventato cupo. E ancora di più le stanze di Ca’ Farsetti, la “casa” municipale di Venezia. L’arresto del sindaco Giorgio Orsoni è stato un fulmine a ciel sereno. «Avevo già letto tutti i giornali alle sei di mattina – confessa il vicesindaco Sandro Simionato – E poi ho dato un’occhiata al sito internet del Gazzettino…». Viso tirato, occhi che sprizzano nervosismo, frasi secche, toccherà proprio a Simionato traghettare in questo momento il Comune di Venezia dopo la burrasca che lo ha colpito. In mattinata Simionato ha riunito la giunta, ha sentito i pareri dei suoi colleghi assessori e poi si è catapultato in Prefettura, a Ca’ Corner per capire – tecnicamente – i margini di manovra. Una situazione delicata che è tutta nelle mani di Orsoni. Se il primo cittadino intenderà dimettersi, il passaggio formale sarà a senso unico: tutti a casa con l’ingresso del commissario prefettizio per l’ordinaria amministrazione e l’indizione di nuove elezioni. Ma non è l’unica ipotesi.
L’altra è quella che vede la Procura come attore dei destini della città con l’invio ad Orsoni di una “comunicazione di sospensione temporanea” del suo incarico di primo cittadino con l’automatico passaggio di ogni funzione al vicesindaco che potrebbe così portare a termine la “consigliatura” fino a scadenza naturale nella primavera del 2015. Ed è proprio su questi “tecnicismi” che ci si sta misurando, e che saranno chiamati a discutere i partiti che dal 2010 hanno sostenuto Orsoni (Pd, Psi, Verdi, Udc, Idv) con l’appoggio esterno del Prc. «Andiamo avanti – taglia corto il vicesindaco Simionato – con uno sforzo comune, collettivo e con grande senso di responsabilità. Dove c’è da far chiarezza, lo si faccia al più presto. E che la magistratura faccia il suo corso. Sul Mose, la posizione del Comune è sempre stata improntata alla massima coerenza: abbiamo denunciato più volte il fatto che vi fosse un unico mandatario (Consorzio Venezia Nuova ndr) detentore unico del sistema. In una grande opera da 5 miliardi di euro, non vi è dubbio che qualche rischio poteva starci. Noi siamo per nuove regole di gestione degli appalti. Un’Amministrazione che si auto-elimina sarebbe in questo momento un suicidio per la città». Intanto le opposizioni si sono immediatamente scatenate. E ieri pomeriggio sotto il colonnato di Ca’ Farsetti, i gruppi consiliari di Fratelli d’Italia, Lega Nord, CinqueStelle e Gruppo Misto hanno manifestato chiedendo le dimissioni di Orsoni e della giunta comunale. Ed è scattata anche la mobilitazione di enti e associazioni: Codacons, Adico e Federconsumatori che hanno annunciato un’azione legale per il risarcimento danni.

 

Baita accusa: «Galan? Esoso»

Per lui un milione l’anno allo “spallone” Chisso 250mila

Giancarlo Galan e Renato Chisso erano sul libro paga del Consorzio Venezia Nuova. L’allora governatore del Veneto percepiva uno “stipendio” di un milione di euro l’anno e l’assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso 250 mila. E non si accontentavano dei soldi, pretendevano anche di avere quote in varie società. Per questo il magistrato parla di “fabbisogno sistemico” e significa che la corruzione dei due esponenti di Forza Italia in Regione faceva parte di un meccanismo che ha iniziato a girare agli inizi degli anni ’90 ed è arrivato fino ai giorni nostri. Di quanti soldi si tratta? Secondo Baita si ragiona sui 6 milioni di euro consegnati ai politici. Cifra per difetto visto che nè Piergiorgio Baita, amministratore delegato del gruppo Mantovani nè Giovanni Mazzacurati, il patron del Consorzio Venezia Nuova, stavano lì a conteggiare i 100 mila euro in più o in meno.
GALAN? ESOSO
Certo che, almeno per quanto riguarda l’ex Governatore, Baita si lamenta «delle richieste esose del Galan» – riferisce Claudia Minutillo, che di Galan è stata segretaria per una decina di anni, prima di essere cacciata dallo stesso Galan per poi ripresentarsi in tempi recenti come accusatrice implacabile del suo ex datore di lavoro. La Minutillo sia nel caso di Galan che nel caso di Chisso ha fatto per un certo periodo lo “spallone” e cioè la persona incaricata di portare i soldi ai due politici. Baita riassume il sistema di pagamento: «Per quanto riguarda Galan fino al 2005 attraverso la signora Minutillo, dal 2005 al 2010 attraverso l’assessore Chisso… Per quanto riguarda Chisso invece fino al 2005 ha sempre provveduto la dottoressa Minutillo direttamente, dal 2010 ho provveduto io». E’ proprio lei, Claudia Minutillo, a parlare dello “stipendio”. Si trattava infatti, per Galan e Chisso, «di pagamenti regolari».
FALSE FATTURAZIONI
Dunque, quel che si scopre da questa nuova inchiesta è che le false fatturazioni che erano saltate fuori – per una dozzina di milioni di euro – qualche mese fa, quando era saltato il primo tappo della tangentopoli veneta con gli arresti di Baita e Mazzacurati, è che i soldi in nero servivano a finanziare i politici. Come, peraltro, sembrava ovvio a tutti. Servivano le prove, però, e adesso i magistrati dicono di averle trovate, ma più di qualche avvocato ieri mattina sottolineava qualche passaggio “ballerino” dell’ordinanza per assicurare che il suo cliente se la sarebbe cavata senza problemi. Assodato infatti che esisteva il “Sistema Consorzio”, si tratta di vedere quanto forti sono le accuse sulle singole posizioni. Quel che è certo è che Baita quantifica in 6 milioni di euro la “provvista” di quattrini che sono finiti in mazzette. Con questi soldi il Consorzio Venezia Nuova aveva la strada spianata.
SOLDI IN CAMBIO DI AIUTINI
Nell’interrogatorio del 30 ottobre 2013, Piergiorgio Baita, precisa che i provvedimenti ottenuti “grazie” alle mazzette sono 4: 1- Commissione di salvaguardia-Approvazione progetto definitivo Mose 2004; 2 – Commissione Via regionale per dighe di Chioggia; 3 – Commissione Via regionale per le dighe di Malamocco; 4- Commissione Via per le dighe del Lido tra il 2004 e il 2005. «Successivamente alle approvazioni sono da intendersi pertanto avvenuti e completati i pagamenti cui ho fatto riferimento» – conclude Baita. Ma se su Chisso si tratta “solo” di soldi – Mazzacurati dice di aver consegnato all’assessore regionale quattrini fin dagli anni ’90 e fino a 250 mila euro l’anno e di aver dato gli ultimi soldi nei primi mesi del 2013 – nel caso di Galan si tratta anche di lavori di ristrutturazione dell’abitazione a Cinto Euganeo. Racconta Baita a verbale: «Io ho sostenuto i costi di Tecnostudio di Danilo Turato che era il responsabile della progettazione architettonica, della direzione lavori e di alcuni lavori di restauro». Danilo Turato non viene pagato in contanti, ma con un sistema di sovrafatturazione. «Gli ho dato degli incarichi, 4-5 diversi non chiedendogli ribassi rispetto alla tariffa progettuale» . In tutto Baita spende per la villa di Galan la bellezza di 1 milione 100 mila euro. «L’ultimo pagamento è stato fatto con un certo ritardo rispetto al completamento dei lavori. E’ avvenuto quasi un anno dopo che i lavori erano finiti, nel 2009. Galan continuava a chiedere soldi solo per il fatto che era ministro.»

Maurizio Dianese

 

REGIONE – In manette due importanti funzionari. Il segretario Casarin già nella prima Tangentopoli

Fasiol, «di lui si fidano»

Artico, assunta la figlia

L’inchiesta spazza gli uffici della Regione Veneto. E in galera finiscono anche il segretario di Renato Chisso, Enzo Casarin, già finito nei guai ai tempi della prima Tangentopoli Veneta. Casarin è accusato di aver fatto da cassiere per conto di Chisso. Assieme a Casarin sono finiti in manette anche due importanti funzionari della Regione. «Artico aveva bloccato l’accordo di programma proprio perchè non avevano ancor assunto la figlia». Artico è Giovanni Artico, dirigente presso la segreteria regionale infrastrutture.
E’ lui, stando alle accuse, che blocca l’iter delle approvazioni finchè non riesce a far assumere la figlia Valentina dal gruppo Mantovani ed esattamente dalla Nordest media, che è la società che controlla giornali free press come “Il Mestre”. Non è l’unico funzionario che, stando all’Ordinanza del Gip «ha completamente asservito l’esercizio della sua pubblica funzione agli interessi del Gruppo Mantovani». C’è anche Giuseppe Fasiol, dirigente regionale del settore strade e infrastrutture. Fasiol viene “premiato” con una serie di incarichi remunerativi come il collaudo della opere del Mose. Secondo il racconto che fa Claudia Minutillo, Fasiol viene scelto “perchè si fidano di lui”. Chi, esattamente? Baita, che vuole Fasiol quale componente della Commissione collaudo del Mose. «Le posso assicurare – dice al magistrato – che le nomine da sempre le ha fatte l’ing. Mazzacurati, cioè faceva in modo che venisse nominato presidente del Magistrato alle acque una persona a lui gradita, gradita al Consorzio.» Dunque Fasiol, il quale, sempre secondo la Minutillo, dovrebbe affrancarsi da Silvano Vernizzi, amministratore delegato di Veneto Strade e suo superiore diretto.
Pare evidente che Baita e Mazzacurati non si fidano di Vernizzi e gli preferiscono Fasiol, al punto che «Chisso aveva fatto capire a Fasiol che comunque lui doveva in qualche modo staccarsi da Vernizzi per essere la persona di riferimento anche nostra». Insomma a Fasiol non sarebbero andati quattrini, ma gli sarebbe stata creata una carriera professionale che automaticamente portava anche ad incarichi e quindi a quattrini. Ma l’accusa arriva solo da Claudia Minutillo. Piergiorgio Baita, scrive il giudice, si limita a spiegare che “il sistema generale dei benefici ai funzionari regionali tramite assunzioni di parenti e/o incarichi”.
Baita “ha altresì chiarito che fino a quando ci fu Galan a fare da garante, non c’era alcun bisogno di dare qualsiasi forma di beneficio ai dipendenti regionali, poichè gli stessi erano sicuri che, assecondando le richieste Mantovani, sarebbero stati garantiti negli avanzamenti di carriera dallo stesso Galan.”

 

MAZZACURATI «Fu presa la decisione di finanziare il sindaco con i soliti sistemi»

«Fabbisogno sistemico»: provviste in nero e fatture false

Il governatore “pagato” anche con la ristrutturazione della villa sui Colli Euganei

LA DURATA – Il meccanismo ha iniziato a girare negli anni 90’, è proseguito fino ad oggi

CONSULENTE DEL CONSORZIO VENEZIA NUOVA

Meneguzzo (Palladio) “grimaldello” con Roma

Il finanziere vicentino fu suggerito a Mazzacurati da Lia Sartori chiamato a sbloccare fondi dal governo e scoprire l’esito dei controlli

Il trait d’union fra Venezia e Roma, fra il Consorzio Venezia Nuova e il Palazzo, passava per Vicenza. Ovvero per Roberto Meneguzzo, 58 anni, fondatore della Palladio Finanziaria spa, spettatore interessato dei progetti in via di realizzazione al Lido ma soprattutto ben ammanicato negli uffici che contano. Corruzione e rivelazione di atti coperti dal segreto d’ufficio sono i reati che gli vengono contestati nell’ordinanza che lo ha portato in carcere a La Spezia. Sarebbe stato Meneguzzo, consulente del Consorzio Venezia Nuova fin dal 2009, a fungere da tramite per “agganciare”, per conto di Giovanni Mazzacurati e del Consorzio Venezia nuova, Marco Milanese, l’ex braccio destro del ministro Giulio Tremonti. A suggerire a Mazzacurati il nome del finanziere vicentino sarebbe stata l’europarlamentare Lia Sartori. Il fine era sbloccare in sede di Governo un finanziamento da 400 milioni di euro per il Mose. Le intercettazioni – siamo nella primavera del 2010 – semabrano provare una fitta serie di contatti fra il Consorzio e il finanziere, e fra quest’ultimo e Milanese al fine di condurre in porto lo sblocco dei finanziamenti. Per il quale, naturalmente, Meneguzzo avrebbe avuto il suo tornaconto economico.
Ma una volta ottenuto il via libera per il rifinanziamento del Mose, inserito in una delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) stando all’inchiesta, per il Consorzio era sorta una nuova “grana”. All’inizio dell’estate del 2010 era stata disposta una verifica fiscale nei confronti del Consorzio Venezia nuova, che evidentemente doveva preoccupare non poco i suoi vertici. Così era stato chiamato in causa ancora una volta Meneguzzo. Questa volta con un compito non meno delicato e complesso: cercare di conoscere quale esito avessero avuto i controlli. Per questo si era decisi di puntare in alto, ovvero al generale (in pensione) delle Fiamme Gialle Emilio Spaziante. Un favore, anche in questo caso, che sarebbe stato ricompensato lautamente sia all’ufficiale che all’intermediario, che avrebbe ottenuto un contratto da due milioni di euro con la Palladio finanziaria.
I contatti fra Meneguzzo e il Consorzio, del resto, erano emersi già lo scorso anno, all’epoca della seconda tranche dell’inchiesta sul Mose. La Palladio, che, insieme ad altri soci-amici, detiene il 2,2% delle Generali, era interessata ai progetti di Est Capital (peraltro estranea alle indagini), la società di gestione del risparmio che proprio al Lido lavora alla riconversione degli hotel Des Bains ed Excelsior. In quest’ultimo albergo, peraltro, lo stesso Meneguzzo era solito soffermarsi quando si trovava a Venezia.

Alberto Francesconi

 

2008-2011 – Patrizio Cuccioletta, 400mila all’anno, 500mila su conto estero e assunzione per due parenti

2001-2008 – Maria Giovanna Piva, 400mila euro l’anno più incarichi per l’Ospedale di Mestre

TRADITORI – L’ente ministeriale che deve tutelare la Laguna ometteva ogni controllo

FUGHE DI NOTIZIE PER PILOTARE LE INDAGINI

Come in una “spy story” non mancavano doppiogiochisti e chi si spacciava per potente

Quando il generale è infedele. Porta le stellette della Guardia di Finanza, ma collabora, in cambio di denaro, per evitare guai in una verifica fiscale che non faceva dormire sonni tranquilli a Giovanni Mazzacurati, del Consorzio Venezia Nuova. Quando oscuri personaggi millantano credito presso magistrati o finanzieri, per lucrare denaro che viene prontamente pagato da società e Consorzio. Sono storie di fughe di notizie e interventi per pilotare le indagini quelle che si incrociano nell’inchiesta.
La più clamorosa riguarda il generale Emilio Spaziante, all’epoca Comandante Interregionale dell’Italia Centrale. Viene agganciato dal vicentino Roberto Meneguzzo di Palladio Finanziaria. E chiede 2 milioni di euro, Nel capo d’accusa il riferimento è a due milioni e mezzo. In realtà venenro pagati 500 mila euro. Mazzacurati ha scritto un verbale che accusa: «Successivamente il dottor Meneguzzo mi presentò il Gen. Spaziante che sarebbe stato il riferimento per le future esigenze in materia di finanziamenti. In detto periodo il CVN era oggetto di una ispezione della Guardia di Finanza ai fini fiscali. II dott. Meneguzzo mi dava ad intendere di conoscere molti dettagli dell’operazione e mi precisava che lo stesso Gen. Spaziante avrebbe potuto orientare l’indagine. Ciò perché, secondo il dott. Meneguzzo, c’erano forze ostili al CVN». Continua Mazzacurati: «Mi veniva rappresentato che la verifica in corso avrebbe potuto trascendere gli aspetti fiscali ed essere orientata in modo da creare problemi al CVN, salvo che attraverso l’intervento del generale si sarebbero potute prevenire situazioni negative ingenerate da terzi. Mi veniva, pertanto, richiesta dal Gen. Spaziante una somma particolarmente rilevante (circa 2.000.000 di euro)».
Ci sono altri rivoletti che riguardano alcuni personaggi le cui società erano entrate in contatto con il Consorzio. Sono indagati di millantato credito Luigi Dal Borgo, Mirco Voltazza, Gino Chiarini, Alessandro Cicero, Vincenzo Manganaro e Corrado Crialese. I primi quattro avrebbero assicurato di poter usare Raffaele Tito, procuratore aggiunto di Udine, per per ottenere notizie riservate su procedimenti in corso riguardanti Consorzio Venezia Nuova e Mantovani, nonchè in un’indagine sulla bonifica della Laguna di Marano. Il Chiarini fu addirittura presentato come un intermediario del dott. Tito. È inutile aggiungere che il magistrato non conosce nessuna di queste persone. Eppure Voltazza avrebbe ricevuto 100 mila euro e un appalto da 5 milioni di euro, Dal Borgo un contratto di fornitura di materiale, Cicero e Manganaro 2,2 milioni di euro per il settimanale “Il Punto”. Una storia simile (indagati Manganaro e Cicero) per asserite infiltrazioni nella Finanza e nei servizi segreti. In questo caso aumentò il finanziamento alla rivista. Il solo Crialise poi si accreditò per possibili interventi su magistrati del Consiglio di Stato e del Tar del Lazio e del Veneto.

G. P.

 

EX MAGISTRATO ALLE ACQUE Patrizio Cuccioletta al microfono: aiuti per se e per i parenti

Milioni ai Magistrati alle Acque per chiudere gli occhi sulle dighe

Tutti a disposizione. I controllori non controllavano. Il Consorzio Venezia Nuova poteva condizionare i Magistrati alle Acque il cui compito istituzionale dovrebbe essere quello di verificare che procedure e interventi avvengano nel rispetto della legge. La più grande infedeltà che emerge dalle carte dell’inchiesta nei confronti della città lagunare è proprio questa: l’Italia ha investito miliardi per salvarla dalle acque alte, ma il Consorzio è riuscito a percorrere scorciatoie procedurali per accorciare tempi ed evitare controlli. Il tutto lautamente pagato con tangenti, addirittura stipendi veri e propri di cui beneficiavano i vertici del Magistrato.
Maria Giovanna Piva è stata presidente del Magistrato dal 26 luglio 2001 al 30 settembre 2008. Ebbene, avrebbe beneficiato dei soldi rastrellati da imprese legate ai lavori del Consorzio con il sistema delle false fatturazioni. Bruscolini? Regali? Omaggi? Molto di più. Piva avrebbe ricevuto uno stipendio annuale di 400 mila euro, di cui 200 mila versati da Piergiorgio Baita. Inoltre, «grazie agli interventi di Giovanni Mazzacurati e Baita, ricevette gli incarichi come collaudatore di opere dell’Ospedale di Mestre, mansione per la quale riceveva la somma di 327.984,15 euro dal 2006 al 2012».
Il contraccambio? «Delegava integralmente all’ing. Maria Teresa Brotto, responsabile del servizio progettazione del sistema Mo.Se del Consorzio Venezia Nuova, nonchè ad altri dipendenti del Consorzio, la predisposizione formale e sostanziale degli atti». Inoltre, ometteva «di effettuare la dovuta vigilanza sulle opere in corso di realizzazione, non segnalando i ritardi e le irregolarità nell’esecuzione dei lavori, nel mettersi costantemente a disposizione del Consorzio, nell’accelerare gli iter di approvazione e nei rilasci dei permessi di interesse del Consorzio».
In fotocopia, l’accusa è uguale per Patrizio Cuccioletta, che è stato Magistrato alle Acque dall’1 ottobre 2008 al 31 ottobre 2011. Cambiano però in parte le cifre: stipendio annuale di 400 mila euro (200 mila da Baita); un bonifico di 500 mila euro su un conto estero per 500 mila euro; un contratto di collaborazione alla figlia Flavia (27.000 euro), poi assunta da Thetis. Come non bastasse, un contratto tramite Co.Ve.Co al fratello Paolo, architetto, per 38 mila euro nel 2012. Ma ci sono episodi dell’altro mondo, come quella volta che Cuccioletta era a Malaga e avrebbe dovuto partecipare a un convegno organizzato da Galan a Venezia. Aveva chiesto un aereo privato. Gliene fu messo a disposizione uno che costava 18 mila euro, ma avrebbe dovuto fare uno scalo. E così insistette per ottenerne un altro, che costava 4 mila euro in più. Poi il volo non si fece, ma la sostanza non cambia.
Nel capitolo ci sono anche soggiorni a Cortina (Grand Hotel) e Venezia, pagati dal Consorzio. Non solo a favore di Cuccioletta e familiari, ma anche di dirigenti del Ministero delle Infrastrutture, ad esempio ospitati in Toscana.
«Come spiega lo stipendio extra elargito a tutti i Magistrati alle Acque?» chiese il Pm in un interrogatorio a Giovanni Mazzacurati. Il presidente rispose: «Non a tutti». Ma incalzato ammise: «Noi cercavamo di fare sì che il Magistrato e il suo Comitato Tecnico fossero più rapidi possibile nelle approvazioni, nella velocità di esame e di analisi dei progetti». E ancora: «Noi abbiamo investito questi soldi perché la cosa funzionasse il più rapidamente possibile e perché funzionasse, perché se vediamo il piano del Consorzio, uno dei punti critici è proprio la velocità di approvazione dei progetti».
Candidamente, ecco la verità. Roberto Pravatà, vice di Mazzacurati, ha messo a verbale: «Il Consorzio predisponeva tutta la documentazione di competenza del Magistrato, compresi i voti del Comitato Tecnico. In realtà circa l’80% degli atti formalmente redatti dal Magistrato vengono materialmente prodotti da personale del Consorzio».
Piergiorgio Baita della Mantovani ha scoperchiato la pentola: «Il Presidente del Magistrato alle Acque aveva il suo stipendio integrativo da parte del Consorzio». «Chi sono queste persone?» chiede il Pm. «Che sappia io con certezza l’ing. Piva, l’ing. Cuccioletta. Lo so perché me lo dice Mazzacurati siccome i soldi li distribuisce Mazzacurati».
E nel capitolo degli “aiutini” al Consorzio c’è anche lo sblocco di 400 milioni euro incagliati al Cipe nel 2010. Secondo l’accusa, fu decisivo il Marco Mario Milanese, consigliere del ministro Tremonti. Il Consorzio fu riconoscente, versando 500 mila euro.

