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IL CASO – Il direttore generale dell’Ulss di Este Giovanni Pavesi detiene una quota nella Ihfl

L’ex doge ricoverato nell’ospedale gestito da un suo socio in affari

INDAGATO – Quote anche all’ex capo della sanità veneta Ruscitti

L’EX GOVERNATORE – La partecipazione mascherata con una fiduciaria

LA SRL Sede a Milano, controllata da Galan e attiva nella sanità, è finita nell’inchiesta Mose

VENEZIA – La spiegazione non fa un grinza: sabato scorso Giancarlo Galan, a causa di problemi cardiologici legati al suo stato di stress, è stato ricoverato all’ospedale di Este perché è questa la struttura sanitaria più vicina, circa 5 chilometri, a Cinto Euganeo dove l’ex governatore vive. Portarlo a Padova, dove opera una delle cardiologie più affermate d’Italia, avrebbe significato sottoporre il paziente, che tra l’altro ha anche una gamba fratturata, a un viaggio più faticoso. Nulla da eccepire. Certo può forse apparire singolare che, a causa degli strani intrecci tra politica e affari, interessi pubblici e privati, l’ospedale di Este ricada proprio sotto il governo di un socio di Galan, ossia Giovanni Pavesi. Il manager veronese, amico di lunga data dell’ex governatore, oltre ad essere il direttore generale della Ulss 17, l’Unità sanitaria che gestisce appunto il presidio ospedaliero di Este, è infatti anche uno degli azionisti della Ihlf.
Se stessimo parlando di una bocciofila o di una piccola immobiliare di provincia, poco importerebbe. Ma si dà il caso che la Ihfl sia una delle società della cosiddetta “galassia Galan” finita nel mirino della Guardia di Finanza e della magistratura veneziana proprio nell’inchiesta sul Mose. La srl, con sede in via Casati a Milano, ha come oggetto sociale la “prestazione di servizi ed attività di consulenza nel settore sanitario ed ospedaliero con particolare riferimento alla prestazione di servizi, anche di project management, nella costruzione di strutture sanitarie all’estero”. Con la possibilità di emettere obbligazioni ed “assumere partecipazioni” in altre realtà. Insomma una mini-holding sanitaria pronta all’uso.
Ihlf è stata costituita sul finire del 2011 e Galan, secondo la Guardia di Finanza, ne possiede il 50%. La sua non è una partecipazione diretta ma schermata attraverso una fiduciaria, la Sirefid che però, secondo gli inquirenti, è riconducibile interamente all’ex governatore. Tra i soci di Ihlf, insieme ad un gruppetto di manager della sanità veneta e lombarda, c’è appunto anche il direttore dell’Ulss 17 Pavesi che detiene il 6,5% della società.
Particolare che ha suscitato l’interesse della magistratura il fatto che con la stessa quota di Pavesi faccia parte della compagine societaria di Ihfl anche un altro personaggio entrato nell’inchiesta sul Mose: Giancarlo Ruscitti, l’ex direttore della sanità veneta (epoca Galan), indagato dalla procura di Venezia perché avrebbe ricevuto dalla Coveco, su indicazione di Mazzacurati, una consulenza da 200mila euro finalizzata a “cercare il consenso da parte dell’autorità politiche per la realizzazione del nuovo ospedale di Padova”, progetto che, come noto, stava molto a cuore non solo a Galan ma anche al padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova. Di Ihfl Ruscitti è anche l’amministratore unico. Pavesi, invece, non ha alcun incarico. (lil.ab.)

 

GALAN / 1 – SI DIFENDA IN AULA

Il Gazzettino mi consenta di spendere una parola su uno degli argomenti che maggiormente tengono banco sulla stampa in questi giorni. Mi riferisco al “caso Galan” e chiedo: come può un parlamentare come lui, che nella sua vita politica ha ricoperto incarichi a dir poco prestigiosi, come quello di governatore del Veneto, di senatore, di ministro dell’Agricoltura e dei Beni Culturali e che attualmente è presidente della commissione Cultura della Camera dei Deputati, nascondersi dietro pretestuose giustificazioni mediche allo scopo di ritardare il più possibile di comparire in aula dove invece avrebbe la possibilità di far valere il suo sacrosanto diritto di difendersi davanti ai colleghi? Se il suo intento fosse veramente questo, come da lui stesso sbandierato ai quattro venti, non esiterei al suo posto, pur di essere presente, a farmi trasportare in aula anche in barella. Persino con le cannule della flebo infilate nelle vene.

