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Gazzettino – Galan deve restare in carcere

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

3

ago

2014

CASO MOSE L’ex padrone della villa di Cinto: «I soldi in nero li portava la moglie». Alessandri: «Diedi 30mila euro a Chisso»

Galan deve restare in carcere

Il Tribunale del riesame respinge anche la richiesta di arresti domiciliari. Prescritti i reati precedenti al 2008

DECISIONE – Respinto il ricorso dei difensori di Giancarlo Galan. Il tribunale della libertà: l’ex governatore del Veneto deve restare in carcere.

RIVELAZIONI – L’ex proprietario della villa di Cinto Euganeo: «Mi fu pagata in parte in nero, i soldi li portava la moglie di Galan». Nuova accusa dal costruttore Alessandri: «Tangente da 30mila euro a Chisso».

Il venditore: «Il costo reale fu di un milione e 800mila euro»

DIFENSORE – Franchini: «Sono sparite l’80 per cento delle accuse. Ora ci concentriamo sulle ipotesi rimanenti»

I GIUDICI DEL RIESAME – Confermata l’ordinanza di arresto per corruzione a carico dell’ex governatore

LA PRESCRIZIONE – Non più perseguibili tutti i reati che risalgono a prima del luglio 2008

Galan resta in carcere negati anche i domiciliari

Sarà una lunga estate in carcere per Giancarlo Galan. Il Tribunale del riesame di Venezia ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Alberto Scaramuzza, ritenendo che vi siano gravi indizi di colpevolezza a suo carico e che sussista il rischio di reiterazione di reati dello stesso tipo.
Il dispositivo dell’ordinanza è stato depositato poco dopo le 13 di ieri e subito notificato ai difensori dell’ex Doge del Veneto, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini: quest’ultimo era a Milano, nel carcere di Opera, a far visita al suo assistito.
Il collegio presieduto da Angelo Risi (a latere Daniela Defazio e Sonia Bello) ha rilevato l’avvenuta prescrizione di tutti gli episodi precedenti al 22 luglio 2008, per i quali a quella data (giorni di esecuzione della misura cautelare) era già trascorso il termine massimo di sei anni, oltre al quale non è più possibile perseguire i reati. Dunque l’ordinanza è stata annullata in relazione a tutte le dazioni antecedenti il 22 luglio 2008, e cioè i finanziamenti elettorali consegnati da Baita, i 200mila euro che sarebbero stati versati all’hotel Santa Chiara di Venezia, una parte dei finanziamenti per la ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, il versamento di 50mila euro avvenuto nel 2005 presso un conto corrente in una banca di San Marino.
L’ordinanza è stata invece confermata in relazione a tutte le altre accuse per le quali il tempo a dispsizione per definire l’eventuale processo sarà di 7 anni e mezzo (l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare costituisce, infatti, atto interruttivo e, di conseguenza, la prescrizione si allunga di un terzo). Le motivazioni saranno depositate verso la metà della prossima settimana.
Il Tribunale ha rigettato le altre eccezioni preliminari proposte dalla difesa e ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità Costituzionale avanzata con riferimento all’articolo 111 della Costituzione (il “giusto processo”) e all’articolo 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo, ovvero l’asserita incompatibilità di uno dei giudici che, in sede di Riesame, si è già pronunciato nelle scorse settimane sulle posizioni degli altri coindagati.
Di ritorno da Milano l’avvocato Franchini ha riferito di aver incontrato Galan e di averlo trovato «tranquillo, sereno e battagliero». Quanto all’ordinanza del Tribunale, il legale ha dichiarato che si sarebbe aspettato qualcosa di più, almeno la concessione dei domiciliari, ma per la difesa ci sono anche lati positivi: «Il processo viene molto ridimensionato attraverso la dichiarazione di prescrizione dell’80 per cento delle accuse: ora ci concentreremo sul rimanente», ha spiegato Franchini, domandandosi come il gip abbia potuto emettere un’ordinanza di custodia cautelare su episodi non più giudicabili. «Faremo ricorso per Cassazione: a nostro avviso tutti gli episodi contestati dall’aprile 2010 sono di competenza del Tribunale per i ministri; è lo stesso Mazzacurati a dichiarare che Galan fu pagato in qualità di ministro».
In merito ai reati non prescritti (gli “stipendi” di Mazzacurati della seconda metà 2008, del 2009 e 2010 e le quote della società Adria Infrastrutture), Franchini sostiene che nel merito Galan dimostrerà l’infondatezza delle accuse: «È lo stesso Baita a smentire Mazzacurati quando dichiara che non ci furono pagamenti sistematici, ma soltanto occasionali».
Il Riesame ha rigettato ieri anche il ricorso dell’imprenditore Andrea Rismondo, confermando per lui l’obbligo di dimora a Preganziol, e ha disposto la remissione in libertà dell’ex giudice della Corte dei Conti, Vittorio Giuseppone, ai domiciliari dal 4 giugno con l’accusa di corruzione per somme di denaro incassate per sveltire l’iter dei contratti del Consorzio Venezia Nuova. Gli indizi sono gravi, ma i giudici ritengono che non sussistano le esigenze cautelari, anche perché l’indagato è in pensione da tempo.

