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Gazzettino – Mose, caccia a 12 milioni di tangenti

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

19

giu

2014

L’INCHIESTA – Cuccioletta (Magistrato acque) confessa: intascati 1,3 milioni. Il governo al Consorzio: riducete i costi

Mose, caccia a 12 milioni di tangenti

Individuata solo una parte dei destinatari delle mazzette, gli investigatori puntano sulla pista romana

IL FILONE – L’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta, conferma di essere stato pagato dal Consorzio Venezia Nuova. E all’appello mancano 12 milioni di mazzette: finiti a Roma?

I LAVORI – Il Consorzio si dice pronto a rivedere i costi del Mose. E anche a darsi una nuova governance come chiesto dal governo.

RICOSTRUZIONE – I pagamenti nel secondo mandato, dal 2008 al 2011

«Mazzacurati mi fece dare circa 200mila euro all’anno e 500mila dopo la pensione»

LA CONFESSIONE – Furono i “postini” Sutto e Neri a portargli i soldi a casa in almeno tre occasioni

ALL’INCASSO – Ecco a quanto ammontano le tangenti pagate all’ex Magistrato alla Acque

Il prezzo di Cuccioletta? 1,3 milioni

«Quando tornai a Venezia nel 2008 a ricoprire il ruolo di Presidente del Magistrato alle acque di Venezia, l’ing. Mazzacurati mi disse che mi avrebbe corrisposto una somma di circa 200 mila euro all’anno e che alla fine del mio mandato mi avrebbe consegnato un riconoscimento finale ammontante ad alcuni milioni di euro». Così Patrizio Cuccioletta, Magistrato alle acque negli anni cruciali di crescita del Mose, tra il 1 ottobre 2008 e il 31 ottobre 2011. Cuccioletta ha confessato di tutto e di più davanti ai pubblici ministeri Stefano Ancillotto e Stefano Buccini. E la confessione di Cuccioletta incastra anche definitivamente Luigi Neri e Federico Sutto, i due “postini” di Mazzacurati, gli uomini che si incaricavano della consegna delle mazzette. Il patron del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, aveva raccontato nel dettaglio questa storia di Cuccioletta – e pure dell’altro Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva – che erano a libro paga e aveva pure specificato che il pagamento lo avevano materialmente effettuato prima Neri e poi Sutto quando Neri era andato in pensione. Dunque si sapeva che i soldi erano passati dalle mani di Mazzacurati a quelle di Neri e Sutto e adesso sappiamo anche che Cuccioletta li ha ricevuti proprio da Neri e Sutto. Dunque, non c’è più niente da scoprire su questo punto della corruzione di alti funzionari dello Stato lautamente pagati due volte, dallo Stato per controllare, e da Mazzacurati per non controllare. Un doppio stipendio che ha portato nelle tasche di Cuccioletta circa mezzo milione di euro l’anno. Con la confessione di Patrizio Cuccioletta dunque la Procura porta a casa l’ennesimo punto a suo favore dimostrando la solidità del suo impianto accusatorio. «Fin da subito iniziai a ricevere un paio di consegne di denaro all’anno effettuate dai più stretti collaboratori di Mazzacurati.» Patrizio Cuccioletta ricorda almeno tre occasioni in cui i due “postini” consegnarono le mazzette a casa sua, segno evidente che la prassi di portare i soldi a casa non è poi così balorda. Anzi, quel che si capisce è che la modalità di consegna a domicilio faceva parte proprio del modus operandi, come direbbero i carabinieri. Cuccioletta ricorda che Neri gli consegnò le buste tra il 2008 e il 2009 e che successivamente venne sostituito da Sutto tra il 2010 e il 2011, «portandomi in contanti le somme promesse.» 200 mila euro all’anno per 4 anni fa 800 mila euro. «Dopo il mio pensionamento ricevetti su un conto estero l’accreditamento di somme per quasi 500 mila euro». E siamo a 1 milione e 300 mila euro. E si capisce che Cuccioletta era proprio sul libro paga del Consorzio e come tutti i dipendenti fedeli aveva pure incassato il trattamento di fine rapporto. Ma siccome il Consorzio – anzi lo Stato – era una immensa slot machine che non smetteva mai di girare, ecco che Cuccioletta a volte scroccava un passaggio in aereo e altre volte una cena o una vacanza premio. E perchè nessuno della dinastia Cuccioletta fosse lasciato fuori dal banchetto a spese del contribuente, Cuccioletta aveva chiesto a Mazzacurati incarichi per il fratello Paolo e pure l’assunzione della figlia al Consorzio Venezia Nuova. Insomma non c’era limite.
E la valanga di soldi che aveva inondato Cuccioletta non solo portava al fatto che, come dice lo stesso Magistrato alle acque «non ricordo del respingimento di riserve presentate dal Consorzio» e vuol dire che il Magistrato, cioè l’organismo del Ministero incaricato anche di controllare e approvare tutte le soluzioni tecniche indicate per il Mose, approvava tutto. Del resto Pio Savioli, l’uomo delle coop. rosse ricorda che il Magistrato firmava qualsiasi cosa anche la carta igienica e assumeva come collaudatori gli uomini che venivano indicati da Mazzacurati.