Giuseppe Pietrobelli

 

IN PROCURA – Erano quaranta le richieste di arresto tra gli indagati

L’ACCUSA – Corrotti e corruttori strettamente uniti in una stessa società

RETROSCENA Le pressioni respinte dall’ex stretto collaboratore di Berlusconi

Telefonata di Mazzacurati a Gianni Letta per ottenere la nomina di un suo favorito

(gla) Il Consorzio Venezia Nuova ha più volte cercato di influire nella scelta del nuovo presidente del Magistrato alle acque. Nel 2001 la nomina dell’ingegner Ciriaco D’Alessio fu osteggiata, come riferito da Giovanni Mazzacurati il quale preferiva l’ingegner Giampietro Mayerle, già vicepresidente con Cuccioletta. Da alcune intercettazioni si desume che l’ex presidente del Consorzio contattò perfino il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ma fu sconsigliato dai suoi collaboratori nel proseguire l’operazione in quanto D’Alessio era appoggiato dal ministro Altero Matteoli. Nell’interrogatorio del 29 luglio 2013, Mazzacurati ha ammmesso di aver avuto stretti rapporti con Gianni Letta, da lui conosciuto tra il 1996 e il ’97: «mi ha portato il presidente Galan… il dottor Letta è stato per i nostri progetti un riferimento molto importante, io mi sono rivolto molte volte a lui per un sacco di problemi… per esempio alcune volte mi ha portato da Berlusconi perché voleva sapere a che punto eravamo…». Il fedele collaboratore del Cavaliere non ha mai preteso soldi: «Il dottor Letta in questi anni non ha mai chiesto nulla», ha assicurato l’ex presidente del Consorzio.
Nel 2013 le pressioni si fecero nuovamente insistenti quando fu il momento di sostituire D’Alessio. Mazzacurati caldeggiò la scelta di Paolo Emilio Signorini, osteggiando il nome di Fabio Riva (nessuno dei due è stato nominato), e non esitò a contattare Ettore Incalza, capo struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture. «Riva non va bene, ecco…. è un uomo fatto in un certo modo… Signorini andrebbe benissimo…»

 

“Stipendiati” a vita

Politici e “controllori” a libro paga del Consorzio anche dopo aver cessato il loro ruolo

Funzionari e politici coinvolti nell’inchiesta erano «da tempo “a libro paga” di Mazzacurati e Baita al punto da chiedere la consegna di somme a prescindere dai singoli atti compiuti nel corso dell’espletamento dei loro uffici».
Lo scrivono i sostituti procuratore di Venezia, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini nella richiesta di arresto formulata al gip Alberto Scaramuzza il 2 dicembre dello scorso anno (e successivamente oggetto di alcune integrazioni probatorie, a mano a mano che dalle indagini emergevano nuovi elementi e nuove prove), concretizzatasi ieri nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita dalla Finanza.
MALAFFARE – In poco meno di 450 pagine i magistrati della Procura di Venezia tracciano lo spaccato del malaffare, così come ricostruito grazie ad intercettazioni, indagini bancarie e riscontri, nonché alle confessioni degli stessi Mazzacurati e Baita, dell’ex segretaria dell’allora presidente della Regione Veneto, Claudia Minutillo e di altri indagati coinvolti nel primo filone, quello sulle false fatture milionarie emesse dall’impresa di costruzione Mantovani, per la quale Baita ha già patteggiato 22 mesi.
CARCERE PER TUTTI – «Il meccanismo, così oliato da favori e illecite corresponsioni di denaro, arriva al punto di integrare in un’unica società corrotti e corruttori – evidenziano gli inquirenti, chiedendo carcere per 40 persone – è il caso di Adria Infrastrutture, il cui capitale sociale viene, tramite prestanome, detenuto anche dal presidente della Regione (Galan) e dal suo assessore di riferimento in materia di infrastrutture (Chisso)», cioè da coloro che per l’ente pubblico si dovevano occupare dell’assegnazione dei progetti presentati dalla stessa società, controllata dalla Mantovani.
CORROTTI & CORRUTTORI «Il rapporto tra corrotti e corruttori è così stretto che a volte la mazzetta viene pagata anche quando il pubblico ufficiale ha cessato il suo ruolo locale – evidenzia la Procura – Vi è quindi una vera e propria rendita di posizione che prescinde dal singolo atto illecito commesso e che trova giustificazione solo nel ruolo rivestito dal pubblico ufficiale e nella possibilità, che egli comunque mantiene, di poter influire sfruttando le proprie conoscenze e relazioni personali con i funzionari che permangono in servizio».
DOMINIO ASSOLUTO – Mazzacurati viene definito il «protagonista assoluto delle vicende del Consorzio Venezia Nuova», il presidente che esercitava un «dominio assoluto» È lui, scrivono i pm, «che decide il fabbisogno di fondi extracontabili, decide chi deve eventualmente anticipare nei momenti di crisi le cifre necessarie… è la persona che tiene i contatti con il potere politico centrale… che decide in occasione delle campagne elettorali quali somme destinare al finanziamento dei partiti e come ripartirle…»
TANGENTI – Le “tangenti”, evidenzia la Procura «venivano pagate con fondi del Consorzio Venezia Nuova, ancorché anticipate in contanti dalle imprese esecutrici» dei lavori. «Determinante quindi era il potere decisionale dei consorziati principali, cioè di Baita (presidente di Mantovani, 30,58 per cento), […………….] (Grandi Lavori Fincosit, 30,31 per cento) e Stefano Tomarelli (Condotte-Coveco 19,93 per cento).
SENZA CONTROLLO – Dagli atti dell’inchiesta emerge che molti dei funzionari pubblici con mansioni di controllo e direzione dell’attività del Consorzio avrebbero disatteso il proprio ruolo; in alcuni casi è emerso che venivano pagati o ricompensati in altro modo. La Procura parla di «totale confusione di ruoli tra controllore e controllato… Nessun ostacolo, nessuna vigilanza, nessun rilievo importante al Consorzio è stato effettuato dal Magistrato alle acque di Venezia quando presidenti ne sono stati Piva (2001-2008), Cuccioletta (2008-2011). È Baita per primo – poi confermato da Minutillo e Mazzacurati – a riferire che i due erano a “libro paga”, ricevendo uno “stipendio” fisso annuale dal Consorzio. «Mazzacurati ha un profondo debito di riconoscenza nei confronti di Cuccioletta che gli ha consentito in totale e arbitraria autonomia, in assenza di qualsivoglia controllo, la costruzione dell’opera Mose e la gestione degli oltre 5 miliardi di euro stanziati in quel momento dallo Stato», scrivono i magistrati, tanto da offrirgli un incarico per consentirgli di restare a Venezia dopo aver lasciato il Magistrato alle acque.

Gianluca Amadori

 

Appassionata di politica ha accettato con entusiasmo il ruolo di eurodeputata lavorando per un maggiore collegamento tra Strasburgo e il Veneto in particolare per il “made in”

FEDELISSIMO – Voluto da Berlusconi per fondare Fi e per governare 15 anni

LIA SARTORI Esordi nel psi di Craxi, poi scalata alla Regione e per 15 anni al parlamento europeo.

La “lady di ferro” cresciuta all’ombra di Bettino

È stata l’ombra dell’ascesa del “doge Galan” al quale ha prestato la sua esperienza e la sua abilità. Di Lia Sartori, originaria di Valdastico in provincia di Vicenza, classe 1947, figlia di emigranti e studi dalle suore, ed parlamentare europeo, non si può certo dire che difetti di fiuto politico.
Muove, giovane insegnante di Lettere, i primi passi politici del Psi di Bettino Craxi, per poi convogliare, negli anni dopo lo scossone di Tangentopoli, a Forza Italia di cui è stata una dei pilastri e successivamente al Pdl. La costruzione del partito di Berlusconi in Veneto è in gran parte merito suo, compreso l’imprinting al giovane e neofita Giancarlo Galan. É la “lady della politica”, chi la conosce la descrive come determinata e potente, molto radicata nel territorio, riservata e risoluta. Una lunga vita in politica, una parte della quale fianco a fianco proprio con Giancarlo Galan con il quale ha condiviso la gestione della Regione e ora le disavventure giudiziarie.
Europarlamentare fino al 25 maggio scorso quando le 19mila non le sono bastate per farle continuare i 15 anni di permanenza a Strasburgo, dove è stata anche presidente della Commissione industria ed energia. Una carriera tutta in ascesa, tanto da meritarle la fama della “politica più potente della regione”, fino a quando la tornata elettorale non l’ha stoppata.
Consigliere regionale del Veneto dal 1985. Rieletta nel 1990 e nel 1995, è stata la prima donna e la più giovane a ricoprire il ruolo di assessore regionale ai Trasporti (il ruolo che oggi è di Renato Chisso anche lui arrestato nell’ambito dell’inchiesta), vicepresidente della Giunta e di presidente del Consiglio Regionale. É stata anche il primo presidente dell’Aeroporto Marco Polo (Save), dopo la privatizzazione. In Europa non ha fatto “passerella”: vicepresidente della delegazione per i rapporti con la Nato, fino a giugno 2008 coordinatrice delle donne del Partito popolare europeo all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Nei 15 anni di permanenza in Europa è stata anche componente delle Commissioni Mercato interno e protezione dei consumatori, Crisi finanziaria, economica e sociale, Commissione speciale per l’attuazione della strategia di Lisbona, Commissione temporanea sul cambiamento climatico.
Fortissimo il legame con Giancarlo Galan, maturato soprattutto nel periodo in cui l’ex dirigente di Publitalia ottiene l’incarico di organizzare in Veneto la nuova Forza Italia. Lia Sartori ne diventa la collaboratrice più stretta, una “guida”, grazie anche ad una forte conoscenza del territorio, della macchina politica e dei suoi uomini.
Un potere indiscusso che la pone anche al centro di una diatriba giudiziaria con il consigliere Raffaele Grazia che l’accusa di essere la grande manovratrice di nomine di primario e di nascite di ospedali tramite lo studio Altieri (studio di progettazione legato al suo compagno). Per il momento i giudici hanno dato ragione a Grazia, ma la sentenza non è ancora definitiva).
Con il Vicentino mantiene ancora legami molto stretti, è presidente del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e dell’Associazione Settimane Musicali al Teatro Olimpico.

Daniela Boresi

 

Galan, l’uomo che sognava il Terzo Veneto

“Il Nordest sono io”. Mai frase è stata più azzeccata per sintetizzare la vita politica e amministrativa di Giancarlo Galan. Una frase, titolo di un libro-intervista di Paolo Possamai del 2008, che esprime tutto “l’orgoglio del veneto che ha visto crescere la regione di cui da 13 anni è governatore” scriveva nella prefazione Giuseppe De Rita, allora presidente del Cnel.
“Il Nordest sono io”, al limite della presunzione. Anche se il terzo doge della storia contemporanea (il primo era il democristiano Carlo Bernini, il secondo il socialista Gianni De Michelis) non se l’è mai tirata. Pronto ad accendersi per le critiche di essere troppo “uomo solo al comando”, ma pronto anche a godersela la vita, a non rinunciare mai alla battuta, alla grigliata sotto un cavalcavia per inaugurare il Passante di Mestre (“un gioiello”), al matrimonio, degno di un doge nella sua villa di Cinto Euganeo, sui Colli Euganei, con tanto di “grande capo” Silvio Berlusconi come testimone. Per lui, Berlusconi, è il fidatissimo Giancarlo. Tanto che, nel 1993, pur sconosciuto al palcoscenico della politica che usciva distrutta, guarda caso, da Tangentopoli, l’ormai ex Cavaliere lo chiama per partecipare alla fondazione di Forza Italia. Lui, Galan, liberale di formazione con tanto di iscrizione giovanile al Pli, nato nel 1956 a Padova, sente il richiamo della berlusconiana “rivoluzione liberale e liberista”. L’ex Cav l’aveva già “inquadrato” a Publitalia, società pubblicitaria del gruppo Fininvest, dove il futuro governatore aveva ruolo di vertice. Non ci sono volute troppe parole, Giancarlo accetta. Un anno dopo, per riconoscenza, Berlusconi lo convoca ad Arcore: “Giancarlo, c’é ancora bisogno di te. Ti devi candidare a governatore del Veneto”. Risposta: “Sono qui”. Si dimette da deputato e, contrariamente alle previsioni, travolge l’avversario democristiano Ettore Bentsik, grazie ad una forte coalizione di centrodestra. In questo primo mandato, salda i rapporti con “tanti amici costruttori”, con politici che lo affiancheranno poi per anni alla conduzione del Veneto.
Fautore di un Terzo Veneto, senza dimenticare che non esiste più il Primo veneto, quello della povertà e dell’immigrazione, e che non ci si deve addormentare sul Secondo, quello dell’agiatezza diffusa, Galan ha sempre puntato ad affrontare le nuove complessità create dalla competitività e dalla sostenibilità che possa consegnare alle generazioni future un modo di vivere di alta qualità e civiltà. Puntando dritto sul federalismo, con un concetto dogale del termine nel senso di immaginare un “grande Veneto” che possa competere con le aree economiche più forti dell’Europa, chiarendo con lo Stato centrale che l’autonomia è tutto.
Messaggi e iniziative che, però, si sono raffreddati nel tempo. Ma che non hanno impedito a Galan di ripresentarsi alle regionali del 2000, surclassando l’avversario Massimo Cacciari, e nel 2005 staccando ancora il centrosinistra guidato da Massimo Carraro. Avrebbe voluto fare il poker nel 2010, ma la Lega, nel 2008 ha alzato l’asticella dei consensi, il che ha consigliato Berlusconi a sacrificare “l’amico Giancarlo”, lasciando il passo alla candidatura di Luca Zaia in quel momento ministro dell’Agricoltura. Un sacrificio così grande, meritava una contropartita grande. Ancora Silvio: “Giancarlo, ho bisogno di te: vieni a Roma al ministero dell’Agricoltura”. La risposta non è stata entusiasta: «Non c’é ministero che tenga, vuoi mettere essere presidente della tua Regione!». Galan non le manda a dire al “capo”: “Basta dare sangue per l’alleanza con la Lega, mi dimetto prima da governatore”. Ma la necessità… Galan parte e va al posto romano di Zaia. Dura poco, perché Berlusconi decide di spostarlo al ministero dei Beni Culturali.
“È finito il galanismo in Veneto”, commentarono soddisfatti dal centrosinistra. Altri, invece, giuravano e spergiuravano che il doge i contatti in Veneto continuava a tenerli, eccome. I rapporti erano diventati profondi, intrecciati. “Cosa penso del ruolo della Mantovani, presente nel Consorzio Venezia Nuova, nell’ospedale di Mestre, nella Pedemontana, nel terminal di Fusina, nella cordata per la Nuova Romea?” si chiedeva l’ex governatore-ministro nel libro-intervista. “Il ruolo di Mantovani e del suo manager Piergiorgio Baita, dipende dall’intelligenza e dalla capacità di intraprendere percorsi innovativi… Mantovani è questo. Se a uno viene in mente di costruire in project financing l’autostrada o l’ospedale, è colpa mia se è più intelligente, dotato in termini finanziari, capace di rapporti qualificati e vince la gara? Se potessi andrei a lavorare io per Baita”. Il project financing, un suo pallino “almeno qualcosa di concreto in Veneto si vede”.
Intraprendenza, questo sorprendeva il governatore governante per 20 anni. E tra gli amici costruttori, molti lo impressionavano positivamente. Intraprendenza e amicizia. Qualità riconosciute in Renato Chisso e Lia Sartori. Il primo, considerato lo stratega infrastrutturale dei progetti portati avanti politicamente dal governatore. La seconda “è tra le persone che ho sempre sentito dalla mia parte. Il nostro rapporto è complicato, ma sempre riconoscente. È tra le persone più importanti del mio percorso professionale e politico”.

Giorgio Gasco

 

Quel legame chiacchierato con lo Studio di progettazione Altieri diventata mentore del “doge”

È stata l’ombra dell’ascesa del “doge Galan” al quale ha prestato la sua esperienza e la sua abilità. Di Lia Sartori, originaria di Valdastico in provincia di Vicenza, classe 1947, figlia di emigranti e studi dalle suore, ed parlamentare europeo, non si può certo dire che difetti di fiuto politico.
Muove, giovane insegnante di Lettere, i primi passi politici del Psi di Bettino Craxi, per poi convogliare, negli anni dopo lo scossone di Tangentopoli, a Forza Italia di cui è stata una dei pilastri e successivamente al Pdl. La costruzione del partito di Berlusconi in Veneto è in gran parte merito suo, compreso l’imprinting al giovane e neofita Giancarlo Galan. É la “lady della politica”, chi la conosce la descrive come determinata e potente, molto radicata nel territorio, riservata e risoluta. Una lunga vita in politica, una parte della quale fianco a fianco proprio con Giancarlo Galan con il quale ha condiviso la gestione della Regione e ora le disavventure giudiziarie.
Europarlamentare fino al 25 maggio scorso quando le 19mila non le sono bastate per farle continuare i 15 anni di permanenza a Strasburgo, dove è stata anche presidente della Commissione industria ed energia. Una carriera tutta in ascesa, tanto da meritarle la fama della “politica più potente della regione”, fino a quando la tornata elettorale non l’ha stoppata.
Consigliere regionale del Veneto dal 1985. Rieletta nel 1990 e nel 1995, è stata la prima donna e la più giovane a ricoprire il ruolo di assessore regionale ai Trasporti (il ruolo che oggi è di Renato Chisso anche lui arrestato nell’ambito dell’inchiesta), vicepresidente della Giunta e di presidente del Consiglio Regionale. É stata anche il primo presidente dell’Aeroporto Marco Polo (Save), dopo la privatizzazione. In Europa non ha fatto “passerella”: vicepresidente della delegazione per i rapporti con la Nato, fino a giugno 2008 coordinatrice delle donne del Partito popolare europeo all’interno della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Nei 15 anni di permanenza in Europa è stata anche componente delle Commissioni Mercato interno e protezione dei consumatori, Crisi finanziaria, economica e sociale, Commissione speciale per l’attuazione della strategia di Lisbona, Commissione temporanea sul cambiamento climatico.
Fortissimo il legame con Giancarlo Galan, maturato soprattutto nel periodo in cui l’ex dirigente di Publitalia ottiene l’incarico di organizzare in Veneto la nuova Forza Italia. Lia Sartori ne diventa la collaboratrice più stretta, una “guida”, grazie anche ad una forte conoscenza del territorio, della macchina politica e dei suoi uomini.
Un potere indiscusso che la pone anche al centro di una diatriba giudiziaria con il consigliere Raffaele Grazia che l’accusa di essere la grande manovratrice di nomine di primario e di nascite di ospedali tramite lo studio Altieri (studio di progettazione legato al suo compagno). Per il momento i giudici hanno dato ragione a Grazia, ma la sentenza non è ancora definitiva).
Con il Vicentino mantiene ancora legami molto stretti, è presidente del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e dell’Associazione Settimane Musicali al Teatro Olimpico.

 

RENATO CHISSO – L’assessore dei cantieri tra Mose e Passante

Inossidabile, è riuscito a mantenere il referato da una giunta all’altra, “baluardo” galaniano

Difficile trovare una sua fotografia dove non abbia il caschetto giallo in testa. Quasi impossibile non imbattersi in un’immagine “datata” dove non sia assieme a Giancarlo Galan a qualche inaugurazione. Renato Chisso è l’uomo dei cantieri, delle grandi opere e delle multe a Trenitalia con il quale ha instaurato una frizzante dialettica, prendendo pure qualche bacchettata dai diversi “Comitati di pendolari”. Inossidabile al passaggio delle Giunte, da quella Galan a quella Zaia, sempre abbondantemente premiato dalle urne, è il “caposaldo” galaniano all’interno dell’attuale governo regionale.
Figlio di due operai, ha dovuto lavorare per pagarsi gli studi. É nato il 28 luglio 1954 nel Comune veneziano di Quarto d’Altino, ma da sempre risiede a Favaro Veneto, frazione del Comune di Venezia, con la moglie e una figlia.
Appena conseguito il diploma, nel 1974, viene assunto alla Cassa di Risparmio di Venezia. Un incarico che gli permette di radicarsi nel territorio veneziano, in particolare di Favaro Veneto che diventerà la sua città.
Fedelissimo di Forza Italia, asso pigliatutto in tema di preferenze alle elezioni, ha anche il record di poter vantare tre esperienze consecutive come assessore regionale e quattro mandati regionali. Cosa che lo mette nel ristrettissimo gruppo dei decani. Inaffondabile e trasversale alle Giunte è stato il fedelissimo di Giancarlo Galan e ora ricopre il medesimo incarico nella Giunta di Luca Zaia (in rappresentanza del Pdl).
I suoi primi passi in politica avvengono all’interno del partito socialista dove milita negli anni Settanta nell’area lombardiana, componente in forte ascesa in quel periodo, guidata a Venezia da Gianni De Michelis.
Per il Psi è un periodo di grande fermento e di nomi nuovi. Chisso è uno di questi anche se la sua vera affermazione avverrà solo più tardi, tra le fila di Forza Italia. All’interno del Psi milita con Fabrizio Ferrari, Nereo Laroni, Fulgenzio Livieri, Renato Nardi. Nel 1985 Nereo Laroni nelle elezioni amministrative riesce a superare l’eterno antagonista nel Psi, Mario Rigo, nel numero di preferenze diventando sindaco.
Ha maturato una lunga esperienza amministrativa, iniziata come presidente del Consiglio di Quartiere di Favaro Veneto e proseguita come assessore nel Comune di Venezia dal 1990 al 1993, con deleghe per la “Legge Speciale”, patrimonio, casa, edilizia abitativa e giovani all’interno della giunta guidata da Ugo Bergamo. Fu il quarto degli eletti tra le maglie del Psi.
Nel 1995 viene eletto per la prima volta consigliere regionale nelle liste della neonata Forza Italia. Comincia così la sua ascesa. Dal 1998 al 2000 presiede la Commissione Consiliare Urbanistica. Poi viene rieletto nel 2000 e diventa assessore alla mobilità e all’ambiente. Confermato dalle urne anche nel 2005, è stato assessore alle politiche della mobilità e agli investimenti strategici.
Nelle elezioni del 2010 è stato il candidato più votato della provincia di Venezia, sempre tra le liste del Partito della Libertà.
Ha seguito buona parte dei grandi lavori pubblici della Regione. L’imponente opera del Passante ha attraversato tutti i suoi mandati, così il Sistema ferroviario metropolitano, la Valdastico Sud e la Pedemontana.

D. B.

 

Ha lavorato nelle Giunte di Paolo Costa e Cacciari

LE POLEMICHE – Definì “campagnoli” i mestrini. Scontri con Save e la Fondazione di Segre

Assessore prima, sindaco dal 2010 con una vittoria-capolavoro su Renato Brunetta

Appoggiato da borghesia e mondo cattolico: battute snob e la recente bufera sul Casinò

CHI È GIAMPIETRO MARCHESE

Il compagno G, l’uomo degli immobili e della cassa

Gestiva “macchina”, alleanze, campagne elettorali

Il “compagno G” del Pd veneziano ha il volto di Giampietro Marchese. Pratico, efficiente, con un riconosciuto fiuto politico ma soprattutto riservato. Dote universalmente riconosciuta a Primo Greganti, tornato alla ribalta per una nuova inchiesta relativa a un giro di tangenti destinate al Pd. 56 anni, jesolano, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, Marchese è stato per anni il segretario organizzativo del partito. L’uomo che gestiva “macchina” e campagne elettorali: un occhio alla cassa e uno alla politica.
Non per niente per anni Marchese era stato responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestiva il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio stimato in tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città, come le “Botteghe oscure” di via San Girolamo, a Mestre, cedute ai privati per farne appartamenti di lusso. Un uomo senza peli sulla lingua, come rivelano alcuni stralci delle intercettazioni a suo carico, ma oculato nell’amministrazione. Non per niente era stato scelto per la presidenza di Ames, la società che gestisce le farmacie comunali e le mense scolastiche a Venezia, dopo che era caduto in disgrazia – sempre per un’inchiesta relativa a tangenti – il suo predecessore, Statis Tsuroplis.
Ma un uomo dotato anche di spiccato fiuto politico: c’era la sua regia nell’alleanza anomala tra Pdl e Pd che un paio di anni fa si era assicurata le elezioni a Jesolo, scalzando la Lega a regalando dopo molti anni a un uomo del partito la poltrona di vicesindaco. Di recente, come primo dei non eletti, Giampietro Marchese era tornato a Palazzo Ferro Fini come semplice consigliere regionale. Fino a quando, è storia di un anno fa, era rimasto implicato nella seconda tranche dell’inchiesta relativa al Mose per via di una tangente da 50 mila euro per la campagna elettorale del 2010.

(a.fra.)