 

Mevorach: «Dice il falso, forse vuole vendicarsi»

«Non ho mai finanziato l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: la sua sembra la reazione di una persona disperata, forse mal consigliata. Oppure è una vendetta dovuta al fatto che non ho mai voluto versargli alcun contributo».
Lo ha dichiarato l’imprenditore veneziano Andrea Mevorach, chiamato in causa nel memoriale di Galan e indicato come uno degli imprenditori che finanziarono nel 2005 la sua campagna elettorale. Galan ha sostenuto che i soldi versati da Mevorach e dal bellunese Giampietro Zannoni (Finest) sarebbero stati trattenuti dall’allora segretaria Claudia Minutillo. Circostanza negata da Mevorach, il quale racconta che fu Galan a chiedergli soldi (richiesta da lui respinta). E negata da Zannoni che, davanti ai pm ha dichiarato di «non conoscere la signora Claudia Minutillo, di non averla mai incontrata e di non averle mai consegnato somme di denaro». Zannoni ha annunciato di «valutare ogni azione legale nei confronti dell’onorevole Galan».

 

«A Galan 115mila euro in tre rate e altri 100mila con i lavori in villa»

Il professionista: «In quel cantiere hanno lavorato 60-70 persone»

RIVELAZIONI Gli interrogatori del proprietario della dimora di Cinto Euganeo acquistata da Galan e dell’architetto che ha visionato imponenti lavori di restauro su una superficie di circa 1700 metri quadrati

«Villa pagata con un milione e 100mila euro in nero. Li portava la moglie»