 

RIESAME – Mitigato il regime della detenzione a due imputati per ragioni di salute e di età

Sutto e Neri, dalla galera ai domiciliari

Dalla galera agli arresti domiciliari. Ma solo per motivi di salute (Federico Sutto) e per età (Luigi Neri). Questo per quanto riguarda i “postini” del sistema Mose, quelli che secondo l’accusa avevano l’incarico da Mazzacurati di consegnare le tangenti del Consorzio Venezia Nuova. Luigi Neri, che ha 73 anni, è stato graziato dall’anagrafe e Federico Sutto, che gli era succeduto nell’incarico, va a casa “grazie” ad un cuore ballerino. Lo ha deciso ieri il Tribunale del riesame di Venezia, presieduto da Angelo Risi, che ha così rimodulato le esigenze cautelari dei due arrestati – non più carcere, ma domiciliari – senza smontare di fatto l’impianto accusatorio. La Procura, anzi, si è giocata un’altra carta, quella della confessione di Patrizio Cuccioletta. I verbali dell’interrogatorio sono stati depositati, pur con omissis, a ulteriore riscontro del coinvolgimento dei due uomini del Consorzio. Il Tribunale ha concesso i domiciliari anche a Stefano “Bacheto” Boscolo, consigliere della cooperativa San Martino, in questo caso con il consenso della Procura. Respinti, infine, i ricorsi di Stefano Tomarelli, del direttivo del Consorzio, e dell’avvocato Corrado Crialese, che restano rispettivamente in carcere e ai domiciliari.
Un giornata lunga, quella di ieri, con gli avvocati impegnati soprattutto a riportare a casa i loro assistiti. Alcuni, Sutto e Neri, ci sono riusciti, ma per motivi che non hanno nulla a che vedere con le posizioni processuali, che restano non solo gravi, ma addirittura vengono confermate dalle confessioni di Cuccioletta. E veniamo agli altri indagati. I difensori di Tomarelli, gli avvocati Nicola Pisani e Angelo Andreatta, avevano sostenuto un ruolo più defilato del loro assistito. Per l’accusa, Tomarelli, in qualità di membro del direttivo del Consorzio Venezia Nuova per Condotte, avrebbe partecipato in pieno alla costituzione dei fondi neri finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito. L’impressione è che Tomarelli voglia rivendicare un ruolo di secondo piano, rispetto a Baita, ma anche a Mazzi e Savioli, che non gli avrebbe consentito di avere una piena consapevolezza del “sistema” Mose. Ma per il momento resta in carcere.
Infine la posizione di Crialese, avvocato costituzionalista, accusato di aver millantato conoscenze in Consiglio di Stato e al Tar del Veneto, facendosi consegnare soldi da Baita e Minutillo con il pretesto di pagare i giudici. «Il mio assistito non ha mai chiesto o ricevuto soldi dal gruppo Mantovani per corrompere un giudice» ha sostenuto il suo difensore, l’avvocato Fabrizio Lemme. I pubblici ministeri Ancillotto e Buccini hanno replicato producendo un’intercettazione in cui la Minutillo parla con un corriere di una consegna per Crialese da effettuare in un albergo di Roma.

Roberta Brunetti

 

PAGATI 26 MILIONI DI EURO

«L’ingegnere sceglieva i collaudatori del Mose»

«I collaudatori del Mose erano quasi sempre scelti da Mazzacurati, in realtà le nomine le facevo io, ma su indicazione e pressione di Mazzacurati, con alla fine una effettiva coincidenza tra il soggetto controllato e colui che nominava il collaudatore.» Questo dice ai magistrati il Presidente del Magistrato alle acque dal 2008 al 2011, Patrizio Cuccioletta. Il problema è che i collaudatori «quasi tutti nominati da Mazzacurati» si sono portati a casa in questi anni qualcosa come 26 milioni di euro. Si tratta di 272 persone – non tutte nominate da Cuccioletta, ovviamente, ma anche da altri Magistrati alle acque tra i quali Maria Giovanna Piva, accusata anche lei di essere sul libro paga del Consorzio. Il record della parcella va all’ex presidente Anas Vincenzo Pozzi (nella foto) con 1 milione e 200 mila euro. Poi c’è l’altro presidente Anas, Pietro Ciucci che ha incassato oltre 70 mila euro.

 

La doccia fredda dei magistrati: «L’indagato può scrivere un memoriale»

Delpino e Nordio attendono l’epilogo degli interrogatori di tutti i ricorsi

NEL LIBRO-PAGA – Viaggi in aereo, cene e anche vacanze premio. Poi l’assunzione della figlia

ROMA – La giunta per le autorizzazioni della Camera ascolterà l’ex governatore Giancarlo Galan il 25 giugno. Ieri, l’organismo presieduto da Ignazio La Russa ha discusso la posizione del deputato Francantonio Genovese, pur essendo all’ordine del giorno il caso Mose. È confermata comunque per la prossima settimana l’audizione di Galan.

 

VENEZIA – L’ex ministro pronto a presentarsi spontaneamente, la Procura prende tempo

STRATEGIA – Voleva rilasciare dichiarazioni prima del voto sull’arresto in Parlamento

