Gazzettino – Terza puntata dell’inchiesta Mose.
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17
ago
2014
LE REGOLE NON SCRITTE DEL MOSE
Retrocessioni e garanzia di lavoro per le consorziate
Chi sono gli investigatori che hanno sgominato la banda del Mose. Il tratto comune: lavorare nell’ombra. E colpire al momento giusto
Il mago dei numeri il pianificatore e il trasformista
È l’ingegnere Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova a spiegare a Baita come va il mondo dalle parte del Mose. Ad afferamrlo è lo stesso Baita nell’interrogatorio del 28 maggio 2013. Si conoscono dagli anni Settanta quando lavoravano insieme alla Furlanis di Portogruaro. Si ritrovano in Cvn nel 2002: «L’ing Mazzcurati mi ha chiamato e mi ha detto se ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Cvn, cioè impegni chiamiamoli non trasferibili in atti statutari. Gli impegni di cui mi fece parola erano due: uno relativo alla retrocessione di un certo importo… Il secondo impegno era di garantire a un’impresa consorziata del Consorzio, l’impresa Vittadello, il lavoro».
Terza puntata dell’inchiesta Mose. Continua la ricostruzione delle indagini utilizzando il punto di vista del colonnello Renzo Nisi della Guardia di Finanza, l’investigatore che ha incastrato i “padroni di Venezia”.
4 GIUGNO – I finanzieri tra case e hotel per eseguire gli arresti eccellenti
La squadra di Nisi. Difficile nominare uno a uno tutti coloro che l’hanno temprata. Da citare chi con l’incarico di comandante dei diversi Gruppi del Nucleo ha svolto le indagini più delicate. Paolo Zemello, alla guida del Gruppo tutela spesa pubblica, Roberto Ribaudo, comandante del 1. Gruppo tutela entrate, e Nicola Sibilia, a capo del Gruppo investigativo criminalità organizzata: sono loro a costituire il team d’assalto di Nisi. Personalità diverse e per certi versi opposte che si completano a vicenda per capacità, competenza, impegno. Serietà. Autorevolezza. Che condividono la stessa visione di lotta alla illegalità e che hanno trovato in Francesco De Giacomo, capo ufficio operazioni, un coordinatore abile nell’armonizzare temperamenti, nel far girare i complessi meccanismi interni, gettando le basi per una circolarità di informazioni rivelatasi vincente. Anche con la stampa, nella sua veste di responsabile dei rapporti con i mass media: in parte è merito suo se si è sdoganata la banda del Mose facendole sbiadire quell’orizzonte provinciale e territoriale cui la volevano relegare e schiacciare i leader medesimi. «Cosa altro deve succedere perché se ne parli a Roma, a Milano, fuori dalla laguna?», si sono chiesti a più riprese Nisi e i suoi: nemmeno l’arresto di Mazzacurati aveva prodotto l’effetto sperato. Si è dovuto attendere il 4 giugno 2014: da allora basta dire Mose, al pari di Expo, per connotare il servizio tv o radiofonico, il talk show di turno. Mai come in questo frangente la sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso tutti i mezzi di comunicazione ha messo definitivamente al riparo l’inchiesta e i suoi registi, in primis i giudici.
