Nuova Venezia – “Litorale devastato, 5 milioni di danni”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
12
nov
2014
L’allarme di Codognotto, coordinatore dei sindaci della costa. Michielli (Federalberghi): servono barriere sott’acqua
JESOLO – Litorale devastato dalle mareggiate, danni intorno ai cinque milioni di euro. E per la prossima estate potrebbero anche aumentare. Da Bibione a Cavallino Treporti, migliaia di metri cubi sono scomparsi, ma soprattutto a Jesolo e Bibione i sindaci sono preoccupati per la prossima stagione estiva. Adesso è il momento di tirare fuori dal cassetto il famoso studio elaborato dall’Università di Padova, costato 300 mila euro alla Regione e mai utilizzato per proteggere la costa dall’erosione. Il primo cittadino di San Michele-Bibione, Pasqualino Codognotto, che anche è il coordinatore dei sindaci della costa veneziana, ritiene che non ci sia più tempo da perdere. «Quello studio deve essere messo in pratica», spiega, «perché consentirà di prevenire i problemi legati alle mareggiate, oltre che a realizzare una protezione stabile della costa, considerando tutte le peculiarità delle località turistiche. Voglio dire che Bibione non avrà i problemi di Jesolo e viceversa. Lo studio prevede come far fronte nel breve periodo a mareggiate ed erosione e poi anche nel lungo periodo con gli interventi strutturali di cui la costa veneziana ha bisogno. Non possiamo aspettare ancora, visto che è costato 300 mila euro e mai è stato preso in mano per essere attuato».
La Federconsorzi di Jesolo, che riunisce i concessionari sulle spiagge, ha già invitato i sindaci a considerare lo stato di calamità naturale. Il presidente Renato Cattai ha anche proposto di trattenere i canoni demaniali per le spese di ripascimento e protezione delle spiagge. Gli albergatori sono preoccupati e invocano interventi seri, volgendo lo sguardo a un passato di speculazioni e sprechi che stanno venendo a galla assieme ai detriti portati dal mare.
«In questi anni», spiega il presidente di Federalberghi Veneto, Marco Michielli, «ci sono stati interventi non coordinati che hanno provocato più che altro danni, modificando le correnti e aumentando l’erosione. Per non parlare della pesca a strascico che ha reso i fondali un biliardo su cui il mare scorre sempre più velocemente. Siamo ricorsi al ripascimento tutti gli anni e adesso, considerando anche le inchieste della magistratura sul Mose, dobbiamo pensare necessariamente che conveniva a qualcuno spendere tutti quei milioni. Noi albergatori abbiamo considerato le varie soluzioni possibili per salvare il nostro litorale. Io penso che assieme al Friuli Venezia Giulia si debba ragionare per realizzare delle barriere subacquee con delle rocce che siano in grado di formare una vera e propria barriera corallina che ripopolerebbe anche la fauna e flora acquatica. Tra un po’ di anni potremmo avere i sub e i turisti che nuotano sopra colonie di pesci e granchi scomparsi, mentre anche le spiagge non sarebbero più ridotte dall’erosione ma tornerebbero alle loro naturali dimensioni. Queste grandi barriere sott’acqua riuscirebbe a fermare la potenza del mare che è una minaccia per tutto l’anno, visto che anche a giugno sono state registrate le ultime mareggiate e ormai non ci sono più periodi costanti in cui l’erosione venga evidenziata nel corso dell’anno». «Tassa di soggiorno per proteggere le nostre spiagge». La proposta viene portata avanti da Rodolfo Murador del neonato movimento la “Sinistra” che aveva denunciato lo spreco di denaro pubblico in tutti questi anni di ripascimenti: «Non possiamo ogni anno chiedere soldi alla Regione, invocare lo stato di calamità. I sindaci e il territorio devono muoversi, fare qualcosa subito e i soldi della tassa di soggiorno lo potrebbero consentire in tempi brevi e per motivi di emergenza».
La denuncia del presidente dei naturalisti sandonatesi: effetto disastroso sulla tenuta degli argini
«Il corso del Piave abbandonato da 30 anni»
SAN DONÀ «Il Piave è abbandonato a se stesso da circa 30 anni», spiega il presidente dell’associazione naturalistica sandonatese, Michele Zanetti, «e questo ha avuto un’incidenza negativa sullo stato dell’alveo, la vegetazione golenale e la tenuta infine degli argini del fiume. I riflessi sono evidenti agli occhi di tutti e non serve essere esperti in materia per capirlo. C’è stato un decremento delle situazioni di sicurezza in tutto il territorio». «Auguriamoci che il contratto di fiume», conclude, «e le azioni conseguenti arrivino in tempo per far fronte a una nuova emergenza che sarebbe drammatica». L’espansione edilizia ha poi fatto il resto, con il cemento che non lascia assorbire l’acqua, ma anzi ne velocizza il corso. Oggi un’alluvione di grandi proporzioni avrebbe effetti devastanti ancora di più che nel passato. L’allarme Piave è dunque un pericolo solo provvisoriamente scampato. Il ponte di barche a Fossalta è tornato al suo posto, non ci sono state evacuazioni di abitazioni a rischio e anche i campi si stanno lentamente asciugando. La prossima perturbazione potrebbe essere sempre quella decisiva per trovare completamente impreparato un territorio esposto a forte rischio idrogeologico, per la maggior parte sotto il livello del mare e con argini sempre più deboli a causa di una vegetazione incontrollata che li ha resi molto più permeabili. Per non parlare del fondo del fiume e le sponde da pulire e tanti altri interventi che sarebbero dovuti essere programmati nel corso dei decenni. Così la paura torna regolarmente e gli anziani evocano le immagini drammatiche del 1966 con la grande alluvione che potrebbe tornare da un giorno all’altro, da qui le forti preoccupazione che arrivano dal mondo dei naturalisti e degli ambientalisti.