I Pm non sentono Galan

LA STRATEGIA – I pm dicono no alla richiesta di Galan di essere ascoltato

I pubblici ministeri sembrano intenzionati a tenere a bagnomaria l’ex governatore del Veneto, ex ministro e ora deputato di Forza Italia, Giancarlo Galan. Non lo sentiranno subito, nonostante le pressanti richieste del politico padovano su cui pende la misura dell’arresto in carcere, sospesa in attesa che la Camera conceda o meno l’autorizzazione. Proprio ieri doveva cominciare l’esame di fronte alla Giunta delle immunità parlamentari, ma tutto è slittato di qualche giorno.
Nel frattempo gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini, difensori di Galan, hanno formalizzato la richiesta di presentazione in Procura a Venezia. Lo avevano fatto una prima volta il lunedì successivo agli arresti del 4 giugno, presentandosi di buon mattino dal procuratore capo Luigi Delpino. Lo avevano informato che l’illustre indagato per corruzione era pronto ad avvalersi dell’articolo 374 di Procedura Penale. E avevano dato disponibilità, agenda alla mano, per alcune date utili al faccia a faccia.
Secondo la norma, un indagato «ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni». È quello che Galan voleva fare (senza contraddittorio), anche perchè nel frattempo si stava per mettere in moto la procedura parlamentare che potrebbe concludersi con un voto a favore dell’arresto. Il comma terzo dello stesso articolo specifica però che «la presentazione spontanea non pregiudica l’applicazione di misure cautelari».
Proprio la libertà di Galan è in gioco in queste settimane. Ma dalla Procura è venuta una mezza doccia fredda. Ricevuta la richiesta degli avvocati, i Pm hanno di fatto detto di no. L’incontro, se ci sarà, non avverrà in tempi brevi. Hanno risposto che Galan può condensare, anche nel suo stesso interesse, in una memoria le argomentazioni difensive. Anche perchè è ormai a conoscenza delle accuse che gli vengono contestate.
Ovvero di aver ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova e da Piergiorgio Baita, addirittura uno stipendio annuale di un milione di euro.
È evidente che tra la Procura e l’imputato forse più importante dell’inchiesta è in corso una partita di mosse e contromosse. Se Galan sperava di andare in Procura prima che in Giunta si decida il suo destino, magari per dichiarare subito dopo di aver chiarito tutto, dovrà probabilmente rivedere i propri piani. I Pm non hanno interesse ad accelerare i tempi, anche perchè si deve chiudere il giro dei ricorsi degli arrestati di fronte al Riesame e si profilano confessioni a catena, il che potrebbe portare acqua al loro mulino.
Intanto il procuratore aggiunto Carlo Nordio, intervenuto ieri sera a un dibattito televisivo ad Antenna Tre, coordinato dal direttore Domenico Basso, pur non entrando nei dettagli dell’inchiesta, ha detto: «Èirresponsabile la distruzione di risorse della collettività, genera nei cittadini sfiducia e un senso di ribellione». Ha denunciato come dopo Mani Pulite la Politica non abbia fatto nulla per debellare la corruzione e semplificare norme troppo farraginose in materia di appalti e opere pubbliche. È lì la culla delle tangenti.

Giuseppe Pietrobelli

 

Il filone delle mazzette nazionali parte dai 500mila euro a Milanese, ex braccio destro di Tremonti

Quei 12 milioni diretti a Roma

IL CASO – Il Consorzio voleva i fondi che il ministro aveva bloccato Letta: non riesco a fare niente

MAZZACURATI «I soldi del Mose arrivarono ma indipendentemente da questa operazione»

Mancano all’appello una dozzina di milioni di euro. E possono essere andati solo in un posto: a Roma. Secondo i racconti di Baita, Mazzacurati e Minutillo, infatti, i politici locali erano già annegati nella melassa dei milioni di euro erogati dal Consorzio Venezia Nuova per tenerseli buoni. E dunque, facendo i conti dei soldi che ha pagato Baita e mettendoli semplicemente in colonna con quelli consegnati da Mazzacurati e da Pio Salvioli per conto delle coop rosse, la somma aritmetica dice che i conti non tornano, mancano tra i 10 e i 12 milioni di euro. Dove sono finiti esattamente? Nella capitale, d’accordo, ma chi li ha incassati? Il filone romano finora è stato poco seguito e poco indagato, come se la Procura di Venezia fosse cosciente che scoperchiare quel vaso vuol dire trovarci dentro di tutto e di più e ai massimi livelli. Ecco dunque che la figura di Marco Milanese, l’ex deputato del Pdl e braccio destro del ministro Giulio Tremonti (che non è indagato), diventa determinante per dare una svolta all’inchiesta e arrivare al Terzo livello, quello della politica alla massima quota. In questi giorni circolano insistenti le voci su una sua possibile collaborazione, voci che la Procura di Venezia smentisce categoricamente, ma quel che alimenta il sospetto è il fatto che Milanese non sia stato arrestato. Eppure sia Mazzacurati che Baita sono precisi nell’indicare in Milanese l’uomo che si era presentato come “risolutore” dei problemi del Consorzio. Nel momento in cui Giulio Tremonti diventa ministro del Governo Berlusconi, infatti, il Consorzio ha un sacco di problemi a farsi finanziare il Mose. I finanziamenti vengono bloccati al Cipe. E li blocca proprio Tremonti.
Nemmeno il potentissimo Gianni Letta riesce a far nulla. Mazzacurati va ad un incontro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e torna scornato. «Il dottor Letta dice: “Io non riesco a fare niente, anzi ci siamo scontrati in Consiglio dei Ministri col Ministro Tremonti, che è stato anche particolarmente sgradevole, accusandomi di avere qualche interesse personale sul Consorzio Venezia Nuova”, e dice a Mazzacurati: “Dovete trovare una strada per contattare Tremonti”. Mazzacurati trova la strada chiedendo consiglio all’onorevole Lia Sartori, che indica il dottor Meneguzzo». Si tratta di Roberto Meneguzzo, il quale guida una società, la Palladio Finanziaria, che ha “contatti” con mezzo mondo. È lui che fa da tramite tra Mazzacurati e Tremonti, che poi si incontrano.
Successivamente, il Consorzio versa una mazzetta di 500mila euro nelle mani di Milanese. Ma il caso vuole che proprio il giorno fissato per la consegna, la Finanza faccia un controllo nell’ufficio di Luigi Neri, il cassiere di Mazzacurati. Neri prende il malloppo con il mezzo milione di euro e lo butta dietro un armadio. I finanzieri non trovano il pacchetto, sigillano l’armadio e i soldi vengono recuperati in nottata e portati poi a Milanese. Questa è la storia raccontata da Mazzacurati, Baita e confermata da Claudia Minutillo. Fatto sta che il Cipe sblocca la tranche milionaria per far avanzare i lavori del Mose. Mazzacurati è tutt’altro che convinto che siano stati quei 500mila euro a fare il miracolo e racconta ai giudici: «I finanziamenti poi sono arrivati, ma io ho avuto il fondato sospetto che fosse stato indipendente da… che i soldi siano arrivati indipendentemente da questa operazione».
Tutto questo spiega perché Milanese è importante per la Procura di Venezia ed ecco perché nell’ordinanza che porta in galera 25 persone, manca il nome di Milanese. Non è stato arrestato – ancora – e questo significa che la Procura sta aspettando maturi la decisione se collaborare o meno. Potrebbe dunque parlare da libero o da carcerato, spetta a lui decidere. E se parla Milanese potrebbero tremare anche diversi politici di rango non ancora sfiorati dall’inchiesta.

