Gazzettino – Malcontenta. Per la nuova rotonda le demoliscono il bar.
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29
giu
2014
MALCONTENTA Le ruspe del Porto in azione senza attendere l’esito del ricorso al Consiglio di Stato della titolare
MALCONTENTA – Il bar demolito dall’Autorità portuale
Le hanno demolito il bar senza nemmeno aspettare la sentenza del Consiglio di Stato e l’hanno praticamente buttata in mezzo a una strada. L’Autorità portuale di Venezia sta realizzando la grande rotonda in via Malcontenta per collegarsi direttamente alla Romea senza passare per il centro abitato, e in mezzo c’era proprio l’edificio che fino a qualche settimana fa ospitava appunto il bar, un appartamento e un secondo negozio. Il bar era conosciutissimo perché frequentato da tutti i camionisti che operavano nelle industrie di Marghera, trovandosi quasi all’incrocio tra la via Malcontenta e via della Chimica che dà accesso all’intero petrolchimico.
Ora non c’è più e l’Autorità portuale (Apv) ha prospettato un indennizzo che non arriva a 150 mila euro «e che non risarcisce minimamente il danno subito» commenta l’avvocato Alberto Pagnoscin che tutela la proprietà. La signora Paola Lorenzini aveva dato in affitto il locale molti anni fa e ne ricavava un’entrata che integrava il bilancio familiare. Già da mesi quell’entrata si è prosciugata perché gli affittuari, quando hanno si sono visti circondati dalle ruspe, se ne sono andati. Ora, con l’abbattimento dell’edificio, non c’è più nemmeno la speranza di poter un giorno tornare ad usufruirne.
Il Tar aveva respinto il ricorso che chiedeva l’annullamento del Decreto 1596 del 4 novembre 2013 con il quale l’Apv occupava l’area del bar e determinava l’indennizzo per l’esproprio. Il Consiglio di Stato lo scorso maggio ha respinto l’appello cautelare, sostenendo che l’interesse pubblico è prevalente, ma l’udienza di merito deve ancora tenersi. L’Apv, invece, ha fatto procedere le ruspe ed ora il danno è irrimediabile. A meno che, come chiede la proprietaria, l’Autorità non decida di risarcirla assegnandole uno spazio all’interno del terminal delle Autostrade del mare a Fusina, dove possa aprire un nuovo bar. In attesa di eventuali sviluppi in questo senso, la causa al Consiglio di Stato va avanti.
In sintesi la difesa della Lorenzini sostiene che l’Autorità portuale veneziana non aveva il potere e la facoltà di espropriare e tantomeno di demolire, perché tali poteri erano in capo prima al Commissario per l’emergenza dei fanghi e, una volta cessata la sua gestione, al direttore della Direzione progetto Venezia della Regione. Questo in base all’Accordo Moranzani di marzo 2008 e all’Accordo integrativo del 4 febbraio 2011. Infine il legale sostiene che non c’era alcuna urgenza di demolire il bar perché, sempre secondo quanto scritto dall’Autorità portuale nel decreto di occupazione, la rotonda in costruzione è di servizio al terminal dell’Autostrada del mare, opera che però non ha ancora nemmeno concluso l’iter di approvazione.
MESTRE – Azienda “sfrattata” dalla Vallenari bis
BISSUOLA – L’azienda di autotrasporti Busolin martedì deve lasciare libera l’area dove passerà la strada
“Sfrattati” dalla Vallenari bis. Quaranta lavoratori in bilico
Quaranta famiglie in bilico per l’esproprio di 2mila quadrati di terreno dove dovrebbe sorgere la seconda parte della Vallenari bis. Le famiglie sono quelle dei 40 dipendenti della storica ditta dei Fratelli Busolin che ha sede in via Cà d’Oro alla Bissuola. Un’azienda nata nel 1959 come ditta di autotrasporti e fondata da Paolo Busolin. La gestione è poi proseguita con i tre figli Giovanni, Marco e Moreno specializzandosi anche in scavi, demolizioni, lottizzazione e bonifiche di vario tipo oltre all’arredo urbano. Ora martedì mattina in via Cà d’Oro dove si trova la sede, si presenteranno i funzionari del Comune di Venezia per espropriare quell’area di terreno in cui sorgerà la prosecuzione della Vallenari Bis, opera pubblica. E la storica ditta, rischia di chiudere mandando a casa i suoi dipendenti non avendo una valida alternativa per trasferirsi e continuare l’attività. Questa, però, è solo la parte finale, forse, della vicenda. Che inizia nel 1995 quando i Busolin sempre di quell’area della Bissuola dove sorge l’azienda di famiglia erano proprietari. «Sono 19 anni davvero che questa storia si trascina – spiega Giovanni Busolin, uno dei tre fratelli titolari della ditta – All’inizio ci avevano chiesto di spostarci per il rumore dei camion che disturbava i vicini. Trattammo con i funzionari comunali poi con l’assessore Vecchiato una soluzione. L’area individuata era a Spinea. Ricordo di aver commissionato anche il progetto preliminare. Poi cambiò la Giunta e tutto si bloccò. In seguito arrivò Micelli e anche con lui il discorso era ben avviato, malgrado le lentezze. Poi è stato silurato da Orsoni e tutto è tornato in alto mare».
Nel frattempo sono cambiate un pò di cose per voi. «La crisi ha graffiato molto e forte e sono stato costretto a vendere il terreno per mantenere viva l’azienda. Siamo rimasti qui ma come affittuari. Ho 135 tir e una cinquantina di rimorchi, sono qui dentro ogni santo giorno e molti dei 40 dipendenti provengono da cassaintegrazione e mobilità. Dovevo incontrare il Comune e l’assessore Farinea, subentrato a Micelli, il 10 giugno scorso. Il terremoto in Comune ha fatto slittare tutto tranne un ricorso al Tar che ci ha dato torto malgrado su questo terreno, quando è stata fatta la vendita e io sono diventato affittuario non esista alcun tipo di prescrizione come attestato dal notaio e da alcune perizie». In pratica, adesso, lei deve sloggiare. «Sì altrimenti mi pignorano la casa – spiega Busolin – Ma il fatto non è tanto andarmene da qui. Ma dove? Volete rimandarmi in quell’area a Spinea sulla statale 81? Ci vado. Ma perché incaponirsi adesso. Forse perché entrando in possesso di quei 2mila metri quadrati di area diventerebbe fabbricabile e potrebbero poi farci dei soldi? E poi, un’altra domanda, perché le diffide a me e non al proprietario del terreno? Mi hanno chiesto di non fare opposizione ma non escluso nulla martedì. Le 40 famiglie dove le mando a mangiare? A casa dei funzionari del Comune».