Cesare Rallo – Mestre

 

GALAN / 2 – CERTI POLITICI SI VERGOGNINO

Leggo in prima pagina: «La documentazione medica attesta che Galan ha bisogno di 45 giorni di degenza». Fino all’altro giorno era pimpante come un gallo, improvvisamente diventa mezzo moribondo. I politici non si vergognano di prendere per i fondelli i cittadini?

Dario Verdelli – Villorba (Tv)

 

GALAN / 3 – UNA MALATTIA SUGGERITA?

Pur volendo ancora credere e sperare che gli indagati nell’inchiesta sul Mose non siano tutti corrotti come ci viene descritto, mi viene da pensare che la malattia di Giancarlo Galan sia una mossa suggerita dagli avvocati. A pensar male si fa peccato, ma qualche volta…

Annamaria De Grandis – Castelminio (Tv)

 

GALAN / 4 – SE COLPEVOLE DEVE PAGARE

Mi associo a quanto scritto dal sig. Natale Trevisan e aggiungo che i ladri ricchi vanno perseguiti senza pietà e senza attenuanti. A me fa schifo che i vari partiti litighino per difendere l’impunità dei vari parlamentari. Partiti come Forza Italia e il Pd devono vergognarsi di difendere Galan ed Errani, se sono colpevoli devono pagare e restituire il malloppo sottratto. Se uno di noi, senza tanti santi protettori, ruba una banana perché ha fame, viene subito fermato e messo in prigione, e poi si vedrà. Per “lor signori”, gli avvocati strapagati cercano tutti i cavilli per non farli andare in prigione.È una vergogna. I cittadini sono strastufi di mantenere persone che invece di fare il bene dell’Italia pensano solo al proprio interesse. Chi è stato eletto non ha nessun previlegio sugli altri cittadini, ha solo il dovere di essere onesto e di lavorare per il bene del popolo. Quindi tutti gli implicati nell’inchiesta Mose e in tante altre “bische” dell’Expo devono andare in galera e restituire con gli interessi quanto rubato.

Ignazio Zoia

 

SALVAGUARDIA E RISORSE

VENEZIA Pioggia di milioni a università, Curia, enti di ricerca, istituzioni culturali

Così la Legge speciale ha finanziato tutti

LEGGE SPECIALE – Undici miliardi dati a Venezia da Roma dal 1984 a oggi

IL CASO – Il consorzio di ricerca Corila si è portato a casa 13 milioni

FONDI ASSEGNATI – Alla Curia 52 milioni e 17 alla Procuratoria di San Marco

Enti e istituzioni, pioggia di soldi statali

In 30 anni in 17 soggetti sono divisi 667 milioni. Tra di essi anche la Provincia (102) e la Save (110)