Maurizio Dianese

 

ANTICORRUZIONE – Il magistrato alla Camera: una norma di questo tipo inserita nei contratti risolverebbe molti problemi

Cantone alza il tiro: se paghi tangenti perdi l’appalto

ROMA – Paghi una tangente? Perdi l’appalto. Sembra una cosa ovvia, lapalissiana.Ma così non è, se il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone arriva a dire che una clausola di questo tipo inserita nei contratti d’appalto «risolverebbe molti problemi». A pochi giorni dal decreto che ha affidato poteri più ampi al numero uno dell’Anticorruzione, Cantone è stato sentito ieri dalla commissione Ambiente della Camera. Cantone, che potrà richiedere il commissariamento di singoli appalti e prenderà in carico anche l’Authority dei contratti pubblici, è atteso ora alla prova dei fatti ed Expo sarà il primo banco di prova. «Lasciamo lavorare Cantone. Credo ci incontreremo la settimana prossima. La prima mossa ovviamente deve farla lui, così recita il decreto e quindi aspettiamo un attimo che prenda posizione», sottolinea il commissario unico di Expo 2015, Giuseppe Sala: «Cantone sa benissimo che bisogna coniugare rapidità con il massimo della legalità».
Nell’evocare la possibilità di perdita dell’appalto per chi paga mazzette, Cantone torna sul nodo della revoca: un potere che non gli è stato riconosciuto. I Cinque Stelle colgono al volo e ribattono: «Cantone smentisce il governo sulla revoca degli appalti pubblici in caso di tangenti. Revoca necessaria, senza se e senza ma. Il Movimento 5 Stelle ha presentato un ordine del giorno che impegna il governo a revocare gli appalti pubblici alle società implicate in casi di corruzione». Ma la revoca è in realtà un terreno scivoloso. Per prevenire la corruzione Cantone indica anche altre strade: dagli standard di trasparenza che dovrebbero essere applicati alle società private a capitale pubblico, alle white liste che dovrebbero sostituire la certificazione antimafia, alla scelta dei componenti delle commissioni di gara, «uno degli aspetti più complicati», per aggirare il quale si potrebbe procedere a un’estrazione a sorte per evitare accordi, suggerisce il magistrato.
Cantone cita poi una norma presente nel decreto che ha anche rafforzato le sue funzioni: il divieto per lo Stato di fare transazioni con società controllate da paradisi fiscali. «Se questa norma resta, è un segnale di trasparenza vero», osserva. C’è poi l’inasprimento di alcune misure penali, che dovrebbe arrivare la prossima settimana, compresa la reintroduzione del falso in bilancio.

 

«Mazzacurati è in Senato», anzi no

«Mi hanno detto di aver visto Mazzacurati, quello coinvolto nell’inchiesta sul Mose, oggi al Senato. Chissà cosa è venuto a fare e con chi si è incontrato…», diceva ieri Loredana De Petris (Sel) al termine della conferenza dei capigruppo. Trattasi di bufala, per l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, legale dell’ex presidente del Consorzio: «Mazzacurati si trova da tre mesi negli Stati Uniti, anche per ragioni legate a terapie mediche».

 

DIGHE MOBILI – Il governo: no al commissario, l’opera va completata Malamocco, varo dei cassoni

Fabris: Mose, pronti a tagliare i costi

Il presidente del Cvn: a breve un nuovo piano operativo. Rinnoveremo la governance