VENEZIA – Per acquistare villa Rodella, a Cinto Euganeo, l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, avrebbe dichiarato il falso nell’atto di rogito davanti al notaio, attestando nel 2005 un prezzo di 700mila euro, mentre la somma effettivamente concordata per la compravendita era di un milione e 800mila euro.
A raccontarlo alla Guardia di Finanza è stato il precedente proprietario, il medico siciliano Salvatore Romano, il quale ha spiegato che il rimanente, un milione e 100mila euro, fu «corrisposto in contanti prima del rogito in varie tranches. I contanti ci sono stati consegnati da familiari di Galan Giancarlo presso l’abitazione dove vivo tutt’ora. Lui ancora non era sposato ma veniva a portare i soldi la sua attuale moglie, Persegato Sandra. Mi pare sia venuta in cinque o sei occasioni…»
Versione confermata dalla moglie, Maria Nunzia Piccolo, la quale ricorda ancora il notevole «dispendio di forze» messe in campo successivamente per i lavori di ristrutturazione.
In relazione ai lavori di ristrutturazione della villa, gli inquirenti hanno ascoltato numerosi testimoni. Diego Zanaica, socio di minoranza della società che si occupò dei lavori, la Archigest (di proprietà per il 60 per cento della Tecnostudio dell’architetto Danilo Turato), parla di lavori per 7-800mila euro. «Al momento della vendita l’immobile non era del tutto abitabile», ha precisato il dottor Romano, ricordando che davanti al notaio si presentò anche il commercialista di fiducia di Galan, Paolo Venuti, tutt’ora in carcere per concorso in corruzione. L’architetto Luca Ruffin, il professionista che per il medico siciliano aveva curato alcuni lavori prima della vendita, ha confermato che erano necessari molti lavori di restauro, per un importo considerevole, superiore a quello indicata da Zanaica: «Villa Rodella è un immobile di 1700 metri quadrati, con oltre 14mila metri di parco: il restauro più blando non poteva costare meno di 1000 euro al metro, anche perché l’immobile è stato venduto al grezzo».
Ruffin ha raccontato di aver visitato la villa nel 2006 a lavori conclusi e racconta di un impianto di videosorveglianza con telecamere a domotica del costo di almeno 30mila euro, nonché di una serie di finiture di grande pregio: bassorilievi con stucchi alla veneziana e lo studio di Galan rivestito totalmente in radica di noce «Per quanto ne so gli stuccatori che hanno lavorato a villa Rodella sono gli stessi che hanno lavorato a palazzo Ferro-Fini a Venezia (la sede del Consiglio regionale, ndr). Lo stesso anche per quanto attiene i tendaggi. E ancora «tappeti persiani per importi rilevanti e mobili di antiquariato». Degli impianti elettrici si occupò la Gemmo Impianti di Arcugnano. Nel cantiere di Cinto, ricorda l’architetto Ruffin, operarono per un anno «60-70 persone che per mesi hanno lavorato solo in quel cantiere. Tutti in paese ricordano la fila delle macchine degli operai parcheggiate lungo le strade…»
L’architetto ricorda anche la faraonica festa di matrimonio per i 50 anni del Doge del Veneto, il 10 settembre del 2006, nella villa appena restaurata. «Tra i regali vi era un trattore Carraro da 30mila euro ed una serie di oggetti da svariate migliaia di euro: ogni presente per partecipare doveva scegliere un regalo. Io personalmente ho preso uno dei meno costosi, spendendo 350 euro…». (gla)

Galan «aveva un peso incredibile, insomma non si muoveva foglia…». Stefano Tomarelli, manager nel direttivo del Cvn per conto della società Condotte, ha parlato del ruolo e degli interventi dell’allora presidente della Regione in alcune pratiche relative al Mose. In particolare per quanto riguarda l’iter autorizzativo dei “cassoni” di alloggiamento delle paratoie. Nell’interrogatorio sostenuto il 25 giugno, Tomarelli parla di un rapporto privilegiato di Galan con Mazzacurati e Baita. E ha ricordato una cerimonia all’Arsenale in cui Galan «fece uno sproloquio della bravura dell’ingegner Baita… che ci rimase a bocca aperta».

 

Tomarelli: «Quell’elogio per Baita…»

PROVE D’ACCUSA – Le dichiarazioni inedite del costruttore veneziano entrate nell’istruttoria

I VERBALI Pierluigi Alessandri, ex presidente Sacaim «Diedi 30mila euro a Chisso li prese come cosa dovuta»

«Mi fu detto dal governatore di essere “generoso” come ero stato con lui per avere appalti, ma poi dalla Regione ho ricevuto solo poche briciole»