 

Orsoni, il plenipotenziario. L’avvocato dalle cento cariche

Wikipedia, la celebre enciclopedia online, ha consegnato subito la “notizia” alla storia. Un clic è bastato ad aggiungere alla ricca biografia ufficiale di Giorgio Orsoni, 67 anni, il duro colpo di ieri mattina. In modo freddo, l’anonimo compilatore ha aggiunto: “il 4 giugno è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sul Mose”. Grossolano dire che la sferzata sia stata pesantissima soprattutto per un uomo che negli anni da avvocato amministrativista nello studio legale più prestigioso di Venezia, quella dell’avvocato Feliciano Benvenuti, è stato prima assessore nella giunta Costa (2000-2005) e poi, dopo la terza giunta di Massimo Cacciari, chiamato a guidare la città, dopo aver battuto Renato Brunetta (Fi) con un’operazione da manuale: accontentare il ceto moderato della città con le istanze progressiste del Pd del periodo bersaniano.
Un capolavoro con Orsoni, veneziano della città d’acqua, pronto a ricevere l’appoggio della buona borghesia veneziana; il sostegno del mondo cattolico e che poi si è visto catapultato sullo scranno più alto di Ca’ Farsetti, la sede municipale, grazie all’impegno del Pd su Mestre, vero serbatoio di voti dei democratici, dove ha raccolto – sia pur da “quasi sconosciuto” quel consenso che lo fatto diventare primo cittadino.
E così, a poco a poco, Orsoni, sposato, tre figli, avvocato dal 1972, si è misurato con i tanti problemi della città. I “nemici” lo hanno sempre attaccato per il cumulo di cariche nel tempo (e non solo come sindaco pro-tempore) che è riuscito negli anni ad inanellare; i sostenitori, lo hanno sempre apprezzato non solo come grande avvocato, ma come veneziano aperto e cittadino del mondo. E solo a sfogliare il numero di incarichi accumulati ce ne si può fare un’idea. Quello più àmbito e senz’altro più importante è quello di Primo procuratore di San Marco, carica antichissima, prestigiosa e che, da laico, lo ha messo in relazione con il mondo della Chiesa ottenendo la benevolenza dei Patriarchi, soprattutto Angelo Scola. E poi il resto: presidente dell’Ordine degli Avvocati; docente a Ca’ Foscari di diritto amministrativo e poi le cariche ottenute come primo cittadino (vicepresidente alla Biennale, alla Fondazione Cini; nel Cda della Fenice); coordinatore delle Città metropolitane in stretta relazione con Graziano Delrio, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Tante pubblicazioni al suo attivo e poi fitte relazioni, anche internazionali che hanno permesso ad esempio, l’arrivo della Fondazione Ermitage a Venezia o di altri organismi internazionali. Grande ufficiale al merito della Repubblica. E pure Cavaliere della Legion d’onore di Francia e “campione” della resilienza per l’Onu. Insomma, pur senza esserlo, un vero e proprio plenipotenziario. Un uomo al centro dei processi decisionali e della vita veneziana a tutto tondo. Ma anche un sindaco che, con qualche battuta snob, si è inviso parte della cittadinanza. Memorabile quella volta che con intenzioni bonarie chiamò i mestrini “campagnoli” salvo suscitare poi un vespaio di polemiche dei residenti di terraferma colpiti nell’onore. E epiche, ma non proprio brillanti, le battaglie al calor bianco negli anni contro la Save di Enrico Marchi, con sciabolate durissime dovute al controllo della società dell’aeroporto di Venezia e la successiva vendita delle azioni detenute dal Comune che – ironia della sorte – poi, appena vendute a Marchi, iniziarono a far sfracelli. O come il “muro contro muro” contro la Fondazione di Venezia guidata da Giuliano Segre dopo la sentenza di condanna comminata a quest’ultimo (e successiva assoluzione in Cassazione) sul crac della ditta Trevitex di Vicenza. Anche in quel caso, ceffoni (ideali) a destra e manca contro Segre, ma alla fine nulla di fatto. Segre rimase al suo posto e Orsoni alla corda.
Ma sono solo due episodi. E che dire della partita del Casinò municipale, storica “gallina dalle uova d’oro” in grave difficoltà sotto i colpi delle slot machine anche nei tabaccai? L’idea di avviare la “privatizzazione” dell’ente con la gestione affidata ad esterni pur mantenendo il controllo, è ancora lì da venire con un tante critiche piovute addosso da ogni parte (salvo Confindustria Venezia che l’ha appoggiata) e un Pd recalcitrante che solo qualche settimana fa ha chiesto la testa di tutto lo “stato maggiore” della casa da gioco tirando quel tanto la corda che si è rischiata la crisi di giunta. Infine la questione delle grandi navi, con la singolar tenzone con l’ex sindaco Paolo Costa, che lo aveva avuto nella sua giunta come assessore al Patrimonio, e di conseguenza le critiche piovutegli addosso su una certa “debolezza” verso l’attuale presidente dell’Autorità portuale, che poi ha prodotto solo un braccio di ferro sul transito delle navi crociera con vari stop and go su una battaglia che divide la città ancor oggi e della quale non si vede ancora una soluzione. E infine le questioni della salvaguardia e del Mose, ma quella è storia di queste ore.

Paolo Navarro Dina

 

IL GIP – Ingerenze nelle verifiche fiscali e nei processi penali

LE MOSSE «Orchestrato un “controspionaggio” ai danni dei subalterni»

L’ACCUSA «Avrebbe chiesto 2,5 milioni e intascato 500mila euro»

OPERE PUBBLICHE Incarcerati i due presidenti del Magistrato alle acque

Cuccioletta: fiero dell’ingegneria italiana

Maria Giovanna Piva finì in tv a Report

Due carriere caratterizzate dal Magistrato alle acque e dal Mose, quelle degli ingegneri Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. Rispettivamente presidenti della struttura di palazzo X Savi dal 1. ottobre 1999 al 30 giugno 2001 e dal 1. ottobre 2008 al 31 ottobre 2011, e dal 1. al 25 luglio 2001 come facente funzioni e dal 26 luglio dello stesso anno al 30 settembre 2008 come effettiva.
Nato a Roma il 29 ottobre 1944, Cuccioletta ha esordito nel 1976 nel ministero delle Infrastrutture come ingegnere incaricato del servizio dighe presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, continuando come ingegnere capo nello stesso ministero e ricoprendo poi l’incarico di provveditore a Ancona. «In 35 anni di carriera ho gestito 35mila miliardi di vecchie lire – confessò poco prima di lasciare la presidenza del Magistrato alle acque – Sono fiero di aver portato nel mondo l’ingegneria italiana e il Mose, uno dei suoi gioielli».
Scarne invece le notizie su Maria Giovanna Piva, di cui in rete non compare curriculum professionale. Salvo la menzione di una contestatissima puntata di «Report» del 2012, quando era stata chiamata in causa per le sue perplessità in relazione alle cerniere che uniscono le paratoie del Mose ai cassoni sui fondali: «Sollevai preoccupazioni sulla loro tenuta perché saldate e non più fuse come da progetto originario, chiedendo il perché della modifica successiva alla sperimentazione – disse nella circostanza – Le cerniere chiusero la mia esperienza lavorativa su Venezia».

 

Spaziante, la talpa. Era il numero due delle Fiamme Gialle

«Il generale a libro paga con la mediazione del patron di Palladio»

È la talpa dell’inchiesta sul Mose. Sul libro paga del super presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, quale regista di una vera e propria attività di controspionaggio contro i suoi stessi subalterni. A caldeggiare la nomina del generale di Corpo d’Armata Emilio Spaziante ai vertici della Guardia di Finanza, fra gli altri, pare sia stato Oscar Lavitola, direttore de L’Avanti, intercettato mentre da latitante parlava con l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E che lo stesso Lavitola avesse raccomandato l’alto ufficiale “addomesticato e addomesticabile” a suon di mazzette – come emergerebbe dai riscontri degli inquirenti veneziani- anche all’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti tarmite il suo consigliere politico, il deputato Marco Milanese, anche lui arrestato dai giudici serenissimi nell’ambito della nuova Tangentopoli lagunare. Fu così che Spaziante, classe 1952, casertano di nascita e trapiantato a Roma, arriva a essere il numero due delle Fiamme gialle, anche se puntava a succedere al generale Nino Di Paolo addirittura nel ruolo di Comandante generale.
In seconda Spaziante ha guidato i finanzieri, anche quelli che stavano conducendo le indagini sul Mose, dall’11 febbraio al 4 settembre 2013, giorno del suo pensionamento. Un ufficiale a tre stelle sempre contiguo alle stanze dei bottoni in grado di impartire direttive e di richiedere a centinaia di graduati informazioni anche le più sensibili senza destare il benché minimo sospetto. Laureato in giurisprudenza e in Scienze della sicurezza economico-finanziaria nella sua lunga carriera ha ricoperto incarichi di prestigio, transitando anche nei servizi segreti: capo del II Reparto del Comando generale, Comandante regionale della Lombardia, Capo di Stato maggiore del Comando generale vice direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, comandante del Comando interregionale dell’Italia centrale. È in questa ultima veste che il gip Alberto Scaramuzza gli contesta, tra il giugno 2010 e il febbraio 2011, il reato di atti contrari ai doveri ufficio perché “al fine di influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Cvn sollecitava e riceveva da Mazzacurati la promessa del versamento di una somma pari a due milioni e mezzo di euro”. Secondo i magistrati intascherà almeno 500mila euro con la mediazione del patron di Palladio Finanziaria, il vicentino Roberto Meneguzzo, consulente di Cvn dal 2009. Da ieri Spaziante è rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Il gip gli contesta in particolare l’ingerenza nella verifica fiscale avviata nel 2010 nella sede padovana della Mantovani: è Mazzacurati a inviargli in verbale di ispezione e lui “si precipita a Venezia” pur non avendo “alcuna competenza in merito”.

Monica Andolfatto

 

Una tangentopoli mai vista nomi, cifre, mazzette, favori

RENATO CHISSO – Avrebbe ricevuto ogni anno centinaia di migliaia di euro

LE IMPUTAZIONI – Finanziamenti illeciti, segreti d’ufficio violati, corruzione e irregolarità

L’ACCUSA – Una babele dell’intrallazzo che da anni controllava i “grandi affari” in laguna

CUCCIOLETTA – Parenti assunti e conti in Svizzera per l’ex magistrato alle acque

Manette eccellenti a Nordest

Una Tangentopoli così non si è vista da nessun’altra parte. Almeno in Italia, tutta in un colpo. Nomi e cifre, mazzette e favori, procedure agevolate e controlli mancati. I capi d’imputazione, pur nella loro scabra efficacia, disegnano un “sistema” che per almeno una quindicina d’anni ha controllato i grandi affari in Laguna. E non solo. Ci sono politici e imprenditori, funzionari pubblici e portaborse, sindaci e assessori. Una babele dell’intrallazzo, stando alle accuse dei Pm che hanno trovato, al momento, la convalida del gip. I reati, a diverso titolo, sono quelli di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti e irregolarità nell’emissione di fatture.
[…]
Giovanni ARTICO,54, Cessalto via Dosa 23 (carcere), ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera, collaboratore di Chisso: incarichi di consulenza all’amico Rizzardo Del Giudice; assunzione figlia Valentina in Nordest Media.
Stefano BOSCOLO Bacheto, 47, Chioggia (Ve), Lungomare Adriatico 51 (carcere), titolare cooperativa.
Dante BOSCOLO Contadin, 66, Chioggia, viale Zeno 7 (solo indagato).
Gianfranco BOSCOLO Contadin “Flavio”, 74, Chioggia, viale Pigafetta 61 (carcere), Nuova Co.ed.mar.
Cucco Andrea BOSCOLO,30, Chioggia, via Zeno 111a (solo indagato).
Lino BRENTAN, 66, Campolongo Maggiore (Ve), via Puccini 10 (domiciliari), ex ad Autostrada Padova-Venezia: 65 mila euro da Mauro Scaramuzza.
Maria BROTTO, 51, nata a Bassano del Grappa, residente a Venezia, S. Croce 156 (carcere), ex amministratrice Thetis, ingegnere, responsabile progettazione Mose, coinvolta nei principali episodi di dazioni a chi avrebbe dovuto controllare l’opera.
Enzo CASARIN, 60, Martellago (Ve) Enzo, nato a Mirano il 13-02-1954,res.te Martellago (Ve), via Delle Motte 32/a (carcere), capo della segreteria di Chisso, ex sindaco di Martellago: consegnava denaro a Chisso.
Gino CHIARINI, 58, Ferrara (carcere): millantato credito, riceve 50-200.000 euro.
Renato CHISSO, 60, Favaro Veneto, via Col San Martino 5 (carcere), assessore regionale alla Viabilità e Trasporti: 200-250.000 euro all’anno da fine anni ’90 al 2013, poi il sequestro si riferisce solo al periodo 2008-13; 5% Adria Infrastrutture rivenduto per 2 milioni di euro; 10% Nordest Media; centinaia di migliaia di euro all’anno; 250.000 euro da Baita 2011-12; faceva ottenere consulenze alla società Territorio di Bortolo Mainardi; favori legati alla superstrada “Vie del mare”.
Alessandro CICERO, 48, di Roma (domiciliari): millantato credito, sostegno alla rivista “Il punto”.
[…..] , 50, Milano (solo indagato): ideatore meccanismo fatturazioni.
Corrado CRIALESE, 84, Roma (domiciliari): millantato credito presso magistrati amministrativi, ricevuti 340.000 euro per ricorsi Pedemontana Veneta, contro Impresa Maltauro e contro Net Ingeneering.
Patrizio CUCCIOLETTA, 70, di Roma (carcere), ex magistrato alle Acque di Venezia: 400.000 euro all’anno (200.000 da Baita), in totale 1,6 milioni di euro; 500.000 euro in Svizzera; contratto da 27.600 per la figlia Flavia, poi assunta da Thetis; contratto 38.000 euro per il fratello Paolo, architetto; voli con aerei privati, alloggi in alberghi e ristoranti di lusso a Venezia e Cortina.
Luigi DAL BORGO, 67, Pieve D’Alpago (Bl), via Roma 58 (carcere).
Nicola FALCONI, 52, Lido di Venezia, via Partecipazio 6 (domiciliari), direttore generale Sitmar sub.
Giuseppe FASIOL, Rovigo, via Piva 14 (carcere), funzionario Veneto Strade: quattro parcelle (circa 19 mila euro) per collaudo Mose.
Giancarlo GALAN, 58, nato a Padova, residente a Cinto Euganeo, via Dietromonte 19 (carcere differito), Forza Italia, ex governatore del Veneto, ex ministro: stipendio annuale di un milione di euro dal 2008 al 2011, equivalente a 4 milioni di euro; 900.000 euro 2006-07; 900.000 nel 2007-08; 70% quote Nordest Media; 7% quote Adria Infrastrutture; finanziamenti elettorali; 200.000 euro nel 2005 da Minutillo; ristrutturazione villa Cinto Euganeo per 1 milione 100 mila euro; 50.000 euro a San Marino.
Francesco GIORDANO, 70, Venezia, Cannaregio 328 (carcere), commercialista con studio a Padova, consulente fiscale di Giovanni Mazzacurati.
Vittorio GIUSEPPONE, 73, Roma (domiciliari), magistrato Corte dei Conti: stipendio annuale 300-400.000 euro; 600.000 euro 2005-06.
Dario LUGATO, 60, nato a Venezia, residente a Roma (domiciliari).
Vincenzo MANGANARO, 56, Roma (carcere): millantato credito, sostegno alal rivista “Il Punto” per 2 milioni di euro.
Manuele MARAZZI, 51, Monte San Pietro (Bo) (carcere), società Eracle, Egg, Linktobe.
Giampietro MARCHESE, 57, nato a Chiarano (Tv), residente a Jesolo, via Trinchet 2/A (carcere), consigliere regionale Pd: finanziamento 58.000 euro; 400-500.000 euro di finanziamenti elettorali; assunzione presso Eit (35.000 euro).

[…………………………]
Osvaldo MAZZOLA, 69, Roma (solo indagato), presidente impresa Pietro Cidonio.
Roberto MENEGUZZO, 58, Vicenza, contrà Zanella 6 (carcere), vicepresidente e ad Palladio Finanziaria: teneva i contatti con Milanese.
Marco Mario MILANESE, 55, Milano (i Pm hanno revocato la richiesta di arresto), consigliere politico ministro Giulio Tremonti, parlamentare Forza Italia: 500.000 euro per sbloccare fondi al Mose da parte Cipe.
Franco MORBIOLO, 59, Cona (Venezia), via Don Bosco 4 (carcere), presidente cda e direttore tecnico Co.Ve.co.
Luciano NERI, 73, Roma (carcere): coinvolto nella costituzione del “fondo Neri” per pagare le tangenti.
Giorgio ORSONI, 66, sindaco di Venezia del Pd: 560.000 euro finanziamenti elettorali.
Maria Giovanna PIVA, 66, nata a Rovigo, residente a Mestre, via Cappuccina 13/7 (carcere), ex magistrato alle Acque di Venezia: stipendio annuale 400.000 euro (da Baita 200.000) nel solo 2008; collaudatrice Ospedale di Mestre pagata 327 mila euro.
Andrea RISMONDO, 53, Preganziol (Tv), via Leopardi 28 (domiciliari), rappr. legale Selc.
Giancarlo RUSCITTI, 56, Venezia, S.Croce 2084 (solo indagato), ex segretario generale della Sanità del Veneto: compenso per operazioni inesistenti 112.000 euro.
Amalia SARTORI, 66, Vicenza, Contrà San Faustino 23 (domiciliari differiti), eurodeputato Forza Italia: 225.000 euro consegnati o promessi per finanziamento elettorale.
Emilio SPAZIANTE, 62, Roma (carcere), generale in pensione Guardia di Finanza, comandante interregionale Italia Centrale: promessa 2 milioni 500 mila euro per verifiche fiscali addomesticate e rivelazione sull’inchiesta aperta, ricevuti 500.000.
Federico SUTTO, 61, Zero Branco (Treviso), via Noalese 12/7 (carcere), dipendente Cons. Venezia Nuova.
Stefano TOMARELLI, 69, Roma (carcere), direttivo Consorzio Venezia Nuova, presidente Consorzio ItalVenezia, consigliere Condotte d’Acqua.
Danilo TURATO, 58, Mestrino (Padova), via Gorizia 18 (domiciliari), architetto: remunerato dalla Mantovani per i lavori nella casa di Galan (400.000 euro).
Paolo VENUTI, 57, Padova, via Chiesti 9/A (carcere), commercialista: quote Adia e Nordest di Galan.
I SEQUESTRI. Sono stati autorizzati sequestri sui beni degli indagati fino a 40 milioni di euro. Il prezzo/profitto del reato ricorre più volte, visto che gli indagati concorrono negli stessi reati. Il valore più alto dei beni nella disponibilità degli indagati? Per Dante Boscolo Contadin 464 mila euro, per Gianfranco Boscolo Contadin 2,2 milioni di euro, per Maria Brotto 278 mila euro, per Enzo Casarin 115 mila euro, per Patrizio Cuccioletta 162 mila euro, per Giancarlo Galan 1,6 milioni di euro, per Vittorio Giuseppone 300 mila euro, per […………………] 171 mila euro,per Osvaldo Mazzola 354 mila euro, per Roberto Meneguzzo 863 mila euro, per Luciano Neri 614 mila euro, per Maria Giovanna Piva 300 mila euro, per Giancarlo Ruscitti 112 mila euro, per Emilio Spaziante 136 mila euro, per Stefano Tomarelli 455 mila euro, per Danilo Turato 318 mila euro, per Paolo Venuti 100 mila euro. Il totale del valore dei beni disponibili sequestrati raggiunge quasi i 10 milioni di euro.

 

LE CARTE – Per i pm e il Gip tutto partiva dalla plancia di comando della vecchia gestione del Consorzio Venezia

Nuova: per anni messe a segno frodi fiscali milionarie

«Un gruppo con pericolosità sociale eccezionalmente elevata»

Non ne hanno chiesto l’arresto perchè li avevano già arrestati. Anzi, proprio dalle loro confessioni è nato il terremoto di ieri mattina. In questo nuovo filone d’inchiesta sono indagati, tra gli altri, Piergiorgio BAITA, 66 anni, già ai vertici della Mantovani, e Giovanni MAZZACURATI, già presidente del Consorzio Venezia Nuova. I loro nomi ricorrono in moltissimi dei capi d’accusa. Infatti, per i Pm e il gip, tutto parte dalla plancia di comando del Consorzio, che rastrellava denaro in modo illecito e lo elargiva a politici o funzionari pubblici. Un gruppo «con pericolosità sociale eccezionalmente elevata, con un intenso pericolo di reiterazione dei reati, essendo stati questi soggetti in grado di creare un vero e proprio sistema criminoso capace di frodare il Fisco per milioni di euro in modo seriale per anni ed anni, controllare l’assegnazione dei lavori attraverso illecite pressioni sui poteri pubblici, molto spesso ridotti al loro servizio».
Nei capi d’imputazione sono indicate 39 persone tirate in ballo in due distinte richieste di custodia cautelare. I provvedimenti non sono stati concessi per tutte. C’è poi un terzo procedimento nel quale sono indagate sette persone per le quali non è stato chiesto alcun provvedimento. Si tratta, per l’appunto, di Baita, Mazzacurati, Pio SAVIOLI, 70 anni, già componente del consiglio direttivo del Consorzio Venezia Nuova, titolare di un contratto di collaborazione con Co.Ve.Co, Mario BOSCOLO Bacheto, 69 anni, di Chioggia, presidente della Cooperativa San Martino, Nicolò BUSON, 56 anni, di Pernumia (Padova), già responsabile finanziario della Mantovani, di Claudia MINUTILLO, 50 anni, veneziana, già segretaria di Giancarlo Galan, e di Mirco VOLTAZZA, 53 anni, di Piove di Sacco (Padova), titolare di Italia Service. Non ci sono state richieste di custodia cautelare neppure per altri due indagati di un quarto filone: Duccio ASTALDI, 50 anni, di Milano e Paolo BRUNO, Campobasso (deceduto lo scorso anno all’età di 85 anni).
Nelle pieghe dell’ordinanza compaiono anche i nomi di altre persone, in qualche modo coinvolte nei capi d’accusa. Ma non è certo che abbiano ricevuto avvisi di garanzia.

 

REAZIONI Per il presidente dell’Autorità anticorruzione è paradossale che le grandi opere siano fatte con procedure speciali

Cantone: legge appalti da rifare, troppe deroghe

Lupi: il Mose è fatto all’85% lo stop sarebbe irresponsabile

Serracchiani: i grandi lavori fatti in legalità aiutano l’Italia

Il silenzio di Berlusconi sull’amico Giancarlo

ROMA – Fra le tante esternazioni a livello romano e nazionale sul nuovo filone dello scandalo Mose, un silenzio in particolare ha colpito ieri: quello di Silvio Berlusconi su una vicenda che coinvolge un suo fedelissimo, Giancarlo Galan. Al posto del capo di Forza Italia ha parlato il fido consigliere Giovanni Toti che su Rai3 – come si dice – ha camminato sulle uova: «Non possiamo ancora dare una lettura politica – ha spiegato – mi auguro che i magistrati abbiano agito con tutte le tutele del caso, visto che siamo anche alla vigilia di importanti ballottaggi in tutta Italia». Rimane sospeso anche il commento dell’ex ministro Renato Brunetta: «Prima di pronunciarmi voglio conoscere bene i fatti. E’ una questione di correttezza. Sto cercando di capire. Sono garantista sempre e comunque verso tutti, è la mia storia e la mia vita».
Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone constata che «è paradossale che le grandi opere siano fatte con grandi deroghe dietro cui si nascondono spesso fenomeni di corruzione. C’è qualcosa che non va nei meccanismi della legge sugli appalti, che finisce per essere applicata solo agli appalti minori. Le grandi opere non possono diventare sempre un’occasione» per derubare la collettività.
A proposito dell’Expo 2015, che si prospetta come una nuova grande opportunità di lucrosi affari, Cantone dice che occorrerebbero controlli meno formali e più sostanziali.
E soprattutto, conclude, c’è un gran lavoro da fare sulle coscienze: i corruttori, dice, non sono visti come dei delinquenti ma come dei furbi.
«La corruzione va combattuta fortemente, però vanno anche realizzate le grandi opere perché non va tolta la speranza all’Italia di tornare ad essere un grande Paese», ha commentato da parte sua il ministro dei Trasporti (Ncd) Maurizio Lupi parlando dell’inchiesta. E a proposito del Mose ha definito «irresponsabile ritenere che l’opera realizzata all’85% resti un’incompiuta. Dovrà essere conclusa con la massima trasparenza»
«La scoperta di un giro di corruzione connesso al Mose è un colpo doloroso per il tessuto sano della politica e dell’amministrazione, che subisce il riflesso di questi atti indegni», ha detto da parte sua Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd. Secondo lei «bene ha fatto il presidente del Consiglio a chiamare Raffaele Cantone alla guida dell’Authority anticorruzione, esprimendo una chiara volontà di andare nella direzione di una legislazione snella ed efficace, che disponga l’attuazione di controlli preventivi e trasparenza». Ha ricordato che «la corruzione è una tassa aggiuntiva che pesa sull’economia e sui cittadini» e ha concluso sostenendo che «non serve demonizzare le grandi opere di cui il Paese ha bisogno, ma occorre che siano basate sulla legalità, altrimenti non generano una vera crescita. Il nostro Nordest ha capacità enormi di creare ricchezza» e «non merita di essere soffocato e umiliato da scandali come questo».