Le voci erano infondate: niente commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. Lo ha ribadito l’altro giorno il Governo Renzi ad una delegazione dell’ente concessionario per i lavori del Mose. Ma non solo. Il premier ha ribadito non solo l’importanza dell’opera giunta all’85 per cento, ma allo stesso tempo ha dato il via libera per concludere il progetto atteso da anni. È quanto conferma il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris che, nei giorni scorsi, ha partecipato a Roma ad un tavolo di confronto al ministero delle Infrastrutture nel quale è stato fatto il punto della situazione.
«Di fronte alle recenti indagini giudiziarie, – ha spiegato Fabris – pur in assenza di alcun coinvolgimento per quel che riguarda il nuovo assetto dell’ente, avevamo chiesto un incontro al premier Renzi dichiarando la nostra piena disponibilità a concludere l’opera. Di conseguenza, al termine di una riunione al ministero, abbiamo preso l’impegno di discutere tutte le più opportune iniziative come il rinnovo della governance e la possibile riduzione dei costi finali, rispetto anche ai tagli già decisi dal governo, per mettere al riparo il Mose dalle conseguenze delle inchieste in corso. In questo senso ci siamo presi l’onere e l’onore di redigere quanto prima una nuova proposta operativa che presenteremo nei prossimi giorni».
Fabris ha smentito categoricamente ogni voce di “commissariamento” del Consorzio Venezia Nuova, ipotesi circolata su alcuni giornali negli scorsi giorni. «Durante quello stesso incontro – rivela il “numero uno” del Cvn – abbiamo chiesto quale fosse l’intenzione del Governo. La risposta è stata indicativa: nessuna ipotesi di commissariamento».
Intanto a Roma, ieri mattina, Italia Nostra, insieme ai Comitati No Mose, ha rilanciato la propria battaglia contro il Mose puntando il dito sui costi: «Per completarlo – ha sottolineato l’associazione – occorrerà ancora un miliardo e mezzo di euro. Per gestirlo nei prossimi cento anni, occorreranno tra i 40 e i 60 milioni di euro all’anno». Durissimo Luigi D’Alpaos, ordinario di Idrodinanica all’università di Padova: «Esistono due obiezioni ancora aperte – ha detto – quelle delle paratoie e quelle delle cerniere che, a causa del moto ondoso, potrebbero disarticolarsi».
E mentre infuriano le polemiche e le prese di posizione, dal canto suo il Consorzio Venezia Nuova darà il via oggi pomeriggio all’operazione di varo del primo cassone della barriere del Mose alla bocca di porto di Malamocco. Attorno alle 14, un cassone di spalla verrà fatto scivolare in acqua con il meccanismo del “syncrolift” e adagiato sul fondo del canale di Malamocco in un’operazione complessa che durerà circa un’ora. Complessivamente verranno posati 9 cassoni (7 di alloggiamento, due laterali), che verranno posizionati tra giugno e novembre prossimo. Attorno alle 18, il transito alle navi verrà nuovamente consentito, in entrata e in uscita, a tutti quei mercantili che avranno chiesto l’autorizzazione al passaggio.

Paolo Navarro Dina

 

LA RICHIESTA «Vogliamo esercitare il controllo che ci compete»

PARLA IL PRESIDENTE – Magistrato alle acque in difesa «La soppressione è un autogol»

Roberto Daniele: «Un errore prendersela con l’istituzione e non con chi ha sbagliato, qui ci sono grandi professionalità»

«Una mossa nè utile nè opportuna, quella di cancellare dal 1° ottobre prossimo il Magistrato alle Acque. Perchè prendersela con l’intera istituzione e non solo con le persone che hanno sbagliato?».
Il presidente del Magistrato alle Acque Roberto Daniele, a poco meno di un anno dal suo insediamento, si trova oggi a traghettare la secolare istituzione veneziana verso una fase successiva di cui ancora non sono chiari i contorni, eppure annunciata con enfasi nei giorni scorsi da Palazzo Chigi e contenuta nel decreto legge sulle misure urgenti per la crescita del Paese.
«Non vedo il risparmio economico – sbotta Daniele – e neppure dal punto di vista delle procedure perchè comunque gli uffici del Provveditorato alle opere pubbliche restano intatti. A Venezia si tratta di un punto di riferimento che esiste dai tempi della Serenissima». Eliminato in più occasioni e poi rimesso in piedi.
«Segno che la sua esistenza – aggiunge – era avvertita come una necessità dalla popolazione veneziana». Il dubbio che si insinua è che si tratti semplicemente di un’operazione di facciata “ad effetto”, più che di una manovra specifica.
E Daniele precisa: «La carica di presidente del Magistrato alle Acque e di provveditore alle opere del Triveneto non hanno una retribuzione che si cumula, e comunque gli uffici continueranno a lavorare nel campo della salvaguardia della laguna abbiamo delle professionalità specifiche importantissime che non devono essere sprecate. Anzi, la carenza di organico che avvertiamo è sempre forte».
Per questo il Magistrato alle acque è ricorso negli anni all’appoggio di professonalità esterne, spesso proprio del Consorzio Venezia Nuova anche a causa della rigidità della pubblica amministrazione di assumere dipendenti. E si è instaurato così come consuetudine un doppio legame controllato-controllore che in qualche caso ha portato a uno sconfinamento delle singole prerogative, come hanno messo in luce le recenti inchieste giudiziarie.
Ora, proprio nel momento in cui il Mose va a completamento viene soppresso il Magistrato alle Acque, “controllore” per sua natura.
«Il completamento del Mose non è in discussione nonostante le vicende giudiziarie – conclude Daniele – ma è necessario che vengano lasciati i poteri di alta sorveglianza e di controllo che competono al Magistrato alle Acque. Del resto per funzionare a pieno regime avremmo bisogno di altre venti-trenta persone qualificate da inserire nel nostro organico. Ad esempio biologi e chimici per i laboratori di analisi e per i campionamenti dell’acqua della laguna, visto che uno dei nostri compiti è anche la tutela dall’inquinamento».