VENEZIA – (gla) Pagare il presidente della Regione non fu sufficiente per poter essere ammesso nella “cerchia degli imprenditori amici”. L’ex presidente della Sacaim, Pierluigi Alessandri, ha raccontato di essere stato costretto a versare una “mazzetta” anche a Renato Chisso: 30mila euro, a lui consegnati personalmente nel febbraio del 2010, all’hotel Laguna Palace di Mestre, dopo una serie di incontri nel corso dei quali l’assessore alle Infrastrutture aveva sollecitato i pagamenti.
Il nuovo episodio di presunta corruzione – recente e non coperto da prescrizione – è stato messo a verbale mercoledì mattina dall’imprenditore, originario di Padova, ora residente a Venezia, nel corso di un interrogatorio avvenuto in Procura, di fronte al sostituto procuratore Stefano Ancilotto. «Chisso prese il denaro come fosse una cosa dovuta», ha dichiarato l’ex presidente di Sacaim, precisando che l’accreditamento presso Galan era condizione necessaria per poter lavorare, ma non sempre sufficiente, in quanto nei settori di stretta competenza dell’assessore Chisso era comunque necessario “accreditarsi” ulteriormente con dazioni di denaro a quest’ultimo».
Alessandri ha spiegato che fu Galan a metterlo in contatto con Chisso, consigliandolo «di tenere condotta analoga a quella avuta con lui, cioè di mostrarmi “generoso” nelle elargizioni al fine di poter godere di un trattamento di favore nell’assegnazione dei lavori pubblici».
Alessandri ha raccontato che, fino a quel momento, aveva avuto difficoltà con l’assessore alle Infrastrutture che «tirava sempre fuori delle scuse…», facendogli capire che «Baita osteggiava la mia impresa… e Chisso era molto sensibile alle indicazioni di Baita».
Dopo il pagamento della “mazzetta”, comunque, le cose non sarebbero cambiate di molto: «Alla fine a Sacaim sono arrivate solo le “briciole” degli appalti finanziati dalla Regione», ha dichiarato Alessandri, ricordando che, ad esempio, Sacaim fu esclusa dal primo lotto dell’autostrada Venezia-Trieste. Con lui Chisso «tentennò e temporreggiò, ma mi fece capire che non c’erano spazi di manovra…». L’associazione temporanea di imprese che si aggiudicò i lavori «era composta da Impregilo, Carron, Coveco e Mantovani».
Quanto a Galan, Alessandri ha dichiarato di avergli versato 115mila euro in più rate: 50mila nel maggio-giugno del 2006, 15mila nel dicembre 2006, 50mila all’inizio del 2007. Soldi consegnati nella villa di Cinto Euganeo e in parte a casa della figlia di Alessandri, a Monticelli di Monselice, «dove Galan passava ogni tanto a salutare». Ad effettuare le consegne sarebbe stata l’ignara figlia di Alessandri, all’interno di buste chiuse: «Il Galan poi mi ringraziò delle somme ricevute».
Successivamente si occupò di alcuni lavori di restauro della villa di Cinto Euganeo dell’ex Governatore, per circa 100mila euro: «A fronte di tali lavori, solo formalmente, è stata emessa una modesta fattura per 25mila euro, che ovviamente non è stata pagata», ha spiegato l’ex presidente della Sacaim, precisando che successivamente, quando la società finì in amministrazione straordinaria, fu mandato un «generico sollecito il cui unico scopo era quello di cautelarsi nei confronti dei commissari».
I lavori terminarono nel 2009 e la fattura fittizia fu emessa nel 2010 dalla Sacaim alla società Archigest dell’architetto Danilo Turato, il professionista che si occupò dei restauri per conto di Galan. Quella fattura serviva a «giustificare la presenza del personale e i costi di materiale e trasporto in caso di controlli», ha precisato Alessandri.
«Tali somme e tali favori sono stati da me corrisposti a Galan in virtù del suo ruolo di Governatore della Regione Veneto e per avere la possibilità di entrare nella schiera di imprenditori “amici” che potevano fruire di trattamenti particolari nell’assegnazione dei lavori».