 

IL GOVERNATORE «No, non mi dimetto l’opposizione guardi in casa propria»

Il presidente del Veneto annuncia un «forte segnale di discontinuità» e chiarisce che «revoche e sospensioni sono atti dovuti» di fronte a «uno spaccato inquietante»

LA FRECCIATA «Io taccio su Galan abituato a esternare su tutto e su tutti»

Zaia licenzia Chisso e sospende tre dirigenti

Deleghe alla Mobilità e alle Infrastrutture revocate all’assessore regionale Renato Chisso in base a un iter che per il suo completamento richiederà tempi più lunghi per l’applicazione della legge Severino. E sospensione del suo caposegreteria Enzo Casarin, e dei dirigenti Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol, rispettivamente responsabile del progetto di riconversione di Porto Marghera e capo Dipartimento Infrastrutture. Ad annunciarlo ieri durante una conferenza stampa convocata subito dopo il suo ritorno da Barcellona, il governatore del Veneto Luca Zaia. In relazione allo tsunami giudiziario che ha coinvolto anche un esponente di spicco della sua Giunta Zaia ha parlato senza mezzi termini di «spaccato inquietante» e di una «ecatombe che si è abbattuta sulla nostra Regione».
«Ho una fiducia incondizionata nella magistratura: i tribunali fanno il loro mestiere e sono gli unici deputati a giudicare i cittadini – ha esordito Zaia, affiancato nella circostanza dagli avvocati regionali Zanon e Caramel e dal direttore generale Baggio – chi è stato colpito da procedimenti restrittivi ha il diritto di difendersi. Ma la vicenda va chiarita fino in fondo, dando un segnale forte di discontinuità. Revoche e sospensioni sono atti dovuti».
Il presidente della Giunta regionale si è detto colpito dalla lettura delle 730 pagine di provvedimento: «Il quadro che emerge è per me nuovo – ha detto – non sono una persona abituata a incriminare a prescindere ma la menzione di “stipendi” anziché di “tangenti” è preoccupante: se fosse così si sarebbero veramente passati tutti i limiti».
A chi gli ha ricordato le responsabilità attribuite a un assessore regionale in carica, tuttavia, Zaia ha sottolineato che «in caso di conferma, con me Chisso avrebbe chiuso».
Ricordando però che «gran parte delle vicende contestate risalgono all’amministrazione precedente. Su Giancarlo Galan abituato a esternare su tutto e su tutti voglio osservare un rigoroso silenzio. E tengo a precisare che questa pagina nera per il Veneto, iniziata negli anni Novanta e che ci potevamo risparmiare, sarebbe stata impossibile dall’assunzione del mio mandato. Con me un modello del genere non sarebbe mai partito: a confermarlo, i provvedimenti assunti e la quantità di esposti in Procura depositati per svariati motivi. Quanto al costituirsi parte civile, da quando sono presidente la Regione l’ha sempre fatto. Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi. L’importante per ora è fare chiarezza e pulizia, affinché tutti sappiano distinguere la terra solida dal pantano».
Respinte al mittente anche le richieste di dimissioni pervenute dai sindaci di Treviso e Vicenza e dall’opposizione: «Quella di Manildo, Variati e di alcuni consiglieri regionali è una polemica che lascia l’amaro in bocca, un cerimoniale di corte – ha replicato il governatore – perché dovrei dimettermi, dal momento che i fatti sono estranei alla mia condotta personale? Guardino piuttosto a casa loro, perché mi risulta che ad essere stati colpiti da provvedimenti restrittivi sono stati anche l’ex capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale e un autorevole sindaco alla guida di una Giunta di centrosinistra».
Infine, nessuna anticipazione sul successore di Renato Chisso. Salvo la precisazione che per il suo settore, «l’operatività rispetto ai programmi è garantita, a cominciare dalla Pedemontana». E per il Mose, «che è a salvaguardia di Venezia», l’augurio che «si riesca a scindere quanto è avvenuto dal completamento dell’opera».

 

COMMENTI – Politici veneti concordi: riforma necessaria

«La corruzione si combatte con maggiore trasparenza»

De Poli (Udc): troppi passaggi nelle procedure. Puppato (Pd): lavori fatti in emergenza. Baratta (Biennale): controlli assenti

LE CRITICHE – Pipitone: è chiaro, marcio un pezzo del sistema. Bottacin: basta spartizione consociativa

VENEZIA – Trasparenza, trasparenza, trasparenza: è la richiesta, l’invocazione e l’auspicio dei politici di area veneta alla scoperta che pare aver colto tutti di sorpresa della clamorosa retata anticorruzione sul grande business del Mose.
Tenere la Biennale lontana dagli effetti dell’inchiesta. Ma non far mancare la solidarietà a Orsoni che essendo sindaco di Venezia è il vicepresidente dell’ente culturale veneziano: questa la posizione espressa ieri dal presidente della Biennale Paolo Baratta a margine dell’inaugurazione della 14ma Biennale Architettura. «Sono convinto della sua innocenza – dice del sindaco – non credo per un solo istante che possa far parte di una banda che ha preso di mira il denaro pubblico». Da ex ministro all’Economia e ai Lavori pubblici, però, Baratta analizza le ragioni degli scandali che regolarmente investono le grandi opere: «Mancano del tutto i controlli – dice – in un momento in cui le istituzioni pubbliche per accelerare i lavori affidano agli esterni la realizzazione e persino la progettazione delle grandi infrastrutture. Quando ero ministro avevo proposto un’authority per potenziare i controlli».
Sulla «massima trasparenza negli appalti pubblici» insiste pure il vicesegretario vicario dell’Udc Antonio De Poli. Gli appalti «dovrebbero essere una casa di vetro», afferma il senatore, che propone di «ridurre il numero sproporzionato di stazione appaltanti».
Commenta Antonino Pipitone, capogruppo dell’Idv in Regione Veneto: «I veneti non meritano di essere infangati». E aggiunge: «Come Idv l’abbiamo sempre chiesta e la invochiamo anche ora: trasparenza per tutti i finanziamenti nazionali e regionali. Siamo convinti che sia emerso solo un pezzo di un sistema marcio. Ora la magistratura faccia piena luce».
«I fatti ripetono, come vent’anni fa, mentre stiamo facendo uno sforzo enorme per cambiare radicalmente verso al Paese» afferma il segretario regionale del Pd veneto, Roger De Menech: «Se qualcuno ha sbagliato deve pagare». E pure lui insiste su una radicale riforma del sistema appalti, con massima trasparenza, semplificazione delle procedure e una classe politica rinnovata. «Dall’inchiesta Mose viene fuori la parte peggiore della politica del passato, con tutti gli errori fatti sui modelli applicati per fare le infrastrutture», sostiene la senatrice del Pd Laura Puppato eletta in Veneto ed ex capogruppo Pd nel Consiglio regionale: «Per i lavori in Italia si è sempre agito o in emergenza o – come con la legge obiettivo – in deroga alle norme, creando un’area opaca dove proliferano meglio la corruzione e le infiltrazioni di ogni tipo». Rimedi: trasparenza, procedure celeri, efficienza e non derogare alle normative.
«Le gare e la concorrenza sono l’unico argine alla gestione opaca dei soldi pubblici», spiega Diego Bottacin, di Verso Nord, consigliere regionale del gruppo misto. Secondo lui l’inchiesta «conferma un patto consociativo tra varie forze politiche e l’asservimento di buona parte del sistema di potere (non solo politico) veneto alla pratica della spartizione senza gara delle grandi commesse».

 

Nordio: il sistema tangenti adesso è più sofisticato

«Le mazzette si pagavano con i profitti aziendali ora con soldi di tutti»

IL SISTEMA – Il procuratore aggiunto fa i paragoni con il malaffare da lui contrastato 20 anni fa

«La spartizione del denaro è trasversale tra i rappresentanti dei partiti»

Una differenza: «Cifre stratosferiche con un danno un erariale colossale»

La conclusione, Nordio l’affida a Tacito: «Corruptissima republica plurimae leges».

VENEZIA – Tante analogie ma anche differenze, a partire dal sistema ‘trasversale’ che accomuna rappresentanti del centrodestra e centrosinistra e l’ammontare «stratosferico» delle somme che sarebbero passate di mano, oltre 20 milioni. Carlo Nordio, procuratore aggiunto a Venezia, guarda anche al passato, alla ‘tangentopoli’ che agli inizi degli anni ’90 avevano travolto il sistema politico e amministrativo anche in Veneto, per ‘leggere’ l’inchiesta che ha portato agli arresti del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’assessore regionale Renato Chisso, oltre a un’altra trentina di persone, e a una richiesta d’arresto per Giancarlo Galan, parlamentare di Fi, per 15 anni governatore del Veneto.
Ma cosa richiama nelle vicende odierne l’inchiesta di 20 anni fa, condotta dallo stesso Nordio? «Ci sono analogie e differenze – dice il magistrato – Riguardo alle prime c’è un sistema di spartizione tra partiti e rappresentanti di partiti di risorse pubbliche. Il Consorzio Venezia Nuova gestisce denaro pubblico per le opere di salvaguardia. C’è ancora il fatto, come avevamo scoperto 20 anni fa in due momenti diversi, prima con Dc e Psi e poi con le coop rosse, che i presunti illeciti riguardano tutti, con finanziamenti a persone di entrambi i fronti politici. Altra analogia sono alcune delle persone coinvolte, a partire da Piegiorgio Baita».
Nel 1993 Baita venne arrestato – ricorda il magistrato – nell’inchiesta per la Bretella di Mestre e la distribuzione di appalti a imprese di vario colore politico. E le differenze? «Una importante. Nell’inchiesta attuale ci sono molti alti rappresentanti dello Stato, da ex presidenti del Magistrato alle Acque, a un magistrato della Corte dei Conti, a un generale della Guardia di Finanza. L’effetto corruttivo si è diffuso. La seconda differenza è che le cifre sono stratosfericamente più elevate. Venti anni fa era un miliardo di lire, oggi le cifre superano i 20 milioni di euro di mazzette pure. Il danno erariale è colossale». Venti anni fa, sottolinea il magistrato, «le tangenti venivano pagate con i profitti delle aziende che venivano messi in nero; adesso, con il sistema della sovrafatturazione di denaro pubblico. Quindi con soldi nostri. Il sistema è più sofisticato».
Un aspetto che le Fiamme Gialle hanno ben evidenziato e che il Gip Scaramuzza ha accolto in toto nell’ordinanza. Il rappresentante dell’accusa torna poi sulle analogie – «risulta incomprensibile che non si riesca a capire che la legge non conosce franchigie»; insomma, «che è uguale per tutti» – e lancia una sorta di richiamo alla politica: «Non capisce che la lotta alla corruzione non si può fare con l’inasprimento delle pene. È la strada sbagliata». Come combattere allora la corruzione? «Servono meno leggi e più chiare. Governo e Parlamento sono andati nella direzione di aumentare le pene e le leggi. Sul piano penale vanno bene anche pene più basse ma che vengano applicate. Questo discorso valeva anche 20 anni fa».

 

L’EX SINDACO INASCOLTATO – Per vent’anni ho detto che non si doveva fare

PROCEDURE – Gli enti locali non potevano controllare

«Il Paese non può più permettersi tali scandali»

CRITICO «E’ uno sconquasso politico incredibile» – tuona l’ex sindaco Massimo Cacciari, che ricorda la sua opposizione al Mose e in generale al sistema delle grandi opere »

Cacciari: grandi opere, sistema criminogeno

«Tutto è in mano a pochi soggetti che fanno quello che vogliono, nell’ultima riunione del Comitatone votai contro»

La voce è cavernosa. Irruento e scocciato. Ma si capisce che, già da tempo, aveva visto lontano. Per carità nulla a che vedere direttamente con le persone coinvolte, ma sul “sistema”, su quella gestione degli appalti che come uomo di buonsenso, oltre che da intellettuale, lo hanno sempre fatto guardare più avanti degli altri. Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia, taglia corto. Non è avvezzo ai lunghi discorsi, ancor più su questi temi, ma centra il punto. E lo ha ribadito anche ai giornalisti – che diciamolo francamente – gli hanno concesso di descrivere lucidamente quanto la cronaca ha offerto ieri.
«Non c’è dubbio bisognerà vedere con precisione di cosa si tratta – sottolinea – ma è certo che siamo di fronte ad uno sconquasso politico incredibile». Così ha rilanciato anche davanti ai microfoni delle tv nazionali. Insomma, non c’è che dire anche per l’ex sindaco di Venezia c’è una sorta di incredulità. «Le mie posizioni – ha aggiunto – sono da molto tempo conosciute. Da sindaco, durante i governi Prodi e Berlusconi, avevo avviato un processo di verifica ed in tanti passaggi ebbi modo di ripetere, senza essere ascoltato, che le procedure assunte non permettevano alcun controllo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a condizioni più vantaggiose».
In qualche modo una sorta di “atto d’accusa” che oggi risulta quasi profetico. Cacciari rivendica la lungimiranza delle proprie azioni di governo quando era alla guida del comune di Venezia. «Sì, ammetto – aggiunge – sono stupito di quanto sta accadendo. Ho sempre contestato le procedure assunte per dare il via ai lavori del Mose, ma non pensavo certo a provvedimenti della magistratura nei confronti dell’attuale sindaco Orsoni». E poi i ricordi vanno alla ultima riunione del Comitatone per la salvaguardia di Venezia alla quale partecipò come sindaco della Serenissima durante il periodo del governo Prodi nel 2006.
E qui il ricordo è come una stilettata: «Quell’incontro diede il via libera al proseguimento del Mose – ricorda Cacciari – Fui l’unico a votare contro, con il solo sostegno di una parte del centrosinistra. Da allora non me ne sono più interessato». E poi l’affondo: «Quello che genera mazzette in questo Paese – ha aggiunto l’ex sindaco di Venezia – è il modo in cui si fanno le grandi opere che è criminogeno. Vedi L’Aquila, o i Mondiali di nuoto, o il G8, o l’Expo. Le procedure con cui si fanno le grandi opere in Italia sono l’opposto di quelle federalistiche, e quindi in mano a pochi soggetti, pochi enti che fanno quello che vogliono». Uno sfogo vero e proprio che non manca di puntare ancora una volta l’indice contro il malaffare.
«Per vent’anni l’ho detto e sono rimasto inascoltato – conclude – come sistema e come opera, il Mose non doveva essere fatto. Ho detto tutto in quella seduta del novembre 2006 del comitato interministeriale presieduto da Prodi. Lo ripeto: fui l’unico a votare contro al via libera per il proseguimento dei lavori del Mose. Adesso è compito dei magistrati che devono indagare. Io sono un politico». Uno strale durissimo per un’intera classe dirigente. «In tutto questo tempo non si sono fatte le riforme auspicate, non sono state messe in atto le procedure giuste. Ecco perchè siamo arrivati a questo punto».

 

CONFINDUSTRIA VENETO – Zuccato: la fretta porta sempre allo sfascio

«Ritardi e burocrazia costringono a fare le cose con iter poco chiari che spesso seguono percorsi non lineari. Serve una rivoluzione»

VENEZIA – «Due sono le riflessioni che mi vengono spontanee, di fronte ai clamorosi sviluppi sull’inchiesta legata al Consorzio Venezia Nuova e alla costruzione del Mose» commenta il presidente di Confindustria Veneto Roberto Zuccato: «La prima è che come Paese non possiamo più permetterci scandali e figure come questa di fronte al mondo. Non è possibile che in Italia tutti i più grandi appalti abbiano lati oscuri che emergono solo anni dopo. È necessaria una profonda opera di pulizia nella politica ma anche nell’imprenditoria: chi ruba e chi corrompe altera il libero mercato e fa il male dell’Italia, e quindi di tutti noi».
La seconda riflessione del numero uno degli industriali della regione riguarda «la logica dell’emergenza che porta sempre allo sfascio: nel nostro Paese ritardi e burocrazia costringono a fare le cose con iter poco chiari, che spesso seguono percorsi non lineari. Serve una rivoluzione su questo fronte: meno norme, tempi certi, responsabilità chiare e riconoscibili per ciascun atto».
Zuccato, chiede dunque, che «ora sia fatta chiarezza fino in fondo: chi ha sbagliato – e verrà condannato in via definitiva – paghi davvero e soprattutto sia tenuto definitivamente distante dalla gestione della cosa pubblica». Ultima considerazione: «La costruzione del Mose deve andare avanti spedita. Siamo arrivati all’87% e serve finirla il prima possibile, è una grande opera di ingegneria che tutto il mondo ammira. Non cadiamo in un altro tipico errore italiano: confondere i fenomeni corruttivi con l’utilità di un’opera o di un evento, come fatto da qualcuno anche con Expo. Gli errori vanno puniti ma le opere necessarie vanno portare a termine».

 

Le indagini non sarebbero ancora concluse

MAREMOTO sul Mose

L’INIZIO – L’inchiesta è partita dalle false fatturazioni per i grandi affari

IMPUTATI CHIAVE – Baita e Mazzacurati dopo un avvio da “duri” hanno iniziato a parlare

La “terza fase” alimentata dalle confessioni eccellenti

All’inizio ci fu la scoperta delle false fatturazioni, un coacervo di società e di cartiere, che ruotavano attorno ai grandi affari in Veneto e segnatamente alla salvaguardia di Venezia. Poi ci fu l’affondo ai vertici del Consorzio che da trent’anni è impegnato nel realizzare opere che mettano in sicurezza la città lagunare dall’acqua alta. Ma a che cosa servono tutti questi soldi (furono quantificati circa 25 milioni di euro) creati in nero, usciti dal cilindro degli illusionisti di società paravento? A lucrare il sistema pubblico, a pagare tangenti, a ingrassare politici e portaborse, boiardi di Stato e burocrati. Questa, intuitivamente, la risposta che gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria di Mestre si erano dati. Ma il sospetto non basta, servono le prove. Ed è così che sono andati a cercarle a valle dell’intrallazzo che era, apparentemente, solo di natura fiscale. Hanno seguito l’odore dei soldi.
«Siamo alla terza fase», ha detto ieri il procuratore della Repubblica di Venezia, Luigi Delpino, preannunciandone già «una quarta» che probabilmente porterà un carico di contestazioni riguardanti evasioni e frodi all’Erario. La «terza fase» è quella che si aspettava da mesi, epilogo di una storia cominciata alcuni anni fa che sembrava destinata a un crescendo brusco, e che invece ha conosciuto mosse lente, sullo scacchiere investigativo. Per evitare passi falsi.
Quando nel febbraio 2013 venne arrestato Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, si capì che l’inchiesta del Pm Stefano Ancillotto prometteva di andare lontano. Perchè Baita è uno che di tangenti se ne intende. Non a caso vent’anni fa nella Mani Pulite veneta ci finì a capofitto, salvo venirne fuori con qualche verbale piuttosto apprezzato dalla pubblica accusa. Allora comandavano Carlo Bernini e Gianni De Michelis. Il sistema cominciò ad essere divelto, prima ancora che a Milano si scoprissero le mazzette del Pio Albergo Trivulzio. Poi Baita era risorto, aveva trovato una seconda giovinezza nella Mantovani portandola a livelli record di fatturato.
Così quando venne a galla il giro delle false fatturazioni (con puntate a San Marino) fu evidente ai finanzieri che stavano entrando in quella zona grigia che nasconde segreti inconfessabili del sistema, non l’errore di qualche mela marcia. Con Baita finì in gattabuia anche Claudia Minutillo, segretaria sempreverde di Giancarlo Galan, l’uomo politico che è stato maggiormente potente – e più a lungo – in Veneto. Una donna che si era messa in affari, pizzicata in una società che sembrava perfetta per fungere da schermo a qualcosa d’altro.
Il fulcro era Baita, e lo sapevano i Pm veneziani. Se cadeva lui, poteva venire giù il mondo. Infatti. Baita è rimasto in carcere a Belluno, ha perfino ricusato i suoi avvocati. Ha fatto il duro, pur sapendo che un’uscita di sicurezza era pur sempre possibile. Non sempre si può fare il martire per interessi altrui. Un giorno Baita decise di riempire verbali roventi. I giornalisti scrissero che aveva fatto i nomi di qualche ministro veneto.
Ma per attendere sviluppi clamorosi, solo preludio del Diluvio Universale di ieri mattina, bisognava attendere la calda estate del 2013. Questa volta in carcere è finito Giovanni Mazzacurati, l’uomo del Mose, di più, il controllore in Laguna degli appalti che ruotavano attorno alla pluridecennale realizzazione delle dighe mobili contro l’acqua alta. Nel cerchio magico di Mazzacurati una pletora di personaggi che sguazzavano come pesci in un fiume di denaro mai visto. Non è stato difficile per gli investigatori aprire le prime falle. L’inchiesta riguardava un appalto in apparenza minore. Mazzacurati è scivolato sulla buccia di banana di un aiuto dato ad alcune aziende, come risarcimento per non essere ingoiate dai colossi del calibro della Mantovani. È stato messo con le spalle al muro. Anziano e stanco, alla fine si è piegato. Un memoriale lo ha fatto tornare libero, incrociando, con importanti conferme, le parole già secretate di Baita. La prima fase aveva scoperto la costituzione delle “provviste illecite”. La seconda ha puntato al cuore del sistema veneziano, sorto con la garanzia della Regione Veneto, facendo venire a galla una consorteria dalle lunghe mani e dai solidi appoggi, nei palazzi del Nordest e in quelli romani.
La “terza fase” sta cominciando a svelare a chi finivano i soldi maledetti. A monte c’è quella che il gip Scaramuzza l’«area dei reati tributari». Il preludio. Fatture emesse, utilizzate, riemesse e riutilizzate, da Cooperativa San Martino, Coedmar, Nuova Coedmar, Impresa Pietro Cidonio, […..], Condotte spa, Impresa ing. Mantovani, Coveco, Consorzio Venezia Nuova. Ed anche da Quarrytrade (canadese), Eracle, Egg, Linktobe, Italia Service, Non Solo Ambiente, Infi Trading Technital & Financial Consulting.
A valle ci sono i «reati di corruzione» legati alla gestione del Consorzio Venezia Nuova, e avvenuti al Magistrato alle Acque di Venezia, con «soggetti operanti a livello centrale» e con «soggetti operanti a livello regionale», Ma anche i finanziamenti illeciti di partiti politici. E un corollario di reati in apparenza minori, millantato credito e concussione. E non è detto che si sia arrivati a toccare il fondo.

Giuseppe Pietrobelli

 

I NUOVI VERTICI IN CARICA DA UN ANNO

«Consorzio rinnovato, l’opera non deve essere fermata»

«Il Mose? È un opera che è un vanto per l’Italia». Il pm Carlo Nordio durante la conferenza stampa di ieri ha voluto sgombrare il campo da ogni possibile obiezione al completamento del sistema di dighe mobili pensato per aiutare la città di Venezia a fronteggiare l’acqua alta. Una cosa è l’inchiesta sulle tangenti, altra l’opera in sé. Stesso concetto hanno voluto ribadire i vertici del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia per la realizzazione del Mose. «Le vicende del passato non devono fermare l’opera» è il concetto espresso alla notizia dei nuovi arresti di politici e imprenditori. «Va respinto qualunque tentativo di fermare il Mose, un’opera che ad oggi ha superato l’80% del suo completamento, ed è ormai totalmente finanziata». Il Consorzio guarda avanti, dopo il completo rinnovamento del management avvenuto l’estate scorsa proprio alla luce dalla prima tranche delle indagini che avevano portato all’arresto dell’allora presidente e direttore generale Giovanni Mazzacurati. Il Consorzio “prende atto, con la serenità e la trasparenza che gli deriva dalla discontinuità già pienamente realizzata che si tratta del proseguimento del lavoro svolto dalla Procura di Venezia, che vede lo stesso Consorzio come parte offesa” e afferma la propria estraneità ai fatti oggetto delle indagini in corso ribadendo la propria disponibilità a collaborare con tutte le autorità preposte affinché si faccia piena luce. Il Consorzio ribadisce di aver provveduto al rinnovo dell’organismo di Vigilanza, nella revisione delle spese per consulenza, contratti e sponsorizzazioni.

 

Un esempio di tecnologia “made in Italy”

Il Mose è un esempio di tecnologia “Made in Italy”. Il progetto prevede la costruzione di 4 barriere mobili alle bocche di porto, 2 alla bocca del Lido, 1 a Malamocco e 1 a Chioggia. Le quattro barriere sono formate da paratoie del tipo “a ventola a spinta di galleggiamento”, oscillante e a scomparsa. Il numero complessivo delle paratoie è di 78, 156 sono le cerniere che vincolano le paratoie agli alloggiamenti e ne consentono il movimento.