 

Italia Nostra: «Mose da modificare»

«Secondo gli studi del prof. D’Alpaos un sistema fragile per quanto riguarda cerniere e paratoie»

ROMA – La loro è una battaglia decennale. Combattuta nell’interesse di Venezia. Italia Nostra, l’associazione di tutela italiana, da ben 25 anni sta portando avanti la sua campagna contro il Mose, senza, tuttavia, riuscire a farsi ascoltare. La loro opposizione, al netto degli scandali delle ultime settimane, si concentra da sempre su pareri scientifici e tecnici di esperti e riguarda le procedure con cui la grande opera è stata valutata e decisa. Un’opera faraonica, eccessivamente dispendiosa – attualmente ferma all’85%, che investe la manodopera di oltre cinque mila lavoratori – e destinata, avverte l’associazione, a gravare ancora economicamente sullo Stato per i costi necessari alla sua manutenzione. Così, ieri, in un incontro svoltosi all’hotel Nazionale di Roma, Italia Nostra è tornata a denunciare quello che dovrebbe esser cambiato, proprio in un momento in cui, tra scandali, corruzione e malaffare, un progetto come il Mose ha ancora la possibilità di essere rivisto ed eventualmente sospeso. «Il Mose è un’opera – a loro dire – completamente sbagliata», pericolosa per la Laguna, stando anche alla valutazione d’impatto Ambientale, elaborata, nel lontano 1998, dal ministero guidato oggi da Gian Luca Galletti e disattesa «proprio dalla politica». Per completare il Mose, fa di conto Italia Nostra, occorreranno ancora tra gli uno e l’1,5 miliardi di euro. Per gestirla, nei cento anni a venire, il costo oscillerebbe, invece, tra i 40 e i 60 milioni di euro l’anno. E non è solo un’analisi puramente economica, la loro. Stando alle valutazioni compiute da Luigi D’Alpaos, ordinario di Idrodinamica all’Università di Padova, il progetto è destinato a naufragare. «Esistono due obiezioni ancora oggi aperte», spiega il professore. «E riguardano le paratoie e le cerniere». Secondo il docente, le prime, sollecitate dal motondoso e dal vento, potrebbero iniziare a oscillare «fino a disarticolarsi», disattendendo, dunque, le finalità iniziali. Mentre per quanto riguarda le cerniere, «nonostante un nutrito gruppo di progettisti sia ancora d’accordo con tali strutture – aggiunge ancora D’Alpaos – discutibile resta la loro capacità di fissare le barriere mobili alle bocche della laguna». E ancora, chiedendo che la gestione della laguna di Venezia passi dal ministero delle Infrastrutture a quello dei Beni e delle attività culturali, oltre che al dicastero dell’Ambiente, l’associazione chiama in causa l’esempio Rotterdam, «completamente trascurato dal controllore primario del Mose, e cioè il Magistrato alle Acque». Per la realizzazione del canale navigabile della città dei Paesi Bassi, fu attivato un organismo di controllo, che prevedeva un’equa ridistribuzione di responsabilità, tra progettisti, fisici, matematici e modellisti numerici. «Guardare a quel modello forse – conclude Italia Nostra – avrebbe giovato anche a Venezia».

Camilla Mozzetti

 

IL NUOVO POLO OSPEDALIERO – Un’opera avviata da Galan e Padoan che apre nei giorni della bufera giudiziaria

Dal project al blocco. Ora lo Jona accelera. Sarà pronto a luglio

LA CONSEGNA – Prevista per domani ma i cantieri continuano

LA PRIMA PIETRA NEL 2010 – Cacciari, Galan e Padoan concordi nel difendere il project financing

IL NUOVO DIRETTORE GENERALE «È importante affidare ai privati le attività non strettamente sanitarie»

Se ne parla dal 2000, quando il vecchio Jona fu chiuso dopo il crollo di un controsoffitto. Seguirono dieci anni di discussione su come ricostruire il padiglione, fino al 2010 quando – nell’ultimo anno di Giancarlo Galan alla guida della Regione e con Antonio Padoan direttore generale dell’Ulss 12 – gli attesi lavori furono assegnati con l’ennesimo project financing. Quei project ormai criticatissimi e che ora sono anche al centro delle indagini scaturite dallo scandalo Mose. Per il momento di Jona, nelle carte dell’inchiesta, non si parla. Ma almeno il cantiere – ripartito dopo un lungo stallo, un anno e mezzo fa, con la nuova gestione dell’Ulss – è finalmente arrivato alle battute finali. Ed ecco le prime immagini di questo padiglione tanto atteso, destinato a dare un nuovo baricentro all’ospedale Civile.
INAGURAZIONE IN VISTA – Come aveva annunciato il direttore generale, Giuseppe Dal Ben, sarà inaugurato per il Redentore. «Abbiamo fatto un grande sforzo sulle strutture, ma anche perché queste siano accoglienti, oltre che nuove» sottolinea ora il dg, soddisfatto per aver portato a termine un cantiere «in un contesto storico eccezionale e per molti aspetti delicato. Abbiamo lavorato, però, anche con una grande attenzione per gli utenti: il nuovo Jona nasce moderno e funzionale, ma abbiamo fatto il possibile perché fosse soprattutto accogliente – è questo il senso dei percorsi coperti, per fare un esempio, e della “Piazza” – verso coloro che verranno qui a curarsi o a visitare i propri cari».
CINQUE PIANI – In questi giorni, in cantiere, è una corsa contro il tempo per rispettare la scadenza. Cinque piani più pianoterra per ospitare tutta l’area medica, quella materno-infantile, compresa la ginecologia, con oltre 180 posti letto complessivi, decine di ambulatori e studi medici. Di fatto qui traslocherà tutto l’ospedale ancora ospitato nell’area monumentale del San Giovanni e Paolo, attorno ai Mendicanti.
TEMPI STRETTI – Il gruppo del project financing consegnerà l’opera all’Ulss domani, il 20 giugno. Entro quella data dovranno essere completate le rifiniture di tutti i piani, smontate le impalcature, intonacate le pareti esterne (tranne quelle centrali, conservate dal vecchio Jona come richiesto dalla Soprintendenza, che resteranno con i mattoni a vista), smontata l’enorme gru. Poi sarà l’azienda sanitaria a doversi occupare delle pulizie e degli arredi per arrivare al taglio del nastro con un padiglione tirato a lucido. Il trasloco è rinviato ad settembre-ottobre, per lasciare all’Ulss il tempo necessario a completare tutte le pratiche per l’apertura.
LE STANZE – Oggi ci si muove tra il via vai degli operai. Ma l’impianto della nuova struttura si capisce bene. Il quinto piano è praticamente pronto. Le stanze da uno o due posti, con servizi in camera e porte molto ampie (per consentire lo spostamento dei letti), si affacciano sulla laguna o sull’interno. Sono tutte molto luminose, con finestre terra cielo, gli infissi in alluminio, ma all’interno in legno. Niente serramenti, solo un sistema a due tende, una per ombreggiare, l’altra per oscurare la stanza.
VECCHIO E NUOVO – Resta l’anomalia del terzo piano, con le finestre interrotte a metà, per rispettare l’allineamento con le pareti centrali del vecchio padiglione, “salvate” dalla Soprintendenza. Un’impresa, quella di coniugare vecchio e nuovo, ammette chi ha seguito i lavori in questi anni. Le due vecchie pareti hanno superato due scosse di terremoto, ora sono state inglobate alla nuova costruzione con un apposito telaio. Altro “ricordo” del vecchio Jona, la struttura ottagonale centrale che è stata riprodotta anche nel nuovo padiglione. In quest’area, nei diversi piani, è stata ricavata una zona infermieristica, di incontro professionale, con tanto di tisaneria.
UN PADIGLIONE A COLORI – L’Ulss ha anche chiesto di giocare con i colori. E così ogni piano avrà una sua tonalità: al quinto pavimenti e porte verde, con pareti pesca. Scendono si ritroveranno l’azzurro, il giallo, il lilla… E anche i mobili saranno a colori: armadi bianchi, letti e comodini sull’arancio. Una rivoluzione anche nei colori, pronta tra due mesi.