 

SCANDALO MOSE – L’ex governatore sosteneva che nel 2005 il costruttore versò 300mila euro, trattenuti dalla Minutillo

«Galan mi disse: devi pagare»

Parla l’imprenditore mestrino Mevorach: «Chiedevo di lavorare per la Regione, ma non ho dato un centesimo»

VENDETTA «Prese male il mio rifiuto, “non finisce qui” mi disse»

IL SISTEMA «C’erano voci su come funzionava ma la mia sorpresa fu enorme»

«Non c’entro. Perchè Galan dice che gli ho dato soldi in nero? Forse si sta vendicando proprio perchè gli ho detto di no e non gli ho dato un centesimo.» L’imprenditore veneziano Andrea Mevorach rompe il silenzio. I magistrati che indagano sul “sistema Mose” lo hanno ascoltato in qualità di persona informata sui fatti lo scorso 29 luglio, tre giorni dopo l’avvenuto deposito del memoriale nel quale Galan ha sostenuto di aver ricevuto da lui 300mila euro nel 2005 (e cospicui finanziamenti elettorali da altri imprenditori nello stesso periodo), ma che quei soldi se li era trattenuti la segretaria di allora, Claudia Minutillo. Dopo l’audizione avvenuta in Procura, a Mevorach era stato imposto il silenzio fino all’udienza davanti al Tribunale del riesame: ora finalmente può replicare, negando di aver mai finanziato Galan.

 

IL COINVOLGIMENTO – L’imprenditore è stato citato nel memoriale dell’ex governatore

IL RUOLO – Secondo l’ex ministro avrebbe pagato 300mila euro nel 2005

L’INCONTRO A ROVIGNO «Mi apostrofò proprio perchè mi ero rifiutato di versargli il denaro»

IMPRENDITORE – Andrea Mevorach, imprenditore veneziano, citato da Galan nel suo memoriale difensiovo come uno dei grandi finanziatori dell’ex governatore

Mevorach: «Io, vittima di Galan»

«Gli chiesi se potevo lavorare per la Regione, mi rispose che dovevo pagare. E mi chiuse le porte»

«Non c’entro davvero nulla, come ha accertato la stessa Procura. Non ho mai finanziato l’allora presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: la sua sembra la reazione di una persona disperata, forse mal consigliata. Oppure è una vendetta dovuta al fatto che non ho mai voluto versargli alcun contributo».
L’imprenditore veneziano Andrea Mevorach può finalmente parlare. I magistrati che indagano sul cosidetto “sistema Mose” lo hanno ascoltato in qualità di persona informata sui fatti lo scorso 29 luglio, tre giorni dopo l’avvenuto deposito del memoriale nel quale Galan ha sostenuto di aver ricevuto da lui 300mila euro nel 2005 (e cospicui finanziamenti elettorali da altri imprenditori nello stesso periodo), ma che quei soldi se li era trattenuti la segretaria di allora, Claudia Minutillo, cercando in tal modo di screditare le dichiarazioni accusatorie della donna. Dopo l’audizione avvenuta in Procura, a Mevorach era stato imposto il silenzio fino all’udienza davanti al Tribunale del riesame: ora finalmente può replicare, negando di aver mai finanziato Galan, così come hanno fatto anche gli altri imprenditori citati dall’ex Governatore del Veneto.
Si aspettava queste dichiarazioni di Galan?
«Non me lo sarei mai aspettato di essere tirato in ballo in questo modo – spiega Mevorach – Galan lo conosco bene e per un certo periodo abbiamo avuto rapporti di cordialità, che si sono rotti tra il 2006 e il 2007: in occasione di un incontro conviviale gli avevo chiesto se potessi lavorare anche per la Regione e lui mi rispose che avrei dovuto pagare, mettendomi d’accordo con l’assessore Chisso. Io rifiutai e da allora non ho più avuto rapporti con lui. Alla fine di quell’incontro Galan mi disse che non si sarebbe dimenticato del mio rifiuto: “Non finisce qui”, mi annunciò…»
Fino a quel momento non le era mai stato chiesto di pagare per lavorare?
«Nell’ambiente veneziano c’erano da sempre voci sul “sistema Mose”, ma di fronte alla richiesta di Galan la mia sorpresa fu enorme. Ne seguì un forte scontro e abbiamo rotto i rapporti: per la Regione non ho mai lavorato. Le porte mi si sono chiuse definitivamente».
Perché non ha denunciato il fatto?
«Non sono un baruffante, e poi sono una semplice briciola in un sistema ben più grande… Dunque ho lasciato stare».
La difesa di Galan sostiene di avere testimoni in grado di confermare che Lei ha finanziato Galan versando i soldi alla Minutillo.
«Impossibile! Non ci sono testimoni, a meno che non trovino qualcuno del suo enturage, testimoni artificiosi, come è accaduto con le “olgettine”…»
Ha intenzione di denunciare Galan per calunnia?
«Come dicevo non sono un baruffante… Non ho intenzione di fare denunce, anche se questa storia per me è stata una tegola spaventosa: spero soltanto di uscirne il prima possibile».