 

IL COLLAUDO – Il 12 ottobre 2013 la prova d’innalzamento delle prime 3 barriere

IL COSTO – Imponente la spesa: cinque miliardi e mezzo, il 90% a carico dello Stato

Mose, il gigante che respinge le acque

Dighe mobili alle bocche di porto, Venezia all’asciutto

Per il governo una priorità, entro il 2016 lavori finiti

PROVE TECNICHE – di movimentazione del sistema di paratoie effettuate alla fine del 2013. Il cuore tecnologico dei controlli di tutto l’enorme sistema che innalza e abbassa i cassoni depositati sul fondo

C’erano tutti, con il fiato sospeso quel 12 ottobre del 2013. In prima fila il ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi. “Primo giorno” del Mose, complesso sistema di paratoie che non ruba il nome al profeta salvato dalle acqua, ma che è molto più banalmente l’acronimo di “Modulo sperimentale elettromeccanico”. Il gigante che dovrà salvare Venezia dalla furia del mare, doveva dimostrare di funzionare. Non tutta l’opera, per avere la faraonica struttura perfettamente funzionante ci vorrà ancora un anno e mezzo, ma la prima trance dei lavori. La prova d’innalzamento ha riguardato le tre paratoie al Lido. Un debutto necessario per legittimare i lavori successivi che verranno consegnati a fine 2016.
Venezia ha fretta. Dopo la disastrosa acqua alta del 4 novembre 1966, che aveva toccato i 194 centimetri sul medio mare, le maree si sono succedute senza sosta. Il compito di questo complesso sistema “made in Italy”, vanto dell’ingegneria e della tecnologia, è infatti quello di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea.
Complessivamente le paratoie sono 78, divise in 4 schiere: alla bocca di porto di Lido, quella più ampia, due schiere di paratoie, rispettivamente di 21 e 20 elementi, collegate da un’isola artificiale; una schiera di 19 paratoie alla bocca di porto di Malamocco; una schiera di 18 alla bocca di porto di Chioggia.
Le paratoie sono una sorta di cassoni metallici (larghezza 20 metri per tutte le schiere, lunghezza variabile da 18,5 a 29 metri e spessore da 3,6 a 5 metri) connesse ai cassoni di alloggiamento di calcestruzzo, attraverso le cerniere, il cuore tecnologico del sistema, che vincolano le paratoie ai cassoni e ne consentono il movimento. È così che il miracolo si compie. Nella normalità la paratoie sono sdraiate, invisibili e piene d’acqua. Quando il mare sale, vengono svuotate e quindi si alzano, offrendo una barriera all’invasione delle acque. L’idea di salvare Venezia dal mare era stata motivo di ampio confronto fin dalla metà degli anni ’70. Non solo all’interno del capoluogo veneto, vista la unicità di questa città lagunare che richiama turisti da tutto il mondo. Il 4 novembre 1966 la città comprese infatti che il mare che tanto la rendeva particolare, poteva anche “ucciderla”. I lavori veri e propri inizieranno nel 2003. I numeri del Mose sono imponenti: oltre al finanziamento da parte dello Stato di oltre il 90% per un costo complessivo di 5,493 miliardi, è la tecnologia a sbalordire. Eccone solo un esempio: 156 le cerniere, due per ciascuna paratoia, dal peso di 42 tonnellate ciascuna. 3 metri la marea massima che le paratoie possono fronteggiare, 30 minuti il tempo necessario per il sollevamento delle paratoie e 15 minuti per il rientro nella loro sede. 4.000 gli occupati coinvolti nella realizzazione del sistema di difesa. Un successo tutto italiano.

 

Tangenti: Marca travolta

IL “SINDACO” Favori all’avvocato e posto sicuro per la figlia

SCANDALO MOSE Anche tre trevigiani arrestati nella maxi-inchiesta che ha sconvolto il Veneto

I NOMI L’ex primo cittadino di Cessalto Artico il manager Sutto e il biologo marino Rismondo

TERREMOTO – Corruzione e finanziamento illecito dei partiti: lo scandalo dei lavori per il Mose ha travolto anche la Marca. Tre trevigiani fra i 35 arrestati: Giovanni Artico, 53 anni, ex sindaco di Cessalto e oggi dirigente regionale, Federico Sutto, 61, di Zero Branco, manager del consorzio Venezia Nuova e Andrea Rismondo, 52, di Preganziol, biologo marino.

VOLTI NOTI – L’inchiesta sulle tangenti ha portato, tra gli altri, anche agli arresti dell’assessore regionale Chisso, del sindaco di Venezia Orsoni e di Giampietro Marchese, tesoriere del Pd veneto, originario di Chiarano. Richiesta di arresto al Senato per l’ex governatore Giancarlo Galan.

ZAIA – Già avviata la procedura di sospensione dall’incarico

CESSALTO – Arrestato Giovanni Artico già primo cittadino nel suo Comune e ora funzionario regionale

TREVISO – (an.zam) Arriva anche nella Marca l’onda lunga dell’inchiesta sul Mose di Venezia. Raggiunti dalle ordinanze di custodia cautelare Federico Sutto, 61enne di Zero Branco, dipendente del Consorzio Venezia Nuova; Giovanni Artico, 53enne, ex sindaco di Cessalto ed ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera (ora funzionario della Regione Veneto e stretto collaboratore di Renato Chisso); Andrea Rismondo, 52 anni, di Preganziol, rappresentante legale della Selc sc., società consorziata al Consorzio Venezia Nuova. Diverse le responsabilità che la magistratura contesta a ciascuno degli indagati sulla base sia di intercettazioni telefoniche che di una serie di interrogatori. Ed è proprio in alcuni di questi interrogatori che è stata tirata in ballo anche un’impresa di costruzioni trevigiana, la “Carron Angelo”, indicata come una delle imprese di riferimento con cui «Galan e Chisso avevano dei debiti», e che per questa ragione doveva essere inserita nel project financing «autostrada del Mare». Le indagini hanno tuttavia permesso di accertare l’estraneità della società trevigiana dai fatti finiti sotto la lente d’ingrandimento di procura veneziana e Guardia di Finanza.

IL TERREMOTO – Anche la Marca travolta dalla retata della Finanza per le tangenti legate alla grande opera

Giro di favori: dentro l’ex sindaco

L’assunzione della figlia in cambio di una firma su un progetto: l’accusa è corruzione

Modi gentili e un baffo curato che ispira simpatia a prima vista. Finito anche su un numero di Topolino del 2009 per il quale era una sorta di amministratore modello alla guida del comune più riciclone d’Italia. Ma sembra un altra persona quel Giovanni Artico, 53 anni, di Cessalto, che emerge dagli atti dell’inchiesta. Perchè i magistrati lo indicano come un dirigente regionale insistente. Che preme per la firma del contratto di lavoro della figlia ed è capace di far attendere la sua firma su un progetto del gruppo Mantovani fino a quando non arriva quella sul contratto di assunzione della giovane da poco laureata a Ca’Foscari. Per dieci anni sindaco del suo Comune, dopo una gavetta come consigliere di maggioranza, già segreterio a Roma del deputato Dc Lino Armellin, Artico stato arrestato all’alba di ieri. E per Cessalto è stato un fulmine a ciel sereno.
Dirigente della segreteria regionale Infrastrutture e componente del comitato di sorveglianza del Commissariato delegato all’emergenza socio economico ambientale dei canali, fino alla fine del 2012, indicato da tutti come vicinissimo a Galan e a Chisso, secondo le indagini l’ex primo cittadino avrebbe ottenuto favori in cambio del via libera ad alcuni progetti in laguna. I magistrati sottolineano l’esistenza di prove utili a sostenere che abbia «asservito l’esercizio della sua pubblica funzione agli interessi del gruppo Mantovani». A farlo finire nei guai alcuni dialoghi telefonici intercettati in cui l’assessore Renato Chisso e Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, parlano dell’assunzione della figlia dell’ex sindaco di Cessalto da parte del gruppo Nordest Media, controllato dalla Mantovani, l’impresa che proprio dal funzionario Giovanni Artico attendeva il via libera per un progetto da 6 milioni di euro. Un’assunzione, secondo gli atti dell’inchiesta, caldeggiata direttamente da Renato Chisso che, stando alle parole del patron del gruppo Mantovani, Piergiorgio Baita, non era funzionale ad un solo progetto ma doveva servire in qualche modo a garantirsi anche che non sarebbero state rifiutate le future autorizzazioni richieste.
A Cessalto, dove l’ex sindaco è ancora stimato, tanto che nel 2012 portò a vincere la sua vice, Franca Gottardi, la notizia è arrivata come una sorta di terremoto, una scossa inaspettata anche per i suoi eredi in consiglio comunale. «Gli sono umanamente vicina – ha spiegato l’attuale primo cittadino – con lui non avevo mai avuto modo di parlare di lavoro e ci limitavamo a commentare e a condividere le scelte amministrative. Conosco la figlia ma non sapevo dove lavorasse. Questa notizia mi ha profondamente provato».
I magistrati non si limitano a contestare l’assunzione della figlia come unico favore ricevuto. Nel corso dell’interrogatorio di Piergiorgio Baita è emerso anche che l’ex sindaco avrebbe consigliato un avvocato del quale più volte la Mantovani si sarebbe avvalsa. Il legale non è stato però in alcun modo coinvolto nell’inchiesta. Ieri pomeriggio il presidente della regione Luca Zaia ha annunciato di aver provveduto a togliere le deleghe all’assessore Renato Chisso e di aver avviato per Artico e gli altri due funzionari coinvolti nell’inchiesta il provvedimento di sospensione.

Andrea Zambenedetti

 

PREGANZIOL – Ai domiciliari Andrea Rismondo, 52 anni, presidente fondatore

Dalle alghe alle mazzette: la parabola del biologo

TREVISO – Dai pesci e dalle alghe della Laguna alle «mazzette» per ottenere appalti. È la parabola, secondo l’accusa dei pubblici ministeri della Procura di Venezia, in cui è coinvolto anche Andrea Rismondo, uno dei trevigiani invischiati nella maxi-inchiesta sulla tangentopoli del Mose.
Nato a Venezia, ma residente a Preganziol, il 52enne biologo marino si trova ora agli arresti domiciliari. In paese, in realtà pochi lo conoscono: laureato in biologia a Padova nel 1986 (e con l’ateneo patavino negli anni ha continuato a collaborare), Rismondo si è via via perfezionato nella flora e nella fauna degli ecosistemi marini. Insieme ad alcuni colleghi nel 1998 ha fondato la Selc, di cui a tutt’oggi è presidente: la cooperativa, con sede a Marghera, riunisce una quindicina di altri professionisti e tecnici ed è specializzata in biologia e geologia applicata e servizi ambientali. Ed è una delle ditte che lavora per il Consorzio Venezia Nuova, responsabile della realizzazione del Mose.
Gli inquirenti gli contestano la corruzione per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio, in modo continuato e in concorso con una serie di altri indagati, in particolare nei confronti di due ex dirigenti del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva (anche se i nomi dei due probabilmente non gli erano noti) . Lo scopo era fare in modo «di non subire controlli e rilievi atti a rallentare l’attività» del Consorzio (e di conseguenza delle imprese collegate). Gli alti funzionari pubblici per chiudere un occhio avrebbero ricevuto centinaia di migliaia di euro all’anno oltre ad altri favori. Il biologo, in qualità di rappresentante della Selc, così come altri tre imprenditori, peraltro, avrebbe trattato e consegnato il denaro a Pio Savioli, uno dei consiglieri del Cvn. In più Rismondo, sempre insieme ad altre persone, è accusato di un finanziamento illecito da 58mila euro a favore del consigliere regionale del Pd, Giampiero Marchese.
Tra i vari incarichi, la Selc da dieci anni svolge monitoraggi ambientali sugli effetti su flora e fauna dei cantieri per le opere mobili alle bocche di porto, tanto che era stata la società a segnalare la presenza nell’area di colonie di fenicotteri. Ma la coop compie ed ha compiuto moltissimi altri progetti.

Mattia Zanardo

 

CHIARANO – Marchese tesoriere del Pd: i voti con i soldi del Consorzio

TREVISO – Chissà se anche Giampietro Marchese farà come il compagno G e dirà che i soldi che ha ricevuto se li è tenuti tutti per sè. Primo Greganti nel ’92 raccontò a Di Pietro la storiella che i soldi che gli avevano trovato in Svizzera provenivano da una eredità e quelli che gli erano stati versati in Italia non si ricordava chi glieli avesse dati. Farà così anche Marchese? 56 anni, originario di Chiarano e residente a Jesolo, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, è da secoli il segretario organizzativo del partito. Responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestisce il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio da tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città. Secondo l’accusa, ha ricevuto “in bianco” nel 2010, 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), mentre si tratta di soldi del Consorzio. Ma non se ne fa un dramma e incassa sia quelli che i soldi “in nero”. Tra i 400 e i 550mila euro, negli anni che vanno dal 2006 al 2012. Perchè il Consorzio pagava Marchese? Risponde Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio del 31 luglio 2013: «Era un funzionario della sinistra che aveva questo compito, diciamo quando c’erano i periodi delle elezioni, delle consultazioni elettorali, di reperire i fondi per.. Ecco, questo era”. Insomma Marchese collezionava tangenti per pagare le campagne elettorali dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, dei deputati e dei senatori.

 

GLI INQUIRENTI «Soldi a funzionari pubblici per non subire controlli»

TREVISO – Dai pesci e dalle alghe della Laguna alle «mazzette» per ottenere appalti. È la parabola, secondo l’accusa dei pubblici ministeri della Procura di Venezia, in cui è coinvolto anche Andrea Rismondo, uno dei trevigiani invischiati nella maxi-inchiesta sulla tangentopoli del Mose.
Nato a Venezia, ma residente a Preganziol, il 52enne biologo marino si trova ora agli arresti domiciliari. In paese, in realtà pochi lo conoscono: laureato in biologia a Padova nel 1986 (e con l’ateneo patavino negli anni ha continuato a collaborare), Rismondo si è via via perfezionato nella flora e nella fauna degli ecosistemi marini. Insieme ad alcuni colleghi nel 1998 ha fondato la Selc, di cui a tutt’oggi è presidente: la cooperativa, con sede a Marghera, riunisce una quindicina di altri professionisti e tecnici ed è specializzata in biologia e geologia applicata e servizi ambientali. Ed è una delle ditte che lavora per il Consorzio Venezia Nuova, responsabile della realizzazione del Mose.
Gli inquirenti gli contestano la corruzione per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio, in modo continuato e in concorso con una serie di altri indagati, in particolare nei confronti di due ex dirigenti del Magistrato alle Acque di Venezia, Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva (anche se i nomi dei due probabilmente non gli erano noti) . Lo scopo era fare in modo «di non subire controlli e rilievi atti a rallentare l’attività» del Consorzio (e di conseguenza delle imprese collegate). Gli alti funzionari pubblici per chiudere un occhio avrebbero ricevuto centinaia di migliaia di euro all’anno oltre ad altri favori. Il biologo, in qualità di rappresentante della Selc, così come altri tre imprenditori, peraltro, avrebbe trattato e consegnato il denaro a Pio Savioli, uno dei consiglieri del Cvn. In più Rismondo, sempre insieme ad altre persone, è accusato di un finanziamento illecito da 58mila euro a favore del consigliere regionale del Pd, Giampiero Marchese.
Tra i vari incarichi, la Selc da dieci anni svolge monitoraggi ambientali sugli effetti su flora e fauna dei cantieri per le opere mobili alle bocche di porto, tanto che era stata la società a segnalare la presenza nell’area di colonie di fenicotteri. Ma la coop compie ed ha compiuto moltissimi altri progetti.

Mattia Zanardo

 

ZERO BRANCO Secondo ordine di custodia in un anno per il manager

Su e giù con le tangenti: Sutto torna nel tunnel

I magistrati: era il collegamento fra “Venezia Nuova” e il sistema politico

Dalle oltre 700 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip veneziano Alberto Scaramuzza, emerge nitida la figura di Federico Sutto, 61 anni, di Zero Branco, ex segretario provinciale del Psi trevigiano agli inizi degli anni Novanta. È lui, secondo la ricostruzione degli investigatori, il canale attraverso cui il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, manovrava i flussi di denaro per finanziare campagne elettorali di politici che avrebbero potuto tornargli utili o per ammorbidire le posizioni di chi avrebbe dovuto controllare appalti ed esecuzione dei lavori legati al Mose. Era lui a ricevere il denaro, a prelevarlo dai conti neri e, molto spesso, a portarlo a destinazione. Gli investigatori ricostruiscono minuziosamente i viaggi delle «mazzette» e il nome di Sutto compare quasi sempre. Del resto, almeno fino al 31 dicembre 2011, è stato l’uomo di fiducia di Mazzacurati. E adesso ne paga le conseguenze. Sono ben tredici i capi d’imputazione a suo carico: a stare troppo vicini al capo, a volte, ci si brucia.
Sutto finisce nuovamente nell’occhio del ciclone a un anno esatto di distanza dalla precedente inchiesta legata al Mose che lo portò agli arresti domiciliari per turbativa d’asta. Adesso la sua posizione sembra aggravarsi. L’ex segretario socialista compare quando si parla dei soldi consegnati a politici del calibro dell’ex parlamentare europea Lia Sartori, che avrebbe ricevuto da Mazzacurati ben 200mila euro per la campagna elettorale del 2009, o del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, che avrebbe incassato anche attraverso Sutto 450mila euro durante le elezioni del 2010. La sequenza di nomi, cifre e circostanze è impressionante. Sutto avrebbe portato soldi all’assessore Renato Chisso, pure lui arrestato, fin dentro gli uffici della Regione.
Un anno fa, dopo il primo arresto, Sutto qualche ammissione l’aveva anche fatta. Alla pm veneziana Paola Tonini si sarebbe giustificato dicendo di aver solo eseguito gli ordini del suo capo, Mazzacurati. E ai magistrati, nel corso di altri interrogatori, avrebbe fatto anche altre ammissioni, tutte notizie poi confluite nell’ordinanza di arresto. E adesso rimane uno degli elementi centrali dell’inchiesta quanto meno come esecutore materiale dei piani di Mazzacurati.
Starà adesso ai suoi legali provvedere a smontare il castello di accuse. Questa vicenda rappresenta comunque la fase discendente della sua parabola, iniziata nel 1990 con la segreteria provinciale del Psi a soli 37 anni, che che ha toccato l’apice con Gianni De Michelis. Ha seguito l’ex ministro in tutte le sue esperienze di governo, quando è stato vice presidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e delle Partecipazioni Statali. È stato accando a De Michelis anche nella direzione della Lega Basket. Nel 1993 lasciò la segreteria del partito trevigiano per le lacerazioni seguite allo scandalo di Tangentopoli. Oggi, a distanza di 20 anni, la storia si ripete.

 

IL PALAZZO TREMA Il sindaco ai domiciliari: finanziamenti illeciti per 560mila euro. Chisso (Fi) e Marchese (Pd) in carcere

CITTA’ INCREDULA – La Finanza è arrivata alle 5.30 in casa del sindaco Giorgio Orsoni, per portarlo in caserma e poi riconsegnarlo agli arresti domiciliari. L’accusa: finanziamento illecito ai partito, per 560mila euro dati dal Consorzio Venezia Nuova in occasione delle elezioni comunali del 2010. Il terremoto politico ha scosso il Comune. Ieri il vicesindaco Sandro Simionato ha assunto la guida dell’amministrazione: «Andiamo avanti comunque», ha detto.

Il panorama politico veneziano è al centro di un vero e proprio terremoto che coinvolge tanti volti noti. Primo fra tutti – dopo il sindaco Orsoni – l’assessore regionale Renato Chisso, mestrino di Favaro, inquisito per presunte tangenti, nonchè Giampietro Marchese, segretario organizzativo regionale del Pd (e vicepresidente a Palazzo Ferro Fini) per finanziamento illecito, e ancora Enzo Casarin e Lino Brentan.

IN COMUNE – Simionato: «Andiamo avanti». L’opposizione: «Tutti a casa»

GLI ALTRI COINVOLTI – La bufera giudiziaria travolge di nuovo Brentan e Casarin

«Pagate», Orsoni arrestato

IL PALAZZO TREMA

TERREMOTO IN COMUNE – Le carte dell’inchiesta legata ai lavori del Mose

MAZZACURATI «Orsoni tranquillizzò l’ingegnere: “Calmo, siamo entrambi Procuratori di San Marco”»

L’INIZIO – Il presunto finanziamento illecito per le elezioni del 2010

A DOMICILIO – Il presidente del Consorzio portava tranche di 100mila euro a casa di Orsoni

LA SCHEDA – Tutte le cariche del primo cittadino. Dalla Procuratoria di S. Marco alla Cini

Finanziamento illecito: 560mila euro per la campagna elettorale, 50mila dei quali gli sono stati versati cash da Baita

L’ARRESTO DEL SINDACO – Dalle intercettazioni emergono i legami con il Consorzio
attraverso Nicola Falconi. Gli incontri all’hotel Monaco

Tanti incarichi per Giorgio Orsoni. Insomma non c’è solo la qualifica di primo cittadino. Infatti negli anni il sindaco ha inanellato una serie di incarichi di alto livello. Senz’altro il più importante e prestigioso è quello di Procuratore di San Marco, ruolo antichissimo, che la sempre messo in relazione con il mondo cattolico, con quello della Diocesi e soprattutto della Curia. Ma non solo. Negli anni, Orsoni ha accumulato, anche in virtù del ruolo di sindaco, anche altri incarichi come quello di vicepresidente della Fondazione Cini e della Biennale, e poi come consigliere nel cda del Teatro La Fenice e anche della Fondazione Musei civici. Autore di molte pubblicazioni di carattere giuridico, Orsoni ha edito numerosi libri dedicati al diritto amministratrativo. E poi c’è l’impegno politico, soprattutto nell’ambito dell’iter per la costituzione della futura Città metropolitana di Venezia, visto e considerato che nell’ambito dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni d’Italia svolge il ruolo di coordinatore del tavolo per l’istituzione delle città metropolitane. Tra gli altri incarichi è anche presidente del Cemr, Consiglio europeo delle Regioni e delle Municipalità, presidente dell’Ancai, associazione nazionale dei Comuni aeroportuali e vicepresidente della sezione veneta dell’Aiccre, l’associazione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. In passato è stato scelto Grande Ufficiale al merito della Repubblica, Commendatore della Repubblica italiana. E in Francia è stato insignito anche della Legion d’onore dal presidente Sarkozy.

 

E Orsoni disse: «Voglio più soldi»

«La parte regolare è una piccola parte rispetto al totale che è stato rilevante, perché noi avevamo previsto di spendere molto meno e poi invece Orsoni mi ha detto che aveva bisogno di altri soldi». É il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, interrogato dopo l’arresto del luglio scorso, a parlare davanti ai magistrati. Il coinvolgimento del sindaco Giorgio Orsoni comincia da qui, con questa storia di presunto finanziamento illecito per la campagna elettorale del 2010. L’ordinanza del giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, che per il sindaco di Venezia ha disposto gli arresti domiciliari, riporta ampi stralci di quei primi interrogatori da cui è iniziato tutto. «Ecco, noi abbiamo sostenuto la campagna elettorale di Orsoni» spiega sempre Mazzacuranti. «Noi gli abbiamo corrisposto questa cifra un po’ a scaglioni e quindi mi pare che in sei mesi l’abbiamo saturata». Il magistrato insiste per sapere come avvenivano questi versamenti. «Era contante» spiega Mazzacurati. «É stata consegnata ad Orsoni o a qualcuno che lui ha chiesto in modo da arrivare a circa mezzo milione di euro».
Il meccanismo spiegato dal gip, anche per Orsoni, è quello del finanziamento da un lato “in bianco”, ma comunque illecito, perché fatto da società minori con soldi, in realtà, del Consorzio, dall’altro “in nero”. Nel caso del “bianco”, per il sindaco veneziano – ricostruisce l’ordinanza – Mazzacurati pensa di coinvolgere le imprese del luogo. E quindi, oltre alla solita Coveco, la Bosca srl e la Cam ricerche srl di Nicola Falconi, nonché La San Martino sc di Stefano Boscolo Bacheto. Insieme versano al candidato sindaco 110mila euro, ma i soldi arrivano sempre dal Consorzio attraverso un complicato giro di fatturazioni inesistenti. Lavori e consulenze inventate per creare i fondi necessari a pagare. E la «contropartita per le società che si prestano ad entrare nel sistema delle false fatturazioni per permettere al Consorzio di finanziare i politici» è quello di «essere avvantaggiati in futuri lavori del Cvn» precisa il giudice.
L’ordinanza dedica spazio al coinvolgimento delle società di Falconi e alla sua, per così dire, soddisfazione. In un’intercettazione con il factotum del Consorzio, Pio Savioli, Falconi gli racconta di aver preso da parte il sindaco, nel corso di un convegno di Confindustria, per fargli sapere del versamento fatto. «Lui è rimasto sorpreso. “Beh Nicola cosa vuoi che ti dica: siete un gruppo forte, siete degli amici veri, questa cosa sapevo che stava maturando ma non me l’avevano detta bene nei termini, tra l’altro sono davvero meravigliato dello sforzo addirittura superiore alle attese e ti ringrazio molto”». In un’altra telefonata Falconi riferisce della soddisfazione del sindaco per il sostegno del «gruppo dell’ingegnere». Espressioni («gruppo forte», «dell’ingegnere») che, per il gip, proverebbero la piena consapevolezza da parte del sindaco della provenienza dei finanziamenti e quindi della loro illecità. «Ovviamente Falconi – si legge ancora nell’ordinanza – correla tale favore ad Orsoni con futuri vantaggi economici da ottenere tramite il Consorzio Venezia Nuova». «Potesse anche essere utile per battere cassa tra virgolette» dice in un’altra intercettazione con Savioli. Una volta eletto sindaco Orsoni, poi, arrivano le pressioni. In un’altra conversazione intercettata tra Savioli e Falconi, i due parlano delle «pressioni fatte dal Consorzio per far nominare Falconi presidente del Nicelli spa», delle «resistenze del sindaco e le ulteriori pressioni di Falconi che aveva ricordato al sindaco l’aiuto in campagna elettorale e il fatto che fosse un suo uomo» si legge nell’ordinanza.
Altrettanto ricco il capitolo finanziamenti “in nero”. Ne parla per primo Baita, quindi Mazzacurati. É quest’ultimo «a portare i soldi in mano a casa di Orsoni – scrive il giudice – alla fermata di San Silvestro del vaporetto, dicendo che andò più volte a casa di Orsoni, nel giro di tre quattro mesi, portandogli ogni volta fino a 100-150mila euro». «All’inizio Orsoni mi parlò di 100mila euro, che aveva fatto un conto. “Ma sei sicuro?” ho detto e aveva detto “sì”, che era sicuro. Invece poi non sono bastati assolutamente». A riprova del «rapporto di contiguità» tra sindaco e Consorzio, l’ordinanza cita svariati incontri non spiegabili con rapporti di tipo istituzionale. Per lo più a casa di Orsoni, ma anche al Monaco, luogo di elezioni per gli incontri di Baita e Mazzacurati. In un’intercettazione Mazzacurati riferisce di una cena al Monaco con Orsoni, dove vengono visti da tante gente. Lui si preoccupa e racconta che il sindaco l’ha tranquillizzato: «Ma chi se ne frega, ha detto, siamo tutti due Procuratori di San Marco e le elezioni sono già state… Non mi stare a mettere ’sti pensieri… non c’è ragione».