Tutti insieme appassionatamente. Istituzioni statali ed enti locali. Ma non solo. C’è spazio anche per gli enti locali minori e per le istituzioni culturali; per i ministeri; per gli enti portuali di Venezia e Chioggia e addirittura per il Commissario per il traffico acqueo. Insomma, nel calderone degli undici miliardi che lo Stato ha concesso in trent’anni, c’è veramente di tutto. Non sono solo i “soliti noti” ad aver beneficiano dei fondi dello Stato, ma anche 17 soggetti oltre a Magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova, Regione Veneto e Comune di Venezia. Nel complesso questa folta delegazione di enti e istituzioni ha cumulato – secondo l’Ufficio di Piano del Ministero delle Infrastrutture – circa 667 milioni di euro di cui 588 milioni sono stati spesi in un arco di tempo che va dal 1984 al 2013.
Questi i soggetti che hanno ottenuto il loro “gruzzoletto” nel tempo. E tra essi ci sono tre ministeri coinvolti (Ricerca scientifica e università; Tesoro; Beni Culturali) ma anche istituzioni come enti di secondo grado, enti culturali ed ecclesiastici e addirittura un consorzio di ricerca come il Corila che negli anni si è portato a casa ben 13 milioni di euro.
Andiamo con ordine. Ai ministeri (e quindi ai relativi uffici periferici a Venezia ndr) sono andati al Miur (10 milioni); ai Beni culturali (9 milioni); al Tesoro (1 milione di euro). E se le “quote” ai dicasteri sono in qualche modo modeste, ben altra sorte “fortunata” è toccata ad altri enti come ad esempio Ca’ Foscari che negli anni inanella 121 milioni di euro; alla Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo che si porta a casa 110 milioni di finanziamenti assegnati. E sempre per rimanere in tema istruzione aggiungiamo lo Iuav che ne ottiene 54. E poi ci sono gli altri enti come l’Autorità portuale di Venezia (assegnati 69 milioni), quella di Chioggia (11 milioni). E c’è anche la Provincia che ora si avvia alla “chiusura”, ma che negli anni si è portata a casa 101 milioni dei quali spesi solo 93. E poi ci sono le istituzioni culturali. Ed ecco quindi la Biennale che ha ottenuto direttamente 26 milioni oltre ad avere il sostegno con altri finanziamenti della Legge speciale “dirottati” dal Comune; la Biblioreca Querini Stampalia (8 milioni assegnati) oltre a quelli che giungevano dal Comune attraverso la Legge speciale; la Fondazione Giorgio Cini che negli anni ha ottenuto 32 milioni di euro. E torna anche il mondo della Chiesa. In quest’ambito la parte del leone l’ha fatta la Curia (52 milioni) più i fondi concessi, tramite la Legge speciale, dalla Regione Veneto; la Procuratoria di San Marco con 17 milioni assegnati direttamente nel corso degli anni. Infine la Diocesi di Chioggia con 9 milioni (oltre a quelli concessi tramite la Legge speciale direttamente dal Comune di Chioggia). Infine il Commissario al Traffico acqueo che negli anni ha beneficiato di un contributo di 10 milioni di euro. Nella maggior parte dei casi – come indica l’Ufficio di Piano del Magistrato alle Acque – i finanziamenti hanno riguardato fondi per il patrimonio immobiliare, per il recupero storico-artistico e comunque per destinazione di carattere pubblico. In parte questi finanziamenti (28.7 per cento) sono andati ad opere infrastrutturali, di urbanizzazione e manutenzione urbana.

 

A MALAMOCCO E LIDO – Subacquei in azione per la posa dei cassoni

Intanto il Consorzio Venezia Nuova prosegue nel proprio lavoro. E ora arriva anche una squadra di archeologi subacquei che sono stati chiamati ad una mappatura dei fondali individuando moltissimi “pezzi unici” come una cannoniera del Seicento; un’imbarcazione dell’Ottocento; una galea medioevale che, come è noto, sono stati rintracciati alle bocche di porto di Lido e Malamocco. E ora questi stessi sub stanno operando per la posa dei cassoni, impegnati 24 ore su 24 al comando di un pool di esperti olandesi guidati da Maurice Reijm. L’operazione è svolta con la collaborazione della società Idra coordinata Eros Turchetto e Paolo Zanetti. I sommozzatori stanno conducendo analisi, bonifiche subacquee fino alla verifica della posa dei cassoni alle bocche di porto

 

RAFFAELE CANTONE «È una rivoluzione contro il malaffare»

ROMA – Protocollo firmato dall’Autorità e da Alfano: linea dura come contro la Mafia

Stop ai contratti d’appalto in caso di corruzione

ROMA – I nuovi appalti pubblici – Expo in testa – dovranno contenere una clausola precisa: la risoluzione del contratto nel caso emergano fatti di corruzione. L’indicazione è contenuta nel protocollo d’intesa siglato ieri al Viminale dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Si tratta, commenta quest’ultimo, di «una rivoluzione copernicana: si utilizzano degli istituti nati per contrastare la mafia in funzione anticorruzione. Prima, infatti, la risoluzione del contratto era legata all’omessa denuncia di un’estorsione». Gli fa eco Alfano. «Attuiamo la linea dura contro i corrotti, usando le stesse misure di prevenzione previste per i mafiosi. Una gara d’appalto truccata è un attentato alla libera concorrenza ed al funzionamento del mercato. Noi dobbiamo intervenire in tempo contro i ladri e, allo stesso tempo, non fermare le opere per fare in modo che la collettività non abbia a subire un danno».
La nuova regola vale naturalmente anche per l’Expo, grande opera negli ultimi mesi investita da inchieste. «Ho raccomandato alla società Expo – informa Cantone – di firmare subito il protocollo di legalità in modo che in tutti i bandi futuri sia prevista la risoluzione del contratto in presenza di fatti corruttivi: questa regola avrebbe evitato tanti problemi verificatisi finora».
Con l’intesa siglata ieri, Viminale e Anac adottano le Linee Guida per avviare una collaborazione tra Autorità, prefetture ed enti locali, finalizzata alla «prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa». Il documento punta a creare protocolli di legalità di «nuova generazione» tra prefetture e stazioni appaltanti. In particolare, i nuovi protocolli conterranno, oltre all’obbligo di denuncia dei tentativi di estorsione, anche «clausole volte a riconoscere alla stazione appaltante la potestà di azionare» la risoluzione del contratto «ogni qualvolta l’impresa non dia comunicazione del tentativo di concussione subito», nonché «in tutti i casi in cui, da evidenze giudiziarie consolidate in una misura cautelare o in un provvedimento di rinvio a giudizio, si palesino accordi corruttivi tra il soggetto aggiudicatore e l’impresa aggiudicataria».
Prima di procedere alla risoluzione del contratto l’Anac valuterà se «in ragione dello stato di avanzamento dei lavori o del rischio di compromissione della realizzazione dell’opera, tenuto anche conto della rilevanza della stessa, sia preferibile proseguire nel rapporto contrattuale, previo il rinnovo o la sostituzione degli organi dell’impresa aggiudicataria interessata dalle vicende corruttive».