«Non ho mai versato a Galan o alla sua segretaria o ad altre persone a lui riconducibili contributi per campagne elettorali o somme ad altro titolo. Preciso anzi che il Galan mi aveva chiesto in più occasioni di corrispondergli somme di denaro, ma io non ho aderito a tali richieste e, in ragione di ciò, il Galan in più occasioni mi ha apostrofato in modo poco simpatico».
Si apre così il verbale sottoscritto da Andrea Mevorach, di fronte al pm Stefano Ancilotto e due militari della Guardia di Finanza. L’mprenditore veneziano definisce «assolutamente falsa e fantasiosa» la versione fornita da Galan nel memoriale depositato agli inquirenti, secondo la quale Mevorach si era lamentato con lui sostenendo di non essere stato ringraziato per un contributo di 300mila euro versato alla Minutillo nel 2005: «Ribadisco che non ho mai consegnato somme di denaro a Claudia Minutillo e non ho mai raccontato al Galan di averglieli consegnati – ha precisato l’imprenditore – Non ho mai corrisposto finanziamenti, nemmeno leciti, ad alcun partito politico o a suoi esponenti».
Mevorach ha riferito, al contrario, che sarebbe stato Galan a chiedergli di pagare, nel corso di un incontro avvenuto a Rovigno, in Croazia, all’inizio dell’estate del 2006 o 2007. L’imprenditore racconta che, in quell’occasione gli aveva proposto di sviluppare un immobile di importanza strategia per la Regione: «Galan mi rispose affermatvamente, ma precisandomi che prima avrei dovuto “mettermi d’accordo” con l’assessore Renato Chisso. Gli chiesi cosa intendesse con quella frase e lui mi rispose: “Non fare il furbo, sai bene di cosa parlo, la politica va aiutata”. A distanza di molti anni non posso ancora dimenticare le sue esatte parole: gli risposi che non era il mio modo di concepire e fare l’imprenditore, mandandolo a quel paese».

(gla)

 

IL BLITZ – Il 4 giugno alle 4 34 persone agli arresti tra queste il sindaco

LE CONSEGUENZE Cade la Giunta e viene nominato un commissario

CHISSO – Assessore regionale, presto destituito, è ancora in carcere

Quella retata storica che ha decapitato Venezia

MOSE – Le indagini della magistratura veneziana colpiscono sia tra gli uomini di destra che di sinistra

DUE MESI FA – La grande retata che decapitò Venezia

ORSONI – Per lui arrivano i domiciliari e subito dopo la perdita della carica

di Monica Andolfatto e Maurizio Dianese

Sono passati due mesi da quel 4 giugno che ha cambiato la storia recente di Venezia portando alla luce un fiume in piena di denaro pubblico che è stato utilizzato per corrompere mezzo Veneto. Così il Mose dal 4 giugno non è più sinonimo di dighe mobili che salvano Venezia dall’acqua alta e diventa invece il nome-simbolo del malaffare e della corruzione. Alle 4 del mattino scatta il blitz della Guardia di Finanza che ammanetta 34 persone. Fra gli arrestati il nome che fa il giro del mondo è quello del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni. Sono solo arresti domiciliari e solo per finanziamento illecito ai partiti, ma si tratta di un terremoto per la vita della città. L’arresto di Orsoni infatti porterà in pochissimo tempo alla caduta della Giunta e alla nomina di un Commissario straordinario.