(g.ca.)
Stati generali a Roma, la Regione: «Progetti pronti, bacino di Trissino verso il via»
Zaia: «Riprendere l’escavazione lungo il Piave servirà a impedire nuove piene»
Dissesto, dote dal governo di 70 milioni di euro l’anno
Monitorate anche le frane di Perarolo e del Rotolon a Recoaro «Scolmatore del Brenta entro l’anno il progetto»
VENEZIA – Parata elettorale o significativo cambio di passo? Gli Stati generali del dissesto idrogeologico, svoltisi a Roma nel giorno di San Martino, portano in dote la promessa di sette miliardi di euro nei prossimi sette anni da investire sul territorio nazionale. Un impegno che, secondo gli addetti ai lavori, potrebbe portare 70 milioni di euro l’anno al Veneto. «L’iniziativa in sé è ottima, speriamo che alle parole seguano i fatti – spiega il governatore Luca Zaia – noi abbiamo progetti pronti per 600 milioni di euro. Sul tema abbiamo avuto lo spartiacque del 2010, l’alluvione ci ha insegnato molto e da allora sono partite le prime opere di messa in sicurezza del Veneto. Ora tutti i principali bacini di laminazione sono stati avviati e direi che la parte occidentale della regione sta per essere messa in sicurezza dal punto di vista alluvionale. Resta il Veneto orientale e il Piave in particolare, le cui piene come la storia insegna possono essere rovinose». Zaia non rinuncia alla sua vecchia idea: «Il Piave va pulito e scavato, ripristinato l’alveo: dobbiamo superare la sindrome di intoccabilità. Un fiume va tenuto in manutenzione: oggi semmai il problema sono i costi, perché il materiale che un tempo aveva un valore oggi non ce l’ha più». Quanto agli interventi per la prevenzione del dissesto, la situazione è legata all’avanzamento dei lavori dei bacini di laminazione e alla messa in sicurezza di alcune tra le più importanti frane montane. A Caldogno, il bacino di laminazione è in corso di realizzazione; a Trissino i lavori saranno consegnati il prossimo 19 novembre; a Fonte l’appalto è stato aggiudicato nei giorni scorsi; così pure a Monteforte d’Alpone. La procedura è in fase di predisposizione di gara per il bacino di Pra dei Gai, a cavallo tra il Veneto e il Friuli, utile per assorbire le piene del Livenza.
«Con questi bacini aumenta la sicurezza idraulica ma non vi è l’annullamento del rischio» avverte Tiziano Pinato, a capo della Difesa del suolo della Regione Veneto, che ieri a Roma ha partecipato agli Stati generali. «Ci sono altri interventi in corso di progettazione definitiva: penso alla vasca di viale Diaz a Vicenza, l’Anconetta a Padova, l’ampliamento della vasca di Montebello» aggiunge. Quella che dovrebbe proteggere Padova dalle piene del Bacchiglione è il bacino di Sandrigo/Breganze, del costo di 70 milioni, non ancora finanziato; poi c’è la sistemazione degli argini del Tagliamento in collaborazione con la Regione Friuli.
Ma la madre di tutti gli interventi è il cosiddetto Scolmatore del Brenta sull’asse dell’idrovia Padova/Venezia, il grande progetto caro all’ingegner Luigi D’Alpaos: «Abbiamo fatto la gara per la progettazione preliminare e credo che entro l’anno potremo affidare l’incarico» spiega Pinato. Il progetto è ambizioso e il costo importante: si parla infatti di circa seicento milioni di euro, con la possibilità di rendere navigabile anche a navi di importanti dimensioni il canale.
Quanto al capitolo frane, la Difesa del suolo regionale tiene sott’occhio tutti gli episodi franosi che si abbattono sul territorio. Ma quelle sotto i riflettori sono quella di Perarolo, definita del Cristo, dove un lastrone di gesso incombe sul Boite proprio alla confluenza del Piave. La Regione sta predisponendo un progetto di argine per la difesa dell’abitato e di una galleria artificiale che possa agire da scolmatore: avrà un costo vicino ai 12 milioni di euro. A Cancia, in Cadore, la competenza è passata dalla Regione alla Provincia di Belluno ma un progetto condiviso ancora non c’è dopo i due morti del luglio 2009. A Recoaro, invece, incombe la frana più consistente del Veneto ed una delle più importanti d’Italia: quella del Rotolon, tenuta sotto controllo anche in questi giorni da sofisticati sistemi di monitaggio. Anche i Consorzi di Bonifica segnalano il loro impegno: nel Veneto hanno in cantiere già 130 progetti per un valore di 237 milioni di euro. Giuseppe Romano, presidente dell’Unione Veneta Bonifiche, ricorda che oltre ai cambiamenti climatici che hanno sicuramente inciso sugli ultimi disastrosi eventi, si deve tener conto «dell’eccessiva urbanizzazione di un territorio che ha impermeabilizzato negli ultimi anni 4950 ettari all’anno di terreno, generando la necessità assoluta di creare opere di compensazione idraulica». Il Veneto, da questo punto di vista, sta facendo la sua parte: con tre versioni di Piano casa, la Regione ha incoraggiato 70 mila domande di ampliamento di fabbricati esistenti. Come se non avessimo abbastanza case.
Daniele Ferrazza