 

IL DIFENSORE «Giorgio vuole farsi interrogare al più presto»

IL BLITZ – La Finanza arriva all’alba in casa del primo cittadino

Le Fiamme gialle hanno suonato al campanello di S. Silvestro alle 5.30

Il sindaco è stato portato in caserma. Perquisiti gli uffici di Ca’ Farsetti

I finanzieri hanno suonato al campanello della famiglia Orsoni, nel bel palazzo affacciato sul Canal Grande, nella centralissima San Silvestro, che non erano ancora le cinque e mezzo del mattino. Poca la gente in giro a quell’ora, ma che non ha potuto non notare il sindaco uscire di casa in compagnia dei finanzieri. E la notizia si è cominciata a diffondere per la città, in un’impressionante passa parola, tra lo stupore e l’incredulità…
La giornata più nera del sindaco Giorgio Orsoni è iniziata così, prestissimo. La sveglia degli uomini della Guardia di Finanza, la perquisizione in casa. I militari hanno quindi accompagnato il sindaco negli uffici per la notifica dell’ordinanza cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari, Alberto Scaramuzza, che gli imponevano la misura degli arresti domiciliari. Mentre altri finanzieri perquisivano pure lo studio del sindaco a Ca’ Farsetti. A giorno ormai fatto, il ritorno di Orsoni a casa, sempre in compagnia dei finanzieri, dove ora dovrà restare agli arresti domiciliari.
Tutto in quella casa che viene ampiamente citata nell’ordinanza, come uno dei luoghi dove Orsoni, all’epoca candidato sindaco, avrebbe ricevuto i versamenti dalle mani dello stesso presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. Così ha raccontanto l’anziano ingegnere, dopo l’arresto dell’estate scorsa, aprendo questa nuova fase dell’inchiesta che ha scossa la città. Le accuse ad Orsoni si reggono soprattutto sulle sue dichiarazioni, confermate, tra gli altri, dallo stesso ex presidente della Mantovani, Baita.
Un impianto accusatorio secondo cui Orsoni avrebbe ricevuto soprattutto finanziamenti illeciti “in nero”, ma in parte anche “in bianco”, attraverso società minori, per un totale di oltre mezzo milione di euro.
Ieri la difesa del sindaco, rappresentanto dal presidente dell’Ordine degli avvocati, Daniele Grasso, non ha voluto sbilanciarsi. «Stiamo ancora facendo copia dell’imponente documentazione agli atti – ha riferito il legale – credo comunque che per il sindaco ci siano ampi spazi di difendibilità. La situazione è delicatissima, quel che posso dire è che siamo pensando di affrontare gli interrogatori già dalle prime fasi, per chiarire la posizione. Non aspettiamo tempi lunghi». (r. br.)

 

IL RISVOLTO POLITICO – L’arresto di Orsoni sconvolge i programmi della Giunta

Jacopo Molina, consigliere comunale del pd, renziano della prima ora, rilancia la questione etica nel partito

Il vicesindaco raccoglie il testimone per il governo di Ca’ Farsetti

Simionato: «Andiamo avanti, l’auto-eliminazione sarebbe solo un suicidio»

Sandro Simionato ha il viso tirato. La prova è dura. Parla scandendo le parole, ma si vede e si sente che non avrebbe mai pensato di dover commentare la “notizia delle notizie”: l’arresto di Giorgio Orsoni. Gli occhi del vicesindaco guardano a destra e a manca. Il nervosismo si taglia con il coltello. «Lo dico molto chiaramente – attacca – la posizione del sindaco mi sembra sostanzialmente diversa da tutte le altre. La magistratura fa il suo corso. Certo. Ma non possiamo non esprimere tutta la nostra solidarietà ad Orsoni e alla sua famiglia in questo momento». Simionato è appena tornato da Ca’ Corner, sede della Prefettura, per un colloquio con gli uffici della rappresentanza di governo sul futuro dell’amminstrazione comunale.
Vicesindaco, ora c’è comunque un Comune da governare…
«Andiamo avanti con uno sforzo comune delle responsabilità che ci attendono. Lo faremo con tutta la serietà, la capacità e l’impegno che ci abbiamo messo in tutti questi anni. E ancor di più in questo momento critico».
Qui però si è arrivati ad un punto di non ritorno
«Assolutamente no! Noi conosciamo un altro Giorgio Orsoni. Lo abbiamo conosciuto e apprezzato perchè negli anni ha fatto della trasparenza e della coerenza amministrativa, la sua azione di governo. E poi siamo fiduciosi che la situazione si possa risolvere al più presto».
Ma serve chiarezza ed evidentemente la magistratura ritiene che essa non ci sia stata.
«Noi, come coalizione di governo abbiamo assunto degli impegni con questa città. Li abbiamo sempre portati avanti e seguiremo questa linea. Ci sono scadenze importanti che intendiamo rispettare. Abbiamo lavorato per quattro anni in maniera intensa e nell’anno che manca vogliamo concludere le partite aperte. Dare risposte e proseguire nel nostro impegno».
Non c’è dubbio che i contraccolpi anche nella maggioranza che governa la città non mancheranno di farsi sentire.
«Faremo il punto della situazione. E così faranno gli altri partiti. Ma andiamo avanti».
E come un macigno pesa la questione del Mose
«Il Comune ha sempre avuto una posizione chiara sul Mose. Siamo sempre stati coerenti. Più volte abbiamo denunciato, e in tempi non sospetti, il fatto che vi fosse un unico mandatario, detentore unico del progetto. In un’opera da cinque miliardi di euro, non poteva che essere evidente che qualche rischio ci stava. Ma è altrettanto necessario che vi siano nuove regole di gestione degli appalti. La questione, lo dico con forza, non è solo di Venezia».
Intanto la notizia ha fatto il giro del mondo. Venezia è su tutte le prime pagine dei giornali.
«E proprio per il suo ruolo, questa città merita ancor più un’assunzione di responsabilità da parte degli amministratori. Se ci auto-eliminassimo, sarebbe un suicidio per la città».

 

EFFETTO INCHIESTE – In pochi giorni fuori gioco tre possibili candidati sindaco

In pochi giorni le inchieste della magistratura italiana hanno affossato tre possibili candidati a sindaco di Venezia per le elezioni del 2015. Che Giorgio Orsoni volesse ripresentarsi, non era un mistero. Così come il nome di Renato Chisso girava da tempo come possibile candidato per il centrodestra. La medesima coalizione aveva anche sondato il terreno con l’ex ministro Corrado Clini, veneziano di “adozione”, arrestato nei giorni scorsi per un’altra inchiesta.

 

LA GIORNATA IN COMUNE – Blitz della Finanza, gelo a Ca’ Farsetti tra riunioni e sgomento

Una giornata iniziata sotto i peggiori auspici con tanto di finanzieri fin dalle prime luci del giorno nell’ufficio del sindaco e in quello dell’Ufficio di gabinetto alla ricerca di nuova documentazione per l’indagine. E a Ca’ Farsetti è stato il gelo. Subito dopo aver appreso la notizia dell’arresto di Giorgio Orsoni, oltre all’incredulità, immediata è scattata la reazione. Ed è toccato proprio al vicesindaco Sandro Simionato prendere in mano il bandolo della matassa. Situazione non facile, ma è stato solo dopo un consulto con la Prefettura che è stata fatta un po’ di chiarezza. E a quel punto vi è stato un ritmo quasi forsennato di riunioni, che si sono accavallate per l’intera mattinata e in serata, soprattutto tra gli assessori della giunta per cercare di elaborare una strategia comune. E alla fine, le dichiarazioni nervose di Simionato che in qualche modo hanno stabilito le “nuove regole” in attesa delle future decisioni del sindaco Orsoni ai domiciliari. E quel che si leggeva soprattutto tra i dipendenti, è stata soprattutto l’incredulità per quanto stava avvenendo sotto i loro occhi. Con i finanzieri che portavano via pacchi e pacchi di documenti sotto gli occhi esterrefatti dei collaboratori del sindaco Orsoni.

 

DENTRO IL PD – Molina va alla carica «Via il vecchio sistema». Stradiotto: «Prudenza»

Sgomento e incredulità. Il Pd è stato colto di sorpresa. E lo spiega bene il segretario metropolitano del partito, Marco Stradiotto. «Non posso che esprimere il mio rammarico e la mia sorpresa per quanto accaduto. Le notizie feriscono profondamente Venezia e tutto il nostro territorio. Che la magistratura faccia il suo corso». E anche il segretario comunale, Emanuele Rosteghin è sulla stessa lunghezza d’onda. «Oggi dobbiamo rilanciare – dice – con determinazione la nostra vocazione ad una profonda azione di rinnovamento che dobbiamo portare avanti con concretezza e determinazione». Aggiunge ancora Stradiotto: «Oggi, anche indipendentemente dalla conclusione dell’inchiesta, dobbiamo rilanciare con determinazione la nostra vocazione: dobbiamo portare avanti un messaggio di concretezza e di “salute pubblica” ai cittadini che già vivono un momento di difficoltà anche partendo da una profonda revisione degli iter autorizzativi, delle verifiche e dei controllo delle cosiddette “grandi opere”»
Ma chi va giù pesante è il consigliere comunale, Jacopo Molina, esponente dei “renziani” della prima ora. «Esprimo il mio sostegno ed apprezzamento per l’operato della Magistratura.
«Finalmente – attacca – è stato svelato ed assume rilevanza penale quello che da tempo chiamo il “Sistema Venezia”, frutto di ultradecennali rapporti distorti ed opachi tra società private (beneficiarie di finanziamenti pubblici) e alti rappresentanti – politici ed amministrativi delle istituzioni statali, regionali e cittadine. É compito di chi fa politica con la schiena dritta e a testa alta aiutare i Magistrati nella loro opera di pulizia nei confronti di quanti, fino ad oggi, hanno messo le mani sulla città da impuniti». Un attacco in qualche modo che squarcia le dichiarazioni quasi di circostanza del Pd ufficiale.
«Quanto al Sindaco, gli auguro di potere fare chiarezza nelle sedi competenti in merito a quanto gli viene ascritto. Quanto all’aspetto politico, il dato è certo; Giorgio Orsoni appartiene al passato. La sua esperienza politica si conclude oggi. É necessario cambiare verso. Partendo dalle persone e dal modo di fare politica. Venezia ha davvero bisogno di rottamare una classe politica sorpassata ed usa a cattiva gestione della cosa pubblica. Rottamare spetta a noi, alle nuove generazioni. Il tempo è “Adesso”».

P.N.D.

 

LA PROTESTA – Sit-in dei partiti di minoranza nel pomeriggio a Ca’ Farsetti

CAMBIAMENTO «Una classe politica da rinnovare subito»

LA RICHIESTA – Firme dei consiglieri di opposizione per chiedere le dimissioni della Giunta

«Approvare subito il bilancio per non gravare sui cittadini»

Stupore ma anche prudenza, tanta prudenza tra la maggioranza che sostiene il sindaco Orsoni. In un momento come questo, però, la voce comune che esce dal coro è la volontà di dare un segnale di maturità politica, cioè quella di chiudere il bilancio ed evitare che le conseguenze poi ricadano sui cittadini. «Servirà qualche giorno per chiarire i contorni della vicenda – spiega Gianfanco Bettin per In Comune – Bisogna riuscire ad approvare il bilancio sennò i danni alla città diventano enormi. Dopo di che valuteremo tutti assieme. Le accuse rivolte al sindaco sono certo gravi ma non riguardano l’attività amministrativa. Simionato farà le sue veci se Orsoni non si dimette e questa spero sia la soluzione più auspicabile. Chiaro che questa vicenda peserà e imporrà un radicale mutamento della classe politica e delle relazioni tra classe politica e mondo degli affari». «Come Socialisti ci auguriamo che Orsoni non si dimetta e la Giunta e il lavoro di questa maggioranza possa continuare sotto la guida di Sandro Simionato – è il parere di Luigi Giordani – Per il resto sarà la magistratura a fare il suo corso. Siamo a fine mandato, ci manca l’approvazione del bilancio di previsione e da risolvere la questione Casinò. Noi appoggiamo Simionato che è la naturale continuazione politica e amministrativa di Orsoni».
«Chiudiamo prima il bilancio e poi facciamo le valutazioni politiche che servono – è il parere di Simone Venturini dell’Udc – Evitare il commissariamento sarebbe auspicabile ma se proprio dovessimo ripartire da zero mi auguro che questa vicenda serva a rinnovare la classe politica dirigente veneziana a tutti i livelli. Ce n’è un grande bisogno». «Credo si debba fare il possibile per evitare il commissariamento che non accelera nulla – aggiunge Sebastiano Bonzio (Fds) – Avere un commissario significherebbe gestire in maniera ragionieristica l’amministrazione senza il cuscinetto politico. Il commissario viene qui per aggiustare i conti, tagliando servizi, assistenza domiciliare. La politica deve dare prova di grande maturità a cominciare dalle partite strategiche».

Giorgia Pradolin

 

GLI SCENARI – Commissario o il testimone passa a Simionato

E ora che succederà? Una situazione delicata che è tutta nelle mani di Orsoni e che si veste di molti tecnicismi giuridici e amministrativi. Se il primo cittadino intenderà dimettersi, il passaggio formale sarà a senso unico: tutti a casa con l’ingresso del commissario prefettizio per l’ordinaria amministrazione e l’indizione di nuove elezioni. Ma non è l’unica ipotesi.
L’altra è quella che vede la Procura come attore dei destini della città con l’invio ad Orsoni di una “comunicazione di sospensione temporanea” del suo incarico di primo cittadino con l’automatico passaggio di ogni funzione al vicesindaco Sandro Simionato che potrebbe così portare a termine la “consigliatura” fino a scadenza naturale nella primavera del 2015. E portare così la coalizione che ha guidato Orsoni a nuove elezioni alla sua scadenza naturale

 

«Via Orsoni». Ma Forza Italia si defila

Costalonga: «Non abbiamo fatto in tempo ad avvisarli». Zuin: «Vedremo, è presto per i commenti»

Ci avevano provato a febbraio, dopo lo sforamento di Venezia dal patto di stabilità, e ieri sono tornati all’attacco per chiedere le dimissioni di Orsoni. Non hanno perso tempo le opposizioni in Consiglio Comunale, a poche ore dalla notizia dell’arresto ai domiciliari del sindaco, erano già sul piede di guerra, fuori da Ca’ Farsetti con slogan e bandiere. All’appello del sit-in, quasi tutte le forze di minoranza: Fratelli D’Italia, Lega Nord, Cinque Stelle e Gruppo Misto ma l’assenza di Forza Italia si è fatta notare, se pur giustificata dall’organizzatore della manifestazione, Sebastiano Costalonga (Fratelli D’Italia). «Non sono riuscito a contattarli al telefono – ha detto Costalonga – e la manifestazione è stata organizzata in brevissimo tempo». Michele Zuin, capogruppo di Forza Italia, prende tempo. «Non sapevo niente di questa iniziativa, ero via. Vedremo domani (oggi per chi legge, ndr) con gli altri consiglieri. Per ora non me la sento di trarre conclusioni…». Oggi intanto il documento verrò esaminato da tutti i capigruppo.
Tra i presenti però, non c’erano solo esponenti politici, ma anche alcuni lavoratori che da Orsoni non sono mai riusciti a farsi ascoltare come Fabio, portabagagli, e Luca de Marchi del Consorzio Motoscafi.
L’obiettivo di Costalonga e delle minoranze ora è raccogliere 19 firme da parte dei consiglieri comunali per richiedere le dimissioni del primo cittadino, e nel contempo rivolgersi al prefetto per evitare il commissariamento del Comune a fronte di possibili elezioni anticipate.
«Venezia ha una necessità ed urgenza, quella della Città Metropolitana e del suo statuto – afferma Costalonga – che non può avere una persona arrestata come sindaco». L’opinione del Gruppo Misto, trasmessa anche con nota stampa, è quella che «La Giunta deve presentare le immediate e irrevocabili dimissioni per consentire, nel più breve tempo possibile, di ricostituire un’amministrazione capace, autorevole e credibile».
Davanti alle porte di Ca’ Farsetti anche Sebastiano Bonzio (Federazione della Sinistra Veneta) e Pietro Bortoluzzi. Non tutti però si accaniscono contro l’episodio giudiziario, ma colgono la palla al balzo per protestare contro ciò che ritengono inopportuno in laguna. «Non siamo qui per chiedere la testa di Orsoni – afferma il capogruppo della Lega Nord, Giovanni Giusto – almeno finchè non sarà definitiva la sentenza. Siamo qui per testimoniare disappunto verso un’amministrazione che non rappresenta e non fa gli interessi del popolo che l’ha eletto».
I grillini parlano di flussi turistici incontrollati che penalizzano i residenti, tra loro la candidata alle recenti elezioni parlamentari Nives Gargagliano, e il capogruppo in consiglio comunale Gian Luigi Placella, che sulle dimissioni di Orsoni rincara: «Se non ora quando? Una città come Venezia non può vivere nel dubbio dell’onestà del suo primo cittadino».

 

L’EX SEGRETARIA – Il “nero” da una cartiera di Baita per pagargli le mazzette

TERREMOTO IN REGIONE – Il mestrino responsabile delle infrastrutture in carcere in isolamento a Pisa: si è dimesso con un telegramma

Chisso-Galan, il tandem grandi opere

Insieme hanno realizzato Passante e ospedale di Mestre. A incastrare l’assessore le rivelazioni della Minutillo

Chisso e Galan. Galan e Chisso. Un binomio indissolubile. Un matrimonio politico che è durato anni. Galan il Governatore e Chisso l’Assessore. Insieme hanno fatto il nuovo ospedale di Mestre e il Passante. Insieme hanno progettato la Pedemontana. Due decisionisti. Galan con una visione strategica, Chisso deciso a risolvere i problemi del quotidiano. Hanno corso sempre appaiati, fino all’ultimo. Pareva che sul traguardo avesse vinto Chisso, con Galan che era stato trombato nella corsa al nuovo mandato di Governatore ed era volato a Roma ad attendere un qualche incarico ministeriale mentre Chisso restava qui e puntava a fare il presidente di Regione, la prossima volta. E invece ieri mattina alle 8 in punto, Chisso ha inviato in Regione il telegramma urgente che annuncia le sue dimissioni irrevocabili – anche se Zaia non ha perso l’occasione per dire che Chisso non è più assessore perchè lui gli ha tolto le deleghe, ma due ore dopo. Perchè Chisso sa che questa inchiesta può mettere la pietra tombale sulla sua carriera. Galan invece non ha battuto ciglio. Ecco perchè alla fine, a guardar bene, si vede che i due non hanno nulla in comune. Nè nella buona nè nella cattiva sorte. Tant’è che Chisso è finito in isolamento nel carcere di Pisa, mentre Galan è libero in quanto deputato della Repubblica. Ma anche la vita dei due è sempre stata agli antipodi. Galan vive in una villa faranoica, Chisso in una villetta a Favaro che ha diviso fino all’altro giorno, quando è morto, con il padre. Galan è un piacione, Chisso è un “contadino”, uno che ama le sagre paesane, gli amici. E la politica. Che è sempre stata la sua vita. E che lo ha portato nel baratro. Ma in tanti gli hanno dato una mano. A cominciare da quella Claudia Minutillo che, cacciata da Galan, di cui era stata segretaria per un paio di legislature, era stata “adottata” da Chisso. Adesso si scopre – dice la Minutillo – che Adria Infrastrutture Spa, una delle tante “cartiere” che servivano a Baita per fare il nero e pagare le mazzette, non era stata creata per dare un lavoro a lei, ma per fornire soldi in nero a Chisso. Anche nella Investimenti srl lei avrebbe fatto da prestanome per conto di Chisso. E poi c’è il suo segretario, Enzo Casarin. Entrambi socialisti dei vecchi tempi, Casarin era finito nei guai un sacco di volte, ma Chisso non l’aveva mai mollato. Incassava le mazzette per suo conto, dicono gli investigatori. E anche se nell’ordinanza di custodia in carcere si vede che una volta si chiama Enzo e un’altra volta Gianni – ed esistono entrambi – i magistrati sono convinti che si tratti sempre di lui e cioè di quell’ Enzo Casarin arrestato per concussione nel 1995 e poi di nuovo nei guai a metà degli anni Duemila. Insomma uno che, come dire?, ama la vita spericolata, Casarin. Nonostante tutto, infatti, secondo la Procura di Venezia continuava a fare il mestiere di collettore delle tangenti. E’ finito in carcere a Pistoia. Anche lui in isolamento. E non è l’unico che deve qualcosa a Chisso. Scrive il Gip Scaramuzza: «Chisso faceva prendere l’impegno ai vertici di Adria Infrastrutture Spa di far partecipare l’architetto Dario Lugato, suo amico, con la società Tecne Engineering, al gruppo di progettazione e di concessione della superstrada “vie del mare” prolungamento della Jesolo-Cavallino». Non basta: «Chisso faceva finanziare da Adria Infrastrutture Spa la società Territorio di Bortolo Mainardi, tramite consulenze affidate a quest’ultimno e infine chiedeva a Baita di acquisirne la proprietà onde ripianarne le perdite societarie». E, ancora: «Faceva nominare il 27 giugno 2012, Fabio Cadel, commercialista e suo amico, sindaco supplente all’interno del collogio sindacale della società Autostrade Serenissima Spa controllata dal Gruppo Mantovani». Infine: «Chiedeva ed otteneva che la società Carron Cav. Angelo venisse inserita tra le società di progetto incaricate del lavoro di costruzione della superstrada “vie del mare”.

Maurizio Dianese

 

L’INCHIESTA. La scoperta grazie ai biglietti trovati con somme e nomi dei beneficiari

COLLETTORE – Per Mazzacurati raccoglieva fondi per finanziare le campagne elettorali del partito: in 9 anni nelle sue tasche è finito mezzo milione di euro

Casarin, le sigarette prima dell’arresto

Il segretario di Chisso torna ad affrontare l’esperienza del carcere. Brentan arriva in caserma con i guanti

Impossibile sbagliare. Gli arrestati sono quelli che si accendono una sigaretta dietro l’altra. C’è la fila fuori dalla porta della Caserma Corfù della Guardia di finanza, sotto il cavalcavia di Marghera, dove si procede all’operazione di fotosegnalazione e vuol dire che ti fotografano di fronte e di profilo e ti danno il primo assaggio di quel che sarà l’ufficio matricola del carcere, dove ti prenderanno anche le impronte digitali. C’è Giampiero Marchese, che fuma fuori dal portone, il tesoriere del Pd, l’uomo che ha deciso vita morte e miracoli del partito nelle ultime due legislature, nominato a vita presidente della Fondazione che possiede gli immobili dell’ex Pci e del Pd. Marchese lo sapeva che finiva così. Lo sapeva che era una questione di tempo. Lo sapeva lui e lo sapeva tutto il partito che già aveva dovuto leccarsi le ferite ai tempi dell’arresto di Lino Brentan. Anche Brentan, ex amministratore delegato della Padova-Venezia e uomo di sempre di spicco del Pci e poi del Pd, esce dalla porta della caserma e si accende subito un “cotton fioc”, una di quelle sigarettine che uno è convinto di non fumare e invece si intossica lo stesso. Indossa guanti bianchi, Brentan, ed ha sottobraccio una giacca a vento. Forse era convinto di dover andare in galera invece che ai domiciliari e si era premunito. Su entrambi aleggia una sola domanda: parleranno? No, Marchese è come il compagno Greganti, dicono tutti, non aprirà mai bocca. Come Brentan. E se anche nel partito democratico nessuno, ma proprio nessuno, potrà dire che non sapeva, tutti danno per scontato che potranno dormire sonni tranquilli sia con Marchese che con Brentan. Peraltro è già successo, negli anni Novanta che qualcuno – Renato Morandina – si è preso tutta la colpa ed ha salvato il partito. Andrà così anche stavolta e dunque nessuno, per ora, si è rimesso a fumare. Invece Enzo Casarin, il segretario di Renato Chisso, fuma come un turco sugli scalini della caserma Corfù e poi, prima di rientrare in caserma, saluta il suo avvocato, Antonio Forza, che deve difendere sia lui che Chisso. Casarin è l’unico tranquillo, del resto per lui non è la prima volta e sa come affrontare il carcere. L’avvocato Forza è stato buttato giù dal letto alle 4 del mattino, ma fino all’ora di pranzo resta in caserma a discutere con i suoi assistiti, prima che siano portati in carcere. Dal passo Carraio della caserma esce una macchina dopo l’altra e in strada ce ne sono a decine. Del resto la Finanza ha chiamato a raccolta trecento uomini per questa mega operazione e tanti passano per gli uffici a prendere ordini e a raccogliere le ultime carte. Poi c’è chi parte tra sgommate e lampeggianti perchè deve portare gli arrestati nelle carceri di mezzo mondo e chi invece se la prende comoda perchè il lavoro, come al solito è agli inizi. Adesso bisogna mettere mano ai computer, leggere le carte, analizzare gli ipad e i telefoni.