LA CADUTA DEGLI DEI

Anche in Regione succede il finimondo perché la Procura veneziana chiede l’arresto di Giancarlo Galan, deputato ed ex Ministro della Repubblica dopo essere stato per 15 anni Governatore del Veneto. E’ uno degli uomini più potenti del Nord Est ed è accusato di aver percepito dal Consorzio Venezia Nuova uno stipendio annuale di un milione di euro, più benefit di ogni tipo, dalla ristrutturazione di Villa Rodella alla partecipazione societaria occulta in una ditta della Mantovani. Per non finire dietro le sbarre Galan si giocherà tutte le carte possibili e immaginabili, soprattutto a colpi di certificati medici, ma non c’è niente da fare, il 22 luglio, dopo che il Parlamento ha detto sì al suo arresto, anche per lui si aprono le porte del carcere di Opera, a Milano. Il 4 giugno invece erano già finiti in carcere l’assessore alle Infrastrutture Renato Chisso e il suo segretario Enzo Casarin. Anche il Consorzio Venezia Nuova viene decapitato con l’arresto di Maria Brotto che con Giovanni Mazzacurati dentro il Consorzio decideva di tutto e di più. In manette anche Federico Sutto e Luciano Neri che per anni hanno fatto da “postini” portando le mazzette una volta al Presidente del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta (arrestato), un’altra al Consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese (arrestato).

DESTRA E SINISTRA

Sì perché questo scandalo è ecumenico e comprende tutti, destra e sinistra, a cominciare dalle cooperative rosse che per anni hanno sgomitato per sedere al tavolo del Consorzio. Nell’ordinanza del Giudice Alberto Scaramuzza, che dà il via agli arresti, c’è anche il nome di Marco Milanese, braccio destro dell’ex Ministro Giulio Tremonti. Tremonti non è l’unico ministro della Repubblica che compare nelle carte della Procura, ci sono anche Altero Matteoli e Pietro Lunardi. Ma della tranche romana la Procura veneziana si disferà rapidamente – così come dello “scampolo” milanese legato all’Expo 2015 – anche perché quel che resta a Venezia basta e avanza per dar lavoro ad un esercito di avvocati e a mezza Procura veneziana.

LA “CRICCA”

Pensare che tutto era iniziato da una “inchiestina” grazie alla quale si era accertato che gli appalti gestiti dalla Provincia di Venezia erano “pilotati”. Un paio di dirigenti dell’Ufficio tecnico della Provincia erano finiti in manette. Niente di che. L’inchiesta poteva finire lì e invece uno dei p.m. dell’inchiesta Mose, Stefano Ancilotto – che sarà poi affiancato da Paola Tonini e Stefano Buccini – trova il filo rosso che collega la cosiddetta “cricca” in Provincia, ovvero la banda degli appalti, con Lino Brentan, l’amministratore delegato dell’autostrada Venezia-Padova. Lino Brentan e i suoi appalti autostradali portano alla Mantovani e a Piergiorgio Baita e Baita porta al Consorzio Venezia Nuova e al mega scandalo Mose. Con contorno di funzionari statali corrotti, a cominciare da un generale della Finanza per finire con poliziotti, agenti dei servizi segreti, presidenti del magistrato alle acque, giudici di Corte dei conti e di Tribunale.