Roberta Brunetti

 

I NUMERI – Un’opera da 48 milioni metà a carico dei privati

Costo: 48 milioni
Finanziamento a carico del concessionario: 24,3
Finanziamento Ulss: 11
Altro finanziamento pubblico: 12,6
Canone servizi 2014: 11,2
Canone disponibilità 201: 2,7
Durata concessione: 22 anni
Servizi in concessione: manutenzione e gestione opere edili, conduzione e manutenzione impianti, gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali, pulizia, ristorazione dipendenti e degenti, servizi alberghieri, gestione natanti per trasporto malati, trasporti interni, gestione archivi, smaltimento rifiuti, guardaroba lavanderia e sterilizzazione biancheria.

 

Nella cordata per il padiglione anche Gemmo e Coveco, coinvolte nell’inchiesta sul Mose

Dal Ben: «Massima vigilanza»

Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Ulss 12, subentrato a Padoan, assicura massima vigilanza sulla gestione dei servizi dell’ospedale affidati ai privati con il sistema del project

Era il 20 marzo del 2010 quando, al Civile, venne organizzata la “posa della prima pietra” del nuovo Jona. In pieno clima elettorale, a Venezia, si ritrovarono l’allora governatore Giancarlo Galan e il sindaco Massimo Cacciari, entrambi in scadenza. Tutti concordi, con il direttore generale dell’Ulss 12 dell’epoca, Antonio Padoan, nel difendere la necessità del project financing per un’opera del genere. A quattro anni di distanza, il clima è decisamente cambiato. E il nuovo direttore generale dell’Ulss 12, Giuseppe Dal Ben, è molto più prudente e assicura massima vigilanza. Per la cronaca, il project veneziano se l’era aggiudicato la società Nuova ospedale di Venezia, con capofila Siram, che si occupa di gestione di servizi, più varie società di costruzioni e altro: Sacaim, Gemmo, Consorzio cooperativo costruzioni, Ingegneria biomedica Santa Lucia, Consorzio Veneto cooperative, Studio Altieri. Nomi, a cominciare da Gemmo e Coveco, citati a vario titolo nell’inchiesta sul sistema Mose.
Direttore Dal Ben, i project sono nel mirino della magistratura: lei come si è comportato con quello “ereditato” dello Jona?
«Con tutte le attenzioni possibili verso un contratto importante, per un’opera importante, peraltro minore come dimensione e come complessità rispetto a quelle di certe “grandi opere”. Il corretto funzionamento del project poi va verificato anche in seguito, ovviamente, ed è quello che faremo».
Come valuta i prezzi dei servizi affidati ai privati? C’è il rischio che il pubblico ci possa rimettere?
«No, se si garantisce l’equilibrio tra quanto si realizza attraverso il project e quanto si concede in gestione. Soprattutto, è importante che le attività concesse in gestione siano quelle “non sanitarie”; e ancora che il monitoraggio su queste attività sia costante e puntuale, a tutela dell’interesse degli utenti».
Perché i lavori si erano fermati così a lungo e come avete rilanciato il cantiere?
«La gestione di un cantiere è sempre un’operazione complicata. Non entro nel merito di quanto è accaduto quando non ero direttore. Però sono contento di portare a termine un’opera in tempi certi, e di riuscire a farlo nonostante i ritardi che questa aveva accumulato negli anni: è un risultato che vale doppio, e che condivido con tutti coloro che hanno contribuito a conseguirlo». (r. br.)