L’ARRESTO DI MAZZACURATI
Ribaudo, severo e intransigente, taciturno e discreto, nato a Merano, è quasi spietato nel perseguire l’obiettivo prefissato: ha fatto suo il motto di Helmuth Karl Bernhard von Moltke, stratega feldmaresciallo dell’esercito prussiano, che ci permettiamo di tradurre dal tedesco come segue: “Nessun piano di battaglia sopravvive al primo contatto con il nemico”, a significare che quasi mai l’attacco iniziale è quello decisivo. Anzi. Ne sanno qualcosa Giovanni Mazzacurati, ex presidente di Cvn e i sodali braccati come delle prede per quasi tre anni, fino alla zampata dell’estate 2013 che ha segnato il count down per gli arresti eccellenti di quasi dieci mesi più tardi. Blanditi, rassicurati, di nuovo blanditi, con accorti stratagemmi tanto da farli cadere dalle nuvole all’atto della presentazione del conto. Teorico del basso profilo, si saprà ufficialmente della sua, per così dire, immissione in ruolo a Venezia – giunto dalla capitale tre anni prima – proprio durante la conferenza stampa sulla decimazione del Cvn. È seduto vicino a Nisi che gli dà la parola per «illustrare i particolari». Sardonico confida: «Il miglior complimento? Quello dei cronisti di giudiziaria che incontravo quasi quotidianamente nei corridoi in Procura mentre mi recavo dalla dottoressa Tonini per depositare le carte e per fare il punto sulle indagini. Mi avevano scambiato per un avvocato…». Bisogna ammetterlo, il ‘physique du rôle’ del legale lo possiede in pieno. E poi il mimetismo è una delle doti indispensabili nella guerra di logoramento. Chissà, sarà incocciato nello stesso equivoco anche Mazzacurati quando la mattina di venerdì 12 luglio 2013 quel ragazzo distinto e dai modi signorili si è presentato alla porta della dimora gentilizia alle Zattere, informando l’ottuagenario inquilino che quella casa si sarebbe trasformata in una prigione, per quanto dorata: Mazzacurati ne potrà uscire solo l’8 agosto. Quando cioè comincerà a “parlare”, riempiendo un centinaio di pagine a verbale, rispondendo alle domande puntuali della “signora” – così si riferisce alla pm Tonini, nell’intercettazione grazie a cui i finanzieri apprenderanno che fra di loro c’è una talpa – gettando le basi per la fase tre dell’inchiesta: l’arresto dei presunti prezzolati del Mose. Ribaudo è a Milano il 4 giugno del 2014: alle sue cure è affidato il numero 28 della lista stilata dal gip Scaramuzza, il vicentino Roberto Meneguzzo, specie di enfant prodige della finanza – tanto da guadagnarsi l’appellativo (immeritato?) di Cuccia del Nordest – fondatore e amministratore delegato della Palladio Finanziaria, holding azionista di peso di Generali. Stando alle contestazioni è il trait d’union fra Venezia e Roma, fra il Cvn e gli uffici che contano nella capitale: il tramite per agganciare Marco Milanese, allora braccio destro del ministro all’Economia Giulio Tremonti, e sbloccare la delibera con cui il Cipe nel 2010 assicura l’approdo al Mose del finanziamento di 400 milioni di euro, dietro “ricompensa” di 500mila euro. E Meneguzzo sarebbe anche il collegamento con il generale Emilio Spaziante che avrebbe ricevuto la mazzetta da mezzo milione nell’ufficio meneghino della Palladio. Sarà un caso ma anche Meneguzzo viene arrestato nello stesso albergo dove, a Milano, alloggia, qualche piano sopra, Spaziante.