 

IL CASO – Torna in libertà l’ex ministro Corrado Clini

È tornato libero l’ex ministro Corrado Clini, finito ai domiciliari con l’accusa di peculato. Al centro dell’inchiesta i lavori di riqualificazione in Iraq.

NESSUN VINCOLO «Adesso Corrado Clini – ha detto il suo avvocato – è un uomo libero non ha vincoli di alcun genere, attende solo il processo»

FINITI I DOMICILIARI – L’avvocato: «Attenderà il processo. Pensiamo ad un complotto contro di lui»

Torna libero l’ex ministro Clini

«Soddisfatto, mantengo la disciplina del silenzio». Accusato di peculato in una collaborazione con l’Iraq

ROMA – È tornato libero l’ex ministro Corrado Clini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, tra i primi responsabili della medicina del lavoro a Porto Marghera. Da ieri è finito il regime degli arresti domiciliari che era cominciato per un provvedimento della magistratura di Ferrara a fine maggio. È accusato di peculato per una ingarbugliata vicenda di parcelle internazionali e attività di riqualificazioni territoriali in Iraq.
«Sono soddisfatto, ma intendo attenermi alla disciplina del silenzio che ho concordato con il mio difensore. Si rivolga a lui» ha detto ieri sera, rintracciato nella sua abitazione romana. L’avvocato Paolo Dell’Anno spiega: «Adesso Clini è un uomo libero, non ha vincoli di nessun genere, tranne quello di dover attendere il processo. Il gip ha ritenuto che non ci siano più esigenze cautelari. E questo ci fa piacere». Il legale fa capire che a suo giudizio queste esigenmze non c’erano neppure all’inizio di una vicenda nata con l’ipotesi di corruzione, poi modificata in peculato.
«Il dottor Clini ha mantenuto sempre la stessa posizione, rigettando le accuse. – aggiunge l’avvocato – Fin dall’inizio abbiamo rappresentato la nostra posizione in assoluto contrasto con la tesi accusatoria. E riteniamo anche di aver portato le prove documentali che lo dimostrano».
Secondo il gip di Ferrara Piera Tassoni, Corrado Clini (indagato anche a Roma per un altro filone) avrebbe avuto responsabilità nella gestione tra il 2007 e il 2011 del progetto New Eden, un finanziamento da 57 milioni di euro (54 già erogati) per la riqualificazione del territorio iracheno. L’accusa ipotizza anche il riciclaggio internazionale e ha iscritto nel registro degli indagati altri otto nomi, per tre milioni e 400mila euro, attraverso una catena di false fatture emesse da società estere, che sarebbero finiti su conti svizzeri di Clini e dell’ingegnere padovano Augusto Calore Pretner, anch’egli finito ai domiciliari.
Il presunto peculato era emerso da un’altra inchiesta, per evasione fiscale: un milione e 500mila euro di fatture inesistenti dalla società olandese Gbc alla Med, uno studio di ingegneria di Ferrara. Era stata la polizia olandese a segnalare che la ”cartiera” per false consulenze aveva avuto rapporti con Nature Iraq, legata a New Eden. Clini ha sostenuto che per il suo interessamento era prevista una parcella, che non è neppure stata pagata. E ha adombrato qualche complotto. Sul punto il difensore è stato laconico, ma ha ammesso: «Su questo punto abbiamo elementi consistenti».

R.C.

 

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