LEGGE CRIMINOGENA

Il saccheggio di soldi pubblici è durato anni, utilizzando vari sistemi. Il primo, legale: il Consorzio Venezia Nuova ha diritto al 12 per cento sull’ammontare dell’opera. Si chiamano “oneri di concessione”. Finora per il Mose lo Stato ha speso 6 miliardi di euro, il 12 per cento di quei 6 miliardi è del Consorzio. Sono quattrini garantiti dalla Legge speciale per Venezia, che il presidente dell’autorità per la lotta alla corruzione, Raffaele Cantone, chiama “legge criminogena” perché affida a privati la gestione dei soldi pubblici. Da questa legge criminogena nasce anche il sistema delle tangenti. Ma non ci sono solo le mazzette, ci sono anche le “liberalità”, che sono un modo per “comprarsi” comunque chi conta, anche se non lo si corrompe. Le mazzette, secondo i conti fatti da Piergiorgio Baita ammontano ad una decina di milioni di euro l’anno, le liberalità e cioè le sponsorizzazioni a squadre di calcio e conventi, a registi e fondazioni più o meno benefiche, ammontano a 80 milioni di euro l’anno. Il totale è 100 milioni all’anno per 10 anni. Un miliardo. Un Mississippi di denaro che affonda Venezia nella vergogna della “corruzione sistemica” come l’ha chiamata Piergiorgio Baita. E adesso, dopo 2 mesi dal blitz del 4 giugno? La stragrande maggioranza degli arrestati ha ammesso e sta patteggiando la pena. In carcere restano solo Renato Chisso, Giancarlo Galan, Enzo Casarin, il generale della Finanza Emilio Spaziante, Marco Milanese, [……………….], Paolo Venuti e Gino Chiarini. Ma non finisce qui.

Monica Andolfatto – Maurizio Dianese

 

EX CONSIGLIERI COMUNALI . Renzo Scarpa: «Assordante silenzio degli ex assessori»

Caccia e Bettin: «Soldi dal Consorzio»

«Ci sarebbero 75 milioni recuperabili per le casse del Comune dai “superguadgni” del Consorzio Venezia Nuova». È quanto affermano Gianfranco Bettin e Beppe Caccia (In Comune) nella lettera inviata ieri al commissario Vittorio Zappalorto e al premier Matteo Renzi. Bettin e Caccia sottolineano che, nonostante quanto emerso dalle inchieste della Magistratura, «il Consorzio Venezia Nuova continua a vedersi riconosciuta una quota del 12 per cento per “spese generali di gestione” su ogni cifra stanziata dallo Stato per le opere di salvaguardia della Laguna. E questo quando ad analoghe figure di “general contractor” lo Stato concede abitualmente percentuali, già discutibili e discusse, non superiori al 6».
«In questo momento – scrivono – ci sono in ballo oltre 1.250 milioni di euro, stanziati dal Cipe per il completamento delle dighe mobili alle bocche di porto. Con un “semplice e immediato provvedimento del Governo si potrebbe ridimensionare il compenso del Consorzio e ottenere la disponibilità di almeno 75 milioni di euro, utili per sanare il bilancio comunale per l’anno corrente e per accantonare un avanzo positivo per affrontare le spese del 2015».
Ma c’è anche un altro ex consigliere comunale che interviene sulla situazione del Comune. Renzo Scarpa parla infatti di «assordante e sconvolgente silenzio dei partiti e degli uomini della coalizione che (non) ha “amministrato” il Comune di Venezia in questi ultimi quattro anni».
«Perché – si chiede Scarpa – non parlano i vari Orsoni, Simionato, Bergamo, Agostini, Filippini, Maggioni, Bettin, Ferrazzi, Farinea, Ghetti, Vettese, Panciera, Rey? Dove sono andati a finire PD, UDC, PSI, Movimento Federalisti e Riformisti, Federazione della Sinistra, In Comune? Quelli che dicevano “state sereni”. Quelli che giuravano che la situazione era sotto controllo e che non c’era da preoccuparsi? Quelli che erano sempre sulle prime pagine dei giornali a rivendicare ruoli e meriti e a dire che erano gli altri a sbagliare con le loro continue richieste di moralità e contenimento delle spese?».
«Assumersi le proprie responsabilità, comunque ed in ogni caso, dovrebbe far parte dell’etica della politica e dell’onestà intellettuale doverosa nei confronti della propria città», conclude Scarpa.

 

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