 

Quei soldi a Marchese il tesoriere del Pd veneto

Chissà se anche Giampietro Marchese – come giurano tutti i suoi compagni di partito – farà come il compagno G e dirà che i soldi che ha ricevuto se li è tenuti tutti per sè. Primo Greganti nel 1992 raccontò a Di Pietro la storiella che i soldi che gli avevano trovato in Svizzera provenivano da una eredità e quelli che gli erano stati versati in Italia non si ricordava nemmeno chi glieli avesse dati. Farà così anche Marchese? 56 anni, jesolano, consigliere regionale in carica dopo avere ricoperto, nella passata amministrazione, il ruolo di vice presidente dell’assemblea di Palazzo Ferro Fini, Marchese è da secoli il segretario organizzativo del partito. Responsabile della Fondazione Rinascita, l’ente che gestisce il cospicuo patrimonio immobiliare del vecchio Pci, poi Pds, Ds e infine Pd: un patrimonio stimato in tre milioni di euro fra piccole sezioni di periferia e immobili di maggior prestigio in centro città. Marchese, secondo l’accusa, ha ricevuto “in bianco” nel 2010, 58mila euro di finanziamenti, ufficialmente versati da Coveco (33mila euro) e Selc (25mila euro), mentre si tratta di soldi del Consorzio. Ma il Consigliere regionale del Pd non se ne fa un gran dramma e incassa sia quelli che i soldi “in nero”. Tra i 400 e i 550mila euro, negli anni che vanno dal 2006 al 2012. Perchè il Consorzio pagava Marchese? Risponde Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio del 31 luglio 2013: «Era un funzionario della sinistra che aveva questo compito, diciamo quando c’erano i periodi delle elezioni, delle consultazioni elettorali, di reperire i fondi per.. Ecco, questo era”. Insomma Mazzacurati conferma quello che tutti sanno dentro e fuori il partito democratico e cioè che Marchese collezionava tangenti per pagare le campagne elettorali dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, dei deputati e dei senatori. Non tutti, magari, ma quelli più legati alla sua corrente, di sicuro.
Ma Piero Marchese un po’ ha pensato anche a se stesso perchè quando viene trombato alle elezioni regionali, non solo si fa nominare presidente di Ames, cioè delle farmacie comunali, ma al Consorzio chiede un posto di lavoro. Viene assunto presso la Eit Studio srl, una società nell’orbita del Coveco e quindi del Consorzio. «Dovrei lavorare dal lunedì al venerdì compreso» si lamenta Marchese. «Lascia perdere quello che c’è scritto nel contratto» lo rassicura il datore di lavoro, Franco Morbiolo.
Ma l’ordinanza racconta anche della genesi di questo filone dell’inchiesta. Tutto sarebbe partito dalla scoperta di alcuni foglietti tra la documentazione riservata del Consorzio, nascosta da una dipendente a casa dei suoi genitori. Ebbene, in uno di questi appunti, c’è una lista di somme con a fianco dei nomi: 33mila euro per Pd provinciale, per Lucio Tiozzo, per Marchese, 100mila per la Fondazione Marcianum… E così il consigliere regionale, in circa 8 anni, nella ricostruzione dell’ordinanza, riceve circa mezzo milione di euro, sempre in contanti, consegnati a mano. Una volta dallo stesso Mazzacurati in campo Santo Stefano, altre volte i pacchetti vengono portati in Regione, cosa che preoccupa il presidente.

 

IL PRESIDENTE-PADRONE «La Piva? Era reticente, convinta con i soldi…»

IL RAPPORTO La Finanza aveva rilevato «elargizioni in denaro a dirigenti e familiari» del Magistrato

La “Parentopoli” emersa fin da luglio del 2013

La Guardia di Finanza fin da luglio scorso aveva rilevato un’”opacità di rapporti” tra Magistrato alle Acque – che aveva una funzione di controllo – e il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del Mose. Con un atteggiamento di quasi totale sottomissione da parte dell’organo decentrato del Ministero dei Lavori pubblici rispetto alla cordata di imprenditori privati, concessionaria unica del Mose. Nel rapporto delle Fiamme Gialle si diceva che «grazie alle ingenti somme a disposizione riconosciute dallo Stato a titolo di “oneri accessori” il Consorzio Venezia Nuova elargiva ingenti compensi in denaro o in altra natura a propri dirigenti e collaboratori nonchè a parenti e affini di questi ultimi, secondo una gestione quasi “familiare” dell’impresa ad opera di Mazzacurati».
Che comunque si è dimesso dalla carica di presidente e direttore del Consorzio – per motivi di salute – un paio di settimane prima che i finanzieri gli suonassero il campanello per arrestarlo nell’estate del 2013.
I finanzieri già all’epoca citavano compensi riconosciuti a Luciano Neri, tra gli arrestati di ieri, oltre a incarichi dispensati ai figli di Mazzacurati, alla moglie, alla figlia di lei e a suo marito.
Ce n’era per tutti, compresa la figlia del commercialista Francesco Giordano, arrestato ieri, la figlia dell’ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, assistente alla direzione di Thetis. Venivano citati l’ex direttore amministratore delegato Maria Teresa Brotto e anche il marito di lei, direttore di uno studio di progettazione del quale il Consorzio Venezia Nuova si avvale come consulente.
Ma come il Consorzio anche Thetis ora ha voltato pagina, dopo le dimissioni di Brotto che è tornata al Consorzio Venezia Nuova come responsabile del servizio progettazione delle opere alle Bocche di Porto.

 

TERREMOTO SUL MOSE – Un aereo privato a disposizione per un viaggio da 21 mila euro

«Piva e Cuccioletta a libro paga»

Soldi, assunzioni di parenti, favori: così per l’accusa Mazzacurati controllava il Magistrato alle acque

«Scusate non posso venire con voi, ho una riunione improrogabile». L’ex presidente del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva, ieri mattina probabilmente non aveva capito che i finanzieri la stavano per portare al carcere femminile della Giudecca. L’accusa formulata nei suoi confronti dalla Procura di Venezia, così come nei confronti del suo successore, Patrizio Cuccioletta, è di corruzione, in relazione a presunte somme di denaro che i due dirigenti avrebbero percepito tra il 2007 e il 2012-2013 per agevolare l’opera del Consorzio Venezia Nuova. I due, secondo i pm Ancilotto, Buccini e Tonini, erano regolarmente “stipendiati” dalla società presieduta da Giovanni Mazzacurati, impegnata nella realizzazione del Mose. Entrambi avrebbero ricevuto 400mila euro all’anno, oltre ad altre somme e prebende: alla Piva viene contestato l’incarico per un collaudo di opere all’ospedale di Mestre, retribuito per 327mila euro, ottenuto grazie a Mazzacurati e al presidente della società Mantovani, Piergiorgio Baita. A Cuccioletta viene contestato anche un bonifico di 500mila euro che Mazzacurati effettuò sul suo conto in Svizzera quando era già in pensione (come ringraziamento per l’approvazione di uno studio di prova per un cassone di Malamocco effettuato da Fincosit), nonché l’assunzione della figlia (prima con un contratto a progetto per il Consorzio, poi come dipendente di Thetis spa, società controllata dal Consorzio) e un contratto da 38mila euro al fratello architetto tramite il Coveco.
«Abbiamo investito questi soldi perché la cosa funzionasse il più radipamente possibile», ha spiegato Mazzacurati ai magistrati veneziani. Per poi aggiungere: «La signora Piva ci ha dimostrato subito una pesante ostilità a suo tempo e quella noi l’abbiamo corretta con… portandole dei soldi, insomma».
I due presidenti sono stati a lungo a libro paga del Consorzio, scrive la Procura. Al momento del pensionamento è lo stesso Cuccioletta a chiedere a Mazzacurati: «Scusate, non mi date nulla per la chiusura di questa roba, è il più grande progetto al mondo…» Il Consorzio era così legato a Cuccioletta che nel maggio del 2010, per consentirgli di partecipare ad un convegno organizzato da Galan a Venezia mentre si trova in vacanza, Mazzacurati gli mise a disposizione un aereo privato per arrivare in tempo in città e per poter poi rientrare a Malaga in serata: il tutto per la modica somma di 21 mila euro. In precedenza, nel novembre del 2009, il Consorzio aveva offerto la cena di compleanno per la moglie di Cuccioletta, ospitando all’Harry’s bar 10 persone per un importo complessivo (evidentemente con lo sconto) di 902 euro.
In carcere assieme a Piva e Cuccioletta è finita anche Maria Teresa Brotto, dirigente del Consorzio e di Thetis, che sarebbe stata delegata dai due presidenti di occuparsi di tutto.
Poi ci sono altri pubblici funzionari accusati di corruzione per episodi di minor rilievo: a Giovanni Artico, delegato per la Regione Veneto dell’emergenza ambientale nei canali portuali (in carcere), viene contestato di aver fatto assumere la figlia come impiegata in una società controllata dalla Mantovani e di aver fatto ottenere un avvocato suo amico una consulenza per il gruppo di Baita.
Giuseppe Fasiol, commissario straordinario al settore trasporti della Regione, è finito in carcere per una serie di collaudi (per compensi totali di circa 15mila euro) che gli sarebbero stati attribuiti come ringraziamento per aver accelerato l’iter di alcuni projec financing della Mantovani.
Ai domiciliari, invece, l’ex magistrato della Corte dei conti, Vittorio Giuseppone, che è accusato di essere stato stipendiato dal Consorzio venezia Nuova, tra il 2000 e il 2008 (3-400mila euro all’anno), per accelerare le registrazioni delle convenzioni da cui dipendevano l’erogazione dei finanziamenti concessi al Mose e per ammorbidire l’attività della sezione controllo della Corte dei conti.

Gianluca Amadori

 

NICOLA FALCONI – Il presidente è anche console di Finlandia e imprenditore

IL MAGISTRATO ALLE ACQUE – Roberto Daniele: «Se ci sono stati errori nel passato vanno perseguiti»

CHI SONO I VENEZIANI COINVOLTI – Agli arresti anche Brentan e il “capo” dell’Ente gondola

Oltre ai tre dirigenti della Regione, figura l’architetto Lugato del Palais Lumiere. Arrestata l’ex ad di Thetis, Maria Brotto

L’ingegner Roberto Daniele è presidente del Magistrato alle Acque dall’estate scorsa, una personalità schiva e che non ama apparire.
«Non ho molto da commentare – riferisce a proposito degli arresti dei suoi predecessori – per ora so che abbiamo contratti e convenzioni con il Consorzio Venezia Nuova da rispettare, e questo e solo questo dobbiamo fare. Se ci sono stati degli errori nel passato spetta alla Magistratura accertarlo. E abbiamo piena fiducia che la verità verrà a galla».
Daniele è stato nominato ad agosto del 2013 alla sede di Venezia dapprincipio come reggente ad interim, mentre manteneva anche l’incarico di Provveditore delle opere pubbliche del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ma ora è a tutti gli effetti operativo a Venezia come Magistrato alle Acque.
Quello che era apparso strano da parte del Governo, che l’anno scorso era in fase di rimpasto, era che una carica così prestigiosa e importante come la figura del Presidente del Magistrato alle Acque, incaricato del controllo tecnico su un’opera unica al mondo e in fase ormai di ultimazione, rimanesse vacante per parecchi mesi, dopo il pensionamento del precedente presidente, Ciriaco d’Alessio, peraltro già preventivato fin dall’atto del suo insediamento.
E la sede veneziana di Palazzo Dieci Savi era stata lasciata senza una guida dalla fine di aprile all’inizio di agosto, in pieno periodo di ferie.
Nel mezzo le dimissioni del numero uno del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, il terremoto giudiziario a seguito degli interrogatori di Piergiorgio Baita e il completo rinnovamento del management del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico della realizzazione del Mose. Daniele si è trovato quindi a gestire la delicata transizione anche del personale del Magistrato tra la vecchia e la nuova gestione del Consorzio.

 

NUOVO CORSO – Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova ha dato vita a una njuova gestione dell’associazione di imprese che lavora al Mose

L’OPERA DISCONTINUITÀ CON IL PASSATO «Piena fiducia nell’operato della Magistratura. Le responsabilità personali vanno distinte»

Il Consorzio Venezia Nuova: «Il Mose dev’essere completato»

Il Consorzio Venezia Nuova tenta di guardare avanti, dopo la volontà di completo rinnovamento del management dell’estate scorsa proprio alla luce dalla prima tranche delle indagini che avevano portato all’arresto del presidente e direttore generale Giovanni Mazzacurati.
Tenendo conto che proprio dal successivo consiglio di amministrazione le due cariche sono state distinte.
«Le vicende del passato non devono fermare l’opera» è il concetto che viene espresso alla notizia dei nuovi arresti di politici e imprenditori.
«Va respinto qualunque tentativo di fermare il Mose, un’opera che ad oggi ha superato l’80% del suo completamento, ed è ormai totalmente finanziata».
Il Consorzio difende l’opera “frutto della genialità e dell’eccellenza italiana”; “prende atto, con la serenità e la trasparenza che gli deriva dalla discontinuità già pienamente realizzata che si tratta del proseguimento del lavoro svolto dalla Procura di Venezia, che vede lo stesso Consorzio come parte offesa” e afferma la propria estraneità ai fatti oggetto delle indagini in corso ribadendo la propria disponibilità a collaborare con tutte le autorità preposte affinché si faccia piena luce.
Il Consorzio continua a dichiararsi parte offesa nella vicenda e sostiene di aver provveduto al rinnovo dell’organismo di Vigilanza, nella revisione delle spese per consulenza, contratti e sponsorizzazioni. In particolare auspica che saranno tenute distinte in tutto e per tutto dall’opera eventuali responsabilità personali che dovessero essere accertate e sottolinea che, nella sua veste di concessionario, si atterrà scrupolosamente alle direttive del Governo, titolare della proprietà dell’opera.

 

TERREMOTO IN LAGUNA – Un giro vorticoso di false fatturazioni scoperto grazie a una chiavetta Usb

LE CIFRE – Denaro fantasma per sei milioni documentato dalla Finanza

I SOLDI – In Austria i fondi per gli acquisti di materiale dalla Croazia

Un’inchiesta che a Venezia ha lasciato il segno, coinvolgendo personaggi molti noti. Tra gli arrestati figurano i nomi di tre dipendenti della Regione, Giovanni Artico, stretto collaboratore di Renato Chisso e attuale commissario straordinario (di nomina regionale) per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera, Giuseppe Fasiol Commissario alla Riforma Settore Trasporti della Regione del Veneto e in pole position per la carica di presidente della commissione regionale per la Valutazione di impatto ambientale, Enzo Casarin, capo della segreteria di Chisso: tutti e tre sono stati cautelativamente sospesi dal servizio su indicazione del presidente della Regione Luca Zaia.
Agli arresti domiciliari c’è Nicola Falconi, 52 anni socio della Sitmar sub, una cooperativa che si occupa di interventi di ricerca a profondità elevata, in particolare per le aree dell’Adriatico che successivamente alla bonifica bellica, devono essere sfruttate per estrazioni di sabbie fossili. È anche console onorario della Finlandia a Venezia e presidente dell’Ente gondola.
C’è anche un architetto, Dario Lugato, 60 anni il cui nome è conosciuto perchè legato al progetto della ristrutturazione dell’hotel Santa Chiara a Piazzale Roma, oltre che all’ormai tramontato progetto della torre di Pierre Cardin a Marghera.
E poi Andrea Rismondo 52 anni titolare della Selc, azienda di studi ambientali di Marghera che tra l’altro si è occupato anche della realizzazione delle tegnue dell’Alto Adriatico.
In manette anche Maria Brotto, ex amministratore delegato di Thetis, ora ingegnere capo responsabile del servizio di progettazione delle Bocche di Porto per il Consorzio Venezia Nuova.
Tra gli ex del Consorzio anche [………………], Stefano Tomarelli commercialista e membro del Consorzio, Federico Sutto, dipendente del Consorzio.
Lino Brentan, di Campolongo, ex ad dell’autostrada Padova-Venezia, è un altro dei nomi noti che figurano nella lista degli arrestati per la vicenda Mose, che finora non lo aveva visto coinvolto.
Tra gli indagati c’è Luigi Dal Borgo, 68 anni imprenditore bellunese titolare di una miriade di società tra cui la Nsa, Non solo Ambiente, azienda specializzata in tubi di ghisa con sede a Marghera in via Fratelli Bandiera che è lo stesso indirizzo di Servizi e Tecnologie Ambientali, la società del consulente della Mantovani Mirco Voltazza, già indagato nel precedente filone d’inchiesta.

Monica Andolfatto

 

IN PROVINCIA – Il presidente della cooperativa Coveco è stato prelevato all’alba nella sua abitazione

Sconcerto a Cona per l’arresto: «Morbiolo non si è arricchito»

CONA – In paese ieri mattina nessuno voleva credere all’arresto di Franco Morbiolo, 59 anni, originario di Cavarzere e presidente di Coveco, cooperativa impegnata nel progetto di costruzione del Mose. I carabinieri, arrivati con due volanti, hanno suonato alle prime ore dell’alba il campanello della casa in via don Giovanni Bosco dove l’imprenditore abita con la moglie.
Un fulmine a ciel sereno, vista la stima che i concittadini hanno per l’uomo che vive in condizioni modeste. Niente faceva pensare al suo coinvolgimento nella nuova Tangentopoli veneziana. «Ma dove ha nascosto i soldi?», è la domanda che in molti si sono fatti. Già perché Morbiolo non ha cambiato stile di vita. «Non si è comprato l’automobile nuova, né si è rifatto il guardaroba o è andato in vacanza all’estero», afferma chi lo conosce.
D’altronde sarebbe difficile passare inosservati nel piccolo Comune a sud della provincia veneziana, che conta poco più di tremila anime. L’uomo è sempre stato considerato da tutti in paese come una brava persona, dedita al lavoro e abbastanza schiva. Anche per questo in molti stentano a credere in un suo coinvolgimento nell’inchiesta che ha portato al suo arresto. In primis il neo-sindaco di Cona, Alberto Panfilio, eletto poco più di una settimana fa.
«Lo conosco come un lavoratore onesto», afferma il primo cittadino. «Sono garantista e lo sono ancora di più nei confronti di un avversario politico». Morbiolo, alle ultime elezioni comunali, si era candidato nella lista di Dario Battistini “Cambiare per Cona”, ottenendo 17 preferenze. «Una persona, fino al giudizio definitivo, rimane innocente», continua il sindaco, che aggiunge: «Lavorare con gli appalti pubblici può portare a dei controlli, ma non vuol dire essere colpevoli. Mi sembra politicamente scorretto cavalcare questo cavallo di battaglia per screditare gli avversari».
Ma non è la prima volta che il nome di Franco Morbiolo attira l’attenzione degli inquirenti. L’anno scorso alcune sue conversazioni sugli appalti del Mose erano state oggetto di intercettazione e lo stesso imprenditore era andato spontaneamente dalla pm Paola Tonini a spiegare la sua posizione.

Filippo Greggio

 

I fondi neri degli ex sabbionanti

Sotto esame i lavori svolti dalla Cooperativa San Martino alla Bocca di porto di Chioggia

Due inchieste. Una nata a Venezia, che vede coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, l’altra nata a Chioggia che parte da una verifica fiscale a una cooperativa, la San Martino. In entrambi i casi si tratta di una indagine su un giro vorticoso di fatture false. Nel caso di Chioggia il giro è generato dalla Cooperativa San Martino, impresa di costruzioni con sede amministrativa in via dei Maestri del Lavoro in località Val da Rio e sede legale a Marghera in via Galvani. Non a caso fra i sette finiti agli arresti già al primo colpo – nel luglio dello scorso anno – ci sono i due amministratori di fatto, Mario Boscolo Bacheto, di 68 anni, e Stefano Boscolo Bacheto, di 46 anni, residenti a Sottomarina, il primo in via Giovanni da Verrazzano, il secondo sul Lungomare Adriatico. È questa l’inchiesta che ha scoperchiato il sistema degli appalti “pilotati” dal Consorzio Venezia Nuova. Tutto è nato da una “banale” verifica fiscale alla Coop San Martino datata 2009, quando l’azienda è impegnata nella realizzazione del Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e parancole che la Coop acquista in Croazia con tanto di fatture. Gonfiate. O meglio, attive per operazioni inesistenti. Questa la contestazione formulata. Se ad esempio l’importo era cento, di fatto il pagato era ottanta. Uno stratagemma che le Fiamme gialle hanno rendicontato, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre sei milioni di euro di “denaro fantasma”. Di reale c’era solo il conto corrente in Austria dove veniva depositato attraverso due società cartiere, la Istra Impex HgmbH con sede a Villach consistente in un mero ufficio e la Corina di Mestre ora in liquidazione. E i viaggi che ogni tanto i Boscolo – stando a quanto emerso – effettuavano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portavano? A chi serviva? Sono domande che un anno fa erano rimaste senza risposta, anche se tutti sospettavano quel che adesso si è scoperto e cioè che i soldi in nero finivano in mazzette per i politici. A inchiodare i vertici della Coop San Martino la chiavetta Usb affidata alla segretaria trovata dai militari del colonnello della Finanza Renzo Nisi contenente file dettagliati di tutta la “contabilità parallela”. Allora questa inchiesta di Chioggia sembrava la fotocopia dell’inchiesta che nel marzo 2013 aveva portato in cella l’allora presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita. Anche in quel caso si trattava della scoperta di società “cartiere” che servivano solo a creare il “nero” necessario a foraggiare i politici. Poi le due inchieste – quella di Chioggia coordinata dal giudice Paola Tonini e quella di Venezia guidata dal pm Stefano Ancillotto – erano state riunite in un unico filone che ha portato alla retata di ieri. Che ha rimesso le manette ai polsi dei chioggiotti.
La Cooperativa San Martino è una delle imprese insieme alla Coedmar e alla Mantovani a cui nella primavera del 2011 l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, chiede di non partecipare a un appalto da 12 milioni di euro per scavi nei canali portuali, in modo da lasciare campo libero ad una cordata di piccole imprese, capeggiate dalla Lmd di Roberto Boscolo Anzoletti. Ed è proprio quell’accordo, ritenuto in violazione della legge, che farà finire sotto inchiesta per turbativa d’asta lo stesso Mazzacurati, posto ai domiciliari il 12 luglio 2013 e rimesso in libertà prima di Ferragosto.
Accordo che non venne rispettato dal Coveco di Franco Morbiolo, scatendo la reazione rabbiosa di Mazzacurati. Per Morbiolo l’arresto è scattato ieri.