 

IL DETTAGLIO – Una “piazza” coperta di raccordo al centro del “nuovo” Civile

Doveva essere una piazza semi-coperta che conservava al suo interno uno spazio aperto per i grandi alberi che ombreggiavano questa zona del San Giovanni e Paolo. Peccato che quegli alberi, compreso un cedro del Libano, tutti vincolati, oggi non ci siano più. Un paio d’anni fa, forse anche a causa dell’abbattimento dello Jona che li ha esposti al vento, sono caduti. E ora l’intenzione dell’Ulss 12 è di coprire tutta la piazza, per trasformarla in una grande hall di smistamento all’interno dell’ospedale. I contatti con la Soprintendenza sono già avanzati per definire i dettagli di questo ulteriore intervento.
Per l’inaugurazione di luglio dello Jona, però, questa parte sarà consegnata come da progetto iniziale. Quindi con i passaggi aerei che collegano il primo piano del nuovo padiglione con il Semerani, il Gaggia e il neuro-derma. E con al di sopra la copertura in vetro e il buco al centro per il verde che non c’è più. «Abbiamo valutato a fondo la possibilità di piantare nuovi alberi – spiegano i tecnici dell’Ulss – ma qui sotto abbiamo trovato una grande quantità di sottoservizi e altri ne abbiamo dovuti mettere. Soprattutto abbiamo commissionato un’indagine botanica che ha escluso la possibilità di avere verde duraturo in queste condizioni». Ed ecco la decisione di creare questa nuova hall, di fatto al centro del nuovo Civile, che diventerà uno snodo di smistamento tra l’ingresso dalla Fondamente nuove e i quattro padiglioni moderni dove si concentrerà l’ospedale. (r. br.)

 

L’INCHIESTA MOSE

La società Thema Italia le indagini della Procura e la “galassia” Galan

Thema Italia Spa, in persona del proprio Presidente del consiglio di amministrazione e socio di riferimento, Roberto Bonetto, chiede che vengano rettificati i contenuti degli articoli pubblicati su questa testata fra i giorni 8 e 11 giugno. In essi è stata prospettata la riferibilità all’ex governatore Galan di affari milionari riguardanti il settore della distribuzione del gas in Indonesia, assumendosi in particolare che a quest’ultimo fosse riconducibile Thema Italia Spa. Le indagini effettuate dalla Procura di Venezia e i successivi provvedimenti della magistratura danno invece atto della totale estraneità di Thema Italia Spa e del signor Roberto Bonetto alla cosiddetta “Galassia Galan” e ad ogni altra alla vicenda del Mose.
Le prime ed errate informazioni di un coinvolgimento di Thema nella cosiddetta “galassia Galan” trovano spiegazione nel fatto che Thema si è avvalsa dell’assistenza del commercialista padovano Paolo Venuti (ora fra i 35 destinatari degli ordini di custodia cautelare) per la cessione, avvenuta nell’agosto del 2013, della quote di una primaria società operante nella distribuzione del gas in Indonesia (la Pt Isargas) appartenenti a Thema Italia Spa, ad altra socia indonesiana della medesima, e alla circostanza che nel dicembre 2010 Sirefid Spa (che secondo la Procura risulterebbe essere riconducibile a Galan, mediante rapporto fiduciario) aveva sottoscritto, assieme ad altre importanti società padovane, un prestito obbligazionario (di 1.100.000 euro), emesso da Thema e da questa estinto – al pari dei prestiti ottenuti dalle altre società – il primo ottobre 2013.
Roberto Bonetto conferma che né lui né gli altri soci di Thema sono mai stati ascoltati dagli organi inquirenti e dai magistrati, e precisa di non aver mai conosciuto né incontrato Giancarlo Galan, spiegando che gli affari indonesiani di Thema sono sempre stati compiuti alla luce del sole e sviluppati unicamente con i soci stranieri, con cui vengono intrattenuti rapporti commerciali radicati dai primi anni 2000 in settori diversificati.
avv. Piero Belloni Peressutti

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1. In nessun articolo de “Il Gazzettino” viene citato il signor Roberto Bonetto, nè lo stesso è collegato all’inchiesta in corso a Venezia, non essendo mai stato accostato ad alcun capo di imputazione.
2. I fatti che abbiamo raccontato, e che riguardano esclusivamente Giancarlo Galan e il commercialista Paolo Venuti, nonchè le ipotesi investigative dell’inchiesta, sono confermati da informativa 285411 (31 luglio 2013) del Gico della Guardia di Finanza, dalla richiesta di misure cautelari (2 dicembre 2013) del procuratore della Repubblica di Venezia Luigi Delpino, del procuratore aggiunto Carlo Nordio e dei sostituti procuratori Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, nonchè dall’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Venezia, Alberto Scaramuzza, eseguita il 3 aprile 2014.
3. Sono gli inquirenti a raccontare del sequestro di documenti (riguardanti un affare da 50 milioni di dollari in Indonesia riferibili a Thema Italia spa) al commercialista Venuti, avvenuto all’Aeroporto Marco Polo di Venezia nel luglio 2013, delle intercettazioni telefoniche e ambientali (prima e dopo il sequestro), nonchè di una cena di Venuti e Galan, dopo il rientro del primo dall’Indonesia durante la quale si sarebbe parlato degli affari indonesiani. Tali elementi, secondo il gip, dimostrerebbero la «riferibilità al Galan delle operazioni economiche gestite dal Venuti nel sudest asiatico la cui documentazione è stata sequestrata a Tessera».
Non abbiamo scritto nulla più di questo. Ci spiace che il signor Bonetto si sia sentito, immotivatamente, tirato dentro una vicenda giudiziaria da cui è assolutamente estraneo.

G.P.

 

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