L’ARRESTO DI CHISSO
Sibilia, romano, cittadino del mondo. Camaleontico: lo incontri passeggiando in campo in centro storico e lo scambi per un commerciante ebreo, barba lunga a punta e cappello, passa qualche mese e assomiglia a un dandy futurista, e poi ancora un emulo vintage della moda freak. E poi i tatuaggi che no, su un graduato delle Fiamme gialle, non si può. Ma tutto è calcolato, spariscono come per magia indossata la divisa. Un eclettismo esistenziale che traspare nel modo di indagare: è lui che importa da Trieste, comando di provenienza, e propone a Nisi, la figura dell’agente sotto copertura che si insinua nel circolo ristretto dei fidatissimi di Keke Pan e raccoglie le prove schiaccianti che inchioderanno alla cella, l’ormai ex boss dagli occhi a mandorla. Un segugio di razza, dall’indole gioviale e volitiva, che condotto da Nisi impara a fiutare oltre ai cartelli della droga, per i quali ha una vera predilezione, anche quelli “dei schei” facili e pubblici come quelli del Mose. Sotto l’ala del pm Ancilotto dà sostanza all’inchiesta su Baita: ed è proprio lui che suonerà all’ingresso della villa di Mogliano all’alba del 28 febbraio 2013 con l’ordinanza di custodia cautelare in mano firmata dal gip Scaramuzza, buttando giù dal letto il dominus di Mantovani spa e socio pesante e pensante di Cvn e scortandolo, terminata la perquisizione al Baltenig di Belluno, dove rimarrà detenuto per 106 giorni. All’alba di mercoledì 4 giugno 2014 Sibilia si trova a Favaro, hinterland mestrino. Al citofono del condominio gli risponde un signore assonnato e frastornato: è l’assessore regionale Chisso. Mentre il 31 gennaio 2012 guida i suoi uomini a Campolongo Maggiore, paesino della Riviera del Brenta, diventato famoso per aver dato i natali al boss della mala Felice Maniero. L’indirizzo è via Puccini 10: l’abitazione di Lino Brentan, fino al 2009 amministratore della società Autostrada Venezia-Padova, storico notabile del Pci-Pd veneziano, presunto referente di un “collaudato sistema” di gestione clientelare di appalti per favorire un cartello di imprenditori amici dediti alla corruzione. Un altro potente nella rete grigioverde. Processato con rito abbreviato sarà condannato a quattro anni. L’arresto bis il 4 giugno 2014 con la grande retata del Mose.
3 – Continua (Le precedenti puntate sono state pubblicate il 10 e il 15 agosto)
TESTI a cura di: Gianluca Amadori, Monica Andolfatto, Maurizio Dianese
28 MAGGIO 2013 / L’INTERROGATORIO CHIAVE
Baita: «Mazzette per venti milioni di euro»
«Il giorno 28 maggio 2013 alle ore 15.25, in Venezia, presso gli uffici della Procura della Repubblica, avanti ai Pubblici Ministeri Dott. Stefano Ancilotto e Dott. Stefano Buccini, Sost. Procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, è comparso: BAITA Piergiorgio, nato a Venezia il 18/8/1948, residente in Mogliano Veneto, via Rimini, 6/A. Detenuto presso la Casa Circondariale di Belluno». Inizia così l’interrogatorio che darà il “la” alle indagini sul Mose. Piergiorgio Baita era stato arrestato il 28 febbraio 2013. Prima del 28 maggio aveva già fatto un paio di interrogatori “pattinando sul ghiaccio” e cioè dicendo il meno possibile cercando di giocare come il gatto con il topo. Ma dopo si rende conto che il topo è lui. E inizia a parlare. Parla per 4 ore esatte, dalle 15.25 alle 19.20 del 28 maggio e riempie 115 pagine di verbale. Poi renderà altri 6 interrogatori, ma in questo del 28 maggio sostanzialmente racconta già tutto e quel che impressiona è il conteggio finale che fa Baita il quale parla di “mazzette” per una ventina di milioni di euro in 10 anni ai quali bisogna aggiungere centinaia di milioni di euro in “liberalità” e cioè quattrini dati per sponsorizzare una squadra di basket e il restauro di un convento, una scuola del Patriarcato di Venezia o una regata velica. Il conto totale, fatto dall’ing. Baita fa lievitare la cifra dei quattrini che i cittadini hanno sborsato ad 1 miliardo di euro. Si inizia così: «Credo di cominciare dal 2002, anno nel quale la Mantovani compie un salto di dimensioni e anche di collocazione di mercato… ». E in quell’anno che Mantovani con un investimento di 70 milioni di euro acquista da Impregilo e Fisia la partecipazione al Consorzio Venezia Nuova, diventandone il socio più grosso.