 

IL SINDACO «Sono garantista, è un lavoratore onesto»

LA SOCIETÀ – Nata dopo l’alluvione del ’66 che mise in ginocchio la laguna

IL SINDACO – Casson: «Sono sconcertato, ma confidiamo nella giustizia»

L’ITER GIUDIZIARIO – Un unico filone per le due inchieste avviate dalla magistratura veneziana

FALSE FATTURE In manette Stefano Boscolo Bacheto e Gianfranco Boscolo Contadin. E ci sono altri due indagati

Due inchieste. Una nata a Venezia, che vede coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, l’altra nata a Chioggia che parte da una verifica fiscale a una cooperativa, la San Martino. In entrambi i casi si tratta di una indagine su un giro vorticoso di fatture false. Nel caso di Chioggia il giro è generato dalla Cooperativa San Martino, impresa di costruzioni con sede amministrativa in via dei Maestri del Lavoro in località Val da Rio e sede legale a Marghera in via Galvani. Non a caso fra i sette finiti agli arresti già al primo colpo – nel luglio dello scorso anno – ci sono i due amministratori di fatto, Mario Boscolo Bacheto, di 68 anni, e Stefano Boscolo Bacheto, di 46 anni, residenti a Sottomarina, il primo in via Giovanni da Verrazzano, il secondo sul Lungomare Adriatico. È questa l’inchiesta che ha scoperchiato il sistema degli appalti “pilotati” dal Consorzio Venezia Nuova. Tutto è nato da una “banale” verifica fiscale alla Coop San Martino datata 2009, quando l’azienda è impegnata nella realizzazione del Mose alla bocca di porto di Chioggia. Servono “sassi” e parancole che la Coop acquista in Croazia con tanto di fatture. Gonfiate. O meglio, attive per operazioni inesistenti. Questa la contestazione formulata. Se ad esempio l’importo era cento, di fatto il pagato era ottanta. Uno stratagemma che le Fiamme gialle hanno rendicontato, almeno fino al 2004, per un importo complessivo di oltre sei milioni di euro di “denaro fantasma”. Di reale c’era solo il conto corrente in Austria dove veniva depositato attraverso due società cartiere, la Istra Impex HgmbH con sede a Villach consistente in un mero ufficio e la Corina di Mestre ora in liquidazione. E i viaggi che ogni tanto i Boscolo – stando a quanto emerso – effettuavano oltre il confine di Tarvisio per prelevare il contante. A chi lo portavano? A chi serviva? Sono domande che un anno fa erano rimaste senza risposta, anche se tutti sospettavano quel che adesso si è scoperto e cioè che i soldi in nero finivano in mazzette per i politici. A inchiodare i vertici della Coop San Martino la chiavetta Usb affidata alla segretaria trovata dai militari del colonnello della Finanza Renzo Nisi contenente file dettagliati di tutta la “contabilità parallela”. Allora questa inchiesta di Chioggia sembrava la fotocopia dell’inchiesta che nel marzo 2013 aveva portato in cella l’allora presidente della Mantovani Spa Piergiorgio Baita. Anche in quel caso si trattava della scoperta di società “cartiere” che servivano solo a creare il “nero” necessario a foraggiare i politici. Poi le due inchieste – quella di Chioggia coordinata dal giudice Paola Tonini e quella di Venezia guidata dal pm Stefano Ancillotto – erano state riunite in un unico filone che ha portato alla retata di ieri. Che ha rimesso le manette ai polsi dei chioggiotti.
La Cooperativa San Martino è una delle imprese insieme alla Coedmar e alla Mantovani a cui nella primavera del 2011 l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, chiede di non partecipare a un appalto da 12 milioni di euro per scavi nei canali portuali, in modo da lasciare campo libero ad una cordata di piccole imprese, capeggiate dalla Lmd di Roberto Boscolo Anzoletti. Ed è proprio quell’accordo, ritenuto in violazione della legge, che farà finire sotto inchiesta per turbativa d’asta lo stesso Mazzacurati, posto ai domiciliari il 12 luglio 2013 e rimesso in libertà prima di Ferragosto.
Accordo che non venne rispettato dal Coveco di Franco Morbiolo, scatendo la reazione rabbiosa di Mazzacurati. Per Morbiolo l’arresto è scattato ieri.

Raffaella Vittadello

 

CONA – In paese ieri mattina nessuno voleva credere all’arresto di Franco Morbiolo, 59 anni, originario di Cavarzere e presidente di Coveco, cooperativa impegnata nel progetto di costruzione del Mose. I carabinieri, arrivati con due volanti, hanno suonato alle prime ore dell’alba il campanello della casa in via don Giovanni Bosco dove l’imprenditore abita con la moglie.
Un fulmine a ciel sereno, vista la stima che i concittadini hanno per l’uomo che vive in condizioni modeste. Niente faceva pensare al suo coinvolgimento nella nuova Tangentopoli veneziana. «Ma dove ha nascosto i soldi?», è la domanda che in molti si sono fatti. Già perché Morbiolo non ha cambiato stile di vita. «Non si è comprato l’automobile nuova, né si è rifatto il guardaroba o è andato in vacanza all’estero», afferma chi lo conosce.
D’altronde sarebbe difficile passare inosservati nel piccolo Comune a sud della provincia veneziana, che conta poco più di tremila anime. L’uomo è sempre stato considerato da tutti in paese come una brava persona, dedita al lavoro e abbastanza schiva. Anche per questo in molti stentano a credere in un suo coinvolgimento nell’inchiesta che ha portato al suo arresto. In primis il neo-sindaco di Cona, Alberto Panfilio, eletto poco più di una settimana fa.
«Lo conosco come un lavoratore onesto», afferma il primo cittadino. «Sono garantista e lo sono ancora di più nei confronti di un avversario politico». Morbiolo, alle ultime elezioni comunali, si era candidato nella lista di Dario Battistini “Cambiare per Cona”, ottenendo 17 preferenze. «Una persona, fino al giudizio definitivo, rimane innocente», continua il sindaco, che aggiunge: «Lavorare con gli appalti pubblici può portare a dei controlli, ma non vuol dire essere colpevoli. Mi sembra politicamente scorretto cavalcare questo cavallo di battaglia per screditare gli avversari».
Ma non è la prima volta che il nome di Franco Morbiolo attira l’attenzione degli inquirenti. L’anno scorso alcune sue conversazioni sugli appalti del Mose erano state oggetto di intercettazione e lo stesso imprenditore era andato spontaneamente dalla pm Paola Tonini a spiegare la sua posizione.

Filippo Greggio

 

Chioggia, la bufera investe i “maestri” delle opere idrauliche

Com’era prevedibile, i venti della bufera giudiziaria sul Mose sono arrivati fino a Chioggia. Quattro le persone coinvolte nell’inchiesta. Due gli arrestati: Stefano Boscolo Bacheto di 47 anni e Gianfranco Boscolo Contadin detto Flavio di 75 anni. Due invece gli indagati: Dante Boscolo Contadin di 66 anni e il trentenne Andrea Boscolo Cucco. Quasi tutti sono imprenditori molto conosciuti in città, che operano da anni e con successo nel mondo delle opere marittime e idrauliche. Gianfranco Boscolo Contadin è direttore tecnico e procuratore generale della Nuova CoEdMar. Nata nel dopoguerra, negli ultimi anni si è specializzata nelle costruzioni marittime e fluviali, nelle bonifiche e nelle opere speciali, lavora quasi esclusivamente per committenti pubblici (spesso negli interventi in accordo di programma tra Magistrato alle acque e Comune) e collabora con numerosi dipartimenti universitari. Alla Nuova CoEdMar lavora anche Dante Boscolo Contadin. Secondo la Procura i due, in concorso tra loro, emettevano fatture per operazioni inesistenti per permettere al Consorzio Venezia Nuova l’evasione delle imposte sui redditi e sull’Iva. Stefano Boscolo Bacheto è invece uno dei consiglieri della cooperativa San Martino. Secondo l’accusa avrebbe finanziato, nel 2010, la campagna elettorale del futuro sindaco di Venezia Giorgio Orsoni dando 110 mila euro. Nata nel 1966 dopo l’alluvione che mise in ginocchio Venezia e Chioggia la cooperativa San Martino, si è specializzata nella realizzazione di opere edili marittime proprio per dare un contributo alla salvaguardia dell’ambiente lagunare. Tra i cantieri più importanti dell’ultimo periodo vanta proprio quello del Mose di cui sta realizzando le paratie mobili alla bocca di porto di Chioggia. «Sono rimasto molto colpito da quanto successo – afferma il sindaco Giuseppe Casson – notizie che lasciano sempre sconcertati. Confidiamo nella giustizia. Fino a quando non c’è la condanna si deve sempre tenere conto della presunzione di innocenza, quindi diamo tempo al tempo e attendiamo gli sviluppi della Magistratura».

 

LE REAZIONI – La Uil: «Garantire le opere». La Cgil: «È uno sfregio»

AMBIENTE VENEZIA «Bloccare e riconvertire il sistema del Mose»

Venessia.com affida alla rete i commenti in diretta e i cittadini impazzano

Italia Nostra: «Denunce inascoltate». Adico: «Ci costituiamo parte civile»

La rabbia su Facebook «Un sistema marcio Venezia se ne liberi»

«Non si tratta di una responsabilità individuale ma di un sistema marcio e corrotto che deve essere estirpato dalla città, sia attraverso un approfondimento dell’attività giudiziaria, ma soprattutto attraverso la risposta politica della cittadinanza che oggi deve essere chiamata alla responsabilità e al cambiamento». Così Venessia.com ha affidato alla rete i commenti in diretta della notizia che ha fatto tremare Venezia. L’associazione attiva su Facebook ha preso atto “con soddisfazione dell’operazione svolta dalla Magistratura con la GdF che ha decapitato in un solo giorno metà dei vertici politici locali e regionali di entrambi gli schieramenti politici”, pur nella convinzione che si tratti dello specchio “di una situazione molto più grave di quanto i cittadini si potevano immaginare, che merita di essere approfondita e analizzata”. E il popolo dei social network è pronto a seguire sugli smartphone gli sviluppi delle indagini.
Tutta la città si è sbizzarrita nel commentare la notizia: come Italia Nostra che ha denunciato “non sono mai state ascoltate le nostre denunce sulla scelta del progetto del Mose e del metodo, ora si ripropone un sistema identico per le grandi navi”.
Il movimento Ambiente Venezia sottolinea che le indagini “sveleranno le coperture e connivenze di una politica sempre più distante dai reali interessi e controlli pubblici” e si meraviglia perchè “si persevera e si proseguono i lavori alle bocche di porto senza alcuna pausa di riflessione volta a bloccare prima e riconvertire conseguentemente il sistema Mose”.
Il movimento consumatori Adico, invece, annuncia la costituzione di parte civile tramite il presidente Carlo Garofolini visto che si tratta di “un’opera pubblica che ha cambiato per sempre i connotati del nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno anche questo probabilmente lo sapremo presto”. Stessa posizione del Codacons, il cui presidente Carlo Rienzi ricorda che 10 anni fa “furono portate all’attenzione della magistratura alcune violazioni commesse nella procedura di approvazione del Mose, denunciammo l’assenza della valutazione di impatto ambientale indispensabile per opere di questa portata e l’immane spreco di soldi pubblici che il Mose avrebbe comportato senza risolvere il problema dell’acqua alta”.
Diverso il punto di vista dei sindacati: Gerardo Colamarco della Uil Veneta si augura che l’inchiesta “non metta in discussione la realizzazione delle grandi opere”, Roberto Montagner, segretario generale della Cgil considera il sistema di corruzione a Venezia come uno “sfregio” alla città, che va estirpato e invita a mettere in atto misure preventive per garantire trasparenza e legalità negli appalti. “In particolare l’arresto del commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera Giovanni Artico non può paralizzare il blocco delle bonifiche” e si appella al presidente del Consiglio perchè sia data continuità. Infine il rappresentante di Usb Giampiero Antonini chiede che vengano affrontate in maniera trasparente tutte le questioni all’ordine del giorno della città, dal Casinò al bilancio del Comune, dal trasporto pubblico ai servizi sociali.

 

LA POLITICA – I partiti chiedono un cambio e maggiore trasparenza

Uno scossone a tutta la politica veneziana, che ieri ha commentato la vicenda dando fondo a note affidate a uffici stampa o a comunicati più o ufficiali.
L’eurodeputato Andrea Zanoni chiede una legge che preveda un controllo speciale degli appalti pubblici nelle grandi opere, mentre il consigliere comunale 5 Stelle Gianluigi Placella sottolinea, senza esprimere condanne a priori, che “avevamo ragione ad avere dei dubbi e a chiedere chiarimenti sul modo in cui funzionano gli appalti nella nostra città” facendo riferimento alla concessione della Scuola grande della Misericordia, dell’ex Umberto I a Mestre, del Fondaco dei Tedeschi.
Il parlamentare Emanuele Prataviera e il consigliere comunale leghista Giovanni Giusto lanciano l’appello a risanare quanto accaduto, per riconquistare Venezia e per fare in modo che “gli unici interessi degli amministratori siano il futuro di Venezia e dei Veneziani”.
I Verdi europei Monica Frassoni e Luana Zanella hanno annunciato la presentazione di un’interrogazione urgente al parlamento di Bruxelles in cui paragonano il Mose e l’Expo un abbraccio fatale tra opere inutili e corruzione.
Il partito comunista dei lavoratori non entra nel merito delle responsabilità dei singoli, ma parla di “usuale funzionamento dell’attuale sistema economico: chiunque governi in un quadro capitalistico non può farlo che nell’interesse della classe dominante”.
I deputati del Pd si dichiarano “sconcertati” e stupiti, oltre che amareggiati dal punto di vista umano per il coinvolgimento del sindaco Giorgio Orsoni mentre il segretario dell’Idv Veneto Alessandro Pesavento chiede che il Pd faccia chiarezza, preoccupato che “il sistema politico-affaristico-corrotto coinvolga in misura trasversale le principali forze politiche che governano la nostra regione”.

 

Zaccariotto «Sono rimasta esterrefatta dalla notizia»

«Sono rimasta esterrefatta per quanto accaduto, e prendo atto che c’è un’indagine in corso».
Così si è espressa Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia, alla notizia dell’inchiesta della Procura della Repubblica che ha portato agli arresti eccellenti da parte della Guardia di Finanza, tra cui anche personaggi di spicco della politica e dell’imprenditoria veneta.
«Mi colpisce soprattutto da un punto di vista umano, perché si tratta di persone che conosco bene – ha proseguito la presidente, in un comunicato diramato in mattinata – e mi auguro che tutto si possa risolvere nel migliore dei modi per loro e per le loro famiglie, e anche nell’interesse dei cittadini e della città di Venezia».

 

L’APPELLO «Certezza e sicurezza per i cittadini»

«Non si tratta di una responsabilità individuale ma di un sistema marcio e corrotto che deve essere estirpato dalla città, sia attraverso un approfondimento dell’attività giudiziaria, ma soprattutto attraverso la risposta politica della cittadinanza che oggi deve essere chiamata alla responsabilità e al cambiamento». Così Venessia.com ha affidato alla rete i commenti in diretta della notizia che ha fatto tremare Venezia. L’associazione attiva su Facebook ha preso atto “con soddisfazione dell’operazione svolta dalla Magistratura con la GdF che ha decapitato in un solo giorno metà dei vertici politici locali e regionali di entrambi gli schieramenti politici”, pur nella convinzione che si tratti dello specchio “di una situazione molto più grave di quanto i cittadini si potevano immaginare, che merita di essere approfondita e analizzata”. E il popolo dei social network è pronto a seguire sugli smartphone gli sviluppi delle indagini.
Tutta la città si è sbizzarrita nel commentare la notizia: come Italia Nostra che ha denunciato “non sono mai state ascoltate le nostre denunce sulla scelta del progetto del Mose e del metodo, ora si ripropone un sistema identico per le grandi navi”.
Il movimento Ambiente Venezia sottolinea che le indagini “sveleranno le coperture e connivenze di una politica sempre più distante dai reali interessi e controlli pubblici” e si meraviglia perchè “si persevera e si proseguono i lavori alle bocche di porto senza alcuna pausa di riflessione volta a bloccare prima e riconvertire conseguentemente il sistema Mose”.
Il movimento consumatori Adico, invece, annuncia la costituzione di parte civile tramite il presidente Carlo Garofolini visto che si tratta di “un’opera pubblica che ha cambiato per sempre i connotati del nostro territorio e quale sarà l’entità reale del danno anche questo probabilmente lo sapremo presto”. Stessa posizione del Codacons, il cui presidente Carlo Rienzi ricorda che 10 anni fa “furono portate all’attenzione della magistratura alcune violazioni commesse nella procedura di approvazione del Mose, denunciammo l’assenza della valutazione di impatto ambientale indispensabile per opere di questa portata e l’immane spreco di soldi pubblici che il Mose avrebbe comportato senza risolvere il problema dell’acqua alta”.
Diverso il punto di vista dei sindacati: Gerardo Colamarco della Uil Veneta si augura che l’inchiesta “non metta in discussione la realizzazione delle grandi opere”, Roberto Montagner, segretario generale della Cgil considera il sistema di corruzione a Venezia come uno “sfregio” alla città, che va estirpato e invita a mettere in atto misure preventive per garantire trasparenza e legalità negli appalti. “In particolare l’arresto del commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera Giovanni Artico non può paralizzare il blocco delle bonifiche” e si appella al presidente del Consiglio perchè sia data continuità. Infine il rappresentante di Usb Giampiero Antonini chiede che vengano affrontate in maniera trasparente tutte le questioni all’ordine del giorno della città, dal Casinò al bilancio del Comune, dal trasporto pubblico ai servizi sociali.

 

«Evitiamo il tracollo della città»

Le categorie produttive sollecitano chiarezza ma sono preoccupate dall’ipotesi del commissariamento

La sensazione più comune è lo stupore. Ma la preoccupazione maggiore è che la città con questa inchiesta possa affondare ancora di più e finire in balia di se stessa. Reazioni piuttosto simili tra le categorie cittadine. Claudio Scarpa, direttore dell’Ava (Associazione veneziana albergatori): «È stato un giorno triste per tutta la città il cui nome esce infangato – dice – È il momento in cui la classe dirigente politica locale deve prendere atto di un cambiamento e procedere ad un rinnovamento che salvaguardi quanto di buono è stato fatto fino ad ora, ma che rinnovi profondamente il modo di governare la città. Se commissariamento fosse, ripartiamo da zero, necessitiamo di volti nuovi, onesti e puliti, ma soprattutto che abbiano già dimostrato la loro competenza. Lo dice uno che ha votato Pd». «Non mi sembra corretto fare commenti su una cosa i cui contorni non sono ben chiari – è il parere di Gianni De Checchi di Confartigianato Venezia – Penso, però, che questa martoriata città non meriti di subire un ulteriore colpo nei suoi aspetti politici e amministrativi in un momento così delicato. Quindi spero che ci sia la possibilità di trovare la giusta serenità per dare certezza e sicurezza ai cittadini e che i partiti coinvolti sappiano reagire con serenità». «Sono sconcertato, soprattutto per il coinvolgimento del sindaco – dichiara Maurizio Franceschi, segretario di Confesercenti Veneto – Questa rischia di diventare un ulteriore colpo alla credibilità della politica che con le ultime elezioni europee. C’è preoccupazione per un Paese che continua a vivere di corruzione. Mi sorprende molto la questione del sindaco, anche con le ricadute su tutta l’attività amministrativa con lo sforzo che si stava facendo. Serve comunque una nuova classe dirigente, e il fatto morale deve diventare il requisito principale. Si ho votato anche io questa classe politica veneziana, e sì forse serve qualche faccia nuova per avere maggiore credibilità in futuro».
«Stupisce il coinvolgimento di Orsoni anche se c’è una bella differenza tra finanziamento illecito e corruzione – è l’opinione di Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia Mestre – Umanamente mi spiace molto per Renato Chisso e anche comunque per Galan. Però, ora capisco perché quando ero in Consiglio regionale e facevamo difficoltà a rifinanziare le manutenzioni del Mose, qualcun altro non si preoccupava poi così tanto. Venezia che fine rischia di fare? Non conosco la normativa. La disgrazia più grande è il commissariamento. Quindi penso che la cosa più giusta sia non togliere la possibilità di avere ancora una guida con Sandro Simionato, una persona per la quale metterei una mano sul fuoco ad occhi chiusi». «Di fronte a un fatto del genere non posso che dire, prudentemente, che la giustizia deve fare il suo corso – commenta il presidente di Confcommercio Veneto e Venezia Massimo Zanon – È già ricca l’enciclopedia di casi come questo, ma quello che sta succedendo a Venezia va oltre ogni immaginazione». «Sono sotto choc – dice infine Marco Michielli, segretario di Confturismo – Per di più alcuni degli arrestati li conosco, sono persone con cui ho collaborato in passato. La cosa è di una portata micidiale, ma si commentano le sentenze definitive, non gli ordini di custodia».

 

L’EVENTO Facce cupe ieri all’inaugurazione del nuovo terminal “Autostrade del mare”

A Fusina un clima surreale tra incredulità e sconcerto

Avrebbero dovuto esserci anche Chisso e Orsoni. Paolo Costa: «Sono senza parole»

Avrebbe dovuto essere una grande festa, quella per l’avvio dell’operatività della prima banchina del Nuovo Terminal Autostrade del Mare del Porto di Venezia. Ma a Fusina la frana giudiziaria ha portato un clima di sbigottimento e numerose assenze.
Tra le «sedie vuote» della prima fila due sono inevitabili, quella del sindaco Giorgio Orsoni e dell’assessore regionale Renato Chisso. Altro assente, ma per motivi ben diversi, il senatore e vicepresidente della Provincia Mario Dalla Tor, sostituito dall’assessore Giacomo Grandolfo, unico tra i presenti a non andare cauto nelle prese di posizione: «Per Venezia è una triste giornata – dice Grandolfo – allo stesso tempo però è un momento di discontinuità e pulizia che anche a Venezia si rivela necessario. Non entro nel merito dell’inchiesta ma chiedo a Renzi di intervenire con urgenza perché il nostro territorio non si può permettere questa situazione di doppio blocco: la costruzione della Città metropolitana si fermerà a causa della mancanza del suo attore principale e allo stesso tempo la Provincia non potrà utilizzare le sue risorse perché è bloccata dalla legge Delrio».
Dal parcheggio alla banchina, tra i numerosi invitati non si fa che parlare di “terremoto” e commentare nomi e cifre. «Siamo distratti da altri temi ed è un peccato perché questo ci impedisce di sottolineare le cose fatte bene, come quella che stiamo inaugurando oggi, eccellente sotto tutti i punti di vista» afferma, sul palco, il presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa che, a margine delle celebrazioni, commenta la raffica di arresti: «Sono senza parole, ho fiducia nel lavoro della magistratura ma sono coinvolte persone che conosco profondamente. Credo nella loro innocenza e spero sia confermata».
Diverse invece le presenze dal consiglio comunale veneziano, in continuo aggiornamento sulle notizie che trapelano dalla conferenza stampa in questura. «Siamo tutti preoccupati, maggioranza e opposizione – dice il presidente del consiglio comunale Roberto Turetta – ma non possiamo fare finta di niente e oggi siamo qui in tanti per dimostrarlo». La nuova Tangentopoli veneta era nell’aria ma l’arresto di Orsoni stupisce tutti: «Ci aspettavamo un avviso di garanzia per la storia dei finanziamenti – spiega Turetta – Speriamo che il sindaco dimostri la sua estraneità ai fatti».
Al “no comment” dell’ex presidente del porto Giancarlo Zacchello, segue il commento prudente della consigliera del Pdl Lorenza Lavini: «È il caso di aspettare e di riflettere». Deluso invece il capogruppo Udc in consiglio, Simone Venturini: «Spero che la magistratura punisca i colpevoli e riabiliti gli innocenti. Per me però questa è la dimostrazione del fallimento di un’intera classe politica. Il marcio è trasversale e ben radicato, serve un vero rinnovamento, con persone nuove, serie e oneste».
«È tutto da chiarire e spero che la magistratura faccia presto a sciogliere i nodi – aggiunge Giacomo Guzzo, capogruppo del Movimento Federalisti Riformisti in consiglio – Questa situazione lascia amarezza ma dobbiamo aspettare. Non voglio difendere Orsoni ma il sindaco di una città importante come Venezia che si gioca il suo nome nel mondo».

 

FUSINA. Inaugurato il nuovo terminal traghetti. Accogliera 400 navi all’anno

L’approdo della nave ro-pax Audacia di Anek Lines ieri mattina ha inaugurato uffialmente il nuovo terminal hi-tech di Fusina, dedicato alle Autostrade del Mare. Il nuovo terminal, che accoglierà 400 traghetti merci e passeggeri, dispone di due darsene con quattro banchine (con fondali profondi fino a 12 metri) capaci di ospitare contemporaneamente quattro navi e di una piattaforma logistica dotata di nuovi fabbricati e magazzini, piazzali portuali e parcheggi. «Per realizzarlo, sulla superficie di 36 ettari dell’ex lamitatoio Alumix, sono stati portati via 23mila sacchi di amianto per un totale di 32 mila tonnellate» spiega il presidente dell’autorità portuale Paolo Costa. L’amianto è stato stoccato in Germania con un intervento durato 6 mesi. In tutto l’intervento è durato più di 10 anni, di cui solo 2 di lavori e il resto di pratiche burocratiche. «Questa è un’operazione segna altri due traguardi – aggiunge Costa – la riconversione e la bonifica di un’area dismessa di Porto Marghera e il successo della formula del partenariato pubblico privato». Il progetto è stato realizzato in project financing con un investimento di 230 milioni, di cui il 70% da fondi privati e il 30% da fondi pubblici di Autorità portuale, Governo, Regione e co-finanziato dall’Unione Europea con 10 milioni di euro.

(m.fus.)

 

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